Anno III. Capodistria, Febbraio 1905. N. 2 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE OH' INOHIESTR SUM PEŠCA iN ISTfp E DAIipZIA Aldo Parenzo, con questo stesso titolo, pubblicava nel Nuovo Archivio Veneto del 1894 ') un interessantissimo e di-ligente studio sui provvedimenti escogitati verso la fine del secolo XVIII, dalla Serenissima Repubblica per favorire, meglio che fosse possibile, la pešca nelle acque di quelle due re-gioni adriatiche e per incrementare con ogni rnezzo il cora-mercio del pešce riparando, eontemporaneamente, a tutti gli abusi che venivano commessi. II Parenzo — accennato alla concorrenza, che in quel tempo la Spagna, il Portogallo, l'In-ghilterra e 1' Olanda facevano a gli scambi veneziani — ricorda come allora sollevasse le maggiori discussioni la pešca, che si faceva nelle acque istriane e dalmate. L k trovavasi abbondantissima la sardella, e in Istria e in Dalmazia meglio che altrove essa veniva posta in salamoia. Da tale industria la Repubblica si riprometteva moltissimo: gravi cause pero la ostacolavano; prime fra tutte, le frodi e i contrabbandi. A porne rimedio a tanti malanni, denunziati dai Provve-ditori alla Giustizia Vecchia il 31 agosto 1764, occorrevano nuove leggi e queste non potevano essere che il risultato di una seria e coscienziosa inchiesta. Avute da prima informa-zioni dai Consoli veneti di Trieste, di Ancona, di Rimini e di Ravenna, dal Podesta, e Capitano di Capo d' Istria e dal Prov-veditor Generale in Dalmazia ed Albania, che comunicava anche le opinioni di tutti i preposti alle isole e provincie ve-nete del levante, il Senato nominava una Commissione di sei Magistrati, che il 18 aprile 1770 riferiva sulle condizioni della pešca nelle acque deli'Istria e della Dalmazia. i) Anno IV, Tomp VIII, Parte II (Venezia, Vicentini). Ritenute pero insufficienti le notizie fornite dni sei Magistra^ per attuare le necessarie riforme, il 13 maržo 1773,-il Senato riconfenpava il inandato stesso a tre nuovi Deputati siraordinari srtpra le Avli. Questi il 9 maggio dell'anno stesso presentavano al Doge la relazione deirinchiesta, che per loro incarico avea fatto il dotto abate Alberto Fortis. Nel citato volume deirarchivio Veneto vi e un largo sunto di quella relazione: esso merita di essere letto per poter esser convenien-temente apprezzato. Con esso il Parenzo chiude il suo bellissimo studio. II Museo Correr di Venezia pero possiede un codice ') o ve son riportate altre due relazioni che del pari riguardano la pešca. E poiche esse son o il risultato di inchieste, che formano si puo dire un tutto con quella fatta per la Dalmazia e l'Al-bania e, oltre ad essere l/era conlribulo alla sloria ci-vile di Venezia», e sperabile che servano anche «a ridestare V amare alla rila del mare ed alle induUrie aequicole» 2) cosi non sembrera inopportuno che le Vagine hlriane ne fac-ciano menzione. j. II senato3) adunque esainino la relazione Fortis e si compiacque che la Slraordinaria Depulaz-ione .sopra le Arti mirasse a render proficua la pešca nei veneti mari cosi, che meno denaro uscisse dallo Stato e. nel tempo stesso dimi.nuisse il prezzo di una vittuaria tanto necessaria al popolp della Do-minante. Convinto per-6 che se non si conseguivano dalla pešca molti vantaggi la causa dovea ricercarsi nella inespe-. rienza e nelle frodi continue e che, per conseguenza,, era ne-cessario adottare altri sistemi e introdurre nuove concie e du-revoli preparazinni, 1' alto Consesso.il, 27 maggio 1773 accet-. tava il suggerimento dei tre Deputati di incaricare aneora l'abate Fortis — conoscitorc di varie lingue, fra le quali 1* II-lirico — di fare le idleriori me deltagliale ossernazioni sulli, restanti luoglii della Dalmazia ed Albania, e di riportar saggi di esperienze propri ali" affare. Deliberava inoltre il 4 settembre ') di mettere a disposi-. Codice Gradenig-o 120. 8) Archivio Veneto citato, pag. 41. 3) Archivio di Stato in Venezia — Senato Mare,, Registre 236. *) Codice Gradenigo citato. zione quattro vtossa di šale per quei tentativi e quegli espe-rimenti, che il Fortis avesse creduto di fare. Dal canto suo la Straordinaria Deputazione il 7 settembre scriveva al Provveditor Generale in Dalmazia e Aibania') raccomandandogli caldamente il Fortis, che gia si trovava laggiil, perche esso Provveditore gli prestasse (uita gnetle fu-cilita cd assisienze che condur lo possano al contemplato og-gelto e perche di mese in mese gli corrispondesse venti zec-chini di veneta moneta per suo mantenimeuto. Contemporaneamente veniva di tutto cio avvisato il Fortis. Fece questi coscienziosamente la sua inchiesta e preselita va quindi la seconda Relazioire che molte cause indipendenti da lui impedivano apparisse lavoro del tutto completo. Essa e divisa in due parti princlpali: la prima comprende diffuse no-tizie sulla pešca del Quarnero, nella seconda e riferito t^itjto cio che il Fortis aveva osservato nel viaggio attraverso le Valli di Comacchio. Comincia a parlare deli' isola di Cherso, che per una estensione. di sessanta miglia offriva dei pascoli subacquei magnifici ad otto Toiniare e a diccisette Poste o Pcschiere da Sardelle, da »Smaride *), da Sgombri:i) e da Lan-zardi '); la contigua isola di Ossero contava oltre venti poste e la piccola Sansego ben undici, tutte frequentatissime. A11-nualmente si poteva calcolare su sedici reti da tratta nelle acque di Cherso e su venti in quelle di Ossero. I pescatori di queste isole erano veramente pigri, e stupidi e poveri: ma erano gcnte disciplinabile, poiche ad onta di. tutto .prevaleva in essa una forte dose di probita. Danni gravi pero arrecavano i Rovignesi che senza di-rezione e in ogni tempo con la puzzolente esca dei Granchi tritati, con le reti Sarclellere e con quelle Squainere 5) turba-vano e sbandavano le masse di pešci. Nc veniva che le sardelle pescate con i granchi — cibo veramente fetido — aveano le carni di gusto cattivo e che quelle prese con le Sarclellere, non avendo il tempo e lo spazio da squamarsi da se, non po- Id. 2) Sparus Smaris — in dialetto veneto : Maridola. 3) Sgombero = Scomber Colia. 4) Laterto = Scomber Scomber. 5) Da Sc[uaina detta pure Pešce Violin. — Squatina o squadro ; Pešce Angelo ; Rina o Rima = Squalus squatina. tevano bene e presto — com' era necessario d' estate — essere compenetrate dal sale. Buona compagnia ai Rovignesi faeevano i Gorinzi, abi-tatori della costa montuosa austriaca che nell' estate si improv-visavano marinai. Irabarcati sugli Zapoli — specie di canoe americane scavate in tronchi d' alberi — essi nelle acque del Quarnero pescavano una grandissima quantita di sgombri e di lanzardi. Ma non basta: ai Gorinzi erano pure affittate tutte le tonnare deli' Istria ed essi tra il tonno, che loro spettava di diritto, fra quello donato e quello che si appropriavano ru-bando, ne trasportavano, senza pagare contributo alcuno, nel territorio austriaco una tal quantita da riuscire veramente di danno al Governo e ai pescatori ietriani. La quantita di pešce, che in appositi barili veniva posta in salamoia, per le ragioni su accennate, era inferiore a quella che avrebbe potuto essere: ad ogni modo era abbastanza ab-bondante. Di essa pero una ben misera parte entrava nella Dominante. E si capisce: le cariche locali esigevano una data somma per ogni barile, per ogni tratta di pešce; arrivati a Venezia i mercanti trovavano gli aggravi maggiori e piu numerosi. Con-seguenza di tutto cio il contrabbando, conniventi spesso i pub-blici Ufflciali che pure lucravano a danno del Governo. L' in-dulgenza poi dei Legni armati verso i contrabbandieri era enorme: bisognava pur confessare questa verita ocliosa, scan-dalosa e mortificante, poiche le navi destinate a tener libere le acque da ladri e da frodatori erano per lo piu equipaggiate da gente rapace, che non riusciva a farsi araare che dai colpevoli. Senza entrar a discutere sui vari metodi da pešca usati dalle nazioni marinare e osservato che un miglior sistema di salare i Canil), gli Asi& *), le Raggie 3), i Colombi4), le Squaine, i Gatti5) e i Lupi6) avrebbe fatto diminuire a Venezia l'inva-sione e il consumo dei Bacala o Stock-fisch'), e che sarebbe ') Can bianco, Can machia o pontiza, Can senza denti. — Cane marino bianco = Squalus galeus. 2) Squalus Achantias. 3) Rasa. — Raia clavata. *) Pešce aquila = Raia Aquila, 5) Gata d' Aspreo o Gataschiava e Moretta = Squalus Canicula, 6) Lupo marino — Merluzzo = Gadus Merlucius. ') Gadus Morhua. stato utilissimo far uso dell'olio e della carne dei cetaeei, il Fortis consiglia che per il bene di quei pescatori venga quanto 6 piu possibile diffuso il Trattato della Pešca del Da Hamel. Quei di Veglia, piu che al mare, erano dediti ali' agri-coltura. Vi fu un anno anzi che — non per merito loro — furono, si puo dire, colti ali' improvviso da una tale quantit& di sgombri, che, mancando dei barili e del sale necessario, pensarono di metterli parte in botti di vino, dove si guastarono, e parte di rigettarli in raare. La piccola isola di Arbe era in una posizione magnifica: pero il prodotto che dava la pešca non era certamente pro-porzionato a quanto potevasi attendere da tanto privilegio di natura: poche le tratte di pešce — sei soltanto — sciocchi e pigri gli abitanti; un disordine generale; pescatori forastieri, anche qui Rovignesi e Gorinzi, che arrecavano danni non in-differenti. Le sette Poste di sgombri e di lanzardi, che corre-vano attorno ali' isola, non erano battute ragionevolmente, ma, quando in una appariva le masse di pešce, tutti gli isolani correvano ad essa rovinandola. Bisognava per6 che la notte fosse chiarissima, poichfe se ci fosse stato da temer fatica o pericolo i pescatori se ne stavano a dormire i loro sonni tranquilli. Anche ad Arbe si commettevano frodi e quindi era un po' difficile fissare quanto regolare commercio si facesse di pešce; certamente si poteva asserire pero che circa 1200 barili di sgombri e di lanzardi salati si vendevano fuori dello stato veneto. Gli Arbeggiani usavano il sal nero che dava ottimi risultati: ad ogni tnodo sarebbe stato opportuno diffondere per le isole della Dalmazia il sistema adottato a Comacchio: me-scolare, ciofe, al sale, che era forse troppo caustico, alcun poco di tango marino che riusciva ad addolcire la salamoia. Gli isolani salavano anche i folpi4), che vendevano ai sudditi austriaci, e le raggie che, acquistate dapprima dai Rovignesi, venivano pure vendute in Austria e negli Stati Pon-tifici. Queste due ultime qualita di pešce non avrebbero potuto sostituire, per il loro prezzo inferiore, il Bacala di cui si faceva gran uso fra il popolo della Dominante ? E cosi pure il tonno, Polipo = Sepia Octopodia, tanto frequente nelle acque di Arbe e di Pago, anzi che venir da quei siti esportato, non avrebbe vantaggiosamente sopperito ai bisogni della popolazione, costretta in quella vece a ricorrere aH' estero ? Certamente bisognava procurare che aumentasse la quan-tit& del tonno, che ne fosse impedita la dispersione ed il fre-quente deperimento. Di cio certamente non si davano cura gli isolani di Arbe e di Pago, che tenevano le lor reti mal tese e senza su-gheri e non si davano la pena di fare la guardia necessaria, cosi che centinaia e centinaia di tonni, dopo aver visitate placidamente le tonnare di qnelle isole, se ne andavano lungo le alpestri rive austriache e cadevano facile preda dei Go-rinzi. Costoro in una sola giornata avevano pescate per venti mila lire di tonno che se n'era sfuggito *dalle mani ai Nostri poltroni». In ogni modo il poco tonno pescato veniva venduto ai Ro-vignesi che, o fresco o salato, lo portavano nel mercato di Ve-nezia. Ne veniva di conseguenza che se arrivava guasto esso era subito gettato alle fiamme, se giungeva sano lo si vendeva a caro prezzo nella Dominante o lo si riportava ali' estero: in ogni caso gravissimo danno alla popolazione per il costo ele-vatissimo di cio che in origine valeva ben poca cosa. Il Fortis chiude la prima parte della sua Relazione fa-cendo osservare come abbondantissimo fosse il pešce nelle acque del Quarnero e che per cio un sommo vantaggio ne avrebbero risentito il publico Erario e la popolazione di Ve-nezia, della Terra ferma e d' Oltre mare se la «Pesca e rela-diro commercio fosse assunta in tutta la sua estensione dal «Governo Ser.mo e fosse maturamente ed efficacemente preso *sopra il modo piit. sicuro, piu semplice e sollecito di siste-*marla>. (Continua) dottor Ricciotti Bratti MARINE VENEZIANE (Da un vohune di Rime. Venesiane di prossirna pubblicazione). I. Ghe xe in (jima de un palo un capitelo Co' 'na Madona vecia e un faraleto: Co' ghe passa davanti el buranelo, La corlina vogando o '1 sandoleto, La testa el sbassa col pili gran respeto, E, cavandose subito el capelo, El move i lavri; p6, tornft piu dreto, Verso Buran el voga a pian bel belo. Ti, co vien su de isti la nembaissa O la neve vien zo co' xe 1' inverno E supia el vento o vien la piova flssa, Madona, el to bel'ocio el lo compagna E '1 lo scorta fin časa, in quel' inferno Che lo s'ciafiza tuto e che lo bagna! II. Come 'torno a un pastor curvo, puza Sora el s6 bastongelo, strete strete, Per paura del lovo, se ghe fa Co' la sera vien zo le piegorete: Atorno al campaniel storto, eco la Che de Buran se strenze le casete: Sentindo che 1'inverno ormai l'e qua, Soto la protezion soa le se mete. E par che adesso, le se meta via Un fi& de sto calor e de sta luse Per i di pieni de melanconia: Quando, col fredo o col siroco, el §ielo Ste aque e sti palui qua se reduse Tuti un squalor de morte o tuti un gelo. III. Si tuti un gelo e ste barene istesse Le par de speci semenae grandoni Dove i cocali de trovar no i e boni Un'alega, un grancieto o un M de pesse. Co' un gran sussuro, a volte, quei lastroni Vien zoso dai palui co' 1' aqua cresse: E a quele barche, che per qua xe messe, Via passando i ghe da dei gran sburtoni. (3 per zornade intreghe gh' 6 calighi Tai, che le barche se perde e no val Son de campane da lontan, ne zighi. La note scura la xe qua deboto.... E '1 buranelo el ga per cavassal I s6 costrai, per coltra el so capoto! IV. Le vien! le vien!... Ecole qua, co' bele E co' tanto de flanchi e de ganasse, Coi cotoli in color le buranele Col peto in fora e co le spale grasse. E le xe sane come ghe saltasse El sangue da la carne e da la pele: ' Coi oci, come drentoghe brilasse Soto le segie do stupende štele. Le vien avanti ciacolando tute E batendo le mule per le strade In calze rosse zovenete e pute. Le passa... ma ne l'anema i so grossi Lavri ve resta e i oci come spade E i coli bianehi coi corali rosSi. 1'AGlNt: ISTRIANE V. E dir che '1 viso zo piegi parfeto, ' I oci pieni d'un slusor che brusa, Co' sui zenoci el tombolo, le pusa Per ore e ore sora el so marleto! E, intanto, el mar vissin lontan el rusa E, forsi, l'oregan stramaledeto El sconquassa o '1 rebalta el bateleto Dei pari o dei morosi... E su la blusa, Ponzendose a le volte, o sui recami Ghe casca zo 'na lagrema improvisa E una perla infornisse i so fiorami. E le se varda la vestina sbrisa E le pensa ai fradei, povari grami, Che 110 ga giaca e apena una camisa! VI. — «Spiuma cle mar, bianca cofi 1'arzento O come i veli d' una bela sposa: Scie larghe, indrlo lassae da un bastimento Co' l'aqua, a l'alba, la se tenze in rosa: — «Spiuma de mar, che, quando supia el vento, su la sabia ti vien, la, caprigiosa: Spiuma, ti duri nome che un momento Po' ti te desfi come una gasosa. — «Le nostre spiume, lavorae de zorno E note, i oci consumando e i dei Perche le dame se le meta atorno, «Dura, invege, dei secoli e le mostra Nei so recami, che xe tanto bei, Le nostre strussie e la miseria nostraN — VIL L'ala de la canzon e del stornelo Ghe bate drento 1'anema a ste pute: E 1' armonla ghe vien sui lavri a tute, Sui lavri che par fati col penelo. Ma star ghe toča sui lavoro mute Sia che '1 tempo el sia bruto o che '1 sla belo; E '1 guadagno, Dio mio, I' e sempre quelo La zoventu perdendo e la salute. Lorč, tose, lore fin che fa scuro Per po magnar do schile e do marsioni Co' la polenta o un točo de pan duro! Lore, tose, lore che i pessi boni, In mar pescai dai vostri, de sicuro Li strassa, senza farne, i signoroni! VIII. Galupi, el Buranelo, fra ste tose Contento el passa e qua e 1& 'I se incanta: Tuto intento a smirar ste bele riose, Drento del cuor la musica ghe canta. Nei oci, su la fronte e ne la vose L'anema a lu ghe ride tuta quanta Nel fissar su la carta, a ocio e crose, Sto paradiso prima che '1 se sfanta. Sior Tonin Bonagrazia, co' la soa Nobilta de Torgelo, eco el se avanza In braghe curte, veladina e coa. A la zente contandoghe storiele, In boca el tien un deo, ma drento in panza Da la farne ghe ruza le buele! IX. Quando che drento in sandolo mi monto, De vovi e fruti e vin ben ben paci&, L' e tuto d'oro e porpora el tramonto Che drento l'aqua se specia infogA. Velo 1& san Frangesco, velo 1& Cussi, tra 'I ciaro e '1 scuro, mežo sconto! Sentinclo che vien z6 l'oscurit&, Lu, tranquilo, a rigeverla 1' 6 pronto. Se involze sant'Erasmo come drento D' un velo d'ombra e sul paluo deserto Qualche cocal el svola basso e lefito. Vien zoso, adasio, co' la sera un certo Umido — e si no gh'e fi'lo de vento E si che indosso mi son ben coverto! X. Vien da Muran el son d' una campana Che par che '1 pianza qualchidun che mor. A volte el s'avi(;ina e '1 se slontana E mi lo scolto e go 'na bota al cuor. Passa un ciozoto ne la so gabana Vogando adasio: un vecio pescaor, Che ciapa el largo co' la so tartana Come che un morto via 1' andasse a tor. Al lume de le štele, aguassi e freschi Ne la note sfidando, intin doman, Fumando queto, intabara ti peschi. La note e '1 di vago anca mi pescando Nel mar de 1' arte un flor... ma gnanca in man Mi no lo go, che '1 me se va desfando! Ottobre, 1904. Gigio da Muran (Prof. Luig-i Vianello), Notizie storiclie di Grisignana, (Continuazione — v. A. II, pg. 366). II fonticaro aveva tre lire al mese di salario e 1' un per cento sull'utile del frumento che vendeva. Notando che nel fondaco non si doveva vender farina, ma solamente grano. Giacche volevasi che 1' ufficio di macinare e far pane fosse lasciato ai «pistori et pancogole«, i quali per la macinatura del frumento acquistato nel fondaco, nei molini di «Layme et Gra-dole», pagavano «un soldo per starolo» verso presentazione di cbollettino coi bollo del fontego» in prova della provenienza del grano. Stabilivasi ancora che quando il fonticaro non vo-lesse acquistare il grano da un cittadino che glielo offriva, qnel cittadino poteva venclere la sua merce dove meglio gli piacesse. L'acquisto del frumento poteva farsi dal fonticaro solo fino a uno staio, e trattandosi di uno staio sino a cinque doveva essere presente anche un giustiziere. Dobbiaino qui os-servare che i due mulini sopra menzionati debbono essei'e stati i molini detti di Grisignana, di proprieta dello stato, che venivano dati a iitto. Perche nell'anno 1637 il Senato veneto dava ordine al podesta-capitano di Capodistria di andare a Grisignana a vedere lo stato di quei molini, avvisando poi di-stintamente il Senato del loro valore, dell'affitto che se ne ri-cava e di ogni altro particolare che ad essi si riferisse. II capitano stesso doveva publicare un proclama perche chi desi-derasse comperare i detti molini «venga o mandi sopra 1'incanto a Rialto ')». Intorno 1'anno 1646 il vescovo Tomasini scriveva cosi: «Questo fondaco era gia molto ricco, e comprava piu di otto-cento staia di frumento*. In data 12 dicembre 1771, per togliere incentivo alle cattive amministrazion} dei fondaci istriani, il Senato accoglieva la proposta del magistrato alle biave, e cioe «la massima di scemar la forza ad alcuni fontici, come sono quelli indicati di Rovigno, Grisignana, Albona, Umago, nonche di Portole, Isola, Pirano e Dignano li quali soprabondano dei rispettivi loro capitali, obligando ciascuno di essi a smembrarne una porzione in modo che fra tutti vengano a formare la 1) Ivi, vol. XIV, p. 331. riferita somma di 25 mille Ducati per farla passar al Conser-vatore del Deposito in Zecca da esser investita separatamente alla Dita di cadaun fontico ecc.')» Tornando al nostro statuto, apprendiamo che i giustizieri invigilavano sui pesi e sulie misure che adoperavansi nelle o-sterie, nelle beccherie, ne' molini e dal venditori di pane. Essi dovevano misurare sonza alcun compenso il frumento del fon-daco, erano parimenti tenuti di misurare il vino e l'olio che si vendeva dai cittadini, i quali per cio dovevano pagarli: un soldo per ogni orna di vino o per ogni mirro di olio. Quando per beneficio del paese occorresse un fabbro, il Comune ne chiamava uno e lo pagava. I gastaldi, ossia amministratori, delle scole o confraternite dovevano dare, come i fonticari, una conveniente cauzione. Le regalie dovute al podesta erano le seguenti: il giorno di s. Vito chiunque avesse animali minuti, doveva portargli per ogni »mandra una pezza di formazo fresco». I vicini e gli abitanti che avessero vigne nel territorio gli pagavano la de-cima dell'uva e tre quarti d'orna di vino chiunque avesse vigne nel distretto. I forestieri peraltro e le vedove rnezza orna soltanto. Ogni vicino al tempo della vendemmia un cerchio nuovo di botte. Quelli che ammazzavano porci — fossero quanti si volesse — dopo s. Martino, «una spala pagar debbino al detto Rettor». Chi ne ammazzava prima — e poteva fare come piu gli piacesse — non era obligato a quella regalia. I mor-lacchi2) pero del territorio che erano soggetti al zupano del 1) Ivi, vol. XVII, p. 232. 2) E' questa la prima notizia che abbiamo di slavi che si trovavano nel territorio di Grisignana e proporiamente di morlacchi che oggi invano si cercherebbe, perche non ci sono piu. Ma al tempo cui si riferisce lo statuto, e cioe nella meta del secolo XVI, debbono essere stati molti, se per evi-tare probabilmente disordini fra di loro, come accadde gia per gli slavi del territorio di Albona, il Comune dovette creare per loro il zupano cui dovevano obbedire. Infatti dopo la peste deli'anno 1527, racconta il De Franceschi, furono trasportati dal Governo veneto i morlacchi della Dal-inazia a ripopolare le campagne rimaste senza abitanti. Lasciando stare il gravissimo danno recato alla nostra civilta dalla Signoria veneta col chiamare genti d'altra nazione e di costumi selvaggi, e un fatto che in-torno al 1550 famiglie morlacche trovavansi nel territorio di Parenzo. Montona, Cittanova e Buie. E anche intorno l'anno 1450 alcune famiglie morlacche vagavano intorno a Grisignana (Atti e memorie IX 198). Quindi il nostro statuto ci avverte che morlacchi erano anche nel territorio di Vagine istriane Carso, dovevano tutti pagare la detta regalia, sia che ammaz-zassero i loro porci prima o dopo s. Martino. E finalmente quelli che avevano un cavallo, dovevano condurgli a Natale una soma di legna. II conduttore del dazio delle rendite comunali era obli-gato di riscuotere la decima degli agnelli e capretti che gli spettavano ogni anno per conto del dazio entro il giorno di s. Giorgio nel mese di aprile '). (Continua) ___(j. Vesnaver Grisignana. Oggi chi chiedesse ad un grisignanese dove siano codesti morlacchi dello statuto, avrebbe la risposta che i morlacchi sono di la dali' acqua (a mezzodi del Quieto). *) Riteniamo utile di reeare qui alquanti capitoli (Vedi V Istria del Iiandler anno V N. 17) i quali ci inforinano esattamente di codesto dazio delle entrate del nostro Castello. CAPITOLI Del dazio rendite di Grisignana della camera di Capodistria, formati per esecuzione dei decreti deli'eccellentissimo Sen a to, dal magistrato ec-cellentissimo dei depntati ed aggionti sopra la provision del dinaro: ap-provati dali'eccellentissimo Senato con decreto 6 ottobre 1759. I. Sia tenuto detto conduttore ogni quattro mesi esborsar anticipa-tamente ali' illustrissimo rettor e curiali, pro tempore li suoi soliti salari, che sono: Ali'illustrissimo rettor per mesi 16 lire . 740 sol. 13 B. V. Al detto per Farma........12 8 per una volta tanto Al detto per la fiera di S. Vito .... 37 4 Al cancelliere di detto luogo per mesi 16 119 4 Al cavaliere.......... 100 — Per la caneva......... 62 — Per il pasnadego......... 100 — Ma in caso solo che il medesimo si faecia, e cio con fede sottoscritta e giurata del N. V. capitanio di Capodistria. II. Detto conduttore oltre 1' affitto sia tenuto pagare al zupano di quel luoco il salario, ed utilita, solite e consuete, come nel suo capitolo num. 60, essendo nel rimanente tenuto il detto zupano far il suo officio legalmente coll'esercitarsi in tutti li carichi che gli saranno comessi, e ch' e obligato in virtu della parte presa nell' eccellentissimo Senato 31 maržo 1562. III. Dovra esso conduttore portar di mesi sei in mesi sei in questa magniflca fiscal Camera, il rimanente del dinaro che li sopravanzara dalli pagamenti sopradetti, insieme colli riceveri legali dell'esborso del dinaro fatto a cadauno delli sopranominati. IV. Potra il conduttore trasportar le sue biade di ogni sorte si per DEL MELOLOaO Un genere letterario, che forse e un po' troppo ignorato ne 6 bastantemente apprezzato b senza dubbio il raelologo. Veramente nel suo nome greco non si intravvede quel certo che di eletto che hanno in se i nomi delle diverse produzioni terra che per mare, intendendosi pero dentro il dominio della serenissima Signoria, altrimenti s' intendera di contrabando. Entrate di tletto dazio. II dazio della beccaria II dazio deli' ostaria La colta grande Le decime d' agnelli Li fogolari II dazio deli'orna L' ostaria della Bastia Le decime di tutte le biave Terradeghi II passo del ponte della Bastia II passo delle barche che vanno al molin deli' Aime II fiume del Quieto II livello di detto peschiere di Torre II livello del bosco paga 1' eredita del qu. monsignor de Luca II livello che paga 1' eredita del qu. Zan Menegazzo Giusta la limitazione della comunita di Grisignana Dat. dal magistrato dei deputati ed aggionti sopra la provision del dinaro li 27 settembre 1759. Flaminio Gorner, deputato Giulio Contarini, aggionto Alvise Mocenigo, quarto cav. proc. deputato Pietro Barbarigo, deputato Bernardo Nani, aggionto Nicolo Barbarigo, Savio cassier uscito Giov. Battista Sanfermo, segr. Circa codesto dazio abbiamo una notizia piu lontana e non meno importante. In data 5 agosto 1530, il Senato veneto dava permesso al Podesta di Grisignana che non potendo affittare il dazio delle entrate di quel luogo per 1250 lire di piccoli, come era stato preso addi 12 ottobre 1452, possa cederlo per quel maggior prezzo che potra, sempreche non sia al di sotto delle lire 1000 che fino al presente si ritrassero da quel fitto (Atti e memorie IX p. 113). letterarie, ma sa piuttosto di commerciale, come le parole gra-fofono, fonografo, grammofono... Invece questo nome promette, senza volerlo, squisitezze čare, essendo la recitazione parlata di versi, accompagnata dallo svolgersi di motivi musicali. Infatti il melologo, il quale richiama qnel verso di Ugo Foscolo nelle Grazie 1' armoniosa melodia pittriee, ond'io lo definisco la pittura della musica, ha in qualcosa di arcanamente grazioso, di supremamente joli, e spira un soffio di sentimentalita fiorita, patetica, toccante. Tu declami lentamente dei versi sgorgati da un cuore, scritti forse quando la fantasia spremeva il pianto dagli occhi del poeta . . . e il ritmo melodioso di un quartetto d' archi, na-scosti fra le quinte o dietro un velo o sipario, accarrezza con gli spunti melodici i voli della poesia, sottolinea gli affetti, cava lacrime di emozione e avvolge le imagini deli' epos nel mistero vaporante del melos. Sembra l'eco di una voce ve-niente dall'estasi grave di un recondito penetrale, e pare che quest'eco ascenda.... ascenda.... per confondersi in alto con la poesia in un sacro sposalizio di amore. Parola e musica si compenetrano, si abbracciano, si baciano. Certo! il melologo tiene un po' del secessionista, del de-cadente; si direbbe 1' evanescenza di un simbolo. Ma e di un effetto sicuro, che sorprende e aftascina. E veramente mi ri-cordo di aver inteso, anni fa, a Trieste, recitar con accompa-gnamento di motivi musicali, se non erro, il villaggio deserto (the deserted Village) di Goldsmith. Non comprendevo quasi niente; ma 1' impressione complessa avutane fu come di un che di spirituale, di etereo, di trascendentale. Eppero si uso molto in Germania e in Inghilterra accom-pagnar con la musica la declamazione dei versi. Qualche ac-cenno poi del melologo, nel vero senso della parola moderna, lo troviamo in Liszt e in Berlioz, ed anche nel Salvatorello del Soffredini. Ma di questo genere letterario come tale fu inventore il poeta Domenico Tumiati '). Fu lui che col fratello Gualtiero, ottimo dicitore, e il m.o Veneziani, ideo i melologhi propria-mente detti e li chiamo con tal nome. Tre sono i suoi melo- l) Poemi lirici, Bologna, Zanichelli, 1903. loghi celebrati: Badia di Pomposa, gli splendidi Emigranti e la Parisina, la quale a dir vero 6 uno smagliante vaniloquio di orabre. Con il carattere del Tumiati, un tantino decadente e molto dannunziano, il melologo, ch' 6 una raffinatezza d'arte, ben si confaeeva; ed egli ci riusci perfettamente, si da meri-tarsi ovazioni ed applausi calorosi. • Ne poteva essere altrimenti. Che un melologo ben de-clamato e ben accompagnato dalla musica, si che fra musica e parola s' interponga un equilibrio, non pu6 non toccare e commuovere 1' anima anche del suo piu ostinato nemico. In teoria si pno gridare allo snobismo ed alla stranezza; in prati ca si applaude. Cosi il melologo passo trionfante da Torino a G-orizia, da Venezia a Milano, da Padova a Ravenna, da Trieste a Firenze. La sola Napoli non 1' udi ancora. Io, per me, senza con cio voler fare a buon prezzo 1' av-vocato del decadentismo e senz'essere paladino del motto le vois tont en rose. Tont est beau, tout est bien, Tont s' arrange k la fin; mi dichiaro francamente un ammiratore convinto di siffatto genere letterario. E' ben vero che talora nel norae del melologo si tra-smodo. Cosi a Parigi i decadenti giunsero alla ultraraffinatezza cli far accompagnare i melologhi oltre che da un flebile ar-monium anche da un profumo di rose e di gigli. Ma queste sono inezie che non meritano d' esser tenute in buon conto. Laonde aveva ragione Raffaello Barbiera quando esclamava: «E perche no da un soffio voluttuoso che spiri da una magica stufa e avvolga gli uditori in una calda ondata orientale? Ancor meglio sarebbe, che ogni uditore sentisse penetrarsi dol-cemente, soavemente, nel portafoglio una cartella di rendita» l). Queste, ripeto, sono scipitezze. Ma, messe da banda le celie e gli scherzi, io .sono per-suaso, che, senza ricorrere ai mezzi di parata, ed ai profumi — i quali purtroppo sono soverchi nei moderni salotti, nei circoli, nei ritrovi e nelle platee, specie se v' entrino le signore — sono persuaso, dico, che non e questione del troppo stroppia, se si congiungono le due splendide manifestazioni dello spirito ') «Corriere dei Poeti« a pg. 85 deli' Illmtrazione Italiam di Milano, anno XXX, n. 5 deli'8 febb, 1903. umano — poesia e musica — sotto l'ala ispiratrice della fan-tasia, non in forma di canto, bensi di declamazione. So bene, che la poesia 6 una signora si bella che per rubare i cuori non ha mestieri di entrar nelle šale in palanchino cinese. Ma nel melologo la musica non va considerata quasi una facente funzione di dama di compagnia o di modista o fioraia, che con rartifizio tenti di rendere piu appariscente la bella signora ch'6 la poesia. No. Essa non si presta a sussidio artiflciale di effetto, bensl dee considerarsi siccome una sorella, che in uno slancio di amore umano sposa alla vaghezza della sorella poesia la propria grazia. Ma il melologo ancora corrisponde ad un bisogno psico-logico del momento attuale. C' š sempre diffatti nello spirito umano una voce che dice: Ecccelsior! Ed oggi piu che mai questa voce spinge 1' uomo moderno alla ricerca affannosa di sempre nuove sensazioni. Ora il melologo 6 per certo una squisita sensazione nuova. Piu volte 1' artista smarrisce la via e incappa nella caricatura. Ma con il melologo non h il caso. II connubio delle due declamazioni — dei versi e delle note — 6 cosi naturale, che la sensazione risultante appaga pienamente 1' anima nostra. Come produzione letteraria pero il melologo ha una tes-situra sua speciale. Esso non solo avviva il suo quadro, ma de ve pur abbellire largamente la cornice, si da riuscire un lavoro, diro cosi, di decorazione. E cio avviene di necessM, perchfe il musico possa svolgere i suoi temi ed i suoi motivi in un numero sufflciente di battute. Cosi la poesia, che letta parrebbe prolissa, recitata in melologo non e piu tale. Eppero ha del minuzioso questa poesia, deli' omericamente minuzioso. Conchiudo. Per me il melologo e un genere di letteratura soavissimo. Esso mi rammenta le tende degli eroi d'Omero, entro cui quei divini guerrieri molcevan le cure della tenzone con la recitazione dei canti rapsodici al tinnir delle lire e dei liuti. Mi rammenta i leziosi minuetti veneziani recitati a due dalle dame e damerini incipriati, al suono del clavicembalo, anche nelle sale dei palazzi istriani. Mi ricorda le serate patriarcali delle famiglie serbe, quando accompagnato dal monotono suon delle balalaike, il vecchio padre recita con una specie di nenia cadenzata le canzoni na-zionali degli eroi. E tremano i cuori delle fanciulle, e ardono le pupille dei garzoni, mentre dalla tremula voce del patriarca si evoca la sposa di Cossovo, che per il campo insanguinato della battaglia rivolta i cadaveri in cerca del suo fidanzato e laggiu, dove piu alto 6 il cumulo dei morti, lo rinviene; e strazia le carni ai vivi il suo lamento.... Mi ricorda le segrete stanze deli'Harem, fantasticamente illuminate, dove sui tappeti d'Egitto e di Persia, 1'odalisca ventenne, accompagnando la voce aH'arpeggio d'un'arpa, re-cita con una specie di cadenza musicale 1' erotiche canzoni Qasidah di Omar Ibn Faridh o i canti di Tarafah, ai principi della tribu, assisi sulle gambe incrociate intorno al nargliileh, donge aspirano il delizioso tabacco profumato, mentre dalle coppe ricolme odora la rubiconda sicera.... E sono vaghezze delle mille e una notte.... sono rimmi sfumanti nell'alenar dei cuori, frementi come il canto, estasiati come i versi.... S. Domenica di Visinada. Francesco Babudri. L' ARCHIVIO ANTICO DEL MUNICIPIO DI CAPODISTRIA (Continuazione; vedi A. I, N. 6-12 e A. II, N. 1-12) N. 594. Carte 52, sei delle quali molto sciupate e in parte la-cere appartenenti ad un libro del 1540 del Podestš, e Capitano Filippo Dona. N. 595. Grosso libro senza cartoni, mancante del principio. Podesta Capitano Girolamo Ferro. Praeceptormn liber : di carte 76. Dal 9 gennaio al 22 maggio 1551. Terminornm primus : di carte 14. Dal 10 gennaio al 28 aprile 1550. Secundus: di carte 14. Dal 2 maggio al 25 agosto 1550. Tertius: di carte 22. Dal 1 settembre al 29 dieembre 1550. Quartus: di carte 22. Dal 12 gennaio al 20 maggio 1551. Extraordinariornm primus: di carte 25. Dal 3 gennaio al 31 aprile 1550. Podesta, e Capitano Hieronimo Ciconia. Secundus : di carte 29. Dal 1 maggio al 1 settembre 1550. Tertius : di carte 25. Dal 1 settembre al 30 dieembre 1550. Quartus: di carte 65. Dal 1 gennaio al 23 maggio 1551. Damnornm datornm primus: di carte 2. Dal 2 gennaio al 1 maggio 1550. Secundus : di carte 6. Dal 3 maggio al 30 agosto 1550. Tertius ; di carte 10, Dal 6 settembre al 16 dieembre 1550, Quartus; di carte 6. Dali' 11 gennaio al 24 maggio 1551. Proeessi diversi di carte scritte complessive 538. L' amanuense Iae. Petronio scrive nella prima pagina dei proeessi: Rector adest nostre (sic) meri vir nominis urbis Virtute Uluatm cello (sic) demissus ab alto. CJuindi Iustitia ferro armata terribilUs (sic). Armadio e N. 596. Libro legato fra tavole coll' arma del Capitano e Podesta, Vitus Maurocenus sbiadita dal tempo. Mancano le, prime 77 carte. Praeceptornm secundus : di carte 82. Dali' ottobre 1559 al 29 aprile 1560. Primus : di carte 80. Dal 5 settembre al 30 dicembre 1559. Teminoriun tertius : di carte 30. Dal 4 maggio al 4 ottobre 1560. Secundus: di carte 23. Dal 10 gennaio al 29 maržo 1560. Primus : di carte 13. Dali' 11 settembre al 28 dicembre 1559. Extraordinariomm tertius : di carte 74. Dal I maggio al 4 ottobre 1560. Secundus : di carte 60. Dal 1 gennaio al 30 aprile 1560. Primus : di carte 34. Dal 2 al 30 dicembre 1559. Dainnorum datornin tertius: di carte 10. Dal 1 maggio al 29 settembre 1560. Secundus : di carte 8. Dali' 8 gennaio al 30 agosto 1560. Primus : di carte 16. Dal 3 settembre al 31 dicembre 1559. Proeessi 39 di carte scritte complessive 493. Testamentornm liber: di carte 46. Volumen dirersariim scriptnrarum: di carte 74. In fine 4 carte sciolte della medesima epoca. N. 597. Libro legato pero senza cartoni, sotto il Podesti e Capitano Hieronimus Venerius. II libro e mancante del principio ed e parecchio rovinato nelle prime carte e nelle ultime. Terminornin secundus : di carte 6. Dal 5 febbraio al 4 aprile 1565. Tertius: di carte 13. Dal 9 aprile al 28 settembre 1565. Quartus: di carte 11. Dal 3 ottobre al 1 dicembre 1565. Quintus : di carte 5. Dali' 11 gennaio al 15 dicembre 1566. Extraordinariornm primus: di carte 31. Dal 18 ottobre al 29 dicembre 1564. Nella prima pagina 1' amanuense scrive,: Tu nec didce meurn tu himen amabile aotu.s Cuncta rapis fugiens ac redditus omnia reddis. Secundus: di carte 38. Dal 2 gennaio al 1 maggio 1565. E 1' a-manuense in prima pagina: Non bene libertas pro toto venditur auro. Tertius: di carte 46. Dal 1 maggio al 14 luglio 1565. Distico del-l'amanuense in prima pagina : Venerius praetor meri vir nominis iste Iustitia fulget ac libertate nitet. Quartus : di carte, 37. Dal 15 luglio al 31 settembre 1565. Quintus: di carte 36. Dal 1 ottobre 1565 ali' 11 gennaio 1566. Sextus : di carte 22. Dali' 11 gennaio al 30 maržo 1566. Damnorum datorinn primus : di carte 5. Dal 18 ottobre al 22 dicembre 1564. Secundus : di carte 10. Dal 6 gennaio al 31 aprile 1565. Tertius: di carte 10. Dal 3 maggio al 16 settembre 1565. Quartns : di carte 14. Dal 14 novembre al 30 dicembre 1565. Quintus : di carte 8. Dal 5 gennaio al 26 aprile 1566. Testameiitorum liber : di carte 51. Dal 6 novembre al 30 dicembre 1564. Frocessi 29 di carte scritte complessLve 474. Volumen diversarum scripturarum di carte 84. Molte carte sono rovinate e quasi del tutto cancellate nella meta inferiore. N. 598. Libro senza cartoni, molto rovinato e corroso nel mezzo della parte superiore. 1569. Podesta Sebastiano Marcello. Processi di carte scritte complessive 732. II resto del libro ž can-cellato in modo che nulla vi si puo leggere. (Coniinua) Prof. F. Msyer. -^-t—;- BIBLIOGRAFIA „11 palazzo ducale d' Urbino". — Con questo titolo 1' egregio ing. Comelio Budinich, innamorato e studioso della nobile sua arte, publicava, nell'anno 1904 a Trieste nello Stabilimento tipo-litografico di Emilio Sambo, un suo studio storico artistico, illustrato da nuovi doeumenti. L' opera, stanipata con lusso, consta di 3 capitoli: I. II palazzo ducale «Non aedi-fltio umano, anzi divino»; II. Gli architetti del palazzo; III. Lo stile Ur-binate; ha 160 pagine di testo e 58 illustrazioni, parecchie delle quali sono veri fiori d' arte. Nel I. capitolo 1' A. fa una deserizione di questo palazzo gih sede d' una delle piu splcndide corti del rinascimento, in cui piu volte numerosi convennero uomini sommi nelle arti, nella politica, nelle armi, che venne eretto da un principe, a cui a ragione si puo dare 1' epiteto di grande e la cui memoria sara circondata dali' aureola della gloria fino a quando durera la civilta moderna, che tutta proviene, in cio ch' essa ha di piu vitale, dalla civilta del rinascimento italiano. II capitolo II. e dedicato agli architetti del palazzo, primo fra tutti Luciano Dellaurana, quell'artiere d i Dalmazia che asil ili Muse il bel monte d' Urbino fece (O. D'Annunzio. Le citta del gilenzio), che venne trascurato dagli studiosi de' secoli seorsi ma che al preselite viene 1'atto oggetto delle piu diligenti ricerche. Fortunatainente all'A., nel confrontare con gli originali i poehi doeumenti che si conoscevano del Dellaurana, riescl di trovarne di nuovi risolvendo parecchie delle questioni che lo riguardano. Luciano Dellaurana, serive 1'egregio ingegnere nel suo gioiello di lavoro che si legge e studia tanto volentieri, «rappresenta nel palazzo ducale di Urbino, quell' indirizzo artistico piu severo e piu classico che nel quattrocento si palesa solo nelle opere de' sommi». II secondo artista che rappresenta 1'altro indirizzo caratterizzante l'arte del quattrocento, quello cioe che tende ali' ešuberante ricchezza decorativa "Li mirahil fugliami: oiule gli aguaglia Gli antichi (Giavanni Santi. Cronaca rimata. Cap. XCri). b Ambrogio Barocci da Milano valente artista che non si arresta alla pura ornamentazione, ma invade anche il campo deli'architettura. L'A. dopo aver parlato di quei due sommi «che nel palazzo ducale urbinate rappresentano, portate al massimo grado d'eccellenza, le due cor-renti artisticher. che nel loro alternarsi ed intrecciarsi, ci danno una si giu-sta immagine deli'irrecjujeta arte del quattrocento», discorre ancora di qual-che altro architetto come Francesco di Giorgio Martini da Siena, Baccio Pontelli florentino, Pippo d'Antonio fiorentino, Bartolomeo Corradiui, detto Fra Carnovale, Paolo Scirri da Casteldurante, i cui nomi vengono ricordati con onore quando si parla del palazzo urbinate. II capitolo III, tratta dello stile, urbinate o Lauranesco, cosi chia-mato dal Gevmiiller «11011 conoscendo io (egli dice) ne maestro piu illustre di Luciano, ne edifizi / anteriori piu m'a£nifici dei palazzi d'Urbino e di Gubbio ove queste forme, per quanto sappia, veimero per la prima volta liiesse in opera.»' y.A. ednina tutti quegli edifici, ne' quali e poievidente 1'inliuenza delle forine.del palazzo-ducale, dimostraudo, quanto giustifioato sia il titolo messo mrjtesta al capitolo. .>: i— II Ifivoro del• ,sig\ ing-.. Budinich. come- studio d'arte e condotto con mipahile chiarezza; .il,.pensiero informatore di rilevare l'importanza straor-dinaria che il palazzo ducale urbinate. ha nella stornv degli stili architet-tonici e raggiunto a pieno; eosi e raggiunto pure lo scopo di illuminane con nuove fonti, la vita di quegli illustri che crearono monumenti »dralle cui forme trassero■ efflcaee ammaestramento Bramante e Raffaelo«. L'arte diviua urbinate, fonte inesauribile di bellezza, ha trovato nel distinto nostro ingegnere un degno e zelante illustratore. N.. C. NOTIZIE E PUBBLICAZIONi. « Montlana. II collega dott. Giorgio Pitacco mi manda da Gorizia un numero del Corriere friulano (2 febbr. 1905), ov' egli fa una recensione del mio opuscolo «Nova Montiana«. La rilevo per duc motivi: anzi tutto, perche egli vi coglie 1' occasione di riprodurre da un manoscritto, pro-prieta del sig. Giuseppe Morpurgo di Gorizia, una lettera presumibilmente inedita (m'e tolto per ora di controllare) del Monti a Francesco Leopoldo Bertoldi, datata da Fusignano, diretta a Ferrara e appartenente, pare, agli anni universitari del poeta; quindi, per correggere tre sviste nelle quali e incorso il mio recensore: prima, Clemeutino Vannetti non e mai stato abate; seconda, Antonio Rosmini e nato due anni dopo la morte del Vannetti (1795) ed e impossibile dunque eh'egli abbia avuto carteggio con quest' ultimo; terza, la lettera del Vannetti intorno al Klopstock non e indirizzata al Bertola, si al BettinelU. Quanto poi il Pitacco dice della scarsa importanza delle cose mon-tiane da me esumate, del traboccar delle mie note, del carattere del poeta e in generale del settecento e questione di gusti, di consuetudini, di studi, di c.ognizioni e pero non lo discuto. Altri hanno gindicato e, mentre io scrivo, vanno giudicando altrimenti e cio mi contenta. Al collega Pitacco devo rendere tuttavia sempre grazie d' ogni cor-tese espressione a mio riguardo e delle sue ottime intenzioni in ispecie: il che faccio qui assai di buon grado, convinto come sono, ch' egli sia uomo troppo di spirito per aversi a male di queste mie franche postille. Ferd. Pasi ni. Per una recensione. Negli Atti deli'i. r. Accademia di Scienze Lettera ed Arti degli Agiati di Bovereto, vol. X, fasc. III-IV (1904), pag. XCVI leggo che durante 1' adunanza deli' onorandissimo Consiglio ac.ea-demico degli 11 luglio. 1904 s'e discusso anche della mia povera persona. 'Eventuali proposte' — vi si dice: — 'A Ferdinando Pasini per 1'aspra critica fatta (nelle Pagine Istriane I 273-81, II 16-22, 75-88) al Volume commemoraUro non si risponderž,'. Io non ne ho mai dubitato! Ma poiche i miei Agiati si mostrano cosi mansueti e remissivi (stavo per dir lassativi), io non voglio esser piu feroflfc di loro e faccio un candido atto di confessione. Quel 'senatore Negri' per gli eventuali fitnerali del quale io raccontavo (II 18) che gli Agiati prendevano disposizioni g'i a nel 1894, mentr'egli mori poi appena nel 1902, non era da identificare, come avevo fatto io. con Gaetano, sibbene, — m'avverte un amico che in affari accademici ha il naso piu lungo del mio, — con Cristoforo Negri. E sta bene. Ma a p. 137 delle Memorie accademiche era detto sem-plicemente: senatore Negri. Ora, fra gli Agiati di senatori Negri ce n'erano due. Poiche i compilatori delle Memorie erano stati tanto poco scrupolosi da non distinguere a p. 137 1' uuo dall'altro. potevano farlo almeno neH'iw-dice de' soei, segnando la pag. 137 sotto il liome di Cristoforo Negri. In-vece non lo segnarono ne sotto Cristoforo ne sotto Gaetano. Per questo io credetti giusto attribuirla al piu fainoso.... Ma il bello si e che anche Cristoforo Negri mori appena nel 1896, cioe due anni dopo che i soci Agiati avevano preso disposizioni per i suoi eventuali funerali.... Resta dunque 1' impareggiabile indelicatezza da me rilevata, con questo di piu che la coscienza de' compilatori s' aggrava d' una nuova colpa! Poscritto. Ricevo, mentre correggo le bozze, 1' 'Archivio Trentino' (XIX, fasc. 2) e a p. 260 trovo un G. S. che, nel render conto della mia recensione succitata, — 'pur non approvando il fare troppo mordace e vio-lento, che il Pasini usa solitamente nella sua critica, e senza notare [vedete mirabile esempio della figura retorica, anzi gesuitica, della 'preteri-zione'!] il gravissimo abbaglio da lui preso nello scambiare il senatore Gaetano Negri con Cristoforo, l'illustre fondatore della Socjeti geografica italiana, morto realmente nel 1894', — dichiara di riconoscergli 'ampia e soda cognizione di causa' e di 'non potere, in sostanza, non dargli ragione'. Ora, se io a mia volta dichiaro che codesto signor g. s. con la sna evangelica ripugnanzn a notare quell'unico mio 'gravissimo abbaglio' si mostra vergognosamente imboccato da altri, egli non vorrft,, spero, accu-sarmi d' un 'fare troppo mordace e violento': non e che la nuda e schietta veritft, dacche 116 io senza il cenno dell'amico, lie chiunque altro, che non fosse Agiato o da un Agiato non fosse direttamente o indirettamente av-vertito, l'avrebbe mai potuto scoprire. Che poi Cristoforo Negri sia 'niorto realmente nel 1894', non so: so invece che a p. 798 delle 'Memorie' lo si d h per morto nel 1896 (')!! Man-dino quindi gli Agiati un viglietto di ringraziamento al loro paladino g. s. per avermi provato spontaneamente che 1'unica volta ch'io ho tralasciato di controllare le notizie del loro indigesto zibaldone, ho fatto male a fl-darmi..., se pure il signor g. s. non ha preso lui 'il gravissimo abbaglio' o se, piuttosto, egli non 6 reo di malafede.... Infine, poichž il signor g. s. si dft. l'aria di conoscere flno a una linea quant'6 uscito in mio vivente dalla mia penna, g'li diro che, s'egli asserisce ch' io nella mia critica 'usi solitamente' un 'fare troppo mordace e violento', dice, e dice da ostrog-oto, una grossolana fandonia, per non chia-marla menzogna. Quel 'fare' — se mai — io non 1' 'uso solitamente' ne l'ho mai usato se non trattando chi non merita d'essere altrimenti trattato: e che stavolta, cioe nel criticare le 'Memorie' degli Agiati, quel 'fare' sia stato a suo pošto, me ne eonvince il giudizio concorde di tutti coloro (compreso il signor g. s.) che s'oceuparono della mia recensione e 'non poterono, in sostanza, non darmi ragione'. E anche questa non h che la nuda e schietta veri ta. F. P. * I due chiari scrittori Dott. D. Ricciotti Bratti del Museo Correr e Dott. Arnaldo Segarizzi della Biblioteca Marciana di Venezia ci assicu-rarono la loro collaborazione. Colla piu viva compiacenza comunichiamo questa lieta notizia ai cortesi nostri lettori, non gia per vana sodisfazione personale, ma in quanto ridonda ad onore della nostra cara Provincia, che noi vorremmo sempre piu conosciuta ed amata. * Nell' opera recentemente edita presso il Car. leo S. Olschki di Firenze : Leccicon Typoyraphic.um Italiae. Dictionnaire geographique d'Italie pour servir a l' histoire de l' imprimerie dam ce pat/a — par (i. Fumagalli, si parla anche della nostra Capodistria e della dimora, che vi fece Panfilo Castaldi. (Vedasi in proposito il periodico La Provincia deli' Istria, A. XVIII, 1884, pg. 141-143 e A. XXV, 1891, pg. 142-143). — II lessico in parola e una publicazione bibliografica di grande valore e non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca. Ne diede un giudizio molto favorevole Alfredo Melani in un suo articolo comparso nella Gazzetta di Venezia del 17 dicembre 1904 col titolo «Ven^zia e la s tam pa» e riprodotto in La Bi-bliofilia, Firenze, A. VI, 1904-1905, disp. 9-10. (1) Cristotoro Negri e morto proprio ai 18 febbraio 1896, cfr. Met/ers Konversations-Leii-kon. Leipzig und Wien, 18975, XII 827. (N. d.. S.) Pomemco Ventori.ni, direttore — Carlo Priora, editore e redattore responsabile, Tipografia Cobol & Priora, Capodistria,