IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI Irena Prosenc La narrazione della memoria nell'opera di Primo Levi Parole chiave: letteratura italiana, Primo Levi, autobiografia, memoria, campo di sterminio DOI: 10.4312/ars.12.2.203-217 Introduzione «Potrei raccontare innumerevoli storie diverse, e sarebbero tutte vere», scrive Primo Levi in conclusione ad un testo che narra il viaggio di un atomo di carbonio; in verita, il numero complessivo degli atomi e cosí alto che «se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi storia inventata a capriccio» (Levi, 1994, 237). Se Carbonio e un racconto di invenzione, e altrettanto vero che si tratta di una storia verosimile sia per il legame che essa stabilisce con la realta extratestuale sia per la sua esemplarita: si racconta di un solo atomo ma la sua storia rappresenta una moltitudine di storie. Questi aspetti relativi alla funzione referenziale del testo e al rapporto fra la narrazione al singolare e la narrazione al plurale costituiscono un ponte verso un altro settore della produzione letteraria leviana, quello che raggruppa testi di impronta autobiografica. Sebbene l'autore torinese praticasse svariati generi letterari, l'autobiografia rappresenta una parte considerevole del suo opus. Inoltre, fu la spinta autobiografica che lo avvio all'attivita di scrittore. Levi, noto come instancabile commentatore della propria opera, identifica il momento decisivo per la sua scrittura nella sua detenzione ad Auschwitz, dove trascorse un «lunghissimo anno» (Levi, 1989b, 159), e che considera l'esperienza centrale della sua vita: se non avessi vissuto la stagione di Auschwitz, probabilmente non avrei mai scritto nulla. Non avrei avuto motivo, incentivo, per scrivere: [...] avevo [...] scelto un mestiere, quello del chimico, che non aveva niente in comune col mondo della parola scritta. E stata l'esperienza del Lager a costringermi a scrivere (Levi, 1989a, 349). Lopus autobiografico leviano e stato definito la «piu importante esperienza memorialistica» del secondo Novecento (Barenghi, 2000, 144). La prigionia, descritta ARS & HUMANITAS / STUDIJE / STUDIES da Levi come «estremamente dolorosa ma preziosa» (Levi, Amsallem, 1997, 57), ebbe per risultato la stesura della sua prima opera, Se questo è un uomo (1947). Nondimeno, l'autore stesso riconosce la persistenza di tracce autobiografiche anche nei suoi testi non specificamente autobiografici: in un'intervista concessa a Philip Roth nel 1986, riferendosi a quello che è considerato il suo unico romanzo vero e proprio, Se non ora, quando? (1982), egli ammette di averlo scritto «dopo tanta autobiografia aperta o mascherata» (Levi, Roth, 1994, 248). La memoria come elemento centrale della narrazione autobiografica Il legame fondamentale tra la memoria e la narrazione che sottende alla poetica leviana emerge da varie osservazioni fatte dallo scrittore. Vi appaiono due coppie di termini: da una parte, ricordare e parlare, dall'altra, dimenticare e tacere. Ognuno dei binomi presuppone, al suo interno, un'interazione e un'influenza reciproca fra i due concetti, tutt'altro che statici. Fra i possibili comportamenti dei reduci dai campi di sterminio di fronte al «triste potere evocativo di quei luoghi» (Levi, 1989a, 338), lo scrittore riconosce due categorie principali: coloro che vogliono dimenticare la propria esperienza e rifiutano di parlarne, e quelli che ricordano e raccontano. Levi stesso si chiede se sia bene che di «questa eccezionale condizione umana rimanga una qualche memoria», al che risponde affermativamente (Levi, 1989a, 79) e dichiara la propria appartenenza al gruppo dei reduci per cui «ricordare è un dovere» (Levi, 1989a, 338). Per quanto riguarda sia il ricordo che la sua narrazione, si tratta di un atteggiamento basato sulla volontà: infatti, i reduci «non vogliono dimenticare, e soprattutto non vogliono che il mondo dimentichi» (Levi, 1989a, 338). Da questi presupposti emerge una nozione della memoria come processo attivo che si realizza nella preservazione e narrazione dei ricordi. Va notato, pero, che a livello delle scelte stilistiche la decisione di raccontare i propri ricordi non esclude la presenza di reticenze che, in Se questo è un uomo, sono «un'efficiente strategia narrativa per narrare l'indicibile e creare pathos tramite lo sforzo interpretativo richiesto al lettore»1 (Prosenc, 2014, 42). Esse sono spesso esplicitate, ad esempio: «Molte cose furono allora fra noi dette e fatte; ma di queste è bene che non resti memoria» (Levi, 1989a, 14). Il ricordo scomparirà se non verrà narrato, ma la figura retorica della reticenza invita il lettore a completare, almeno con una sua reazione emotiva, lo spazio lasciato volutamente vuoto. Philippe Lejeune definisce l'autobiografia un «[r]acconto retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l'accento sulla sua vita 1 Corsivo nel testo. 204 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI individúale, in particolare sulla storia della sua personalità»2 (Lejeune, 1986, 12). Come narrazione retrospettiva, l'autobiografia è imperniata sulla memoria. In quanto testo referenziale, essa pretende, inoltre, di «aggiungere un'informazione ad una 'realtà' esterna al testo, dunque sottomettendosi a una prova di verifica»; il suo scopo non è la «semplice verosimiglianza bensi la somiglianza al vero. Non 'l'effetto del reale', ma la sua immagine». Come tale, l'autobiografia comporta un «patto referenziale» che include una «definizione dell'ambito reale al quale si è mirato e un enunciato circa le modalità e il grado di somiglianza ai quali il testo tende» (Lejeune, 1986, 38). Secondo Lejeune, il patto referenziale puo includere una «prova supplementare di onestà» (Lejeune, 1986, 39) che comporta una circoscrizione esplicita di quel che l'autobiografo si propone di raccontare: c'est une preuve supplémentaire d'honnêteté que de la restreindre au possible (la vérité telle quelle m'apparaît, dans la mesure où je puis la connaître, etc., faisant la part des inévitables oublis, erreurs, déformations involontaires, etc.), et que de signaler explicitement le champ auquel ce serment s'applique (la vérité sur tel aspect de ma vie, ne m'engageant en rien sur tel autre aspect) (Lejeune, 1975, 36).3 Si tratta, dunque, di esplicitare i limiti della propria conoscenza della realtà e, innanzitutto, quelli della propria memoria, soggetta ad alterazioni. Per quanto riguarda Se questo è un uomo, Levi circoscrive l'oggetto della sua narrazione in modo simile: descrive il suo testo come «storicamente insufficiente» (Poli, Calcagno, 2007, 196) e delinea il limite di cio che gli è possibile narrare, escludendone tutti gli avvenimenti ai quali non ha partecipato di persona: ho da portare una testimonianza, quella delle cose che ho subite e viste. I miei libri non sono libri di storia: nello scriverli mi sono rigorosamente limitato a riportare i fatti di cui avevano [sic] esperienza diretta, escludendo quelli che ho appreso piú tardi da libri o giornali. Ad esempio, noterete che non ho citato le cifre del massacro di Auschwitz, e neppure ho descritto i dettagli delle camere a gas e dei crematori: infatti non conoscevo questi dati quando ero in Lager, e li ho appresi soltanto dopo, quando tutto il mondo li ha appresi (Levi, 1989a, 338-339). Per questo motivo, è stato osservato che Se questo è un uomo «fornisce poco materiale allo storico del Lager» (Mattioda, 2011, 46). Il progetto memorialistico è 2 Corsivo nel testo: l'osservazione vale per tutte le citazioni dell'opera di Lejeune (1975, 1986) in cui appare il corsivo. 3 Per questo aspetto importante della teoria lejeuniana si è preferito ricorrere al testo originale, visto che la traduzione italiana non riproduce fedelmente l'accezione dell'espressione «restreindre au possible»: nel testo tradotto appare, infatti, la frase «ridurre al massimo» (Lejeune, 1986, 39) che non sembra pertinente al contesto. 205 ARS & HUMANITAS / STUDIJE / STUDIES diverso per La tregua (1963) dove Levi narra il proprio ritorno a casa sulla base di una selezione di ricordi, prediligendo episodi eccezionali, picareschi e comici. Nella sua terza grande opera di tematica concentrazionaria, il saggio Isommersi e i salvati (1986), i ricordi personali sono integrati con dati forniti dall'imponente letteratura sui campi di concentramento che si è andata formando nei decenni precedenti (Levi, 1991, 23). Pur seguendo concetti diversi, i testi autobiografici leviani sono, pero, accomunati da un processo di «costruzione di senso che muove dal vissuto e si sviluppa [...] attraverso il lavoro della memoria» (Barenghi, 2013, 17). Le funzioni della memoria nella narrazione autobiografica di Levi L'autore torinese traccia numerosi paralleli tra il suo mestiere di chimico e la sua attività letteraria e descrive la scrittura come «uno strumento [...] fatto per pesare, per dividere, per verificare» (Levi, 2002, 147). In questo contesto, considera la memoria la materia prima per la scrittura, da trattare non diversamente da materie chimiche: scrivere è un 'produrre', anzi un trasformare: chi scrive trasforma le proprie esperienze in una forma tale da essere accessibile e gradita al 'cliente' che leggerà. Le esperienze (nel senso vasto: le esperienze di vita) sono dunque una materia prima [...]. Ora, le cose che ho viste, sperimentate e fatte nella mia precedente incarnazione sono oggi, per me scrittore, una fonte preziosa di materie prime (Levi, 1998, 12-13). I ricordi sono, dunque, sottoposti a un'elaborazione in vista della loro trasmissione al lettore. Nella teoria di Lejeune, il «contratto di lettura» è un elemento fondamentale che permette la definizione dell'autobiografia in quanto «genere contrattuale»: si tratta di un «contratto implicito o esplicito proposto dall'autore al lettore, contratto che determina il modo di lettura del testo». Pertanto, l'autobiografia si definisce come «un modo di lettura e insieme un tipo di scrittura» (Lejeune, 1986, 47-49). Levi sente l'urgenza di raccontare quanto ha vissuto ad Auschwitz e scrive la sua prima opera per liberarsi interiormente dal ricordo del trauma che è, esso stesso, traumatico (Levi, 1991, 14). Nei suoi compagni di prigionia osserva lo stesso bisogno di trasmettere le proprie esperienze, «di fare gli 'altri' partecipi» (Levi, 1989a, 9). Fra i bisogni elementari egli annovera «tornare; mangiare; raccontare» in un verso della poesia Alzarsi (Levi, 1984, 16), scritta subito dopo il suo ritorno da Auschwitz in un momento in cui, spiega, «ero ancora sotto trauma e sognavo di notte (e qualche volta anche di giorno) di ritornare in campo» (Poli, Calcagno, 2007, 205). In quel periodo scriveva «disordinatamente pagine su pagine dei ricordi che mi avvelenavano» (Levi, 1994, 156), «trapped into an endless pattern of narrative re-enactment» (Woolf, 2007, 206 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI 39), símilmente a quanto succede per il Vecchio Marinaio di Coleridge, costretto a raccontare senza sosta. Per Levi, il ricordo si crea sulla base dellosservazione di quanto succede nel campo di concentramento. L'autore dice di aver trascorso il periodo della prigionia in uno stato d'animo particolarmente vivace che gli permise di osservare attentamente il suo ambiente: Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionale, o da una mia insospettata vitalita, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosita che ad alcuni e parsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo (Levi, Roth, 1994, 244). Con un atteggiamento pressoché scientifico, l'autore si adoperava per imprimere nella sua memoria i fenomeni osservati, creare dei ricordi e, se fosse sopravvissuto, trasmettere lesperienza che stava vivendo. Mentre lavorava in un laboratorio, negli ultimi mesi della prigionia, aveva a disposizione un quaderno sul quale faceva degli appunti che subito distruggeva perché era troppo pericoloso scrivere. L'autore spiega: «sapevo che non avrei potuto conservarli. Non era materialmente possibile. [...] Non avevamo niente, [...] non cera modo di conservare nulla. Se non nella memoria» (Levi, Bravo, Cereja, 2011, 19). Di fronte alla disumanizzazione, la memoria puo essere portatrice della cultura e ricordarsi puo significare rivendicare la propria identita. In uno dei capitoli piu noti di Se questo é un uomo, Il canto di Ulisse, il protagonista recita versi dell'Inferno dantesco a un compagno con cui si sta recando nelle cucine a prendere la zuppa4. Nei ricordi letterari del giovane Primo ci sono delle lacune irreparabili e vengono a galla frammenti non utilizzabili, per cui egli si dichiara disposto a rinunciare alla zuppa pur di poter ricordare i versi mancanti (Levi, 1989a, 102). Ne Isommersi e i salvati, l'autore commenta cosí il modo in cui e narrato lepisodio: Avrei dato veramente pane e zuppa, cioe sangue, per salvare dal nulla quei ricordi, che oggi, col supporto sicuro della carta stampata, posso rinfrescare quando voglio e gratis, e che percio sembrano valere poco. Allora e la, valevano molto. Mi permettevano di ristabilire un legame col passato, salvandolo dall'oblio e fortificando la mia identita. Mi convincevano 4 Per un'analisi di alcuni legami intertestuali fra i testi leviani e la figura di Ulisse cfr. Prosenc, 2013. 207 ARS & HUMANITAS / STUDIJE / STUDIES che la mia mente, benché stretta dalle necessità quotidiane, non aveva cessato di funzionare. Mi promuovevano, ai miei occhi ed a quelli del mio interlocutore. Mi concedevano una vacanza effimera ma non ebete, anzi liberatoria e differenziale: un modo insomma di ritrovare me stesso (Levi, 1991, 112). La memoria di Auschwitz è traumatica: un esempio ne sono i ricordi delle marce che i prigionieri ascoltano mentre si recano al lavoro o quando ne tornano. Levi osserva che questa musica è «infernale»; le canzoni «giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente» (Levi, 1989a, 44-45). I suoi presentimenti si avverano, cosí rileva: «oggi ancora, quando la memoria ci restituisce qualcuna di quelle innocenti canzoni, il sangue ci si ferma nelle vene, e siamo consci che essere ritornati da Auschwitz non è stata piccola ventura» (Levi, 1989a, 45). Nel 1966, l'autore pubblica Storie naturali sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila, inteso a segnare un distacco dai testi di tematica concentrazionaria. Ciononostante, nel risvolto di copertina egli mette in rilievo la continuità fra i suoi testi autobiografici e quello che definisce «un volume di racconti-scherzo» (Levi, 1966). La raccolta si apre con il racconto I mnemagoghi (1946), il cui protagonista conserva i propri ricordi in forma di odori racchiusi in boccette che funzionano da «suscitatori di memorie», spiegandone cosi il motivo: «Io, per mia natura, non posso pensare che con orrore all'eventualità che anche uno solo dei miei ricordi abbia a cancellarsi» (Levi, 2005, 9). Conservare i ricordi in uno stato inalterato è possibile, pero, solo all'interno di un testo come I mnemagoghi che si muove su un limite volutamente ambiguo fra il verosimile e l'inverosimile.5 Nella narrazione autobiografica, invece, Levi identifica i rischi legati all'alterazione della memoria ai quali dedica il primo capitolo de I sommersi e i salvati. La sua riflessione si apre con un'osservazione sull'inaffidabilità della memoria: La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. [...] I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. [...] Questa scarsa affidabilità dei nostri ricordi sarà spiegata in modo soddisfacente solo quando sapremo in quale linguaggio, in quale alfabeto essi sono scritti, su quale materiale, con quale penna: a tutt'oggi, è questa una meta da cui siamo lontani (Levi, 1991, 13). 5 La produzione fantastica e fantascientifica di Primo Levi dal punto di vista della definizione dei generi letterari è analizzata in Prosenc, 2012; in: Prosenc, 2015. 208 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI Il procedímento adottato dal nostro autore contrasta con il topos dell'autenticità della narrazíone autobíografica che comporta, da parte del testimone e dellosservatore diretto, una rivendicazione di valore di prova per la propria dichiarazione (Barberis, 2007, 178). Levi rileva le alterazioni volontarie e involontarie della memoria che comportano un'elaborazione del passato tipica soprattutto dei colpevoli ma presente anche fra le vittime, i cui ricordi sono destinati a sbiadire. Secondo l'autore, il rischio maggiore incombe su chi si accinge a narrare i propri ricordi. Nessun racconto basato sulla memoria è una semplice ripetizione del passato, bensi costituisce una sua ricostruzione. La narrazione del ricordo sostituisce il ricordo autentico: «un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dallesperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese» (Levi, 1991, 14). Viene, cosi, problematizzata la «stessa struttura del racconto di memoria» (Belpoliti, 1998, 117). Una simile preoccupazione è espressa da Calvino nella Prefazione a II sentiero dei nidi di ragno (1964), dove egli si riferisce all'opera letteraria (nello specifico, al primo libro che un autore scrive sulla base delle proprie esperienze) come a un «diaframma» che si interpone fra l'autore e l'esperienza autentica; esso taglia i fili che ti legano ai fatti, brucia il tesoro di memoria - quello che sarebbe diventato un tesoro se avessi avuto la pazienza di custodirlo, se non avessi avuto tanta fretta di spenderlo, di scialacquarlo, d'imporre una gerarchia arbitraria tra le immagini che avevi immagazzinato, di separare le privilegiate, presunte depositarie d'una emozione poetica, dalle altre, quelle che sembravano riguardarti troppo o troppo poco per poterle rappresentare, insomma d'istituire di prepotenza un'altra memoria, una memoria trasfigurata al posto della memoria globale coi suoi confini sfumati, con la sua infinita possibilità di recuperi (Calvino, 2002, XXIV). Nell'Appendice a Se questo è un uomo, scritta nel 1976, Levi presenta il proprio testo come una «memoria artificiale, [...] una barriera difensiva» fra il suo «normalissimo presente e il feroce passato di Auschwitz» (Levi 1989a, 349). La nozione del racconto che sostituisce il ricordo autentico viene ribadita in numerose interviste, soprattutto a distanza di anni dalla guerra: nel 1983, l'autore dice di ricordare la sua prigionia «attraverso le cose che [ha] scritto» (Levi, Bravo, Cereja, 2011, 14); nel 1986, per parlare dei propri testi usa le espressioni «surrogato della memoria» e «diaframma» che sembra riprodurre il termine calviniano (Levi, Spadi, 1997, 257-258); nel 1984, puntualizza: Adesso, dopo tanti e tanti anni, riesce a me stesso difficile restituire lo stato d'animo del prigioniero di allora, del me stesso di allora. Soprattutto l'aver scritto questo libro funziona per me come una «memoria-protesi», una 209 ARS & HUMANITAS / STUDIJE / STUDIES memoria esterna che si interpone tra il mio vivere di oggi e quello di allora: io rivivo oramai quelle cose attraverso ció che ho scritto (Levi, Vigevani, 1997, 214). Ne Il ritorno di Cesare, pubblicato in Lilít e altri racconti (1981), Levi commenta, inoltre, che la storia del ritorno in Italia di un suo compagno di prigionia «puó essere imprecisa in qualche particolare, perché si fonda su due memorie (la sua e la mia), e sulle lunghe distanze la memoria umana è uno strumento erratico, specialmente se non è rafforzata da souvenirs materiali, e se invece è drogata dal desiderio (anche questo suo e mio) che la storia narrata sia bella» (Levi, 2005, 637-638). In Se questo è un uomo, l'autore ribadisce l'autenticità della sua narrazione: «Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti raccontati è inventato»6 (Levi, 1989a, 10), ma esprime anche dei dubbi sulla veridicità di quanto narrato: «Oggi, questo vero oggi in cui sto seduto a un tavolo e scrivo, io stesso non sono convinto che queste cose sono realmente accadute» (Levi, 1989a, 93). Le esperienze estreme sono, infatti, «suscettibili di apparire, agli occhi stessi di chi scrive, irreali» (Barenghi, 2013, 5). I pericoli dovuti all'inaffidabilità della memoria e alle alterazioni che i ricordi subiscono a forza di essere rievocati minacciano anche la testimonianza di Levi che, come ogni racconto del passato, attinge ad una «fonte sospetta» (Levi, 1991, 23). Pertanto, la difesa della memoria dagli errori diventa un «leit-motiv de I sommersi e i salvati» (Mattioda, 1998, 44). Lo scrittore ribadisce la sua straordinaria capacità di richiamare alla mente i fatti legati alla sua esperienza del Lager, della quale conserva «memorie di una precisione patologica» (Levi, 1994, 217). Osserva che i suoi ricordi di quel periodo sono molto più vivaci e dettagliati rispetto a quelli del resto della sua vita, e si sofferma sulla «memoria meccanica» (Levi, 1991, 79) che, durante la prigionia, gli permise di memorizzare, senza capirle, parole o frasi in lingue che non conosceva. Ferdinando Camon, che condusse varie interviste con Levi, tra cui le ultime poco prima della scomparsa dello scrittore, lo descrive come una mente «molto ordinata, con ricordi dettagliati, minuti» (Levi, Camon, 1997, 9). Levi si dimostra scrupoloso nei confronti dei propri ricordi e sostiene di averli «vagliati tutti con diligenza: il tempo li ha un po' scoloriti, ma sono in buona consonanza con lo sfondo» (Levi, 1991, 23). Lo scrittore commenta anche il riemergere di ricordi decenni dopo la guerra. Ne Lultimo Natale di guerra, scritto nel 1984 e pubblicato postumo nell'omonimo volume di racconti sparsi, egli rievoca un episodio della sua prigionia, a proposito del quale osserva: «stranamente, col passare degli anni quei ricordi non impallidiscono né si diradano, anzi, si arricchiscono di particolari che credevo dimenticati, e che talvolta acquistano senso alla luce di ricordi altrui, di lettere che ricevo o di libri che leggo» 6 Corsivo nel testo. 210 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI (Levi, 2005, 828). Quaranta anni dopo il Lager, si dichiara profondamente soddisfatto della propria testimonianza e, dopo averne esplorato i rischi, riafferma la sua veridicita: «Sono in pace con me perché ho testimoniato, perché ho avuto occhi e orecchie bene aperti tanto da poter raccontare in modo veridico, preciso quello che ho visto» (Levi, Vigevani, 1997, 219). Per lui, preservare la memoria dei campi di sterminio significa opporsi alla «guerra contro la memoria» condotta dal Terzo Reich (Levi, 1991, 20). Levi analizza l'annientamento delle vittime operato attraverso la disumanizzazione e la distruzione della loro identita che iniziano sin dal loro ingresso nel Lager (Prosenc, 2006). In questo senso, il Lager rappresenta una «cesura del tempo» che, in seguito, diventera una «cesura della memoria» (Mattioda, 1998, 37). Tra i suoi effetti ce la sparizione dei ricordi durante la prigionia; si tratta di «dare un colpo di spugna al passato e al futuro» (Levi, 1989a, 31). L'autore puntualizza: uno dei fenomeni piú regolari, piú costanti del Lager e quello di perdere la nozione del passato e del futuro. Il passato sparisce e il futuro anche, ci si occupa del presente e si hanno i problemi di ogni ora e di ogni minuto, di proteggersi dal freddo e dalle botte, difendersi dalla fame, sopportare la fatica. Quello che capitera domani impallidisce e quello che e successo ieri si dimentica subito; si vive nel presente (Poli, Calcagno, 2007, 185). La rimozione dei ricordi e dovuta alle misere condizioni di vita nel Lager, fra le quali primeggia la fame: un bisogno, una mancanza, uno yearning, che ci accompagnava ormai da un anno, aveva messo in noi radici profonde e permanenti, abitava in tutte le nostre cellule e condizionava il nostro comportamento. Mangiare, procurarci da mangiare, era lo stimolo numero uno, dietro a cui, a molta distanza, seguivano tutti gli altri problemi di sopravvivenza, ed ancora piu lontani i ricordi della casa e la stessa paura della morte (Levi, 1994, 143-144). Per Levi prigioniero, i ricordi della vita precedente paiono incompatibili con la «cesura» di Auschwitz: «Devo fare uno sforzo violento per suscitare queste sequenze di ricordi cosí profondamente lontane: e come se cercassi di ricordare gli avvenimenti di una incarnazione anteriore» (Levi, 1989a, 96). Ne II sistema periódica (1975), Levi descrive la sua prigionia come «una stagione diversa» (Levi, 1994, 143) e spiega: «A distanza di trent'anni, mi riesce difficile ricostruire quale sorta di esemplare umano corrispondesse, nel novembre 1944, al mio nome, o meglio al mio numero 174517» (Levi, 1994, 143). Lespressione «incarnazione precedente» (Levi, 1994, 217), gia apparsa in Se questo é un uomo, si riferisce qui al periodo della sua prigionia ma continua a essere legata al concetto della cesura nel tempo segnata dal Lager. 211 ARS & HUMANITAS / STUDIJE / STUDIES La narrazione autobiografica leviana adotta spesso la prima persona del plurale, come è stato accennato all'inizio del presente contributo: «io» diventa «noi» per portare testimonianza a nome delle vittime che sono state sterminate e non possono parlare per conto proprio. Il narratore si impegna a preservarne la memoria registrando i loro nomi e informazioni sulla loro identità (Prosenc, 2009) nel tentativo di far «rivivere almeno sulla pagina i nomi di coloro che non sono più» (Belpoliti, 2015, 85). È il caso del bambino Hurbinek, morto dopo la liberazione del campo, di cui nessuno conosceva l'identità, che non aveva mai imparato a parlare e che, pertanto, non avrebbe mai potuto raccontare: «Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole» (Levi, 1989b, 167). Levi considera, pero, la testimonianza a nome di altri estremamente problematica. I veri testimoni dello sterminio sarebbero stati coloro che non sono sopravvissuti, ma che rappresentano «il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente» (Levi, 1989a, 81-82). Ne I sommersi e i salvati, Levi afferma: «Non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. [...] La demolizione condotta a termine, l'opera compiuta, non l'ha raccontata nessuno, come nessuno è mai tornato a raccontare la sua morte» (Levi, 1991, 64-65). L'autore precisa: «A distanza di anni, si puo oggi bene affermare che la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi, come io stesso, non ne ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto, non è tornato, oppure la sua capacità di osservazione era paralizzata dalla sofferenza e dall'incomprensione» (Levi, 1991, 8). Levi avverte cosi l'impossibilità di narrare, in prima persona, l'essenza dei campi di sterminio nazisti; la narrazione dovrebbe fondarsi su ricordi di esperienze personali e rispettare il «patto autobiografico» che presuppone «l'identità del nome (autore-narratore-personaggio)» (Lejeune, 1986, 26). Nell'autobiografia leviana, la capacità di ricordare è indispensabile: se, da una parte, l'atto di narrare sul filo della memoria è una conferma della propria umanità, dall'altra, non puo raccontare chi non si ricorda più di quest'ultima. Pertanto, i «sommersi, anche se avessero avuto carta e penna, non avrebbero testimoniato, perché la loro morte era cominciata prima di quella corporale. Settimane e mesi prima di spegnersi, avevano già perduto la virtú di osservare, ricordare, commisurare ed esprimersi» (Levi, 1991, 65). La narrazione è legata alla capacità di osservare mirata alla creazione di un serbatoio di ricordi dai quali attingere, alla capacità di preservare il ricordo, di interpretarlo e capirlo. Raccontare non consiste solo nella rievocazione dei ricordi legati al Lager, bensi nell'analisi dei significati che questa esperienza puo avere oggi per noi (Todorov, 2007, IX). Si tratta di «scandagliare 212 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI la memoria, sottoporre ad analisi il ricordo, costruire una visione razionale del passato» (Belpoliti, 2015, 567). Come opportunamente suggerisce C. Blanco Valdés, «through narration, language and words, past and present can be connected and memories kept alive; they are the means by which memory can be preserved despite the passing of time, which leads to oblivion» (Blanco Valdés, 2016, 156). Benché Levi fosse consapevole di non aver ottenuto le risposte definitive, soprattutto per quanto riguarda le profonde ragioni della Shoah, egli ha saputo indicare, nei suoi scritti autobiografici e saggistici, «the imperfection and lack of closure encountered in dealing with Holocaust memory» (Scheiber, 2006, 239), un'imperfezione ipotizzabile per ogni narrazione basata sulla memoria. Conclusione In un discorso pronunciato in apertura di un convegno svoltosi nel 2016, Pietro Grasso, l'allora presidente del Senato della Repubblica Italiana, riconobbe nella memoria l'«elemento decisivo del nostro essere» (Grasso, 2016). Nella poetica leviana, la narrazione sul filo della memoria e mirata a rivendicare la dignita delle vittime e a preservarne il ricordo, nonostante la sua problematicita e i limiti intrinseci dei quali l'autore si dimostra pienamente cosciente. Ci piace concludere con le sue parole: «la perfezione e delle vicende che si raccontano, non di quelle che si vivono» (Levi, 1994, 219). Bibliografía Fonti Calvino, I., Presentazione, in: Il sentiero dei nidi di ragno, Milano 2002, pp. V-XXV. Levi, P., Ad ora incerta, Milano 1984. Levi, P., Ualtrui mestiere, Torino 1998. Levi, P., Lasimmetria e la vita, articoli e saggi 1955-1987 (a cura di Belpoliti, M.), Torino 2002. Levi, P., Se questo e un uomo, in: Se questo é un uomo, La tregua, Torino 1989a. Levi, P., Il sistema periodico, Torino 1994. Levi, P., I sommersi e i salvati, Torino 1991. Levi, P., La tregua, in: Se questo é un uomo, La tregua, Torino 1989b. Levi, P., Tutti i racconti (a cura di Belpoliti, M.), Torino 2005. Levi, P. (Malabaila, D.), Storie naturali, Torino 1966. 213 ARS & HUMANITAS / ŠTUDIJE / STUDIES Studi critici Barberis, W., Postfazione, in: Levi, P.: Isommersi e i salvati, Torino 2007, pp. 171-188. Barenghi, M., La memoria dell'offesa. 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Spomin ima v njegovih delih kompleksne funkcije kot aktiven proces, ki se realizira prek ohranjanja in pripovedovanja spominov. V delu Ali je to človek avtor predmet pripovedovanja omeji na to, kar je sam videl in doživel. V Premirje uvrsti izbor spominov, medtem ko se v eseju Potopljeni in rešeni opre na podatke iz obsežne taboriščne literature. Namen njegovega pričevanja na temelju spomina je, da nasprotuje izničenju ter prispeva k ponovni izgradnji izgubljene osebne in kolektivne identitete. Levi poleg tega ugotavlja, da pripoved deluje kot nekakšen umetni spomin, ki predstavlja zaščitno pregrado med sedanjostjo in travmatično preteklostjo, hkrati pa izriva pristne spomine in avtorju onemogoča neposreden dostop do njih. 216 IRENA PROSENC / LA NARRAZIONE DELLA MEMORIA NELL'OPERA DI PRIMO LEVI Irena Prosenc Narratives of Memory in Primo Levi Keywords: Italian literature, Primo Levi, autobiography, memory, extermination camp Primo Levi, best known for his autobiographical texts narrating his internment in Auschwitz, analyses the notion of memory in numerous texts. The author observes that the unreliability of memory may undermine the verisimilitude of autobiographical narration. In his works memory has complex functions as an active process realised in the preservation and narration of memories. In If This Is a Man, Levi limits the object of his narration to what he personally witnessed and experienced. In The Truce he operates a selection of memories, whilst the essay The Drowned and the Saved is based on data provided by a substantial corpus of concentration camp literature. The purpose of Levi's memorial testimony is to restore certain annihilated aspects of the past and contribute towards the reconstruction of lost personal and collective identities. Furthermore, Levi realises that his narrative functions as some sort of artificial memory representing a protective barrier between the present and the traumatic past, whilst also keeping authentic memories at bay and blocking his immediate access to them. 217