Italiana Organo quindicinale della Gioventù Antifascista Anno I Capodistria, 15 settembre 1945 N. 3 Fratelli, ai ipojpoLi slavi |yj£QQj| n mm Male arti di despoti, e pregiudizi funesti vi tennero finora con vostro danno divisi — e foste facile preda di tiranni vostri, e stranieri. Ma orinai l’ora dei popoli si avvicina — la spada della giustizia sta per essere sguainata affinchè ciascuna Nazione ottenga il proprio retaggio. — E’ tempo che tutti i popoli si preparino alle supreme battaglie. — Su dunque! Vói pure stringetevi in un popolo solo — dimenticate odi, discordie, pregiudizi di religione, e di razze — raccoglietevi in un solo pensiero di vendetta, e di libertà — e fate impeto irresistibile contro i vostri oppressori. Non prestate ascolto alle mendaci promesse della Diplomazia — diffidate dei suoi artifici, delle sue scaltrezze. Vi tradì, vi vendè cento volte — se lo soffrite, vi tradirà, vi venderà ancora. Fidate soltanto nel vostro valore, nelle vostre anni, nella vostra concordia. — E fidate nei popoli, che come voi vogliono la libertà — e combattono per ottenerla. Tutte le nazioni sono sorelle — esse non hanno cupidige, ambizioni liberticide — ciascuna vuole la sua parte di terra, e di sole — ciascuna aiuterà le altre ad ottenerla. E’ dovere dei popoli liberi, e che vogliono esser tali di accorrere dovunque si combatte pei diritti delle nazioni — dovunque s’innalza la bandiera della libertà. La Serbia, e il Montenegro con nobile ardimento fan guerra al dispotismo. E' vostro dovere di accorrere in loro soccorso — è vostro dovere di porgere aiuto a quanti si levano in armi — qualunque essi siano — contro V Austria e la Turchia. La causa della libertà è una sola — qualunque sia il popolo che la difende — qualunque il colore della bandiera sotto cui si schierano gli eserciti. Quando i popoli abbiano intesa questa verità, che la storia, e V esperienza dovrebbero ormai aver loro insegnato — quando pratichino davvero questa santa legge di fratellanza, e di comune difesa, il regno del dispotismo sarà finito per sempre sulla terra. lo a nome d’Italia vi offro amicizia fraterna ed aiuto. Uniti combatteremo il dispotismo — uniti moveremo a redimere gli altri popoli schiavi — e finalmente troncato l’orgoglio degli Absbnrgo, — ricacciato il barbaro Ottomano nei suoi deserti — l’Adriatico sarà da ambe le sponde abitato da genti libere degne d’intendersi, e di amarsi come sorelle. G. GARIBALDI Criticare è prerogativa umana, nonché molto comune specie se la critica parte dal preconcetto che qualsiasi forma sia buona, pur d’esprimere il proprio pensiero su uomini e cose di cui si ritiene conoscerne l’intima essenza. Da tempi immemorabili la critica fu sorella della satira, e questa fù talvolta sferzante ammonimento per certi uomini, che parvero straripare dai Compiti a loro assegnati, e che sotto l’azione mordace della satira che gli colpiva, rientravano nella normalità o sparivano dalla scena sulla quale agivano. Questa critica satirica fu un bene poiché di solito col suo crudo verismo demoliva concetti e persone altrimenti pericolose alla collettività. Ancor’ oggi tale critica è un benevole intervento regolatore che consente il riconoscimento di errori che altrimenti sfuggirebbero alle attenzioni. Ma questa critica deve essere onesta, deve partire dalla volontà d’un avvertimento sano, da una persona che apertamente ambisce di rendersi utile al suo prossimo e deve sopratutto basarsi sulla verità della osservazione, poiché la conseguente azione richiede assolutamente in colui che la provoca, una chiara allusione del suo pensiero senza voler nascondersi sotto l’anonimo, comodo forse, ma spregevole sempre sotto ogni aspetto. Vi sono diverse qualifiche di critiche, aventi diverse tonalità e sfumature che rientrano parzialmente nella critica discussa, e nella parte maggiore in quella critica bisbigliata e vergognosa che si crea dall’anonima calunnia, così cara a quei messeri incogniti, che pari agli untori di manzoniana memoria, spargono il loro abbondante veleno nell’animo dei più creduloni. Fermiamoci ad esaminare questa schifosa particolarità d’una specie, che siamo sicuri di poter fra breve smascherare. Allorché tre mesi or sono il potere popolare ridestandosi da un lungo sonno durato 25 anni prendeva il potere, ben pochi compresero le difficili condizioni nelle quali questo 29 Luglio 1862. potere popolare sorgeva, per diriger una barca che faceva acqua da tutte le parti. Unicamente lo sforzo violento di pochi coraggiosi, intrapprese un opera che nessuno poteva prevedere nella sua finalità, opera di modesta ricostruzione tra le più impensate difficoltà, attraversate da ostacoli che da ora in ora aumentano e da oscillazioni paurose che dal campo economico andavano fino al campo alimentare, campi questi sui quali imperava la «tabula rasa» di mussoli-niana memoria e dei suoi degni aco-titi — gli assassini d’Italia. In virtù di sacrifici non comprensibili oggi dalla grande maggioranza dei nostri concittadini, questo piccolo nucleo d’ardimentosi lavoratori ha affrontato con serena coscienza un compito di tanto superiore alla sua elementare istruzione amministrativa. Dovettero subire la volontà tesa fino allo spasimo, e 1’esperienza pagata con notti insonni di lavoro senza interruzione. Si doveva eriger sulla crollata amministrazione cittadina — abisso senza fondo — i ponti su cui passare l’immane cratere di quel vulcano non ancora spento, per giungere a dar pane ogni giorno a chi ne aveva il diritto. Pane che doveva esser confezionato con la farina che non esisteva, pane che doveva crearsi non come la leggendaria manna del deserto largita da una ipotetica volontà divina, ma crearsi attraverso la fattiva cooperazione di calcoli ardimenti e avventurose parentesi che oggi essendo superate formano l’orgoglio di chi si sacrificò con tanta tenacia. Verrà giorno che questo violento sforzo costruttivo sarà riconosciuto da tutti, ma questo non sarà il premio ambito di quei pochi che lavorano senza riposo — il loro premio lo hanno già ricevuto — e la loro coscienza di onesti operai che non ha rimorsi. E veniamo alla critica velenosa. 11 popolino cioè quella massa inerte che forma la maggioranza, e che fu la «carne di cannone» del capitalismo guerra fondaio nazifascista, strepita e urla talvolta la richiesta dei suoi diritti, per i quali noi affrontammo fame, freddo, carcere, torture, combattimenti, morti. Questa richiesta è un sacrosanto diritto del popolo che si esprime come meglio può e come sente. E’ fin qui siamo d’accordo: Ma quando in questo popolino la parola sussurrata da fonte ignota sparge l’insidia di una critica vergognosa e bugiarda, la critica diviene calunnia e questa azione non può essere permessa da nessuna «libertà concessa al popolo». Ho sentito invocare tale «libertà ai popoli» come scusa a insultanti critiche calunniose lanciate senza alcuna ragione positiva verso chi compiva il proprio dovere. E’ mai possibile che la ragione non suggerisca a costoro almeno un barlume di logica chiedendosi: ma se questi uomini che oggi lavorano per noi, domani si stancassero di tanti improperi, e rimettessero in opera certi sistemi infami indegni d’un popolo Meramente libero, che per 25 anni hanno usato su noi i delinquenti fascisti ? Se quella parte di popolo che purtroppo è la tara sociale e non appartiene al sano organismo di coloro che hanno tanto sofferto volesse provocare il giusto risentimento punitivo in noi, esso potrebbe risolversi in una dimostrazione pratica, che pure essendo a noi ripugnante la sola idea repressiva, questa si renderebbe necessaria pari all’atto operativo di un chirurgo che per salvare un ammalato taglia un membro cancrenoso dal suo corpo. Atto questo di umana preservazione per il supremo bene collettivo; con il quale certe carogne riconosciute avvelenatori della coscienza popolare sarebbero finalmente poste al muro. Non intendiamo ripetere gli errori della rivoluzione francese ma si sappia chi infrange il diritto del potere popolare non può che attendersi l’eliminazione dal consorzio umano e ciò nella forma più spiccia. Ci siamo capiti? Pietro Bussani sfonde piu spesso in una vena limpida e fresca di leggiadro umorismo. La trama è semplice e tutta incentrata attorno ai tre personaggi : Uberto, il padrone di casa; Serpina, la servetta giovane ed intraprendente; e Vespone, il servitore che non parla. Serpina s’è fitta in capo di sposare il padrone e con la complicità del servitore riesce a raggiungere il suo scopo: anche perchè Uberto, in fondo in fondo, è un po’ innamorato della ragazza, e quando apprende che questa dovrebbe sposare l’arcigno e burbero capitan Tempesta (che è Vespone abilmente travestito) si risolve volentieri ad impalmare la scaltra Serpina. La musica del Pergolesi riesce a delineare perfettamente i caratteri di Uberto, brontolone e autoritario, ma intimamente buono e indulgente, lontano precursore del rossiniano Don Bartolo, — e di Serpina, birichina ed astuta, ma tuttavia gran brava figliola. Vespone è invece un pantomimo, che agisce solo con gesti e giochi d’espressione. Sono insieme tre personaggi che una volta conosciuti non si dimenticano più. * * * Lo spettacolo odierno, allestito sotto l’esperta direzione di Rino Rello, ha cercato di appropriarsi uno spirito veramente pergolesiano, di essere cioè una fedele rievocazione di quella eh’è stata La serva padrona nella sua originaria realtà. La messa in scena è essenziale e ridotta al puro indispensabile: l’azione si svolge sul proscenio d’un improvvisato teatrino, semplicissimo, che presenta sul fondo il sipario chiuso. Il ’700 si rivela soltanto in due mobili, che chiudono lateralmente il piccolo palcoscenico. In tal modo, tutta la potenza suggestiva ed evocativa è affidata alla capacità degli attori, la cui presenza scenica non viene distratta da alcuno sfarzo esteriore, da alcun allettamento decorativo: soltanto essi, col canto e con la recitazione, creano l’ambiente e danno alla situazione il tono e il colorito che la compete. Se questi sono stati gl' inter, informatori del regista, possiamo dire senz’ altro che essi vennero realizzati più che egregiamente nella concreta rappresentazione. Il giovane Bruno Ramani, cantante di certo avvenire, in cui la potenza fonica si unisce ad una padronanza scenica davvero sorprendente, e si rivela in una sicurezza di accento pieghevole a tutta la varia ed irrequieta gamma del sentimento, è stato un Uberto profondamente vivo ed umano; Dalia Tremul, che dopo i successi nella canzone moderna ha voluto affrontare la via ardua e spinosa del canto lirico, con le sue doti innegabili di grazia, spigliatezza e briosa disinvoltura, unite ad una voce fattasi 'più disciplinata e duttile attraverso un paziente studio, ha saputo investirsi pienamente della parte di Serpina, che quanto mai si adatta alla sua persona; mentre Renato Sergi ha portato nel- La rappresentazione de „La serva padrona" a Gapodistria Nel concerto di musica operistica presentato dal solerte maestro Luciano Milossi nell’aula magna del locale ginnasio-liceo nei giorni 18 e 19 agosto e quindi più volte ripetuto, ha tenuto il posto d’onore la rappresentazione de La serva padrona di Giambattista Pergolesi (1710-1736). E’ questa una delle prime opere buffe del teatro lirico italiano, composta nel 1733 ed eseguita per la prima volta a Napoli la sera del 28 agosto di quell’ anno, come intermezzo comico tra un atto e l’altro del pergolesiano Prigionier su- perbo, per ristabilire — come era allora consuetudine — il buonumore e la gaiezza nell’animo degli spettatori, dopo le drammatiche vicende dell’opera seria. Tuttavia, per noi moderni, La serva padrona ha un valore che va ben oltre a siffatta funzione di mera catarsi psicologica: essa ci si manifesta oggi, al di là di qualsiasi legame con i costumi di un’ epoca ormai lontana, come un autentico gioiello d’arte, in cui uno spirito inesauribilmente gioviale e malizioso si piega a volte in pause di raccolta intimità e si tra- l’umoristico e sentimentale intreccio la nota d’una comicità stilizzata e sapientemente allusiva. E’ ancora da lodare l’orchestra, ridotta secondo le esigenze pergole-siane, che ci ha dato un sobrio ed efficace accompagnamento musicale. Il maestro e pianista Luciano Milossi è stato come sempre un direttore capace, ed ha anche curato l’istruzione dei cantanti. Rino Rollo, con la sua ben nota competenza teatrale, è stato un regista non comune ed ha addestrato scrupolosamente gli interpreti nella parte recitativa. Tra gli altri pezzi lirici del concerto ricordiamo la romanza Come Paride vezzoso dall’ Elisir d’amore del Donizetti, eseguita dal basso Ramani e II bacio dell’Arditi, presentato dalla Tremul; nonché il finale Suoni la tromba dai Puritani di Bellini, interpretato dal Ramani e da Piero Vattovani, ed accolto sempre con una sincera ovazione dagli spettatori. Quanto a noi, possiamo davvero dirci soddisfatti che la nostra città abbia finalmente un complesso lirico e orchestrale capace di sostenere dei concerti e di dare delle rapresenta-zioni come l’attuale. Il regista Rello, anzi, ha detto che si provvederà tra breve all’ allestimento di altri spettacoli del genere, quali Crispino e la comare, La casta Susanna ecc. : benissimo; e valga tale promessa a tener desto l’interesse del pubblico capodistriano su coleste prossime realizzazioni che, siamo certi, saranno all’altezza de La serva padrona, oggi così entusiasticamente accolta ed applaudita. . Ili"1......Illll '"Ili,III "'Ili,III"1" Gli eroi di ieri Gli anni e i decenni passeranno, i giorni duri e sublimi che noi viviamo oggi appariranno lontani, ma generazioni intere di giovani si educheranno all’amore, per la libertà, allo spirito di devozione illimitata per la causa della redenzione umana sul-l'esempio dei mirabili partigiani che hanno scritto col loro sangue rosso le pagine più belle della storia. Nomi di vie e di piazze, di paesi e di città, monumenti di marmo e di bronzo, edifici pubblici e grandi fabbriche ne porteranno il nome ne immortaleranno il ricordo ad esempio ed a monito per i cittadini di una libertà dell’oggi. Ma nessun monumento potrà uguagliare quello che ognuno di noi eleva nel suo cuore, nel suo ricordo commosso ai fratelli morti per la causa. Avveva 31 anni Wladimiro Bersa-ni, era avvocato e capitano di complemento. Era' innanzi tutto un comunista; un uon.'O, cioè, pronto a gettare silenziosamente la propria vita in ogni battaglia combattuta per il proletariato. In quel suo volto lentigginoso e accigliato, su cui ardevano due occhi assorti e meravigliati, accesi da una continua fiamma interiore, si leggeva questo animoso proposito. Era un combattente del popolo e non poteva morire che così. Sin dai lontani anni della scuola, quando l’animo gli si destò al primo capire, egli sentì e accolse nel cuore il dramma delle classi lavoratrici, e oppose alle folli soperchierie e alle formule corrompitrici della schiavitù fascista il solido travaglio, della sua indole volitiva e tenace. Era un’anima ebbra del giusto, una coscienza impavida che da una scorza rude mandava lampi di bontà. Venne al partito attraverso un lento processo di maturazione ideale, da un’ esperienza sofferta, alla quale non furono estranee la sua infanzia e la sua giovinezza orfane e dolorose, oscurate da una sventura famigliare che lo percosse fanciullo. Non amò sovverchiamente la toga. Aveva visto tante volte con inconfessato tormento la legge percuotere le fragili ossa dei poveri e degli infelici, e gli aveva stretto il cuore, come un annoso inganno, come una Xeiii co-mc ù§gi Queste note sono tratte dalle pagine di Pietro Kropotkin «Parole di un ribelle». Il lavoratore, il giovane le leggano, sono talmente profondamente umane, che il teìnpo lontano nel quale furono scritte, non cancella la loro potenza espressiva e persuasiva, anzi si fissano come basi di un pensiero indistruttibile, di assoluta verità che sorgendo dalla chiaroveggenza d’un animo libertario, oggi più di ieri formano il vero catechismo della massa operaia, alla quale aspetta l’avvenire del mondo. I confronti del ieri coll' oggi si appalesano costanti, la, lotta di classe di quel tempo è la lotta di oggi, unicamente più serrata e più determinativa nelle sue conclusioni, poiché deve esser anche la, definitiva. Troppe ecatombe umane segnano i perduti passi del passato infame, sebbene lo sforzo violento dell'umanità sofferente non si sia arrestato un attimo nel suo faticoso cammino verso la libertà, la sola meta che giustifichi il Golgota percorso dalle turbe affamate dei proletari. Oggi la meta è vicina, e con un ultimo sforzo di comune volontà, sarà conquistata, qualunque sia l’avversario che tenti di strapparla dalle mani dell’operaio. Possa la tua mente e il tuo cuore sentire o lavoratore che l’idtima nostra, battaglia è una necessità che i tuoi figli riricorderanno eternamente, non ti paventi l’idea, che forse dovremo ritrovarci sulle barricate a stroncare la reazione infame, ricorda piuttosto i tuoi morti, la tua vita dì stenti, e l’insiliti conditi dalla fame e guarda alla tua barricata come al legno santo sul quale «il Giusto» fu crocifisso e nel sole che emana da quel sìmbolo, sentirai l’alone della tua vittoria scritta col sangue sulla nostra bandiera rossa. negazione della vita, come una beffa a quella tragedia sociale e umana che si vuol soffocare mentre culla dal fondo delle cose la verità dei suoi accenti. Noi conosciamo, compagno, volti e nomi di alcuni dei tuoi assassini. % E là dove la terra vermigliò del tuo sangue, là avverrà l’espiazione del crimine (lo giuriamo) fratello, sulla tua spoglia. E poiché con la tua vita e con la tua fine tu hai celebrato la perenne giovinezza dell’idea che viviamo, là ove hai fatto la sacra offerta della vita, noi vorremo fossero scritte le sublimi, le inobliabili parole di un eroe del partito: Paul Vailland Couturier. Il comuniSmo è la giovinezza del mondo. Esso prepara dei domani che cantano. E tutto questo processo originale e profondo, trova la sua più alta espressione nel movimento partigiano, nel fatto che decine e decine di migliaia di soldati e ufficiali, di operai, contadini, intellettuali hanno imbracciato il fucile, hanno preso la strada dei monti e si sono organizzati per la lotta vittoriosa. M. Umberto — «Tutto quel che affermate è giustissimo», -— ci dicono spesso i nostri contradditori. - «Il vostro ideale «del ComuniSmo libertario è eccel-«lente e la sua realizzazione condur-«rebbe davvero il benessere e la pace «sopra la terra ; ma come son pochi «coloro che lo desiderano, lo compren-«dono ed hanno la fede necessaria per «lavorare al suo avvento! Voi non «siete che una piccola minoranza, de-«boli gruppi disseminati qua e là, per-«duti in mezzo ad una massa indiffe-«rente, e avete di fronte un terribile «nemico, bene organizzato, in possesso «di eserciti, capitali, istruzione. La lotta «che avete intrapresa, trascende le vo-«stre forze». Ecco l’obbiezione che intendiamo continuamente da parte di certuni fra i nostri contradditori e spesso anche da parte dei nostri amici. Vediamo dunque quei che è di vero in questa obbiezione. Che i nostri gruppi libertari non siano che una piccola minoranza, paragonati alle decine di milioni di abitanti che popolano la Francia, la Spagna, l’Italia, la Germania, — nulla di più vero. Tutti i gruppi rappresentanti una nnova idea hanno sempre cominciato dall’essere minoranza. Ed è molto probabile che come organizzazione noi resteremo minoranza sino al giorno della rivoluzione. Ma è questo forse un argomento contro di noi.? In questo momento gli opportunisti sono la maggioranza; dovremmo noi pure per caso LE MINORANZE RIVOLUZIONARIE diventare opportunisti? Fino al 1790 la maggioranza era di realisti e costituzionalisti: dovevano forse per questo, i repubblicani dell’epoca, rinunciare alle loro idee repubblicane e diventare essi pure realisti, allorquando la Fran-' eia marciava a grandi giornate verso l’abolizione della regalità? Poco importa che, come numero, noi siamo minoranza. La questione non sta nel numero, ma nel sapere se le idee del comuniSmo libertario sono conformi alla attuale evoluzione dello spirito umano, sopratutto tra i popoli di razza latina. — Ma su questo non si possono aver dubbi. L’evoluzione non si produce nel senso dell’autoritarismo, ma invece nel senso della più completa libertà dell’ individuo, del gruppo produttore e consumatore, del comune, dell’associazione, della federazione libera. L’evoluzione si produce non già nel senso dell’ individualismo proprietario, ma nel senso della produzione e del consumo in comune. Nelle grandi città il comuniSmo non spaventa più nessuno. Si tratta, ben inteso, del comuniSmo libertario. Nei villaggi l’evoluzione si produce nel medesimo senso e, salvo varie parti della Francia poste in condizioni speciali, il contadino tende già, sotto parecchi rapporti, a servirsi in comune degli strumenti di lavoro Per questo, quando noi esponiamo alle grandi masse le nostre idee, quando parliamo loro in forma semplice, comprensibile, appoggiati da esempi pratici, della rivoluzione quale noi la intendiamo, siamo sempre accolti da applausi nei grandi centri industriali, come pure nei villaggi. E potrebbe essere altrimenti? Se l’anarchia e il comuniSmo fossero stati il prodotto di speculazioni filosofiche, fatte da sapienti nell’ ombra dei loro studi, certo questi due principi]' non troverebbero eco alcuna. Ma queste due idee sono nate dalle viscere stesse del popolo. Esse sono l’enunciato di ciò che pensano e dicono l’operaio e il contadino, quando, lasciando un giorno o l’altro la quotidiana tradizione, si mettono a sognare un avvenire migliore. Esse sono l’enunciato della lenta evoluzione prodottasi negli spiriti, durante il corso di questo secolo. Esse sono la concessione popolare della trasformazione che deve operarsi ben presto, apportatrice di giustizia, di solidarietà, fratellanza alle nostre città, alle nostre campagne. Nate dal popolo, esse sono acclamate dal popolo ogni qualvolta gli vengano esposte in modo comprensibile. E in ciò sta appunto la loro intima forza e non già nel numero degli aderenti attivi ed organizzati, che sono abbastanza coraggiosi per affrontar i pericoli della lotta e le conseguenze alle quali si va incontro col lavorare per la rivoluzione popolare. Questo numero aumenta ogni giorno e continuerà ad aumentare; ma solo alla vigilia stessa della sollevazione esso diverrà maggioranza, da minoranza quale è al giorno d’ oggi. La storia, infatti, ci dice che coloro i quali sono stati minoranza alla vigilia della rivoluzione, divengono forza predominante il giorno della rivoluzione, s’essi rappresentano la vera espressione delle aspirazioni popolari e se — altra condizione essenziale, — la rivoluzione dura un certo tempo, necessario all’idea rivoluzionaria per spandersi, germinare, fruttificare. Poiché, non dimentichiamolo, non è con una rivoluzione di un giorno o due che noi arriveremo a trasformare la società nel senso del comuniSmo libertario : un sollevamento di corta durata può rovesciare un governo per sostituirlo con un altro. Può sostituire Giulio Fa-vre a Napoleone, senza cambiar nulla delle istituzioni fondamentali della società. È tutto un periodo insurrezionale di tre, quattro, cinque anni forse, che noi dovremo traversare per compiere la nostra rivoluzione nel regime della proprietà e nel modo d’unione sociale. Sono occorsi cinque anni d’insurrezione permanente, dal 1877 al 1893, per abbattere in Francia il regime feudale fondiario e l’onnipotenza della regalità: ne occorreranno ben tre o quattro per abbattere la feudalità borghese e l’onnipotenza della plutocrazia. Ebbene, è sopratutto durante questo periodo periodo d’eccitazione, quando lo spirito lavora con la velocità accelerata quando tutti, dalla città sontuosa alla capanna oscura, prendono interesse alla cosa comune, discutono, parlano, cercano convertire gli altri, che l’idea ComuniSmo libertario, seminata già oggi dai gruppi esistenti, potrà germinare, darci i suoi frutti e precisarsi nella grande massa degli spiriti. Allora, gli indifferenti dell’ oggi diverranno partigiani convinti della nostra idea. Tale fu sempre il cammino delle idee e la grande rivoluzione francese può servire d’ esempio. Certo, questa rivoluzione non è stata così profonda come quella che noi sogniamo. Essa non ha fatto che rovesciare l’aristocrazia e sostituirla colla borghesia. Non ha toccato il regime della proprietà individuale : al contrario, l’ha rinforzato ed ha inaugurato lo sfruttamento borghese. Ma essa ha raggiunto un immenso risultato coll’abolizione definitiva della servitù per mezzo della forza, mezzo ben più efficace della legge per non importa quale abolizione. Essa ha aperto 1 èra delle rivoluzioni, che da allora si seguono ad intervalli tanto più brevi quanto più si avvicina la Rivoluzione Sociale. Essa ha dato al popolo francese quell’ impulsione rivoluzionaria, senza la quale i popoli possono stagnare dei secoli sotto l’oppressione la più abbietta. Essa ha lasciato al mondo una corrente d’idee feconde per l’avvenire; ha risvegliato lo spirito di rivolta, ha dato l’educazione rivoluzionaria al po- polo francese. Se, nel 1871, la Francia ha fatto la Comune, se oggi accetta volentieri l’idea del comuniSmo libertario, mentre le altre nazioni sono ancora nel periodo autoritario o costituzionalista traversato in Francia prima del 1848 o forse anche prima dell’89) gli è perchè, alla fine del secolo scorso, essa ha attraversato i quattro anni della grande rivoluzione. Ebbene, ricordiamoci del triste quadro che offriva la Francia qualche anno prima della rivoluzione e che debole minoranza erano coloro che sognavano l’abolizione] della monarchia e del feudalismo. (continua) lliiii»l»i|||||||||iiiiii|„|||||||iiiiii|]||||||,|iimi|l||||||,limili,||||||l|iinii|l|||||||liiiiM|l||| EL NOSTRO DIALETO La pase La guera, se Dio voi, xe terminada, el mondo poi de novo respirar; la bela pase, alfin, xe ritornada e a goder la ne invita e a bacanar! La paura de tati xe passada, e de giorno no acori più scampar come co se vedeva la fuinada bianca, dei aparechi, int- el svolar! Ah, quela maledeta de sirena, che ogni note el sono ne spacava, proprio co 'I sogno iera sul più bel! Se se alsava svolai, e suso in siel, mentre un rumor lontan se avizinava, iera luto un ciaror de luna piena. El paolan Note de agosto Solo, in finestra, vardo stanate tante stele lassù in tei siel. Xe Ulto un luminar. E le più bele farsi che le zivetta zogando con la luna, speciandose nel mar. Cussi, in ’sta note quieta, posado sul balcon, xe bel fantasticar solo coi mii pensieri e con la zigareta. Scherzo a chi che so mi La voi, po no la voi. Ogi la te prometi tante teneresse, doman tato la disfa. E ’ste amaresse, ’ste gioie strane e ’sti dolori mati xe all’ordine del giorno dei sui ati. No xe datori per guarir ’sti mali, no xe bote, nè basi, nè regali. La xe cativa, volubile putela epur... no posso star senso de el[u Colegno Direttore responsabile: PIETRO BU^SANI Redattore Capo : GIL’jSEPPF? BORISI Stabilimento Tipografico Giul/'ano - Capodistria