received: 2006-09-14 UDC 791.227.046.2:82-343:343.159(450.34) original scientific article IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA Sonia RADI IT-30125 Venezia, San Polo 2306 e-mail: sonia.radi@libero.it SINTESI La storia di quanto accadde al fornaretto veneziano Pietro Tasca e nata sul finire del XVIII secolo. La leggenda e incentrata sul clamoroso errore giudiziario con con-seguente condanna a morte verso Pietro, commesso dalla magistratura del Consiglio dei Dieci all'inizio del XVIsecolo. La leggenda e stata creata per tramandare la vi-sione di una giustizia che ricerca sempre la verita e per far cio non esita ad am-mettere pubblicamente l'errore commesso nell'uccidere il fornaretto. La grandezza del governo veneziano, che non ha paura di affermare di aver commesso un grande errore, diventa cosi l'emblema delmito della Repubblica. Parole chiave: leggenda, mito, errore giudiziario THE LITTLE BAKER FROM VENICE BETWEEN LITERATURE AND FILM ABSTRACT The story of the little baker from Venice, Pietro Tasca, was born at the end of the 18'th century. The legend is centred on the sensational judicial error made by the magistracy of the Council of Ten at the beginning of the 16th century that resulted in Pietro's sentence to death. The legend was created in order to transmit a vision of justice that is always in search for the truth and that - in order to achieve this goal -does not hesitate to publicly admit the error that caused the death of the little baker. The greatness of the Venetian government that does not fear to admit having committed a huge mistake has thus become an emblem of the myth of the Republic of Venice. Key words: legend, myth, judicial error 721 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Pietro Tasca, il fornaretto veneziano più celebre della storia, è il protagonista di una delle vicende del '500 più discusse ed interpretate nel XIX e XX secolo. Il rac-conto di quanto successo a questo ragazzo è stato tramandato in varie forme fino ai giorni nostri, e proprio perché gli avvenimenti accaduti intorno a questo fornaio non possono considerarsi altrimenti se non eclatanti, la storia è diventata una leggenda. In realtà, quanto successo al povero Pietro è da considerarsi solo una mera invenzione, poiché, dai documenti fino a noi pervenuti, non se ne trova nemmeno uno che dia la sicurezza che il protagonista sia realmente esistito, e con lui anche il processo avviato a suo carico. Anche se l'arresto e il conseguente procedimento contro il fornaio vene-ziano non ha mai avuto un inizio, molte fonti, da cui hanno preso più o meno spunto gli autori di drammi e romanzi, parlano della vicenda con altrettante diverse versioni: il primo documento scritto nel quale è presente un riassunto di quanto accaduto a Pietro e di conseguenza il più importante è da considerarsi la Lista dei giustiziati in Venezia dall'anno 7Z6 all'anno 1797 e poi continuato, scritto, secondo lo storico Alessandro Luzio, approssimativamente intorno al 1827, nel quale tra la fine di pagina 15 e l'inizio di pagina 16 compare il nome di Pietro Fasiol, la sua condanna e la sua reintegrazione ormai tarda nella società. 15D7, ZZ marzo "Pietro Fasiol, essendo di notte stato trovato dai birri con un fodero da coltello insanguinato, ed essendo la stessa notte successo un omicidio, scoperto l'interfetto, si trovó impresso nella ferita il coltello, e rimesso questo nel fodero ritrovato dal Fasiol, si riconobbe che era a quello appartenente. Nel corso del suo processo ebbe una malattia mortale, che si dovette confessare, e suggeritogli che palesasse il suo delitto per salvar l'anima sua, egli acconsentí e palesó; ma poco dopo, rimessosi in salute, fu per sentenza del Consiglio dei X. come reo di questo delitto, impiccato. Dalla sua innocente morte, fino alla caduta della Repubblica che seguí il giorno lZ maggio 1797, ogni giustiziato si raccomandava all'anima del povero fornaretto" (Luzio, 1912, 100-101). Queste poche righe costituiscono le fondamenta di tutti gli scritti futuri che de-scriveranno ogni movimento fatto dal protagonista dal ritrovamento del cadavere fino alla sua esecuzione per opera della giustizia veneziana. Anche se questa breve descri-zione di quanto accaduto dà il via ad un'innumerevole serie di altri racconti sulla sto-ria del fornaretto, l'unica cosa che riprendono da quanto scritto sulla Lista è la data, poiché i vari autori costruiscono storie sempre diverse partendo dall'omicidio di un patrizio veneziano. La Lista dei giustiziati è il punto di partenza dello scrittore Francesco Dall'Onga-ro,1 il quale nel 1846 pubblica per primo una storia sulle vicende di Pietro Tasca 1 Dall'Ongaro, nato a Mansuè il 19 giugno 1808, è stato uno scrittore e un giornalista, rinunciando al sacerdozio per dedicarsi alla politica e al giornalismo. Nel 1848 partecipa ai moti, aiuta Garibaldi a Roma e diventa deputato alla costituente della Repubblica Romana, caduta la quale va in esilio. Oltre 722 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 mettendo in scena il dramma teatrale intitolato Il fornaretto. Dall'Ongaro, nell'intro-duzione, afferma che il personaggio di Pietro Tasca non è nato dalla sua fantasia, poiché il fornaretto è presente in un registro delle persone giustiziate ad opera del governo veneziano all'inizio del XVI secolo. Dall'Ongaro non mette in dubbio nem-meno per un istante che la vicenda del fornaretto sia successa realmente. Il dramma-turgo afferma di voler rendere vivo il ricordo della Repubblica di Venezia durante il suo dominio. Qualche anno dopo la comparsa del dramma di Dall'Ongaro, Giuseppe Tassini nell'esporre alcune delle vicende a cui hanno fatto seguito altrettante condanne capi-tali durante il dominio della Repubblica di Venezia, racconta la sua versione della condanna al fornaretto.2 Avendo come punto di riferimento La lista dei giustiziati, poiché la stessa data è presente nel documento antecedente, dà una versione della sto-ria del fornaretto un po' diversa rispetto a quella che qualche anno prima aveva dato il via alla realizzazione della prima trasposizione delle vicende di Pietro. Tassini sostiene che i birri hanno trovato il fornaio chinato sopra l'ucciso e per questo fatto lo hanno prima fermato, e poi arrestato avendolo trovato in possesso del pugnale che era stata l'arma del delitto; al contrario, nella precedente lista dei giustiziati, il fornaretto viene trovato con un fodero da coltello insanguinato in un luogo imprecisato della città e non vicino al corpo senza vita dell'ucciso. Questo è solo uno dei tanti esempi delle discordanze che si trovano nei vari esemplari dove è raccontata la storia del fornaretto: in alcuni scritti (come ad esempio nella lista dei giustiziati) si intende come nel corso del processo abbia avuto una grave malattia e a causa di questa fosse stato costretto a confessare di aver commesso l'omicidio, mentre in altri non si fa menzione di una malattia, ma di indizi molto gravi che sono contro la sua innocenza. Dopo aver descritto quanto accaduto a Pietro, Tassini afferma che la storia del fornaretto si trova in tutti i Registri dei Giustiziati (le condanne sono quasi tutte com- a queste professioni intraprende anche quella di professore di letteratura drammatica a Firenze e a Na-poli. E autore di versi, tra cui gli Stornelli (1847-1861) e Alghe della laguna (1866, scritto in dialetto veneziano), di drammi divenuti molto famosi, un esempio per tutti Il fornaretto di Venezia, scritti storici e opuscoli di polemica anticlericale (Zanichelli, 1995). 2 Ecco quello che scrive Tassini: "Era una mattina del 1507, ed il sole spuntava ad illuminare un delitto. Un uomo privo di vita giaceva steso a terra in una delle vie di Venezia con allato il ferro omicida, ancora fumante di sangue. In quell'ora sogliono i garzoni de' bottegai avviarsi al compito giornaliero, ed appunto Pietro Faciol, giovane fornajo, volgeva il passo verso la sua bottega, allorché, giunto ov'era il cadavere, sosto alquanto per riguardarlo. Poscia, allettato, dalla finezza della lama, e spinto al certo dalla crudel sua stella, raccolse di terra il pugnale, e se lo pose in saccoccia. Frattanto sopraggiunsero i birri, che, avendo veduto il giovane chinato sopra l'ucciso, lo fermarono, gli trovarono addosso il ferro insanguinato, e, senza piu, lo condussero in carcere. Indizii troppo gravi pesavano sul capo dell'infe-lice. Ad onta delle sue proteste, egli venne il dopo pranzo del 22 marzo 1507 condannato al patibolo, che salí con fermezza, imprecando sciagura a quanti l'avevano ingiustamente giudicato. Né trascorsero molti giorni che per un impreveduto accidente venne a scoprirsi il vero uccisore. Oh! quai rimorsi avranno straziato l'animo dei Quaranta al Criminale! Oh! come i lor sonni saranno stati interrotti dal-l'immagine, e dall'ultime parole del condannato!" (Tassini, 1966, 108). 723 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 pilazioni dei secoli XVIII e XIX), ma non è rintracciabile nei Criminali o nelle Raspe, e non ne parla nemmeno Sanudo nei suoi Diari (Tassini, 1966).3 Qualche anno più tardi anche il Molmenti nel suo libro I banditi della Repubblica Veneta, si sof-ferma brevemente sulla storia del fornaretto, affermando, allo stesso modo di Tassini, che la condanna non è avvalorata da nessun documento che attesti la veridicità dei fatti4 (Molmenti, 1989, 30-31). Il processo pertanto non viene menzionato in nessun documento che comprovi la sua autenticità, sollevando molte domande e pervenendo a una diversa conclusione. Non ci sono prove certe dell'esistenza di Pietro Tasca o più precisamente della sua avventura giudiziaria, di conseguenza l'unica soluzione rimane quella del racconto inventato o storpiato. Meno di un secolo più tardi uno scrittore di prim'ordine nella sfera letteraria italiana, in una sua intervista al Corriere della Sera, si chiede se la persona del forna-retto sia davvero esistita: " 'Proprio lei! Ma lo sa che dicevano che lei cercava la mediazione tra il Tutto ed il Niente? Non ha forse affermato che la verità è il vestito della vita? Ma quanti ve-stitipuó avere una vita: uno, nessuno, centomila? E se in giro andasse nuda la vita, non la verità?' Risponde Pirandello: 'E esistito davvero il Fornaretto: sí, no, forse? Se, forse, dove comincia la storia e finisce la leggenda o meglio dove finisce la leggenda e comincia la storia? O se camminassero di pari passo lungo due parallele che non si incontrano mai? E se non è esistito, perché è stato inventato e se è stato inventato non è come se fosse realmente esistito? Se è stato e sogniamo che non è stato non è la stessa cosa se sogniamo che non è stato edinvece è stato? E se è davvero esistito, è innocente o colpevole? Qual è la misura, la linea che divide lecito e non lecito? E se è innocente, perché per molti è risultato colpevole? E se era colpevole perché è stato per secoli ritenuto innocente? La verità è nell'innocenza, nella colpevolezza, o non piuttosto altrove? E se fosse altrove, che vale stabilire se è innocente o colpevole? 3 Anche se mancano per quest'epoca i Registri della Quarantia Criminale, esistono le Raspe sia del 1505 sia del 1507 (i due anni che secondo le varie fonti potrebbero essere successi i fatti riguardanti il fornaretto) nelle quali si trovano le sentenze della Quarantia Criminale. Alessandro Luzio si chiede se è possibile che Sanudo e Priuli abbiano taciuto sul processo e la conse-guente condanna a morte del fornaretto, concludendo che è molto improbabile. Afferma che nemmeno lo Stringa nel 1604 parla del fornaretto e della sua storia. Inoltre aggiunge: "E' possibile che non ci sarebbe rimasta nessuna di quelle storie verseggiate, di que' lamenti, a cui la Musa popolare, in consi-mili casi, indulgeva e indulge ancor oggi?" (Luzio, 1912, 106). 4 Anche il Molmenti afferma che la vicenda non è riportata né nei registri della Quarantia Criminale né nei Diari di Marin Sanudo. 724 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Ma egli dice di essere innocente, poi confessa, ed infine si proclama nuovamente innocente. Vittima della colpa altrui o della propria o di entrambe o di nessuna delle due. Il popolo lo vuole innocente, la giustizia colpevole. E se la giustizia viene am-ministrata in nome del popolo, lo stesso lo vuole ad un tempo colpevole ed innocente. Ha diritto il popolo di stabilire tutto questo? Innocente e colpevole, insieme, dunque. E se non vi fossero prove certe né di innocenza né di colpevolezza o se vi fossero sia dell'una sia dell'altra? Ma se anche vi fossero, nell'un caso o nell'altro, sarebbero sufficienti o meno?" (Zagato, 1985, 175). Luigi Pirandello esprime, in questa breve intervista, tutta una serie di interrogativi sulla storia del fornaretto, stile che caratterizza i suoi romanzi, e soprattutto l'ultimo romanzo Uno, nessuno e centomila, in cui cerca di trovare un significato profondo ai modi svariati di concepire la vita e di vedere non solo il mondo esterno a noi, ma anche quello interno. Niente sembra quello che è, poiché ci sono molti punti di vista di-versi: una persona vede una determinata cosa sotto una prospettiva, mentre un'altra ha un modo di vedere lo stesso fatto molto diverso. Vitangelo Moscarda, il protagonista pirandelliano di Uno, nessuno e centomila, partendo da una banale osservazione che sua moglie gli fa riguardo al suo naso (lui lo vede in maniera completamente differente) arriva alla conclusione che ognuno ha un'idea diversa rispetto agli altri della propria persona: per nessuno lui appare come la persona che vede allo specchio alla mattina appena si alza.5 La crisi d'identità del Moscarda si ricollega alla storia del fornaretto. Come Vitangelo cerca la verità nelle domande che si pone sulla via per la ricerca della sua identità, allo stesso modo si cerca la verità per sapere se Pietro Tasca sia realmente esistito.6 Alessandro Luzio, nel saggio intitolato La storia d'un povero fornaretto, inserito nella rivista mensile del Corriere della Sera del febbraio 1912, asserisce che la storia del fornaretto è un'invenzione poiché "dove sono i documenti? La Repubblica Veneta 5 Pirandello inizia a scrivere il romanzo Uno nessuno e centomila nel 1909 per concluderlo negli anni venti, quando esce a puntate tra il dicembre 1925 e il giugno 1926 su La Fiera letteraria. "La ricerca dell'autenticità, grande tema della narrativa pirandelliana, culmina proprio nell'avventura di Vitangelo Moscarda, il protagonista di questo romanzo. [...] Si accorge da un'irrilevante domanda della moglie che ognuno si è costruito un Vitangelo a suo modo, il quale non coincide con il Vitangelo che lui stesso crede di essere. Si tratta di un gioco crudele di proiezioni falsificanti che dettano, perô, imperiosamente le loro regole. La prima, ironica, coscienza di Vitangelo è, dunque, quella di sapere ciô che di certo egli non è; la preliminare operazione consiste, allora, nell'infrangere dispettosamente le fittizie maschere, distrutte le quali, Vitangelo si mette finalmente sulle tracce del vero se stesso. Si accorge, perô, che se il corpo puô essere uno, una non è certo l'anima. E la duplicità faustiana gli si complica in una sconcertante molteplicità. Come conoscere il fondo più vero, il "sottosuolo" del sé? Vitangelo cerca di sorprenderlo mentre si affaccia in un lampo alla superficie della coscienza, ma lo snidamento dell'io segreto, incalzato come un nemico da costringere alla resa, non dà gli esiti desiderati. Appena balenato, lo sconosciuto svapora e si ricompone negli atteggiamenti già noti dell'io di superficie" (Pirandello, 1994, 26-27). 6 Non si trova niente di scritto, come afferma Luzio, fino al XVIII secolo, quando il nome del fornaretto compare nel Registro dei giustiziati. 725 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 non avrebbe dato a siffatta riparazione o poco o tanto di quella pubblicità clamorosa, con cui fu rivendicata da ingiusta condanna la memoria di Antonio Foscarini? Ad un governo, che riposava non solo sul trepido rispetto, ma pur anco sull'amore e l'ammi-razione devota del popolo, non poteva tornar indifferente che si perpetuasse, senza smentita, la tradizione d'unainiquitàimpunita einespiata"(Luzio, 1912, 106).7 Vari documenti asseriscono come, dopo la ritrovata innocenza del fornaretto, per ricordare la sua tragica fine si sia incominciato ad illuminare durante la notte con due lampade l'immagine della Madonna situata sulla facciata della chiesa di San Marco. Attraverso gli scritti lasciati dal Stringa, si arriva alla conclusione che le due lampade non sono state messe nella Piazzetta dei leoncini per ricordare la sorte che è toccata al povero fornaretto, poiché è lo Stringa stesso ad affermare che durante la sua vita era usanza accendere una lampada, regalata alla Serenissima da un capitano mercantile Dalmata, il quale era riuscito a salvare la propria vita seguendo un lumicino che era stato posto vicino all'immagine della Madonna (Tassini, 1966, 11C). Secondo l'opinione espressa da Luzio, "la leggenda non è niente affatto di origine popolare: è pretta invenzione di eruditi, di compilatori di notizie storiche, attinte a casaccio, ripetute senza discernimento" (Luzio, 1912, 1C6). In questo saggio Luzio afferma che, attraverso il racconto del fornaretto, si vuole dare una visione negativa e diffamatoria della Repubblica di Venezia per far vedere, poco prima della caduta della Serenissima, (già in piena crisi e dunque vista in modo decadente dall'Europa e soprattutto da Napoleone) che la Repubblica non era stata in grado di superare, come gestione del governo e della giustizia, le monarchie presenti negli altri Stati. Al contrario di quanto asserito da Luzio la leggenda sembra essere nata dal popolo poiché, Dall'Ongaro scrivendo il suo dramma, afferma di essersi basato non solo sui documenti a lui pervenuti, bensi "dalla viva voce degli ultimi testimoni superstiti e dalle cronache venete". La leggenda che è in tal modo di origine popolare, giunta agli orecchi di chi era assegnato a compilare i registri, è stata scritta senza che il compilato-re avesse un riferimento certo della sua autenticità, dandola per scontata poiché era una leggenda conosciuta e discussa da tutti. Su di essa si innesta la stessa Lista dei giustiziati, poiché non ci sono dei documenti antecedenti che descrivono quanto ivi riporta-to. La storia del fornaretto è riuscita a passare da racconto orale a fatto messo per iscritto, facendo in modo che la leggenda perpetuasse nel tempo come qualcosa acca-duto realmente. Dalle prime testimonianze scritte prende avvio tutta una letteratura di taglio borghese che porta alla produzione di una serie di drammi e romanzi che hanno come punto di riferimento solamente la struttura base della leggenda. 7 Antonio Foscarini é un'altra vittima del sistema giudiziario veneziano. Ex ambasciatore in Inghilterra, nel 1622 viene giustiziato per strangolamento per opera degli Inquisitori di Stato a causa di un'accusa di tradimento che poi si é rivelata falsa. Nicolo Contarini riesce a farlo riabilitare dal Consiglio dei Di-eci, ormai pero il Foscarini é gia morto (Cozzi, Knapton, Scarabello, 1995, 180). 726 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 STORIA DI UN ERRORE GIUDIZIARIO Esistono innumerevoli versioni della leggenda del fornaretto veneziano: c'è chi afferma che il vero omicida della storia sia un patrizio veneziano membro del Consi-glio dei Dieci8 e geloso della relazione amorosa tenuta dalla moglie con l'assassinato (anch'egli patrizio veneziano), e chi, invece, dà la colpa a un padre la cui figlia è stata disonorata dall'ucciso.9 Al contrario, in tutte le opere letterarie, l'identità della vittima dell'omicidio è sempre la stessa, poiché anche se il nome cambia leggermente dai drammi ai roman-zi, l'estrazione sociale rimane in qualsiasi caso quella di patrizio veneziano. È a causa della classe sociale a cui appartiene la vittima dell'omicidio che il processo intentato contro il fornaretto diventa un argomento molto discusso da tutti gli abitanti di Vene-zia. Nel momento in cui viene scoperto l'assassinio e l'estrazione sociale della vitti-ma, il governo ha bisogno subito di un colpevole per dimostrare di far giustizia ad un delitto e per prevenirne degli altri: incidentalmente l'assassino fin dal primo momento è identificato in un povero popolano, un semplice fornaio. A causa delle prove che sembrano essere tutte contro di lui, il fornaretto è condannato ancora prima di essere portato davanti ai membri del Consiglio dei Dieci e ivi processato. Si sa fin dall'ini-zio che Pietro non ha via d'uscita e che verrà giustiziato, ma i patrizi che decidono del suo destino vogliono far ammettere a Pietro la sua colpevolezza, e per fare ció non si fanno scrupolo di usare qualsiasi mezzo, fino ad arrivare alla tortura. Nella prefazione del dramma10 Il fornaretto, Dall'Ongaro sostiene che cercherà di rendere più veritiera possibile la descrizione del Consiglio dei Dieci che fa durante la stesura del racconto. Nell'affermare che nelle opere degli scrittori e drammaturghi è stata travisata la sua vera natura, egli mira a restituire le tinte originali a questa magistratura, cercando di attenuare la negatività che viene tramandata attraverso gli altri 8 Questa versione è quella che traspare dal dramma del Dall'Ongaro e dal romanzo di Ferruccio Fulin. 9 Questa seconda e meno conosciuta versione è narrata nel racconto di Arduino Cianchi. 10 "Il Consiglio de' X. da tutti i drammaturghi, e italiani, e stranieri, fu posto finora in iscena con tinte si cupe e circostanze si false, che reputai prezzo dell'opera presentarlo nella sua integrità, anche a costo di prolungare soverchiamente l'azione, e raffreddarne, come accadde, lo scioglimento. Ció era tanto più necessario, quanto al concetto morale del dramma importava che il giudizio de' X., ancorché falso e precipitato, apparisse nondimeno legale. Anche la tortura di cui si parla nel dramma, e alla quale sembrano accennare alcune parole del documento citato, era un mezzo legale a quel tempo, non solo a Venezia ma da per tutto. L'intendimento dell'autore [...] era quello di stabilire l'insufficienza dei soliti criteri legali per porre fuor d'ogni dubbio la reità d'un accusato; e il debito di non usare, o almeno assai parcamente, qualun-que pena che sia per sé irrevocabile. Un tale intendimento mentre lascia al Consiglio la minore colpabilità di una sentenza notoriamente in-giusta, è un omaggio indiretto reso alla mite prudenza dei recenti legislatori" (Dall'Ongaro, 1846; No-tizie intorno al fatto del povero forner). 727 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Fig. 1: Copertina del libro "Il povero fornaretto di Venezia. Racconto storico del secolo XVI", di Ferruccio Fulin, illustrazione di Tancredi Scarpelli. Sl. 1: Naslovnica Fulinove knjige "Il povero fornaretto di Venezia. Racconto storico del secolo XVI", ilustracija: Tancredi Scarpelli. 728 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 scritti. Il Consiglio dei Dieci, in realtà, non si presenta, come viene descritto in mol-tissimi romanzi e racconti dell'Ottocento, alla stregua di un tribunale che incute un terrore smisurato alla popolazione, portando anche una grandissima ingiustizia, ma si comporta come gli altri tribunali presenti in Europa e non usa metodi non approvati e non utilizzati dagli altri organi di giudizio. In più di qualche occasione, usa la tortura per far parlare il mal capitato, ma in quale paese, in quell'epoca, la tortura non è le-cita? Il drammaturgo arriva alla conclusione che il metodo usato dai Dieci per arriva-re a pronunciare la sentenza di morte verso il povero fornaio è più che legale e non ha niente di diverso rispetto alle altre sentenze che venivano pronunciate. Ma anche se il giudizio finale che hanno i vari membri rispetto alla situazione giu-diziaria del fornaretto non è giusto, poiché è innocente (questa sentenza sbagliata po-trebbe essere stata deliberata ed eseguita a causa della rapidità con la quale è stato condotto e terminato il processo), Dall'Ongaro non mette in dubbio nemmeno per un momento che il processo sia stato costituito in maniera legale come venivano costituiti tutti gli altri processi. Egli spiega che i criteri legali solitamente usati per carpire la col-pevolezza o meno dell'accusato non sempre sono sufficienti per comprendere la misu-ra del coinvolgimento dell'imputato e il ruolo che ha svolto nel caso da giudicare; al-cune volte bisogna andare più in profondità per capire come sono andati esattamente i fatti. Quando non si ha la certezza che una persona ha fatto una determinata azione, in questo caso quando nessuno ha visto l'imputato compiere l'omicidio, non si puô essere certi della colpevolezza, soprattutto sentendo l'accusato dichiararsi innocente e solo sotto tortura cedere alle pressioni dei membri del Consiglio e affermare la propria col-pevolezza. Bisogna pertanto infliggere una pena che sia revocabile nel caso si scopra che il vero colpevole è qualcun altro, cosa che non capita a Pietro poiché il Consiglio dei Dieci decretando la sua morte non puô più ritornare nei suoi passi quando viene a conoscenza della verità che il fornaretto era innocente e il colpevole era un'altra persona. Dall'Ongaro, attraverso gli argomenti utilizzati nella prefazione al dramma, si inse-risce nel filone dell'errore giudiziario, poiché giustifica quanto fatto dai membri del Consiglio dei Dieci durante tutto il processo; la giustizia veneziana non è terribile come viene vista da molta gente nel periodo in cui scrive il dramma, ma al contrario agisce in modo più che legale. Chiunque puô commettere un errore, anche una magistratura che sembra essere infallibile, ed è quello che succede al Consiglio dei Dieci nel processo contro il fornaretto, l'importante è che alla fine riconosca lo sbaglio commesso. Altro elemento importante del sistema giudiziario che ha portato all'emanazione di una sentenza al posto di un'altra completamente opposta è l'assenza di un difensore che operi durante il processo a favore dell'imputato.11 Giuseppe Marocco nel 1816 11 In tutte le forme e i generi in cui la storia del fornaretto é stata trasposta, il povero Pietro é costretto a difendersi da solo, senza l'aiuto di un difensore durante il processo avviato a suo carico per opera del Consiglio dei Dieci. 729 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 nella sua Dissertazione sulla necessità d'un difensore nelle cause criminali, parlando dell'entrata in vigore nel Regno Lombardo-Veneto del Codice penale universale austriaco del 1803 che prevedeva un giudice con funzioni di inquisitore e difensore, afferma che la presenza di un difensore è necessaria nelle cause criminali.12 Per enfa-tizzare le sue idee fa alcuni esempi di quanto successo nei vari secoli a imputati che non hanno usufruito della professionalità di un difensore durante lo svolgimento del processo. Uno di questi è la figura del mugnaio (come lo chiama nel suo scritto) di Venezia che, come afferma Marocco, è una vittima di questa fallace prova.13 Maroc-co sostiene che anche se un uomo viene trovato vicino ad un corpo trucidato, poco dopo essere stato commesso l'omicidio e con un coltello insanguinato in mano e per di più abbia minacciato varie volte l'ucciso, non è detto che sia colpevole anche se durante il processo ha confessato la sua colpa (Marocco, 1851, 7-23).14 Marocco ha un approccio totalmente differente verso la storia del fornaretto rispetto agli altri scrittori che affrontano questo tema, poiché la usa in maniera strumentale per dare degli esempi efficaci a quanto sostiene nello scritto. Il confronto è peró astorico in quanto la vicenda del fornaretto si sarebbe svolta in una realtà completamente diversa rispetto a quella in cui vigeva il diritto comune. Il momento più significativo di tutta la storia è da considerarsi la famosissima frase "Ricordeve del povero fornareto", presente in tutti i romanzi e drammi trattati, at-traverso la quale la magistratura del Consiglio dei Dieci ritorna ad essere un baluardo della giustizia; i membri dell'organo giudicante si rendono conto dell'errore commes- È noto che durante il governo della Repubblica di Venezia, nei processi con il rito del Consiglio dei Dieci, la figura dell'avvocato difensore è inesistente, poiché l'imputato è obbligato a difendersi con la sua propria voce e con l'unico mezzo che gli è permesso: la memoria. Gaetano Cozzi ha peró sostenuto nel saggio intitolato Autodifesa o difesa?Imputati e avvocati davanti al Consiglio dei Dieci che questa legge non è cosi rigida sul finire del XVI secolo, poiché vari personaggi di una certa leva-tura sociale sono stati aiutati nella loro difesa da avvocati che non possono essere presenti all'interro-gatorio del loro assistito, ma lo preparano affinché riesca a difendersi in maniera argomentativa e professionale (Cozzi, 2000, 156-161). Un esempio di questo è presente nell'introduzione di Claudio Po-volo a Il processo a Paolo Orgiano quando spiega il modo in cui Orgiano si è difeso: attraverso il modo di esprimersi si intuisce che per tutta la durata del processo dietro alle quinte ha lavorato un av-vocato che ha costruito la difesa su una serie di capitoli troppo complessi per essere opera dello stesso imputato (Povolo, 2003, XXIV-XXV). 12 Nel nuovo codice penale, la presenza di un difensore in aula durante il processo viene meno poiché questa figura non sembra necessaria per capire la colpevolezza o meno dell'imputato; il giudice è in grado di capire da solo se una persona è colpevole o innocente. 13 Ringrazio il prof. Ettore Dezza per avermi fornito questa indicazione. 14 Secondo quanto è scritto nel Codice penale universale austriaco, quando una persona confessa la sua colpevolezza non ci sono più dubbi: l'imputato è veramente colpevole. Con la confessione viene rag-giunto lo scopo della "piena prova": "è sulla confessione che il legislatore asburgico torna con parti-colare insistenza, tanto da dedicare alla disciplina dell'interrogatorio dell'imputato, o per meglio dire (secondo la tradizione terminologica) del "costituto del reo", buona parte dei paragrafi consacrati al-l'inquisizione speciale sia in materia di delitti che nelle gravi trasgressioni di polizia" (CPUA, 1997, CLXIX). 730 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 so giustiziando il povero Pietro e decidono di renderlo noto a tutti. Questa frase do-veva servire da monito per non commettere più un errore fatale come quello com-messo nel processo contro il fornaretto, doveva altresi essere un monito per controlla-re bene le testimonianze e le prove contro l'imputato, per non uccidere un innocente allo stesso modo in cui era stato ucciso il povero fornaretto. Attraverso la rivelazione e l'ammissione dell'errore compiuto, si delinea la grandezza del governo della Re-pubblica, la quale fonda la sua legittimità sulla verità e sulla giustizia. La leggenda ha origine nella percezione popolare di una giustizia terribile (il Consiglio dei Dieci) poiché il fornaretto non ha via di scampo da un crudele destino che lo vede vittima dell'omicidio allo stesso modo dell'assassinato. Questa giustizia sa perô, al tempo stesso, ammettere l'errore ed è l'ammissione a portare la leggenda a far parte del filone mitico della Repubblica di Venezia, nella quale non solo viene esaltata la giusta condanna, ma viene anche ammesso dai membri giudicanti l'errore, nel caso in cui fosse presente. IL FORNARETTO NELLE VARIE FORME D'ARTE Il fornaretto di Venezia resta a tutt'oggi la leggenda più popolare della storia della Serenissima poiché è riuscita ad oltrepassare la prova del tempo anche per merito delle varie forme divulgative con le quali ha interagito. Si passa dai dipinti e dise-gni15 raffiguranti Pietro Tasca alle commedie musicali, opere e drammi teatrali, opere cinematografiche: tutti generi che hanno contribuito nel loro modo specifico affin-ché la storia del fornaretto non venisse dimenticata. La forma di divulgazione più intensa e prolifica è la cinematografia, grazie alla quale la storia arriva a tutti indistintamente. Tre sono i film che il cinema italiano nel corso del '900 ha dedicato alla leggenda: Il fornaretto di Venezia16 del 193917 per la regia di Duilio Coletti (con lo pseudonimo di John Bard), La storia del fornaretto di 15 Il dipinto più famoso che raffigura Pietro Tasca è Il fornaretto in carcere di Mosè Bianchi conservato a Ca' Pesaro a Venezia, mentre per quanto riguarda i disegni molto particolari appaiono quelli di Luigi Gardenal poiché rappresenta varie fasi della vicenda successa al fornaretto. 16 Il racconto prende spunto dal dramma del Dall'Ongaro per narrare la storia del fornaretto. Qui sono presenti molti dei fatti scritti nel dramma ma ci sono delle diversità in alcuni dettagli rilevanti per quanto riguarda lo svolgimento della storia. La figura centrale nel film diventa quella del Capo dei Di-eci Marco Mocenigo, il quale svela, prima che sia troppo tardi, che il vero colpevole dell'omicidio altri non è che Lorenzo l'Inquisitore, riuscendo in tal modo a liberare il povero Pietro da ingiusta condanna. In questo lungometraggio traspare l'idea della visione mitica della Repubblica di Venezia nella quale i patrizi facenti parte della classe dominante sono giusti e leali e che solo alcuni possono, al contrario, essere avidi di potere tanto da far condannare ingiustamente un povero popolano. 17 In questi anni due registi italiani molto famosi, Blasetti e Camerini, cercando di trasporre l'opera let-teraria nel cinema danno il via ad un tipo di film che con il passare degli anni avrà molta fortuna. Mentre Camerini cerca di trasporre fedelmente da numerosi libri altrettanti film, Blasetti lascia spazio alla sua fantasia per trasformare libri in film (Guidorizzi, 1973, 22). 731 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Venezia18 del 1952 per la regia di Giacinto Solito e Il fornaretto di Venezia19 del 1963 per la regia di Duccio Tessari. Il primo e il terzo sono basati sul dramma storico di Francesco Dall'Ongaro, mentre il regista del secondo s'ispira al racconto storico di Cianchi Arduino riportando una storia sostanzialmente diversa dei fatti accaduti ai vari personaggi rispetto alle altre due versioni. Questi tre lungometraggi trasportano la leggenda da esempio di grave errore giudiziario tipico dell'Ottocento a qualcosa di diverso: è passato ormai più di un secolo dalla comparsa dell'Histoire de la République de Venise del Daru e la visione della Serenissima sembra cambiare. Già nella trama del primo film si denota uno spostamento degli obiettivi della leggenda: non si trova più in primo piano il processo al fornaretto e l'ingiusta condanna a morte, bensi la classica lotta tra il bene e il male dove, alla fine, a vincere è il bene: questa è la prima versione nella quale il fornaretto riesce a salvarsi da una morte ingiusta. 18 In questo film il tema centrale è la"vendetta di un umile padre che uccide un patrizio amante della fi-glia (Alvise Guoro), dopo che questi l'ha abbandonata non riconoscendo il figlio nato dalla loro rela-zione. Questo intreccio è sostenuto da quello originario della rivalità fra Marco Loredan e Alvise Guoro fomentata da Bianca, cortigiana molto ambiziosa, che una volta è stata amante del Guoro e ora lo è del Loredan. Spronato da Bianca, Loredan assolda un sicario per uccidere il Guoro, reo di aver sottratto a Bianca alcune lettere, prova della loro relazione fedifraga. In realtà, il sicario Barnaba, insolita figura di cantastorie che assolve al compito di Bravo e di spia, trova Alvise Guoro già morto, colpito da Nane il padre della popolana disonorata. Loredan, una volta veduto il fornaretto ingiusta-mente accusato dell'omicidio, si pente di quello che crede essere stato un delitto su sua commissione. Dopo aver abbandonato Bianca che fugge da Venezia, Loredan confessa al Doge il proprio delitto nel tentativo di salvare la vita al fornaretto, riconosciuto colpevole, ma il Doge antepone la ragione di stato alla verità, per "non creare disorientamento nel popolo e mancanza di credibilità sull'onorabilità di un patrizio destinato, con le sue azioni e le sue decisioni a reggere le sorti della Repubblica". A questo punto padre Fulgenzio, figura centrale dell'intreccio, colui che aiuta sin dall'inizio Arminia e cerca di convincere Alvise a riconoscere il figlio, e che aiuta da subito Lisa a dimostrare l'innocenza del suo amato fornaretto, raccoglie in punto di morte la confessione di Nane che scagiona il forna-retto." Alla fine tutto si sistema: Loredan torna a casa con sua moglie e il fornaretto si ricongiunge con la sua amata (Giuliani, 2003, 154-155). 19 Questa terza versione cinematografica del fornaretto è la più conosciuta e ha a sua disposizione tutti attori molto famosi nell'ambito della cinematografia italiana. "Questa ultima versione del fornaretto ritorna al senso originario del dramma di Dall'Ongaro e si libera di molte invenzioni consolidate dalla tradizione cinematografica. Innanzitutto sparisce la rivalità dovuta agli incroci fedifraghi fra le due coppie protagoniste del dramma. Anzi è lo stesso Lorenzo Balbo che chiede ad Alvise Guoro di cor-teggiare la sua amante, Sofia Zeno, in modo da tacitare le illazioni sulla loro reciproca frequentazione. In secondo luogo l'intreccio viene sgombrato da qualsiasi possibilità di variante che contrasti con il finale tragico dell'opera originaria. Le vicende seguono lo svolgimento del dramma, si vede da subito che il fornaretto è innocente anche se le lotte politiche che si creano attorno al caso non lasciano mai intravedere il lieto fine. L'incertezza invece riguarda il nome del vero assassino, Lorenzo Balbo, che viene scoperto solo nel finale, dopo un lungo lavoro investigativo di Sofia Zeno, la quale crede di gio-vare alla causa del suo amante" (Giuliani, 2003, 168). 732 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Fig. Z: "Il fornaretto in carcere " (1869) di Mosè Bianchi (olio su tela, 1S6 x 164 cm). Museo Ca ' Pesaro di Venezia. Sl. Z: Mosè Bianchi: "Mlinar Hrani Muzej Ca ' Pesaro v Benetkah. "Da una parte il mondo semplice e umile e i valori della fedeltà e del matrimonio, rappresentati dalla coppia Pietro e Annetta, onesti leali e coraggiosi, e dall'altra la sete di potere il senso di corruzione e di degrado morale che traspare dai rapporti della coppia Olimpia Zeno eLorenzo, l'inquisitore" (Giuliani, 2003, 126). Attraverso questa trasposizione del dramma di Dall'Ongaro, si capisce che in Italia il modo di interpretare e di far percepire al pubblico la leggenda è notevolmente cambiato: in questa nuova versione del racconto si intrecciano due tipi di vita diversi con la rappresentazione della coppia povera Pietro-Annetta in contrapposizione alla coppia ricca e potente Olimpia-Lorenzo. "La semplicità del malinteso che, nel dramma di Dall'Ongaro fa emergere ancora più tragico l'errore finale, nel film, diventa un incrocio di tradimenti e di amanti in una lotta fra due coppie fedifraghe, animate da un senso di rivalsa e di vendetta nei confronti dei rivali in amore e in politica. Si perdono tutte le manifestazioni del- 733 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 l'ambiguità del dramma originario a partire dalpersonaggio mascherato che perseguida la coscienza dell'assassino e la cui identità (nel dramma non rivelata) nel film viene assunta da Marco Mocenigo "Capo dei Dieci " e rappresentante della giustizia " (Giuliani, 2CC3, 126). In questa breve descrizione si denota nella storia del fornaretto un cambiamento radicale nei valori e nelle idee trasmissibili con la leggenda, passando all'umanità dei personaggi sia come elemento emotivo sia come indicatore dei loro sentimenti. In que-sta versione del racconto il personaggio che interpreta l'uomo mascherato che perse-guita Lorenzo è il Capo del Consiglio dei Dieci, capovolgendo cosi l'idea della giusti-zia corrotta. Se il capo di quel consiglio che deve giudicare il fornaretto sa che Pietro è innocente e la colpa è tutta di Lorenzo, la questione cambia prospettiva, perché la giustizia non è più da considerarsi corrotta, poiché c'è solo una mela marcia nell'albero, ed eliminata, la giustizia torna ad essere un baluardo della sincerità rimuovendo le ingiu-stizie. Altro elemento significativo del cambiamento delle idee e dei valori della storia ottocentesca si trova nell'happy end del lungometraggio: quando ormai la speranza per la salvezza del fornaretto dalla forca sembra venuta meno, Marco Mocenigo fa il suo ingresso nella sala del tribunale e annuncia a tutti i presenti che il vero colpevole del-l'avvenuto omicidio è Lorenzo Loredano il quale decide di togliersi la vita per non sopportare l'onta del disonore; Pietro torna cosi in libertà e puô sposare la sua fidanza-ta. Passano alcuni anni dalla prima versione cinematografica del fornaretto e il cinema italiano cambia sempre più: quando l'Italia esce dall'era fascista, nel cinema inizia a farsi strada il neorealismo.20 L'Italia, che da poco è stata liberata dai tedeschi, sente il bisogno di estendere queste emozioni attraverso il cinema. Negli anni cinquanta c'è la tendenza a ritornare al rapporto tra cinema, letteratura e storia, ed è proprio in questi anni che si stende e si gira la seconda versione della leggenda sul fornaretto. Con una sceneggiatura del tutto diversa rispetto alla trama proposta dal Dall'Ongaro, si pone in un filone nel quale la visione totalmente negativa tipica del secolo XIX della giustizia veneziana scompare lasciando perô intravedere alcuni aspetti discutibili della giustizia non solo veneziana ma europea dell'età moderna quali la tortura che nel film diventa il momento più crudo e intenso di tutta la narrazione. Dopo aver subito le prove più dure che si possano infliggere ad una persona, Pietro riacquista la libertà e con questa la giustizia veneziana riacquista la sua integrità nel panorama italiano e non solo. 20 I registi più famosi (Rossellini - Visconti - De Sica) propongono le fasi della guerra e della realtà del dopoguerra. I film vengono girati per strada con la gente che passa normalmente. Il dramma della guerra nei film non viene rappresentato da attori famosi, ma da persone comuni che vivono in quei luoghi e che sono propri dei mestieri che vengono interpretati. Con questo si vuole rappresentare uno spaccato di realtà e guardando al verismo il regista cerca di farsi vedere al minimo nell'opera cinematografica. Gli attori rappresentano loro stessi e soprattutto attraverso La terra trema si puô vedere che l'italiano non è lingua dei poveri; per questo nella maggior parte dei film si parla in dialetto (Gui-dorizzi, 1973, 31-37). 734 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 Con la versione del 1963, la storia del fornaretto ritorna ai suoi colori classici ottocenteschi: il dramma di Francesco Dall'Ongaro viene ripreso in mano e letto atten-tamente dal regista Duccio Tessari. "Questa ultima versione del fornaretto ritorna al senso originario del dramma di Dall'Ongaro e si libera di molte invenzioni consolidate dalla tradizione cinematografica. Innanzi tutto sparisce la rivalité dovuta agli incroci fedifraghi fra le due coppieprotagoniste del dramma. [...] La vicenda, per come viene raccontata da Tessari, recupera un aspetto eminentemente politico: la responsabilité di un popolano nell'omicidio del nobile Alvise Guoro sconfessa le ragioni che il "moderato" Lorenzo Balbo pone all'attenzione del Consiglio dei Dieci a favore di un allargamento dello stesso consiglio alle rappre-sentanze politiche del popolo. Il gesto di cui si accusa il fornaretto, rende troppo evidenti le ragioni di chi, all'interno del Consiglio, teme uno squilibrio dipoteri e un danno per l'ordine pubblico" (Giuliani, 2003, 168-169).21 Quello che il Consiglio non sa ancora è che a commettere l'omicidio non è stato un popolano, bensi un patrizio, lo stesso Lorenzo Balbo, il quale solo quando ormai è troppo tardi ha il coraggio di confessare quello che ha fatto. Nel dramma di Dall'Ongaro non si trova un Lorenzo Balbo come viene sceneggiato da Tessari e Fondati: il personaggio ha molte sfumature contrastanti tra le due trasposizioni. Nella versione per il teatro del 1846, Lorenzo viene descritto come un uomo privo di scrupoli e sen-za sentire una certa colpevolezza per l'arresto ingiusto del fornaretto, è contento di non essere stato scoperto. Al contrario nella versione cinematografica di Tessari, Lorenzo è pervaso, lungo tutta la durata del film, da un senso di colpevolezza che lo at-tanaglia e non lo abbandona mai; cerca in tutti i modi di salvare Pietro da una fine in-giusta cercando nello stesso momento di salvare anche la sua reputazione e la sua famiglia da uno scandalo che potrebbe essergli fatale. "Da una parte, Balbo, ormai sopraffatto dal rimorso, vuole confessare al Consiglio il suo crimine e dall'altra sua moglie e Sofia Zeno che lo sconsigliano dal confessare adducendo ragioni di rispettabilité famigliare e di convenienza politica. Anche gli Avogadori cui si rivolge Balbo optano per la ragion di stato, ma Balbo, non convinto ("Ció che mi proponete é un compromesso, ma una mezza verité é peggio della menzogna "), corre in Consiglio per fermare il giudizio, arrivando peró a cose fatte" (Giuliani, 2003, 169). L'aspetto politico della vicenda prevale sulla verità dei fatti; per ragioni di sicu-rezza interna si lascia morire una persona innocente e si cerca di insabbiare le prove 21 Giuliani afferma che Lorenzo Balbo desidera allargare il Consiglio dei Dieci alle rappresentanze politiche del popolo, cosa che sicuramente a quel tempo non poteva avvenire e non poteva nemmeno essere stata proposta. Questa aggiunta da parte di Tessari e Fondati, da una parte vuole dare allo spet-tatore una visione più bella della figura del patrizio Balbo mentre dall'altra c'è una mescolanza del fatto come è stato tramandato con le idee che erano diffuse durante gli anni '60 del '900. 735 Sonia RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 che portano alla colpevolezza di un patrizio che compone la magistratura del Consi-glio dei Dieci. Al termine del film, quando finalmente il Balbo confessa ai suoi col-leghi la sua colpa, lo fa invano, poiché nessuno batte ciglio: è stato giustiziato già qualcuno per quel reato e dunque non c'è più bisogno di altri colpevoli. Il fornaretto è stato ucciso se pur innocente, mentre il patrizio assassino, resta in libertà e non viene nemmeno processato. Appena un anno dopo l'ultima trasposizione cinematografica della storia del fornaretto di Venezia, il regista Antonello Falqui decide di fare una commedia musicale della vicenda capitata a Pietro Tasca. Avente come protagonisti e co-sceneggiatori insieme a Falqui e Dino Verde, Tata Giacobetti, Lucia Mannucci, Felice Chiusano e Virgilio Savona (ovvero il Quartetto Cetra), il racconto fa parte di una serie di sce-neggiati tratti da altrettante opere letterarie.22 Come dice il regista in una sua intervista, lo scopo di queste commedie musicali era di: "Divertire e fare passare il tempo piacevolmente vedendo qualcosa di elegante. " (Fornario, 2001).23 Il regista Falqui prende in mano il dramma del Dall'Ongaro e lo traspone fedel-mente nel piccolo schermo poiché assieme all'episodio della tortura, non manca il finale drammatico nel quale il fornaretto viene giustiziato anche se innocente. Significativa è la frase finale della commedia pronunciata da una popolana veneziana "Ri-cordeve del povero fornareto", poiché è la prima volta che, anche se presente nel dramma del Dall'Ongaro, viene pronunciata in un'opera audiovisiva portando in tal modo lo spettatore ad avvicinarsi maggiormente alla stesura più conosciuta della storia. Negli anni in cui è di moda trasporre al cinema e in televisione i grandi capolavo-ri della letteratura, Il fornaretto di Venezia riesce a crearsi un posto tutto suo non solo attraverso il grande schermo ma anche ad appassionare le persone attraverso la tele-visione. 22 Della serie delle opere letterarie sceneggiate fanno parte 8 puntate: Il conte di Montecristo, I tre mos-chettieri, Via col vento - La storia di Rossella OHara, Il dottor Jekyll e mister Hyde, Il fornaretto di Venezia, La primula rossa, Al Grand Hotel e Odissea. 23 Di questi anni sono gli sceneggiati televisivi che la Rai propone al pubblico italiano e che sono tratti da opere letterarie e da scrittori molto conosciuti e molto importanti tra cui La freccia nera tratto dal libro omonimo di Robert Stevenson, Ipromessi sposi tratto dal romanzo di Manzoni, ... E le stelle stanno a guardare tratto dal libro avente lo stesso titolo di A. J. Cronin e David Copperfield di Charles Dickens. Tutte queste trasposizioni sono costruite in più puntate e molte hanno contribuito ad af-fermare la fama del regista e sceneggiatore Anton Giulio Majano. Questo è stato un modo per far "leggere" a tutti, anche alle persone meno acculturate, alcuni grandi capolavori italiani e stranieri facendo divertire, coinvolgere e immedesimare gli spettatori nei personaggi delle varie storie. 736 Soma RADI: IL FORNARETTO DI VENEZIA TRA LETTERATURA E CINEMA, 721-738 MALI BENEŠKI PEK MED LEPOSLOVJEM IN FILMOM Sonia RADI Univerza Ca' Foscari, IT-30125 Venezia, San Polo 2306 e-mail: sonia.radi@libero.it POVZETEK Beneški pek Pietro Tasca je eden najbolj znanih likov v zgodovini Beneške republike. Aretacija in kasnejša smrtna obsodba tega fanta zaradi neutemeljene krivde i- sani o njegovem nesrečnem življenju. Zgodba o Pietru je legenda, ustvarjena konec 18. stoletja, saj vsebine dram in romanov ne podpirajo dokumenti, ki bi lahko dokazali avtentičnost zgodbe. Neutemeljena krivda je v 16. stoletju izvirala iz sodišča Sveta desetih, ki je, ko je doumel storjeno napako, takoj prevzel vso odgovornost in lik peka družbeno rehabilitiral. Zgodba o tem dogodku je postopoma postajala vedno bolj znana, do te mere, da je začela zanimati svet filma in televizije. V zgodnjih šestdesetih letih 20. stoletja so bili narejeni trije italijanski filmi, vsak z drugačno pripovedno nitjo, leta 1964je svojo različico legende na oder postavila tudi ena najslavnejših televizijskih skupin tistega časa, Quartetto Cetra. Pekova drama se umešča v zgodovinski tok 19. stoletja, v katerem so romanopisci številne dogodke iz Beneške republike oprli na mit ali antimit. Legenda je bila ustvarjena, da bi posredovala mitsko podobo Benetk, saj se z odkritjem in priznanjem storjene napake riše veličina oblasti Republike, ki svojo legitimnost utemeljuje na resnici in pravici. Ključne besede: legenda, mit, sodna napaka FONTI E BIBLIOGRAFIA Cozzi, G. (2GGG): Autodifesa o difesa? 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