ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1997-11-01 UDC 340.13:340.141(450.34)"15" 34(450.34):929 Matteazzi A. QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO IN UN GIURISTA "CULTO" DI FINE CINQUECENTO Giovanni DIQUATTRO IT-Marostica (Vicenza), Via della Repubblica 18 SINTESI Angelo Matteazzi (1535-1600), giurista culto, propone nel trattato "De via et ratione artificiosa iuris universi. Libri duo" (Venezia, 1591), un sistema integrato di fonti del diritto, tale da far coesistere in un unico quadro giuridico-costituzionale il diritto veneto ed il diritto comune. Ne fa discendere, tra l'altro, la liceitä del-l'applicazione del diritto successorio veneto in cause riguardanti famiglie della Ter-raferma veneta. La figura di Angelo Matteazzi e poco conosciuta, benché sia stato giurista tutt'altro che minore: fu riscoperto e apprezzato agli inizi del secolo da Biagio Brugi; e stato ricordato da Aldo Mazzacane quale "il frutto piú maturo per il diritto veneto" nel filone degli scritti metodici della giurisprudenza di diritto comune; il suo progetto politico, del quale si esaminera in questo saggio un particolare aspetto, ha da ultimo interessato Claudio Povolo.1 Angelo Matteazzi2 nacque a Marostica nel 1535. Si laureo giovanissimo all'uni-versita di Padova, in iure civili, l'11 gennaio 1552.3 Ottenuto il titolo dottorale esercito l'avvocatura a Padova e a Venezia, frequentando la casa di Antonio Fac-chinetti, in quel tempo Nunzio Pontificio,4 ed inoltre colti cenacoli come quello di "Aenonae Episcopum Lauredanum,5 qui unaquaque ebdomade litteratis viris conu-iuium apparare solitus erat, eoque perpetuo Mattheacium invitabat, maxime vero cum aliquis Philosophus magni nomini affuturus esset, vt saepe aderat Spero Spe- Per le opere di questi autori vedi le successive note, e la bibliografia. I documenti archivistici su Matteazzi sono scarsi ed occasionali. Per le biografie a stampa, piu o meno attendibili, vedi la bibliografia. Archivio della Curia Vescovile di Padova, Diversorum 54, c. 217 v. All'Archivio Antico del-l'Universita e conservato un breve regesto (AAUP, b. 143, f. 498). Giovanni Antonio Facchinetti, il futuro papa Innocenzo IX (29 ottobre 1591 - 30 dicembre di quello stesso anno). Forse si tratta di Pietro Loredan, morto nel 1577, patrizio veneziano, senatore e vescovo. 193 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 ronius, saepe Archangelus Mercenarius,6 quibuscum ille acerrime disserere con-sueuit, & aliis in celebri Academia Francisci VenerijPhilosophi summi" Riccobono, 1598, 58v). Della sua attivita forense, che presumibilmente si interruppe una volta iniziato l'insegnamento, viene ricordato il patrocinio a favore di un cittadino padovano (1577), Mainardo Bigolin, massaro del Monte di Pieta di Padova, ovvero ammi-nistratore delle rendite del Monte, manifestamente colpevole di peculato, e che il Matteazzi difese brillantemente.7 Nel 1573 presto la sua opera al servizio della Repubblica in qualita di assessore nella corte pretoria8 di Cividale del Friuli, giurando in qualita di vicario nell'ottobre di quell'anno. Nel registro dei giuramenti dei rettori e qualificato per "Angelus Mathiacius doctor de Marostica vicarius".9 Nel 1578 comincio la sua carriera universitaria. Gli scolari giuristi, specialmente tedeschi, avevano invano desiderato il Mureto10 per la istituenda cattedra di Pandette nello Studio di Padova,11 con la creazione della quale la Repubblica cercava di soddisfare le vive richieste della natio Alemanna. La cattedra di Pandette, da non confondersi con quella del Digesto o ius civile, avrebbe dovuto rispondere alle esi-genze che si erano manifestate nel corso del XVI secolo nell'ambiente accademico italiano e transalpino, comunemente ricomprese sotto la denominazione di Scuola Culta. L'obiettivo dichiarato era il rifiorire dell'esegesi del puro testo latino delCor-pus Iuris giustinianeo sepolto da strati secolari di glosse, commenti e auctoritates, tanto vituperati dai nuovi giuristi umanisti. Arcangelo Mercenario, lettore di filosofía, muore nel 1585. 7 Nell'Archivio di Stato di Padova (in seguito ASP) e conservato il Volume di atti giudiziari del S. Monte di Pieta contro i fideiussori di Mainardo Bigolin, gia massaro (ASP, Sacro Monte di Pieta, b. 55). 8 I rettori erano coadiuvati da assessori, di solito quattro o tre nelle citta piu importanti e da due camerlenghi. Ognuno di costoro era poi accompagnato da un cancelliere cui era affidato il disbrigo delle pratiche amministrative. Nel caso specifico di Cividale del Friuli, era previsto un solo assessore. Il vicario pretorio era il piu importante fra gli assessori, aveva pero solo giurisdizione civile. Poteva giudicare in sostituzione del podesta in qualita di vicereggente provvisorio e in tal caso le sue sentenze, dello stesso valore di quelle pronunciate dal podesta, venivano trasmesse a Venezia in grado d'appello. Aveva poi il delicatissimo compito di assistere il padre inquisitore nei processi formati nel Sant'Uffizio. Cfr. Povolo, 1980, 156-159; Povolo, 1991. 9 Archivio di Stato di Venezia (in seguito ASV), Capi del Consiglio dei Dieci, Giuramenti dei Rettori, Reg. 4 (1560-84), c. 122v. 10 Marco Antonio Mureto: allievo del Cuiacio. Nel settembre 1569 al Riformatore allo Studio Marino Cavalli, in visita a Padova, gli scolari tedeschi avevano raccomandato di chiamare all'insegna mento dalla cattedra di Umanita o il Sigonio o il Mureto. Quest'ultimo gia da tre anni era professore di Pandette a Roma, suscitando non poche perplessita e contestazioni da parte dei professori piu tradizionalisti. 11 Cfr. Brugi, 1912a, 343-344. La cattedra di Pandette fu istituita in non tutte le Universita dell a peni-sola ed ebbe vita breve, incerta e stentata, presto riassorbita dal mos italicus docendi o, come si diceva altrimenti, dal magistraliter docendi . 194 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 Il 12 luglio 1578, dopo l'esame preliminare in Collegio svoltosi due giorni prima, in virtù di una parte presa in Pregadi con 168 voti favorevoli, 5 contrari e 8 non sinceri, il Matteazzi fu nominato docente di Pandette nello Studio di Padova12 Si sa da più fonti che la riuscita del Nostro nell'insegnamento di quella materia, cosí nuova e inusuale per il corso degli studi universitari, fu lusinghiera, La cattedra gli venne successivamente riconfermata con una votazione in Senato tenutasi il 9 ottobre 1587, e approvata con 11O voti de parte, 5 de non parte, e 5 non sinceri, dopo esser stata esaminata dal Collegio l'8 ottobre, e lo stipendio gli fu portato a trecento fiorini.13 Nel 1589 Matteazzi passé alla cattedra di diritto civile, al primo luogo della mattina, la cattedra più prestigiosa di tutto l'ateneo, al posto di Giacomo Menocchio richiamato a Pavia. Suo successore alla cattedra delle Pandette fu Marco Antonio Ottelio, da Udine, ma gli studenti, specialmente quelli della nazione germanica, non ne furono egualmente soddisfatti.14 La cattedra, vista dai più come un inutile doppione di quella di diritto civile, snaturata nella sua funzione di riscoperta filologica e storica del diritto antico, aveva finito per ridursi, già pochi anni dopo la sua istituzione, per gli studenti ad una specie di propedeutica assai semplificata allo studio del diritto civile, e per gli insegnati che la ricoprivano ad un trampolino per accedere alla più eminente catedra di ius civile. Non a caso, l'Ottelio come rimpiazzé il Matteazzi nella lettura delle Pandette, cosí gli subentré, dopo la morte, nell'insegnamento di diritto civile. Con parte presa in Senato il 28 settembre 1589, due soli anni dopo la riconferma nell'insegnamento delle Pandette, avallata da 139 voti favorevoli, 7 contrari e 2non sinceri, il Matteazzi vide coronata la sua carriera di docente universitario1. 5 E anche questa cattedra fu riconfermata alla scadenza del mandato, per la solita durata di sei anni e lo stipendio venne portato a 4OO fiorini. La nuova nomina fu votata in Pregadi il 24 settembre 1596, con 129 voti favorevoli, 4 contrari e 7 dubii, dopo esser stata dibattuta in Collegio il 25 luglio. 1? ASV, Senato Terra (in seguito ASV, ST), registro 52, alla data. Vedi anche la filza dello stesso fondo, alla data. ASV, ST, registro 57, alla data, dove sono annotati anche i nomi dei Riformatori che proposera la nomina: Aluisius Zorzi, Zuan Michiel kavalier procurator e Lorenzo Prioli. Vedi anche AAUP, ms 659, c. 95, dove si trova una copia settecentesca della ducale di nomina. 14 Si veda al riguardo una lettera-esposto, in ASV, Riformatori dello Studio (in seguito ASV, RDS), b. 419, lettera inviata ai Riformatori allo Studio, senza data né firma, ma dichiaratamente espressione del malcontento dei colleghi dell'Ottelio, e che illustra ottimamente le conclusioni cui è giunto il Brugi a proposito dell'insegnamento delle Pandette nelle Università italiane, secondo gli inten-dimenti della giurisprudenza nostrana. 15 ASV, ST, registro 59, alla data, nonché la filza dello stesso fondo, alla data; vedi anche la copia della ducale che ufficializza la nomina, conservata in AAUP, ms 657, cc. 28 e 29. 195 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 Una ipotesi puo esser ragionevolmente avanzata circa il diverbio che nel 1590 lo oppose ad un altro professore dello Studio, Bonifacio Rogerio,16 figlio d'arte se cosí si puo dire, che dal 1572 insegnava ius civile al secondo luogo pomeridiano:17 è infatti verosimile che alla base del dissidio vi fosse l'invidia del Rogerio nei confronti di un collega passato direttamente da una cattedra minore a quella più prestigiosa; che, in altre parole, il Rogerio si fosse visto negare una 'promozione' che sentiva meritata. La contesa rivestí le forme tutt'altro che inconsuete della disputa per il diritto di precedenza sulla pubblica via. Fallita la mediazione delle autorità cittadine, il 6 febbraio 1591 sulla controversia si pronuncio la Quarantia Criminal. La causa venne decisa (sarebbe meglio dire messa a tacere) con una ducale dalla quale emerge chi-aramente la preoccupazione di non mettere continuamente in discussione la gerarchia degli onori stabilitasi per consuetudine all'interno del corpo docente nell'ateneo patavino (ASV, Quarantia Criminal, b. 108, c. 102). Non si trattava solo di tenere sotto controllo la litigiosità tra insegnanti ed evitare che si trasmettesse a tutto l'ambiente, studenti compresi, turbando il buon funzionamento delle lezioni. Ma forse si temeva anche (o soprattutto) di invalidare il sistema di controlli sul ceto degli intellettuali di Terraferma gravitante attorno all'Università, sistema fondato sulla nomina alle condotte, sugli stipendi assegnati, e sulle gratificazioni di status intimamente connesse a, e graduate secondo la diversa importanza di ciascun incarico. Attenersi all'usata consuetudine, rispettando le superiori decisioni circa l'assegnazione a questa o a quella docenza: questo l'invito esplicito ai due contendenti. Soprassedere, se proprio ve ne fosse bisogno discutere direttamente con Venezia, attendersi una risposta positiva, una mediazione, dall'unica autorità in fin dei conti legittimata a fornirla. In tal modo si riaffermava l'esautoramento di ogni altro centro di potere a livello locale nelle questioni riguardanti lo Studio, rivestendo le uniche autorità aventi voce in capitolo, Riformatori e Rettori, semplicemente il ruolo di rappresentanti in loco e longae manus della Dominante. Ma la disputa non termino con la pronuncia del supremo tribunale centrale. Dice infatti il Riccobono: "Nihil tamen declaratum est: sed tantum Apologia Mattheacii in manibus studiosorum versata est" (Riccobono, 1598, 96). Questa opera, pubblicata nello stesso anno 1591 ripropone al lettore le argomentazioni addotte dal Rogerio e le puntuali confutazioni del Nostro. L'avversario non ebbe tempo di rispondervi 16 Sul Rogerio vedi Riccobono, 1598, 39. 17 Luoghi Venivano cosí chiamati i corsi universitari che si tenevano lungo l'arco della giornata. Ad esempio, la cattedra di Ius Civile, la piü prestigiosa della facolta di Giurisprudenza, era strutturata secondo due fasce orarie di lezione, dette cattedre, a loro volta ripartite in tre luoghi. La cattedra piü importante era quella di ius civile matutinus, dichiarata dal Senato veneto con un decreto del 1493 principalis ceteris omnibus Gymnasii: era istituita con tre luoghi. A ciascuno dei tre lettori era affidato il compito di leggere e spiegare, una ben specifica parte del Codice giustinianeo. Veniva poi la cattedra di ius civile vespertinus, anch'essa ripartita in tre luoghi. Cfr. Brugi, 1888, 5052; Facciolati, 1756. 196 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 perché morí poco dopo. Nel 1594 l'imperatore Rodolfo II d'Asburgo nomino il Nostro conte palatino e cavaliere. Morí dopo breve malattia il 10 febbraio 1600, a quanto risulta da una lettera inviata dai rettori cittadini ai Riformatori, e datata il giorno successivo "... soggiongendosi, che heri mancó di vita l'eccellentissmo dottor et cavalier Mattiazzo in capo di tre o quattro soli giorni, che e stato amalato, la perdita del quale siccome e doluta grandemente a tutto questo Studio, cosí credendo che sara intesa da Vostre Signorie Illustrissime con molto dispiacere".18 Fu sepolto nella Basilica del Santo a Padova. L'opera piü importante del Matteazzi é il trattato 'De via et ratione artificiosa iuris universi. Libri duo", edito per la prima volta a Venezia nel 1591.19 Nell'opera si colgono due versanti: uno riguarda l'elaborazione di un 'sistema del diritto', ed é l'aspetto piü conosciuto (Brugi, 1915; Mazzacane, 1980). L'altro indirizzo di lavoro propone una teoria generale dell'ordinamento giuridico che, per le radicali e innovative tesi politiche sottese, diventa un "sistema dello stato". Sono piani di lavoro solo apparentemente separati, o separabili: come é gia stato sottolineato (Cavanna, 1982; Orestano 1987), il progetto di riforma del sistema giuridico non prescindeva, anzi completava la preliminare riforma istituzionale delle compagini statuali tardo-medioevali. Occorreva infatti, superare l'ipotesi di societa corporata, tipica del tardo medioevo, nell'accezione di un pluralismo istituzionale e giuridico, che frammentava il principio gerarchico frapponendo tra il civis e lo stato una selva di enti intermedi (Prodi, 1992). All'interno di quel quadro di riferimento, collegare e connettere il diritto romano-giustinianeo, il diritto per eccellenza dell'unico princeps, agli ordinamenti particolari, agli statuti comunali, al diritto della Chiesa, era stato l'obiettivo e il vanto della Scuola giuridica medioevale dei Glossatori e dei Commentatori, o Post-glossatori, e il risultato, che per secoli garantí la ordinata convivenza delle comunita, fu lo ius commune. La Culta giurisprudenza, movimento dottrinale germinato dalla costola dell'Umanesimo rinascimentale, si scaglio violentemente contro la vecchia giuri-sprudenza, accusandola di aver pervertito, stravolto, imbarbarito il diritto giustinianeo. Ma rifiutare il diritto comune, voleva dire anche rifiutare il tipo di societas che lo aveva prodotto. Il mutamento della cultura giuridica e dei suoi prodotti non era pen-sabile senza il mutamento del quadro istituzionale: quanto piü debole si presentava il potere centrale di fronte ai ceti, agli ordini, alle citta, tanto meno attuabile e radicale diveniva la riforma del diritto. Non a caso gli esiti estremi della Scuola Culta si ebbero in Francia, paese dove la monarchia era piü avanti sulla strada dell'accentramento amministrativo e istituzio- 10 ASV, RDS, b. 419. Taie lettera riguarda tutt'altro argomento, comunicando ai Riformatori l'appiana-mento di certe questioni riguardanti il monastero dei Santo in Padova. 19 Anche la seconda edizione venne stampata a Venezia nel 1593, la terza è dei 1601. Per le altre opere scritte dall'autore, vedi in bibliografia. 197 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 nale. In Italia, diversamente, frammentazione territoriale, marginalité politica rispetto alie grandi trasformazioni del continente europeo, deboli poteri statali, una forte tradizione giurisprudenziale e accademica, non davano sufficiente impulso a riven-dicazioni radicali. Sottolinea ripetutamente il Brugi che un mutamento nel panorama della cultura giuridica italiana (egli non si occupa del versante istituzionale) ci fu comunque, ma con i tempi e i modi che il contesto culturale e istituzionale della penisola imponeva. Sempre il Brugi, sottolinea sovente nelle sue opere come il mos italiens non avesse generato poi tante disaffezioni fra gli studenti delle Université italiane: anche nelle nationes transalpine, ed in particolare tra gli stessi studenti germanici che tanto si erano dati da fare per l'istituzione della cattedra di Pandette, rimaneva vivo il desiderio di vedersi insegnare una disciplina pratica, nella quale la critica filologica servisse si da correttivo alle degenerazioni dell'interpretazione giurisprudenziale del diritto, ma non sviasse il corso degli studi dal suo naturale fine di preparare avvocati e giureconsulti.20 Angelo Matteazzi è, dal punto di vista della dottrina giuridica, un giurista culto, ma un culto all'italiana. Perfettamente in sintonia con gli esiti più maturi e respon-sabili della cultura giuridica accademica nostrana, ha un approccio sobriamente pragmatico ai testo sacro del Corpus Iuris. Il suo giudizio sul Corpus è ben distante dall'astrattismo, in fondo poco 'storicistico', di tanti altri esponenti della Scuola Culta: egli infatti affronta la questione dello scarso ordine della compilazione giustinianea, cavallo di battaglia dei Culti, con buon senso e comprensione E' vero che manca ordine e metodo, ammette in sostanza, ma ció non va ascritto ad un perverso disegno di stravolgimento delle fonti classiche, bensi ad alcune sfortunate coincidenze, le quali condizionarono fortemente lo spoglio e l'ordinazione del materiale selezionato. Anche se alla luce della moderna critica storica e filologica l'analisi del Matteazzi appare inevitabilmente superficiale, tuttavia non è priva di meriti: egli si tiene ben lontano dalle acredini che tanti culti, soprattutto francesi, riversavano su Giustiniano e il suo entourage. Giustifica i compilatori, e ci suggerisce inoltre, che avere a che fare con del materiale precostituito e disparato, non poteva non complicare il lavoro di Triboniano e i suoi, impedendo loro di scegliersi l'ordine espositivo più corretto. Il secondo versante dell'opera matteaciana potrebbe definirsi, con termine moderno, una 'teoria generale dell'ordinamento giuridico e dello stato', con particolare 20 Si veda ad esempio il saggio di Biagio Brugi, Come gli Italiani intendevano la culta giurisprudenza : "Gl'italiani intendevano che la giurisprudenza, per nobilitarsi non perdesse il proprio aspetto pra-tico ... che i giuristi si esprimessero in forma migliore e senza prolissita; che, per la smania di apparire originali, non mettessero a soqquadro tutto il regno delle comuni opinioni, scelte non-dimeno sagacemente e discusse con ragionevole liberta di esame ... Si ricordi che gli scolari di giurisprudenza seguivano spesso i corsi letterari; e che l'Umanita si considerava lezione necessaria per tutti in molte Universita " (Brugi, 1921, 126-127). 198 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 riferimento al caso veneto. E' il prodotto di uno sforzo intellettuale ben piü che apprezzabile, data la profonda, reciproca estraneita dei due blocchi componenti l'edificio: il diritto comune e le istituzioni socio-politiche della Terraferma da una parte; il diritto consuetudinario veneziano e il ceto patrizio lagunare dall'altra. Note-vole la difficolta di farli coesistere e interagire in un unico quadro concettuale. Nonostante il diritto veneto potesse, a richiesta, essere applicato anche nel Dominio, e non mancasse chi preferiva usarlo, qualora risultasse piü vantaggioso per i propri propositi, non e dato rinvenire alcuna norma positiva, nel diritto veneto che prevedesse l'applicazione coattiva di una tale eventualita, né alcuno Statuto che recepisse esplicitamente il diritto consuetudinario veneziano tra le proprie fonti del diritto, affrontando il conseguente e tutt'altro che trascurabile problema di graduarne la relativa validita e efficacia. Col progredire della conquista, Venezia si era sempre meno mostrata interessata ad una politica di omologazione giuridica tra Dominante e dominio. L'evidente complessita e risalente preesistenza del diritto comune di Terraferma, le resistenze inevitabili e prevedibilmente feroci che una politica di normalizzazione che per-measse anche la sfera giuridica privata (e non solo quella pubblica) avrebbe sol-levato, la constatazione che il diritto comune era assai piü consono a permettere l'ordinata convivenza civile di quelle entita politiche che lo avevano elaborato su misura per i propri bisogni, tutto ció consigliava i governanti veneziani a procedere con cautela e pragmatismo, appagandosi del comune denominatore, formalmente l'unico inserito nei vari statuti, costituito dal riferimento alla sua sovranita. Quali le opinioni personali del Matteazzi riguardo il diritto veneziano, dalle caratteristiche cosí diverse dalla materia legale che aveva appreso e a sua volta insegnava? Egli ha un atteggiamento aperto verso quel tipo di diritto, cerca di studiarlo e comprenderne la razionalita. Lo giudica un diritto assai vitale, tutt'altro che barbaro, venuto formandosi in regime di separazione ma non di contrapposizione ostile con il diritto comune: prova ne era, non solo ai suoi occhi, la politica lungimirante nei confronti dello Studio di Padova, la munificenza verso i docenti chiamati a ricoprire le cattedre a seconda del loro valore, e la collaborazione che i reggitori veneziani in Terraferma richiedevano volentieri ai giuristi istruiti nel diritto comune, utilizzati in qualita di assessori e consiglieri.21 Matrice del diritto veneto era considerata l'equita, soprattutto per esser quello svincolato dalla rigida subordinazione al dato giuridico positivo, e per il largo ruolo che vi svolgeva l'arbitrium iudicis. Matteazzi tratta diffusamente dell'equitas nella sua opera. Dapprima secondo i criteri interpretativi consueti nella dottrina e nella oí G. Benzoni nota come queste forme di collaborazione non riuscirono (né d'altronde da parte vene-ziana lo si desiderava minimamente) a superare l'estraneita tra il mondo del diritto veneziano e quello del diritto comune. Cfr. Benzoni, 1993, 40-41. 199 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 didattica, la vede come l'intima ratio che informa di sé il diritto e la legge,22 che stempera il rigore dello strictum ius, ispira i criteri interpretativi della legge e di qualsiasi atto giuridico, anche di natura privatistica, che colma le lacune della legi-slazione scritta. Proprio l'equitas, ammendante dello strictum ius giustinianeo, sembra costituire uno dei ponti che l'autore getta tra il sistema giuridico-costituzionale della Terra-ferma, e quello della Dominante. Infatti, grazie a codesto concetto, riesce ad operare un recupero di istituti giuridici veneziani, essenzialmente afferenti al diritto suc-cessorio e agli istituti dotali, all'interno del sistema di diritto comune, al quale erano geneticamente e funzionalmente estranei. Intuizione doppiamente felice. Proprio il diritto di famiglia sara infatti, nel tempo, il settore del diritto veneto che avra maggior presa sulla societa della Terraferma: "Piacevano le leggi successorie [venete], c'era tra i giuristi della Terraferma chi le riteneva senz'altro preferibili alle leggi romane, e confrontava la macchinositä, le inutili sottigliezze, l'eccesso di scrupoli formali di queste ultime con la chiarezza, la semplicitä, la praticitä di quelle venete" (Cozzi, 1982, 336-337). Per Matteazzi era auspicabile, ben piü che ammissibile, l'applicazione delle leggi venete, almeno nel grado d'appello da parte delle supreme magistrature veneziane, nelle cause riguardanti le famiglie nobili della Terraferma (e chi altri potesse per-mettersi di trascinare una causa oltre il giudizio di primo grado)23 Difficile non scorgere le dirompenti potenzialita di un principio siffatto. Grandi erano infatti le differenze tra il diritto successorio veneziano e quello comune. Per il diritto comune fratelli e sorelle uterini o solamente consanguinei (rispettivamente figli o figlie della stessa madre e di diversi padri, ovvero dello stesso padre ma di madri diverse) erano esclusi dalla successione e ammessi solo a preferenza del fisco, 22 Si ricordi la nota affermazione del giurista Celso "ius est ars boni et aequi," espressione ricordata piü volte anche dal Matteazzi. Per l'autore, l'equitas "est enim eius (legis) quasi mens, ac regula, immo ipsemet legibus spiritus. Nam, ut anima se habet ad corpus, & corpus ad animam: ita aequitas ad legem, & lex ad aequitatem se habere videtur" (Matteazzi, 1591a, 25v.) 23 "Quare saepius vidi, & publicis concionibus expertus observavi, Illustrissimos Venetos, aequitate naturalique ratione motos, in gravissimis quadraginta virorum Concilijs ab hac Iustinianea con-stitutione recessisse, & utrinque coniunctum, & consanguineum tantum ad haereditatem Iratris communis aeque admississe. Perpendunt varijs pluribusque in locis extare consuetudinem, qua ius commune relatum ab hoc sta-tuto interpretatur praedominantis civitatis, non autem Romanorum, & ipse ita Venetiis in Excellentissimis Consilij IX Virum saepe saepius iudicari vidi, potissimum in causa Fracantiana Vicentina, qua Irater consanguineus tantum, aequalitar successit cum Iratre utrinque coniuncto ad haereditatem fratris ex utroque parente alteri tantum connexo" (Matteazzi, 1591a, 110). In questa causa, l'orientamento della Quarantia si era naturalmente conformato alle consuetudini veneziane in materia successoria permettendo che un fratello solo per parte di padre (consanguineus tantum), succedesse a pari titolo con altri fratelli, utrinque coniuncti . Infatti, l' "aequitas Veneta non patitur alterum Iratrem praeIerri, eo quod duplici vinculo alteri coniugatur & quod de haereditatem fratris agatur" (Matteazzi, 1591a, 110). 200 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 il quale succedeva mancando chiunque altro. Infatti non poteva "il ventre materno daré ai figlioli di padre diverso cid che per natura e per sangue non puo ad essi pervenire" (Ferro, 1847, 2/II, 828-829). Anche nel caso dell'eredita del fratello morto intestato, i fratelli utrinque coniuncti (o germani) erano preferiti ai fratelli legittimati o illegittimi e chiamati a succedere col padre e con gli ascendenti paterni in parti eguali. Per il diritto veneto, diversamente, il fratello duplicemente congiunto viene preferito al consanguineo tantum soltanto nella successione del fratello morto senza testamento. Nei beni materni succedono tutti i figlioli della defunta, maschi e femmine naturali, legittimi o legittimati (cosa che il Matteazzi ricorda con ammirazione), sia per capi che per stirpi. Ancora, le figliole, nipoti e altre femmine discendenti da un maschio concorrono con gli altri discendenti maschi alla successione nei beni mobili o negli stabili situati fuori Venezia in ragione della parte spettante al loro avo (cioe succedono per stirpe): non succedono invece nei beni immobili situati nel Dogado, a meno che non siano state congruamente dotate. In tal caso la successione negli immobili urbani veneziani aveva lo scopo di contribuire alla costituzione di dote. Come invece era generalmente ammesso sia dal diritto comune, sia dagli statuti di Terraferma, anche nel diritto veneziano se le figlie erano state dotate non concorrevano per la successione, ció che si compendiava nel principio generale 'dos succedit in loco legitimae'.24 Matteazzi doveva aver ben chiaro che il richiamo ai valori dellequitas, dell'amor paterno, dell'eguaglianza tra i figlioli, non era pero sufficiente a rendere pienamente legittime, o piü semplicemente accettabili, simili innovazioni. Occorreva sistemare ad un livello piü generale i rapporti tra i due diritti, prevedere un "sistema integrato di fonti del diritto" che desse chiare opzioni a giudici e contendenti, anche nel campo della giurisdizione civile, che era rimasto ormai l'unico settore di normazione riser-vata all'indiscusso predominio del diritto comune e dei suoi tecnici. Dobbiamo percio 94 Nello svolgimento del diritto successorio in época classica la preoccupazione più sentita era stata quella di mutare le persone dei chiamati alla successione intestata, basando l'ordine degli eredi piu sulla base della parentela cognatica, cioè di sangue, che sull'agnazione. La successione per legge (legittima, di contro alla trasmissione dell'eredità secondo le modalità stabilite in un testamento) si svolse come reazione al diritto assoluto di testare del paterfamilias : concretizzandosi nell'obbligo posto in capo al testatore di lasciare una quota dei beni ai piu stretti congiunti tra i successibili ab intestato (portio legittima o debita). Dal secolo XI in poi, con una netta accentuazione in epoca moderna, il diritto successorio fu invece dominato dal vecchio principio dello ius civile romano, cioè dal favore per l'agnazione maschile. Dottrina e statuti comunali si fecero carico delle aspettative delle famiglie nobili del tempo, e re-cepirono questa esigenza diventando strumento dell'esclusione delle donne dalla normale successione nei beni del casato. Quanto alla dote, è pero riduttivo considerarla semplicisticamente quale insufficiente surrogato della quota ereditaria, essendo di regola perlomeno quantitativamente congrua alla legittima: per i padri era spesso un onere gravoso dotare adeguatamente le loro figliole, dato che le fortune del casato dipendevano non meno delle alleanze matrimoniali, che dalla con-tinuità biologica della stirpe. 201 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 accennare brevemente alla dottrina giuridico-costituzionale del nostro Matteazzi. In un noto saggio25 Aldo Mazzacane delinea l'evoluzione dell'approccio teorico con il quale la dottrina giuridica continentale tardomediovale e della prima età moderna, affronté dal punto di vista dottrinale, e non più solo nella prassi contingente delle singole decisiones, i rapporti tra il diritto comune recepito negli statuti municipali dei centri dello Stato da Terra, sia pure in via suppletiva, e il diritto consuetudinario della Dominante, ricercando un modus vivendi tra i due ordinamenti, alla luce dell'incontestabile dato di fatto che vi era stata la decisiva e irreversibile trasmigrazione della sovranità statuale dalle realtà locali al centro. Mazzacane mostra di propendere per un dualismo giuridico-istituzionale tra Dominante e dominio piut-tosto rigido, che vede Venezia operare si in funzione antifeudale, ma non realizzare alcuna integrazione dei sistemi sociali o una loro fusione in un nuovo concetto di stato unitario, né promuovere l'affermazione di nuovi ceti. La vicenda veneziana in Terraferma viene vista in primo luogo come 'attività di amministrazione': come veniva suggerito ai rappresentanti in loco, si trattava di inter-venire nelle contese locali senza appoggiarsi allo strictum ius, ma attraverso accordi, pattuizioni, cercare di contemperare i diversi interessi in gioco ottenendo alla fine la sedazione degli attriti e la tutela dei superiori interessi veneziani26 E per meglio procedere su questa via, in tutti i centri urbani comunali Venezia avrebbe favorito il 'rassodamento' delle precedenti forme di governo aristocratico, favorendo una chiu-sura progressiva del ceto dirigente27 Assai opportuna è l'annotazione che una tal politica di separazione non poteva permettere, diversamente dalle esperienze coeve che si sviluppavano in altri stati moderni del continente europeo, l'elaborazione di una cultura giuspublicista statalista e unitaria. Né poteva consentire di raccogliere e schematizzare il risultante sistema giuridico (quale che fosse il suo grado di articolazione interno), entro le architetture concettuali e sistematiche della teoria giuridica. Il diritto dello stato veneto continué ad essere affidato ad una prassi empirica, guidata dalle contingenti opportunità politiche del momento. Slegato da un piano ben 25 Mazzacane, 1980; considerazioni riprese anche in Mazzacane, 1994. 26 Sui pacta o foedera che legando alla Dominante i centri annessi fornivano il quadro normativo nel quale ricomprendere e definire concretamente l'amministrazione del territorio, per il caso della To-scana medicea, vedi Mannori, 1994, 55-73, 97-136, 137-188. Secondo Mannori, la permanenza del dualismo istituzionale-giuridico non è incompatibile con l'accentramento amministrativo, ove quest'ultimo faccia leva sull'esautoramento della disponibilità dei diritti all'autogestione rimasti al-l'ente locale. 27 Mazzacane non sembra accogliere la tesi di una imparzialità di fondo dell'azione veneziana nei confronti delle varie istituzioni e ceti della Terraferma. Seguono una traccia di lettura diversa altri autori: tra gli altri vedi ad es. Povolo, 1997. Altrettanto valida appare infatti l'ipotesi che la Dominante abbia mantenuto una sostanziale, e interessata, equidistanza di fondo tra i poli della dialettica politica in Terraferma, garantendosi ampi spazi di manovra, che una scelta di campo troppo scoperta e radicale forse non le avrebbe giovato a mantenere. 202 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 preciso, il compito di armonizzare le due tradizioni giuridiche venne intenzionalmente affidato al lavorio minuto di tutti quei pratici, giudici e avvocati, che affrontavano caso per caso, giorno per giorno, il compito di definire quasi inconsapevolmente una interpretazione giurisprudenziale che desse un minimo di unitarietà all'immagine dello stato veneto.28 Ed infatti essi riuscirono a proporre una visione relativamente organica e comprensiva dell'ordinamento e della costituzione della Repubblica. La traccia interpretativa delineata da Aldo Mazzacane offre salienti coordinate per 'situare' ideologicamente all'interno del dibattito dottrinale tra teoria della so-vranità veneziana e teoria generale del diritto sviluppata dalla giurisprudenza continentale, anche il nostro Angelo Matteazzi. Come lo stesso Mazzacane rimarca, nei trattati e "negli scritti teorici legati all'insegnamento i problemi emergenti dalla realtà politica si facevano strada a fatica" (Mazzacane, 1980, 593). Annotazione puntualmente riconfermata dalla struttura dell'opera matteaciana: bisogna infatti accontentarsi dei tre capitoli finali del primo libro, per rintracciare una organica teorizzazione della sovranità veneziana29 Con logica deduttiva, il nostro giurista parte dalla definizione in via generale e assiomatica della sovranità del principe, per poi calarla nella realtà del rapporto tra Dominante e dominio continentale, ed infine estendere la teoria, svolgendone le implicazioni possibili, ad un diverso ambito spaziale, il mare Adriatico. Il nocciolo del 'problema costituzionale veneto' stava nel rapporto tra Venezia e la Terraferma. Ottenuto per diritto di guerra e accorte strategie diplomatiche un ampio retroterra che potesse garantirla dai suoi nemici, essa si presentava alle singole realtà istituzionali del dominio con il duro volto del padrone. La riottosità delle classi dirigenti locali evidenzia come di fatto la trasmigrazione della sovranità dalla periferia al centro non fu mai messa in discussione, pur mascherata dal permanere del 28 Un'opera di carattere ibrido, a mezzo il trattato giuridico e mezzo il manuale o prontuario per il giudice deputato all'istruzione dei processi, è ad es. quella dello scledense De Zambon. Un esempio, che mi pare calzante, del procedere per casi concreti, individuando di volt a in volta, con buon senso ed elasticità la via da seguire mediando tra le due tradizioni giuridiche e le due prassi giudiziarie, è alle pagine 97-98 dove tratta il tema del giuramento: lo si deve somministrare ai testi, ovvero impegnarli a pronunciarlo, prima che essi depongano (come vuole la tradizione giuridica di diritto comune), oppure richiederlo a bruciapelo dopo che essi hanno reso la testimonianza, come si usa nella Dominante" La conclusione dello Zambon mi sembra il tipico esempio di medietas di un giurista pratico, che non opera una preventiva scelta di campo: "sic igitur concludendum est, utramque practicam arbritrio examinantis, et iuxta consuetudinem cuiuslibet Civitatis aut Terrae, admitti posset non enim video quid differat deferre iuramentum de veritate dicenda, aut de veritate dicta " (De Zambonis, 1614, 9798), garantendosi cosi (è solo una ipotesi personale) le mani libere per determinare a seconda delle circostanze e dei contesti nei quali si opera, le scelte 'politicamente piu valide'. 29 * Si tratta dei tre capitoli finali del Primo Libro, rispettivamente il cap. XXXIIII Princeps an sit so- lutus legibus, & de principis potestate ordinaria, & absoluta, del cap. XXXV De iure prae-dominantis principis, vel civitatis, del cap. XXXVI De iure Venetorum, & iurisdictione maris Adriatici (Matteazzi, 1591a, 65v, 68v, 70v). 203 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 dualismo giuridico-istituzionale, dissimulata dalla lentezza (voluta) con la quale si svolgeva il processo di assimilazione, ritardata dal complesso gioco di alleanze tra Venezia e le articolazioni sociali della periferia. Mazzacane situa alla fine del XVI secolo il compiersi completo del mutamento dell'approccio della dottrina accademica dei giuristi di diritto comune al problema del rapporto tra i due ordinamenti, nella direzione della progettazione di una organica struttura di interrelazione. Matteazzi sembra situarsi proprio in codesta fase. La sua analisi ha il sapore del bilancio: ha preso pienamente atto che i suoi veri signori politici sono i Consigli veneziani, che il mutamento istituzionale c'è stato, radicale, irreversibile. Le città di Terraferma si sono date alla Serenissima, abdicando alla piena sovranità che prima possedevano, ovvero la capacità di darsi in piena autonomia le proprie leggi e i propri statuti. Infatti, se le signorie che si erano venute formando nel Veneto, Lombardia e Friuli erano ricorse all'avallo del potere imperiale riconoscendo la loro subordinazi-one e dipendenza da quello, ció ineriva ad uno stratagemma costituzionale ben noto e molto usato.30 Ma de facto l'automia delle istituzioni locali, sconfinante talora nella vera e propria sovranità, non trovava limite nella superiore autorità di quel principe lontano e assente. Con Venezia le cose erano state ben diverse, fin dall'inizio: quella veneziana fu a tutti gli effetti conquista e dominazione, anche se condotta con elasticità e pragmatismo. Matteazzi sembra, anzi, andare oltre un'accettazione senza riserve ma passiva del potere della Dominante: riveste i suoi signori degli attributi imperiali, indicando che la sostituzione tra Impero e Venezia è stata totale, e che i due organismi politici sono di-venuti assolutamente equipollenti e dunque fungibili quanto a natura e funzioni. Se Venezia si è sostituita all'Impero, allora il suo diritto è il diritto cesareo, il diritto del principe. Esso, non quello romano-giustinianeo, deve valere nel 'caso omesso dallo sta-tuto',31 la situazione-spia rivelatrice dei veri rapporti di forza tra dominante e dominio. 30 Sul vicariato vedi alcune interessanti ipotesi in SCHIERA, 1994, 17-41. 31 E' un punto cruciale, vera chiave di volta nell'architettura ideologica dell'intero trattato del Matteazzi: "Quoniam eidem Principi, vel Reipublicae plures subijciuntur civitates, quaestionis solet esse: si in urbe in qua sit mentio iuris communis non extet consuetudo, vel ius aliquod scriptum, sed id reperiatur in civitate dominante, an commemoratio iuris communis percipi debeat (iuris communis) Romanorum, an vero potius iuris communis principis vel civitatis praedominantis". La questione e chiara: quale e il diritto comune di tutto lo stato" Nel caso di Padova o Vicenza, ad esempio, citta soggette a Venezia, nei cui statuti e sancito "quod casus omissi - cioe non previsti e quindi disciplinati dallo statuto, o per dirla con termini giuridici 'nel silenzio della legge' sint reservati dispositioni iuris communis ... quaeritur an ius commune intelligendum sit Caesareum, & Romanum, an vero potius ius scriptum, vel non scriptum Reipublicae Venetorum dominantis". Non e affatto una questione accademica: "haec sane quaestio ad varios se habet casus: proinde utilissima est, utputa ad onera civibus 204 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 In obbedienza al noto principio che lex magis specialis derogat legi magis generali, possiamo ricostruire la gerarchia delle fonti secondo la proposta mat-teaciana: prima viene la normazione locale, il diritto particolare, poi nei casi non disciplinati da quello, ed in via suppletiva, il diritto veneziano; se ancora ve ne fosse bisogno, valga il diritto comune, propriamente inteso?2 A sostegno di questa tesi l'autore ricorda una argomentazione gravida di implicite conseguenze. Si intende far riferimento alla 'mens statuentium', concetto che oltre all'usuale fondo volontaristico, potrebbe qui intendersi come 'quadro culturale di riferimento degli estensori della legislazione comunale, nella quale si articolava e trovava forma espressiva la loro attività'.?? All'epoca della redazione degli statuti cittadini in Terraferma, non potendosi ancora parlare di una città dominante, la matrice di tutte quelle normazione era stata indiscutibilmente il diritto comune. Nota opportunamente il Nostro che gli statuti vanno letti nel contesto dei significati ad essi pertinenti: "constitutiones enim municipales percipi debent secundum communem usum loquendi" (Matteazzi, 1591a, 69). Non ha quindi senso parlare di statuti in conflitto o alternativi al principe dominante se abbiamo riguardo al momento della loro nascita, "cum lata fuerint dum ... starent, dumque aliae pariter dominarentur, iustissima sunt, utpote quae non sint lata adversus iurisdictionem, vel imperium alicuius praedominantis principis, quamvis postea ei subiectae fuerint" (Matteazzi, 1591a, 69). Cosa succede, pero, se successivamente una città si consegni, o venga più prosaicamente conquistata da un'altra egemone ? Mediante l'atto di dedizione, o meglio con la conquista, i sostenitori della preminenza del diritto comune romano-giustinianeo su quello del centro dominante, ritengono che la città conquistata non subisca alcuna deminutio capitis, bensî acquisti un superiore e maggiore protettore, il quale somma la propria, ulteriore giurisdizione a quella della città suddita. Re- imposita, ut apud Socinum, ad lucrum dotis, ut apud alios, ad haereditates: an frater utrinque coniunctus excludat fratrem consanguineum tantum in haereditate fratris utroque latere coniuncti, ut maxime apud Venetos, & ad similia". La dottrina ha preso posizione a favore di entrambe le opinioni. In particolare: "Quod intelligi debeat ius commune Romanorum, consuluit Bartolus, Socinus, Paulus Castrensis, Decius, Caephalus, Bursatus, & Mandosius ... Et ipsi his maxime rationibus inniti videntur. Casus omissus in dubio, & sui natura reservatur, & subijcitur dispositioni iuris communi, & ius commune simpliciter prolatum Romanum potius significat, idque magis commune Gallis, Germanis, Italis, Hispanis" (Matteazzi, 1591a, 68v-69). Su questi aspetti vedi anche Povolo, 1997, 147-153. 39 "Ex his patet ius civile primum in ipsa civitate versari, deinde omissum, vel non scriptum quandoque recipi apraedominante Principe. Inde ab ipso iure communi" (Matteazzi, 1591a, 70). 33 Infatti i partigiani del diritto comune "praeterea argumentantur a mente statuentium, qui ita sta-tuerunt. Antequam Pisana civitas, Patavina, vel Vicentina regi Hetruscorum, aut Reipublicae Vene-tae sese dederit. Ergo illis verbis usi non potuerunt intelligere ius dominantis civitatis, sed Romanum" (Matteazzi, 1591a, 69). 205 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 spingono cioè l'idea che il vincitore spogli la città suddita délia sua giurisdizione, avocandola a sé.34 Una siffatta distinzione di sfere di potere dà origine ad una sorta dualismo giuridico minore, a base territoriale sub-statuale, imperniato sulla distinzione di materie di interesse locale e materie di pertinenza del centro dominante: le relative potestates interagiscono perlopiù più attraverso meccanismi derogatori che, sod-disfacendo i particolarismi, perdono di vista i comuni e superiori interessi35 Tale dualismo è il frutto dell'incorporazione in fasi successive di centri minori al territorio della città dominante. Lo stato, in quest'ottica conservatrice, è l'accostamento di realtà eterogenee, inglobate ma non assimilate. Se è ammessa da parte della dottrina che una norma statutaria confligga con il diritto della Dominante nelle questioni che toccano da vicino gli interessi locali, a maggior ragione un tale escamotage interpretativo dovrebbe ammettersi ove lo statuto taccia,36 soprattutto se il principe si sia obbligato con giuramento nei con-fronti dei nuovi sudditi, a rispettare gli statuti delle loro città: "si princeps cui subiecti sunt, haec statuta se observaturum iureiurando se obstrinxit" (Matteazzi, 1591a, 96). Ma gli statuti, nella visione del Matteazzi, non possono considerarsi aree di normazione paritaria, di legislazione riservata, sottratti ad ogni controllo da parte del superiore potere, in virtù dei patti di dedizione nei quali Venezia aveva accettato di rispettare gli ordinamenti giuridici delle città suddite37 34 Chi ritiene debba intentendersi per diritto comune il diritto romano-giustinianeo, ritiene che la civitas subdita non perdere merum mixtumque imperium, cum potius alienam sibi acquirat tutelam, quam suam transferat iurisdictionem, & posse uti statutis suis, quamvis reluctarentur dominanti civitati" (Matteazzi, 1591a, 69). 35 Sic aiunt Aretinam civitatem posse spernere consuetudines Florentiae de vectigali imponendo in casibus in quibus specialiter loquuntur. In dubio presumitur civitas acquisita sine praeiudicio iurium suorum, & translatio censetur in dubio facta cum iuribus suis" (ibidem). 36 "Quamvis loca inferiora superiorum (locorum) constitutionibus regi debeant, id tamen vendicat sibi locum, si particulare non haberetur huiusmodi statutum: tunc enim generi per species derogatur" (ibidem). 37 E' infatti questa una ulteriore obiezione contro il predominio del diritto della città dominante che il Matteazzi respinge: "non obest tertium quod civitas acquisita intelligatur sine praeiudicio iurium suorum ". La validità di quegli statuti è cosa ammessa anche dal Matteazzi: "Nos enim intelligimus veram hanc sententiam ". Ma a certe condizioni: "quando civitas se subiecit mero mixtoque imperio alicuius Principis, vel Reipublica e, ita ut ipsa ius condendi leges sibi minime reservaverit, & si quae tulerit statuta eadem semper sibi confirmari postulaverit a Principe, & quando Princeps non confirmaverit, nec iuraverit ratum se huiusmodi particulare statutum habiturum sed generali iure iurando eius civitatis statuta se observaturum pollicitus fuerit. Nec enim generale iusiurandum huiusmodi protrahi poterit ad particulare, & iniustum statutum". Conclude il Romano, che nei casi omessi dagli statuti locali "sequendum esse ius commune prae-dominantis civitatis, potiusquam ius civile Romanorum". 206 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORS TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 Qualsiasi giuramento il principe possa prestare, esso non puo vincolarlo in via generale e indeterminata, non puo estendersi automaticamente a ogni sezione o singola norma dello statuto, tantomeno se questa si dimostra avversa al potere so-vrano. Parallelamente, il suddito che giura obbedienza alla legge particolare non vede esteso il suo vincolo sino all'illecito, e la misura e definizione dell'area di devianza risiede sempre in una autonoma valutazione, prerogativa sovrana, della Dominante.38 Angelo Matteazzi teorizza una sudditanza piena delle citta della Terraferma, non invalidata da resistenze mentali, o erosa dai reiterati tentativi di rappropriarsi di una sfera d'azione autonoma, ancorché secondaria: "Hinc receptum est, (quod) populum subiectum non posse facere leges, nec quicquam statuere quod iurisdictioni Principis quovis modo recluctetur". Il che, detto in termini generali, suona cosi: "ius publicum iuri privato, ac ius principis iuri subiectorum semper, & ubique fuit praelatum" (Matteazzi, 1591a, 69v-70). La riaffermazione dei diritti della Dominante e degli obblighi dei sudditi con-tinentali, argomento del penultimo capitolo del primo libro, potrebbe esser dunque inquadrata da questa angolazione, che contribuirebbe a illuminare e correlare due aspetti intensi nell'opera del Matteazzi. Da una parte appunto, la presa d'atto della inappellabile subordinazione delle comunita continentali al mero e misto imperio veneziano; dall'altra la abbondante e pervasiva presenza di argomenti attinenti al diritto successorio e all'istituto dotale, che affollano soprattutto il secondo libro del-l'opera, riletti anche alla luce dei diversi valori espressi dalle consuetudini lagunari. II Matteazzi, oltre ad aderire al pensiero del Romano, sembra accettare di buon grado, l'opinione del Cefalo, e cioe che si debbano distinguere i casi a seconda dell'intenzione dei compilatori degli statuti e del principe dominante: "longe consultius erit quaestionem ad sua principia retrahere máxime ad statuentium mentem ac pariter dominantis principis, & rem ipsam in varias species dividere, ut etiam apud Caephalum legere est" (Matteazzi, 1591a, 70). oo "Accedit quod confirmatio statutorum generalis etiam iurata non protrahitur ad iniqua. Nam qui iuravit se observaturum statuta, non tenetur iniustum exequi, vel observare statutum. Prae- terea iusiurandum regulatur secundum naturam actus, super quo interponitur ... Talia statuta si hanc receperint interpretationem, inhonesta penitus, & iniusta redderentur & ideo minime ser- vanda". Perche cosí facendo esprimerebbero atto di ribellione: "nam praedominantis civitatis merum mixtumque imperium spernere, & ab eius imperio ac obe-dientia deficere viderentur". Il Matteazzi sembra ammettere che vi sia talora un atteggiamento ambiguo e contraddittorio da parte delle citta che si consegnano al nuovo principe diventandone suddite, le quali "actu igitur primo urbes illae subiectae dominantis principis iura, ac imperium observare affectant", mentre invece actu vero secundo in casibus a statutibus suis omissis dum ad ius Romanum, neglecto dominanti Principe, convolare anelant" . Atteggiandosi in tal modo, e perö chiaro che "iniuste recedere censentur a primo actu, & a dominantis imperio deficere" (Matteazzi, 1591a, 69v-70). 207 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 I piani del diritto pubblico e di quello privato trovano cosí un punto di saldatura. Una volta giustificata a livello teorico e dottrinale, la liceità di un intervento della Dominante, non ex officio beninteso ma per il tramite dei suoi organi giudiziari, Angelo Matteazzi puo mostrare di appoggiare appieno l'intervento, della Quarantia nelle questioni successorie riguardanti famiglie nobili della Terraferma. Come già il diritto giustinianeo aveva affidato al princeps, la potestà di correggere le asprezze del diritto positivo, con interventi pero limitati quantitativamente e ad personam, ora egli amplia, istituzionalizza e affida questo potere al supremo consesso giudiziario vene-ziano. L'intervento della Quarantia, se appare dunque giustificato in primis sulla base di considerazioni equitative, in deroga alla tradizione giurisprudenziale di diritto co-mune, tuttavia, al fondo, esso diventa attuativo di un ben più ampio disegno politico, che vede il centro dominante inserirsi in profondità nella dinamica politica tra i poli della società continentale, sfruttando appieno anche gli strumenti offerti dal diritto successorio, in funzione di controllo e selezione del ceto nobiliare, e quindi di regolazione e pianificazione del mutamento sociale. Matteazzi rivela, non è dato sapere con quale grado di consapevolezza, che, da una parte, in periferia, il casato nobiliare, punto di convergenza prioritario nelle strategie difensive dei lignaggi di Terraferma, bersagliati dalla congiuntura del XVI secolo, accerchiati da una borghesia politicamente in ascesa e dalle crescenti fortune economiche; dall'altra, al centro, la politica veneziana del diritto, diretta ed esclusiva espressione di una classe nobiliare ancora saldamente legata alle proprie radici mercantilistiche, pronta ad esportare la sua ideologia, il suo diritto, in funzione di denominatore comune per tutte le componenti (non solo nobiliari) della società dello stato veneto, queste due istanze potevano interagire positivamente sul terreno delle questioni successorie, convogliando e ritualizzando all'interno del meccanismo giudiziario, tensioni squisitamente politiche. Un ultimo aspetto, infine. La proposta di politica costituzionale del Matteazzi in quali interessi poteva trovare riferimento nel dibattito politico interno alla Dominante? Sulle motivazioni profonde sottese alla richiesta di patronage rivolta a Giacomo Foscarini,39 al quale il nostro autore aveva dedicato la propria opera, Claudio Povolo elabora una tesi interessante (Povolo, 1997, 152-153), incentrata sui collegamenti tra il trattato del giurista vicentino e la politica del diritto sviluppata dalla classe dirigente veneziana nel XVI secolo. L'autore individua un primo aggancio tra OQ Sulla vita del Foscarini vedi Ridolfi Sforza, 1637. Costui aveva tradotto in italiano l'opera omonima, in latino, del padre, ed edita nel 1624. Interessante per percepire alcuni collegamenti tra le famiglie patrizie dei Foscarini, dei Barbaro e dei Paruta, nulla lascia intravedere (vista la finalita encomiastica dell'opera) sul dibattito che si svolgeva in quegli anni tra le fazioni del patriziato veneziano. Per questi aspetti si puö rinviare alle annotazioni in proposito di Trebbi, 1984. 208 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTION! SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 l'esigenza sistemica della Scuola Culta, accolta e sviluppata dal Matteazzi, con il grande progetto di riordino e sistematizzazione del diritto veneziano impostato, e rimasto irrealizzato, dal doge Andrea Gritti40 Il tentativo di riforma propugnato dal doge Gritti, finí con l'insabbiarsi e dare scarsi risultati. Cozzi individua nelle implicazioni di fondo della riforma degli ordinamenti veneziani, le maggiori cause del fallimento. Non si trattava di semplice riforma legislativa, bensí politica, che finiva con il coinvolgere i pilastri costituzionali sui quali poggiava il regime repubblicano. I rischi di quella riforma, avevano ingenerato nel ceto patrizio timori ed incertezze, rafforzate poi da quella che l'autore definisce 'crisi di identità' e che travagliava l'intera società veneziana del periodo. Ma la disfatta di Agnadello e lo sfaldamento dello stato territoriale, avevano comunque spinto la Repubblica a rivedere, se non l'articolazione giuridica, almeno le linee programmatiche della sua azione politica nella periferia. Il maggior inter-ventismo e inframmettenza del potere centrale nella vita istituzionale dello Stato da Terra, sono espressione della concentrazione oligarchica che viene maturando all'interno del ceto patrizio veneziano, e forse possono venire letti come un tentativo di risposta al problema di rinsaldare, di fronte ai sintomi della crisi, la saldezza e compattezza della compagine statale (Povolo, 1993). Alla fine del secolo i termini del problema erano cambiati rispetto all'inizio del secolo e al contesto culturale in cui era maturato il tentativo di riforma del Gritti. Da parte veneziana non si trattava più di riformare gli ordinamenti cittadini, di ricercare accomodamenti, mediazioni, punti di contatto con la tradizione giuridica di gran-dissima parte del Dominio,41 anzi della parte che si stava rivelando più vitale, di fronte alla progressiva contrazione degli spazi di manovra nel mare e nei commerci con il Levante, ma di riaffermare in modo concreto e quanto meno traumatico (nel senso di rimettere apertamente in discussione equilibri politico-costituzionali), il potere del centro sulla periferia. E' stato notato da Gaetano Cozzi42 come la querelle tutta lagunare tra Giovani e Vecchi avrebbe potuto essere foriera di possibili ripercussioni anche a livello di politica del diritto e amministrazione del dominio di Terraferma. Come già ebbero modo di scagliarsi contro le tendenze oligarchiche interne al patriziato veneziano, incarnate dalla gestione antiegualitaria, arrogante, e dittatoriale del Consiglio dei Dieci tanto negli affari interni quanto nella politica estera, cosí i Giovani riaffermavano i 40 Sulla Correttion del Gritti, cfr. Cozzi, 1982, 293-312. 41 Questa è la chiave di lettura proposta da A. Mazzacane. In sintonia con la tradizione giuridica antiformalistica di Venezia, tale sbocco era invece impensabile per la cultura giuridica continentale. Il lavoro del Matteazzi che, a fine secolo, offre diligente ai suoi Signori politici argumentationes e auctoritates a magnificenza e fondamento della loro potenza, appare in questa luce sfasato. Ma del tutto ovvio, se teniamo conto di altri simili lavori anche cronologicamente successivi, espressione della diversa sensibilità per il diritto propria dei giuristi continentali. 42 Cfr. Cozzi, 1958, specialmente 23-25; Cozzi, 1979, XII. 209 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 diritti dei popoli soggetti a reggersi secondo i loro statuti e le loro leggi, a non subiré prevaricazioni mediante atti illegali perché compiuti contro gli accordi e i patti di dedizione. Di contro ai Vecchi, i Giovani mostravano di propendere per un maggior rispetto del dualismo giuridico-istituzionale tra Dominante e Dominio, mentre i loro avversari erano forse piü sensibili alle esigenze di tentare un minimo di integrazione tra le due realta. Assorbito prima dalla battaglia egualitaria e antiautoritaria degli anni 1580-82, poi dalla questione dell'Interdetto con la Santa Sede, il gruppo dirigente dei Giovani non ebbe modo di attuare nessuna opzione programmatica nei con-fronti della Terraferma, per mancanza di tempo e di energie. Nell'ottica dei con-servatori invece, il dualismo giuridico poteva anche mantenersi formalmente, ma di fatto andava ignorato e superato attraverso strategie accorte di gestione del consenso e mediazione istituzionale. Dominio e Dominante andavano integrati e governati come un unico stato sebbene bipartito. Giacomo Foscarini era rappresentante di spicco di questa linea politica. Patrizio di una nobile e antica famiglia, schierato con i Vecchi, purtuttavia aveva mostrato notevoli doti di mediatore e compositore, come dimostra ad esempio la vicenda della crisi intercorsa tra il futuro patriarca di Aquileia Francesco Barbaro e la Repubblica a proposito della vertenza per il feudo di Taiedo43 I Grimani, i Barbaro, i Foscarini erano esponenti di punta della fazione politica dei Vecchi, solide dinastie familiari, legate da vincoli di parentela e da un comune retroterra ideologico e sociale, che riescono a superare indenni le riforme costituzionali imposte dai Giovani a partire dagli anni 1580, anche se (come sottolinea Trebbi), la presenza ininterrotta e costante di quelle famiglie e consorterie tra i detentori delle piü alte cariche della repubblica, non deve far sottovalutare l'innovativita e la portata degli obiettivi raggiunti dal-l'azione dei Giovani. Giacomo Foscarini aveva tra l'altro rivestito per piü anni la carica di Riformatore dello Studio:44 probabili contatti istituzionali tra costui e Angelo Matteazzi, gia da un decennio docente nell'Ateneo patavino, potrebbero aver avuto un peso determinante nella decisione del giurista di ricercare l'avallo e la protezione del patrizio veneziano per la sua proposta giuridico-costituzionale. Povolo nota come l'impianto sistemico dell'opera del Matteazzi rivela l'intenzione dell'autore di porsi al fuori della (forse anche superare la) "tradizionale impostazione dottrinaria, che nella difesa ad oltranza del diritto giustinianeo si poneva come garante di una societa particolaristica" (Povolo, 1997, 152), societa che anche dopo l'acquisizione territoriale della Terraferma da parte di Venezia, si voleva mantenere 43 Vedi Trebbi, 1984, 60-62. Non si trattava di perpetrare un tradimento ai danni della Repubblica, bensi di un tentativo di composizione extra-istituzionale della vertenza tra Venezia e Aquileia, promossa dai parenti del Grimani, vertenza che se proseguita avrebbe certamente portato ad un indebolimento dell'influenza della consorteria Grimani, esponenti autorevoli del partito dei Vecchi. 44 Dal marzo 1588 all'aprile 1602. 210 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 integra nonostante l'evidente, e irreversibile, mutazione sociale, politica e istitu-zionale avvenuta da quando le due realta, prima estranee, si erano rapportate nel binomio centro-periferia. Istituti e concetti propri del diritto romano-giustinianeo (ad esempio la mistica del potere sovrano) vengono allora riutilizzati dal giurista vicen-tino in un tentativo di sistematizzazione del diritto veneto in nuove categorie razio-nali e concettuali, proponendo il superamento della disorganicita della legislazione veneta. Nessun riferimento e dato ritrovare nel trattato del Matteazzi al dibattito politico nella Dominante, né tantomeno spunti ad illuminare la natura dei legami tra il giurista e il patrizio. Ma e probabile che una figura politica autorevole come quella del Foscarini avrebbe, secondo i voti dell'autore, contribuito non poco a rendere accetto a tutti, dominanti e dominati, il suo progetto di sistema integrato di fonti del diritto il quale per le implicazioni connesse avrebbe prevedibilmente suscitato una accoglienza perlomeno perplessa da parte dei molti che, nel rispetto rigido della tradizione, ricercavano anacronistiche autonomie. DEDNA VPRAŠANJA MED OBČIM IN BENEŠKIM PRAVOM V DELIH "HUMANISTIČNEGA" PRAVNIKA S KONCA 16. STOLETJA Giovanni DIQUATTRO IT-36063 Marostica (Vicenza), Via della Repubblica 18 POVZETEK Angelo Matteazzi (Marostica 1535 - Padova 1600) iz Vicenze je zelo mlad diplomiral na oddelku za civilno pravo v Padovi. Leta 1573 je kot poverjenik kratek čas služboval na nižjem sodišču v Čedadu v Furlaniji, 1587 je postal prvi docent na padovanski univerzi, leta 1589 pa je bil, prav tako v Padovi, imenovan za profesorja civilnega prava pri prvi katedri za orientalistiko, kjer je nasledil Giacoma Me-nocchio. Matteazzi je znan predvsem kot humanistični pravnik, eden od primerov "italijanske poti" prenove prava v duhu spodbud galske tradicije (mos gallicus). Najbolj inovativno pri tem vicentinskem pravniku pa je, da je tudi v svoji splošni teoriji pravnega reda razvijal jasne ocene ustavnega sistema beneške države ter predlagal izboljšanje tega, kar bi lahko s sodobnim pravnim pojmom imenovali "efektivnost". V svojem temeljnem delu, razpravi "De via et ratione artificiosa iuris universi. Libri duo" (Benetke, 1591) skuša harmonizirati dve resničnosti, in sicer obče pravo in družbeno-politične institucije na območju Terraferme na eni strani ter beneško običajno pravo in institucije Dominante na drugi, pri čemer želi doseči dvoje. 211 ACTA HISTRIAE VII. Giovanni DIQUATTRO: "QUESTIONI SUCCESSORIE TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO VENETO ..., 193-214 Na eni strani se sklicuje na načelo pravičnosti, ki je včasih služilo kot korektiv ostrega rimsko-justinijanskega prava in se je štelo za matrico beneškega prava, saj se je izmaknilo togi podrejenosti pravnih neizpodbitnosti; izhajajoč iz tega načela je Matteazzi oživil tiste beneške pravne institucije, ki so znotraj občega prava zadevale nasledstvene pravice. Na drugi strani pa je skušal na splošnejši ravni obe pravni tradiciji ponovno zajeti v celovit sistem, ki bi vključeval pravne vire, obenem pa do določene mere dopuščal vzajemnost medsebojnih vplivov, ki naj bi se konkretizirali predvsem na ravni družinskega prava. Matteazzi je verjetno domneval, da bi lahko plemiške rodbine v periferiji na eni strani, kot ključna točka razhajanja v obrambnih strategijah rodovnih zvez na območju Terraferme, ki so se v 16. stoletju, obkrožene z meščanstvom v političnem vzponu, znašle na udaru, na področju dednih vprašanj pozitivno vplivale na beneško pravno politiko, ki je na drugi strani v središču kot neposreden in izključujoč izraz plemiškega razreda, pripravljenega razširiti svojo ideologijo in svoje pravo na vse družbene sloje beneške države (ne le plemiškega), in bi tako znotraj sodnega mehanizma usmerjali in ritualizirali izrazito politične napetosti. FONTI E BIBLIOGRAFIA AAUP - Archivio della Curia Vescovile di Padova. ASP - Archivio di Stato di Padova. ASV - Archivio di Stato di Venezia. Angiolgabriello di Santa Maria (1732): Biblioteca e storia di quegli scrittori cosi della citta come del territorio di Vicenza che pervennero fino ad ora a notizia del P. f. Angiolgabriello di S. 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