ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-11-19 UDC 321(450.34+450.52)"15" STATO E CITTÁIN ITALIA NELLA PRIMA ETÁ MODERNA Elena FASANO GUARINI Universitá degli Studi di Pisa, IT-56100 Pisa, Piazza Torricelli 3/A SINTESI II saggio, articolato in quattro punti, si propone di esaminare come si siano configurad i rapporti tra cittá dominante e territorio in alcuni stati di origine cittadina che, tra '400 e '500, assunsero dimensioni regionali: in particolare nello Stato veneto di terraferma e nella Toscana florentina. Dopo aver esaminato le rappresentazioni assai diverse elabórate dai contem- poranei, l'autrice si é sojfermata sui quadri giuridici "federativi", contrattualistici, che costituivano la cornice apparente dei sistemi territoriali cosi formatisi. Ma ha cercato di indicare come, entro questi quadri, si siano sviluppate strategie di potere diverse, condizionate dalla forza dei centri assoggettati e dagli interessi della cittá dominante. Ha quindi visto come, entro i nuovi sistemi, si siano trasformati gli stessi rapporti tra cittá e campagna; abbiano cambiato natura gli antagonismi tradizionali, si siano aperte nuove strade di integrazione. 1. Stato e cittá nel linguaggio político cinquecentesco 'Cittá', per Gasparo Contarini - uno dei creatori del "mito" di Venezia negli anni '20 del Cinquecento - era "non tantum moenia ac domos", ma "civium conventus ac ordo, [...] reipublicae ratio et forma, ex qua beata vita hominibus contingit." (Contarini, 1544, 13) Vi é in queste parole l'eco di una lunga tradizione, aristotélica e cristiana, ben presente a chi parli di cittá nel secolo XVI. La tradizione, tuttavia, dal Contarini viene immediatamente calata in una realtá concreta, fatta di case e di mura, e in un modo di organizzazione politica, che ha nei cittadini il suo fondamento e la sua frontiera. Cinquant'anni piü tardi un altro veneziano, Paolo Parata, dá della cittá un'immagine non meno intessuta di realtá materiali, e ancora piü fortemente affettiva, nonche piü marcatamente aristocrática. La cittá é per lui il luogo del "vivere civile", dei suoi "ornamenti [...] leggi [...] costumi [...] arti [...] virtú"; delle sue pratiche quotidiane - prima fra tutte "la conversazione degli altri uomini". E il luogo di quella "eleganza, nella quale ora veggiamo il vivere civile pieno di tan te 97 ACTA HISTRIAE VII. Elena FAS ANO GUARINI: STATO E CITTÄ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 comoditá, ornato di tante virtü, che a ragione si stima cosa sopra ogn'altra ch'abbia la nostra umanitá eccellente e perfetta." (Paruta, 1852, 156) Al tempo stesso essa riassume in sé la "patria", alia quale tutto dobbiamo: "compagnia di uomini non fatta a caso per breve tempo come quella de' navicanti, ma [...] fondata sulla natura, confermata dall'elezione, in ogni tempo cara e necessaria". Come i naviganti, "nelle tempeste del mare," devono "por mano al timone e alie sarte per la felice navigazione", cosi "l'uomo savio" deve "por mano al governo della Repubblica", quando vedesse "la salute de' cittadini posta in pericolo." La posta in gioco, infatti, é altrettanto concreta, ma assai piü importante. La cittá racchiude "ella in sé sola le faculta i figliuoli i parenti gli amici; e con questi estemi, quel nostro vero e sommo bene della virtü." (Paruta, 1852, 45) Non é un caso che gli autori citati siano veneziani e "uomini savi", membri del ceto di governo della cittá-mito, e non é un caso che si collochino con spicco proprio tra gli autori di quel mito.1 Ma lo stesso amore immediato per la cittá nei suoi aspetti materiali, e insieme per i suoi ordinamenti, si manifesta con i toni piü dimessi e piü diretti della scrittura privata, nelle lettere scambiate tra Francesco Vettori e Niccolo Machiavelli, in un clima in cui da un lato la preoccupazione per il destino di Firenze, dall'altro i toni propri della lotta politica prevalevano sulla celebrazione della concorde vita cittadina. Di Firenze il Vettori amava "tutti gli huomini [...], le leggi, i costumi, le case, le vie, le chiese et il contado"; profondamente gli dispiaceva, diceva nel 1513, pensare "quella havere a tribolare et quelle cose che di sopra dico havere andaré in rovina."2 "Amo la patria piü dell'anima" - gli scriveva per parte sua il Machiavelli nel 1527, anche lui assillato da presagi di pericolo.3 "Amar la patria piü dell’anima" era espressione corrente tra i fiorentini dell'inizio del secolo; e sempre la "patria", per la quale si poteva essere disposti a rischiare la salvezza dell'anima, era la cittá.4 Per Francesco Guicciardini Firenze, la 'patria' cittadina, era al tempo stesso il luogo del "vivere civile" e della "libertá", nonché "el capo principale" che egli, con passione non meno veemente del Machiavelli, condannava, dove piü forti sono la "ignoranza, la timiditá, i parentadi, le amicizie, e' rispetti, e' presenti molte volte, e le corruttele" e quindi piü difficile é la giustizia (Guicciardini, 1994, 92). Anche il termine 'stato' compare fin dall'inizio del '500 negli scritti politici degli autori che si identificano con la cittá.5 Ben prima di Botero lo usa Niccolo Machiavelli. Ma é significativo che, servendosene all'inizio del primo capitolo del Principe, egli ritenga opportuno spiegame il significato: "tutti li stati, tutti e' dominii 1 Sul mito di Venezia cfr. Gaeta, 1961, 58-75; 1980, 1-91; 1981, 565-641; 1984, 437-473. Cfr. anche Bowsma, 1968, nonche le recenti osservazioni di Fontana - Foumel, 1997, 13-35. 2 Lettera di F. Vettori a N. Machiavelli, 20 agosto 1513 (Machiavelli, 1961, 285). 3 Lettera di N. Machiavelli a F. Vettori, 16 aprile 1527 (Machiavelli, 1961, 505). 4 Cfr. anche Machiavelli, 1962, 225; Guicciardini, 1994, 230. 5 Sulla storia del termine cfr. Chabod, 1967, 627-661; Tenenti, 1987, 53-97. 98 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E C1TTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o republiche o principad" (Machiavelli, 1962).6 II termine, infatti, non è ancora corrente e resta semánticamente ambiguo. Ad esso si sovrappongono altre espressioni, che oggi hanno risonanze diverse e quasi opposte. Memore di Livio, il Machiavelli parla spesso di 'provincia';7 o alternativamente, come si è appena visto, di 'dominio'. II termine 'dominio', largamente impiegato anche da altri autori, sostituisce pero a un'idea di unitá un'idea di dualismo profondo. E questo dualismo in alcuni casi si colora di tinte ireniche e pacifiche, ma in altri è correlato a una visione dei rapporti di potere in chiave di sfruttamento e di violenza. In questa seconda luce appariva ai fiorentini all’inizio del '500 il rapporto do­ minante-dominio. Pur nel suo fervore repubblicano e nella sua tenace, utopistica, battaglia per l'ampliamento dello ’stato', il Machiavelli, reduce dalle esperienze della ribellione della Val di Chiana e della lunga e difficile guerra di Pisa, nei Discorsi pare vedere una cruda contrapposizione tra le città assoggettate e la dominante, interessata a "enervare ed indebolire, per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi". Meglio, per le prime - giungeva a dire - vivere sotto un principe, che se non è "bárbaro, destruttore de' paesi e dissipatore di tutte le civilité degli uomini come sono i principi orientali [...] ama le città sue suggette equalmente, ed a loro lascia l'arti tutte e quasi tutti gli ordini antichi, talché se le non possono crescere come libere, elle non rovinano anche come schiave" (Machiavelli, 1983, 227) Ancora più nette le affermazioni del Guicciardini. Benchè non condividesse l'aspirazione del Machiavelli all'espansione territoriale, il dominio - un dominio di dimensione medie, quale avevano Firenze e Venezia - gli appariva un indispensabile baluardo delle cittá. "Se voi perdessi el dominio vostro - faceva dire a Bernardo del Ñero, suo più diretto portavoce nel Dialogo del Reggimento di Firenze - perderesti ancora la libertà e la cittá propria, la quale sarebbe assaltata e non aresti forze da difenderla [...]" (Guicciardini, 1994, 111). Ma non vi era alcuna legittimità in quell'indispensabile possesso: "tutti gli stati, chi bene considera la loro origine, sono violenti, e dalle repubbliche in fuora, nella loro patria e non più oltre, non ci è potestà alcuna che sia legittima." "Occisioni[...] sacchi[...] violazioni di donne [...] incendi di case e chiese e infiniti altri mali[...]" erano nati dalle guerre intraprese per "cupidità di ampliare el dominio"; mezzi crudeli, contrari alla "strettezza della coscienza", venivano im- piegati per stroncare le ribellioni interne. (Guicciardini, 1994, 230-31)8 Anche ai suoi occhi meglio era, per le città soggette, vivere in regime principesco o mo- narchico che non sotto una repubblica. Se il regime repubblicano dava gloria e felicità "a quella città che dominassi", esso "era all'altre tutte calamità, perché oppresse dalla ombra di quella, non avevano facultà di pervenire a grandezza alcuna, 6 La sottolineatura e mia. 7 Sulla storia del termine cfr. Chabod, 1967, 652-53. 8 Cfr. anche Guicciardini, 1858, II, 267-68; Guicciardini, 1970, 20 e 99. ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' M ODERNA, 97-118 essendo el costume delle repubbliche non partecipare e’ frutti délia sua liberté ed imperio a altri che a’ suoi cittadini propri." (Guicciardini, 1857, 28) L'idea della pace e delFarmonia caratterizza invece la visione espressa da Gasparo Contarini negli anni '20 all'uscita da una crisi, che, pur non avendo posto in gioco il solido assetto cittadino, nei suoi aspetti territoriali era stata per Venezia ancora piú devastante di quella che aveva investito Firenze. Una crisi accompagnata da attacchi frontali alla legittimitá dell' 'impero' veneziano (questo il termine corrente per designare la ben piú ampia compagine messa in piedi dalla Serenissima sulle due rive deH'Adriatico), dalla denuncia, specie da parte francese, delle 'usurpazioni' che ne erano State il fondamento.9 Alia rapida riconquista, seppur con alcune mutilazioni di rilievo, di ció che era andato perduto, dovevano seguiré risposte politiche (e propagandistiche) atte insieme a difendere quell' 'impero' e a dileguare il sospetto ancor vivo, benché ormai anacronistico, contro 1' 'imperialismo' della città lagunare. Cosï il Contarini, nella sua costruzione del mito veneziano, non solo rilevava come l'intera costituzione cittadina fosse concepita "ad pacis functiones magis quam ad bellica munia" (Contarini, 1544, 19). Affermava anche che Venezia si era mossa alia conquista della terraferma solo perché "victa tandem post longum tempus [...] pre- cibus finitimorum populorum, quorum quisque sui reguli tyrannidem quam diutius passus fuit amplius tolerare non poterat." Non di usurpazioni si era dunque trattato, ma della restituzione, "pulsis tyrannis ac passim civibus deditiones facientibus," dei diritti conculcati da signori, essi si illegittimi e stranieri, "ad veteres Íncolas”. Ai popoli "qui nuper vénérant in nostram societatem", (sottolineo la parola, che il Contarini preferisce a dominium e che ha un significato profondamente diverso, in primo luogo sul piano giuridico) (Contarini, 1544, 179), Venezia aveva dato le buone leggi e gli studii di pace necessari alia loro rieducazione. Ne aveva difeso la 'liberté'. E, pur inviandovi i propri rettori, aveva lasciato alie citté le loro "leges municipales", i loro statuti; aveva riservato ai loro cittadini alte cariche militari, posti di comando negli "oppida" situati "in agris urbium", funzioni giurísdizionali al seguito degli stessi rettori" (Contarini, 1544, 204). Con la trattenuta vis polémica e il pathos dettati dagli eventi recenti e con le valenze politiche suggerite dal contesto, riemerge nel testo contariniano una visione dei rapporti tra Venezia e le citté del suo 'impero' gié presente, peraltro, nella tradizione storiografica quattrocentesca:10 una tradizione destinata a durare, anche se con mutamenti significativi di tono. La celebrazione dell'ampliamento pacifico "dei termini dello Stato" - ricondotto non piú alie preghiere dei vicini ma al "bisogno di piú largo dominio" della citté - apre ancora la Historia vinetiana scritta da Paolo Parata cinquant'anni piú tardi, in tempi in cui la grandezza "impériale" di Venezia, 9 Cfr. in proposito Gaeta, 1981. 10 Oltre ai lavori citati a nota 1 cfr. le considerazioni sul mito della presa di Gallipoli in Tateo, 1990, 214-221. 100 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA’ M ODERNA, 97-118 una volta quasi degna della "maestá dell'antico nome romano", é un lontano ricordo; e la cittá, adeguandosi ai nuovi equilibri europei, ha ormai scelto la strada di un'attenta neutralitá e di un'accorta conservazione. "Avvenne ancora spesso che in habito cittadinesco, senza alcun romor d'armi, tenendo con la pace la guerra op- pressa, co'l mezzo del negotio et con la speranza della quiete et tranquillitá, acqui- statosi gli animi de'popoli, allargassero i confini deH'Imperio." (Paruta, 1718,1, 2-3). Societas contro dominium, "negozio" contro violenza delle armi. Diversi sono dunque i modi di raffigurare lo formazione dello stato come sistema territoriale e di presentarne la storia da parte di chi ne scrive - con diverso animus e intenti diversi - a Firenze e a Venezia. Vi é anche chi, come Francesco Guicciardini, ritiene che i due modelli di espansione territoriale siano oggettivamente diversi; e tra di essi apre i 1 confronto, trovando le ragioni del divario nelle condizioni stesse della loro forma-. zione e nella loro preistoria. In Toscana - area minacciata dalla vicinanza dello Stato della Chiesa - "non é si piccolo luogo [...] che non sia stato libero e che quasi ora non aspiri alia liberta [...] e dove sono queste radice non si puó signoreggiare se non per forza, e in ogni travaglio se ne ha infinita difficultá." Venezia in vece in terraferma, dove il libero regime comunale era giá stato sostituito da quello signorile, "non ebbe mai a sbarbare liberta, né hanno avuto la Chiesa per vicina." (Guicciardini, 1994, 227-228). Ma sempre la distinzione tra la cittá che govema, nella quale si riassume la Repubblica, e quelle che ne sono governate appare nettissima. Solo al di fuori dell’universo repubblicano, la dove si attenuano, o dimenticano, i valori propriamente cittadini dell'autogoverno e delle connesse "virtü civili", nascono altri linguaggi e altri parametri politici e il dualismo tende a comporsi in un quadro unitario. Anche secondo Giovanni Botero - allievo e maestro di Gesuiti - "cittá s'ad- dimanda una ragunanza d’huomini ridotti insieme per vivere felicemente" (Botero, 1598, 309).11 Ma per lo scrittore piemontese, poi diventato collaboratore di arci- vescovi e di principi (di un principe estraneo alia cultura cittadina come Cario Emanuele I di Savoia), vissuto in cittá cresciute alfombra dello Stato e della Chiesa - Milano, Torino, Roma, Parigi, Madrid -, buon conoscitore della cultura francese e atiento lettore di Bodin, la "grandezza di cittá" non ha piü nulla a che fare con la 'virtü civile' e il 'vivere politico'. Se non va commisurata a "lo spatio del sito o il giro delle mura", consiste pero, cosi come la grandezza degli Stati, nella "moltitudine degli huomini e la possanza loro". Oltre che da fattori naturali, ("la commoditá del sito", la "feconditá del terreno", "la commoditá della condotta", ossia la facilitá di approvvigionamento del mercato cittadino), essa dipende dalle funzioni economiche, sociali, amministrative che l'aggregato urbano svolge nel sistema in cui é inserito, come sede del culto e della giustizia, luogo di industria e di mercato e insieme di studi, residenza del principe e della nobiltá. Anche per Botero é importante "il do­ ll Per gli studi su G. Botero cfr. Baldini, 1992, 503-553. 101 ACTA HISTRIAE VII. Elena F AS ANO GUARINI: STATO E C1TTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 minio"; ma lo è perché "la dipendenza" produce afflusso di uomini e di ricchezze. Nella città che sia al centro di un sistema territoriale "si agitano le cause di piú importanza, e criminali e civili [...]; si trattano da huomini di qualità le facende e i negotii delle Communitá, o de' personaggi; l'entrate dello Stato vi si raccolgono, e vi si spendono; i principali e più facoltosi Cittadini dell'altre Terre cercano d'allignarvi e di fermarvi il piede;" e cosí vi concorrono "da lontanissimi paesi i mercatanti e gli artefici e la gente di travaglio e di servido d'ogni sorte" (Botero, 1598, 348-49). Piú delle mura contano le porte che vi si aprono e il flusso di coloro che le varcano. Nella Relatione clella Repubblica venetiana, pubblicata nel 1605, più della liberté e della concordia della città e dei loro fondamenti costituzionali e politici, interessano al Botero la lunga conservazione dello stato, esempio perfetto di quegli stati "mediani" che gli sembravano i piú adeguati ai nuovi equilibri europei. Si chiede quali siano le ragioni della sostanziale obbedienza delle città soggette, e le vede in primo luogo, contarinianamente, nel mantenimento dei loro privilegi e "conventioni" e dei loro statuti, nonché nella concessione ai loro primi cittadini di "carichi di governo" non solo entro le cerchie murarie delle loro 'patrie', ma negli "honoraü castelli, terre e valli" dei loro contadi. Pone dunque in luce i caratteri fondal- mentalmente federativi della compagine territoriale veneziana. Ma, adargando il discorso del Contarini, rileva anche i fili che légano "molti gentilhuomini di esse città" a Venezia: gli uffici e stipendi loro concessi e perfino (forzando in ció le tinte) le ascrizioni di molti di loro al patriziato veneto. (Botero, 1605, 43-44). Nell' ottica del consigliere di principi, anche nel caso veneziano acquistano risalto le vie della compenetrazione tra mondi cittadini e si attenuano le frontière interne. 2. Città e 'stato régionale': quadri giuridici e costituzionali Sarebbe ovviamente azzardato servirsi delle rappresentazioni del tempo come se esse rispecchiassero in modo immediato la realtà. Ma vedere come i contemporanei si raffigurassero lo stato e la città da un lato aiuta a cogliere la storicitá delle nozioni di cui anche oggi ci serviamo per definiré le forme di organizzazione della società e del potere nella prima etá moderna. Dall'altro induce a interrogarsi sulla varietà e sulle linee évolutive dei modelli che quelle raffigurazioni (pur nella diversité dello spirito che le contraddistingue) adombrano. L'ambito delle osservazioni che seguono è ristretto all'Italia centro-settentrionale, e cioè alla metá della penisola in cui piú denso è stato il reticolo urbano e piú forte la presenza della città, prima nella forma del libero comune, poi, a partiré dal Quattrocento, nel quadro degli stati cosiddetti 'regionali', entro i quali si ricompose la forte frammentazione territoriale della fase comunale. È questa l'Italia che piú direttamente puó essere inserita nell'Urban Belt, che secondo gli storici dello 'Stato moderno' raccolti sotto l'egida dell'European Science Foundation, è stata la spina dorsale dell'Europa medievale, rappresentando a 102 ACTA HISTRIAE VII. Elena FAS ANO GUARINI: STATO E CITTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA’ MODERNA, 97-118 un tempo un'area di grande vitalitá económica e politica e di forte resistenza alia formazione di grandi stati accentrati.12 Anche in questo ámbito piú ristretto dovremo procederé per casi, senza nessuna pretesa di esaustivitá. Quando si è cimentata nell'elaborazione di quadri d'insieme e ha proceduto a larghi confronti, la storiografia recente si è soffermata sulle affinità piú che sulle peculiarità, e sulle continuitá strutturali piú che sui mutamenti sopravvenuti nel tempo. Diversi studiosi, attenti in primo luogo agli aspetti giuridici e istituzionali, hanno insistito sui generali fondamenti 'pattizi', 'contrattualistici' degli stati regionali. In questi fondamenti hanno ravvisato un carattere comune sia agli stati principeschi che a quelli dominati da città, largamente diffuso non solo in Italia, ma in Europa (ad esempio in Germania).13 Alcuni hanno insistito sulle resistenze tenaci che cosí si manifestavano contro la costituzione di nuovi sistemi di potere piú forti e accentrati; altri, piú numerosi, hanno rilevato come i 'patti' riflettessero piuttosto una ripartizione concordata del potere e delle funzioni pubbliche, nella quale si esprimevano da una parte lo sforzo di govemare con il consenso e di conteneré l'inevitabile conflittualità entro limiti tollerabili, dall'altra il riconoscimento di una superioritcis radicata nei fatti, preparata spesso da una lunga egemonia económica e politica (Chittolini, 1979a, 1979b, 1996; Fasano Guarini, 1994). Con strumenti analoghi principi e città potevano legare a sé i domini dei feudatari cui venivano affidati compiti vicari di governo, come avvenne non solo, in modo vistoso, nel ducato visconteo-sforzesco tra '300 e '400, ma anche nella terraferma veneta (Chittolini, 1979b, 36-100; 1996, 145-166 e 227-242. Per la terraferma veneta Zamperetti, 1991, 15-44). Le autonomie locali stabilité in queste forme 'contrattuali' hanno avuto lunga vita. Vi è chi ha cosí parlato a proposito del granducato di Toscana tra '500 e '700 di costituzione 'federativa' o 'consociativa', e ha definito 'tutorio' il ruolo del principe rispetto alie comunitá (Mannori, 1994). Anche la sovranità, teóricamente assoluta, dei pontefici è stata intesa come sovranità 'tutoria', limitata dal rispetto dei patti stabiliti. È stato osservato come all'intemo dello Stato pontificio Bologna fosse definita "Repubblica per contratto" dai suoi giuristi; e come l'aristocrazia senatoria fondasse il proprio ruolo di rappresentanza dell'intera città proprio sulla difesa di quel 'contratto', originariamente stabilito con Niccolo V nel 1447, e poi contéstate o ampliato a seconda delle congiunture politiche, ma tenacemente riaffermato, da parte bolognese, fino al secolo XVIII. Le ragioni della patria (anche in questo caso identificata con la città) venivano cosí rivendicate di fronte a quelle dello Stato. Ma la difesa delle libertá locali - la ferma opposizione, ad esempio, all'intromissione di magistrature esterne nel campo deH'amministrazione della giustizia, considerata quasi un affronte 12 Mi riferisco al contribute) di Dilcher- Brady Jr. - Blockmans - Van Nierop - Isaacs - Musi nel volume curato da Blickle, 1997, 217-323, e in particolare alia parte redatta da Isaacs, States in Tuscany and Veneto (1200-1500), 291-304. 13 Cfr. l'ampia rassegna in De Benedictis, 1995, 21-73. 103 ACTA HISTJRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 al "corpo mistico" della cittá - non escludeva l'obbedienza: ne era anzi l'altra faccia (De Benedictis, 1995). Se si procedesse alia costruzione di una mappa dei patti o 'capitoli' (con i privilegi economici, fiscali, giurisdizionali, le esenzioni e concessioni di varia natura che portavano con sé), in nessuna area essa coinciderebbe con la mappa delle cittá fino ad esaurirsi in essa. I capitoli potevano essere stipulati anche con centri minori e con singóle comunitá; potevano sancire l'esistenza di ’terre sepárate' e di 'piccoli prin- cipi'14 Le grazie e i privilegi, del resto, potevano distinguere, oltre a singoli luoghi, singóle famiglie e singoli individui. Nella prima etá moderna i diritti si parcel- lizzavano e personalizzavano, senza soluzione di continuitá tra il 'pubblico' e il 'pri- vato' e, nel 'pubblico', tra sfera cittadina e comunitaria e sfera feudale; il loro rico- noscimento diventava anche strumento di alleanze e di clientele, rientrava nei giochi del patronato. Ma in quella mappa le cittá, quasi tutte presentí, dovrebbero essere segnate con rilievo. Esse continuarono, in effetti, a essere i gangli vitali degli stati e gli interlocutori privilegiati dei principi. Alia mappa dei capitoli si potrebbe sovrapporre quella degli statuti, delle 'leges municipales'. Non era solo Venezia a lasciarne l'uso ai centri sottomessi, come ricordano il Contarini e il Botero. Ció avveniva in tutti gli stati italiani; e anzi, al di lá delle specificitá che contrassegnavano la penisola - in primo luogo la precocitá che, proprio sotto l'influsso della cultura cittadina, qui ebbero le redazioni scritte - si trattava ancora una volta, di un carattere largamente europeo.15 La coesistenza di norme locali, statutarie o consuetudinarie, con la legislazione dei principi e con la permanenza dello jus commune caratterizzó dovunque l'etá precedente alie codi- ficazioni. In Italia gli statuti locali costituirono una rete particolarmente fitta nel dominio fiorentino, dove essi venivano aggiornati attraverso revisioni periodiche. Ma neppure lá dove teóricamente vigeva la sovranitá assoluta del pontefice persero vigore. A Bologna la loro intangibilitá era ancora invocata nel corso del secolo XVIII. Le "ben regolate cittá" della Romagna, delfUmbria, delle Marche, del Lazio settentrionale vedevano nella loro osservanza la condizione primaria del rispetto del proprio spazio politico, della propria 'libertá' (Zenobi, 1994). Neppure nella mappa statutaria verrebbero registrate solo le cittá. Esistono, come é noto, statuti rurali, semplice emanazione di norme di polizia campestre o di disposizioni relative ad alcuni uffici minori. Esistono statuti di podesteria e di vicariato, che si allargano a questíoni amministrative e procedurali. Vi sono statuti concessi da feudatari e da signori. Ma le cittá sarebbero ancora una volta quasi tutte presentí, con rilievo in- negabile, come centri di formazione e di conservazione di una normativa piü com- plessa e piü rilevante di quella delle comunitá minori - una normativa che non solo regolava le istituzioni locali, ma si estendeva al diritto civile e penale, e spesso aveva 14 Cfr. Chittolini, 1996, 61-83; Tocci, 1985; Zamperetti, 1991. 15 Per un confronto tra area italiana e area germánica cfr. Statuti cittá territori, 1991. 104 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUAR1NI: STATO E CITTÄ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 vigore anche oltre il circuito urbano. Dei propri statuti esse erano gelose, perché vi scorgevano il fondamento e il simbolo della propria qualitá cittadina. Simili mappe fornirebbero un' utile immagine, sia di quel carattere "composito" che oggi si riconosce anche agli stati non italiani,16 sia del rilievo che negli stati dell'Italia centro-settentrionale le cittá conservarono durante la prima etá moderna. Ma rischierebbero anche di avere un effetto deformante. La relativa omogeneitá del quadro giuridico finirebbe per omologare realtá e sistemi diversi. La lunga durata dei sistemi costituzionali che cosi verrebbero in qualche misura raffigurati o almeno evocati, la apparente immobilita dei loro presupposti 'federativi' o 'consociativi' dal '400 al '700 potrebbero impediré di cogliere le dinamiche in atto. Non si potrebbe, su questa base distinguere l'esperienza di Venezia da quella di Firenze, né vedere se e come esse mutarono nel tempo.17 Né si potrebbe capire per quali ragioni Francesco Guicciardini e Gasparo Contarini ebbero visioni cosi diverse dei sistemi territoriali dell'inizio del '500; e perché sia stata poi ancora profondamente diversa dalle loro quella elaborata, tra '500 e '600, da Giovanni Botero. I quadri giuridici indicano soglie che lo storico ha imparato a non ignorare. Rientrano tra quelle strutture i cui mutamenti, spesso quasi impercettibili ma a tratti bruschi, possono offrire i criteri delle periodizzazioni piü lunghe. Essi hanno per- meato il linguaggio storico non meno fortemente della trattatistica politica da cui qui si sono prese le mosse. E giusto considerarli come parametri essenziali, che solo rivoluzioni molto profonde riuscirono a modificare. Ma diverso poté esserne l'uso e l'interpretazione. Diversi i contenuti dei 'contratti' e le prospettive cui questi furono piegati; diversi la natura dei controlli esercitati dalle autoritá centrali sulla nor- mazione lócale, l'uso degli statuti, le deroghe concesse (o imposte) alia loro appli- cazione, pur nel quadro di una comune gerarchia delle fonti, apparentemente rígida. Diverse le scelte politiche che entro quei quadri furono compiute. Diversi, e spesso modificad nel tempo, a seconda dell'esito di scontri e confronti talvolta (ma non sempre) sboccaü in aperti conflitti, gli equilibri e i rapporti di potere che cosi si costituivano e venivano riconosciuti. 3. Le cittá e ii territorio: strategie a confronto Una almeno delle due differenze rilevate da Francesco Guicciardini nel processo formativo del dominio di Venezia e di quello di Firenze riguarda aspetti che sono 16 Contro la lunga idealizzazione dello "stato nazionale", Elliott, 1992, ha indicate nelle "monarchic composite" (cioé nella semplice aggregazione sotto una stessa corona di piü territori istituzional- mente e non di rado étnicamente distinti) un carattere di lunga durata della storia europea. La nozione di "Stato composito" non e pero nuova. Era gia stata usata applicata anche a uno stato italiano di origine cittadina, quello di Venezia: cfr. Grubb, 1988, 1-2. 17 Per un confronto, cfr. Fasano Guarini, 1991, 69-124, e Varanini, 1991, 247-317. 105 ACTA IIISTRIAE VIL Elena FAS ANO GUARINI: STATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 parsi rilevanti anche ad alcuni storici recenti: il peso condizionante delle vicende preceden ti dei luoghi assoggettati, liberi comuni o cittá rette a signoria. 18 Ma non erano quelle le solé differenze. Non meno rilevanti possono essere considerad alcuni aspetti materiali: in primo luogo la qualitá del sistema urbano nelle due aree, e le trasformazioni che esso subi nel corso della crisi del '300-'400. Italia térra di cittá, é stato scritto spesso, e ripetuto ancora recentemente (Ginatempo-Sandri, 1990). Di cittá, tuttavia, le cui dimensioni potevano differire grandemente. Non vogliamo qui riprendere la discussione sulla soglia di urbanizzazione - una discussione di cui Fernand Braudel ha a suo tempo indicato la sterilitá (Braudel, 1977, 380-382).Tuttavia va notato che, se nel periodo della fioritura comunale le cittá toscane, stando ai dati approssimativi e incerti di cui disponiamo, erano confrontabili con quelle padane (Pisa contava tra i 40.000 e i 50.000 abitanti, quanto Verona e Brescia, Arezzo 17.000-18.000, quanto Vicenza e Treviso), qui, come in tutta litada céntrale, la crisi demográfica ed económica del secolo XIV fu poi devastante. Essa altero la configurazione dell'area, al punto che ci si é potuti chiedere se di "crisi" bisogna parlare o di "tramonto di una civiltá regionale." All'inizio del '400, in effetti, Verona e Padova - 20.000 abitanti circa - risultavano dimezzate (mancano dati coevi per le altre cittá di terraferma). Ma Pisa aveva súbito un vero e proprio tracollo, consumato in buona parte prima dell'acquisto fiorentino: era ridotta a circa 1/5 di quel che era stata, 7.500 abitanti. Arezzo e Pistoia erano ridotte a 1/4, circa 4.500 abitanti. Anche su Firenze la crisi ebbe un impatto piü duro che su Venezia. La prima, dai 100.000 abitanti del secolo XIII risultava calata a 37- 40.000 nel 1427, mentre la seconda, partita da livelli demografici analoghi, sorretta dai suoi traffici e dai suoi cantieri navali, contava pur sempre 85.000 anime nel 1422.19 I rapporti numerici nella regione, tuttavia, erano piü favorevoli a Firenze che a Venezia. Si ha l'impressione che in Toscana l'espansione del dominio fiorentino sia avvenuto in un quasi-vuoto, di fronte a fantasmi di cittá. Pur nel quadro degli schemi contrattualistici in vigore, non fu difficile emanare delle misure che di quei fantasmi ridimensionavano draticamente, se non le autonomie interne, i poteri esercitati sui contadi. Nella terraferma veneta, invece, le cittá erano ancora di tutto rispetto; e come tali furono considérate, stipulando, entro lo stesso quadro giuridico, degli accordi che, dopo alcune oscillazioni iniziali, diventarono strumento reale di garanzia dei diritti acquisiti dai ceti dominanti cittadini. Si é recentemente parlato, a proposito della formazione degli stati regionali, di "sistemi modulari": i nuovi, piü ampi domini cittadini si sarebbero cioé articolati, aggregandoli, su quelli precedentemente costituti dalle cittá conquistate, che "giá dominavano, a loro volta, cittá piü piccole, terre e villaggi" (Isaacs, 295-296). Alcune cittá avrebbero dunque usato altre cittá nel creare una propria piü complessa rete di 18 Cfr. a proposito della terraferma veneta Varanini, 1992 19 Per tutti i dati che precedono cfr. Ginatempo - Sandri, 1990. 106 ACTA HISTRIAE VIL Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 potere. L'espressione, senza dubbio suggestiva, é tuttavia piü calzante per il caso veneziano che per quello florentino. Venezia, in effetti, lasció a lungo alie cittá venute nella sua "societatem" quei vasti poteri, in primo luogo in materia fiscale e giuri- sdizionale sui loro antichi contadi - gli "honorati castelli, terre e valli" - che ricor- davano sia Gasparo Contarini, sia, ottant'anni piü tardi, Giovanni Botero. Non fu certo solo simbólico il diritto conservato dalle cittá soggette di continuare a inviare propri cittadini con funzioni giusdicenti nei propri territori.20 Uno dei primi obiettivi perseguid da Firenze nella costruzione del 'dominio' - quella costruzione di cui Francesco Guicciardini dichiarava la intrínseca 'violenza' - fu invece quello di disgregare il 'modulo', separando le cittá dai loro contadi. Ció avvenne probabilmente in forme piü nette in alcune aree, come quella nodale della 'provincia' di Pisa; piü fluide, limitate e graduali in altre, come il Pistoiese. Ma da questa preoccupazione furono ispirati la nuova distrettuazione del territorio, solo in parte urbanocentrica, disegnata agli inizi del secolo XV; la introduzione dei cosiddetti vicariati rurali, che non facevano piü capo alie cittá; 1' invio generalizzato di rettori fiorentini a svolgere nel territorio le funzioni podestarili e dunque la soppressione di quelle giusdicenze minori che nella terraferma veneta continuarono invece a essere strumento potente di difesa e di affermazione nelle campagne degli interessi dei gruppi di potere delle cittá soggette.21 Ancora piü importante della maggior o minor fragilitá dei reticoli urbani furono il carattere e gli interessi dei ceti che governavano le cittá dominanti; la natura concreta e l'intensitá delle relazioni di scambio che questi avevano annodato e andavano annodando con i nuclei territoriali su cui veniva espandensosi il loro potere. Di queste relazioni non é qui possibile neppure adombrare la complessa e differenziata trama, entro la quale interessi collettivi si intrecciavano a interessi privati, forme di egemonia económica e politica sancite da strumenti pubblici a rapporti di clientela e di patronato, non di rado filtrati da organizzazioni fazionarie. Ma si possono ricor- dare i diversi profili delle due cittá che piü delle altre si impegnarono nella costi- tuzione di sistemi di potere regionali; e il diverso modo in cui affrontarono l'impresa. Come é noto le decisioni che, all'inizio del '400, portarono Venezia alia conquista della terraferma furono assai contrástate. Non fu facile, per chi le sosteneva, difen- dere una linea espansiva, ispirata non certo, come voleva il Contarini, dalle preghiere dei popoli vicini oppressi dai tiranni, ma in primo luogo dalla preoccupazione di proteggere le linee continentali dei traffici dalla minaccia di altri potenziali espansionismi (in primo luogo da quello dei Visconti e degli Sforza). Forte fu infatti 20 Sugli ordinamenti e sul governo della terraferma veneta sono state espresse tuttavia valutazioni in parte diverse: cfr. per un verso Ventura, 1964, Grubb, 1988; per l'altro Cozzi, 1982, 217-318 e 1998, 291-235; Viggiano, 1993; Varanini, 1992. 21 Sugli ordinamenti e sul governo dello Stato di Firenze, cfr. Chittolini, 1979b, 292-235; Zorzi, 1990. Sul caso di Pisa Fasano Guarini, 1976, 1-94; sul caso di Pistoia Herlihy, 1972. 107 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 l'opposizione di coloro che si identificavano ancora pienamente con la vocazione marittima e mercantile délia città, e consideravano prioritari la difesa e il raffor- zamento dell'Impero "da mar".22 Interessi piú propriamente fondiari si fecero strada nel patriziato veneziano assai lentamente; e dapprima questi furono limitati alie aree più vicine, come quelle di Padova e Treviso. Solo tra '500 e '600 il loro peso divento tale da mutare il profilo dello stato cittadino e da influenzare la sua politica ter­ ritoriale. Difficile non collegare a questi caratteri originan, e alla difficoltà di un'integrazione ostacolata da profonde differenze 'ambientali' la ragionevole scelta del rispetto degli equilibri locali e l'instaurazione di un quadro istituzionale volto a conservarli. Difficile non sentiré l'eco di questa scelta nelle pratiche di govemo dei rettori inviati nel terriorio e degli organi che vegliavano su di esso da Venezia: nell' arbitrio lasciato ai giusdicenti e nella abitudine di questi alla mediazione e alia composizione dei conflitti. Era questo il modo di ottenere il riconoscimento del- l'autorità superiore di San Marco dalle opposte forze in campo. Ben piú netta la vocazione territoriale di Firenze.23 Qui la costituzione del dominio non fu, come a Venezia, il frutto di una svolta accompagnata da contrasti e da esplicite discussioni. Fu semmai l'esito gradúale di un'espansione che ebbe le sue premesse nell'egemonia mercantile e manifatturiera esercitata nella regione dalla città che ne era quasi il centro geográfico; e fu sostenuta, oltre che dai legami che cosí si erano formati, dall'interesse precoce del ceto dominante cittadino per la proprietá terriera.24 Di qui le scelte che si sono viste - in primo luogo quella di sottrarre alie città il contrallo dei loro contadi, mediante forme di separazione istituzionale. Di qui gli interventi incisivi sul dominio, che non si esaurirono nella mediazione dei conflitti locali, ma mirarono, con maggiore o minor successo, al contrallo fiscale e amministrativo. A condizioni affini a quelle di Venezia - alia natura degli interessi marinari, mercantili e, nel secolo XVI soprattutto finanziari, délia nobiltà cittadina - si puo forse ricondurre anche il relativo disinteresse di Genova per il suo "dominio", stretta fascia di terra tra la montagna e il mare. Certo nel 1528, dopo la liberazione della città dal dominio diretto della Francia e il suo passaggio sotto la piú flessibile tutela degli Spagnoli, e dopo che il superamento delle fazioni e la costituzione di un "unicus ordo" nobiliare avevano consolidato il suo assetto interno, la Respublica Januensis si préoccupé di ricostituire anche il proprio dominio territoriale: di strappare ai francesi, con l'aiuto della Spagna, Savona, città e porto rivale; di garantirsi i passi e le vie di transito, e in primo luogo lo sbocco essenziale 22 Sulla vicende che portarono alia formazione dello Stato di terraferma, cfr. Cozzi - Knapton, 1986 e bibliografía qui indicata. 23 Oltre agli studi giá indicad nelle note precedenti (più interessati alia sistemazione istituzionale che alia storia complessiva della formazione del dominio florentino), cfr. Luzzati, 1986. 24 Cfr. su questo punto alie osservazioni giá fatte in Fasano Guarini, 1994, 171. 108 ACTA HISTRIAE VIL Elena FAS ANO GUAR1NI: STATO E CITTÀ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 d'Oltregiogo in direzione della pianura lombarda.25 Ma nella loro quotidiana pratica di ffoverno i rettori genovesi inviati nelle comunitá periferiche, che alcuni studiosi hanno eletto a terreno di indagine sul modello "ligure" di stato d'antico régime (il Cervo, la Fontanabuona), sembrano poi esprimere una sorta di disinteressata neu­ tralité. Apparentemente privi di obiettivi politici, a quanto sostengono gli studiosi che se ne sono occupati, essi si limitano, più ancora di quelli veneziani, a 'mediare' i conflitti che si aprono tra reti famigliari, comunità, vicinati, fazioni; salvo reprimere sanguinosamente, quando è il caso, gli scontri più violenti tra banditi (Raggio, 1990; Grendi, 1993). Non ancorate al territorio - "négociants sans pays" si dirá ancora nel secolo XVIII - le grandi famiglie cittadine (Doria, Grimaldi, Spinola, Centurione, Balbi) paiono muoversi in uno spazio meta-territoriale, tra la città, con cui si identificano profondamente, e l'Impero spagnolo (Grendi, 1997). 4. Lo stato e la regione económica: declino delle città, ascesa delle campagne? Pur entro i quadri 'contrattualistici' di cui si è detto, e nonostante la varietà delle stratégie che ne hanno condizionato l'applicazione, i processi di integrazione in sistemi più ampi, politici e al tempo stesso economici, modificarono un po' dovunque il ruolo delle città, giungendo a provocare, almeno in alcune aree, un dislocamento dello stesso tessuto urbano. Sopravvissero, certo, le funzioni svolte dai centri urbani in relazione all'organizzazione del mercato e dei rifornimenti annonari, all'assistenza, al govemo del territorio e alla celebrazione della giustizia, alla preparazione di ufficiali e quadri militari: le funzioni, cioè, in cui Giovanni Botero vedeva lo 'spe- cifico' della città. Ma non di rado queste funzioni diventarono anche appannaggio di centri minori - "quasi-città", è stato scritto - privi di quelli che in Italia erano gli attri- buti ecclesiastici propri delle vere città, dell'onore che a queste conferivano le origini antiche e il volto nobiliare, dei privilegi che le tutelavano. Vi fu al tempo stesso un ovvio ridimensionamento dei poteri cittadini, che andô accentuandosi nel tempo. Questo ridimensionamento ebbe luogo anche là dove, come a Bologna, si con­ tinuo a parlare di "Repubblica per contratto"; o dove, corne nella Marca pontificia, neU'Umbria, nelle Legazioni la vita cittadina, sorretta da nuove istituzioni di govemo e ordinata in forme rigorosamente nobiliari, conservo tra '500 e '700 una vivacité e un decoro tali da induire chi si è occupato dei piccoli centri urbani disseminati in quelle provincie a ravvisare in essi, più che nelle istituzioni centrali, il tessuto vitale ("statuale e dunque temporale") dello Stato ecclesiastico (Zenobi, 1994). La Roma del sovrano pontefice fu senza dubbio una capitale anómala ed eccentrica: essa costituï un polo la cui attrazione supero ampiamente i confini dello stato, ma non fu città 'dominante'. Non meno del suo sovrano ebbe inoltre due anime, una eccle- 25 Sulla questione di Savona e l'ostruzione del suo porto, cfr. Pacini, 1990. Lo stesso autore ha dato più ampio spazio ai problemi del govemo del dominio nella sua tesi di dottorato ora in corso di stampa. 109 ACTA HISTRIAE VII. Elena FAS ANO GUAR1NI: STATO E C1TTÁ 1N ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 siastico-religiosa e una política.26 E non é irragionevole, nel caso dei domini ponti- fici, individuare proprio nelle cittá e nei centri minori delle periferie i luoghi veri dello scambio e dei mercati regionali; le sedi qualificate degli alti tribunali provin- ciali; i centri di origine e di formazione del personale di Curia e dei servitori pub- blici, che qui trovarono collegi e universitá. Ma nei pontefici e nei loro legati non manco la volontá di imbrigliare i poteri locali e di dirígeme le scelte politiche. In questo senso si é potuta leggere la storia di Bologna nel breve arco d'anni di Sisto V (Gardi, 1994); e piü generalmente si é potuto interpretare lo sforzo, cui allora si dette avvio, di instaurare, con l'istituzione della congregazione romana del Buon Governo, degli strumenti di contrallo amministrativo e patrimoniale e di coordinamento, tesi a dominare i particolarismi locali. Un simile sforzo, non giá di soppressione delle autonomie, ma di contrallo sulle amministrazioni delle comunitá, tra Cinque e Seicento, sotto il peso delle esigenze finanziarie crescenti degli stati, si diffuse anche altrove.27 Nel secolo XVII perfino nella Repubblica di Genova e in quella, a dimensione ancora cittadina, di Lucca furono cread uffici analoghi al Buon Governo. Fin dalla meta del '500 nel granducato mediceo era stato riordinato e rafforzato il Magistrato dei Nove Conservatori, cui era affidata la "tutela" degli organi di governo locali. Qui invalse allora anche la consuetudine - la cui eccezionalitá risulta dall'attenzione prestata ad essa dagli amba- sciatori veneziani - di nominare dal centro i cancellieri operanti nelle comunitá stesse, cittá incluse. A questi, notava nel 1608 Francesco Morosini, spettava di "regolare le cose di momento", sentita, in quelle "gravi", la volontá del granduca (Relazioni, 1916, I, 121). Dalle istanze periferiche toscane la misura fu considerata lesiva; e in molte cittá - Arezzo, Cortona, Prato, Volterra - fu accolta con ostilitá e suscito resistenze talvolta violente (Fasano Guarini, 1977). In Toscana, cosi come nelle Marche e nello Stato di Milano, non mancarono neppure intervenü politici volti a condizionare la composizione degli organi di governo cittadini, per lo piü contrastando le piü forti spinte alia trasformazione degli equilibri preesistenti in senso accentuatamente oligarchico. In modo solo apparente- mente contradditorio, lo svuotamento del potere cittadino provocó in molti casi quel disinteresse per le cariche, del quale Marino Berengo ha coito le manifestazioni tardive nel caso veronese, (Berengo, 1975) ma non é difficile trovare le tracce giá nelle ammende comminate dagli statuti cinque-seicenteschi a chi si sottraesse al loro esercizio. Le "vie dell'ascesa", per altro verso, non si esaurivano piü entro il circuito delle mura: legate da un lato alie fortune fondiarie, richiedevano dall'altro, in Toscana come nella Marca pontificia, di "andar fuora", cioe di operare nelle corti o nelle giusdicenze e nelle organizzazioni militari dello Stato, nei govematorati, nella 26 Sul duplice profilo del pontefice, Prodi, 1982. 27 Per un quadro d'insieme aggiomato cfr. Mannori, 1997 e in particolare l'introduzione di Mannori e la sintesi conclusiva di Fasano Guarini. Cfr. anche Tabacchi, 1996. 110 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E CITTÄ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 rote provinciali, nei tribunali supremi, oltre che ai livelli piü alti delle gerarchie ecclesiastiche.28 In ció era uno dei compensi che l'integrazione offriva, attraverso strumenti sia pubblici che clientelari, ai ceti dominanti locali, il cui potere politico era andato progressivamente svuotandosi; ma era anche la ragione del loro parziale distacco dai luoghi di origine. Tra '500 e '600 si diffuse largamente anche quella tendenza alia separazione delle cittá dai loro contadi che fin dal '400 si é vista caratterizzare la strategia di potere di Firenze nel territorio, a scapito del "sistema modulare" di govemo. A proposito cosi della terraferma veneta come della Lombardia spagnola, la storiografia recente ha dedicato grande attenzione alia diffusione, in quel periodo, di organismi che diedero rappresentanza autónoma e voce propria alie campagne e aprirono loro la possibilitá di una contrattazione con le cittá, in primo luogo in materia fiscale, ma anche giurisdizionale, amministrativa, annonaria. All'origine di questi organismi - i "corpi territoriali" o "congregazioni di contado", o "sinedri dolosi", come si chiamavano nel Veneto - si é visto un intreccio significativo di "ragioni dello stato" e di "ragioni della societá".29 Da un lato premevano le esigenze finanziarie, e la preoccupazione, evi­ dente nella Lombardia spagnola sotto Filippo II,30 di assicurare basi piü solide e piü eque al fisco per ottenere una piü agevole percezione delle éntrate fiscali; dall'altro operavano dinamiche socio-economiche profonde. Cosi la nascita dei "sinedri dolosi" é stata correlata da chi l'ha studiata sia alia attrazione che la proprietá temerá incominciava a esercitare sulle classi abbienti di Venezia, sia ai mutamenti, ancora mal noti, del tessuto sociale territoriale, all'emergere, al suo interno, di nuove forze e di nuovi interessi. Declino, dunque, delle cittá, e ascesa delle campagne? Oggi questi termini sembrano inadeguati, e gli storici paiono adottare altre chiavi di lettura dei processi che caratterizzano gli stati italiani durante l'etá moderna, altri strumenti concettuali. Gli stessi dati demografici sono passibili di letture diverse, se diversamente organizzati. Cosi all'idea, lungamente prevalente, di "un processo complessivo di decadenza dell'economia e della societá urbana in Italia nel secolo XVII", (Sonnino, 1982) é stata recentemente contrapposta da R. P. Corritore quella di un evoluzione difforme, a seconda della taglia considerata. II declino non é piü tale, se accanto alie cittá superiori ai 10.000 abitanti si considerano i centri minori, tra i 5.000 e i 10.000 abitanti. Si manifesterebbe piuttosto una tendenza a un'"omogeneizzazione dimen- 28 Cfr. per lo stato pontificio Zenobi, 1976. Per il granducato di Toscana Fasano Guarini, 1979-80, 105- 126. Sulle vie di mobilitä Offerte dalle carriere forensi e dai tribunali supremi, cfr. Sbriccoli, Bettoni, 1993. 29 Per un quadro generale, con ampia bibliografía, cfr. Chittolini, 1996, 211-226. Cfr. anche Zamperetti, 1987. 30 Le vicende relative all'elaborazione di nuovi criteri di distribuzione del carico fiscale nella Lom­ bardia spagnola e all'impatto che questi criteri hanno avuto nelle relazioni tra cittá e campagna sono state studiate da Vigo, 1979 e 1994. 111 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: STATO E C1TTÀ 1N ITALIA NELLA PRIMA ETA' M ODERNA, 97-118 sionale" verso il basso; e dunque (fatti salvi il ruolo e la tenuta delle città capitali) a una minor polarizzazione dei sistemi urbani, a un' "urbanizzazione" piú diffusa delle campagne, che, nel caso padano-emiliano specificamente considérate dall'autore, costituirebbe l'altra faccia della "ruralizzazione" complessiva dell’economia (Cor- ritore, 1993). Anche altrove alla stagnazione e in taluni casi alia contrazione delle città di antica tradizione, si accompagna - estendendosi su un lungo arco di tempo - la crescita di centri "minori" - borghi, castelli, "quasi - città" - premiad talvolta dal conferimento del titolo cittadino.31 In alcune aree (la Toscana dei granduchi medicei, il Piemonte di Emauele Filiberto di Savoia e dei suoi successori) l'intervento politico dei principi comporta il mutamento delle stesse gerarchie urbane e la dislocazione complessiva dei poli territoriali. Con l'affermazione del nuovo potere principesco Torino "soffoca il Piemonte" (Levi, 1985, 11-69). Livorno, città portuale nata su progetto, espressione di una sapiente intenzione politica, diventa nel giro di pochi anni il secondo centro dello stato.32 La rete delle città lombarde e emiliano-romagnole, da Pavia a Mantova, da Piacenza a Ferrara definisce secondo il Corritore "un hacino económico... un ter­ ritorio relativamente compatto" che travalica i confini degli stati e vive di rapport! più larghi. Ma dietro ai processi economici che hanno consentito, tra '500 e '600, l'integrazione di una simile costellazione urbana in un mercato quasi "régionale", campeggiano i fattori politici che hanno portato all'erosione delle autonomie cittadine, gli interventi dei principi tesi a modificare i criteri di ripartizione dei carichi fiscali, a distribuiré diversamente i privilegi. Ancora più stretto e più rigido (troppo rigido, forse) è apparso il rapporte stato régionale - regione económica a proposito di altri casi e di altri periodi - ad esempio di Firenze, fra Tre e Quat­ trocento. Sono emerse, a questo proposito, visioni contrastant!, in relazione proprio ai modi di valutare il ruolo delle città. Se alcuni studiosi hanno visto nella regio- nalizzazione un processo di divisione del lavoro fra le città sostanzialmente armónico e favorevole allo sviluppo economico, altri hanno considéralo l'esistenza di un forte polo cittadino, impegnato a perseguiré (come ritenevano Machiavelli e Guicciardini) una politica di "dominio" e non di integrazione, come un freno alla ripresa demo­ gráfica e económica dopo la crisi tre-quattrocentesca. Assai più favorevoli sono cosi potute apparire le condizioni della Sicilia, dove il declino dei vecchi poli metro- politani di Palermo e Messina avrebbe consentito una migliore distribuzione delle risorse, o della Lombardia, caratterizzata da un più diffuso e dinámico policentrismo urbano.33 Ma al di là delle differenze di interpretazione, comune è stata l'indi- 31 Per un quadro generale cfr. Chittolini, 1994, 11-37 e 1996, 95-104. Sul caso toscano cfr. Fasano Guarini, 1994, 39-63. 32 Nell'ampia bibliografía su Livorno cfr. in particolare L. Frattarelli, 1989, 872-893. 33 Sülle premesse economiche che conducono, tra XIII e XV secolo, alla formazione dello stato regio­ nale toscano si é soffermato P. Malanima, 1983, 229-269 e 1986, 61-72. Sulla tendenza ad una sud- 112 ACTA HISTRIAE VII. Elena FAS ANO GUARINI: STATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA' MODERNA, 97-118 viduazione nella "regione" del quadro in cui devono concretamente ricomporsi le vicende dell'economia e della politica, la storia della citta e dello stato. Comune la tendenza a spostare l'analisi dalle contrapposizioni tradizionali citta-campagna per un verso e citta-stato per 1'altro ai sistemi economici e politici in cui quegli opposti si collegano e conciliano. Entrano in discussione, in questa prospettiva, oltre alFidea delFurbanizzazione come processo unilineare, "correlato allo sviluppo economico", da un lato il modo giuridico e politico di concepire la citta, dalFaltro la concezione dello stato come semplice espressione di processi di razionalizzazione e "modernizzazione" del po- tere. Rivivono problemi in qualche modo gia percepiti dai testimoni contemporanei che abbiamo inizialmente interrogato; ma la realta della citta appare meno corposa che a loro, e il fantasma dello stato piu consistente. E gli intrecci tra la storia delFuna e delFaltro acquistano una ben maggiore complessita. DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU Elena FASANO GUARINI Univerza v Pisi, IT-56100 Pisa, Piazza Torricelli 3/A POVZETEK Avtorica si je zadala nalogo, da analizira temeljne značilnosti nekaterih ita­ lijanskih mestnih držav, ki so se na začetku moderne dobe ozemeljsko razširile in si podredile niz manjših mest, vključno z njihovimi kmeti in fevdalno posestjo. Posebno pozornost je posvetila Terrafermi beneške države in florentinski državi. V uvodnem delu, posvečenem političnemu izrazoslovju 16. stoletja, je skušala izoblikovati podobo odnosov med vladajočimi mesti in njihovimi ozemeljskimi posestmi, ki je izhajala iz tekstov florentinskih (od Francesca Guicciardinija in Niccoloja Mac- chiavellija) in beneških političnih piscev (od Gaspara Contarinija in kasneje Paola Parute), tudi samih meščanov prestolnih mest. Končni izid kaže na dve izrazito nasprotujoči si sliki: beneška je v mitografskem duhu miroljubna in optimistična, medtem ko je florentinska prežeta z nasiljem. Ne glede na te razlike se avtorica navezuje na pravne in ustavne osnove, na videz federativne ali združevalne, ki so bile skupne vsem teritorialnim državam mestnega izvora. Naveze, ki so povezovale skupnosti, podložne glavnemu mestu, in ki so bile sankcionirane z dogovori in "pogodbenimi obvezami", so imele torej navidezno divisione armónica del lavoro all'intemo delle regioni economiche costitnitesi son la formazione degli Stati regionali, cfr. Mirri, 1986, 47-59. Diversa la valutazione di Epstein, 1991, 3-50 e 1993, 453-477, che, entro un quadro comparativo, sottolinea gli squilibri creatisi entro le regioni dove il polo urbano céntrale é stato piü forte. 113 ACTA HISTRIAE VII. ElenaFA SAN O GUARINI: STATO E CITTÄ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA’ MODERNA, 97-118 pogodbeni značaj in so puščale veliko možnosti za lokalno avtonomijo (2. del). Vendar skuša avtorica odkriti, kako so se v teh okvirih razvile dejansko divergentne strategije oblasti, odvisne od materialnih dejavnikov. Pomembno je bilo breme, demografsko in gospodarsko, ki so ga predstavljala podložna mesta tudi še po krizi v 14. stoletju in ki je bilo veliko večja v beneški Terrafermi kot v florentinski Toskani. Ključnega pomena pa je bila pri tem predvsem narava interesov in nagnjenj vodilnih slojev prestolnih mest. Dolgotrajni naklonjenosti do pomorstva in trgovine, ki jo je gojil beneški patriciat (a tudi genovsko plemstvo) se je nasproti postavilo zelo močno in hitro zanimanje florentinskega vodilnega razreda za zemljo in za večanje zemljiške posesti (3. del). In morda je mogoče s tem povezati tudi hiter in odločen poseg Firenc v upravo svoje posesti. Z navajanjem nekaterih usmeritev sodobnega zgodovinopisja je avtorica na koncu želela opozoriti, kako so se kasneje, predvsem v 17. stol., z razvojem oze­ meljskih sistemov spremenili odnosi, ki so se bili pred tem vzpostavili ne le med glavnim mestom in njemu podrejenimi, temveč tudi med slednjimi in njihovim podeželjem. Tako so nastale, ne brez trenj, nove oblike regionalnega, političnega in gospodarskega združevanja. Sama pojma "mesto" in "podeželje" pa se današnjim zgodovinarjem nič več ne kažeta nujno v luči antagonizma, kot je to veljalo v preteklosti. Prej bi lahko rekli, da označujeta svetova, ki sta odprta za vzajemne vplive in posege, ločena s spremenljivo in negotovo mejo. Počasi se tako oblikuje nov Zgodovinski protagonist, "regija", čigar politično in gospodarsko logiko bi bilo treba danes natančneje in bolj poglobljeno določiti (4. del). FONTIE BIBLIOGRAFIA Baldini, E. (1992): Bibliografía boteriana. In: Baldini, E. (red.): Botero e la 'ragion di Stato'. 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S tem je obenem razkrila mehanizme, ki so vzpodbudili spremembe v samih odnosih med mestom in podeželjem: spremembe v naravi tradicionalnih antagonizmov in odpiranje novih možnosti za integracijo. 1. Država in mesta v politični govorici 16. stotletja Za Gaspara Contarinija, enega ustvarjalcev beneškega "mita" v dvajsetih letih 16. stoletja, je bilo 'mesto' "non tantum moenia ac domos", vendar "civium conventus ac ordo, [...] reipublicae ratio et forma, ex qua beata vita hominibus contingit" (Con- tarini, 1544, 13). Te besede odsevajo dolgo aristotelovsko in krščansko tradicijo, dobro poznano vsakomur, ki govori o mestih v 16. stoletju. Vendar Contarini to tradicijo hitro postavi na trdna tla resničnosti, narejene iz hiš in zidov, in v način politične orga­ niziranosti, ki ima v meščanih svoje temelj in meje. Petdeset let kasneje Paolo Parata, tudi Benečan, slika podobo mesta, ki ni nič manj prežeta z materialnim dogajanjem, nič manj čustvena, zato pa izrazito aristokratska. Mesto je zanj kraj "civiliziranega življenja", njegovega "okrasja [...], zakonov [...], običajev [...], umetnosti [...], čed­ nosti"; njegovih vsakodnevnih navad, med katerimi je na prvem mestu "pogovor med možmi". To je kraj tiste "elegance, v kateri danes prepoznavamo civilizirano živ­ ljenje, polno najrazličnejših udobnosti, ki jih upravičeno postavljamo nad vse drago, kar premore naša izjemna in popolna humanistična kultura" (Parata, 1852, 156). 119 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARIN1: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 Istočasno predstavlja tudi "domovino", ki smo ji dolžni vse: "družbo mož, ki ni naključna in kratkotrajna, kot je družba morjeplovcev, temveč [...] take narave, ki temelji na volitvah in je v vseh časih ljuba in potrebna". In tako kot morajo morjeplovci "za varno plovbo v neurjih sredi morja [...] poprijeti za krmilo in jadra", mora "modri mož prevzeti upravljanje Republike", ko vidi, da "obstaja nevarnost za dobrobit meščanov". Tveganje je namreč enako otipljivo, le veliko pomembnejše. Mesto hrani "lastnino, otroke, sorodnike, prijatelje; in poleg teh otipljivih dobrin tudi našo pravo in najdragocenejšo vrednoto, čednost" (Parata, 1852, 45). Navedeni avtorji niso slučajno Benečani in "modreci", predstavniki vodilnega razreda mitičnega mesta, tudi ne sodijo slučajno v sam vrh snovalcev tega mita.1 Enako neposredna ljubezen do mesta z vidika njegovih materialnih prednosti, a tudi njegove organiziranosti se kaže, čeprav bolj odmaknjeno in neposredno kot v zaseb­ nih zapisih, v pismih, ki sta si jih izmenjala Francesco Vettori in Niccolo Macchia- velli, v katerih pa so hvalnico ubranemu mestnemu življenju preglasili po eni strani skrb za usodo Firenc, po drugi pa toni, lastni političnemu boju. Vettori je v Firencah ljubil "vse ljudi [...], zakone, običaje, hiše, ulice, cerkve in njihovo okolico". Leta 1513 je izjavil, kako zelo mu je hudo ob misli, da "mora tako trpeti in kako bo vse, kar sem omenjal, navsezadnje uničeno".2 "Domovino ljubim bolj kot svojo dušo," mu je odgovoril Macchiavelli 1527, prav tako prežet z zlemi slutnjami.3 Fraza "ljubiti domovino bolj kot svojo dušo" je bila med Florentinci na začetku stoletja kar pogosta, "domovina", za katero so bili pripravljeni tvegati odrešenje duše, pa je bila mesto.4 Za Francesca Guicciardinija so bile Firence, mestna "domovina", istočasno kraj "civiliziranega življenja" in "svobode", a tudi "glavni krivec", ki ga je z enako strastjo kot Macchiavelli obsojal za vso "nevednost, strahopetnost, sorodstvene na­ veze, prijateljstva, pogosto odlaganja in darila ter podkupljivost", ki so v njem zasidrana in zaradi cesarje težko vzpostaviti pravičnost (Guicciardini, 1994, 92). Pojem "država" se pojavi že na začetku 16. stoletja v političnih spisih avtorjev, ki se istovetijo z mestom.5 Veliko pred Boterom ga uporablja Niccolo Macchiavelli. Vendar je zanimivo, da se mu zdi potrebno pomen te besede v prvem poglavju Vla­ darja, ko jo uporabi prvič, razložiti: "vse države, vsa gospostva, ki so imele in imajo oblast nad ljudmi, so bile ali so republike ali kraljevine" (Macchiaveli, 1962).6 Termin namreč še ni v rabi in ostaja semantično dvoumen. Prekrivajo ga dragi izrazi, ki imajo danes drugačen pomenski odtenek, včasih celo nasprotnega. Ko omenja 1 O beneškem mitu glej Gaeta, 1961, 58-75; 1980, 1-91; 1981, 565-641; 1984, 437-473. Glej tudi Bowsma, 1968, pa tudi zadnje zapise Fontana-Foumelove, 1997, 13-35. 2 Pismo F. Vettorija N. Micchiavelliju, 20. avgusta, 1513 (Macchiavelli, 1961, 285). 3 Pismo N. Macchiavellija F. Vettoriju, 16. april, 1527 (Macchiavelli, 1961, 505). 4 Glej tudi Macchiavelli, 1962, 225; Guicciardini, 1994, 230. 5 O zgodovini termina glej Chabod, 1967, 627-661; Tenenti, 1987, 53-97. 6 Podčrtala avtorica. 120 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 Livia, Macchiavelli pogosto govori o 'provinci'7 ali izmenoma, kot smo videli, o 'gospostvu'. Izraz 'gospostvo', ki ga pogosto uporabljajo tudi drugi avtorji, pa ne implicira ideje enotnosti, temveč idejo globokega dualizma; sam dualizem pa se včasih obarva z ireničnimi in miroljubnimi barvami, včasih pa je povezan z vizijo takih razmerij moči, za katere so značilne zlorabe in nasilje. Prav v duhu tega nasilja se je na začetku 16. stoletja Florentincem tudi kazal odnos vladajoči - vladavina. Čeprav goreč republikanec in trdovraten, utopistični zagovornik širitve 'države' je Macchiavelli, ki je prav takrat imel za seboj upor v Val di Chiani ter dolgo in težko vojno s Piso, zaslutil v svojih Razgovorih surovo na­ sprotje med podrejenimi mesti in vladajočim mestom, katerega cilj je bil "ohromiti in oslabiti vsa druga telesa, da bi ojačal svojega". Za prve, je celo trdil, je bolje živeti pod vladarjem, kajti če ni "barbar, če ne pustoši naselij in ne uničuje človeških kultur, kot to počno vzhodnjaški vladarji [...], ljubi tudi svoja podrejena mesta in jim pušča vse njihove cehe in skoraj vse stare predpise in če se ta že ne morejo razvijati kot svobodna mesta, jih vsaj suženjstvo in razdejanje ne doletita" (Macchiavelli, 1983, 227). Še jasnejše so Guicciardinijeve trditve. Čeprav ni delil Macchiavellijevih teženj po ozemeljskih širitvah, se mu je zdelo gospostvo - srednje veliko, kakršna sta bila Firence in Benetke - neobhodni branik mest. "Če bi izgubil svoje gospostvo, je položil v usta Bernardu del Neru, svojemu najbolj neposrednemu glasniku v delu O upravljanju Firenc (Dialogo del Reggimento di Firenze), bi izgubil tudi svobodo in svoje mesto, ki bi ga napadli, ti pa ne bi imel moči, da bi ga branil [...]" (Guic­ ciardini, 1994, 111). Vendar v tej nepogrešljivi lastnini ni bilo nobene zakonitosti: "Če dobro preučimo izvor države, ugotovimo, da so vse nasilne in da razen v republikah ni oblasti, ki bi bila v svoji domovini, pa tudi zunaj nje, zakonita". "Uboji [...], ropanja [...], nasilje nad ženami [...], požigi hiš in cerkva in neštete druge nad­ loge [...]" so posledica vojn, ki so se vnele zaradi "pohlepa po širjenju gospostva"; notranji upori pa so bili zatrti na okrutne načine, v nasprotju s "skromnim pozna­ vanjem dejstev" (Guicciardini, 1994, 230 - 31).8 Tudi po njegovem je bilo za pod­ ložna mesta bolje živeti pod vladarskim ali cesarskim režimom kot pod republiko. Republikanski režim je resda zagotavljal slavo in srečo "mestu, ki je vladalo", zato pa je bil "za vsa druga mesta prava nesreča, saj jih je vladajoče mesto zatiralo in niso imela nobene možnosti kakršnegakoli razvoja; v republikah je veljalo pravilo, da sadov svobode in oblasti ni mogel uživati nihče drug kot samo meščani vladajočega mesta" (Guicciardini, 1857, 28). Ideja miru in harmonije je bila značilna za vizijo, ki jo je izoblikoval Gasparo Contarini v dvajsetih letih, ob koncu krize, ki sicer ni postavila pod vprašaj trdne mestne ureditve, pač pa je bila za Benetke z ozemeljskega vidika še bolj uničujoča kot kriza, ki je prizadela Firence. Krizo so spremljali frontalni napadi na zakonitost 7 O zgodovini termina glej Chabod, 1967, 652-53. 8 Glej tudi Guicciardini, 1858, II, 267-68; Guicciardini, 1970, 20 in 99. 121 ACTA HISTRIAE VII. Elcna FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 beneškega 'cesarstva' (splošno poimenovanje veliko širše zveze, ki jo postavila na noge Serenissima na obeh straneh Jadranskega morja) in, predvsem s francoske strani, obtožbe 'zlorab oblasti', na kateri naj bi temeljilo.9 Hitremu zavzetju tega, kar je nekdaj že bilo izgubljeno, čeprav v neizogibno okrnjeni obliki, so morali slediti politični (in propagandistični) odgovori tako v duhu obrambe 'cesarstva' kot od­ pravljanja še zmeraj živega, čeprav tedaj že tudi anahronističnega suma o 'imeria- lizmu’ lagunskega mesta. Pri oblikovanju beneškega mita Contarini tako ni razkril le dejstva, da je bila celotna mestna zgradba zamišljena "ad pacis functiones magis, quam ad bellicam munia" (Contarini, 1544, 19), temveč tudi, da so Benetke začele z osvajanjem Terraferme10 samo zato, ker "victa tandem post longum tempus [...] precibus finitimorum populorum, quorum quisque sui reguli tyrannidem quam diu- tius passus fuit amplius tolerare non poterat". Ni šlo torej za zlorabo oblasti, temveč za vračanje, "pulsis tyrannis ac passim civibus deditiones facientibus", pravic, ki jih je gosposka, v resnici nezakonita in tuja, "ad veteres Íncolas" teptala. Ljudstvom, "qui nuper vénérant in nostram societatem" (poudarjam besedo, ki jo Contarini uporablja namesto dominuim in ki ima predvsem na pravni ravni izrazito drugačen pomen) (Contarini, 1544, 179). Benetke so zagotavljale dobre zakone in usmerjenost v mir, potreben za njihovo prevzgojo. Ščitile so njihovo 'svobodo'. In čeprav so tja pošiljale svoje rektorje, so mestom puščale njihove "leges municipales", njihove statute, njihovi meščani pa so imeli dostop do visokih vojaških funkcij, vodilnih mest v manjših krajih "in agris urbium" in sodniških funkcij, podrejenih samo rektorjem (Contarini, 1544, 204). Če spregledamo polemično silo in patos, ki so ju narekovali takratni dogodki, in če upoštevamo politične valence, h katerim navaja kontekst, prihaja v Contarini- jevem tekstu ponovno do izraza vizija odnosov med Benetkami in mesti njihovega 'cesarstva', ki je sicer prisotna v vsej zgodovinopisni tradiciji 15. stoletja,11 v tradiciji, ki je kljub pomembnim spremembam v odtenkih imela trajati. S hvalnico mirnemu širjenju "državnih meja", čigar korenin ni Šlo več iskati v prošnjah sosedov, temveč v "potrebah po večanju gospostva" mesta, se začenja tudi Historia vinetiana, ki jo je Paolo Parati napisal petdeset let kasneje, v času, ko je bila "cesarska" veličina Benetk, nekdaj skoraj primerljiva z "veličastjem starega rimskega imena", že od­ daljen spomin in je mesto, prilagojeno novim evropskim ravnotežjem, že izbralo pot pretehtane nevtralnosti in preudarnega konservativizma. "Še se je pogosto dogajalo, da so meje svojega cesarstva širili v meščanski opravi, brez rožljanja z orožjem, da so zadušene vojne obvladali na miren način, s pogajanji, z vero v spokojnost in da so 9 S tem v zvezi glej Gaeta, 1981. 10 S poimenovanjem Terraferma so Benečani označevali svoje ozemljena Italskem polotoku v zaledju ožjega območja Benetk (Dogado) (op. ured.). 11 Poleg že navedenih del v opombi 1 glej tudi razmišljanje o mitu zasedbe Galipolisa v: Tateo, 1990, 214-221. 122 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 si tako pridobili naklonjenost ljudstev" (Parata, 1718,1, 2-3). Societas proti dominium, "pogajanja" proti nasilju orožja. Razlage o nastanku države kot ozemeljskega sistema in predstavitve njene zgodovine - v različnem duhu in z različnimi nameni - s strani piscev v Firencah in Benetkah so torej zelo različne. Tudi tak se najde, ki je kot Francesco Guicciardini prepričan, da se modela oze­ meljske širitve objektivno razlikujeta. Ko ju zatem primerja, išče razloge za njuno razhajanje v razmerah, v katerih sta se izoblikovala, in v njuni predzgodovini. V Toskani, ki jo je nenehno ogrožala bližina papeške države, "je še tako majhen kraj [...] v preteklosti okusil svobodo in tudi sedaj še kar naprej teži k njej [...]; kjer so take korenine, ni mogoče vladati drugače kot s silo, vsak podvig pa je povezan z neskončno veliko težavami". Na območju Terraferme, kjer je svobodni komunalni režim že nadomestila vladavina gosposke, pa Benetkam "nikoli ni bilo treba izko­ reninjati svobode, pa tudi Cerkve ni bilo blizu" (Guicciardini, 1994, 227-228). Ven­ dar je bila razlika med vladajočim mestom, ki je poosebljalo celotno Beneško republiko, in podrejenimi mesti vedno zelo jasna. Samo zunaj republike, tam, kjer slabijo ali se izgubljajo izrazito meščanske vrednote samouprave in z njo povezane "civilne vrline", se rojevajo drugačne govo­ rice in se oblikujejo drugačna politična merila, dualizem pa teži k oblikovanju enotne podobe. Tudi po Giovanniju Botera, učencu in učitelju jezuitov, "je mesto množica ljudi, ki se zbere, da bi skupaj živela srečno" (Botero, 1598, 309).12 Vendar za piemontskega pisca, ki je kasneje postal sodelavec nadškofov in vladarjev (tudi vladarja, kakršen je bil Karel Emanuel I. Savojski, ki mu je bila meščanska kultura povsem tuja) in je živel v mestih, ki so zrasla v senci države in Cerkve - Milanu, Torinu, Rimu, Parizu, Madridu, dobrega poznavalca francoske kulture in pozornega bralca Bodina, "veličina mesta" nima več nič skupnega s 'civilnimi vrednotami' in 'političnim življenjem'. Če je že ne gre meriti glede na "velikost kraja ali obseg obzidja", pa jo gre iskati, podobno kot velikost držav, v "številčnosti ljudi in njihovi moči". Odvisna ni le od naravnih faktorjev ("udobnosti lege", "rodovitnosti zemlje", "primernosti dostopa" oziroma zmožnosti zalaganja mestnega trga), temveč tudi od gospodarskih, družbenih in upravnih dejavnosti, ki jih mestno središče prevzame v sistemu, v katerega je umeščeno kot sedež veroizpovedi in sodne oblasti, kraj proizvodnje in trgovanja, a tudi študija, sedež vladarja in plemstva. Tudi za Botera je pomembno "gospostvo", vendar zato, ker "odvisnost" vzpodbuja pritok ljudi in bo­ gastva. V mestu, ki naj bo središče ozemeljskega sistema, "se odvijajo najpomemb­ nejše sodne zadeve, tako kazenske kot civilne [...], ugledni možje razpravljajo o vprašanjih, ki zadevajo skupnost in posameznike, sem se steka in tu se troši državni denar, najpomembnejši in najbogatejši meščani iz dragih dežel želijo tako mesto obiskati in se v njem zadržati"; in tako se tam srečujejo "najrazličnejši trgovci in 12 Glede študij o G. Boteru glej Baldini, 1992, 503-553. 123 Elona FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 ACTA HISTRIAE VII. obrtniki, delavci in služabniki iz najbolj oddaljenih krajev" (Botero, 1598, 348-349). Bolj kot obzidje so pomembna vrata, ki vodijo vanj, in tok tistih, k ijih prestopajo. V delu Relatione della Repubblica venetiana, izdanem 1605, je Botera bolj kot svoboda in ubranost mesta ter njegovi konstitucijski in politični temelji zanimalo ohranjanje države, popoln primerek tistih "srednjih" držav, ki so po njegovem najbolj ustrezale novim evropskim ravnotežjem. Sprašuje se, od kod izvirajo razlogi za pokornost podrejenih mest, in jih, contarinijevsko, najde predvsem v želji mest po ohranitvi svojih privilegijev in "navad" ter svojih statutov, a tudi v dodeljevanju "vodilnih funkcij" njihovim prvim meščanom, in sicer ne le znotraj obzidij njihovih 'domovin', temveč tudi v "cenjenih trgih, ozemljih in vaseh" njihovih okrožij. S tem pa izpostavlja v bistvu federativne elemente beneške ozemeljske zveze. Če Conta- rinijevo razmišljanje razširimo, pa se razkrijejo tudi tiste niti, ki vežejo "številne mestne gospode" v Benetkah: službe in plače, ki so jim dodeljene, ter celo pripustitev (čeprav je pri tem pretiraval) mnogih od njih med beneško plemstvo (Botero, 1605, 43-44). Tudi v beneškem primeru pa postajata v očeh vladarskega svetovalca vse pomembnejša medsebojni vpliv mest in rahljanje notranjih meja. 2. Mesto in "regionalna država": pravni in konstitucionalni okviri Seveda bi bilo opise časa tvegano uporabiti kot neposredno odslikavo resničnosti. Vendar nam lahko predstave, ki so jih imeli sodobniki o državi in mestu, po eni strani pomagajo pri razumevanju zgodovinskih razsežnosti pojmov, s katerimi še danes opredeljujemo organizacijske oblike družbe in oblasti na začetku moderne dobe, po drugi strani pa nas navajajo k razmišljanju o pestrosti razvojnih usmeritev modelov, ki jih te predstave (četudi med seboj močno različne) skrivajo v sebi. Ob­ močje, ki ga bomo obdelali v nadaljevanju, je omejeno na osrednji in severni del Italije, to je na tisto polovico polotoka, kjer je bila mestna mreža najgostejša in je bilo mesto posebej navzoče, najprej v obliki svobodne komune, od 15. stoletja dalje pa v okviru tako imenovanih "regionalnih" držav, znotraj katerih se je nanovo obli­ kovala popolna ozemeljska razdrobljenost komunalnega obdobja. To je tista Italija, ki jo lahko neposredno vključimo v Urban Belt, po mnenju zgodovinarjev 'moderne države', zbranih pod okriljem European Science Foundation, hrbtenica srednjeveške Evrope, ki je svojčas predstavljal območje izredne ekonomske in politične živahnosti in se upiral nastajanju velikih centraliziranih držav.13 Tudi na tem ožjem področju se bomo morali posluževati posameznih primerov in se odpovedati želji po izčrpnosti. Ko se je novejše zgodovinopisje lotevalo oblikovanja celostnih podob in si zadajalo široko zastavljene primerjave, je običajno iskalo sorodnosti, ne pa poseb- 13 Glej prispevek Dicher-Brady Jr.-Blockmans-Van Nierop-Isaacs-Musi v delu, ki g a je uredil Blickle, 1977, 217-323, posebej tisti del, ki g a je uredil Isaacs, States in Tuscany and Veneto (1200-1500) 291-304. 124 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 nosti, strukturno kontinuiteto, ne pa sprememb v času. Raziskovalci, ki so bili po­ zorni predvsem na pravne in institucionalne vidike, so vztrajali pri posplošenih 'pogodbenih', 'dogovornih' temeljih regionalnih držav. V teh osnovah so zaznali skupne značilnosti tako držav pod vodstvom vladarjev kot držav pod vodstvom mest, močno razširjene ne le v Italiji, temveč tudi v Evropi (na primer v Nemčiji).14 Nekateri so izpostavljali trdovratna zavračanja novih, močnejših in centraliziranih sistemov oblasti, ki so se izražala na ta način, za številne druge pa so 'pogodbe' pravzaprav odsevale določeno sporazumno delitev oblasti in javnih funkcij, ki je po eni strani odražala prizadevanje, da bi vladali s konsenzom in obrzdali neizogibno konfliktnost v še znosnih mejah, po drugi pa priznavala v dejanjih zakoreninjeno superioritas, ki je pogosto izhajala iz dolge gospodarske in politične nadvlade (Chittolini, 1979a, 1979b, 1996; Fasano Guarini, 1994). S podobnimi sredstvi so vladarji in mesta lahko nase navezali fevdalne posesti, njihovim gospodom pa dodelili funkcije namestnikov v vladi. Zelo očitno se je to zgodilo med 14. in 15. stoletjem v vojvodstvu Visconti-Sforza, pa tudi na območju beneške Terraferme (Chittolini, 1997b, 36-100; 1996, 145-166 in 227-242. Za beneško Terraffermo: Zamperetti 991, 15-44). Lokalne samouprave, vzpostavljene s sklepanjem "pogodb", so bile dolgega življenjskega daha. V zvezi s tem se pogosto omenja toskansko nadvojvodstvo med 16. in 18. stoletjem, katerega ureditev je bila 'federativna' ali 'konfederativna', vloga vladarja v odnosu do skupnosti pa opredeljena kot 'skrbništvo' (Mannori, 1994). Tudi teoretično nedotakljiva oblast papežev je bila razumljena kot 'skrbništvo', pri katerem je bilo treba spoštovati dogovorjene sporazume. Ob tem ne gre spregledati dejstva, da je bila Bologna v okviru papeške države pravno opre­ deljena kot "pogodbena republika" in da je senatorska aristokracija svojo vlogo predstavnika celotnega mesta utemeljevala prav z obrambo 'pogodbe', ki je bila prvotno sklenjena leta 1447 z Niccolojem V. 'Pogodbo' so kasneje, glede na različne politične okoliščine, izpodbijali ali širili, bolonjska stran pa jo je vse do 18. stoletja vztrajno in vedno znova uveljavljala. In s tem interese domovine (tudi v tem primeru so jo istovetili z mestom) postavila pred državne. Vendar obramba lokalnih svo­ boščin, trdno nasprotovanje poseganju zunanjih sodišč na področje sodne uprave, denimo, razumljeno skoraj kot nekakšen napad na "mistično telo" mesta, ni iz­ ključevala pokornosti; nasprotno, bila je njena druga plat (De Benedictis, 1995). Če bi izrisali preglednico pogodb ali 'določb' (vključno s privilegiji na področjih gospodarstva, davkov, sodne oblasti ter razbremenitev in koncesij različne narave, ki so jih prinašale s seboj), ne bi nikjer sovpadala s preglednico mest, dokler se ne bi v njej izčrpala. Pogodbe je bilo mogoče skleniti tudi z manjšimi središči in s posa­ meznimi skupnostmi, določale pa so lahko obstoj 'ločenih ozemelj' in 'malih vla­ davin'.15 Milosti in privilegijev niso bili deležni samo posamezni kraji, temveč tudi 14 Glej obsežno predstavitev v delu De Benedictisa (1995, 21-73). 15 Glej Chittolini, 1966, 61 -83; Tocci, 1985; Zamperetti, 1991. 125 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 določene družine in posamezniki. Na začetku modeme dobe so se pravice nenehno drobile in prilagajale posameznikom, brez ločnice med 'javnim' in 'zasebnim', na področju 'javnega' pa med mestnim, skupnostnim in fevdalnim. Priznavanje teh pravic je postalo tudi orodje zavezništev in klientel ter del iger za patronate. Vendar bi morala biti mesta, skoraj vsa prisotna na tej preglednici, posebej poudarjena. Ohranila so namreč vlogo ključnega vozlišča držav in privilegiranega sogovornika vladarjev. Preglednice določil bi lahko prekrili s preglednicami statutov oziroma 'leges municipales'. Niso namreč samo Benetke dopuščale njihove uporabe tudi podrejenim središčem, kot poročata Contarini in Botero. Podobno je bilo v vseh italijanskih državah. Ne glede na posebnosti, značilne za polotok, predvsem na zgodnji razvoj, ki je prav pod vplivom mestne kulture omogočil, da so bile tu pisno zabležene, je to pravzaprav ponovno kazalo na njihov izrazito evropski značaj16: sobivanje lokalnih in statutarnih ali običajnih norm z zakonodajo vladarjev in trajanjem jus comune je bilo povsod značilno za obdobje pred kodifikacijami. V Italiji so lokalni statuti predstavljali posebno gosto mrežo oblasti v florentinskem gospostvu, kjer so jih z občasnim dopolnjevanjem nenehno posodabljali. Tudi na območjih, kjer je bila teoretično vzpostavljena absolutna papeževa oblast, niso izgubili veljavnosti. V Bologni so se na njihovo nedotakljivost sklicevali še v 18. stoletju. "Dobro vodena mesta" Romagnie, Umbrije, Mark in severnega Lacija so v njihovem spoštovanju videle temeljni pogoj za ohranitev svojega političnega prostora, svoje lastne 'svobode' (Zenobi, 1994). Tudi preglednice statutov ne bi smele beležiti le mest. Obstajajo namreč kmečki statuti, preproste izdaje norm podeželske policije ali določil, ki zadevajo nižje urade. Obstajajo statuti podestarij in vikariatov, ki vsebu­ jejo tudi upravna in proceduralna vprašanja. In so statuti, ki so jih odobrili fevdalci in gosposka. Vendar so tudi v tem primeru prisotna skoraj vsa mesta, nedvoumno po­ membna kot središča oblikovanja in ohranjanja celovitejših in pomembnejših nor­ mativov od tistih v manjših skupnostih, ki niso urejali le lokalnih ustanov, temveč so zajemali tudi civilno in kazensko pravo ter bili pogosto v veljavi tudi zunaj mestnih meja. Mesta so bila na svoje statute ljubosumna, saj so v njih videla temelje in simbol svojih mestnih kvalitet. Podobne preglednice bi nudile uporabno sliko tako "heterogenega" značaja, ki ga danes prepoznavamo tudi v neitalijanskih državah,17 kot pomena, ki so ga imela mesta na zečetku moderne dobe v osrednji in severni Italiji. Sliko pa bi lahko tudi izkrivile. Znotraj relativne homogenosti pravnega okvira bi realno stanje navsezadnje 16 Za primerjavo med italijanskim in nemškim območjem glej Statuti citta territori, 1991. 17 Nasproti dolgemu idealiziranju "nacionalne države" je Elliott, 1992, nakazal v "sestavljenih monar­ hijah" (v preprostem združevanju pod isto krono ozemelj, ki so bila institucionalno in neredko tudi etnično različna) dolgotrajen značaj evropske zgodovine. Pojem "sestavljene monarhije" ni nov. Pred tem je bil uporabljen v zvezi z italijansko državo mestnega izvora, z beneško. Glej Grubb, 1988, 1-2. 126 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 lahko postalo povsem usklajeno z različnimi sistemi. Trajanje konstitucionalih siste­ mov, ki bi jih na ta način nekako upodobili ali jih vsaj priklicali v spomin, ter na­ videzna negibnost njihovih "federativnih" ali "združevalnih" predpostavk med 15. in 18. stoletjem pa bi lahko preprečili neposredni vpogled v dejanska gibanja. Na ta način ne bi mogli razločevati beneškega od florentinskega primera, pa tudi ne raz­ brati, če in kako sta se v času spreminjala.18 Prav tako ne bi mogli razumeti razlo­ gov, zaradi katerih sta na začetku 16. stoletja Francesco Guicciardini in Gasparo Contarini imela tako različne poglede na ozemeljske sisteme in zakaj so se od njunih tako zelo razlikovala stališča Giovannija Botera, izoblikovana med 16. in 17. sto­ letjem. Pravni okviri določajo pragove, ki jih zgodovinarji ne morejo več spregledati. Sodijo namreč med tiste strukture, katerih spremembe, pogosto skorajda nezaznavne, občasno pa nenadne, lahko nudijo merila za daljše periodizacije. Prepojile so zgo­ dovinski jezik prav tako kot političnega, iz katerega so izšle. Zato jih je treba upoštevati kot najpomembnejša merila, ki so jih uspele spremeniti le globoke revolucije. Pač pa sta lahko bila njih uporaba in razlaga različna; različne so bile lahko vsebine "pogodb" in različni so lahko bili cilji, h katerim so bile naravnane; različna je bila lahko narava nadzora, ki so ga osrednje oblasti izvajale nad lokalnimi, uporaba statutov, dopuščena (ali zapovedana) odstopanja pri njihovem izvajanju in to navkljub navidezno togi skupni hierarhiji virov. Različna in v času pogosto spre­ menjena, glede na izide sporov in soočenj, ki so včasih (ne vedno) izbruhnili v odkrite konflikte, so bila tudi ravnotežja in odnosi moči, ki so se na ta način izoblikovali in si pridobili veljavnost. 3. Mesta in ozemlje: soočenje strategij Vsaj ena od razlik, ki. ju je Francesco Guicciardini zabeležil v procesu obliko­ vanja beneške in florentinske vladavine, zadeva vidike, ki se zdijo pomembni tudi nekaterim sodobnim zgodovinarjem, in sicer pomen vpliva zgodnejšega dogajanja v podrejenih krajih, svobodnih komunah ali mestih, povzdignjenih v gospostva.19 A to ni bilo vse. Nič manj pomembni niso bili nekateri materialni vidiki, predvsem kakovost mestnega sistema na obeh območjih in spremembe, ki jih je doživel v obdobju krize med 14. in 15. stoletjem. Italija - dežela mest, je bilo pogosto zapisano in še nedavno tega ponovljeno (Ginatempo-Sandri, 1990), vendar mest, ki so bile po velikosti lahko močno različna. Ob tem ne želimo ponovno načenjati razprave o pragu urbanizacije, katere sterilnost je Femand Braudel pred časom že razkril (Braudel, 1977, 380-382), pač pa želimo opozoriti, da je bila demografska in gospodarska kriza v 14. stoletju 18 Za primerjavo glej Fasano Guarini, 1991, 69-124, in Varanim, 1991, 247-317. 19 Glede beneške Terraferme glej Varanini, 1992. 127 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 podobno kot za druge dele osrednje Italije usodna tudi za toskanska mesta, čeprav so bila na podlagi približnih in negotovih podatkov, s katerimi razpolagamo, v obdobju komunalnega razcveta primerljiva s padskimi (Pisa je štela med 40.000 in 50.000 prebivalci, kolikor Verona in Brescia, Arezzo od 17.000 do 18.000, kolikor Vicenza in Treviso). Podobo tega območja je tako korenito spremenila, da se lahko vprašamo, ali lahko še govorimo o "krizi" ali pa morda o "zatonu regionalne civilizacije". Tudi Verona in Padova s približno 20.000 prebivalci sta se na začetku 15. stoletja praktično razpolovili (za druga mesta z območja Terraferme nimamo istodobnih podatkov), medtem ko je Pisa še pred florentinskim nakupom doživela pravi zlom in se skrčila na okoli petino svojega siceršnjega obsega, na 7.500 prebivalcev. Arezzo in Pistoia sta se zmanjšali na četrtino, na okoli 4.500 prebivalcev. Tudi Firence so občutile krizo huje kot Benetke. Prve, ki so v 13. stoletju štele 100.000 prebivalcev, so leta 1427 padle na 37.000 do 40.000, medtem ko so druge, ki so izhajale iz podobne demografske ravni, a so si pomagale s svojo trgovino in ladjedelnicami, so leta 1422 še zmeraj štele 85.000 duš.20 Številčna razmerja na ravni regije pa so bila ugodnejša za Firence kot za Benetke. Zdi se, kot da se je florentinska oblast v Toskani širila v skoraj praznem prostoru, posejanem z mesti, ki so bila zgolj pri­ kazni. Zato tudi ni bilo težko izdajati ukrepov, čeprav v okviru veljavnih pogodbenih vzorcev, s katerimi so učinkovito prevrednotili če že ne notranje avtonomije, pa vsaj oblast teh prikazni nad njihovimi okrožji. Nasprotno pa so bila mesta na območju beneške Terraferme še vsega spoštovanja vredna in so bila temu ustrezno tudi obravnavana, zato so znotraj istega pravnega okvira z njimi sklepali dogovore, ki so po začetnih nihanjih postali dejanski poroki za pridobljene pravice vodilnih mestnih slojev. Pred kratkim je bilo v zvezi z nastajanjem regionalnih držav slišati o "modularnih sistemih", t. j. novih, večjih mestnih gospostev, ki naj bi se izoblikovala z zdru­ ževanjem tistih, ki so jih pred tem že ustanovila osvojena mesta, ki so "sama že vladala manjšim mestom, ozemljem in vasem" (Isaacs, 295-296). Nekatera mesta naj bi se torej drugih mest poslužila za oblikovanje svoje bolj kompleksne mreže oblasti. Sam pojem je brez dvoma zgovoren, vendar bolj kot florentinskemu ustreza be­ neškemu primeru. Benetke so namreč mestom, vključenim v njihovo "societatem", predvsem na davčnem in sodnem področju dolgo puščale tisto široko oblast nad njihovimi starimi okrožji, "častitljivimi vasmi, ozemlji in dolinami", o kateri sta go­ vorila tako Gasparo Contarini kot osemdeset let kasneje Giovanni Botero. Pravica, ki so jo obdržala podrejena mesta, da še naprej pošiljajo svoje meščane s sodniškimi dolžnostmi v svoja okrožja, zagotovo ni bila zgolj simbolične narave.21 Eden prvih 20 Za vse zgodnejše podatke glej Ginatempo-Sandri, 1990. 21 Nekatere ocene glede uredb in upravljanja beneške Terraferme nekoliko odstopajo. Glej Ventura’, 1964, Grubb, 1988; za drugo plat pa Cozzi, 1982, 217-318 in 1998, 291-235; Viggiano, 1993; Va­ ranim, 1992. 128 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 ciljev, ki so si jih Firence zadale pri oblikovanju svojega 'gospostva' - tiste zgradbe, katere notranje 'nasilje' je razglašal Francesco Guicciardini -, pa je bil razbijanje 'modula' z ločevanjem mest od njihovih okrožij. Ponekod, kot na primer na po­ membnem območju Pise oziroma njene 'province', se je to verjetno dogajalo bolj odkrito, medtem ko je ta proces drugod, kot denimo na območju Pistoie, potekal bolj nenačrtno, manj izrazito in postopno. Vse te težnje pa so vzpodbudile nastanek nove, samo delno urbanocentrične ozemeljske delitve na okrožja, izoblikovane na začetku 15. stoletja, uvedbo tako imenovanih podeželskih vikariatov, ki niso bili več od­ govorni mestom, vsesplošno pošiljanje florentinskih rektorjev s podestatskimi pristojnostmi na ta območja in s tem odpravljanje tistih nižjih sodnikov, ki so na podeželju beneške Terraferme še naprej ostajali močno sredstvo obrambe in uve­ ljavljanja interesov oblastnih skupin podrejenih mest.22 Še pomembnejši od večje ali manjše krhkosti mestnih mrež so bili narava in interesi slojev, ki so upravljali z vladajočimi mesti, dejanska narava in intenzivnost trgovinskih odnosov, ki so jih ti vzpostavili z ozemeljskimi enotami, nad katerimi so spletli svojo oblast. Na tem mestu še nakazati ni mogoče vseh mogočih zapletenih zvijač, s katerimi so splošne interese prepletali z zasebnimi, javno potrjene oblike gospodarske in politične hegemonije pa s klientelizmom in privilegiji, pogosto tudi ob posredovanju političnih frakcij. A zadržimo se raje ob različnih profilih obeh mest, ki sta se bolj kot druga zavzemali za oblikovanje sistemov regionalne oblasti, in ob različnih načinih, s katerima sta se tega lotili. Odločitve, ki so Benetke na začetku 15. stol., kot je znano, privedle do zavzetja Terraferme, so bile deležne precejšnjega nasprotovanja. Zagovornikom širitvene politike ni bilo lahko braniti usmeritve, ki prav gotovo ni temeljila, kot je trdil Contarini, na želji, da bi pomagali bližnjim zatiranim ljudstvom pred njihovimi tirani, temveč predvsem na potrebi po obrambi kopenskih trgovskih poti pred grožnjami drugih potencialnih zavojevalcev (v prvi vrsti pred družinama Visconti in Sforza). Vsi, ki so se še zmeraj povsem istovetili s pomorsko in trgovsko usmeritvijo mesta in po mnenju katerih bi bilo treba cesarstvo najprej zaščititi z morske strani,23 so namreč tem težnjam močno naspro­ tovali; pravi zemljiški interes si je pot do beneškega plemstva utirali zelo počasi in bil na začetku omejen na bližnja območja, na območje Padove, denimo, in Trevisa. Šele med 16. in 17. stoletjem so postali ti interesi tako močni, da so spremenili profil mestne države in vplivali na njeno ozemeljsko politiko. Začetnih značilnosti in težav ob združevanju, ki so ga ovirale globoke "okoljske" razlike, pa bi le stežka ne po­ vezali z razumno odločitvijo, ki je navajala k spoštovanju lokalnih ravnotežij in oblikovanju institucionalnih okvirov za njihovo ohranitev. Posledice te odločitve v 22 O uredbah in upravljanju florentinske države glej Chittolini, 1979, 292-235; Zorzi, 1990. O primeru Pise glej Fasano Guarini, 1976, 1-94; o primeru Pistoie glej Herlihy, 1972. 23 O dogodkih, ki so pripeljali do nastanka Terraferme glej Cozzi - Knapton, 1986 in tam navedeno bibliografijo. 129 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU. 119-140 upravljalski praksi rektorjev, ki so bili poslani na to območje, in organov, ki so nad njim bdeli iz Benetk, je težko spregledati, prav tako kot so očitne v samovolji sod­ nikov in v njihovi navadi, da posredujejo v sporih in jih poravnavajo. Na ta način so vrhovno oblast Sv. Marka začele priznavati tudi nasprotne sile na prizorišču. Veliko odkritejše so bile ozemeljske težnje Firenc.24 Nastajanje gospostva v tem primeru ni bilo kot v Benetkah posledica preobrata, ob katerem so se vnela nasprotja in odkrite razprave, temveč je šlo bolj za postopen rezultat širitve, ki sicer ni bila izpeljana "v meščanski opravi", pač pa je izhajala iz trgovske in proizvodne hege­ monije, ki jo je mesto, skoraj geografsko središče regije, v njej izvajalo; v oporo pa mu niso bile le zveze, ki so se pri tem izoblikovale, temveč tudi zgodnji interes vodilnega mestnega sloja za zemljiško lastnino.25 Od tod tudi vse druge odločitve, predvsem tista, s katero so mestom z oblikami institucionalnega ločevanja odvzeli nadzor nad njihovimi okrožji; od tod ostri posegi v gospostvo, ki niso bili omejeni na posredovanje v lokalnih sporih, temveč so omogočili bolj ali manj uspešen davčni in upravni nadzor. Podobnim pogojem kot v Benetkah - pomorskim, trgovskim in v 16. stoletju predvsem finančnim interesom mestnega plemstva - gre morda pripisali tudi razloge za relativno nezanimanje Genove za svoje "gospostvo", ozek ozemeljski pas med hribovitim predelom in morjem. Po osvoboditvi mesta izpod neposredne vladavine Francozov 1528 in njegovem prehodu pod prožnejši nadzor Špancev, po uničenju strankarskega sektaštva, po oblikovanju plemiškega "unicus ordo", s čimer so utrdili notranji red mesta, je seveda Respublica Jcinuensis posrbela tudi za obnovo svojega ozemeljskega gospostva: s pomočjo Španije je Francozom iztrgala konkurenčno mesto in pristanišče Savono in si zagotovila tranzitne poti, predvsem ključni prehod preko gorskega obroča proti lombardski nižini.26 Genovski rektorji, poslani v periferne skupnosti, kjer so nekateri raziskovalci preučevali "ligurski" model države starega režima (Cervo, Fontanabuona), pa so v svoji dnevni upravljalski praksi izražali določeno ravnodušno nevtralnost. Na videz brez političnega cilja so se po mnenju raziskovalcev, ki so se s tem posebej ukvarjali, še izraziteje kot beneški rektorji omejevali na "posredovanje" v sporih med rodovnimi zvezami, skupnostmi, sosedi, strankami, če pa je bilo potrebno, so najnasilnejše spopade med roparji zatrli tudi v krvi (Raggio, 1990; Grendi, 1993). Velike družine (Doria, Grimaldi, Spinola, Centurione, Balbi), ki se še niso zasidrale na ozemlju - "négociants sans pays" so jim pravili še v 18. stoletju -, pa so se na videz gibale v meta-teritorialnem prostoru, med mestom, s katerim so se najgloblje istovetile, in španskim cesarstvom (Grendi, 1997). 24 Poleg že omenjenih del v zgornjih opombah (ki so podrobneje obravnavala institucionalno siste­ matizacijo kot celovito zgodovino nastanka florentinske vladavine) glej Luzzati, 1986. 25 Glej o tem opombe v Fasano Guarini, 1994, 171. 26 O vprašanju Savone in zapiranju njenega pristanišča glej Pacini, 1990. Isti avtor je posvetil več pozornosti vprašanjem upravljanja vladavine v svoji doktorski disertaciji, ki je v tisku. 130 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 4. Država in gospodarska regija: zaton mest, vzpon podeželja? Čeprav so procesi združevanja v večje sisteme, politične in gospodarske, potekali v 'pogodbenih' okvirih, o katerih je bil govor, in čeprav so bile strategije, ki so vplivale na njihovo izvajanje, različne, so tako rekoč povsod spremenili vlogo mest in ponekod vzpodbudili tudi izrivanje urbanega tkiva. Seveda so preživele tiste funkcije, ki so jih mestna središča opravljala v zvezi z organizacijo trga in oskrbo s hrano, z nudenjem pomoči, z upravljanjem teritorija in z izvajanjem sodne oblasti, z vzgojo oficirjev in vojaških kadrov, funkcije skratka, v katerih je Giovanni Botero videl 'svojskosti' mesta. Neredko pa so te funkcije postale tudi apanaža manjših središč - "skoraj-mest", kot jih je nekdo označil -, ki pa niso razpolagala z atributi, ki so v Italiji simbolizirali cerkveno oblast in bili značilni za prava mesta, s častjo, ki so jo zagotavljale antične korenine in plemiška narava, s privilegiji, ki so mesta ščitili. Pač pa je istočasno prišlo do očitnega in sčasoma vse bolj naglašenega prevred­ notenja mestnih pristojnosti. Do tega prevrednotenja je prišlo tudi tam, kjer so, podobno kot v Bologni, še kar naprej govorili o "pogodbeni republiki", ali kjer je, tako kot v papeški marki, v Umbriji in v legacijah meščansko življenje ob podpori novih institucij oblasti in urejeno v strogo plemiške oblike med 16. in 17. stoletjem ohranilo tako živahnost in dostojanstvo, da so vsi, ki so se ukvarjali z majhnimi urbanimi središči, raztresenimi po teh pokrajinah, prepoznali v njih, bolj kot v osrednjih institucijah, življenjsko tkivo ("državno in torej posvetno") papeške države (Zenobi, 1994). Papeški Rim je bil brez dvoma posebna in nenavadna prestolnica; predstavljal je pol, ki je s svojo privlačnostjo močno presegal državne meje, ni pa bil 'vladajoče' mesto. Podobno kot njegov vladar je tudi sam imel dve duši: cerkveno-versko in politično,27 zato ni prav nič pretirano, če v primeru papeške vladavine prav v mestih in manjših perifernih središčih prepoznavamo kraje dejanskih izmenjav in regionalnega trgovanja, uspo­ sobljene sedeže regionalnih visokih sodišč, centre izvora in izobrazbe osebja kurije in javnih uslužbencev, ki so v njih obiskovali zavode in univerze. Sicer pa papeži in njihovi legati niso skrivali želje, da bi obvladovali lokalne oblasti in vzpostavili nadzor nad njihovimi političnimi odločitvami. V tem duhu je mogoče brati tudi zgodovino Bologne v obdobju kratkotrajne vladavine papeža Siksta V. (Gardi, 1994), splošneje pa tolmačiti takratne poskuse, da bi skupaj z institucijo rimske kongregacije za nadzor oblasti (Buon Govemo) vzpostavili način upravnega, premo­ ženjskega in koordinacijskega nadzora za obvladovanje lokalnih partikularizmov. Podoben poskus, ki sicer ni služil odpravljanju avtonomij, temveč nadzoru nad mestnimi upravami, se je med 16. in 17. stoletjem pod pritiskom naraščajočih finančnih zahtev držav razširil tudi na druga območja.28 V 17. stoletju so se celo v 27 O dvojnem profilu papeža glej Prodi, 1982. 28 Za popolnejšo in posodobljeno sliko glej Mannori, 1997, posebno Mannorijev uvod in zaključni po- 131 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 Genovski republiki in v republiki Lucce, takrat še mestnih razsežnosti, izoblikovali podobni uradi kot urad za nadzor oblasti (Ujficio del Buon Governo). Že od srede 16. stoletja je v medičejskem nadvojvodstvu deloval preoblikovan in okrepljen Urad deveterice varuhov (Magistrato dei Nove Conservatori), ki mu je bil zaupan "nadzor" nad organi lokalne uprave. Takrat seje tu uveljavil tudi običaj, katerega izjemnost je razvidna iz pozornosti, ki jo je vzbudil med beneškimi poslaniki (ambasciatori), da namreč center imenuje kancelarje v vseh skupnostih, vključno z mesti. Njihova naloga je bila "urejanje sprotnih zadev", piše Francesco Morosini 1608, v "težjih" primerih pa je odločal nadvojvoda (Relazioni, 1916, I, 121). Po mnenju toskanskih perifernih sil je bil ta ukrep škodljiv in v številnih mestih, Arezzu, Cortoni, Pratu, Volterri, so ga sprejeli sovražno, včasih je naletel celo na nasilen odpor (Fasano Guarini, 1977). Podobno kot v Markah in milanski državi tudi v Toskani niso manjkala politična posredovanja, s katerimi so skušali vplivati na sestave mestnih upravnih organov, in sicer največkrat tako, da so na izrazito oligarhičen način izpodbijali naj očitnejše poskuse spreminjanja že obstoječih ravnotežij. Navidezno kontradiktorno razvredno­ tenje mestne oblasti je v številnih primerih izzvalo tisto ravnodušnost do funkcij, katerih zakasnele izraze je v primeru Verone ujel Marino Berengo (Berengo, 1975), ni je pa težko zaslutiti tudi v kaznih, ki jih predvidevajo statuti iz 16. in 17. stol. za vse tiste, ki bi se skušali izogniti njihovemu izvajanju. Sicer pa se "pota vzpona" niso izčrpala več znotraj mestnega obzidja: vezana po eni strani na zemljiško premoženje, so po drugi strani tako v Toskani kot v papeških markah "silila ven", se skušala prebiti do državnih dvorov in sodišč, do vojaških organizacij, gubernij, deželnih in vrhovnih sodišč ter naj višjih ravni cerkvenih hierarhij.29 To je bila ena od nagrad, ki jih je tako skozi javne kot skozi klientelame načine združevanje ponujalo lokalnim vodilnim slojem, katerih politična moč se je postopoma izgubljala; obenem pa je to bil tudi razlog za njihovo ločevanje od svojih domačih krajev. Med 16. in 17. stoletjem se je močno razširila tudi težnja po ločevanju mest od njihovih okrožij, k ije bila vse od 15. stoletja značilna za strategijo oblasti, ki sojo na račun "modularnega sistema" upravljanja izvajale Firence na svojem ozemlju. So­ dobno zgodovinopisje je, tako kar zadeva beneško Terrafermo kot špansko Lom­ bardijo, posvetilo veliko pozornosti širjenju teles, ki so v tistem obdobju samostojno predstavljala podeželje, mu zagotavljala lastni glas in mu dala možnost, da se pogaja z mesti predvsem na davčnem področju, a tudi na področju sodstva, uprave in prehrane. Ta telesa - "teritorialna telesa" ali "okrožni zbori" ali "lažni senati", kot so jih imenovali v Venetu - so izvirala iz značilnega prepleta "državnih" in "družbenih vzetek Fasano Guarinijeve. Glej tudi Tabacchi, 1996. 29 O papeški državi glej Zenobi, 1976. O toskanskem nadvojvodstvu glej Fasano Guarini, 1979-80, 105-126. O napredovanju, ki so ga ponujale sodniške kariere in vrhovna sodišča glej Sbriccoli, Bettoni, 1993. 132 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 interesov".30 Z ene strani so pritiskale finančne potrebe in želja, posebej očitna v spanski Lombardiji pod Filipom II.,31 zagotoviti davkariji trdnejše in bolj nepri­ stranske temelje in s tem lažje izterjevanje davkov, z druge strani pa so bile na delu globoke družbeno-gospodarske dinamike. "Lažne senate" so zato tisti, ki so jih preučevali, povezali tako z zanimanjem, ki so ga začeli beneški premožni sloji kazati za zemljiško posest, kot s takrat še slabo znanimi spremembami ozemeljskega družbenega tkiva, znotraj katerega so se začele oblikovati nove sile in novi interesi. Zaton mest torej in vzpon podeželja? Danes se zdijo ti pojmi neustrezni, zgodovinarji pa se pri branju procesov, značilnih za italijanske države v moderni dobi, raje odločajo za drugačne ključe, za druge konceptualne prijeme. Že same demografske podatke je glede na njihovo različno ureditev mogoče brati na več načinov. Nasproti dolgo prevladujočemu stališču o "celovitem procesu razkroja mestnega gospodarstva in družbe v Italiji 17. stoletja" (Sonnino, 1982) je R. P. Corritore pred kratkim postavil tezo o razvoju, ki je drugačen glede na upoštevano velikost. Če ob mesto z več kot 10.000 prebivalci postavimo manjša središča s 5.000 do 10.000 prebivalci, propadanje nima več takih razsežnosti. Prej bi ga lahko ozna­ čili kot težnjo k navzdol naravnani "razsežnostni homogenizaciji" in torej (potem ko sta bili rešeni vprašanji vloge in posesti prestolnih mest) k manjši polarizaciji urbanih sistemov, k bolj razširjeni "urbanizaciji" podeželja, ki naj bi v padsko-emilijanskem primeru, ki ga avtor posebej obdeluje, predstavljala drugo plat splošne "ruralizacije" gospodarstva (Corritore, 1993). Zastajanje in v nekaterih primerih manjšanje starih zgodovinskih mest, razpotegnjeno v daljše časovno obdobje, tudi drugod spremlja nastajanje "manjših" središč, trgov, vasi, "skoraj-mest", ki jih včasih doleti čast do­ delitve mestnega naslova.32 Na nekaterih območjih (v Toskani medičejskih nad­ vojvod, v Piemontu Emanuela Filiberta Savojskega in njegovih naslednikov) je politično poseganje vladarjev prineslo s seboj spremembe v samih mestnih hie­ rarhijah in celostno prestavljanje teritorialnih polov. Z uveljavitvijo nove vladarske oblasti je Torino "zadušil Piemont" (Levi, 1985, 11-69). Pristaniško mesto Livorno, zgrajeno načrtno kot izraz modre politične volje, pa je postalo v nekaj letih drugo središče v državi.33 Mreža lombardskih mest in mest Emilie-Romagne, od Pavie do Mantove, od Piacenze do Ferrare, opredeljuje po Corritoru "gospodarski bazen... relativno strnjen teritorij", ki presega državne meje in se napaja iz širših povezav. Za gospodarskimi procesi, ki so med 16. in 17. stoletjem dopustili združevanje podobnih urbanih sku- 30 Za celovitejšo sliko z bogato bibliografijo glej Chittolini, 1996, 211-226. Glej tudi Zamperetti, 1987. 31 Zaplete v zvezi z oblikovanjem novih meril pri delitvi davščin v španski Lombardiji in vpliv, ki so ga ta merila imela na odnose med mesti in podeželjem, je temeljito preučil Vigo, 1979 in 1994. 32 Za celovito sliko glej Chittolini, 1994, 11-37 in 1996, 95-104. O toskanskem primeru glej Fasano Guarini, 1994, 39-63. 33 V obsežni bibliografiji o Livornu glej posebej L. Frattarelli, 1989, 872-893. 133 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 pin v nekakšno "regionalno" tržišče, pa stojijo politični dejavniki, ki so pripeljali do erozije mestnih avtonomij, ter posegi, s katerimi so vladarji skušali spremeniti merila pri prerazporejanju davčnih bremen in pri drugačni porazdelitvi privilegijev. Se ostrejši in bolj tog (morda celo preveč) je bil videti odnos med regionalno državo in gospodarsko regijo v drugih primerih in drugih obdobjih, v Firencah med 14. in 15. stoletjem na primer. S tem v zvezi so prišli na dan nasprotujoči si vidiki, prav kar zadeva načine vrednotenja vloge mest. Če so nekateri raziskovalci v regionalizaciji videli načeloma uglašen proces delitve dela med mesti, naklonjen gospodarskemu razvoju, so drugi obstoj močnega mestnega pola, usmerjenega (kot sta trdila Mac- chiavelli in Guicciardini) v politiko "nadvladanja" in ne združevanja, po krizi v 14. in 15. stoletju razumeli kot zavoro za demografsko in gospodarsko obnovo. Veliko ugodnejše so bile zato videti razmere na Siciliji, kjer naj bi zaton starih mestnih polov Palerma in Messine dopustil ustreznejšo porazdelitev zalog, ali v Lombardiji, za katero je bil značilen bolj razpršen in dinamičen urbani policentrizem.34 Ne glede na razlike v interpretacijah, pa je bila vsem skupna ugotovitev, da gre zgodovino mesta in države iskati v "regiji", v okvir katere je treba dejansko umestiti gospo­ darska in politična dogajanja. Enotno je bilo tudi prepričanje, da gre analizo s tradicionalnih nasprotij mesto - podeželje na eni strani in mesto - država na drugi prenesti na gospodarske in politične sisteme, v okviru katerih se ta nasprotja po­ vezujejo in umirjajo. Iz tega zornega kota postaja vprašljiva ne le zamisel o urbanizaciji kot pre­ močrtnem procesu, "povezanem z gospodarskim razvojem", temveč tudi pravno in politično razumevanje mesta po eni strani in pojmovanje države kot zgolj odraz procesov racionalizacije in "modernizacije" oblasti na drugi. Ponovno se odpirajo vprašanja, ki so jih na neki način dojele že priče tistega časa, o katerih je tekla beseda na začetku, vendar se mesto nam danes kaže veliko manj polnokrvno kot njim, pri­ kazen države pa veliko bolj otipljiva. In prepletanje njunih zgodovin postaja vse bolj zapleteno. Prevod: Vida Gorjup Posinkovič 34 Gospodarske predpostavke, ki so med 13. in 15. stoletjem vzpodbudile nastanek toskanske regio­ nalne države, je preučeval P. Malanima, 1983, 229-269 in 1986, 61-72. O težnjah po harmonični delitvi dela v okviru gospodarskih regij, ki so se izoblikovale na podlagi regionalnih držav, glej Mirri, 1986, 47-59. Drugačna stališča zagovarja Epstein, 1991, 3-50 in 1993, 453-477, ki je v okviru primerjalne študije izpostavil neravnovesja, do katerih je prišlo v regijah, v katerih je bil osrednji urbani pol močnejši. 134 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU, 119-140 ST ATO E CITTÁ IN ITALIA NELLA PRIMA ETA MODERNA Elena FASANO GUARINI Universitá degli Studi di Pisa, IT-56100 Pisa, Piazza Torricelli, 3/A RIASSUNTO Vautrice si e proposta di analizzare i caratteri fondamentali di alcuni stati cittadini italiani che aU'inizio dell'etá moderna hanno avuto uno sviluppo territoriale, e hanno inglobato nel proprio dominio una serie di cittá minori, con i loro contadi, e di terre feudali. Si é soffermata in particolare sullo Stato veneto di terraferma e sullo Stato di Firenze. Nel parágrafo iniziale, consacrato ali'esame del lessico político cinquecentesco, si é cercato di vedere come scrittori politici fiorentini (da Francesco Guicciardini e Niccoló Machiavelli) e veneziani (da Gasparo Contarini e piü tardi Paolo Paruta) presentino le relazioni intercorrenti tra le cittá dominanti di cui sono cittadini e i loro domini. Sono emerse immagini nettamente contrastanti: quella irenica, costruita in termini mitografici dai veneziani, e quella intrisa di violenza disegnata invece dai fiorentini. Al di la di queste diversitá, si sono richiamate le basi giuridiche e costituzionali, apparentemente federative o consociative, comuni a tutti gli Stati territoriali di origine cittadina. I vincoli che legavano le comunitá soggette alia cittá dominante, sanzionati da patti e "capitoli", avevano dovunque un carattere apparentemente contrattuale, e lasciavano ampio spazio alVautonomía lócale (parágrafo 2). Si é peró cercato di vedere come in questi quadri si svilupassero strategie di potere ejfettivamente divergenti, condizionate da fattori materiali. Importante fu il peso, demográfico ed económico, conservato dalle cittá soggette dopo la crisi del secolo XIV, assai piü forte nelle terraferma veneta che nella Toscana florentina. Ma contó soprattutto la natura degli interessi e delle inclinazioni dei ceti dirigenti delle cittá dominanti. Alia lunga vocazione marinara e mercantile del patriziato veneziano (o anche della nobiltá genovese) si é cosi contrapposto il piü forte e piü rápido interessamento del ceto dominante florentino per la térra e per l'espansione delle proprietá fondiaria (paragrafi) 3). A ció si puóforse collegare l'intervento piü rápido e piü deciso di Firenze nel governo del suo dominio. Richiamando alcune linee della storiografia recente, si é infine cercato di mostrare come lo sviluppo di nuovi sistemi territoriali abbia poi modificato, in particolare nel '600, i rapporti preesistenti non solo tra la cittá dominante e le cittá soggette, ma anche tra queste e le loro campagne. Si sono sviluppate, non senza conflitti, nuove forme di integrazione regionale, política ed económica. I termini stessi di "cittá" e "campagna", agli storici odierni non sembrano piü neces- sariamente antagonistici come a lungo sono stati considerad. Paiono piuttosto designare mondi aperd a reciproci influssi e compenetrazioni, separad da confini 135 ACTA HISTRIAE VII. Elena FASANO GUARINI: DRŽAVA IN MESTA V ITALIJI V ZGODNJEM NOVEM VEKU. 119-140 fluicli e incerti. Emerge cosí un nuovo protagonista storico, la "regione", le cui logiche politiche ed economiche richiedono oggi una difinizione piü precisa e approfondita. (paragrafa 4). VIRI IN LITERATURA Baldini, E. (1992): Bibliografía boteriana. In: Baldini, E. (red.): Botero e la 'ragion di Stato'. Atti del convegno in memoria di Luigi Firpo (Torino, 8-10 marzo 1990). Firenze, Leo S. Olschki, 503-553. Berengo, M. (1975): Patriziato e nobiltá: il caso Veronese. Rivista storica italiana LXXXVII. Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 493-517. Blickle, P. (red.) (1997): The Urban Belt and the Emerging Modem State. 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