LA S E D E D E L L A T E N E O V E N E T O E D IL SU O R E C E N T E R E S T A U R O Ferdinando Forlati, Venezia Scrive il Tassini nelle sue preziose C uriositä Veneziane:1 »Usavano i Yeneziani di raccogliersi in alcune pie confraternite appellate scuole, vocabolo proveniente dal greco e denotante unione di persone che danno opera od attendono a qualche cosa. Dicesi che questo costume sia stato portato in Italia nel secolo V II dalla G erm ania per mezzo di S. Bonifa­ cio. Le Scuole si dividevano in grandi e minori conosciute anche sotto il nome di Fraglie. Le Scuole grandi, cosi chiam ate per la loro m agnifi- cenza, dovizie e privilegi erano sei: di S. Teodoro, di S. M aria della Ca- ritä, di S. G. Evangelista, di S. Marco, della M isericordia e di S. Rocco.2 Assai piü numerose erano le m inori; composte per la maggior parte dai vari corpi delle arti e m estieri. . . sia le une che le altre facevano molte opere di c a ritä . . . Erano rette da speciali statuti, raccolti in alcuni libri chiam ati Mariegole (quasi Madri regole) con un guardiano, un vicario e uno scrivano ciascheduna«. F ra le Scuole minori dedite in modo particolare alle opere di pietä e quella di S. Fantin. Sin dal 1411 s’era raccolta nella chiesa omonima3 una confraternita chiam ata di S. M aria della G iustizia o della Buona Morte4 con l’intento pietoso di accom pagnare e confortare i condannati al patibolo e per dare sepoltura ai cadaveri. Nel 1440 essa chiede al Con- siglio dei Dieci di aum entare il numero dei confratelli sino a venticinque; gliene sono concessi venti.6 Nel 1458 si unisce alia Scuola di S. Gerolamo che pure si riuniva a S. F antin con analoghi scopi;6 nel 1491 decide di costruirsi una sede propria, cioe un piccolo oratorio che pero giä nel 1562 bruciö con quanto conteneva compresa la M ariegola. Ma nel 1581 la sede viene ricostruita e riattata con la pala d ’altare di Marco del Moro, il soffitto di mano di Jacopo T intoretto7 e una nuova M ariegola.8 Anche questo nuovo edificio ebbe perö brevissim a durata, probabil- mente p.erche troppo piccolo. Si sa di successivi acquisti e convenzioni con il vicinato fatti dalla Scuola0 in modo da assicurarsi piii largo spazio e una Riva per accedervi anche per via d ’acqua. Si sa di una notevole abbondanza di mezzi, di cui ci si trovava a disporre in quel momento1 0 per cui il 18 aprile 1599 su proposta del magnifico Messer Zam aria Salmeza, guardian grande, fu decisa l’erezione di un edificio ex novo scelto in base ad un concorso. Tre furono i concorrenti: Francesco Fracado, Messer Bortolo da S. Rocco e infine Antonio Contin. Se i due prim i sono ignoti non cosi quest’ultimo, di una fam iglia di scalpellini ed architetti originaria di Lugano che opero a Venezia tra i secoli XVI e XVII: B ernardino di cui si ha la prim a notizia nel 1563 e nel 1597 era giä morto, Tommaso ancor vivo nel 16181 1 e il figlio di Ber- žjissa». Fig. 193. Jacopo de B arbari (?), La scuola di S. Gerolamo nardino ehe e appunto il nostro, nato a Lugano intorno al 1566. D apprim a era collaboratore di Tommaso nella fabbrica delle Prigioni e del Ponte di R ialto dovute al loro parente Antonio d a Ponte, ma anche aveva eretto in proprio, a quanto sembra oram ai certo, il Ponte dei Sospiri1 2 e il C am panile dei Greci. Nel concorso per la Scuola di S. Fantin riusci vincitore e a tale ri- sultato dovette certo contribuire il »Magnifico signor Alessandro Vitto- ria« alla cui presenza furono esam inati i modelli. Ma poco egli pote fare, clie mori nel fior dell’etä a solo trentaquattro anni; gli subentro Tommaso1 3 ehe condusse rapidam ente avanti la fab- Fig. 194. Venezia. Ateneo Veneto. Veneto. Ateneo Venezia 194, proprietä della Scnola nel 1808 M U f fiS Fig. 195. Ateneo Veneto, rilievo della pianta FACCIATA D EL L A SC V O LA D I S. FAN TINO Arehititiura 5.»nluu»no Fig. 196. Ateneo Veneto,, La facciata nella stam pa di L. C arlevaris Fig. 197. V e n e z i a , A t e n e o V e n e t o g i ä Scuola d i S. G e r o l a m o ( A . V i t t o r i a , 1580) Fig. 198. Yenezia, Ateneo Veneto, La facciata brica tanto ehe sulla porta verso Calle della Verona si legge tuttora la data: MDC. MENS. DEC. E ra allora com piuta la chiesa e il soprastante albergo grande, non cosi la sagrestia nuova verso calle Minelli e il soprastante Albergo pic­ colo, tanto d ie si continuö ad adoperare la vecchia sagrestia verso calle della Verona. ( L’architettura esterna era press’a poco quale oggi la vediamo, salvo che alle due estrem itä vi erano due piccoli cam panili di cui ci rim ane oggi solo il rieordo in una stam pa del 1700. Ci troviam o di fronte a un’opera che ha indubbiam ente un suo ca- rattere unitario ehe sinserisce nobilmente in quella corrente architetto- nica predom inante a Venezia sul finire del seeolo XYI ehe, come dice il Lorenzetti, 14 nel singolare amore per i forti effetti di chiaroscuro e il largo impiego di elem enti ornam entali si m ostra ribelle alle norme del puro classicismo, preannunciando il barocco il quale pero a Venezia non si libererä mai totalm ente dell’iniziale sua ispirazione classicheggiante. Rimane ora da decidere la sem pre ricorrente questione se questa architettura fosse proprio opera dei Contini, Antonio e Tommaso, o non piuttosto essi fossero semplici esecutori su disegni e su consiglio del Vic­ toria. II Pavanello 15 ha fatto osservare ehe l’attribuzione di questo edi- ficio al grande artista trentino p arte dal T em anza . 18 Senza dubbio anche il V ittoria (1524—1608) fu essenzialmente deco- ratore e scultore ben piü che architetto. Alle fabbriche si dedicö p iu t­ tosto ta rd i 17 e non sem pre con partieolare successo. Ma e anche certo ehe fu artista di tu tt’altra tem pra ehe non i Contini, esecutori piü ehe creatori. Osserva il V enturi18 ehe nella faeciata »le nicchiette con il breve catino a conchiglia, chiuso nel basso da mensole pensili ne rompono con troppi scuri l’effetto« e che »il frontespizio non s’adegua alia mole di sotto«. Com unque se lo si paragona all’altra opera certa di Antonio Con­ tini, il Ponte dei Sospiri, 19 non si puo non riconoscervi una ben diversa unitä di stile d ie puo essere dovuta appunto ai consigli del Vittoria. Non si p arla poi dei particolari interni in cui questo segno e unanim em ente riconosciuto. Gli altari sono oggi a S. Giovanni e Paolo, ma la porta e la decora- zione dei dossali m arm orei del salone stanno ancora a provare sul posto l’im pronta del grande maestro. Anche gli intagli del soffito ehe racehiudono i dipinti del Palm a il Giovane nell’antica Chiesa non sono senza parentela eon gli altri cele- berrim i del maestro. Al piano superiore al cosidetto Albergo grande le pareti eranno ri- coperte da dossali in legno ed il soffitto ugualm ente arriechito di tele dello stesso Palm a. Nell’ultim o piano della soffitta vi e ancora una piccola cam eretta tu tta rivestita di legno ehe fu ritenuta per un certo tempo come luogo ove i condannati a morte trascorrevano le loro ultim e ore; in realtä serviva per conservarvi in uno scrigno il denaro e gli argenti della C onfrater- nita . 20 Di la una scaletta conduce ad una cella dove forse i colpevoli pas- savano le loro ultiine ore. Cosi era la Seuola ai prim i del 600 quando la vide e la descrisse lo S tringa 21 e cosi rim ase sino al 1664, quando furono decisi i lavori di com pletam ento, cioe la costruzione della nuova Sagrestia al pianoterra e del cosidetto Albergo nuovo oggi sala Tommaseo, il cui soffitto e do- vuto alio Zanclii. F i g . 199. V e n e z i a . A t e n e o V e n e t o , B u s t o d e l V i t t o r i a d i T. R a n g o n e E sono gli ultim i lavori eseguiti sino alia soppressione della Scuola con la caduta della R epubblica. Per fortuna pero essa non fu destinata coine tante altre ad uso profano bensi quäle sedc della Veneta Societä di M edicina; anzi in eambio di oggetii per il culto esportati, questa ebbe l’auiorizzazione di transportarvi le erme dei medici che desiderava. Prim a fra tu tte per il loro singolarissimo pregio il busto del filologo e medico ravennate del XVI secolo Tommaseo Rangone giä a S. Geini- niano e quelli di Nicolö e Apollonio Massa giä a San Domenico, tutte opere insigni dello stesso Vittoria. L ’usura del tem po e la m ancanza di im m ediati provvedim enti in- dussero a vari restauri, nel 1826, nel 1841, nel 1849, nel 1876 per non dire che dei piü im portanti fino a quello ispirato dal Fogolari nel 1912. j w o n t A-B Fig. 200. Venezia, Ateneo Yeneto, rilievo della sezione Pero si trattav a sem pre di rabberciam enti saltuari, m entre la fabb- rica m anifestava con crinature specie nel piano superiore e nella sof- fitta, dissesti notevoli della sua compagine m uraria, dovuta anche a cedim enti saltuari delle fondazioni. La soffitta risultava tutto un intrico di travi aventi lo scopo di so- stenere contem poraneam ente il solaio e il coperto, riducendo eosi lo spazio utile per l’archivio che lassü aveva trovato una ben angusta sede — non parliam o poi del pericolo gravissimo di incendio, ehe non solo l'avrebbe distrutto, ma, propagandosi assai facilm ente e rapidam ente avrebbe incenerito le famose opere d’arte della Sala Tomaseo e di quella maggiore del piano terreno. II coperto propriam enle detto era in condizioni conservative assai preearie, tanto ehe continui stilicidi delle aeque piovane penetravano facilm ente sino nelle sale del prim o piano danneggiando i soff’ itti, come quello dipinto dallo Zanchi della sala Tomaseo, dipinto ehe ebbe a soff- rire danni per fortuna riparabili. Si venne cosi alia decisione nel 1956 di un radicale restauro. F i g . 201. Venezia, Ateneo Yeneto, D ipinto del Fontebasso Le opere piü im portanti furono il rinsaldam ento e l’am pliam ento saltuario delle fondazioni in corrispondenza dei maggiori eedimenti e il collegamento dei m uri perim etrali dove essi m anifestavano spaccature ehe passavano da p arte a parte. Ma anche il coperto venne del tutto rifatto con ossature in cemento arm ato e laterizio in modo cioe da escludere del tutto ogni pericolo d ’in- cendio; si raggiunse anche una maggiore altezza per le scaffalature me- talliche ehe accoglieranno la interessante e ricca raccolta dei libri. I dipinti vennero con ogni cura e catitela ripuliti m entre altre opere sussidiarie, come gli im pianti di una migliore distribuzione di luce, quello di riscaldam ento, il restauro e le rimesse in pristino degli antichi serram enti di porte e di finestre completarono l’opera e fecero rivivere quell’insieme tanto interessante per 1’architettura e la storia veneziana, 1 G . T a s s i ni, Curiositä Veneziane, II e d . a c u r a d i E l i o Z o r z i 1933, p. 635. 2 Le due piü recenti sono S. Rocco (1481) e S. Teodoro (1552); le altre risal- gono al 1260. Cfr. Pietro Paoletti, La Scuohi grande di S. Marco, 1929. p. 9. Secondo il Pavanello, La Scuola di S. Fantin ora Ateneo Veneto in Ateneo Veneto, XXXVII, vol. I, fase. 1—2, 1914, le piü antiche sarebbero inveee S. Teo­ doro, la C aritä e S. Marco. , 3 La chiesa ha origine antichissim a: restaurata una prim a volta dalla fa- m iglia P isani e una seconda nel secolo XV (il Sabellico le attribuisce una frons aedis nitida candidoque saxo nuper insstaurata) venne del tutto riedificata con un lascito del C ardinale C. B. Zeno su disegno dello Scarpagnino, com pletata alla sua m orte (1549) dal Sansovino cui si devono la bella abside e il presbiterio. 4 Yolgarm ente era detta la Scuola dei Picai. 5 C fr. G. Pavanello, o.e., p. 1 0 , n . 1 . 6 G . Lorenzetti, Venezia e il suo restauro. II ed., 1956, a cura della Lib- reria dello Stato, p. 110. 7 F. Sansovino, Venetia nobilissima, ed. del 1665, p. 136. 8 C ouservata all’Archivio di Stato e considerata fra le piü belle tanto che vi si volle vedere persino la m ano del Tiziano. Anche la Sagrestia (rim asta in piedi anche dopo la ricostruzione dal 1600) lungo la calle della Verona, oltre l’attuale ingresso, era ricca di quadri di cui parla il Boschini, Le miniere della pittura, Venezia 1664, p. 127; cfr. perö G. Pavanello, o.e., p. 40 sgg. 9 G. Pavanello, o.e., p. 43. 1 0 R iporta il Pavanello (p. 44) dalle carte conservate all’Archivio di Stato: »Ritrovandosi bona q u an titä di denari... nel scrigno« essendo le case vicine in pessimo stato »per eser vechie et lniver ogni giorno bisogno di molti concieri ne potendo ritrovarsi »per la qualitä loro se non affittu a li che duravan faticha pagar li loro affitti« fu deciso che fossero »gietate a terra et fabbricato secondo quel modello sarä fatto da periti«. 1 1 O pere di B ernardino sono considerate il Palazzo B arbarigo alle Colonne (1568—69) e varie tombe dei C orner a S. Salvador. Piü lunga vita ebbe Tom- maso che nel 1600 era sottoproto alle Prigioni, alla m orte del nipote Antonio egli subentra nell’uffic-io di proto del Sale e infine vienne norninato proto di S. Marco dove erige l'altare del Sacram ento e riduce alla form a attuale quella della Ni- copeia (1618). Sni C ontin vedi P. Paoletti in Thieme-Becker, K ünstler-Lexikon, s. o. (1912) e A. Venturi, Storia dell’ arte italiana, L ’architettura del C inque­ cento, v. XI, p. III, p. 190 seg. II V enturi non parla naturalm ente dell’ultim o dei Contin, Francesco che svolge la sua attiv itä nel XVII secolo — se ne ha la prim a notizia nel 1618 e m uore circa il 1675. Egli e ritenuto com unem ente come Antonio, figlio di Bernardino: m a se questi era giä m orto nel 1597 e il suo figlio era nato nel 1566, la cosa non appare troppo verosimile. O pere di Francesco sono le chiese di S. Anna, S. R affaele e S. Agostino. 1 2 V e n t u i , o. c. 1 3 Tommaso e generalm ente ritenuto zio di Antonio, m a le carie pubblicate dal Pavanello (o.e., p. 46) dicono diversam ente: »Laus Deo adi 8 settem bre 1600 — in fabricha essendo venuto a m orte il 9 me Antonio Contin . . . in loco di esso .. sia eletto messer Tomaso C ontin suo fratello del detto defonto con li patti et modi ch'el detto Messer Antonio aveva«. 14 O .e., p. 110. 13 O. c„ p. 47. 10 Vite dei piü celebri architetti e scultori oeneziani che fiorirono nel sec. XVI. Venezia 1778, p. 516. Dopo di lui lo ripeterono molti studiosi. 1 7 Sue opere certe sono l'ingresso alia Libreria M arciana e alia Sala del Col- legio in Palazzo Ducale, m a soprattutto il Palazzo Balbi nei due piani inferiori (il terzo e aggiunta posteriore) che rim ane la sua opera m igliore nei confronti delle altre sue costruzioni, il Palazzo Papadopoli e il Palazzo Mocenigo sul C anal Grande. 1 8 O. c., p. 190. 1 1 1 II Venturi lo cliiam a un »marmoreo cassone«. 2 0 Pavanello, o.e., p. 5 6 . n. 1 . 2 1 Pavanello, o.e., p. 51, che cita il commento dello Stringa all’opera, Venetia nobilissima del Sansovino (Ediz. 1663).