received: 2006-10-18 UDC 930.1:001.8:81364 original scientific article STORIA COME NARRAZIONE. RUOLO E SIGNIFICATO DEL LINGUAGGIO E DELL'IMMAGINAZIONE Marco APOLLONIO SI-6000 Capodistria, Strada di Pobeghi 42 e-mail: marco.apollonio@ guest. arnes. si SINTESI Lo studio evidenzia i problemi epistemologici che sorgono nell'applicazione dell'interpretazione formale della storia e della realta, accogliendo pero la tesi chomskyana dell'origine biologico-psicologica del linguaggio come un elemento intrinseco del processo evolutivo. Parole chiave: linguistic turn, narrativismo, grammatica generativa HISTORY AS NARRATION. ROLE AND MEANING OF LANGUAGE AND IMAGINATION ABSTRACT The paper points out the epistemological problems arising in the application of the formal interpretation of history and reality, agreeing nevertheless with the Chomskyan thesis of the biological-psychological origin of language as an intrinsic element of the process of evolution. Key words: linguistic turn, narrativism, generative grammar 415 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 INTRODUZIONE Il processo di creazione o costruzione di un testo di storia è fondamentalmente costituito da tre fasi vincolanti. La prima comprende la raccolta di fonti, documenti, tracce, testimonianze, relativi all'argomento che viene scelto come base della ricerca. La seconda è quella dell'analisi dei dati ottenuti. L'analisi deve includere lo studio delle rispettive interazioni e connessioni tra le varie fonti, limitando al minimo l'inevitabile interferenza posta dal ricercatore e la verifica dei dati esaminati. La terza e ultima fase è quella della trasformazione degli elementi ottenuti in racconto. Ovviamente ci sono storici che privilegiano ora una ora l'altra di queste tre fasi, oppure altri studiosi che mettono in dubbio la validità epistemologica delle singole fasi o dell'intero processo sopra descritto. Ció pero non toglie nulla alla plausibilità teorica di un tale procedimento, basato, come del resto quasi l'intera conoscenza umana, sulle parole. Interpretazione formale della storia e della realtà attraverso il linguaggio Nel 1973, lo studioso americano Hayden White pubblica Metahistory, tradotto in italiano con il titolo Retorica e storia, un'opera di svolta per quanto riguarda l'imprescindibile rapporto che intercorre tra letteratura e storia. Nel suo libro White sostiene la tesi che quest'ultima in sostanza non è che un artificio letterario. Pone cosí le basi per il linguistic turn. Una corrente epistemologica di area anglosassone per la quale la storia, se si mettono in dubbio i possibili criteri in base ai quali vengono considerate vere alcune ricostruzioni storiche e false invece altre, non puó più avere la pretesa di definirsi scienza. L'elemento narrativo in ambito storico diventa l'elemento fondamentale della sua struttura conoscitiva. Si sostiene, in sostanza, la corrispondenza epistemologica tra storia e letteratura, tra romanzo e libro di storia. La storia verrebbe interpretata come una semplice costruzione verbale, e come tale soggetta solo alle regole della linguistica e della retorica. Questa sua teoria, che rientra nel narrativismo, introduce lo studio formale dell'opera storica attraverso categorie proprie della letteratura e in particolare attraverso il meccanismo della retorica. Una retorica che è insita nella struttura della narrazione in relazione a ció che si crede possa esser assunto come vero, possa cioè esser accaduto. Il racconto, quindi, e la storia del passato. La retorica della struttura narrativa intesa non peró solo attraverso l'individuazione delle singole figure retoriche ma piuttosto come impostazione generale, mentalità, cultura, concezione, come Weltanschauung dello storico. Quest'ultimo in sostanza inventa un passato nel quale, grazie alla propria struttura retorica, lo scopre e ricrea. La storia come discorso, come prodotto culturale determinato dalla retorica vista attraverso i tropi della metafora, metonimia, sineddoche e ironia. Sarebbero questi gli elementi della 416 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 struttura profonda di un testo che andrebbero individuati nella struttura superficiale riguardanti la forma, l'intreccio e l'ideologia. Cosí, per esempio, se da una parte la tragedia, che fa parte dell'intreccio, potrebbe essere caratterizzata dal tropo della metafora, l'anarchismo che fa parte dell'ideologia, potrebbe essere caratterizzato dal tropo dell'ironia. Il tutto applicato ai testi di storia e a storici come Ranke, Michelet, Burckhardt, ecc. Il valore della storia diventa valore narrativo che si colloca nell'ambito di un dato ambiente sociale e culturale nel quale 10 storico vive. L'attenzione si sposta dalla temporalità, intrinsecamente imperscru-tabile, degli eventi, al racconto degli eventi stessi. È il racconto ad essere accessibile e analizzabile e non l'evento in sé come fenomeno temporale. White non è il primo a proporre teorie narrativiste, queste, il considerare cioè la dimensione narrativa come fondamento della storiografia, si sviluppano negli anni '60 del secolo scorso negli Stati Uniti, acquistando notorietà e interesse grazie all'ap-plicazione della linguistica e della semiologia alla storia. Basti ricordare studiosi come Arthur Danto, William Gallie e Northrop Frye. Ma è soprattutto con White che 11 narrativismo s'impone per il suo approccio strutturale e come base di una nuova corrente epistemologica. Anche il filosofo francese Paul Ricoeur ritiene che la struttura narrativa sia fondamentale al discorso storico e, più cautamente di White, afferma il fatto che: "la rappresentazione sul piano storico non si limita a conferire un rivestimento verbale a un discorso, la cui coerenza dovrebbe essere completa prima del suo ingresso nella letteratura, ma che essa costituisce un'operazione di pieno diritto che ha il privilegio di far emergere la prospettiva referenziale del discorso storico" (Ricoeur, 2003, 337). Sostenendo tale tesi, Recoeur fa delle precisazioni per quanto riguarda proprio l'applicazione della narrazione nella storia. Innanzitutto, secondo lui, la narrativa non puo diventare una soluzione alternativa alla spiegazione dei fatti, delle cose e degli avvenimenti, l'intreccio pur essendo necessario al metodo storiografico, rimane in sostanza su un piano diverso da quello della spiegazione. Non su un piano inferiore, ma su un piano paritetico di appoggio alla fase documentaria ed esplicativa. Lo storico, in questo senso, interpretando il pensiero di Ricoeur, deve comunque necessariamente ricorrere alla propria immaginazione perché le testimonianze di cui dispone non sono omogenee e spesso risultano anche incoerenti, frammentarie, costellate da vuoti, e questi possono essere colmati solo mediante l'immaginazione. L'immaginazione deve essere pero guidata da un ragionamento critico che lo storico deve continuamente esercitare su se stesso e sui dati in suo possesso. Ritornando all'analisi epistemologica fatta da White, si manifesta evidente una caratteristica interna al processo di conoscenza, l'azione di colui che analizza un dato aspetto della realtà inevitabilmente incide e trasforma quella realtà. Tanto più quanto il processo di conoscenza applica all'oggetto di studio strumenti "profondi" o al contrario esterni alla struttura linguisticamente codificata della materia in esame, finendo, se 417 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 portato all'estremo per snaturarne i contenuti. Il problema, cosí, è un altro. Si potrebbe paragonare l'approccio di White nei confronti della storia a quello della psicoanalisi alla letteratura. Come questa, finalizzando e mantenendo unilaterale tale processo, ap-plica categorie psicoanalitiche al prodotto letterario, cosí White applica categorie letterarie alla storia. Naturalmente il metodo dell'applicazione indebita puo continuare all'infinito. Dato che l'intero nostro sapere si basa sul linguaggio, è d'altronde facile applicare, indistintamente, le une sulle altre. Si cade cosí, inevitabilmente, nell'auto-referenzialità. Cosí come un discorso retorico puo essere facilmente psicoanalizzato, allo stesso modo un testo di psicoanalisi puo essere facilmente interpretato attraverso lo schema retorico, creando cosí delle metastrutture, apparentemente l'una superiore o più profonda dell'altra. Anche White, infatti, introduce una duplice struttura nell'er-meneutica del testo. Superficiale e profonda, superiore e inferiore. Già Chomsky aveva introdotto, nella metà degli anni '60 del secolo scorso, la distinzione tra struttura profonda e struttura superficiale nel linguaggio. Distinzione che verteva non tanto su determinanti astratti quanto piuttosto su considerazioni di tipo psicologico. Secondo Chomsky esiste uno schema mentale innato predisposto alla competenza linguistica. Questo schema o facoltà ha caratteristiche organizzative profonde che sono universali e si esplica in un'infinita possibilità semantica. La teoria di Chomsky nasce da una constatazione del linguista tedesco Karl Wilhelm von Humbolt, secondo il quale il linguaggio pur avendo mezzi finiti arriva a usi infiniti. Il nostro cervello che pur essendo uno strumento finito ha la possibilità, grazie al linguaggio, di un'applicazione illimitata. Da una parte l'esperienza umana, necessariamente parziale, dall'altra, l'avere di fronte un sapere umano virtualmente infinito. La grammatica generativa ha il compito di analizzare il meccanismo in base al quale il cervello, mediante il linguaggio, sviluppa dei pensieri infiniti. La possibilità di sviluppare questo meccanismo, questa capacità strettamente umana, secondo Chomsky, nasce dall'esperienza solo perché è già presente come strumento psicologico e biologico nell'individuo. Lo studio si deve concentrare non più sul com-portamento umano ma sul meccanismo per il quale tale comportamento avviene. La complessità e la struttura di tale meccanismo è al vaglio della grammatica generativa. L'analisi verte sulla relazione delle parole, su come e perché queste si combinano in un determinato modo. L'idea è quella che esistano delle regole elementari, di base, per quanto riguarda la relazione strutturale tra i vari elementi, che sono universali e determinati dalla natura stessa del linguaggio. I bambini, per esempio, pur con un'e-sperienza limitata, riescono a collegare dei concetti propri con i suoi corrispondenti di volta in volta acquisiti. Imparano a unire le due strutture. Analizzando gli elementi del linguaggio, Chomsky parte dalla constatazione che alcuni di questi elementi vengono pronunciati in una posizione diversa da quella nella quale vengono interpretati. 418 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 L'analisi di queste differenze porta allo scoperto questa struttura profonda, astratta, in contrapposizione a quella osservabile e superficiale. Gli spostamenti da struttura profonda a quella superficiale seguono determinate regole e queste vengono studiate dalla grammatica generativa. Nel libro Nuovi orizzonti nello studio del linguaggio e della mente, Chomsky presenta un esempio di come il linguaggio si rapporti con il mondo reale. Per sem-plicità limita l'esempio a nuclei elementari come la parola "libro". Parola che viene definita da Chomsky "un complesso di proprietà, fonetiche e semantiche" (Chomsky, 2005, 67). Se per quanto riguarda il suono non ci sono dubbi sostanziali, su quello del significato esistono divisioni profonde. Analizzando la parola da un punto di vista empirico e quindi evidenziando le proprietà semantiche della parola "libro" diciamo che è un nome, che definisce un oggetto concreto e non astratto, un oggetto artificiale e non naturale, ecc. Il problema è capire se queste proprietà fanno parte del significato della parola stessa o del concetto che le è associato. Secondo Chomsky, per ora, i due livelli sono indistinguibili. La parola viene interpretata in base a elementi inerenti alla struttura fisica, l'uso, il ruolo ecc., e gli oggetti vengono assegnati alle diverse categorie in relazione a tali caratteristiche che Chomsky definisce e interpreta come "proprietà semantiche". Se una biblioteca possiede due copie di Guerra e pace di Tolstoj e ognuna delle due copie viene presa da una persona diversa, si deve affermare che le persone in questione hanno preso lo stesso libro o libri diversi? Se consideriamo l'elemento materiale che fa parte della descrizione lessicale, i libri sono diversi, se invece consideriamo l'elemento ideale, astratto, facente sempre parte della descrizione lessicale, secondo Chomsky hanno preso lo stesso libro (Chomsky, 2005). L'interpretazione della realtà attraverso lo schema dualistico è profondamente radi-cata nel pensiero e nella psicologia umana, tale trasformazione ci accompagna pra-ticamente in tutti i campi della conoscenza. Ma è plausibile? Non potrebbe essere solo un meccanismo psicologico preesistente? Nulla dimostra che tale distinzione esista anche nella realtà. Certamente calza perfettamente nel nostro sistema linguistico ma ció non giustifica una sua estensione anche all'esterno di tale sistema. E comunque, anche se ci fermiamo esclusivamente sul linguaggio, ci troviamo ben presto di fronte a problemi insormontabili, a paradossi già al livello estremamente elementare e sem-plice delle parole senza dover entrare in merito agli enunciati più complessi. Sem-plificando si potrebbe dire che la realtà è sempre particolare, mentre il linguaggio, per una questione di economizzazione, sintesi, utenza, è sempre universale. L'unico modo che l'uomo ha trovato per colmare questo divario è l'applicazione della metafisica al linguaggio. L'introduzione di concetti che nella realtà non hanno nessun corrispettivo e nessun senso oggettivo, concetti come Dio, essere, verità, infinito ecc. Se quindi par-tiamo dalla concezione chomskyana, platonica, cartesiana di "proprietà semantiche" allora dovremo affrontare una realtà strutturata come un catalogo infinito di connes-sioni lessicali e ci troveremmo di fronte a problemi di natura metafisico-ontologica 419 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 insormontabili. Perché in base al dualismo platonico cartesiano dovremmo prospettare la divisione di questo catalogo infinito nella res cogita e nella res extensa. Il dualismo chomskyano osservabile nelle definizioni di elementi materiali ed elementi astratti di una descrizione lessicale. Purtroppo le cose non sono cosí semplici nemmeno per le singole parole come per esempio quella presa in esame dallo stesso Chomsky, "libro". Anche se valutas simo come pertinente questa divisione, come divisione cioè lessicale/reale tra concreto e astratto e quindi valutassimo la parola libro dal punto di vista materiale, ci troveremmo di fronte al problema del come valutare la consistenza stessa, materiale, del libro. La sua concretezza ci apparirebbe ben poco solida dato che dovremmo considerarlo come carta stampata che esisteva ben prima dell'idea stessa del libro. E se lo consideriamo carta stampata, come aspetto materiale, allora esso esisterebbe anche se le singole pagine venissero mescolate e impaginate in modo diverso o ridotte in strisce. Dal punto di vista materiale rimarrebbe lo stesso libro. Per correttezza lessicale, semantica, ontologica e soprattutto materiale, dovremmo quindi distinguere i due concetti, libro e carta stampata dalla quale è costituito, nonostante questi due aspetti sembrassero a prima vista indissolubili. Andando in questa direzio-ne, sempre a livello materiale, potremmo considerare ovvio ampliare il campo intro-ducendo un'ulteriore suddivisione. La carta stampata dovrebbe venir considerata nel suo aspetto di carta e inchiostro. Concetti e stati fisici anteriori alla stessa carta stam-pata. Il problema è il limite a un procedimento simile. Il quando fermarsi nel valutare uno stato fisico in base a categorie lessicali. Quale dovrebbe essere il limite di una tale procedimento che virtualmente, come sostiene lo stesso Chomsky, offre possibilité infinite? Perché se per un filosofo monista il libro è un aggregato di carta e inchiostro e come concetto è indistinguibile, per il filosofo pluralista il libro è un'acquisizione successiva agli stati di carta e inchiostro che godono ovviamente di proprietà diverse, e quindi i termini devono essere distinti. Consideriamo ora l'enunciato: Il libro = l'aggregato carta + inchiostro. Secondo il filosofo pluralista l'enunciato sarebbe comunque falso in quanto "l'aggregato carta + inchiostro" non sarebbe sempre sostituibile. L'aggregato carta + inchiostro non basta a determinare il concetto di libro in generale e quello di Guerra e pace di Tolstoj in particolare. I due elementi devono essere disposti in un certo modo per produrre un determinato libro. Questo argomento è particolarmente evidente nei nomi propri. Consideriamo l'enunciato: Mario è morto. Identifichiamo il nome con il suo corpo o teniamo i due concetti distinti? Secondo l'interpretazione pluralista quando Mario muore, cessa di appartenere a questo mondo, mentre il suo corpo continua a farvi parte e quindi si tratta di entità distinte con proprietà diverse e quindi da considerare come differenti (Varzi, 2001). Un altro problema strettamente connesso e di per se stesso analogo è quello della vaghezza. Dato che le parole non possono che essere degli universali che si riferi-scono a una realtà sempre particolare il loro significato risulta immancabilmente 420 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 vago. La proposta epistemica, nella cui direzione tende il pensiero di Chomsky, il sostenere che alcuni fenomeni considerati vaghi, siano assolutamente precisi e che il problema sta solo nel fatto di poterli precisare, non risolve la questione. Se cerchia-mo, a livello ipotetico, di precisarli, ci troviamo di fronte al paradosso di ottenere un sistema vago composto da termini precisi o un sistema preciso composto da termini vaghi. Se consideriamo, in base alla grammatica generativa, che abbiamo la possi-bilità, a partire da un numero finito di regole, di ottenere, un numero infinito di predicati, e se questi ultimi dovessero essere associati ai valori numerici risultanti dall'interpretazione epistemica, giungeremmo alla conclusione che o la teoria generativa non ha senso, oppure che non potremmo mai conoscere di che cosa stiamo parlando, in quanto potremmo, in base alla stessa teoria, formulare dei predicati che non avrebbero nessuna corrispondenza epistemica. Naturalmente avremmo delle diffi-coltà insormontabili soltanto a definirli. Se poi andiamo a considerare la res cogitans siamo proprio sicuri di parlare dello stesso libro? Anche qui possiamo formulare posizioni affatto diverse per quanto riguarda il concetto d'identità. Se sorgono problemi cosí forti a questo livello di base, elementare, limitati a una parola, "libro" che del resto rinvia come significato a un oggetto concreto ben preciso, cosa possiamo mai dire per quelle identité ambigue dal punto di vista della consi-stenza, come i buchi, l'ombra, il software, o per frasi complesse come quella enunciata da Russel: "L'attuale re di Francia è calvo" che ci porta inevitabilmente a livelli interpretativi sempre più complessi e che inevitabilmente necessitano di metastrutture per poterli inquadrare in un qualsiasi sistema epistemologico. L'ambiguità nell'af-frontare tali analisi si riflette anche per quanto riguarda lo studio degli avvenimenti storici. Nel Discorso di Metafisica Leibniz postulava la semplicità delle ipotesi come base del pensiero scientifico. La spiegazione più semplice di un dato fenomeno è la spiegazione più vera. Una teoria, per funzionare, deve essere necessariamente più semplice e più corta del fenomeno che intende descrivere. In caso contrario non ha senso. Come principio era già stato avanzato da Guglielmo di Ockham nella sua opposizione a moltiplicare non necessariamente gli universali. Secondo Leibniz, una legge non ha valore se contempla una complessità troppo elevata rispetto al fenomeno in quanto, in tal caso, il fenomeno, in realtà, non sottostà ad alcuna legge. Tale concezione è stata applicata alla matematica da Gregory Chaitin, il quale, insieme ad Andrei N. Kolmogorov, è il fondatore della teoria algoritmica dell'informazione. Secondo Chaitin "esiste un numero infinito di teoremi matematici veri non dimo-strabili a partire da un sistema finito di assiomi" (Chaitin, 2006, 68). Tale sua con-clusione si basa naturalmente sul teorema di Gödel, per il quale, non possiamo che tornare, in linea circolare, alla grammatica generativa di Chomsky. Un sistema puo essere consistente e parziale o inconsistente e universale. Gödel con tale teorema distrugge il tentativo di David Hilbert di formulare una teoria matematica capace di 421 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 spiegare il tutto a partire da un insieme finito di principi logico-simbolici. La matematica, come il sapere, è quindi necessariamente incompleta. La teoria dell'infor-mazione comune risponde alla domanda: "quanti bit sono necessari per codificare l'informazione?" (Chaitin, 2006, 68). Quella algorítmica invece: "qual è la dimensione minima di un programma necessaria per generare dati?" (Chaitin, 2006, 68). Il valore di % a livello algorítmico è relativamente semplice, è infatti calcolabile da un programma molto breve, inversamente un numero casuale qualsiasi, di un milione di cifre, per esempio, per essere riprodotto necessiterà di un programma più lungo del numero stesso. Tale programma sarà inutile in quanto, a un livello simile, la soluzione più razionale per riprodurlo è semplicemente quella di copiarlo. L'intuizione di Chaitin è quella di equiparare la scienza, o il sapere, al software: "date due teorie che spiegano i dati, dobbiamo preferire la più semplice [...] il programma più piccolo che calcola le osservazioni è la teoria migliore. Il secondo principio è l'idea di Leibniz espressa in termini moderni: se una teoria ha le stesse dimensioni in bit dei dati che spiega, allora è una teoria inutile, perché persino i dati più casuali possono essere espressi da una teoria di quella grandezza. Una teoria utile è una compressione di dati: comprendere è comprimere" (Chaitin, 2006, 69). Nella Critica della ragion pura, Kant anticipa a livello filosofico ció che Gödel dimostrerà a livello matematico, l'impossibilità della ragione ad arrivare a un sistema intrinsecamente vero e completo. Ritornando a Chomsky, possiamo concludere che tutte le difficoltà finora riscontrate nella teoria della grammatica generativa, non necessariamente inficiano alcuni suoi postulati. Si potrebbe affermare che il linguaggio sia un elemento psicologico/biologico basato su una struttura dualistica conforme alla necessità della coscienza individuale a ottenere la supremazia necessaria alla sopravvivenza evolutiva e, come tale, ricerca, consenso e costruzione del potere. Il linguaggio, quindi, come versione astratta del processo evolutivo. Il potere diventerebbe cosí quell'autocoscienza linguistica il cui fine ultimo, quello dell'essere e delle sue idee, sarebbe solo e soltanto l'affermazione permanente di se stesso. Immediato e presente come processo di attestazione delle idee. Il potere come garanzia evolutiva e come capacità di affermazione delle idee nel mondo. L'efficacia della matrice dualistica riportata nell'analisi chomskyana si concretizzerebbe nel mecca-nismo di supremazia ideale dell'astratto sul reale. Perché il meccanismo implicito nel rapporto tra idee e uomo è determinato dalla tendenza invariabile delle idee verso quest'unica direzione, quest'unica idea fondamentale che le governa e determina. Non il bene, com'era postulato a livello teorico da Platone, che avrebbe dovuto dare la verità agli oggetti conoscibili, bene che come il Sole sarebbe fonte di luce e che quindi permetterebbe alle cose non solo di essere conosciute ma anche di generarsi, accre-scersi e nutrirsi, ma piuttosto, invece, ed è dimostrato dalla stessa attività intellettuale e politica di Platone, il fine assoluto e unico del potere. Perché è solamente con il potere che l'idea ha la massima possibilità di diffondersi. Perché solo il potere ha la capacità 422 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 di riconoscere la verità delle idee, di formulare la conoscenza, di generare, accrescere e nutrire idee alle quali è al servizio. Più il potere raggiunto è alto, maggiore è la possibilità di diffusione e affermazione dell'idea stessa. Dall'idea religiosa, politica, economica, filosofica, etica, storica, tutte, invariabilmente tendono al potere, perché solo il potere puó universalizzare, omologare e uniformare un'idea per tutti. Il linguaggio rappresenta quindi la codificazione di questo potere in una struttura autoreferenziale. Il linguaggio crea l'idea, l'idea crea il potere, il potere crea il linguaggio. Solo l'idea crea il potere, gli animali, senza un presupposto astratto basano le loro relazioni non sul potere ma sulla forza. Il rapporto tra linguaggio e idea, idea e potere, potere e linguaggio è sempre ambivalente. Quando il potere si consolida e crea un linguaggio proprio, la carica ideale dell'idea originale non serve più, si trasforma in mito, simulacro, simbolo, in richiamo al quale il potere fa un riferimento ultimo, ma in sé vuoto. Ogni tipo di potere ha un proprio linguaggio, il quale crea una sovrastruttura in funzione dell'idea originale che era arrivata al potere. Tale meccanismo è evidente anche a livello storico, come ricostruzione del passato. La memoria stessa non puó che derivare dal potere, perché solo chi ha il potere puó creare la memoria. Chi ha l'idea dominante ha il potere e ha la memoria. Per questo motivo alcuni gruppi emarginati dal potere, come i rom, non hanno memoria. Damnatio memoriae. Sul nesso inscindibile tra potere e linguaggio si è soffermato anche Primo Levi dando una lucida testimonianza di tale meccanismo nei campi di concentramento. Chi non conosceva la struttura verbale che governava il campo era di fatto svantaggiato e di conseguenza la sua vita durava di meno. Chi invece riusciva ad assimilare quello stesso linguaggio ed entrava, a vario merito, nel meccanismo del potere, entrava in quella zona grigia, se non di collaborazione, di una tacita intesa con il potere. Tre citazioni prese da differenti capitoli dei Sommersi e i salvati ci danno un'idea precisa di tale meccanismo, che come vediamo si estende lungo tutta l'opera di Levi e viene anche rappresentato simbolicamente nel titolo. Prefazione: "la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi, come io stesso, non ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato" (Levi, 1997, 1002). La zona grigia: "Piuttosto che logorare, il potere corrompe; tanto più intensamente corrompeva il loro potere, che era di natura peculiare" (Levi, 1997, 1025). La vergogna: "I "salvati" del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l'esatto contrario. Soprav-vivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della «zona grigia», le spie. Non era una regola certa (non c'erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sí innocente, ma intruppato fra i salvati, e perció alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti" (Levi, 1997, 1002). 423 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 Connessa con il potere, come dicevamo, è la questione della memoria. Perché la memoria per potersi sviluppare ha necessariamente bisogno del potere. Luisa Passerini nel libro Memoria e Utopia ricorda, citando la studiosa Isabel Fonseca, il diverso atteggiamento dei rom nei confronti dello sterminio nazista rispetto a quello degli ebrei. "Se da un lato gli ebrei hanno reagito al genocidio con un'impresa "monumentale di rimembranza", i rom hanno invece reagito con "l'arte della dimenticanza", una singolare fusione di fatalismo e tendenza a vivere alla giornata" (Passerini, 2003, 30). Vi sarebbe, quindi, un diverso atteggiamento per quanto riguarda il rapportarsi con la memoria da parte delle due comunità. Questo atteg-giamento, secondo la Passerini, che riprende la Fonseca, sarebbe strutturale e farebbe parte di un retaggio legato al loro nomadismo. Secondo il punto di vista espresso sopra, la cosa è più facilmente legata alla questione del potere. I rom, rispetto agli ebrei, sono i sommersi, coloro che non riuscendo a entrare nel meccanismo, culturale, politico e linguistico, del potere, non hanno nemmeno la possibilità di creare e di avere una propria memoria. Basti ricordare ebrei di lingua tedesca come Celan o Améry, o ebrei di altre nazionalità, come Levi, e con un bagaglio linguistico ineccepibile, sono loro i salvati, sono loro i testimoni che poi creano la memoria e la storia. Conclusione In base a ció che abbiamo detto, potremmo quindi ipotizzare l'esistenza di una matrice evolutiva comprendente l'idea come una tappa necessaria della medesima struttura e attuabile solo alla presenza di esseri, come per esempio l'uomo, che avessero sviluppato il pensiero astratto. Una matrice preesistente, quindi, un ritorno a Cartesio e a Chomsky, attivata solo alla presenza di esseri con simili caratteristiche. Lo scopo delle idee sarebbe quindi semplicemente quello evolutivo, di controllo e limitazione della popolazione umana o di quelle civiltà che avessero sviluppato una struttura astratta simile o uguale a quella del linguaggio. Per tali motivi la storia si definisce per il suo ruolo e non per eventuali connessioni metafisiche o extralinguistiche. Non si pone più la domanda metafisica (del resto perfettamente inutile e strumentale) su verità o scientificità, ma sul ruolo di accertamento e analisi critica del passato con gli strumenti intellettuali che le sono propri e che fanno parte integrante della storia dell'uomo e del suo pensiero. La storia diventa cosí tante storie. Storia che descrive la realtà storicizzando gli avvenimenti e cogliendo nella loro astrazione gli uomini. "L'individualità dell'ac-caduto, e quindi la sua irripetibilità e novità, che lo storicismo sottolinea con monotonia, dimentica semplicemente l'invarianza del tutto, che quello con altrettanta monotonia gli ricorda. Tuttavia nel ricordo v'è maggiore verità che nell'oblio. La monotonia del pessimismo è l'invariante: ció che persiste in ogni determinazione 424 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 storica. Ad esempio, la 'malinconia' nella malinconia determinata. Lo storicismo è un antidoto contro il pessimismo: contro i limiti accertati della ragione. La storiciz-zazione è invasione; l'individualizzazione dell'accaduto, come ogni nominalismo, è esorcismo: garanzia che non accadré mai più. In ogni caso, se proprio si vuole, la filosofía è negazione storica, determinata, della volonté di vivere; della volonté di vivere del proprio tempo, espressa in pensiero" (Sgalambro, 1996, 157). Nel libro Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Sergio Givone nel definire la con-dizione della storia attuale ci offre "una raffinata ermeneutica di questa "tragica" situazione, che tentiamo di riassumere in una sentenza: la verité è nella storia, ma la storia non è la verité" (Volpi, 2006, 47). ZGODOVINA KOT PRIPOVED: VLOGA IN POMEN JEZIKA TER DOMIŠLJIJE Marco APOLLONIO SI-6000 Koper, Pobeška cesta 42 e-mail: marco.apollonio@ guest. arnes. si POVZETEK Pod terminom "zgodovina" navadno razumemo predstavitev časovne dimenzije dogodkov. Prvotno je termin, ki izhaja iz grškega izraza historia, pomenil raziskavo, vendar pa se je uporabljal tudi v smislu opisa človeških dogodkov. Tega dvojnega pomena se je med drugimi posluževal tudi Kant, ki je izraz uporabljal tako v smislu raziskovanja kot tudi videnja človekovega delovanja skozi čas. V sodobnem pojmovanju je termin prevzel vlogo in pomen nečesa, kar istočasno predstavlja videnje in smisel celotne človeške izkušnje ter se tako približuje filozofiji. Zgodovina tako postane univerzum, ki obsega celoten spekter človeškega izražanja in je postavljen nasproti nečloveškemu univerzumu, ki ga predstavlja narava. Z metodološkega vidika pri snovanju nekega zgodovinskega besedila v grobem razločujemo tri faze: zbiranje virov, sledi in pričevanj, analizo podatkov ter prelivanje pridobljenih elementov v pripoved. Kar zadeva formalno interpretacijo zgodovinskih del - če upoštevamo predvsem teorijo narativnosti, ki jo je uvedel Hayden White - pa naj bi zgodovino tolmačili kot enostavno verbalno konstrukcijo in kot tako odvisno samo od jezikoslovnih in retoričnih pravil. Vendar pa nam takšna interpretacija, če upoštevamo tudi apliciranje generativne slovnice Chomskega na jezik ter odnos slednjega do resničnosti, povzroča nemalo težav na epistemološki ravni. Pri izpostavljanju tovrstnih teoretskih problemov zato po vzoru Chomskega sprejemamo tezo o biološko-psihološkem izvoru jezika kot 425 Marco APOLLONIO: STORIA COME NARRAZIONE. ..., 415-426 elementa, ki je del evolucijskega procesa in potemtakem tudi aktiven instrument nadzora nad človeštvom. Ključne besede: jezikovni obrat, narativizem, generativna slovnica FONTI E BIBLIOGRAFIA Berlin, I. (1998): Il senso della realtà. Milano, Adelphi. Berlin, I. (2GG2): Il fine della filosofia. Torino, Edizioni di Comunità. Bloch, M. 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