Blasoni popolari triestini e istriani Quello che al tempo di Federigo II usaron fare, sotto la protezione del re Svevo stesso, i baroni feudali, sollazzandosi a pungere con detti brevi i vizi e i difetti, veri o inventati, dei loro vassalli pugliesi, usaron fare da noi i liberi comuni italici istriani e la turbolenta municipalita triestina, rimbeccandosi a vicenda, secondo quella costumanza dello spirito di caricatura, ch'entra cosi bene nel temperamento degli Italiani in genere '), e che del carattere dei Veneto-Giuliani e stigma e derivazione essenziale."') Questa linguaccia, che in componimenti ritmici, rimati o as- sonanti, o semplicemente in detti, si sfoga a malignare, e forse uno dei lati piii simpatici della storia italiana delle terre adria- tiche ex-irredente, cosi che malignando e ridendo essa spicca nella maldicenza popolare dei diversi paesi d' Europa per allac- ciarsi piii strettamente ali'Italia. In complesso sono proverbi sa- tirici, figli della gran famiglia dei canti popolari, modellati con biricchineria malizicsa '). ln cu' s' trasfondono non soltanto lo spi- rito caustico e mordace del buonumore naturale, ma anche la ge- losia di campanile e 1'odio municipale, spesso fissato perfino nelle clausole degli statuti municipali del medio evo e derivato da vecchi conflitti d'interesse, da asti immemorabili, da rancori di sconfitte subite, da liete memorie di vittorie conquistate, e da quelia siffatta invidia civica, per la quale si rinnovella il rimpro- vero di Dante {Purg., VI, 83-84): ..... f lun l'altro si rode di quei che un muro ed una fossa serra. ') Cfr. Corso, Blasoni popolari italiani, in «Tutto», a. II, n. 26 (Roma, 27 giugno 1920), pp. 18-20; Giusti, Raccolta di proverbi toscani (Firenze, 1853), pp. 209-219. 2) Vedi Vesnaver, Usi, costumi e credenze del popolo di Portole (Pola, 1901) pp. 13-15. 3) Ne pubblicai un saggio in «L' Era Nuova® di Trieste, 17 luglio 1921, a. III, n. 708, sotto il titolo «Maldicenze paesane di Trieste e dell'/stria», riprodotto in «Adriatico Nostro» di E. A. Marescotti, Milano, a. I, n. 7-8, pp. 89-90. II quale rimprovero non impedi a Dante stesso di essere molto maldicente verso i suoi connazionali, per non dire delle stoccate famose agli altri popoli. Cosi egli chiama i Fiorentini: quell'ingrato popolo maligno (Inf., XV, 61) e piu sotto (67-68): vecchia farna nel mondo li chiama orbi, genie avara, invidiosa e superba. E nel canlo XIV del Purgatorio egli dice brutti porci (v. 43) quei del Casentino; botoli ringhiosi (v. 46-47) gli Aretini; lupi (v. 50) i Fiorentini; volpi piene di froda (v. 53) i Pisani. E nel c. XXXIII deli'Inferno dice ai Genovesi (v. 151-153): A hi, Genovesi, uomini diversi d'ogni costume, e pien d'ogni magagna perche non siete voi del mondo spersi ? E chi non ricorda 1'epifonema contro Pisa (Inf., XXXIII, v. 79): A hi, Pisa, viluperio delle genti? I folkloristi francesi chiamarono queste bizze «blasons po- pulaires«, per metafora, perche caratterizzano, a guisa di stemmi, citta e paesi. Gli italiani, tenuto conto del loro contenuto faceto e ingiurioso, le dicono «maldicenze paesane*, «scherzi» o « so- prannomi», Lasciati da banda i proverbi e i frizzi giuliani contro i po- poli non italiani4), cerchero d'esaurire la messe abbondante dei blasoni popolari giuliani contro i Giuliani. E fin d'ora mi diro lieto, felice e riconoscentissimo, se trovero chi mi aiuti a com- pletarne la raccolta. II. C'e un ritmo, conflato certamente da singoli staccati pro- verbi di maldicenza locale, in cui si passa in rassegna la costa da Trieste a Pola, spesso con dileggi atroci. Questo ritmo an- tichissimo e senz'altro un frutto della malignita del Medio Evo, 4) Cfr. Doctor Gaius, Maldicenza Popolare, in «11 Palvese», Trieste, a. I, n. 3 (20 gennaio 1907), p. 3. — Ricordero che agli Slavi si dice s'ciavi, s ciavoni, morlachi, bacoli, s'ciavi de to/a con testa de legno; ai Tedeschi gnochi, lugheri, patate ecc. Da notarsi che Slavi e Tedeschi si sfogano a lor volta contro gl' Italiani. I Rumeni deli' Istria son detti ciribiri. e fu il canto, ccmposto — diro cosi — di couplets, serviti a qualche giullare per far sbellicar dalle risa con le allusioni sa- tiriche i cittadini di quelle citta che non vengono staffilate (Isola, Pirano, Orsera, Rovigno e Dignano) a spese e beffe di quelle altre (Trieste, Capodistria, Umago, Cittanova e Parenzo). Trieste — pien de peste; Isola famosa; Capodistria pedociosa; Piran — pien de pan; Umago — un prete e un zago (ovv. tre preti e un zago), e una dona de ben, e anca quela el prete la mantien; Citanova — chi no po rta no t rov a; Parenzo — tuti mati quei che xe drento; Orsaresi — panzolini; Rovignesi — parigini; quei de Pola — i xe de napario/a; e quei de Dignan i porta la bandiera in man.5) C'e poi una vecchia canzone istriana, che incomincia: Andemo al bon merca, cioghemo la galina: la galina fa caracaca. E la dona generosa! Indi si riprende il « cioghemo », si aggiunge il nome d'un popolo e gli si affibbia un modo di dire o un vizio di pronuncia o un epiteto satirico, che servano di suo blasone popolare, come intesi cantare da soldati in una serqua toscana. Ogni volta il coro deve ripetere, a talento di chi dirige il canto, tutta la fila- strocca a rovescio, terminando col caracaca della gallina °). Le stoccate giuliane sono: la mugesana fa: muisana, muisana; el savrin el porta el saco; el crovato fa: micheno, micheno; 5) Si completano cosi i nn. 88-91 delle mie Rime e Ritmi del Popolo Istriano, p. 19, e la filza del Giusti, Racc. di Proverbi, p. 215. 6) G. Timeus, Canzonette popolari cantate in Istria (Pola, 1910), II ed., p. 52. el triestin /a: orca, fradei; el cavresan: d cacossa, a cacossa; el rovignese: par de jo, par dejo; el piranese: dame de magna; el parensan: Parenssso, Parenssso; el pinguentin xe quel de la fraja; el cargnel fogo de paia; el cranzeto /a zacaj, zacaj; el ciceto, carbuna, carbuna; el tedesco, tartaif, tartaif. Cosi si snoda il dileggio, frutto di que!l'amore municipale esclusivista, che al dire di Jacopo Cavalli e di Paolo Tedeschi ') richiama alla memoria i tempi infelici in cui le madri —• come lamentava il Manzoni — insegnavano ai loro figli a distinguer con nomi di scherno quei che andranno ad uccidere un di. III. E questo vezzo medievale dura ancora non per ferocia d'o- dio, ma per una certa ferocia di satira, specialmente alla costa istriana. Si brandiscono i difetti altrui come pugnali; si esaltano bellezze proprie con vanteria inestinguibile e sprezzante; si ri- cerca il dileggio con !a feroce volutta di chi rimesta una piaga dolorante nel corpo d'un nemico. E chi non ricorda le Iotte so- stenute da noi študenti a difesa del proprio luogo contro le con- tumelie dei luoghi vicini? E che contese! E qualche volta... che cazzotti! Di Isola si dice nell'Istria interna: Per trar un cavo de scalogna — sete I šolani ghe bisogna. E a Muggia: Isola vergo- gnosa — Muia bela come una rosa.8) 7) Cavalli, Reliquie Ladine, pag. 180, nota la; Paolo Tedeschi, in <> La Provincia deH'Istria», XXVII (1893), pag. 72, col. 2». 8) In vecchio muglisano (Cavalli, op. cit., p. 153, n. 46) si diceva: Piran plen de pan, Izola vergugnousa, Caudistra pedoglousa, E Mugla fresca come una rosa. Muggia fu sempre la citta fierissima di se stessa e fieris- sima contro le consorelle. Una sua quartina dice : Co nassi un piranese, a nassi un ladro; co nassi un isolan, a nassi un saco; co nassi un cavresan, a nassi un conte; e Muia bela che xe a pie del monte. ') Vuole il popolo muggesano che i suoi padri piii amanti della liberta abbiano abbandonato Muggia Vecchia, perche voleva ri- maner fedele al Patriarca d'Aquileja, fondando la nuova cittadella al mare: sicche ne venne che i nuovi cittadini si dicessero con orgoglio repubblicani, lanciando agli altri 1'offesa di patriarchini. Ma con Trieste furono tremende le lotte di Muggia, fin da quando i Muggesani infersero ai Triestini quella tremenda bat- tosta, per la quale tanti ne furon macellati, che la localita For- nei ove accadde la battaglia fu detta Taglada (da «tagliare»). Le quali lotte lasciarono una scia di astio, che ancora non s'e dispersa. Nel 1850 i Triestini chiamavano i Muggesani Marcolini, perche nel 1848-49 erano accorsi in massa a difendere la Re- pubblica di Venezia, quella di Manin e di Tommaseo. E i Mug- gesani ritorcevano l'offesa con 1'altra ben piii sferzante di impe- riali, che dava a Trieste dell'austriacante. E oggi ancora nei cantieri di S. Rocco e di S. Marco i Muggesani danno del /o- resto a ogni triestino. Muggia pero diede adito al detto (far come) el podesta de Mu j a, che 7 comanda e po 7 fa so/o, che vorrebbe tacciare quel popolo di fannullone o d'incapace: e a torto. L' Istriano del resto, per indicare che Trieste non e poi la gran citta, ne compendia le pretese meraviglie in questo distico: La Borsa, el Tergesteo — e la časa de l'aseo. La «časa del- 1'aceto» e quella al' n. 15 di via S. Lazzaro, časa antinapoleo- nica10), fabbricata nel 1771, anno desolatissimo dalla siccita, 9) In vecchio muglisano (Cavalli, op. cit., p. 180, c, n. 3): Co nas un piraneis, a nas un ladro: co nas un izolan, nas un sacus; co nas un cavresan, a nas un coint, e Mugla biela che ze a pei del moint. 10) Fu colpita nel 1809 da una palla di cannone francese. Nell'atrio, sotto la palla immurata, si legge 1' iscrizione: Hoc Me Ornamento — Galli Affece- runt — MDCCCfX. Sopra il portone e raffigurato Napoleone Bonaparte in un gran serpente di stucco, che sta per ingoiare una palla, che e il mondo, per lui troppo piccolo : ma viene frenato e vinto da tre aquile (Austria, Germania e Russia). tanto che per la totale mancanza d'acqua, si dovette cornporre la malta con 1'aceto. u) Per di piu, forse dopo 1'uccisione di Giovanni Winckelmann (9 giugno 1768) e piu probabilmente dopoche una massa di ca- naglie frammezzo a un minor numero di buoni calo a Trieste dopo il 1719 in cui Carlo VI decreto il portofranco, 1' Istriano lancia 1' ingiuria: Triestin — mezo ladro e mezo 'sassin. Cui Trieste, togliendo il motivo al mal dire dalla capra, ch' e lo stemma del- 1' Istria, ribatte: Istrian — caura razza de can. Cui di rimando gl'Istriani: Trieste ga a Servola la fabrica dei mussi. Le due capitali poi, Trieste e Parenzo, consociate a Isola^ diedero la strofetta: Triestin — mezo ladro e mezzo 'sassin; Parenzan — mezo beco e mezo rufian; Isolan — col bugnigolo in man. 12) II che non tolse che prima del 1848, come pure dopo, fino ad oggi, gl' Istriani amassero Trieste, e i Triestini riamassero 1'Istria, di quell'affetto che li accomuno nella lotta per la loro nazionale redenzione e che spinse gl' Istriani a farsi a Trieste i precursori d'ogni civile italica liberta. IV. E continuan le satire contro le cittadelle istriane. C'e il distico: A Parenzo i Bianchi e i Neri: a] Capodistria el cafe dei baloneri. Esso ha un bel valore storico, perche il primo verso ricorda le lotte terribili dei due partiti parentini, i quali, specialmente dopo il 1886, dilaniarono fino al 1896 la citta di Parenzo, rinnovando le fazioni fiorentine del tempo di Dante; e perche il secondo verso ricorda il caffe della Loggia, ritrovo dei ricchi sfaccendati di Capodistria, che con satire, ciarle ed epigrammi mordevan tutti, anche il grande Gian Rinaldo Carli u), e officina di maldicenza, ") Iscrizione nell'atrio: Aedes — Anno MDCCLXXI — Ob Aquae Inopiam — Aceto Absoluta. lt) Babudri, Ancora rime e ritmi, in «Miscellanea Hortis», II, 952, n. 487. 13) Vedi Domenico Venturini, in «Indipendente», Trieste, 18 febbr. 1902 donde usci il sonetto velenoso contro i »setantado leterati de Por- tole»14), che ricorderemo a suo luogo. Giacche nominai il caffe dei Capodistriani, ricorderd anche il caffe «dei siori« di Rovigno. Siccome cotesti «siori» eran pe- scatori, in massima parte, e marinai arricchiti, e sopra il loro casino in piazza avevan fatto stendere delle tende color rossiccio pari al color delle reti (squaneri), si trovo contro di loro una strofetta, che fu ripetuta anche a scorno — almen cosi si pre- tese — della citta: Quei del casino — rustica progenie, per rammentare i suoi antichi mestieri han fatto le tende in color dei squaneri. In genere gl'Istriani, per la loro facilita di parlantina, son detti lasagnoni cagainaqua, condividendo il dileggio con i Vene- ziani. Anzi si pretende, che i piu chiacchieroni sieno i Parenzani, secondo il detto: A Venessia i le fa (cioe le lasagne, vale a dire le ciarle), in Istria i le destira, a Parenzo i le cusina. Cui i Parenzani oppongono: / ti ti le magni, macaco! Di Orsera, ricca di asinelli, di quegli asinelli istriani pic- coli, grigi, fortissimi e resistentissimi, che mangiano rovi, sar- mente, rami di quercia, con ottimo buon pro, i Rovignesi dicono: Ursieri — carago de samieri. I Piranesi son detti magnamanzi, per la loro voracita; donde il dileggio ingiusto a doppio senso : Piranesi, corni in testa. Per la loro cantilena nel parlare son beffati con le interrogazioni cro- matiche esagerate: E che ti dighiiiP E che ti faghiii? ' '). GI'I- solani son detti senza bugnigolo; i Muggesani barufanti; i Fa- sanesi boni de gnente. Anzi Dignano ha una strofetta mordacis- sima per Fasana: Trieste bela — Pola su sorela, Dignan un bel flore, Fasana un cagadore. 14) Cfr. Vesnaver, Una satira del costume al tempo della Serenissima (Pola, tip. Sambo, 1902), p. 22. 15) II cromatismo piranese e un fiore d'italianita: cfr. Babudri, Sul dia- letto di Fiume, in «Dalmazia», Trieste-Zara, a. I, n. 2 (ott. 1919), p. 29, col. la. Ma a sua volta Dignano subisce 1'affronto, che i suoi abi- tanti sono bunbari, cioe rozzi contadini ; donde il motteggio scurrile: Bunbaro, bunbaro, caga paia, daghe fogo a la caldaia, la caldaia no vol (pol) ciapar, gnane a 7 bunbaro no vol (pol) cagar. Eppure Dignano e gentile verso le sue consorelle (eccezion fatta par Fasana) tanto che nel suo canto popolare Go camina par Roma, Fransa e Spagna, ha questi versi: Ciapo el me cavalein, e i turni indreijo: go camina par Eisula e Pareiji; Trijeste bel ca jo la Scala-franca (ovv. Scala santa) E Capodeistra piena de speranza. E in un altro canto d'amore essa dice con paesana cortesia: Ti vegnare cun meijo a 'l ortiselo: ti colsare radeici e ravanelo; ti vegnare su 7 Monte de Marana: ti vedare le barche de Fasana; ti vedaie Vale cu 7 bel castelo, le moure d'oro, le porte de fero. E verso Gallesano dice: Galisan bielo ti te puoj guantare, ti je un bel canpaneil [in] mezo 7 piasale. Dignano in fine ha la palma per le sue beile donne, giusta il motto epicureo: Pan servolan — vin istrian — dona de Di- gnan. E Dignano lo sa, perche nel tacciare le Umaghesi di na- sute, canta: Quile de Umago zi de napariela, ma quile de Dignan porta bandera. Gli Umaghesi poi son detti tegnosi; i Cittanovesi maroehi, da maroco ch' e un pesciolino di nessun valore, pieno di spini. A Pirano si dice di isola: /so/a fa la guera coi- canoni de fighera. Fra queste due citta non c' e buon sangue. Vuolsi che Isola, essendo in guerra contro Pirano, avesse costruito un mortaio con un tronco di ficaia. Imbarcatolo su un bragozzo e caricatolo a polvere, salparono contro Pirano. Ma allo sparo i! legno scoppio uccidendo tre Isolani. E i Piranesi ridendo narrarono che ai com- patriotti che li attendevano sulla riva, i guerrieri Isolani avessero detto: Noi gavemo 'vuto ire morti: ma a Piran se sta un sfragelo. Ma la piii bersagliata citta istriana e Rovigno. Si ricono- scono 1'intelligenza e 1'abilita del Rovignese in tutto, dal mestiere del tagliapietre al coraggio in mare, dali'intraprendenza industriale alla finezza di calcolo nelle imprese commerciali, onde sa bene arricchirsi, tanto che i Rovignesi son detti i Ebrei de l'Istria o anche i Genovesi de lIstria. Da cio i detti laudatori: Rovignese pien de inzegno — el spaca el sasso come 7 legno; Rovigno pien de inzegno — el spaca el fero come 'el legno. Col detto per un Grego sete Ebrei, per un Rovignese sete Greghi si invoca 1'intraprendenza di 49 Israeliti per uguagliare quella d'un Rovi- gnese; e con 1'altro nove Ebrei per un Genovese, nove Genovesi per un Rovignese l'equiparazione sale a 81 Israeliti: ch'e tutto dire ! Tuttavia sono satireggiati e staffilati. Per il dialetto istrioto son detti quei de Sant'Ufiemia, oppure feia meta, feia meia. Poi son detti baiulchi. Con la pretesa che si prestino per avarizia 1'osso del prosciutto per condire il minestrone, si applica loro il detto: Cumare, imprestime l'uosso. Una strofetta bastarda, un po' veneta, un po' istriota e un po' latina, li taccia di pirati: Ruveigno spelunca latron, co i no pol ciu cu 'le man, i ciu cu 'l rampegon. 16) 16) Nel detto latino idiotizzato di spelunca latronum c'e un fondo di ve- rita storica, in quanto che in causa delle pesti che spopolarono la citta, molti Greci, Dalmati e Italiani meridionali vi si rifugiarono, tanto che a ragione i Ro- vignesi nel 1563, sotto il maestoso Leone di S. Marco che ornava il Porton del ponte fecero incidere le significanti parole LO REPOSSO DEI DESERTI. Cfr. Benussi, Storia doc. di Rovigno (Trieste, 1888), p. 130. E a Pola, togliendo 1'offesa dal ciclo cavalleresco carolingio, in cui il Maganzese e il tipo del traditore, si lancia al Rovignese l'attributo di falso col nome di Maganza. Ma Rovigno se ne impipa: e in un'ottava, che rifa per conto suo il primo ritmo da me riportato, mostra la sua palese simpatia per Pirano, per Umago e per Dignano, la sua indifferenza per Cittanova, per Orsera e per Pola, e il suo sprezzo per Parenzo: La ponta de Piran zi valurusa; a Umago bielo zi un prete e un zago; Qitanova chi nu puorta nu truva; Parenzo chi zi drento douti mati; quij de Ursieri zi pansuleini; e quisti de Ruveigno parigeini; quij de Pola zi de napariela, e quile de Dignan puorta bandera.n) Ed e storica e antica la simpatia fra Rovigno e Pirano, am- bidue luoghi di popolazioni intraprendentissime: com'e storica e antica 1'antipatia fra Rovigno e Parenzo per la gelosa pretensione di avere ambedue un vescovo, sicche Rovigno pretese un tempo che il vescovo di Parenzo vi risiedesse ogni anno per sei mesi 1S). E per questo motivo che i Parenzani trovarono la favola, la quale vuole che quando il boia ando a Rovigno, dove nel 1811 fu da Napoleone istituito un Tribunale di priina istanza, i Rovignesi lo prendessero per el viscuvo cu la sangariela in fianco. Questa ruggine si acui nel 1873, quando fu scelta Rovigno, anziche Pa- renzo, a stazione ferroviaria del tronco d'unione con Canfanaro. E i Rovignesi godettero, perche i Parenzani cicauano. Nell'estate del 1895 i Parenzani stabilirono di fare uua gita a Pirano. Ma il guaio si fu, che il Comitato ordinatore fu com- posto in gran parte di non Parentini. Fra essi ci fu uno, triestino' che aveva aperto bottega poco prima a Parenzo. Costui, pensando di far un affare, telegrafo a Pirano che per il pranzo provvedes- sero pure cola, tranne che i inaccheroni, perche li avrebbe por- tati lui da Parenzo. 1 Piranesi ne risero e ne informarono gli amici di Rovigno : e insieine con essi motteggiarono i Parenzani chiamandoli per almeno un paio d'anni quei dei bigo/oni. E i Pa- ll) Cfr. Ive, Canti popolari istriani (Torino, Loescher, 1877), p. 253, n. 14. i8) Cfr. Benussi, op. cit., pp. 332-337. renzani a dir vero n'erano innocenti, perche la gaffe era d'un triestino. Del resto negli ultimi anni della Serenissima, siccome il pa- triziato veneziano, molle paccioccone, non sapeva omai distinguer piu fra Istriani, Cicci e Schiavoni (Dalmati), traeva per gl' Istriani tutli il litolo motteggiatore di fasseti d'Istria1'*), dal fatto che le barche veneziane caricavano negli scali istriani i fascetti di quella legna d'ardere, che sono pur oggi uno dei redditi proficui del i' I- stria. Peccato, che inentre il patriziato della Regina dei Mari se la spassava cosi a spalle degli Istriani, Venezia andava a rotoli, decadendo d'ora in ora. Nel numero poi delle maschere veneziane del Settecento, c'era pure el Piranese *"), una specie di carnevalesco «Manducus» romano, che il prof. Giorgio Benedetti descrive cosi: « Figuratevi un uomo in abito di pezzente, col viso impiastrato di feccia di vino e con una grande bisaccia sulla spalla sinistra, piena di pane, carni e fruttasecche, e colla mano gestando pomposamente un bottaccio di refosco, e tutto coperto di Iunghe corone di sal- siccie, che si aggira per le vie, cantando qualche squarcio delle Miserie Umane (vedi contrasto!) e offrendo a questo e a quello da mangiare e da bere, ed avrete la maschera del Piranese. Che se vi fermate ad accettare quei doni, udrete che le carni indicano «il carnovale che se ne va» e quelle fruttasecche «la quaresima che se ne viene».21) Questa maschera, ch'esistette anche a Capodistria, e che a Pirano fu piu spiccata, fu considerata a Venezia come una sa- tira antiistriana.'") FRANCESCO BABUDRI (continua). 10) Li ricorda pure Paolo Tedeschi, in «La Provincia deli' Istria», XIV, n. 23 (Capodistria, 1 dic. 1880), p. 190, col. 2", e XXVII, n. 9 (Capodistria, 1 maggio 1893), p. 73, col. la. 20) Molmenii, Storia di Venezia nella vita privata ecc., I ed. (Torino, Roux e Favalle, 1880), pag. 462. 21) Benedetti, Stato della commedia italiana nel Cinquecento, in «Pro- gramma del Ginaasio Superiore di Pisino«, 1880-81: citato in «Archivio sto- rico per Trieste, 1'Istria e il Trentino», vol. II, 1883, p. 240. —) Cfr. Paolo Tedeschi nella recensione del cit. libro del Molmenti in «La Provincia del!'Istria«, a. XIV, 1880, p. 190, col. 2\