ANNALES • Ser. hist. sociol. - 9 -1999 • 2 (18) saggio scientifico originale UDC 343.819.5 "1939/45" ricevuto: 1999-03-22 CENSURE, CONFLÍTT1 E AMBIGUITÀ DELLA MEMORIA DEI LAGER NAZiSTi* Marco COSLOVICH ¡T-34135 Trieste, Via Giustt 26 S1NTESI La memoria dei campi di concentramento nazisti è una fonte storica che va valutata scientificamente, senza adesioni emotive. Primo Lev i ha insegnato come la memoria dei sopravvissuti sia spesso condizionata e manipolata. ! testimoni tendono, infatti, magari inconsapevolmente, a riadattare il rícordo assecondando modelii e valori che hanno acquisito prima di entrare in campo. Ciô è soprattutto vero per i deportad politici o quelli che hanno una solida fede religiosa: pregiudizi, stereotipi, schemi mentali, guidano i/ ricordo nei confronti del Lager, dove regna una vera e propria babele di lingue, nazionalità, fedi politiche e religiose. Ma anche le letture e le occasioni di raccontare intercorse dopo il Lager, hanno contrihuito ad irrigidire la memoria degli ex-dcportati inducendola a censurare alcune parti a vantaggio di aitre. Soft o questo punto di vista non va dimenticato che la storia orale, che ha raccolto centinaia di inferviste tra gli ex-deportali, ha fornito un grosso contributo aH'analisi crítica rendendo prù sofisticata l'ínterpretazione delta fonte. Parole chiave: campi di concentramento, seconda guerra mondiale, testimonianze CENSORSHIP, CONFLICTS AND AMBIGUITIES IN MEMORIES OF NAZI CAMPS ABSTRACT The memory of Nazi concentration camps is a historical source, which needs to be evaluated scientifically, without an emotional approach. Primo Levi has taught us how the memories of the survivors are often conditioned and altered. The witnesses tend to subconsciously alter their memories according to the models and values gained before entering the camps. This is especially true for political and/or highly religious deportees: prejudice, stereotypes, mental schemes direct the memories of camps, where there is a variety of languages, nationalities, political and religious beliefs. However, also reading the works which have already been written and numerous opportunities, given alter leaving the camp, to tell about the experiences, have contributed to the ossification of the former deportees' memory, which was directed to censuring some parts, to the advantage of the others. Therefore, we should be aware that history by-oral tradition, which has collected hundreds of interviews with the former deportees, has made a great contribution to critical analysis of this kind of sources. Key words: concentration camps, the 2nd World War, witnesses' memories ' ti saggio fa riferimento escltisivamente alla situazione della ricerca e ciel dihattito sîoriografico presente in ttalia, ritengo tutíavia che esso rifletta una problemática che travalica i confini nazionali o che coinvolga tutti gli storíci interessati alio studio della storia della deportazione e della storia orate 423 ANNALES • Ser. hist. sociol. - 9 -1999 • 2 (18) Mjrfo rosi OV1CH: CENSURE, CONFLIT!I E AmBICLTTÀ Df.UA MEMORIA Otl IACIR NAZ1STI, 423-43(7 1. Prima dell'uscita de / sommersi e i salvad di Primo Leví ne! '86, la memoria délia deportazione nei campi di concentramento nazisîi non aveva ancora medítalo su se sîessa. Fino ad ailora ci si era prevalentemente oc-cupati dei contenuti del messaggio lasciatoci dai soprav-vissuti e molîo meno del mezzo attraverso ii quale esso ci giungeva, appunto !a memoria, canale in verità non sempre fedele e coerente. "La memoria umana - esor-diva Levi nel capitolo dedicato a La memoria dell'offesa - è uno strumento meravíglíoso ma fallace" (Levi, 1986a, 14), e su quest'ultimo aggettivo mi pare gravi il senso della riflessione di Levi, il quaie, corne volesse porre l'accento sulla necessità di ragionare sulla memoria in modo più spregiudicato, poche righe piu sotto affermava esislere una "paradossale" analogía tra il ricordo delle vittime e quelio dei carnefici: [...] chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per non rínnovare i i dolore; chi ha ferito ricaccia iî ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il senso di colpa. Qui, come in altri fenomeni, ci troviamo davanti ad una paradossale analogía tra vittime ed oppressore, e ci preme essere chiarí: i due sono neila stessa trappola, ma è l'oppressore, e solo luí, che l'ha approntata e che l'ha fatta scattare, e se ne soffre, è g insto che ne soffra (Levi, 1986a, 14). Nessuno prima di Levi, in quanto testimone diretto del Lager, aveva posto con altrettanta chíarezza la nécessita di esplicitare le ambiguità délia memoria anche se questo, è bene precisarlo, non mette in dubbio chi "ha approntato la trappola". Levi precisa: Questo stesso libro è intriso di memoria: per di più, di una memoria lontana. Attinge dunque ad una fonte sospetta, e deve essere difeso contro se stesso. Fcco: contiene più considerazioni che rícordi, si sofferma più volentieri sullo stato delle cose quai è oggi che non sulla cronaca retroattíva. Inoltre, i dati che contiene sono fortemente sostanzíati dall'imponente letteratura che sul tema dell'uomo sommerso [...} si è andata formando [...] ed in questo corpus le concordanze sono abbondanti, le discordanze trascurabili (Levi, 1986a, 23). Ma sono le discordanze trascurabili quelle che ora ci interessano. 2. La degradazíone délia memoria nel tempo (Levi parla di "deriva délia memoria" (Levi, 1986a, 21 );1 il fissarsi in stereotipi; il riadattamento e la rímozione per il "bisogno di rifugio" che "entrambi", vittime e carnefici, cercano rispetto ai ricordo; riconducono la memoria alla dimensíone di una qualsíasi fonte storica, liberando finalmente la strada alla crítica. Prima di questo passaggio, la memoria del Lager é stata per lungo íempo prevalentemente una memoria blíndata, ¡mpegnafa a denunciare íl nazismo e il suo sistema, da conservare inalterata e indíscussa per le future generazioni. Tale funzione era cosí preponderante e importante che qualsiasl dubbio sulla sua attendíbiiitá poteva essere ínteso come un attacco portillo a! messaggio nel suo ínsieme. Certo, che di fronte alie vittime che rievocavano i tormenti e le sofferenze subite, non era e non é facüe mantenere distacco critico. Le stesse motivazíoni che spingono il testimone a rievocare il Lager, non facilitano l'acrtbia slorica. II testimone chiede infatti adesione e totale comprensíone dall'ínterlocutore, sia per quello che riferisce, sia per quello che ríguarda I'eredita del messaggio. Basta scor-rere rápidamente aicune premesse delle piü note testi-monianze per rendersene conto. "A mía figlia perché sappia" scrive Giovanní Melodía in Non dimenticare Dachau (Melodía, 1993, 2) "... affinché risulti chiaro al íettore fino a quale punto di crudeltá possa giungere un sistema tirannico" sí legge nella premessa di Mautbausen bivacco delta morle di Bruno Vasarí (Vasari, 1991, 2); "Attenti, attenti. Vi é un piano inclinato in fondo al quale vi ti ta strage, e ii campo di sterminio" scrive Piero Caleffi (Pappalettera, 1965, Vil!). Sí Iratta del la memoria che denuncia, della memoria deil'ím-pegno cívile, del moníto, rispetto ad una realtá sociale e política che ancora stentava dar crédito ai soprawissuti. Sí poteva ora mettere in dubbio, anche sofo parcialmente, la credibüitá di questa memoria? Era certamente difficíle. Un altro elemento mi pare abbia caratterízzato que-sta prima fase della memoria della deportazione neí campí di concentramento. Si tratta della forma che ha assunto: parole lapidarle e scarna essenzialita delle frasi. Stíie che ha contribuito a rendere marmórea e perentoria la memoria della deportazione. Sempre se scor-riamo le íntroduzíoni e le premesse ai píCt noti memorial! sul Lager, emerge con chsarezza questo dato:"... parca obiettivita - sí legge sempre nell'introduzione anónima di Mautaushen bivacco della moría - tono preciso e severo d'una documentazione" (Vasari, 1991, 4); Vin-cenzo Pappalettera sottolinea che si tratta di "racconti senza retorica" (Pappalettera, 1973, 5); Piero Caleffi, nella premessa che dedicherá a Tu passerai per il camino, fará ríferímento alio "stile coinciso e nervoso" (Pappalettera, 1988, 6-7); Ferruccto Parri, nell'intro-duzione a Si fa presto a diré fame, dello stesso Caleffi, parlera di "semplícitá", "nuditá", di "parola pacata e semplíce" (Caleffi, 1988, 6-7). Denuncia storica e stíle 1 In una recente raccolta di ¡nterviste e artícoli brevi che lia rílasciato, si puo trovare una sua interessante dichiarazione: "Conosco miei compagni di deporiaziorie e compagne di deportazione che hanno cancellato tuito. hanno fatto def loro meglio per cancellare tutto, Alcuni ci sono riusciti, hanno, come diré, soppresso questo ricordo che li dísturbava; altri ancora lo hanno soppresso nelle ore diurne, ma lo sognano di notte; altri ancora ci vivono dentro e ¡o ho scelto questa vía" (Levi, 1997, 37). 424 ANNALES • Ser. hist. soriol. • 9 - 1999 - 2 (18) Marco COSLOVICH: CENSURE. CONFUTE! E AMBICUITA DELIA MEMORIA DEI LAGER NAZISTI, 423-430 L. Cole: Nel campo di concentramento di Bergen-Belsen (1943-1945). L. Cole: Koncentracijsko taborféCe v Bergen-Belsnti (1943-1945). icástico sono i binari lungo i quali si é snodata gran parte deüa memoria dei Lager, e si é senz'altro trattato detla memoria migliore e di piü alto valore civile e morale. 3. Ma ía memoria non puó esaurirsi solo in questa pur grande stagione dei testimoni eccellenti del Lager. La memoria, come precisava Levi, é "fallace [...] i ri-cordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non soio tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti esfranei" (Levi, 1986a, 13). Se dtsponessimo di una serie di sequenze della memoria nel corso del tempo, potremmo costatare con facilita le aíterazioní alie quali fa riferimento Levi. Disponiamo invece di testimonianze elaborate in determinad momenti, spesso risistemate successivamente. In questo senso vorrei citare un caso abbastanza eefatante, seppur margínale nell'ambíto delía memoría-lística della deportazione (Coslovich, 1994, 356-357). Si tratta della testimonianza di un sacerdote: don Sante Bartolai, impegnato neíla resistenza e internato nel campo di Fossolí e quindi deportato a Mauthausen. Devo confessare che non so quale ruoio e peso abbia avuto questo sacerdote nella resistenza, ma f'invio e la detenzione a Fossoli e a Mauthausen, sono una buona credenziale di antifascismo. La testimonianza é stata inoltre pubbficata nel '66 nei "Quaderni dell'lstituto Storico della Resistenza di Modena e provincia", luogo e occasione al di sopra di ogni sospetto. Rispetto alie premesse, non puó quindi non stupire ií tono antisemita di certi passaggi del suo memoriale. Ricorda don Sante: E poi gli ebrei, che affollavano il campo di Fossoli, non sono stati trattati peggio di noi, dagli ariani nazisti. Anzi, se qualcuno puó dirsi privilegíalo (cosa strana!) sono appunto gli ebreí. É ben vero che essi aíloggíano in una sezione riservata del campo e che le loro baracche sono circondate e che durante il gíorno, hanno il divieto di comunicare con gli altri internati; rna se c'é un incarico di fiducia da assolvere, esso viene affidato a un ebreo! La cucina, i! magazzino, Tínfermeria sono in mano aglí ebreí. Ed anche la dentro, essi non smeri-tiscono la loro natura, dandosi al traffíco e vendendo il doppio la merce che, Día sa come, sono riuscíti ad avere nelle maní (Don Sante Bartolai, 1966, 37). L'intrigo, il "traffico", il "privilegio": secondo don Sante questi sono i tratti distintivi degli ebrei internati a Fossoli. C'é da chiedersi: sono elementi rispondenti alia reaité o sono il risultaio di una sovrapposizione di stereotipi antisemiti di matrice cattolica? Quando Don Sante pubbficó questa sua testimonianza, Eínaudi aveva giá da otto anni ristampato, con successo, Se questo é un uomo di Levi (Levi, 1986b). Ecco cosa aveva scritto Primo Levi di Fossoli prima di essere deportato ad Auschwitz: Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena [...] Si trattava per lo piü di infere famiglie, catturate dai fascisti o dai nazisti per Sa loro imprudenza, o in seguito a delazione. [,..] II mattino del 21 [gennaio '44] si seppe che l'indomani gli ebrei sarebbero partid, Tutti: nessuna accezione. Anche bambini, anche i vecchí, anche i 425 ANNALES • Ser. hist, socio*. ■ 9 • 1999 2 (18) Marco COSLOVICH: CENSURE, CONFUTTI E AMBIGU]TÀ DELIA MEMORIA OLI LACER NAZiST!, 423-430 maiati. [.,.] E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschí, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno glí uomint quando sanno di dover moriré. Ognuno si congedô dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura,. Altri si inebriarono di nefanda ultima passione [...] (Levi, 1986b, 19-21). C'è da chiedersi se Don Santé Bartolai abbia mai letto Primo Levi, o un'altra opera di memoria sulla deportazione nelía quale si parli degli ebrei. Come questo sacerdote, che dovrebbe avere avuto una certa coníidenza con la parola e la scrittura, non abbia letto altre testimonianze sugli ebrei e non abbia quindi ravvisato la divaricazione tra la sua memoria dei fatti e quella della stragrande maggioranza dei suoi ex-com-pagni di deportazione, resta oscuro. Dobbiamo ritenere che la sua memoria del Lager sia rimasta perfettamente isolata? Dobbiamo ritenere che dopo diversi anni dalla deportazione, siano riemersi gli antichi pregiudizi asso-piti durante la deportazione? Oppure che quei pre-giudizi abbiano continuato a allignare anche durante la deportazione e che abbiano continuato a condizionare e ad orientare la capacita d'osservazione e quindi il ricordo? Quest'ultima ipotesi pare la più credibile, inoltrandosí nella lettura, Don Sante Bartolai riferisce di una converstone di un ebreo morente. "La rassegnazi-one di cui do prova - scrive il sacerdote -, stupísce il mió compagno [ebreo] di letto. Gli dico che questo conforto mi deriva dalla religione di Gesù, della Vergine, de! Paradiso" (Don Sante Bartolai, 1966, 93). Attestazione di supériorité difficile da accettare da parte di un ex-deportato nei confronti di un altro deportato che è appartenuto ad una categoría molto più esposta e vulnerabile. Il caso di Don Sante Bartolai è un caso limite? O è invece un caso emblemático? Se cosí fosse non ci re-sterebbe che ammettere che i valori cultural i e ídeo-logici precedenti l'esperienza del Lager, continuano ad operare e ad essere ben viví. Ció significa che, almeno in alcuni casi, la forza omologante e livellante del campo di concentramento viene meno. Si potrebbe ad-dirittura rovesciare I'ipotesi e sostenere che il Lager non appiattisce ma esaspera ed esplicita brutalmente mecca-nismi e processi mentali altrimenti ¡nibiti o sorvegliati. Che il caso Bartolai non sia un caso isolato lo dimostra il fatto che durante la prigionia anche altri deportad nutrirono sentimenti antisemiti. Noto è l'antise-mitismo di molli deportati polacchi i quali scaricavano sugfi ebrei antichi e mai sopiti rancori radicati nelía società polacca da lunghi anni. Ma anche tra i deportati politici italiani, i meno sospettabifí, è possibile rintrac-ciare segni inequivocabili di antisemitismo. Qui, prima di proseguiré, dobbiamo precisare che ci troviamo di fronte ad un passaggio particolare della storia della deportazione. Sostanzialmente dopo la prima meta degli anni ottanta la storia orale comtricía ad indagare la memoria degli ex-deportati. Non si tratta della memoria scritta, in quaíche modo rielaborata e formalizzata, ma della memoria spontanea, diretta, senza censure. In questo quadro è più facile cogliere ii sostrato profondo di certi atteggiamenti e presupposti. Ne! corso delle ¡nterviste agli ex-deportati che ho fatto, oltre un'ottantina, mi sono imbattuto in frangenti e situazioni nelle quali riemergeva it dato antisemita. Un ex-deportato di Flossenburg ricorda: "... c'erano quest: ebrei...che pesavano ¡I pane... Ogni tanto veníva quaíche russo, quaíche ucraino, davano un calcio e il pane voiava dappertutto! Ti veniva nervoso a vederli e eos) stavano senza pane!". "Lt vedevo- aggiunge una depórtate di Auschwitz - con quel atteggiamento da ebreo di tenere tutto in un fazzoletto. Noi non avevamo niente e loro avevano tante cose." "Hitler ha fatto male - afferma un ex-deportato di Dachau - non doveva fare queílo che ha fatto, ma Joro sono sempre statí un popolo che non mi è mai piaciuto" (Coslovich, 1994, 355-356). Si tratta di affermazioni inquietanti, soprattutto J'ultima, se pensiamo che ha pronunciarle sono degli ex-deportati che hanno ríschiato di perdere Ja vita in campo di sterminio. Eppure sono ríconoscibiíi tutti gli stereotipi dell'antisemitismo classíco: l'ebreo che accumula, che traffica, che gode di privilegi, riconoscibile per "que! atteggiamento da ebrei", definizione che ben coagula sentimenti vaghi e indefiniti, ma inequivocabilmente e irrimediabiimente antisemiti. Assimitazione di valori, o per megíio dire disvalori, sedímentati da ¡ungo tempo, permangono come incro-stazioni anche dopo. Si tratta di stereotipi, magari ac-quisiti dalla più trita e vieta propaganda del regime, pronti ad emergere ogniqualvolta ci si trovi di fronte all'ebreo che ha un pezzo di pane in più; all'ebreo che misura con iJ "bilancino" anche le briciole; all'ebreo che ha un fazzoletto in più e che cornmercia queste cose "preziose". Basta scorrere un quaísiasí libro sulla deportazione per rendersi invece conto di come questi comportement! fossero assolutamente comuni a tutti i deportati. Chi ha letto il capitolo di Se questo è un uomo sull'organizzazione degli scambi tra i deportati, il famoso capitolo "Al di qua del bene e del male", sco-prirà come fosse assolutamente diffusa e generalizzata la pratíca dello scambio, soprattutto la capacita d' "organízzare" la merce da scambiare (Levi, 1986b, 105). O forse il pregiudizio arrivera a sospettare della memoria di Primo Levi in quanto ebreo? 4. Ma le distorsion! e le alterazioni della memoria non si limitano solo alio stereotipo antisemita. Nel Lager permangono radicati anche gli stereotipi nazional istia. Forte, ad esempto, è l'antagonismo tra i russi e i polacchi, memori, quest'ultimi, deli'odiosa spartizione 426 ANNALES • Ser. hist. soriol. • 9 - 1999 - 2 (18) Milice COSi.OV'ICH CENSURE, CONFLITTI E AMBIGUirÀ DELIA MEMORIA DEI LACER NAZISTI, 423-430 délia Polonia tra russi e tedeschi. Del resto i due gruppi occupano posizioni particolari in campo. Montre i russi, ai quali non si riconosce !o status di prigioniei'i di guerra secondo la convezione di Ginevra, vengono trattati in maniera particolarmente disumana e dura, Í polacchi, dopo una lunga presenza nei Lager che hanno co-minciato a popolare già nel 1939, finiscono per oc-cupare il vertice deîla gerarchia del Lager. i Kapos polacchi sono infatti la parte resíduale di una durissima seiezione avvenuta nel corso degli anni. Chi è so-pravvissuto al Lager per tre, quattro anni, è di sólito ('elemento peggiore, disposto a qualsiasi compromesso con le SS. I polacchi sono per questo generalmente odiati da tutti e molti ex-deportati si sono costituiti, in seguito a questa esperienza, un'immagine di essi per-vicacemente e sólidamente negativa. Il Lager ha quindi anche generato immagini e stereotipi negativi, alimentando pregiudizi e antagonismi funzionali al dominio e controllo delfe SS sulla gran massa di déportait. Un altro punto di frizione tra gruppi nazionali è senz'altro costituito dallo scontro tra francesi ed italiani. I francesi, tanto piu quelli deportati per motivi politici, hanno vissuto la dichiarazione di guerra deli'ltalia alla Francia come un tradimento vero e proprto. Non perdono quindi occasione di ostacolare e attaccare gli italiani giudicati tout court fascisti. Questo mi pare un punto essenziale. In campo ¡'antifascismo non riesce sempre a superare le barriere e le diffidenze tra i gruppi nazionali, barriere e contrapposizioni voluti e perpetrati dai nazionalismi che ¡'antifascismo si è prefisso di combatiere. I déportât) politici in gran parte dei casi non riescono a distinguere che gli italiani del campo di concentramento sono antifascisti e che nulla hanno da spartire con la guerra dichiarata da! fascismo. il Lager è una sorta di colossale esperimento in vitro nel quale prende spesso sopravvento la sopraffazjone e il pregiudizio délie vittime contro le stesse vittime. Si tratta quindi di correggere l'ottica che vede i deportati solidarizare sempre e comunque. Vincenzo Pappalet-tera scrive nell'introduzione de Nei lager c'ero anch'io: Queste testimonianze ci dicono che nelJ'tnfemo del-i'odio e délia violenza, dove si abbruttivano gli indi-vidui con la famé, la sete, la paura, il bastone e il lavoro massacrante, germogliavano spontaneamente mille e mille episodi di solidartetà, di amic¡2ia e abnegazione tra persone differentissime per cfasse sociale, per cultura, per fingua (Pappaiettera, Î973, 6). Pappaíettera ci offre un'immagine dei testímoní del Lager che corrisponde in gran parte al vero, ma che è incompleta. Tra i deportati riaffiorano antichi pregiudizi, mentre t nazisti non mancano di alimentare nuoví contrasti chiamati a favorire il controllo di un sistema di detenzione che, non dobbiamo dimenticare, punta sul-l'autogoverno dei deportati. Sotto questo punto di vista i deportati delle provincie orientais presentano un'esperienza particolare.2 II regime fascista aveva infatti reso particolarmente difficili i rapporti tra gli italiani e i croati e sloveni della Venezia Giulia. Una sistemática política di discriminazlone nei confronti delle popolazioni slave aveva aliméntalo ri-sentimenti profondi e radicati culminad nella costi-tuzione dei campi d'internamento italiani per gli sfoveni di Gonars, Aidussina, Arbe, solo per cítame alcuni (Volk, 1997; Vergineíla, 1997). Alberto Berti, azionista, ex-deportato di Buchenwaid, ricorda con amarezza gli insulti e fe minacce di un deportato jugoslavo: "Fascista lavora, non vorrai mica che noí si faccia anche la tua parte di lavoro! Qui non siamo in Italia!". Un ex-deportato di Dachau ricorda che alia domanda rivolta dai compagni di prigionia se era italiano rispondeva: "No, sono sloveno. Non volevo dire che ero italiano, non dicevo mai a nessuno che ero italiano"; un altro testimone ricorda come "... tanti deportati italiani del-l'lsontino, hanno corretto !a ! che distingueva sulla ca-sacca gli italiani con !a J lunga degli jugoslavi" (Coslo-vich, 1994, 248-249). Nella Venezia Giulia risulta evidentísima ía de-bolezza delí'antifascismo come collante ideología; tra i diversi gruppi nazionali. Ció trova spiegazione in mol-teplici cause: la debolezza delí'antifascismo giulíano di ispirazione ciellenistica; !a forza militare e organizzativa della lotta di líberazione slovena e croata; la presenza dei comunisti nello schieramento antifascista italiano sensíbili ai temí dell'internazionalismo piuttosto che a queíli dell'appartenenza nazionale. 11 risultato di questa situazione deficitaria si traduceva in uno scarso potere contrattuale da parte des deportati italiani in campo di concentramento, impegnatí a sostenere una lotta aggiuntiva contro i pregiudizi dei compagni di prigionia sloveni e croati. Ma i motivi di contrasto e diffidenza non sonó solo frufto di un processo storíco lungo e concreto consúmate a ridosso dei confini. Análogo atteggiamento contro i deportati italiani sembrano nutriré i russi che vedono negli italiani gli ¡nvasori, assieme ai tedeschi, del patrio suolo. Un ex-deportato di Dachau, partigiano e attivÍ5S¡mo nella resistenza, appena arrivato in campo si sente tacdare di fascista da parte dei russi: "A noi ci dicevano macaroni, Bagdolio e Mussolini e io rispondevo: Sono un compagno, un comunista meglio di te! ío sono giovane e ho faíto il partigiano!" (Coslo-vích, 1994, 229). Viceversa i deportati comunisti italiani avevano un'immagine assolutamente speculare: Crede-vamo - dice un deportato di Dachau - che in Russía 2 Rispetto alle) deportazione dall' Adriatisches Küstenland\ mi pare doveroso precisare che ho considerato !a sola produzione storlografica italiana. 427 ANNALES • Ser. Iiist. socio!. ■ 9 ■ 1999 -2(18) .Marco COSLÛVICH: CFNSUEE. CONflir TI I 'VMBiGUiTÁ ÜELLA MEMO RIA r>EI Í.ACFR NAZISTi, -423-430 // crematorio nel campo di concentramento di Dachau. Krematorij v koncentracijskem taborišču v Dachau. fossero tutti quanti uomini perfetti (Coslovich, 1994, 218). Piccoli esempi che vorrebLiero dimostrare come la memoria della deportazione alubia subito forti condizio-namenti. La guerra, con ¡ grandi tfaumi coliettiví e la propaganda dei regimi; le opzioni politichfi e ideo-logiche dei diversi schieramenti (si pensi quale inci-denza ha avuto la guerra di Spagna sotto questo profilo); i proforidi e sedimentati pregiudizi etnico-reiigiosi radi-cati nel senso tomune, attraverso forme di educazione remóte e diffuse; sono tutti elementi che hanno inciso nei meccanismi délia percezione e neí processo di formazione del!a memoria del Lager. Da ció deriva un'immagine della memoria dei Lager meno compatta e organica di quella offerta dalla pubblicistica, e cío senza considerare l'influenza avuta dalla letteratura sull'argo-mento che ha a sua volta offerlo nuove occasion! di ripensamento e riforrnulazione. Quanto della lettura di Se questo è un uomo ha inciso nel ricordo di tanti ex-deportati? Non va infatti dimenticato che la memoria si è riattivata a seco.ndo del contesto e degli stirnoli che ha trovato dopo. Sotto questo punto cli vista il caso della Venezia CiuJia presenta un quadro particolare. La mas-siccia deportazione, circa un quarto di queila nazionale, e la sinistra presenza deila Risiera di San Sabba, offrono del quadro locale uno scénario drammatico. Eppure da| dopoguerra su 168 pubbiicazioni a livello nazionale inerenti la deportazione, nemmeno una ventina sono state pubblicate nella Venezia Giuîia. Dal punto di vista qualitativo inoítre, non possiamo dire di contare su opere di liveilo come quelJe di Caleffi, Levi, Tedeschi, Pappalettera ecc. (Coslovich, 1997, 649-671). Qua! fe i! motivo di questo raürappimento deila memoria? Innanzi tutto il permanere di una situaziorie di emergenza. Fino al 19S4 !a zona di Trieste resta sotto governo anglo-americano in un quadro di forte scontro político per la definizione dei confini con la vicina jugoslavia socialista. La prioritá della lotta política ha reso la storía della deportazione ancíllare a quelfa militante della lotta partigiana e detla resístenza. E quindi venuto meno lo spazio per rielaborare la memoria dei l.ager riproponendola su un piano civile e morale di piu ampio respiro. In secondo luogo, la deboJezza dell'antifascismo borghese, ha fatto mancare queli'humtjs culturale e político necessario per rielaborare la memoria con l'unico mezzo all'epoca in grado di formalizare e regolariz-zare il ricordo: la scríttura. Bisognera attendere ancora molto prima che la síoria órale possa offrire anche ai non scriventi la possibiiitá di guidare la memoria del Lager fuori daglí schemi della letteratura ingenua e dellc strette della cultura militante. 5. Prima di concludere mi pare importante sottolineare come lo sforzo di considerare la memoria del Lager in quanto fonte stortca, sottoponendoia quindi all'analisi critica e ai dubbi ínterpretativi alia stregua di un quaistasi documento, é mérito anche della storia órale. In primo luogo perché ha reso accessibile la memoria di tanti non scriventi; in secondo luogo perché ha aperto un coliegamento diretto con la memoria di uno deglí 428 ANNALES ■ Ser. híst. sociol. • 9 • 1999 2 (18) Mateo COSLOVICM: CENSURE, CONfUTTI E AMBIGUITÁ DCLLA MEMORIA DEI LAGER NAZISTI, 123 430 avvenimenti piú gravi e devastanti del nostro secolo senza la mediazione della scrittura e quindi della riel-aborazione. Si tratta di un patrimonio archivistico di grande valore per le future generazioni. Ce da augurarsi che si voglia intensificare questo sforzo di raccolta della memoria, símilmente a quanto si sta facendo con la deportazíone ebraica. II iavoro di Anna Bravo e Daniele Jalla in Piemonte (Bravo, jalla, 1986), o il iavoro pionieristico di Flavio Fabbroni in Venezia-Giulia (Fab-broni, 1984), devono essere rilancíati. L'impressione é che la raccolta abbia súbito in questi ultimi anni un rallentamento a favore dell'esegesi. Indubbiamente stiamo vivendo una fase di transito; dalla stagione dei testimoni (che inesorabilmente vanno incontro a! decadimento biologico) stiamo passando a quella degli storici chiamati a interpretare le fonti lasciateci. Ma siamo ancora in tempo a tesaurizzare l'archivio della memoria. Pochi giorni (dicembre 1998) fa é moría Luciana Nissim, ex-deportata ebrea di Auschwitz, com-pagna di prigionia di Primo Levi, una delle piü sottili e avvertite testimoni del Lager. In questo caso la rincorsa con il tempo é stata vinta grazie ai progetto Spielberg e all'attivitá svolta da! Centro di documentazione ebraica di Milano che ne ha raccolto la testimonianza, ma mi chiedo: quanti ex-deportati sono destinati a sparire nel silenzio? ZAMOLČE VANJA, NASPROTI A IN DVOUMNOSTI V SPOMINIH NA NACISTIČNA TABORIŠČA Marco COSLOVICH IT-34135 Trieste, Via G kisli 23 POVZETEK "Spomin ... je zmotljiv" je dejal Primo levi, nanašajoč se na pričevanja o nacističnih uničevalnih taboriščih. Najpozornejše in najbolj pazljivo zgodovinopisje je sedaj poklicano k kritičnemu premisleku tega vidika: dolgo časa je "družbeno angažirano" zgodovinopisje mogoče preveč pasivno sprejemalo vse zgodovinske resnice, ki so jih preživele priče taborišč. Moralna in civilna zgražanost nad tem, kar se je zgodilo - in nihče ne more zanikati, da sla bila genocid Judov in nacistično preganjanje v taboriščih strašna in nemoralna - je privedla do izgube ostrine kritičnih instrumentov, za katere mora vsak dober zgodovinar skrbeti, da so vedno dobro nabrušeni. Ustna zgodovina, ki je dala velik doprinos k zbiranju in arhiviranju spomina o taboriščih, se mora sedaj soočati z interpretativnim trenutkom in biti sposobna zaznati in izspostaviti vsako dvoumnost in protislovje ustnemga virua. Drugače je nevarnost očitna: nuditi nevarne prilike polemike pristranskemu zgodovinopisju, t.i. revizionističnemu, ki teži k omalovaževanju zgodovinskega pomena Ausch\vitza in k prikazovanju zgodovine uničevalnih taborišč kot le ene od tragedij, ki so označile drugo svetovno vojno. Če je res, kot se smatra, da predstavlja nacistično uničevanje in preganjanje zgodovinski "unicum", je v preučevanju in analiziranju spomina preživelih taboriščnikov potrebno uporabiti največjio znanstveno rigoroznost. Treba je tudi potrditi, da dvoumnosti in cenzure spomina niti zdaleč niso lake vrste, da bi lahko postavile v dvom zgodovinsko realnost nacističnega uničevanja in preganjanja. Obratno, pričevanja o taboriščih še nadalje predstavljajo zgodovinski vir izrednega dokumentarnega pomena glede na to, da so nacisti poskrbeli za zabrisanje velikega dela sledov svojih zločinov. Spomini prič so torej prispevali izredno pomembne podatke in pojasnila. Predvsem pomemben je v tem smislu spomin prič nizkega socialnega izvora, ne pišočih, ki so zapustili le ustna pričevanja svoje izkušnje. Prav ti so nam, zaradi niihove manjše pogojenosti s političnimi in ideološkimi stereotipi in predsodki, nudili najbolj neposredna in pristna spominska pričevanja. Te vrste vir je torej arhivsko bogastvo, ki ga je treba varovati z vrednotenjem njegovih potencialnosti prek stalnega pazljivega sondiranja in preverjanja informaciji, ki nam jih lahko posreduje. To je edina prehodljiva pot za varovanje humanega in zgodovinskega pomena spominov na taborišča. Ključne besede: koncentracijska taborišča, druga svetovna vojna, pričevanja 429 ANNALES • Ser. hist, socio*. ■ 9 • 1999 2 (18) MarcoCOSLOVICH; CENSURE, CONFIITTI f AMBIGU ITA DELIA MEMORIA DU LAGER NAZISTI, 42Í-4V) BIBLIOGRAFIA Caleffi, P. (1988): Si fa presto a diré fame. Milano, Murisa. Coslovich, M. (1994): I percorsi delía sopravvivenza. Milano, Mursia. Coslovich, M. (1997): La memoria della deportazione deH'Adriatisches Küstenland. !n: Ventura, A. (a cura di): La societá veneta dalla Resistenza alia Repubblica. Verona, Istituto Veneto per la storia della Resistenza. Fabbroni, F. (1984): La deportazione dal Friuli nei carnpi di sterminio nazisti. Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. Levi, P. (1986a): I sommersi e i salvati. Tormo, Einaudi. Levi, P. (1986b): Se questo é un uomo. Torino, Einaudi. Levi, P. (1997): Conversazioni e interviste 1963-1987. Torino, Einaudi Melodia, G. (1993): Non dimenticare Dachau Milano, Mursia. Pappalettera, V. 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