553 Izvirni znanstveni članek (1.01) BV 73 (2013) 4, 553—574 UDK: 94(497.4)"19":929Hrastelj F. Besedilo prejeto: 03/2013; sprejeto: 11/2013 Haria Montanar L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche del sacerdote Franc Hrastelj Riassunto: Negli ultimi decenni la storiografia ufficiale ha conosciuto la diffusione di molte pubblicazioni e studi volti a portare alla luce il dramma dei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale, le storie personali e col-lettive di tante persone, sacerdoti, religiosi e laici di diversi paesi europei, che si trovarono a vivere in prima persona questa terribile esperienza - limite. In tale filone di studi si inserisce anche il presente contributo che vuole far emergere la testimonianza del sacerdote sloveno Franc Hrastelj (1894-1981) che nel lager di Dachau in Germania e poi anche nel dopoguerra comunista nella propria patria sperimento di persona la crudelta dei metodi di distruzione e di an-nientamento della persona umana, uniti al disprezzo nei confronti della sacra-lita dell'esistenza, di cui fecero uso i sistemi totalitari. Tale testimonianza non e solo un ricordo di fatti storici realmente accaduti o un monito alle generazio-ni presenti e future affinché tali cose non abbiano piu ad accadere: e anche stimolo a ripensare il nostro quotidiano di uomini del XXI secolo, la qualita del nostro vivere, dei nostri comportamenti, delle nostre relazioni interpersonali. Parole chiave: Franc Hrastelj, Dachau, campi di concentramento, testimonianza, valore dell'esistenza umana, esperienza-limite Povzetek: Izkušnja koncentracijskega taborišča Dachau v avtobiografskih spominih duhovnika Franca Hrastelja V zadnjih desetletjih smo v uradnem zgodovinopisju priča velikemu številu objav in študij, ki želijo predstaviti dramo, kakršna je med drugo svetovno vojno potekala v koncentracijskih taboriščih. To so osebne in skupne usode mnogih ljudi, duhovnikov, redovnikov in laikov iz različnih evropskih držav, ki so se znašli v tej strašni, mejni izkušnji. V omenjeno študijsko smer se vključuje tudi ta prispevek. V njem želi avtorica predstaviti pričevanje slovenskega duhovnika Franca Hrastelja (1894-1981), ki je najprej v nemškem taborišču Dachau, potem pa tudi v domovini v obdobju komunizma na svoji koži izkusil okrutnost metod rušenja in uničevanja človekove osebnosti, povezanih z zaničevanjem svetosti bivanja totalitarnih sistemov. Njegovo pričevanje ni le spomin na resnična, zgodovinska dejstva ali opomin sedanjim in prihodnjim rodovom, da se takšne reči ne bi več ponovile, ampak tudi spodbuda, naj mi, ljudje 21. stoletja, premislimo svoj vsakdan, kvaliteto svojega življenja, svoje vedenje in medsebojne odnose. 554 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 Ključne besede: Franc Hrastelj, Dachau, koncentracijska taborišča, pričevanje, vrednost človeškega bivanja, mejna izkušnja Abstrtact Franc Hrastelj's Dachau Experience: Autobiographical Memories of a Priest In recent decades official historiography has produced a great number of publications and studies dealing with the drama of concentration camps during the Second World War, with personal and collective stories of numerous individuals, priests, religious and lay people from various European countries, who lived this terrible limit-experience in the first person. The present paper falls into this line of research and wants to present the testimony of the Slovenian priest Franc Hrastelj (1894-1981), who in the German concentration camp Dachau and in his after-war home country ruled by communists personally experienced the cruel methods of destruction and annihilation of the person linked to a lack of respect for the sanctity of human existence, which were used by totalitarian systems. His testimony is not just a memory of real historical facts or an admonition to the present and future generations that such things might not recur. It is also an incentive to rethink our daily routine of the people of the 21st century, the quality of our life, our behaviour and our interpersonal relations. Key words: Franc Hrastelj, concentration camps, testimony, value of human existence, limit-experience 1. introduzione Negli ultimi decenni la ricerca storica e la storiografia ufficiale hanno conosci-uto la diffusione di molti studi volti a portare alla luce il dramma dei campi di con-centramento durante la seconda guerra mondiale, le storie personali e collettive di tante persone che si trovarono a vivere in prima persona questa terribile espe-rienza - limite1. Tali testimonianze costituiscono per certi versi, se pensiamo ad Tra i classici sull'argomento ricordiamo, in area tedesca, Janez Lenz, Dachau (Klagenfurt: Družba svetega Mohorja, 1966) e, dello stesso autore Christus in Dachau (Wien: Selbstverlag, 1956); Eugen Weiler, Die Geistlichen in Dachau sowie in anderen Konzentrationslagern und Gefängnissen (Mödling bei Wien: St.-Johannis-Druckerei Lahr, 1971). In ambito sloveno hanno conosciuto molta diffusione i ricordi del sacerdote Franc Puncer (1916-2008), anch'egli, come Hrastelj, della diocesi lavantina, Franc Puncer, Duhovnik v taborišču smrti = [Un sacerdote nel Lager della morte)] (Celje: Mohorjeva družba, 1991). In ambito italiano ricordiamo, tra i tanti, l'opera a cura di Federico Cereja, Religiosi nei Lager: Dachau e l'esperienza italiana (Milano: Franco Angeli, 1999); Vittorio Emanuele Giuntella, Il tempo del Lager tempo di Dio: la deportazione come esperienza religiosa, in: Il nazismo e i Lager (Roma: Studium, 1979), 259-295; Paolo Liggeri, Testimonianze di sopravvissuti, in: ... per non dimenticare: Atti: Donne nei Lager. La scelta di testimoniare e Sacerdoti nei lager, a cura di Laura Deleidi e Giuseppe Paleari (Nova Milanese: Comune, 1996), http://www.lageredeportazione.org/binary/lager_deportazione_new/materiali_pro-dotti_iniziative/1%207ok.1137434723.pdf (consultato il 13.1.2012); De Bernardis 2008, 43-65; Carlo Greppi, L'ultimo treno: racconti del viaggio verso il lager (Roma: Donzaelli, 2012). Tra le pubblicazioni scientifiche riguardanti piu in dettaglio gli internati a Dachau, suddivisi per diocesi, si veda Manfred W. Wendel-Gilliar, Das Reich des Todes hat keine Macht auf Erden: Priester und Ordensleute 1933-1945 KZ Dachau, Bd. I-IV (Roma: Herder 2001-2004). Nell'introduzione a tale opera il prof Dr. Horst Seidl della Pontificia Universita Lateranense di Roma ci fa presente che l'autore del libro, pur 1 Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 555 un pubblico di giovani lettori, un necessario ricordo ed una spiegazione di fatti storici realmente accaduti; d'altra parte assurgono anche ad una funzione di mo-nito per l'uomo di oggi e di tutti i tempi, perché tali cose non abbiano più ad acca-dere. Simili riflessioni furono espresse anche dal sacerdote sloveno Franc Hrastelj (1894-1981), che presenteremo in questa sede2. Egli si trovo a condividere, come molti altri sacerdoti, religiosi e laici di diversi paesi europei, la terribile esperienza di Dachau3, di cui ci ha lasciato un intenso e profondo memoriale autobiografico, intitolato Njegova pot (Il suo cammino), che inizia proprio con queste parole: »Non è necessario sapere di chi è stato questo cammino. Rimanga la via percorsa da uno sconosciuto, che porto il numero 27.640 /.../ Il suo cammino intende essere una lettera a coloro che hanno vissuto un'esperienza simile, per ricordare, agli altri, che non hanno conosciuto questa via, valga invece come monito. Lo scritto è dedicato a tutti coloro che lungo il cammino manifestarono a questo sconosciuto la loro bontà. I loro nomi sono scritti nel libro della Vita4.« Nonostante la recente pubblicazione di quest'opera, la profonda e ricca esperienza di vita del presbitero Hrastelj resta per molti versi ancora poco conosciuta. Le fonti ci pongono di fronte ad una figura significativa, ad un sacerdote zelante, che opero in diversi ambiti, prendendosi a cuore il bene del proprio popolo anche da un punto di vista culturale ed educativo, sia prima sia dopo gli eventi bellici che sconvolsero l'Europa nel corso del ventesimo secolo. Visse in un periodo storico molto difficile, caratterizzato dal primo conflitto bellico, dalla caduta degli imperi centrali, dalla crisi economica degli anni trenta, dalla diffusione dei totalitarismi, dalla seconda guerra mondiale, dalla diffusione del socialismo reale in Jugoslavia con tutte le conseguenze che questo comporto anche a livello di persecuzione della Chiesa. Nell'arco della sua vita (1894-1981) si alternarono alla guida della basandosi sulla pubblicazione di dati e di fonti di primaria importanza, non ha voluto offrire una pre-sentazione delle vicende terribili del lager, bensi offrirne uno sguardo di fede (Seidl 2001, XI). Il 3.11.2004 fu fatto conoscere in Slovenia qualche aspetto della sua figura con una mostra preparata dall'Archivio diocesano di Maribor, alla cui inaugurazione fu presentato anche il memoriale (Hrastelj 2004). Dachau fu il lager dove fu deportato, dopo la firma dell'armistizio, anche il maggior numero di prigionieri italiani, piu di 10.000. Hrastelj ebbe tra i compagni di prigionia anche don Carlo Manziana (1902-1997), futuro vescovo di Crema, come ci viene provato da alcuni riferimenti della sua corrispondenza privata nel periodo del dopoguerra (NŠAM / Hrastelj, fasc. 12 bis). Arrestato dalla polizia fascista per la sua opposizione al regime totalitario del 1944, Manziana fu internato nel campo di sterminio di Dachau, distinguendosi per il quotidiano impegno a favore degli internati piu deboli. Al momento della liberazione rimase a Dachau, come coordinatore del campo per i primi soccorsi e per coordinare il rimpatrio degli italiani. In seguito ebbe un ruolo di primo piano nel mondo cattolico italiano nel periodo del Concilio Vaticano II. »Ni nujno, da bi morali vedet, čigava je ta pot. Naj ostane pot neznanega človeka, ki je nosil štev. 27.640 /.../ Njegova pot je pismo tistim, ki so hodili podobno pot, v spomin, drugi, ki te poti niso poznali, v opomin. Posvečen pa je ta spis tistim, ki so neznanemu človeku na njegovi poti bili dobrega srca. Njihova imena so zapisana v knjigi življenja« (NŠAM / Hrastelj, fasc. 12, Njegova pot, 1). Esemplare manoscritto risalente ai primi anni del dopoguerra, consegnato al vescovo di Maribor mons. Maksimilijan Držečnik, leggermente diverso, almeno per quanto riguarda la dedica iniziale, rispetto a quello pubblicato dalla casa editrice Družina. 2 3 4 556 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 diócesi lavantina con sede a Maribor5 ben cinque vescovi, con i quali collaboro attivamente. Dopo alcuni cenni biografici e storici di riferimento, concentreremo la nostra attenzione sul gia citato memoriale e su altri ricordi del sacerdote Hrastelj relati-vi a Dachau. Coglieremo cosí alcuni tratti della sua esperienza spirituale e religiosa, delle sue meditazioni sulla realta umana e sul senso dell'esistenza, presenti ed evidenti in ogni riga dei suoi scritti6. 2. Franc Hrastelj: appunti per una biografía Franc Hrastelj nacque il 3 novembre 1894 nell'odierna Slovenia, a Zagorje ob Savi, nell'arcidiocesi di Lubiana, da famiglia contadina che ebbe sei figli ed una figlia che mori in tenera eta. Dopo aver concluso le elementari nel suo paese, Franc frequento il liceo vescovile a Šentvid presso Lubiana. Il 10 luglio 1908 gli mori prematuramente il padre per le conseguenze di un incidente sul lavoro e cosi suo punto di riferimento, oltre alla madre, divenne uno zio, suo omonimo, arcidiaco-no nella parrocchia di Slovenske Konjice nell'allora diocesi lavantina, che si prese cura del giovane7. Anche a scuola Franc pote sperimentare l'influsso positivo di saldi educatori, basti pensare a F. Gnidovec, futuro vescovo8, che a quel tempo era rettore del liceo. Hrastelj concluse le scuole superiori nel luglio del 1914 e subito dopo, seguendo le orme dello zio, si iscrisse al seminario di Maribor. Fu ordinato sacerdote il 30 giugno 1917, nel corso della prima guerra mondiale. Un anno prima dell'ordinazione, il 16 luglio del 1916, gli mori anche la madre, a cui era molto legato. Celebro la prima messa nella parrocchia di Slovenske Konjice; rimase per un anno, come era allora usuale, sacerdote in seminario; in seguito, dal 1918 al 1924, fu cappellano a Dobrna e poi per due anni vicario-corale e cateche-ta della Cattedrale di Maribor. Negli anni del dopoguerra si prese a cuore la cre-scita culturale del proprio popolo. A partire dai primi anni venti assunse un ruolo di rilievo nella conduzione della Tipografia cattolica di Cirillo, con sede a Maribor, di cui divenne collaboratore tra il 1925 e il 1932 e poi redattore dal 1932 al 1941. Essa aveva giocato un importante ruolo culturale nel formare e promuovere, fin dagli anni della prima guerra mondiale, una nuova coscienza slovena. Proprio per questo motivo e con la conseguente falsa accusa di svolgere propaganda anti-te-desca, Franc Hrastelj, ritenuto pericoloso nemico del Reich, fu arrestato fin dai Ci riferiamo alla diocesi lavantina, fondata nel 1228 nell'odierna Austria, a St. Andra im Lavanttal (da cui il nome), la cui sede fu trasferita a Maribor, odierna Slovenia, nel 1859 dal vescovo A.M. Slomšek (1800-1862), mantenendo una fisionomia etnica principalmente slovena. A partire dal 1964 in poi la diocesi si chiamo ufficialmente »mariborense-lavantina«, per poi diventare, nel 2006, arcidiocesi e sede metropolitana. I testi in questione verranno da noi tradotti, dall'originale sloveno, in lingua italiana. Si tratta del sacerdote Franc Hrastelj (1852-1927), che opero per diversi anni a Slovenske Konjice. Janez Frančišek Gnidovec, nato nel 1873 ad Ajdovec, consacrato sacerdote nel 1896, fu ordinato vescovo di Skopje nel 1924. Mori nel 1939 a Lubiana (Letopis Cerkve na Slovenskem 2000, 2000, 133; 436). E attualmente in corso il processo di beatificazione. 5 6 7 8 Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 557 primissimi giorni dell'occupazione tedesca, nell'aprile del 1941. Secondo i dati riportati nel lascito del sacerdote, il 10 aprile 1941 le SS fecero in un primo momento visita alla tipografía intorno alle ore 10 e 30 di mattina. Ritornarono poi nel pomeriggio verso le 15.00 e allora arrestarono il direttore che la sera stessa fu portato a Graz e in seguito, dopo alcuni mesi di prigionia e di isolamento, fu condotto a Dachau, dove rimase per quattro lunghi anni. Secondo quanto egli stesso ebbe modo di raccontare, a Dachau vide la morte in faccia per tre volte, in modo particolare quando si trovo gettato nella fossa comune, creduto morto, invece solo sfínito dalla stanchezza. Allora si salvo veramente per miracolo (NŠAM / Hra-stelj, fasc. 24, št. 5, zv. 2; Dolinar 2004, 8). Il termine della guerra, con il conseguente rilascio dal campo di concentramen-to, non significo ancora per Hrastelj la liberta, come ebbe a commentare egli stesso nei suoi ricordi: »Anche quando al termine della guerra mi trovavo gia in patria, non ero in realta ancora giunto a casa« (Hrastelj 2004, 126): appena poggiato il piede nel proprio paese fu infatti arrestato e messo in carcere dal governo comunista che intanto aveva preso il potere nel paese9. Tali arresti e condanne si ripe-terono, cosí come per molti altri sacerdoti, parecchie volte (Griesser Pečar 1999, 179-180). Lo stesso Hrastelj ebbe modo di commentare come gli alunni (i comu-nisti) avessero superato i loro maestri (nazisti) in sofisticatezza dei metodi di tortura (Dolinar 2004, 8; Griesser-Pečar 2005, 699-708). Nel periodo del dopoguerra fu sacerdote ausiliare presso la parrocchia di S. Marjeta ob Pesnici (1945-1947) e anche in quella di Sv. Rešnje telo a Maribor. Dal 1947 al 1979 fu rettore della chiesa di S. Luigi Gonzaga a Maribor, molto danne-ggiata durante la guerra e adibita ad uso militare per tutto il periodo del conflitto. Hrastelj si prodigo per restituirle l'antica bellezza. In questa chiesa svolse per molti anni l'apprezzato servizio di confessore. Nello stesso periodo fu anche archivista diocesano (1949-1965), nonché avvocato prosinodale presso il tribunale ecclesi-astico diocesano. Persona degna di fiducia, gli furono affidati numerosi compiti e incarichi: consigliere spirituale (1935), consigliere concistoriale (1947), canonico del capitolo della cattedrale di Maribor (1957), prodecano del decanato di Maribor (1957-1964), decano della cattedrale (1966). Nel 1968 divenne prelato d'onore di Sua Santita. Ebbe a cuore anche il canto liturgico e l'arte e fu tra i promotori dei corsi di perfezionamento per le guide di cori. Profuse molte energie per l'avanzamento del processo di beatificazione del vescovo Slomšek, essendo, fin dall'inizio, membro della Commissione storica incaricata di raccogliere tutti i suoi testi manoscritti. Preparo un'accurata biografia del vescovo per la Congregazione dei Santi: profondo conoscitore della sua vita, si distinse per la minuziosa e pazi-ente trascrizione di molti suoi testi originali, custoditi nell'archivio arcidiocesano, facilitandone di molto la lettura e comprensione. Contribuí a fare conoscere la vita del vescovo ai fanciulli ed ai ragazzi: scrisse numerosi interventi e articoli sul- Ricordiamo a questo proposito anche i protagonisti del cosiddetto »processo di Natale« a Lubiana. I comunisti accusarono in modo del tutto infondato i sopravvissuti di Dachau e di altri campi di concentramento di aver svolto attivita collaborazioniste con il nemico, cosa che avrebbe appunto permesso loro di salvarsi la vita. 9 558 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 la sua figura rivolti a lettori di diverse fasce di eta ed anche una famosa biografia intitolata Otrok luči [Figlio della luce] (Hrastelj 1999), molto accurata ma nello stesso tempo semplice e accessibile, basata sui testi originali e sugli scritti auto-biografici del vescovo stesso. Il potersi accostare cosí profondamente alla vita del vescovo Slomšek comporto per Hrastelj un'ulteriore maturazione oltre a quella gia acquisita nell'affrontare con coraggio cosí tante prove nella vita. I parenti ancora oggi lo ricordano come una persona mite, buona, allegra e generosa, a cui stavano molto a cuore le sorti del popolo sloveno. Morí a Maribor, dopo una lun-ga malattia, la quarta domenica di avvento, il 20 dicembre del 1981, a 87 anni di 3. L'attacco dei Tedeschi alla Jugoslavia e la deportazione dei sacerdoti sloveni Con l'attacco tedesco alla Jugoslavia del 6 aprile 1941, il territorio della Dravska Banovina - ripartizione amministrativa del regno jugoslavo popolata dagli Sloveni - fu occupato da tre potenze: la Germania (che ebbe la Stiria inferiore, la Gorenjska e la zona di Zasavje, zona corrispondente a livello di circoscrizione eccle-siastica a tutta l'allora diocesi lavantina e ad una parte di quella di Lubiana), l'Italia (che ebbe Lubiana, la Dolenjska, la Notranjska e la Bela krajina) e l'Ungheria (nella zona del Prekmurje) (Montanar 2007, 95-96). L'8 aprile le truppe tedesche entrarono a Maribor, come annoto nel suo diario personale il vescovo Ivan Jožef Tomažič (1933-1949). L'occupazione della Stiria fu presto completata10 ed ebbe cosí inizio quel processo di »rigermanizzazione« di tutti quei territori che secondo i Tedeschi avrebbero dovuto essere »riannessi«11 al Reich. Tale processo prevedeva una rapida e massiccia espulsione di Sloveni (tra i 220.000 e 260.000 secondo i piani), lo stabilirsi al loro posto di un elevato numero di Tedeschi provenienti dalla madrepatria, nonché la germanizzazione degli Sloveni rimasti (Ferenc 2001, 110-111)12. I Tedeschi divisero il territorio conqui-stato in due amministrazioni civili provvisorie13 e adottarono severi provvedimen- 10 Occupando i territori in questione i Tedeschi non si attennero alle norme del diritto di guerra internazionale, che prevedeva tra l'altro la provvisorieta di ogni occupazione e il divieto di qualunque provvedimento a lunga scadenza. I Tedeschi occuparono 10.261,09 km2 di territorio, piu del doppio di quello occupato da Italiani e Ungheresi insieme. 11 L'annessione vera e propria, pur progettata e annunciata, in realta non ci fu. Formalmente annesse furono solo la zona della Mežiška dolina e quattro comuni in Prekmurje. La parte sotto la giurisdizione italiana invece fu direttamente annessa, contro le leggi internazionali, all'Italia, costituendo la cosiddetta »regione lubianese« (Ljubljanska pokrajina). 12 Ferenc sottolinea il fatto che anche il popolo sloveno, secondo i piani nazisti, era stato condannato alla soluzione finale, alla distruzione. Gli Sloveni effettivamente perseguitati ed esiliati tra popoli stranieri furono molti, circa 80.000. Piu di 600 persone menomate o malate furono inoltre sottoposte all'eutanasia in un istituto vicino a Linz. Anche Tamara Griesser-Pečar evidenzia come l'intento di distruzione etnica del popolo sloveno accomunasse, pur con caratteri diversi, tutte e tre le forze occupanti (2004, 33-34). 13 Quella della Stiria inferiore e quella della Gorenjska e Mežiška dolina. Per delimitare il confine con la Croazia fu mantenuta la precedente suddivisione amministrativa jugoslava tra la banovina della Drava (Dravska banovina) e quella di Croazia (Hrvaška banovina); invece per quanto riguarda la delimitazione Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 559 ti repressivi per raggiungere il fine previsto. A differenza della zona occupata dagli Italiani, in quella ungherese ma soprattutto in quella tedesca furono fatte tacere le organizzazioni culturali e le scuole locali, con la proibizione ufficiale della lingua slovena. Obiettivo principale, fin dall'inizio, furono i sacerdoti, ritenuti i principa-li responsabili della »coscienza antitedesca« di Maribor14. I sacerdoti e i religiosi operanti nella diocesi lavantina di Maribor al momento dell'occupazione erano circa 600, ma il loro numero diminuí presto di molto15. I primi arresti furono ef-fettuati gia il 10 aprile 1941, quando i membri del Kulturbund16, che avevano preso in citta il potere gia prima dell'arrivo dei Tedeschi, arrestarono il direttore del- con la zona di occupazione italiana, il confine venne a tagliare letteralmente in due il territorio étnico sloveno, che si trovó cosi smembrato in tre parti. Inoltre, nella suddivisione territoriale tra le tre diverse forze di occupazione non venne mantenuta la suddivisione delle diocesi; cosi ad esempio la diocesi di Lubiana rientró in parte sotto l'amministrazione civile italiana e in parte sotto quella tedesca (Dolinar 2002, 12). Per quanto riguarda la lingua, la percentuale della popolazione che dominava attivamente e passivamente il tedesco, facendone uso esclusivo, era elevata solo nella città di Maribor, dove raggiungeva il 45,5 %; nelle altre circoscrizioni si riduceva di molto. Complessivamente il 60 % degli abitanti conosceva appena o proprio per nulla il tedesco (NŠAM, Ergebnisse, Tabelle IV, 7). Ci si sarebbe aspettati una percentuale più alta, ma il censimento non sembra offrire dati statistici realmente attendibili: a causa dello stato di guerra non si tenne infatti conto, per motivi di sicurezza, della situazione nei territori controllati dai partigiani; inoltre non è da escludersi una possibile protesta implicita della popolazione, che in alcuni casi potè decidersi di mostrare una conoscenza della lingua inferiore alla situazione reale. C'è poi da tenere presente che dichiarare di appartenere al numero dei credenti avrebbe potuto essere considerato come contrario allo stato; il dichiararsi ebrei avrebbe avuto come possibile conseguenza il campo di concentramento, quello di definirsi atei l'accusa di appartenere al comunismo e cosi via. Tutto ció ci induce a considerare i dati del censimento con una certa prudenza (Ožinger 2004, 582-583). 14 Essa veniva fatta risalire, oltre che all'attività del vescovo Slomšek, che aveva trasferito l'antica sede della diocesi da St. Andra im Lavanttal a Maribor, fondandovi un seminario e provvedendo alla formazione di sacerdoti di profonda coscienza slovena, anche al periodo della prima guerra mondiale, in particolare all'attività del dr. A. Korošec (1872-1940) (Slomškovsimpozij v Rimu, 1983). Si è messa in luce l'esistenza di un comunicato, diffuso nei giorni precedenti l'attacco alla Jugoslavia, che sottolineava il forte influsso dei sacerdoti sul popolo nella formazione di una mentalità antitedesca (Griesser-Pečar 2004, 35-36). 15 Tamara Griesser-Pečar parla di 608 sacerdoti all'inizio della guerra (2004, 35). A questo proposito abbiamo riscontrato delle differenze tra gli studiosi. Secondo le dichiarazioni di alcuni sacerdoti che scrissero al vescovo Tomažič verso la fine di luglio del 1941, si calcola che nel corso di quell'anno furono esilati in Croazia, proclamatasi stato indipendente, 284 sacerdoti e 81 religiosi della diocesi di Maribor (NŠOM, Okupacijski akti, fasc. 1, Pisma duhovnikov). L'arcivescovo di Zagabria, mons. Alojiz Stepinac (1937-1960) si dimostró molto benevolo nei confronti dei sacerdoti sloveni, li accolse come un padre e provvedette, quando riusci a superare tutte le difficoltà mosse da parte nazista e da parte degli ustaša, al loro incardinamento locale, nominandoli viceparroci in diverse parrocchie e assicurando loro il necessario. Alcuni sacerdoti lavantini, nella prima fase d'attesa, decisero di raggiungere la »provincia di Lubiana«, che peró era sovraffollata di sacerdoti delle zone occupate per un iniziale trattamento italiano meno duro di quello tedesco (NŠOM, Pisma duhovnikov). La situazione rimase complessa e pericolosa, perché comunque i nazisti continuarono a far pressione sugli ustascia affinché arrestassero i sacerdoti sloveni operanti nelle zone di confine. In effetti parecchi di essi furono rinchiusi nei terribili campi di concentramento di Jasenovac e Varaždin, trovandovi la morte. 16 La minoranza tedesca della Stiria inferiore e di conseguenza anche di Maribor, che ne contava il numero maggiore, già al tempo della »vecchia« Jugoslavia era riunita in un'associazione culturale detta Schwabisch-Deutscher Kulturbund, che ben presto cadde sotto l'influsso dei nazisti. Da essa provenne un alto numero di spie, attive già prima dell'occupazione, che riferirono ai nazisti molte notizie e dati sulle persone da arrestare al momento della presa di potere (Rybár 1978, 45). 560 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 la Tipografía di Cirillo (Cirilova tiskarna)17, Franc Hrastelj, Januš Golec18, redattore di numerosi opuscoli-foglietti in lingua slovena e Matija Munda19, tutti e tre sa-cerdoti ritenuti particolarmente pericolosi per la loro impegnata attivita culturale (žnidarič 1997, 124)20. Gli arresti di intellettuali21 e, tra essi, soprattutto di sacer-doti, si susseguirono in numero crescente22. Le deportazioni della popolazione slovena dalla Stiria interessarono circa 80.000 persone. Il governatore (Gaurat) Franz Steindl, comandante dello Steirischer Heimatbund, aveva lo scopo di formare a livello ideologico, politico e spirituale, cittadini fedeli al Reich23. Ci si 17 La Cirilova Tiskarna (Stamperia o Tipografía di San Cirillo) ebbe un ruolo molto importante nel formare la coscienza slovena nel corso della prima guerra mondiale e negli anni successivi. Fin dall'inizio collaboro al comitato redazionale anche il sacerdote e politico Anton Korošec. In seguito, nel 1918, la stamperia fu la sede del consiglio nazionale - popolare (Narodni svet) che vi ebbe le sue riunioni, tra cui quella famosa del 28 ottobre. Il generale Maister commento che la stamperia di san Cirillo collaboro molto alla »svolta« del 1918 (NŠAM / Hrastelj, fasc. 24, št. 1). Proprio alcuni giorni prima dell'occupazione tedesca, la tipografía aveva acquisito i piu moderni macchinari per la stampa, che furono poi confíscati dai Tedeschi e che non riebbe piu indietro. Dopo la fine della guerra, nel 1948, la stamperia fu nazionalizzata dallo stato. 18 Janez (o Januš) Golec nacque il 28.8.1888 a Polje ob Sotli, fu ordinato sacerdote il 25.7.1911 e mori il 24.5.1965 a Maribor (Letopis 2000, 792). Ci ha lasciato le sue personali memorie riguardanti gli eventi fondamentali del primo cinquantennio del XX secolo, conservate, a livello di manoscritto, nell'Archivio arcidiocesano di Maribor (NŠAM / Golec). 19 Matija Munda nacque il 3.2.1904 a Sv. Tomaž pri Ormožu, fu ordinato sacerdote il 29.6.1928 e mori il 27.12.1959 a Slovenj Gradec (Letopis 2000, 790). Durante la seconda guerra mondiale fini a Dachau e ne fece ritorno senza un braccio. 20 Per coloro che vennero condotti in carcere a Graz e in seguito di la trasportati ai campi di concentramento di Dachau e Mauthausen l'accusa principale era quella di avversione allo stato e al popolo tedesco. 21 Si calcola che le persone arrestate e poi evacuate all'estero furono: il 90,83 % dei sacerdoti sloveni, l'84,21 % degli ingegneri, il 45,20 % dei professori, il 45,20 % dei medici, il 22,43 degli avvocati e notai, il 14,28 % degli impiegati statali, il 17,5 % dei maestri ed il 6,02 % dei commercianti (Griesser-Pečar 2004, 40). 22 Dal diario personale del vescovo e dal suo resoconto degli eventi siamo informati di arresti quasi giornalieri. Ad esempio, in data 17 aprile 1941 fu arrestato J. Kokošinek; il 18 i canonici del capitolo; il 20 aprile P. Valerijan OFM informo mons. Tomažič dell'arresto dei padri francescani; il 26 maggio msgr. Umek informo il vescovo sulle condizioni dei sacerdoti imprigionati; il 6 e 7 giugno si venne a sapere che durante la notte erano state arrestate a Maribor circa 1.500 persone; in data 11 giugno: »Si confermano le notizie riguardanti l'arresto e la conduzione di sacerdoti a Rajhenburg« (NŠAM / Tomažič, fasc. 13/2, Diarium 1941; NŠOM / Tomažič, fasc. 1, št. 21). Gli arrestati furono condotti in diversi campi di concentramento provvisori, come ad esempio a Maribor nella caserma di Melje, a Celje nello stari pisker e cosi via. Furono costretti a subire molte umiliazioni e spesso anche torture, come nel caso del sacerdote Ferdinand Potokar (1911-1942), per venire poi nella maggioranza dei casi convogliati nei campi di concentramento della Germania e della Serbia, allora gia funzionanti. I sacerdoti del territorio amministrato dal vescovo lavantino in qualita di amministratore apostolico, non rientrante dunque sotto la giurisdizione civile dell'amministratore della Stiria inferiore, non furono rinchiusi in Stiria, ma a Klagenfurt. Per quanto riguarda la parte della diocesi lavantina in Prekmurje, occupata dalle forze ungheresi, ottenne dapprima un vicario generale, nominato dal vescovo Tomažič nella persona del decano Ivan Jerič (18911975), in seguito passo sotto la giurisdizione del vescovo di Szombathelj. Per quanto riguarda i duri trattamenti e le umiliazioni a cui furono sottoposti i sacerdoti e i laici arrestati, basti leggere le testimonianze di alcuni di loro. Vedi ad esempio Alojzij žalar, Duhovniki lavantinske škofije v taborišču v Mariboru, Nova pot 13, (1962): 53-68. 23 Coloro che facevano domanda di entrare in tale associazione e venivano accolti erano divisi in due gruppi: membri definitivi, contrassegnati da una tessera rossa, e quelli provvisori, dalla tessera verde. L'ingresso in tale associazione fu naturalmente rifutato agli intellettuali sloveni, e tra questi soprattutto ai sacerdoti rimasti in patria. Anche il vescovo Tomažič ne fece domanda, ma non venne accolto rimanendo cosi, insieme agli altri membri dell'ultima categoria, zaščitenec (»protetto«) dalla tessera bianca, sottoposto a un trattamento particolare, e con il rischio continuo di essere deportato. Da notare Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 561 comporto cosí a livello pratico come se l'annessione tedesca fosse gia avvenuta, in realta a livello ufficiale non fu mai attuata24: per quanto riguarda la condizione della Chiesa, il Concordato del 1933 non pote avere validita nei territori occupati e fu l'amministratore civile a dettar legge anche in questo campo. Basti scorrere le ordinanze per incontrare diversi testi concernenti l'ambito ecclesiastico, tra i quali ricordiamo soprattutto quelli riguardanti il divieto della lingua slovena nella liturgia25. Gran parte dei sacerdoti sloveni deportati all'estero, soprattutto della diocesi di Maribor, finirono in Croazia, alcuni pero furono internati a Dachau: 3 sacerdoti diocesani della diocesi di Lubiana, 12 della diocesi lavantina, tra cui, appunto, anche Franc Hrastelj, 3 del Litorale e 9 religiosi26. 4. L'esperienza di Dachau Oltre al diario-memoriale, scritto nei primissimi anni del dopoguerra, su cui ritomeremo, Hrastelj ci ha descritto l'esperienza di Dachau in altri appunti personali, contenenti dati confermati anche dagli studi e dalle ricerche più recen-ti27. Egli stesso ci racconta: che il vescovo si era deciso a questo passo, cioè a chiedere l'ammissione allo Steirischer Heimatbund e aveva consigliato anche gli altri sacerdoti di fare altrettanto, per ragioni pastorali e cioè per poter rimanere vicino ai fedeli, per assicurare la presenza dei sacerdoti fra i propri fedeli. Riguardo a tale questione, conserviamo una parte della corrispondenza tra Tomazic e Steidl sull'argomento (NSOM / Tomazic, fasc. 1, st. 21). Secondo i dati relativi al 29 novembre 1942 su un numero complessivo di 531.000 abitanti 27.059 furono riconosciuti cittadini tedeschi a tutti gli effetti, 415.694 cittadini provvisori, 82.365 protetti, ache se per la flessibilità della situazione queste cifre si modificarono continuamente. 24 L'annunciata concreta annessione al regno tedesco della Stiria inferiore, già prevista per il 1 ottobre 1941 fu rinviata a novembre, poi al 1 gennaio dell'anno successivo e infine abbandonata. 25 Tali ordinanze riguardarono ad esempio le festività religiose, da aggiornare secondo l'ordinamento in vigore in Germania; i matrimoni, per i quali c'era il bisogno dell'approvazione da parte del sindaco e dell'amministratore civile; lo snellimento delle procedure in caso di apostasia, di uscita cioè dalla Chiesa cattolica; l'intrusione dell'amministrazione civile in questioni finanziarie ecclesiastiche; la dichiarazione di non validità dei registri parrocchiali come documento civile e il conseguente sequestro da parte delle forze di occupazione di tutti i libri di battesimo, di matrimonio e di morte degli ultimi cento anni; il divieto della lingua slovena nella liturgia. 26 Furono deportati a Dachau i seguenti sacerdoti e religiosi della diocesi lavantina: Franc Hrastelj, Henrik Gorican, Anton Orozel, Janez Hornbock, Janez Messner, P. Kerubin Tusek OFM, Matija Munda, Albert Areh, Justin Oberzan, Feliks Podpecan, Franc Puncer, Maksimilijan Ledinek, Martin Stefanciosa. Di essi tre morirono a Dachau: Hornbock, Messner, Tusek (Rybár 1978, 66; Wendel-Gilliar 2004, 26). Quest'ultimo autore riporta la cifra di 11 sacerdoti della diocesi di Maribor, dimenticandone uno (Mikrut 2005, 310). 27 La costruzione di Dachau, distante 15 chilometri da Monaco, è infatti da inserire nel periodo seguito alla presa di potere di Hitler nel 1933, caratterizzato da una brutale persecuzione e una sistematica eliminazione dei suoi avversari politici. Intorno alla fine di marzo del 1933 fu cosi aperto il primo campo di concentramento, inizialmente una vecchia fabbrica di munizioni risalente alla Prima Guerra Mondiale che fu ampliata negli anni Trenta dai deportati con nuove baracche ed edifici. Vi si concentrarono prigionieri politici, soprattutto comunisti, oppure appartenenti ad associazioni fautrici della Repubblica di Weimar, funzionari socialdemocratici e tutti coloro che costituivano una minaccia per la sicurezza dello Stato Nazista. Essi non erano stati condannati da un tribunale, bastava il comportamento che metteva in pericolo l'esistenza e la sicurezza del popolo e dello Stato germanico a determinare l'applicazione della cosiddetta »detenzione preventiva«, di cui non si conosceva la durata. Coloro che si erano tenacemente combattuti prima del 1933 si ritrovarono insieme dietro il filo spinato. Inizialmente 562 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 »Quando nel 1933 Hitler prese il potere, diede ordine che si istituisse per i suoi avversari un campo di concentramento nei pressi della città di Dachau /.../ Il modello lo prese dai lager della Siberia. I primi prigionieri lo dovettero appena costruire /.../ Quell'anno giunsero nel lager 4821 prigionieri, che dovettero costruire essi stessi il campo. Nel 1938, quando Hitler occupô l'Austria, giunsero anche Austriaci. In quell'anno entrarono com-plessivamente 18.681 prigionieri /.../ Quando inizio la guerra con la Polonia, arrivarono più di 20.000 polacchi che naturalmente non rimasero tutti a Dachau /.../ Per tutti i lager era prescritta l'uniforme zebrata28, che ogni deportato riceveva all'arrivo e inoltre ognuno portava un triangolo, sulla camicia e sui pantaloni, di colore diverso a seconda della categoria di appar-tenenza. Oltre a cio ognuno aveva un suo proprio numero. Fino al 1940 passarono per il lager 37.575 persone, poi si inizio con i nuovi numeri, che raggiunsero nel 1945 la cifra di 161.944 persone /.../ a partire dal 1940 anche una lettera per indicare la nazione. lo ricevetti il numero 27.640 e la lettera J [per Jugoslavia, n.d.t. ]. Nessuno aveva il proprio nome personale, si veniva chiamati solo con il numero /.../ Eravamo quindi solo dei numeri. Quando giunsi a Dachau nel 1941 i sacerdoti erano già riuniti in baracche apposite, divisi dagli altri prigionieri. I sacerdoti tedeschi erano nelle bara-cche 28 e 29, mentre i sacerdoti di altre nazionalità si trovavano in quella numero 30. Essendo l'unico sloveno - gli altri giunsero solo in seguito - fui assegnato a quest'ultima baracca tra i Polacchi /.../ Nel 1941 e 1942 i sacerdoti tedeschi furono esonerati dal lavoro, potevano celebrare la messa ed avere con sé il breviario. I sacerdoti dei paesi slavi invece nello stesso periodo furono costretti a compiere i lavori più pesanti: d'inverno ci alza-vamo alle tre di notte e dovevamo di corsa trasportare la neve dalla strada fino alle 6, durante il giorno e quando non c'era la neve, tiravamo con le mani il pesante rullo. Nel 1942 fummo già destinati ad altri lavori, in ma-ggioranza nella piantagione, dove i sacerdoti lavoravano i campi, alcuni invece in ufficio. Io lavorai in ufficio, dove si trovava il magazzino delle uniformi delle SS /.../ Nel 1942 quando entro in guerra anche l'America, Dachau divento ufficialmente lager /.../ dovettero lavorare anche i sacerdoti tede- il campo fu gestito dalla Polizia Bavarese, a partire invece dall'aprile del 1933 i deportati furono consegnati all'arbitrio delle SS. Nel giugno dello stesso anno il comandante del campo elaboro un sistema organizzativo comprendente regole dettagliate che furono applicate, con adattamenti locali, in tutti i campi di concentramento. Dopo la »Notte dei Cristalli« del novembre 1938 furono deportati a Dachau più di 10.000 Ebrei della Baviera, molti dei quali furono in seguito rilasciati. Con l'inizio della guerra, la situazione nel campo cambio radicalmente. Arrivarono a Dachau partigiani, Ebrei, sacerdoti o semplicemente patrioti che avevano rifiutato di collaborare con l'invasore (KZ-Gedenkstätte Dachau 2012; Agostinelli 2012). 28 Negli anni 1933-1945 furono attivi nel regno germanico e nei paesi da essa occupati ben 58 campi di concentramento principali e 988 campi ausiliari, suddivisi in 3 categorie. In tali campi tutto era regolamentato nei più piccoli particolari, tutto aveva un orario, dalla sveglia mattutina alla notte, ma tutto era sottoposto ad un ritmo inumano. Tutto era prescritto, norme di lavoro, comportamento durante l'appello, gli stessi canti che dovevano essere cantati all'entrata e all'uscita del campo erano già determinati. Il non rispetto di tale ordine del giorno o errori nel suo adempimento era causa di dure punizioni. (Wendel-Gilliar 2001, XIII-LXV; XVIII; XXI). Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 563 schi /.../ e molti di essi morirono. Morirono anche due sacerdoti della nostra diócesi che a motivo del loro cognome erano nella baracca dei sacerdoti tedeschi e precisamente Janez Hornbock da Mežica e Janez Messner da Radlje. I sacerdoti polacchi ora stavano meglio anche per il fatto di poter ricevere pacchetti spediti loro dal governo di Londra tramite la Croce rossa internazionale. Di noi provenienti dalla Jugoslavia non si ricordava nessuno, io ricevetti dei pacchetti da mio fratello che stava a Linz, senza di essi sicu-ramente non sarei sopravvissuto.« (NŠAM / Hrastelj, fasc. 12, Beseda o lagru Dachau, 1-9; Duhovniki v lagru Dachau, 1-2) Come noto, sul cancello d'ingresso del campo di Dachau troneggiava la scritta »Il lavoro rende liberi« (Arbeit macht frei); le persone erano in realtà umiliate e sfruttate (Wendel-Grilliar 2001, XIV). Nei primi anni Quaranta il lavoro a Dachau fu considerato piuttosto come un mezzo di rieducazione, e in quanto tale inutile per qualità o risultati, quanto piuttosto per la pressione esercitata sui prigionieri. Ben presto pero ci si rese conto del valore dei prigionieri come manodopera a buon mercato e allora si inizio a sfruttarli senza scrupoli. In officine arrangiate alla meglio i detenuti effettuavano i più svariati lavori artigianali. In seguito la manodopera si riveló sempre più necessaria per l'industria bellica tedesca. La rete di campi di con-centramento che si estese su tutta l'Europa centrale assunse proporzioni gigantesche. Il campo di Dachau contava diverse decine di grandi campi esterni nei quali parecchie migliaia di detenuti lavoravano quasi esclusivamente per le industrie degli armamenti. Una minoranza era impiegata per la costruzione di strade, in cave di ghiaia o per il prosciugamento delle paludi. Risulta quasi impossibile individuare con assoluta precisione il numero dei prigionieri effettivamente passati per Dachau dal momento della sua fondazione fino alla liberazione (1933-1945), anche perché molti prigionieri ricevettero i numeri di altri compagni poco prima deceduti. Come ci informa anche Hrastelj, i numeri usati dai prigionieri dal 1933 al 1940 arrivarono a 37.575, mentre dal 1940 al 1945 fino a 161.944, per un totale, naturalmente solo approssimativo, di 199.519, che negli ultimi tempi è stato ampliato29. Nei campi di concentramento, anche a Dachau, furono spesso effettuati, durante la guerra, espe-rimenti medici sui prigionieri più indifesi, al fine di mettere a punto metodi che permettessero di migliorare la possibilità di sopravvivenza e di guarigione dei soldati tedeschi in guerra. Cosí un medico studioso di medicina tropicale all'inizio del 1942 inoculo la malaria a più di mille prigionieri. Ce ne informa anche Hrastelj quando nei suoi appunti manoscritti ricorda: »Un giorno ai detenuti della baracca dei Polacchi - chiamarono anche me - fu ordinato di recarsi all'ospedale del campo. Non sapevamo il motivo di questa decisione e mentre aspettavamo la visita medica, mi si avvicino uno dei miei buoni amici giornalisti che mi disse di mettermi in salvo, perché ci avrebbero inoculato la malaria. Appena vidi una guardia delle SS, mi recai da lei, chiedendole di indicarmi il reparto dentistico. Me lo mostró e 29 Secondo le ricerche e i dati consultabili attraverso vari siti internet, il numero degli internati sarebbe superiore rispetto a quello riportato da Hrastelj: dal 1933 al 1945 ci sarebbero stati a Dachau approssimativamente almeno 206.206 internati. 564 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 andai là: vi conoscevo un prigioniero con cui ero in buoni rapporti, che mi trattenne tanto a lungo da impedire che mi fosse inoculata la malaria. I sacerdoti polacchi chiesero allora di nascosto al governo di Londra l'invio di pacchetti di chinino cosí da poter guarire. Invece quel medico che stava facendo gli esperimenti, era convinto che fosse la sua medicina ad aiutare i malati. Mando i risultati degli esami a Berlino; si emano l'ordine di usare la medicina nei casi di malattia riscontrati nei soldati tedeschi. Da Berlino giunse anche una commissione incaricata di interrogare i prigionieri, che rivelarono con molta sincerità di essersi curati con il chinino. Quel medico fu richiamato e visse a Monaco /.../ In quello stesso anno andai in ospeda-le a motivo della dissenteria con perdite di sangue e mi curarono con una settimana di digiuno, cosí da ritrovarmi al limite delle forze. Pesavo solo 41 chilogrammi, mentre un Russo, che giaceva accanto a me ne pesava appe-na 29. Mi riuscí di rimanere in ospedale ancora tutto l'inverno. E questo perché iniziai a servire i malati e cioè concretamente le ferite alle gambe, cosa che nessuno faceva volentieri a motivo del cattivo odore. Scrissi anche i certificati di malattia, anche per me stesso, cosí da prolungare di volta in volta lo stato di malattia. Nella primavera del 1943 i sacerdoti della nostra baracca furono chiamati in ufficio, io mi ritrovai nel deposito degli abiti per le SS, dove rimasi un anno intero. Ricevevo la merenda, che valeva più del pranzo e lavoravo avendo un tetto sopra il capo. Uno dei sacerdoti tedeschi, allora invalido, trasmetteva a sua sorella, presso il confine con la Svizzera, notizie dal lager per mezzo di civili: la sorella a sua volta le inoltrava oltre confine e cosí la radio svizzera trasmetteva regolarmente cosa stava avve-nendo a Dachau. Quando ad un certo punto la sorella fu scoperta, puniro-no quel sacerdote, allontanarono tutti i sacerdoti dagli uffici e anch'io do-vetti lasciare la mia buona occupazione per andare a lavorare i campi nella piantagione /.../ Là rimasi fino all'autunno inoltrato del 1944, poi lavorai nella baracca, cucendo i buchi nelle tende o sui vestiti. L'importante fu che avevo un lavoro e che potevo ricevere la merenda. Al lavoro non esageravo mai. La mia posizione era quella secondo cui non ero giunto in quel luogo per lavorare. La rivista Novi list di Trieste descrisse dopo la guerra la vita a Dachau, commentando che se avessero lavorato tutti come Hrastelj la guerra sarebbe finita un anno prima.« (NSAM / Hrastelj, fasc. 12, Beseda o lagru Dachau, 4-6)30 30 Hrastelj fu infatti definito »campione di sabotaggio nel lavoro«. Fu pero nello stesso tempo ricordato come colui che sollevo il morale a molti prigionieri, condividendo con loro, nonostante le difficili con-dizioni, più di qualche momento di riflessione o di colloquio. Sul benefico influsso di questi momenti di condivisione fanno accenno anche altri sopravvissuti di Dachau, si consideri la testimonianza di don Paolo Liggeri: »Un particolare che ricordo di noi sacerdoti, mentre cucivamo i bottoni e le asole delle tende di cui ho parlato, è la conversazione: un sacerdote faceva la sentinella all'ingresso della baracca, mentre uno di noi, a turno, teneva un discorso che veniva tradotto dagli interpreti. Quando è toccato a me, un interprete traduceva in tedesco e in francese. È stata una vera palestra, una grande comuni-one di spirito, quasi un preludio di quello che sarebbe stato, in seguito, il concilio Vaticano II /.../ Il latino oggi è considerata una lingua morta, ma a Dachau è stata invece vivissima, /.../ perché il latino era il mezzo di comunicazione più facile. Facevamo errori madornali, ma riuscivamo ad intenderci ....« (Liggeri, 1996, 1) Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 565 Dalle statistiche sommarie del campo, che ci vengono fornite anche dagli ap-punti di Hrastelj, entrarono a Dachau per lo meno 2.720 sacerdoti, di cui 2.579 cattolici31. Inizialmente si trovarono tutti nel blocco 17 definito della »compagnia di punizione«, in seguito invece furono suddivisi fra gli altri prigionieri nei vari blocchi. A partire dal dicembre 1940 furono riuniti in una baracca loro riservata, la n. 26; essa pero non bastó più quando arrivarono a Dachau quasi tutti i sacerdoti prigionieri del campo di Sachsenhausen tra cui moltissimi sacerdoti polacchi. L'alto numero di sacerdoti in un solo blocco aveva portato inizialmente la direzio-ne del campo a permettere l'istituzione di una »cappella di soccorso«, in cui nel mese di gennaio 194132 fu celebrata la prima S. Messa. L'altare era formato da due tavoli accostati, rivestiti da due lenzuola, da un piccolo crocifisso, due poveri can-delabri con dei mozziconi di candela, un minuscolo calice e un piccolo messale. Circa mille sacerdoti, pigiati l'uno accanto all'altro, si trovarono davanti all'altare per quella prima celebrazione. Intorno alla fine del 1941 furono peró fatti uscire dal blocco 26 i sacerdoti non tedeschi e sistemati nel blocco 28. Ad essi fu impos-sibilitato non solo l'accesso alla cappella, ma anche ogni pratica religiosa sotto pena di severe punizioni. Ciononostante riuscirono a festeggiare il Natale, non solo quell'anno, ma anche gli anni seguenti, come ci racconta lo stesso Hrastelj: »Sicuramente vi interesserà sapere come noi sacerdoti abbiamo vissuto l'esperienza del campo di concentramento, se abbiamo potuto compiere qualcosa di buono anche per gli altri. /.../ Nel 1941 trascorsi cosí il Natale. I sacerdoti tedeschi furono cosí buoni, che accettarono di assicurare il San-tissimo ai sacerdoti polacchi. Lasciarono la finestra della cappella e il taber-nacolo aperti e cosí i sacerdoti polacchi nella sera di Natale poterono prendere le ostie. Ognuno ricevette un'ostia avvolta nella carta di sigarette. Quando andammo a dormire, meditammo fino a mezzanotte, sussurrando di tanto in tanto canti natalizi. In quella notte io ero ancora l'unico sloveno del campo e cantai il canto Glej zvezdice božje. A mezzanotte ci comuni-cammo. Il Natale successivo lo trascorsi in ospedale. Allora preparai anche per gli altri un po' di quella gioia natalizia, un sacerdote tedesco mi portó più ostie per poter comunicare almeno i sacerdoti in ospedale. Cosí prima andai da loro, dicendo di salutarmi con il nome di Tarcisio, per non sbagli-armi. Gli altri non dovevano accorgersi che portavo ad alcuni la comunione. Cosí misi in una tasca delle caramelle, e nell'altra tasca invece le ostie con il Santissimo, che avevo custodito già per più giorni sotto la testa. A chi di-ceva Tarcisio davo la comunione, mentre a chi non lo diceva davo le caramelle, cosí nessuno si accorgeva di quello che facevo. Il terzo Natale del 1943 lo trascorsi cosí che invitai nella baracca alcuni bambini sloveni che nel frattempo erano giunti al campo, assicurando loro, da parte della nostra baracca, nutrimento e sostegno. Collaborarono anche sacerdoti di altri po- 31 I più numerosi furono i sacerdoti polacchi (quasi 1800), seguiti dai tedeschi/austriaci, dai francesi e dai cecoslovacchi. Ventotto furono gli italiani. Più del 42 % dei sacerdoti internati trovarono la morte a Dachau. 32 Secondo le indicazioni di Hrastelj si tratterebbe del 20 gennaio, secondo altri invece del 21. 566 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 poli slavi. In quell'anno avevamo in cappella il presepe e li condussi là, cantando in sloveno Astro del ciel. In quell'anno anche noi sacerdoti sloveni ottenemmo il permesso di celebrare la santa messa. Ricevevamo la comu-nione quotidianamente. Nella stessa cappella avevano la liturgia anche i sacerdoti di altri riti. Gli ortodossi non celebravano i riti sacri e, su desiderio dei Russi, feci loro notare che sarebbe stato bello se avessero celebrato anche loro i loro riti. Addussero come scusa di non sapere il tedesco e quando mi resi disponibile per fare da traduttore, accettarono. I sacerdoti tedeschi, vedendomi sempre con loro durante la liturgia, mi chiesero in confidenza se fossi sacerdote cattolico od ortodosso. L'ultimo Natale del 1944 lo vivemmo cosí che il coro maschile sloveno canto in occasione del-la messa solenne di Natale.« (NSAM / Hrastelj, fasc. 12, Beseda o lagru Dachau, 6-8) A Dachau non fu praticato lo sterminio di massa con il gas33. Nell'ultimo anno di guerra fu attivo un crematorio in cui venivano condotti i prigionieri già decedu-ti per essere bruciati. Durante il periodo che precedette la liberazione i detenuti vissero in condizioni del tutto disumane: gli inabili al lavoro vennero relegati in blocchi appositi in cui ricevevano la metà della normale razione di cibo, che li condannava a morire lentamente per inedia o per il freddo. In baracche originariamente pensate per 200 giacigli finivano per ammassarsi più di mille persone. Dal dicembre del 1944 si diffuse tra i prigionieri un'epidemia di tifo, impossibile da controllare viste le condizioni del campo, che finí per provocare più di duecento vittime al giorno. Il 26 aprile del 1945 circa 7.000 deportati furono fatti partire verso sud scortati dalle SS. Lungo la marcia molti, non riuscendo più a camminare, furono fucilati, mentre altri morirono di fame, di freddo e di sfinimento fino a quando, ai primi di maggio, incontrarono le truppe alleate americane. Cosí ci racconta Hrastelj gli ultimi giorni trascorsi a Dachau: »Il 14 aprile 1945 Himmler aveva dato l'ordine secondo cui si sarebbe dovuto dare fuoco al lager; al momento della nostra fuga dalle baracche avrebbero poi dovuto fucilarci tutti. Quest'ordine fu lasciato sul tavolo dal comandante del campo e uno dei prigionieri incaricato di ordinargli la stanza lo lesse. Era necessario fare subito qualcosa. E ci riuscimmo. Un partico-lare reparto di detenuti di fiducia uscí dal lager per portare i cadaveri dal treno al crematorio, c'erano infatti diversi vagoni di prigionieri morti durante il trasporto dagli altri lager. Questi nostri uomini di fiducia andarono nella città di Dachau provocando una ribellione contro le SS. Cosí la truppa di guardie che avrebbe dovuto incendiare Dachau ando essa pure in città a combattere i ribelli. Alcuni corsero verso il fronte, giungendo in contatto con gli Americani, riuscendo a far sí che questi ultimi occupassero il campo di concentramento di Dachau il 29 aprile del 1945, alle cinque e mezza di 33 I prigionieri morivano invece per asfissia dovuta al gas nel castello di Hartheim in Austria. Le famiglie venivano informate del decesso dei loro cari parecchie settimane dopo attraverso un certificato rilasciato dall'ufficiale di stato civile del campo di Dachau, nel quale solitamente si indicava quale causa della morte un'insufficienza cardiaca o circolatoria. Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 567 pomeriggio, proprio quando i sacerdoti cechi stavano celebrando la messa /.../ Verso sera nel lager issammo le bandiere bianche in segno di resa /.../ Molti dimenticarono che il filo spinato era carico di elettricita, per la gioia si aggrapparono al filo spinato e morirono fulminati. Tutta la notte segui-rono ancora bombardamenti per la conquista del campo. La mattina su-ccessiva alle sette tutto finí. Intorno alle ore dieci venne da noi il comandante americano, di fede cattolica, che, dopo aver fatto l'appello, si pose di fronte a noi dicendo: »Voi pensate che siamo stati noi a salvarvi, ma vi sbagliate. Dio vi ha salvati. Preghiamo un Padre nostro.« Dopo questa pre-ghiera si rivolse ad un sacerdote cattolico e chiese di poter fare la comuni-one /.../ Al pomeriggio /.../ distribuí tra i prigionieri delle bibbie. Ad alcuni di noi sacerdoti fece portare degli altari di guerra. Anch'io lo ricevetti e lo custodisco tutt'ora. Gli Sloveni prepararono per il lunedí una liturgia di rin-graziamento, durante la quale tenni l'omelia. Mai piu spine né tra la gente, né /.../ tra i popoli, né tra le nazioni. Poi si svolse la processione attraverso il lager con il crocifisso e la corona di spine. Questa corona in seguito la in-viammo a Lubiana con il primo trasporto. lo fui l'ultimo di tutti a celebrare la messa nel lager. Il mio altare era un armadietto per le scarpe e il calice americano. Con l'ultimo vagone-trasporto lasciai il lager per fare ritorno in patria.« (NSAM / Hrastelj, fasc. 12, Beseda o lagru Dachau, 9) 5. II suo cammino. Hrastelj ci ha lasciato un significativo scritto su Dachau, composto nel primo periodo del suo ritorno in patria ed intitolato Il suo cammino (Njegova pot): 49 brevi racconti, conclusi dalle meditazioni della Via Crucis vissuta a Dachau. La parte narrativa è scritta in terza persona, il protagonista delle varie vicende si chi-ama Andrej, che rappresenta Hrastelj stesso. Ció permette all'autore di esprimere con chiarezza ed in un certo senso anche con una certa distanza le proprie esperi-enze interiori, le riflessioni sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza, sull'uomo. Ogni racconto porta un titolo significativo, per evidenziare, oltre ai fatti in se stessi, una particolare chiave di lettura interpretativa, per lo più esistenziale-religiosa. Il punto da cui si parte è l'arresto subito da parte dei Tedeschi ed il periodo vissuto in cella assieme ad alcuni prigionieri. La prima metà del testo riguarda la prigionia a Graz per motivi politici, la seconda parte invece riguarda il trasferimento, sempre per motivi politici, del protagonista a Dachau - mentre invece pensava di essere rimesso in libertà - e il periodo trascorso in quel campo di concentramento. Il primo racconto, intitolato Venerdl Santo, apre le memorie e narra l'incontro tra Andrej e alcuni prigionieri, in apparenza non interessati alla domanda religiosa, in realtà sensibili alla verità una volta venuti a conoscere l'identità sacerdotale del loro nuovo compagno. La sofferenza li accomuna e li rende aperti ad acco-gliere l'annuncio cristiano. Sulla linea di quanto affermato da Antonella De Ber-nardis, che ha esaminato molte testimonianze personali e produzione memoria- 568 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 listica riguardante i campi di concentramento, emerge anche in questo caso »Il concetto di sacerdote uomo della condivisione, uomo di tutti« e anche quello di uomo della speranza: »Il sacerdote è il punto di riferimento e, in un certo senso, deve sperare per tutti« (De Bernardis 2008, 44, 50). Il racconto prosegue con la descrizione del primo periodo trascorso in cella e poi di quello vissuto in totale isolamento: quaranta giorni e quaranta notti. Momenti veramente difficili, in cui Andrej - Hrastelj si trovó ad essere completamente solo, in attesa della probabile fucilazione, come appreso all'ultimo momento dietro benevola confidenza di una guardia, che gli permise di potersi almeno preparare a tale evenienza, in seguito scongiurata. Si tratta di attimi molto intensi, nella coscienza di trovarsi di fronte alla morte34. Lo stile del racconto è molto coin-volgente, quasi a voler trasportare il lettore sulla scena, facendogli condividere parte di quella maturazione interiore, sperimentata in una situazione-limite, sen-za più speranza. Eppure proprio in un tale frangente sembra emergere, più lucido 34 Si veda il capitolo Bližina smrti = La vicinanza della morte (Hrastelj, 2004, 21-23), trad. in ital.: »Fino a notte tarda Andrej osservó come la guardia lo tenesse d'occhio affacciandosi ogni ora al vetro circolare. Poi si addormentó e quando la mattina si sveglió, si ripetè nuovamente la scena: passi che si avvicinano, che si fermano davanti alla porta della cella e poi di nuovo si allontanano lungo il corridoio. Doveva alzarsi presto. Ricevette un recipiente con dell'acqua per lavarsi, mentre non vollero dargli né il pettine né lo specchio. Forse si sarebbe tagliato le vene con il vetro e sarebbe morto dissanguato prima di venire giudicato. Cosi almeno si giustificó la guardia, quando Andrej si lamentó del fatto. Al momento della distribuzione della colazione le guardie avevano già cambiato il turno. E allora giunse il vecchio conoscente di Andrej, quello che in precedenza una domenica lo aveva accolto e cosi umanamente accompagnato in prigione. Quando questa guardia vide Andrej nella cella di isolamento, la tazzina di caffè gli tremó tra le mani. Andrej si diresse velocemente verso di lui volendo chiedergli qualcosa, ma quegli chiuse subito la porta e prosegui oltre. Quando Andrej fini di bere quell'acqua nera non zuccherata, aspettó nuovamente che la guardia ritornasse per potergli consegnare la tazzina. Ma la guardia apri la porta ed entró senza che Andrej se ne accorgesse mentre la tazzina la presero i prigionieri che aiutavano nella distribuzione. 'Cosa è successo, perché tanta paura? Deve trattarsi di un brutto segno' - si disse Andrej. Eppure come era nato in lui un germoglio di speranza nel vedere quella guardia, pensando di riuscire a sapere da lui che sorte attendersi! 'Cosa vogliono, perché lo hanno posto in isolamento?' Andrej camminó su e giù per la stanza, lo spazio non era molto, due passi avanti, due indietro. Nel corridoio si fece silenzio. Come il silenzio puó essere pesante! Dopo un pó di tempo sentí dei passi. 'Chi sarà?' Si è fermato qui! Qui alla sua porta. La apri. Silenziosamente. Già era sulla soglia. Lui! Il secondino. 'Signore, cosa è successo? In questa cella rinchiudono solo coloro che poi vengono fucilati. Mio Dio, signore, per ogni evenienza, si prepari, preghi, preghi, mio Dio, mio Dio!' Prima di riuscire a pronunciare parola, il secondino se n'era già andato, chiudendo la porta. Andrej non si mosse e fissó la porta, come se avesse avuto una visione. 'La guardia deve sicuramente essere al corrente delle abitudini qui in uso', pensó infine Andrej. 'Da questa cella dunque si esce per andare incontro ad una pallottola? Per andare incontro alla morte? La morte!' Andrej camminó per la stanza ripetendo tra sé: 'incontro alla morte?' Camminó sempre più in fretta, fino ad esserne stremato. Poi si fermó in piedi accanto al letto: 'Chi fu l'ultimo a dormire in questo letto, ad alzarsi e ad andare incontro alla morte?' Si fermó davanti al comodino: 'Chi fu colui che pose su questo comodino questo coltellino e poi andó incontro alla morte?' Si fermó davanti alla porta di ferro: 'Chi fu colui ad aspettare qui di fronte alla porta che gli venisse pronunciata una sentenza di liberazione, per poter fare ritorno a casa e invece vennero a dirgli: Mars! E andó incontro alla morte?' Infine rivolse lo sguardo alla finestrella sotto il soffitto: 'Ed ora tocca a me!' Si mise la mano sul petto. Sentí una fitta al cuore. Voleva mostrare di essere forte, di poter vivere ancora. 'Il cuore! Una pallottola lo attraverserà?' Si asciugó la fronte. Era piena di sudore. 'Una pallottola attraverserà la fronte? E poi? Mio Dio!' In quel momento Dio gli si fece vicino. Andrej avvertí la Sua presenza. Stava venendo come giudice. Davanti agli occhi rivide chiaramente tutta la sua vita. Il giudizio! Ad un tratto vide tutto cosi chiaramente, tutto conobbe, soppesó, riconobbe in un solo istante. Come se vedesse una bilancia, nella quale tutto veniva soppesato: Cosi è e non diversamente. La paura del giudizio allontanó completamente la paura di fronte alla morte. La morte non è nulla! Ma il giudizio! Cadde in ginocchio: 'Mio Dio, abbi pietà di me peccatore!' Non seppe più nulla di sé fino al momento in cui si sentí chiamare. Gli dissero di alzarsi e di prendere il pranzo« Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 569 che mai, l'approdo a quanto è veramente essenziale. Uno degli aspeffi che più colpisce in queste memorie è, nonostante tutta la crudeltà, i momenti difficili, le umiliazioni subite, la denigrazione della persona, la presenza costante di qualche persona buona, nelle une o nelle altre fíle, tra i carcerati, i deportati o tra le guardie stesse, un invito alla speranza, nonostante tutto. Emerge poi la consapevolezza che ogni momento, anche se difficile, puo essere, per gli uni e per gli altri, occasione di crescita in umanità. Ogni persona puo diffondere attorno a sé, con il suo concreto comportamento di fronte a vio-lenze e soprusi, una scia di bene che spezza la catena del male; oppure puo diventare collaboratore nella diffusione della discriminazione e dell'umiliazione. Diversi racconti ci mettono di fronte a questi aspetti, ad esempio quello intitolato Beati i misericordiosi, dedicato alla fígura di un capo-baracca del campo, che posto nella situazione di fustigare i suoi compagni, a differenza di altri, si rifíuto di farlo, incorrendo pertanto egli stesso nel pericolo di essere ucciso. Una tale decisione ebbe ripercussioni positive anche sugli altri capo-baracca che non avevano ancora eseguito l'ordine e che decisero di imitare il suo esempio. Chiamato a rapporto dal comandante del campo, la questione fín! l! e non ebbe conseguenze negative per nessuno, anzi da quel giorno in poi non fu più praticata la flagellazione pub-blica dei prigionieri (Hrastelj 2004, 103-104). Dalle memorie emerge continuamente, tramite i diversi racconti, l'esperienza quotidiana di umanità e di disumanità. Ci viene fatto toccare con mano il vissuto quotidiano del sacerdote Hrastelj e dei suoi compagni nel campo di concentra-mento di Dachau, esperienza che lo porto indubbiamente ad una maturazione della propria fede. È un concetto, quello della maturazione spirituale dei singoli in momenti cos! cruciali dell'esistenza, ripreso, tra gli altri, dalla già citata De Ber-nardis nelle sue ricerche condotte sul ruolo e funzione dei cappellani militari nei lager tedeschi: »La sofferenza del Lager vissuta in una dimensione di fede puo diventare tramite di maturazione spirituale /.../ alla propria ricchezza e libertà interiore essi affinsero le energie e gli strumenti per contrastare schiavitù e soprusi incombenti. Per un cristiano la sofferenza puo signifícare una rinnovata par-tecipazione dell'individuo al piano redentore del Cristo sul mondo e sulla morte. L'asprezza della vita del Lager puo diventare occasione di riflessione sul signifíca-to della scelta di resistenza compiuta e indurre ad approfondire il rapporto con la sostanza intellettuale delle proprie convinzioni.« (De Bernardis 2008, 48) È quanto affiora anche nelle memorie di Hrastelj a più riprese. Anzi, si potreb-be dire che tutto il libro Il suo cammino è scritto da questo punto di vista, nel desiderio di dare cioè testimonianza della presenza di Dio anche a Dachau, nono-stante tutto, nonostante la presa di coscienza evidente di tutti i limiti personali anche da parte degli stessi sacerdoti, come Hrastelj stesso fa notare e come hanno rilevato anche altri autori35. 35 Hrastelj accenna più volte al problema della fame, che faceva nascere comportamenti diversi nelle persone, alcuni di egoismo, altri di sacrifício della propria razione a favore degli altri fíno al rischio della vita. Importante fonte di sopravvivenza e di benedizione furono soprattutto i paccheffi di cibo ri- cevuti da amici e parenti. Su questi temi si veda anche De Bernardis 2008, 49. 570 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 Da molti e stato sottolineato che dal Lager non si torno con la stessa fede con cui si era entrati; le dure prove a cui essa fu sottoposta costituirono un processo di verifica attraverso il quale essa poteva dissolversi (ravvisando nel Lager il »silenzio di Dio«) o affinarsi, cogliendo nel tempo nascosto tra i reticolati il »tempo di Dio«, che condivide la sofferenza umana (De Bernardis 2008, 48; Giuntella 1979, 259-295; Guasco 1989, 92-103). Questo ultimo punto viene ad esempio espresso anche nel-le memorie, nel racconto intitolato Dio a Dachau, che ci rende partecipi di una simile comprensione delle vicende da parte dell'autore. Narra infatti il colloquio tra Andrej ed un tedesco, in uno stato di disperazione interiore, sapendo di recarsi a Dachau, da lui ritenuto l'inferno sulla terra. Alle sue argomentazioni Andrej seppe con molta sensibilita e umanita rispondere con altre basate sull'esperienza umana trasmessa dalla stessa Bibbia. Cosí facendo riusci ad aprire nel cuore di quella persona una breccia di speranza, per poter affrontare la terribilita della vita nel Lager aperto ad una dimensione interiore di maggiore fiducia (Hrastelj 2004, 70-72). Nonostante le prove e le durissime privazioni a cui i sacedoti furono costretti, il »tempo del Lager« non viene ricordato dai sopravvissuti come tempo vuoto, ma come »tempo di Dio«, in cui cioe, come espresso dalla De Bernardis: »la condivi-sione della sofferenza inflitta a milioni di esseri umani permette al prete di sentir-si parte del disegno divino di redenzione; l'apparente assenza di Dio nel Lager si capovolge in partecipazione al mistero della croce. Cio non significa che nel per-corso esistenziale dei singoli sacerdoti non si siano presentati momenti e giorni di dubbio, di sconforto, anche di disperazione, ma comunque non sono queste le cifre complessive sotto le quali - nella memorialistica - ci viene restituita la loro esperienza, che anzi viene ricordata come ricca di una pienezza che solo di rado verra raggiunta in seguito, dopo il ritorno a casa e la ripresa della vita in tempo di pace.« (De Bernardis 2008, 59) In modo simile si esprime anche il nostro protagonista, specie quando si trova a narrare dell'apostolato e del servizio sacerdotale offerto ai suoi connazionali, soprattutto tramite l'ascolto silenzioso e segreto delle confessioni, sacramento a cui molti internati ricorsero in quei momenti difficili per ritrovare la pace con Dio36, oppure nel mettere a disposizione anche i talenti letterari per aiutare i mariti a scrivere affettuose lettere alle mogli, ai figli e ai parenti lontani (Hrastelj 2004, 99-100). Nel capitolo intitolato Beati i miti, perché erediteranno la terra ci viene messa poi davanti agli occhi la difficolta, vissuta anche dal protagonista, per giun-gere a vivere sinceramente nel proprio cuore il perdono nei confronti degli offen-sori, senza cioe coltivare minimamente nel proprio intimo sentimenti di odio, ma aprendosi all'amore gratuito (Hrastelj 2004, 92-94)37. Il non rispondere al male 36 Aspetto messo in luce soprattutto nel racconto Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Hrastelj 2004, 100-101). 37 Traduzione in italiano: »Dolce e la vendetta! /.../ Anche Andrej molte volte coltivo pensieri e progetti di vendetta, da realizzare alla fine della guerra. L'odio che aveva gettato lui e moltissime altre persone nell'infelicita, aveva originato nuovo odio. Tuttavia sarebbe stato sciocco lasciarsi prendere ora da questo sentimento. Il nemico infatti e forte, Andrej e debole. E necessario dunque agire per ammansire l'odio e il desiderio di vendetta. Si tratto di una lotta difficile. Troppe erano le occasioni che si presentavano per lasciare trapelare l'ira. Quante volte dovette svolgere, assieme ai Polacchi, per il fatto di essere slavo, Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 571 con il male, con la vendetta, ma con il bene, con il dono di sé, con la rinuncia al giudizio sulla persona che opera la violenza, ricorrendo per questo all'aiuto di un'ottica di comportamento e di opzioni basati sulla fede, crea uno spazio di pos-sibilita nuova, uno spazio aperto, capace, nel presente o nel futuro, di dischiude-re nuove possibilita di cambiamento anche per l'offensore. Tale aspetto della mitezza, del perdono incondizionato, della misericordia, ripre-so anche in altri momenti del memoriale, sembra emergere come la disposizione del cuore piu elevata, come la virtu cristiana piu alta, quella che rende gli uomini piu simili a Cristo e piu partecipi del Suo disegno di redenzione per tutta l'umanita. 6. conclusioni. Abbiamo potuto brevemente accostarci alla testimonianza di un uomo, di un sacerdote, che nei terribili anni del secondo conflitto mondiale, della depor-tazione in Germania e poi anche nel dopoguerra sperimento di persona la crudel- i lavori più pesanti. Quante volte dovette ascoltare in silenzio le offese più ripugnanti, che lo ferivano essendo condotte in modo particolare nei confronti della sua identità sacerdotale. In quelle occasioni alle SS si affiancavano anche gli altri compagni di prigionia che non vedevano nei sacerdoti delle persone sofferenti come loro. Molte volte le lacrime salirono agli occhi di Andrej, quando dovette abbandonare ogni difesa, riconoscendo la propria impotenza. Quando poi si trovava ad essere solo, stringeva i pugni per la rabbia, digrignando i denti contro di loro, dicendosi che non avrebbe mai potuto dimenticare quelle offese. Si trattava di mitezza, se era rimasto in silenzio e calmo nel momento dell'umiliazione? Fu un grande sforzo di vincere se stesso, ma mitezza certo non fu. Quando si trovo a riflettere su questo aspetto, Andrej decise di voler raggiungere la vera mitezza. Come fare? Un giorno di pioggia, mentre Andrej stava giusto ritornando dall'ospedale, dove lo avevano appena 'operato' con un coltello da cucina, tagliandogli un gigantesco bubbone sulla schiena e fasciandolo con delle fasce di carta, 'il vecchio', cioè il responsabile del suo blocco, si stava comportando in maniera crudele nei confronti dei sacerdoti polacchi a cui aveva prima ordinato di rotolarsi nel fango e poi di pulirsi gli abiti. Volle fare lo stesso anche con Andrej. Lo aveva messo già in fila con gli altri, ma quando gli comando di buttarsi nel fango, Andrej getto a terra solo il suo abito, rimanendo in piedi al suo posto. Una guardia delle SS che si trovava ad osservare quell'umiliante scena dei sacerdoti polacchi, ordino ad Andrej di lasciare la fila. Cosi rimase a fianco della baracca a guardare quanto stava accadendo. Quando i sacerdoti polacchi tornarono in fila con i vestiti lavati, il capo baracca guardo loro le teste, dicendo che le avevano sporche. Facendo questo incise profondamente sulle loro teste con una matita colorata delle croci, ordinando loro di lavarsi la testa. Naturalmente quel colore non poteva essere cancellato dall'acqua e cosi ritornarono di nuovo in fila davanti al capo baracca che li esamino nuovamente, ma questa volta con una spazzola di ferro. Con essa feri le loro teste cosi da farle sanguinare e a molti il sangue inizio a colare sulle guance. Andrej non potè più sopportare un tale spettacolo. Cadde a terra, come colto da malore. Nessuno si prese cura di lui. Nascose il volto nel petto e inizio a pregare. Lo scosse un gridare selvaggio. 'Cosa hai detto?', grido l'anziano capo baracca ad un sacerdote polacco. 'Cosa hai detto?' Ripetè dietro a lui la guardia delle SS. Quel sacerdote polacco si drizzo e disse ad alta voce: 'Ho pregato Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno'. 'Cristo, che pregasti cosi', risuono ora la voce in tutte le file dei sacerdoti, 'Cristo, donaci la forza!' 'Cosa, cosa', urlo il capo baracca, fuggendo intorno e cercando cosa afferrare per far tacere l'intera fila dei sacerdoti. La guardia SS giudico a mente fredda che forse si sarebbero diretti a protestare dal comandante e cosi ordino: 'Basta per oggi. Andate'. E per quel giorno ci fu pace. E cosi anche il giorno successivo. Il terzo giorno il capo del blocco ricevette l'ordine di lasciare il proprio posto e fu trasferito in un altro lager con un particolare trasporto. Nessuno di essi fece ritorno. Andrej si ricordo molte volte questa scena in cui imparo cosa significasse essere veramente miti: vincere l'odio e la vendetta dentro di sé e perdonare. Cristo, che in croce prego per i suoi persecutori: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno', raggiunse tutta la terra. Egli stesso aveva profetizzato: 'Quando saro innalzato da terra, attirero tutti a me'. Fu in quel momento a vincere. Ad essere il più grande. Chi puo ripetere tale gesto dietro a Lui, è mite. Ed è beato.« 572 Bogoslovni vestnik 73 (2013) • 4 tà dei metodi di distruzione e di annientamento della persona umana, uniti al di-sprezzo nei confronti della sacralità dell'esistenza, di cui fecero uso i sistemi tota-litari. Si tratta di esperienze che non si possono dimenticare, che lasciano un segno indelebile nell'intimo della persona. Franc Hrastelj porto con sé fino alla morte la memoria viva di quei giorni, degli eventi esteriori ed interiori che li caratterizzaro-no, come ancora oggi ricorda chi ha avuto modo di conoscerlo e di accostarlo personalmente un po' di più. Tuttavia, nonostante una cos! difficile esperienza nell'a-bisso dell'abiezione umana, Hrastelj seppe approfondire la propria fede nell'amo-re infinito di Dio e anche nell'uomo. Ne costituiscono prova evidente proprio i ri-cordi e il memoriale considerato, che non suscitano nel lettore alcun sentimento di vendetta o di rancore, ma offrono occasione di riflettere sulla sofferenza umana, tracciando le linee di un'esperienza religiosa in cui la sofferenza e i momenti di prova vengono sperimentati come possibili momenti di vicinanza di Dio, come pos-sibilità di maturazione spirituale e umana. Ci vengono in mente considerazioni simili, rilasciate dal sacerdote italiano Giovanni Scarrone in un'intervista ad Antonella De Bernardis: »La prova delle sofferenze subite induce l'animo di un sacerdote ad essere più comprensivo dei mali e delle sofferenze altrui /.../ attraverso la sofferenza ci si avvicina a Dio /.../ Le prove della vita inducono a riflettere sulla limi-tatezza della natura umana e quindi ad alzare gli occhi, a cercare una spiegazione superiore. Ho conosciuto persone che sono tornate alla fede dopo aver constatato le miserie umane, la guerra; di quella esperienza hanno mantenuto l'amore per il prossimo.« (De Bernardis 2008, 59)38 Si tratta in fondo, come ricordato da Hrastelj stesso nel corso delle sue memorie, di un'esperienza umana simile a quella tra-smessaci dalla Bibbia, soprattutto quando ci mette di fronte alle vicende di Giobbe e alla sua maturazione nella fede attraverso le prove della vita. Ogni tempo, ogni epoca, ogni esistenza umana è segnata dall'esperienza della sofferenza e della prova. Le riflessioni suscitate dal memoriale toccano e scuoto-no pertanto anche il nostro quotidiano di uomini del XXI secolo. Non possono non farci riflettere, mettendo in questione soprattutto la qualité del nostro vivere, dei nostri comportamenti, delle nostre relazioni interpersonali, illuminando nello stes-so tempo la nostra ricerca di senso, confermandoci nel cammino esigente ma liberante di un continuo e quotidiano imparare a vivere la fede. Abbreviazioni Bd. - Band fasc. - fascicolo NŠAM - Archivio arcidiocesano di Maribor NŠOM - Ordinariato dell'Arcidiocesi di Maribor zv. - zvezek (quaderno) št. - številka (numero) 38 L'autrice fa riferimento al suo archivio privato, testimonianza orale di Giovanni Scarrone, 13 luglio 1992. Ilaria Montanar - L'esperienza di Dachau nelle memorie autobiografiche 573 Referenze Fonti d'Archivio NŠAM / Golec - Nadškofijski arhiv Maribor, Fond Zapuščine duhovnikov, Januš Golec, Spomini. NŠAM / Hrastelj - Nadškofijski arhiv Maribor, Fond Zapuščine duhovnikov, Franc Hrastelj, fasc. 12, Njegova pot, tipkopis [copia regalata al vescovo M. Držečnik]; fasc. 12, Beseda o lagru Dachau [appunti personali dattiloscritti]; fasc. 12, Duhovniki v lagru Dachau [appunti personali dattiloscritti]; fasc. 12 bis; fasc. 24, št.1, Tiskarna sv. Cirila; fasc. 24, št. 5, Tiskarna sv. Cirila, zv. 2. NŠAM - Nadškofijski arhiv Maribor, Ergebnisse der Bevolkerungsbestandsaufnahme in der Unter- steiermark vom 29. November 1942, Tabelle IV, Sprachvermögen der Wohnbevölkerung. NŠAM / Tomažič - Nadškofijski arhiv Maribor, Zapuščine škofov, Tomažič Ivan Jožef, fasc. 13/2, Diarium 1941. NŠOM - Nadškofijski ordinariat Maribor, Okupacijski akti, fasc. 1, Pisma duhovnikov. NŠOM / Tomažič - Nadškofijski ordinariat Maribor, Okupacijski akti, fasc.1, Zapiski dr. Ivana Jožefa Tomažiča o prvih dneh okupacije, št. 21, Vrsta dogodkov. Letteratura Agostinelli, Maurizio. 2002. Il portale italiano sulla Shoah: campo di concentramento - Konzentrationslager Dachau. 22 dicembre. Http://www. lager.it/dachau.htm (sito consultato il 13.1.2012). De Bernardis, Antonella. 2008. Cappellani militari internati nei Lager nazisti: Resistere nel nome della fede. Le porte della memoria, 43-65. Http://www.anrp.it/edizioni/porte_memo-ria/2008_01/pag_43_de_bernardis.pdf (Sito consultato il 3.1.2009). Dolinar, France M. 2002. Cerkvenoupravna podoba Slovenije. In: Cerkev na Slovenskem v 20. stoletju, 7-24. Ljubljana: Družina. ---. 2004. Dachau, taboriščna številka 27640. In: Franc Hrastelj. Njegova pot, 7-10. Ljubljana: Družina. Ferenc, Tone. 2001. Okupacijski sistemi v Evropi in Sloveniji 1941. 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