Received: 2017-04-07 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 DOI 10.19233/AH.2017.13 LA FAIDA DI LELIO. TRA ANDREINI E GOLDONI Piermario VESCOVO Universita Ca' Foscari, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Dorsoduro 3484/D, Calle Contarini, 30123, Venezia, Italia e-mail: vescovo@unive.it SINTESI II confronto tra due commedie di Giovan Battista Andreini e Carlo Goldoni - Lelio bandito e L'incognita - riguarda il trattamento teatrale dei temi della faida e del banditismo a distanza di oltre un secolo (dall'inizio degli anni '20 del XVII a quello degli anni '50 del XVIII), la persistenza di alcune prospettive storiche di lunga durata ma anche le mutazioni di sensibilita e mentalita in tale quadro. Naturalmente il tema risulta inquadrato nello specificio dell'invenzione e della tradizione teatrale. Parole chiave: Giovan Battista Andreini, Carlo Goldoni, faida, banditismo, commedia, romanzo THE FEUD OF LELIO. BETWEEN ANDREINI AND GOLDONI ABSTRACT The comparison between two comedies of Giovan Battista Andreini and Carlo Goldoni - Lelio bandito and L'incognita - concerns the theatrical treatment of feud and banditism at a distance of more than a century (from the early 1720s and 1850s), the persistence of some long-lasting historical perspectives, as well as the mutation of sensitivity and mind in this context. Naturally, the topic is framed in the specifics of invention and theatrical tradition. Keywords: Giovan Battista Andreini, Carlo Goldoni, Feud, Banditism, Comedy, Novel 251 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 Penso da molto tempo di tornare a una tragicommedia barocca, il cui titolo indicherá immediatamente il principio di relazione col presente convegno: Lelio bandito di Giovan Battista Andreini (che appare a stampa a Venezia, per i tipi di Giovan Battista Combi, nel 1624). Una tragicommedia che e stata soprattutto investita - nell'interesse suscitato da Andreini negli ultimi decenni - in direzione metaforica, o si potrebbe anche dire allegorica, per cui il motivo del "bando" dalla societá e il desiderio di reintegro e piena appartenenza ad essa e ai suoi livelli piu elevati traveste le vicende degli attori in quelle dei banditi. Il titolo di un saggio di Siro Ferrone - che si imprime in un capitolo del volume Attori, mercanti, corsari- ricorda Andreini, col suo nome di scena, come appunto Lelio, bandito e santo (Ferrone, 1993). Tornero anche su questo secondo livello, ma l'occasione presente invita anzitutto - e sia pure in considerazione allo specifico del trattamento teatrale - a mettere al centro di questa breve illustrazione il tema della faida. La mia attenzione per Lelio bandito e stata suscitata anche dall'imprevisto collega-mento offerto da una commedia di piu di un secolo successiva: L'Incognita di Carlo Goldoni, andata in scena a Venezia nella stagione 1750-51 (Goldoni, 1939). Ad essa si sta dedicando, nell'ambito della sua tesi di dottorato, Simona Bonomi, valorizzandola come uno dei testi piu significativi relativamente all'irruzione del romanzesco sulla scena veneziana, tra Goldoni e Pietro Chiari, tra la fine degli anni '40 e il principio dei '50. Nell' Incognita - il cui titolo originale sul "cartello di scena" suonava piu lungo e descrit-tivo: L 'Incognita perseguita dal Bravo impertinente - si incontra proprio un personaggio di bandito o bravo di nome Lelio (originariamente cointestatario nel titolo), circostanza giá in sé sufficiente a richiamare l'attenzione e a mettere in campo la supposizione di una conoscenza della commedia di Andreini da parte di Goldoni. Non e questa la sede per affrontare dettagliatamente la questione e basti dire che circostanze esterne (la citazione diretta da parte dello stesso Goldoni de Li duo Leli simili di Andreini in rapporto ai suoi I due gemelli veneziani; l'evidente imitazione, di cui mi sono occupato altrove, di una scena della Venetiana del medesimo nel dittico di Bettina formato da La putta onoratalLa buona moglie) ed elementi interni (snodi coincidenti delle due trame, ritorno di nomi di personaggi e la comune ambientazione nel Regno di Napoli) confermano senza dubbio questa impressione. L'Incognita si svolge «in Aversa, grossa terra del Regno di Napoli», certo luogo topico per trame di banditismo, ma un po' troppo remota e per molti versi incongrua rispetto ad altri dettagli della commedia. Del resto giá Andreini faceva fuggire Lelio da Firenze, facendolo ricoverare nei «boschi del napoletano», tanto da costringere il Viceré di Napoli a mettere una taglia sulla sua testa. Il bandito di Andreini risulta giá tale ad apertura del sipario, il bravo di Goldoni diventa tale, come vedremo, alla fine della commedia. Possiamo ancora aggiungere, sulla soglia, un breve cenno relativo all'identitá - at-traverso il rinvio del nome del personaggio al nome di scena dei due attori - di ciascuno di questi due Leli, e dunque del movente che raccorda il secondo al primo. Lelio e, ovviamente, in prima istanza il nome del capocomico e primo amoroso Giovan Battista Andreini, ma nella ripresa goldoniana quello dietro cui possiamo riconoscere uno degli attori certo piu particolari e interessanti della compagnia di Girolamo Medebach, di cui 252 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDADI LELIO, 251-260 il commediografo fu a contratto tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50, presso il veneziano Teatro Sant'Angelo. Sotto questo nome di scena risulta, infatti, Lucio Landi, l'attore che interpreta i personaggi piu chiaroscurati o in alcuni casi fortemente negativi creati in questo giro d'anni da Goldoni, dal "bugiardo" dell'omonima commedia al poetastro del Teatro comico all'amico "cattivo" del giovane Pasqualin del giá rammentato dittico composto da La putta onoratalLa buona moglie: il giovane degenere che si scopre non figlio di Pantalone ma del gondoliere Menego e che finisce nella seconda puntata, addirittura, ammazzato a coltellate in scena dal gruppo dei gondolieri, con un'esibizione del cadavere che non si dá nemmeno nel genere della tragedia, che normalmente sottrae le uccisioni alla vista e le cela dietro alle quinte. Un dittico, questo, che eredita le trame nere della commedia cittadina veneziana pregoldoniana, con bulli e prostitute, rapimenti e tentativi di violenza: il nobile che rapisce la popolana Bettina, posto che Manzoni vide la commedia in una sua ripresa ottocentesca, si pone in quella genealogia di Don Rodrigo, insieme al Comendador de Ocaña di Lope de Vega, di cui Claudio Povolo ha documentato il ramo di meditazione storica e documentaría (Povolo, 2004)1'. Quanto a Lucio Landi, per la "veritá della vita", Francesco Bartoli, attore e primo biografo dei comici italiani, ci racconta addirittura della sua incarcerazione per un omicidio a seguito di una rissa. Riassumere la trama di un testo di Andreini - e anche dei meno complessi, come quello qui in causa (imparagonabili, poniamo, a invenzioni come Le due commedie in commedia o La centaura) - e impresa ardua, ma almeno una rapida schematizzazione dei rapporti tra i personaggi sará indispensabile per collocare con qualche attenzione la materia che interessa il presente intervento, evitando assunzioni che, rinnuciando al ritagliamento artificiale della tragicommedia, compromettano il significato degli elementi storici di riferimento. Due fratelli - nella vita marito e moglie (cioe Giovan Battista Andreini e Virginia Ramponi), come si desume dai nomi dei personaggi - sono al centro della trama: Lelio e Florinda (di cognome Fedeli, ovvero il nome dell'impresa o della compagnia) sono costretti dall'azione efferata compiuta da un terzo personaggio a vivere rispettivamente da bandito e da pellegrina. All'inizio della trama, dunque, un atto di violenza produce come sua conseguenza una faida. Orazio, alias Geliero Gelieri, ha rapito, violentato e abbandonato in fin di vita (credendola dunque destinata a morire) Florinda. Lelio lo sfida a duello e viene punito di conseguenza col bando, trasformandosi per vendetta e rancore da innocente in un capo di una banda, rifugiatosi nei boschi del Regno di Napoli. Orazio, sotto la falsa identitá di Lepido, dá la caccia al bandito, per essere reintegrato e perdonato. Contemporáneamente Riniero, inviato del Viceré di Napoli, tenta la stessa impresa, dopo l'emissione di un bando volto a sgominare la banda, concedendo il perdono ai banditi che uccidano e consegnino la testa dei compagni alle autoritá. La consorte abbandonata da Lelio datosi alla macchia - Doralice - si copre pure sotto altre sembianze (con tanto di assunzione di personaggio dell'altro sesso), producendo un'altra triangolazione rispetto a quella di Lelio-Florinda-Orazio. Riniero si scoprirá 1 Dello stesso autore, per le questioni del banditismo seicentesco qui toccate più oltre, nell'esatta epoca di Andreini, fondamentale Povolo, 2011. 253 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 infatti, alla fine, con inevitabile agnizione, essere in realtà il padre di Doralice. Come costantemente in Andreini le vie del crimine e della redenzione si intrecciano, in una conduzione in cui reagiscono con estrema efficacia teatrale un livello del "presunto vero" e un livello del "presunto falso": l'onomastica parlante e metaforica, il travestimento e la rivelazione (con ovviamente ampio utilizzo della vecchissima agnizione, moltiplicata in modo da renderla smaccata) sono gli strumenti che trasformano la massima prevedibilità nel destino imprevedibile. Imprevedibile per i personaggi, posto che il tragico in una trama destinata alla risoluzione comica e all'esito felice non puô che essere una complicazione lomanzesca. Intendo romanzesca in senso assolutamente proprio: quello che mi sembra esemplarmente rappresentato dalla trama più fortunata che si irradia dal Don Quijote di Cervantes sulla scena europea dell'epoca (Shakespeare compreso): la storia "seconda", narrata qui a puntate, di Cardenio. Ma sulla soglia della doppia affluenza del romanzesco in Goldoni - la vecchia linea del "tragicomico" di Cervantes e Andreini e quella nuovissima di Fielding-Marivaux -mi arresto, perché si tratta proprio di una delle questioni a cui si sta dedicando la già rammentata ricerca di Simona Bonomi (Bonomi, 2015; Vescovo, 2016). Mi interessa solo rilevare che I'incognita di Goldoni - nell'annus mirabilis delle "sedici commedie nuove" e della massima accensione del progetto della riforma - mostra un'indubbia prosecuzione del vecchio teatro, che si esprime identicamente rispetto al modello andrei-niano in un meccanismo di doppia triangolazione, parimenti irradiato da una faida. La storia dell'eroina perseguitata Rosaura, rapita e braccata dal "bravo" Lelio de' Bisognosi (ovviamente figlio degenere di Pantalone), porterà alla rivelazione della sua vera identità, coll'altisonante nome di Teodora dei conti dell'Isola (che è la Sardegna). Le sue peripezie di giovane perseguitata cominciano con una faida, che la fanciulla racconta infatti (II, 9) al "finanziere" Ottavio a cui chiede protezione e, ovviamente, agli spettatori e ai lettori. Figlia di un nobile, sua madre fu violata da un Cavaliere e uccisa da parte di questi. Il padre si vendicô uccidendo a propria volta la figlia del suddetto Cavaliere e costui ricambiô ammazzando due fratelli di Rosaura. I due nemici fuggono, le due famiglie risultano distrutte, seguono esilio e confisca dei beni. Su tutto questo e su altri snodi della storia i personaggi non smettono mai di rimarcare il fatto che se ne potrebbe trarre un romanzo (la serva Colombina - che peraltro subisce quasi un tentativo di violenza carnale da parte del bravo Lelio qualche scena dopo - nota all'inizio del III atto: «Io non credo che in un giorno si sieno mai combinati tanti accidenti per affliggere una povera donna», battuta da riferire più che al destino all'inventore della trama). Del resto - per una sensibilità metatetrale (o meglio metalettica, nel passaggio dal livello diegetico della storia a quello del suo racconto) - questa prospettiva si trova ben presente nei testi di Andreini, e basterà citare la chiusa di Amor nello specchio dove il Governatore dichiara che si metterà a scrivere una commedia ispirata alla storia che gli è stata narrata, col titolo di quella a cui abbiamo assistito. La faida rappresenta non solo l'antefatto della storia di Rosaura - collocata nella generazione alla sua precedente, a differenza di quella generata dalla violenza alla Flo-rinda di Andreini e infatti vendicata dal fratello -, ma potremmo dire la memoria storica, in terra seicentesca e "barocca", del nuovo romanzesco del suo secolo, a cui Goldoni 254 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 paiimenti attinge come lettore di romanzi à la page. La storia dell'eroina prosegue infatti come quella di una delle tante "fanciulle perseguitate", con le insidie e i rapimenti del bravo Lelio, che si collocano dunque come snodo reiterato e indipendente, alla seconda generazione. Anche qui è interessante come il dato, diciamo cosi, sociologico torni nella contraf-fazione della trama inverosimile. Se i personaggi di Andreini simulano o desiderano di possedere tratti nobiliari, il bravo Lelio, figlio degenere di Pantalone, mostra il limite nell'esercizio di violenza e sopraffazione dei deboli di essere un borghesuccío. «Un figlio di mercadante, che inquieta il paese, che solleva il popolo, che vive in prepotenze», che ha cominciato a spadroneggiare nei terreni di proprietà del padre Pantalone (nel regno di Napoli!). Ovviamente la storia tormentata di Rosaura termina col giusto convolare a nozze con Florindo, giovandosi di un secondo triangolo, positivo, di difesa e protezione, da parte della coppia dei nobili Ottavio ("finanziere") e Beatrice (la stessa coppia di attori che nel dittico di Bettina vedeva il capocomico Girolamo Medebach incarnare il carattere opposto del nobile rapitore della fanciulla). Rosaura alla fine riacquista i panni di Teodora dei Conti dell'Isola, nata a Cagliari, e ritrova il padre. Colpo di scena (fuori scena). suo padre e il suo nemico sono stati convocati dal Re di Napoli, che li perdona a patto che si rinconcilino, smettando la faída sanguinosa, e che per garanzia di sicurezza ha chiesto un'unione matrimoniale tra lei e il figlio sopravvissuto del nemico, per formare «la casa più potente della Sardegna». Segue - tanto per non far mancare nulla alla trama - il duello tra il creduto patrigno di Rosaura (in realtà suo padre) e il povero Florindo. Ma tutto finisce per il meglio, poiché giunge la provvida notizia che il figlio sopravvissuto del nemico si è scoperto già segretamente sposato in Olanda - luogo dell'esilio di suo padre -, cosi che Florindo rimuove ogni ostacolo alla tanto desiderata unione. Alla fine giunge anche l'ordine di arrestare Lelio - ed eventualmente ammazzarlo, come si addice ai banditi - e arriva in scene un Tenente accompagnato da sei granatieri. Potremmo osservare, infine, che in Andreini si assiste direttamente al pentimento in scena del reo, con un meccanismo tipico della tragicommedia (si ricordi ancora il Cardenio cervantino), secondo la catena di lacrime-perdono; in Goldoni - anche per il suo carattere di uomo di legge, oltre che per il mutato quadro della sensibilità del suo secolo - si arriva a una composizione giudiziale, anche se essa non implica la perdita dell' appeal dei colpi di scena e del personaggio con funzione di capro espiatorio, che è ovviamente quello di Lelio, del tutto assente nel sistema andreiniano. La scomposizione e ricomposizione dei tratti di appartenza sociale dei personaggi - e del loro tendere verso l'alto o il basso - si offre in Goldoni non nei termini dirette della "rappresentazione realistica" (come nelle sue commedie che possiamo dire "maggiori"), ma nello specchio della deformazione romanzesca. Di quel romanzesco, come ci ha insegnato Girard, in cui si esprime la "verità", posto che la "menzogna" risiede non solo nella rappresentazione "romantica", ancora da venire nel secolo di Goldoni, ma nella rappresentazione "ideologica". Il retroterra che in Goldoni è diventato pura materia di complicazione romanzesca (a differenza di quanto accade nella rappresentazione di quella violenza urbana dietro a cui 255 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 Gaetano Cozzi (2000) ci ha invitato a considerare la sensibilità dell'uomo di legge che passa alla scrittura drammatica) si mostra in Lelío bandíto di notevole rilievo. Il "barocco" Andreini fa esplicito riferimento al tema dell' estírpazíone deí bandítí. La ragíon dí stato viene declinata nei seguenti termini dal rappresentante del Viceré di Napoli: innalzar mílle reí tormentati e mortí in varie guise, per íspavento, perché íl gíardíno dello Stato suo rassembri un fiorito stendardo di primavera, sollecitissimo esser dovrà, per ísvellere e sbarbare ogni cattívo o con l 'esílío o col ferro (III, 1). Il personaggio continua: fuí dal Víceré di Napolí, mío sígnore, mandato alla estirpazione di tantí indegni fuoro- scítí, che píú delle fere indomite e le campagne e le castella e 'nfettano e danneggiano (III, 1). Il luogo dove ha trovato ricetto la banda di Lelio si chiama, con nome suggestivo, Castel Sanguino (in Goldoni si trovera, dunque credo non casuale, un Castel Rosso). Il retroterra "storico" della lambiccata trama della tragicommedia - a partire dal ca-rattere estremamente lontano e stravagante da ogni possibile "realtà" della composizione e dei ruoli della banda di masnadieri - è soprattutto nei reiterati riferimenti al rapporto tra bando e grazia, in rapporto alla legge che prevede il reintegro attraverso il "tradimento". La strada, insomma, per cui i banditi (o meglio alcuni di loro) possono «liberarsi del bando della Patria»: essi, appunto, «soglion presentar banditi e cosi tornar nella Patria e nella grazia del Principe». Alla lettera (sul piano della realtà "vera" fuori dal teatro) ció significa ammazzare un bandito e portando alle autorità una testa spiccata venire "perdonati" e "premiati". Più volte nella commedia si insiste in direzione della convenienza del "tradimento" e cosi, infatti, recita il bando che mette in pericolo soprattutto Lelio e che provoca il tentativo, da parte dell'empio Orazio di trasformare la sua sete di vendetta in atto vantaggioso: «cia-scuno che taglia la testa al compagno guadagna 200 scuti e libera un bandito»; «portando l'uno la testa dell'altro guadagni 200 scudi e liberi un farinello» (III, 3). Si possono descrivere come funzioni i nessi essenziali del plot, riconoscendo in queste articolazioni dei solidi riferimenti che rinviano a un retroterra storico-sociale. L'inimicizia genera la violenza (rapimento, violenza carnale, riduzione in fin di vita); la violenza genera la sfida a duello e costringe rispettivamente il buono (Lelio), "bandito" dalla legge, a farsi capobanda di malviventi, e il cattivo (Orazio) a fuggire. Orazio inse-gue, ancora, sotto mentite spoglie, Lelio divenuto "bandito": se quest'ultimo subisce il destino che lo conduce dalla ragione al "torto" dell'uscita dalla legge, l'inseguitore passa dal delitto alla strumentalizzazione della stessa legge, agendo come se il suo interesse fosse quello di farsi perdonare e riammettere "estirpando" il bandito e i suoi seguaci. Il nodo scontro-cattura vede come doppio esito finale - nel senso di quello che potremmo definire il "destino comico" (esemplare ne Le due commedíe ín commedía, 256 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDADI LELIO, 251-260 una specie di Hamlet dove si perdonano gli assassini) - il perdono del bandito da parte dello Stato e il pentimento del reo (si ripensi all'intreccio del già rammentato Cardenio cervantino). L'autore rimarca il nesso addirittura nella Prefazione che mette in testa alla tragicommedia - certo non comunicata allo spettatore, ma caraterizzante il rapporto col lettore del libro - laddove sottilea che i personaggi stanchi come nemici di sparger sangue, di lagrime abbondano in cara e inaspettata riconciliazione. Le lacrime sono, precisamente, il commutatore dalla tragedia al lieto fine comico. Certo non si puó leggere Lelio bandito fermandosi al solo livello letterale (e nemmeno di una lettera variamente tessuta di sovrasensi metaforici). Parlerei di "allegoria" nel senso goldoniano del termine, in cui in una sua celebre commedia gli artigiani testori, i mercanti di stoffe e il disegnatore di drappi rappresentano i mestieri del teatro, tra cui appunto quello dell'autore. Come se questa destinazione non fosse già chiara dentro al testo - esattamente come l'autore di Una delle ultime sere di carnovale dandola alle stampe - Andreini esplicita il sovrasenso rivolgendosi al dedicatario Francesco Nerli, ambasciatore a Milano del Duca di Mantova: presentando a V.S. Illustrissima un bandito fra ' boschi, non forzato o malvagio, ma volontario e valoroso, poiché non per interesse d 'onore, stimando di non poter altivamente, postosi alla campagna, di morto torno vivo alla stima e alla grazia degli uomini gloriosi e felici. Potremmo dire che rispetto al discorso goldoniano sull'assoluto decoro e sulla piena onorabilità della professione del teatro, Andreini sembra considerare qui - ció che più fortemente si inscrive nella cultura del suo tempo e certo alludendo a casi personali -l'ambivalenza della professione comica, che fa degli uomini e delle donne di teatro - con un'espressione cara a Godard e a Tarantino - una bande à part. La banda di Lelio è, da un punto di vista del realismo rappresentativo, quantomeno bizzarra. Non la vediamo intenta in razzie e rapine, ma in dispute ed esibizioni di "numeri" e "specialità". I "farinelli" parlano in tutte le lingue e i dialetti possibili, secondo un assor-timento scenico e non certo di provenienza plausibile. Tra i fuoriusciti c'è, per esempio, un letterato, che - chissà perché - si è esiliato, un Pedante di commedia. Chissà perché, naturalmente, in ragione alla verosimiglianza della trama, non del senso profondo per cui la letteratura trova ricetto tra gli "ambulanti" del teatro. E ancora e soprattutto, personaggio fondamentale, vediamo agire un Venturino-portalettere, colui che - accettato dai banditi e dal mondo della legge - stabilisce contatti e scambi, ai limiti della clandestinità. Ora - come hanno mostrato gli studi di Ferrone (quelli su Andreini e poi, specifica-mente, nella biografia dedicata all'attore; cfr. Ferrone, 1993, 191-222; Ferrone, 2006) -Venturino era Tristano Martinelli e la sua ambivalenza (carattere di attore solitario) passa il segno dalla lettera al sovrasenso: la sua libertà di movimento non è ovviamente qui in 257 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Piermaiio VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 prima istanza quella che si pone rispetto alla legge del Viceré ma in rapporto allo statuto della compagnia comica, con esatta simmetria. Andreini ricerca e tollera il ruolo di attore libero, che fa parte per sé stesso, di Martinelli o, in altri casi, cerca di liberarsi dal suo peso per riguadagnare il suo ruolo di capo di compagnia, specie nelle tournées più prestigiose, come Ferrone ha dettagliatamente illustrato. Venturino fa il corriere raggiungendo il mondo separato e inaccessibile dei "masnadieri", Tristano puô agire da istrione solitario a cui tutto è concesso in una zona franca rispetto a quella della precisa ripartizione dei ruoli sotto il controllo di "Lelio" Andreini, nella sua commedia, o forse meglio tra il suo controllo della "banda" e la volontà del Duca. Nella banda "di scena" troviamo - come abbiamo detto - ogni genere di assortimento, di ruoli e di lingue, e la babele di queste si ribalta nella ricchezza dell'offerta dilettevole. Ma c'è un ulteriore livello, certo meno visibile. Per puntare a un dettaglio eloquente si veda il momento in cui Lelio e Flaminia scoprono non solo e ritrovano, come in ogni attesa teatrale, la loro identità reale e il loro ruolo. Basterebbe a una comune agnizione che la pellegrina Marinella si scoprisse Flaminia Fedeli (il cui cognome coincide, abbiamo detto, con il nome in ditta di compagnia), ma la rivelazione dichiara come "nome vero", essendo "falsi" anche quelli di Lelio e Flaminia Fedeli, quello di Teosenio Ardenti. La "verità" è insomma nella totale falsità del "nome di carta", che è naturalmente nome parlante e la fuga di specchi - come lo stesso Andreini teorizza in un'altra sua commedia, intitolata appunto Amoi nello specchio - una fuga senza fine. Tra l'allegoria di condizione e l'allegoria della trama fittizia il gioco è più complesso, laddove il roman-zesco (nel senso dell'intreccio e delle combinazioni inverosimili) non si accontenta di una piena rapportabiltà che esaurisca gli elementi della vita in quelli del teatro. Ma su questo torneremo eventualmente altrove. 258 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDADI LELIO, 251-260 LELIEVA FAJDA. MED ANDREINIJEM IN GOLDONIJEM Piermario VESCOVO Univerza v Benetkah, Oddelek za filozofijo in kulturno dediščino, Dorsoduro 3484/D, Calle Contarini, 30123, Benetke, Italija e-mail: vescovo@unive.it POVZETEK Primerjava dveh komedij, Giovan Battistija Andreini in Carla Goldoni - Lelio ban-dito in L'incognita, se nanaša na gledališko obravnavo tematike fajde in banditizma v časovnem razmiku več kot enega stoletja (iz začetka 20-ih let 17. stoletja in 50-ih let 18. stoletja), obstojnost nekaterih zgodovinskih perspektiv dolgega trajanja, pa tudi sočasne spremembe v senzibilnosti in duhu. Seveda je tema uokvirjena v specifiko gledališke invencije in tradicije, njenih klišejskih značilnosti ter njene aluzije: od igralcev, ki se identificirajo in razlikujejo od »banditov« iz časa Andreinija, k dolgemu spominu, ki združuje že oddaljeno kulturo tragikomedije 17. stoletja z novim obzorjem evropskega romana 18. stoletja. Junaki - od Cervantesovega lika Cardenia do sodobnih junakov in junakinj iz romanov Fieldinga in Marivauxa - se izražajo kot priviligirani liki za gledališko predstavitev drugačnosti, ki združuje »bandite« z »gledališkimi« ženskami in moškimi. Ključne besede: Giovan Battista Andreini, Carlo Goldoni, fajda, banditizem, komedija, roman 259 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Piermario VESCOVO: LA FAIDA DI LELIO, 251-260 BIBLIOGRAFIA Andreini, G. B. (1624): Lelio bandito. Venezia, Giovan Battista Combi. Bonomi, S. (2015): All'insegna della scienza»: Chiari, Pasinelli, Grimani. Primi appunti e alcune riflessioni. Studi Goldoniani, XII, 4, 103-121. Cozzi, G. (2000): La societa veneta e il suo diritto. Venezia, Marsilio. Ferrone, S. (1993): Attori, mercanti, corsari. La commedia dell'arte in Europa tra Cinque e Seicento. Torino, Einaudi. Ferrone, S. (2006): Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore. RomaBari, Laterza. Goldoni, C. (1939): L'Incognita. In: Ortolani, G. 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