Received: 2011-10-06 UDC 347.627.2(450)"18/19" Original scientific article TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO DEL GIUDICE NELL'ITALIA POSTUNITARIA Loredana GARLATI Università degli Studi di Milano-Bicocca, Scuola di Giurisprudenza, IT-20126 Milano, Piazza dell'Ateneo Nuovo, 1 e-mail: loredana.garlati@unimib.it SINTESI La separazione coniugale, istituto nato per attenuare il rigore dell'indissolubilità di un matrimonio elevato a sacramento dalla Chiesa, era concessa dal codice civile italiano del 1865, oltre che per accordo consensuale dei coniugi, per una serie di cause tassative, indicate agli artt. 150-152. Tra queste acquista un particolare rilievo la previsione di "eccessi, sevizie, minacce e ingiurie gravi", quattro ipotesi distinte ma al tempo stesso strettamente congiunte tra loro, la cui disamina consente di cogliere, attraverso lo studio del dettato normativo, dell'interpretazione dottrinale e dell ' applicazione giurispru-denziale, la cifra culturale di un'epoca. L 'ampio arco cronologico di vigenza del primo codice unitario (dalla seconda metà dell'Ottocento fino agli anni della seconda guerra mondiale) permette di verificare se il mutamento del panorama politico abbia in qualche modo inciso sugli orientamenti delle corti o se la concezione della famiglia, intesa quasi come una sorta di bene-rifugio su cui costruire l'identità di un popolo e la solidità di uno Stato, abbia attraversato indenne sia l'età liberale che fascista. Sul tema, la dottrina e la giurisprudenza presentano, accanto a inevitabili quanto prevedibili legami con la tradi-zione, inaspettate aperture verso la tutela dei dritti individuali dei coniugi, grazie all'a-dozione di canoni ermeneutici flessibili, favoriti da un'enunciazione legislativa vaga ed indeterminata, che necessariamente richiedeva l'intervento del prudente apprezzamento del giudice per assumere un preciso contenuto. Parole chiave: separazione dei coniugi; eccessi; sevizie; minacce; ingiurie gravi; diritto di famiglia; giurisprudenza; codice civile (1865) BETWEEN HUSBAND AND WIFE: FAMILY CONFLICTS AND THE INTERVENTION OF THE JUDGE IN POST-UNIFICATION ITALY ABSTRACT The 1865 Italian Civil Code granted marital separation in case of consensual agreement of the spouses, as well as for a series ofperemptory causes. Among these the provi- Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 sion of "excesses, torture, threats and abuse" had particular importance, and its close examination allows us to capture the culturalfigure of an epoch. The wide span ofvalidity of the first uniform code makes it possible to verify whether the changes in the political landscape influenced the guidelines followed by the courts or the concept of family survived unscathed the liberal and Fascist eras. On this topic, the doctrine and case law present, in addition to links with tradition, unexpected openness to the protection of individual rights of the spouses, thanks to the adoption of flexible interpretive principles. Key words: marital separation, excesses, torture, threats, abuse, family law, case law, Civil Code (1865) SEPARARSI, PERCHE' Il diritto civile, quasi in una progressione gradúale, disciplina dapprima gli uomini come individualitá isolate e separate e successivamente come membri di quel tutto che e la famiglia: «gl'individui preesistono alla famiglia; ma e la famiglia che completa, mol-tiplica e conserva» gli stessi (De Filippis, IX, 1881, V). Ad istituire la famiglia e il matrimonio, che ha carattere naturale e morale, ma e destinato a divenire giuridico e religioso quando la potestá civile ed ecclesiastica lo eleva rispettivamente a diritto e a sacramento. Nei secoli, Chiesa e potere civile hanno ingaggiato una continua sfida, talora esplicita, altre volte sotto traccia, per affermare il proprio primato nella regolamentazione della vita familiare: nella sua opera di evangelizzazione, la Chiesa ha ritenuto suo dovere irri-nunciabile intervenire nella disciplina del matrimonio, del quale non poté che dichiarare l'indissolubilitá, una volta assunto alla dignitá di sacramento. Per temperare il rigore di simile principio, tuttavia, essa mise a punto la teorica della separazione, pressoché scono-sciuta al diritto romano, un istituto che da un lato mirava a salvare l'astratta enunciazione della perpetuitá del vincolo, dall'altra si poneva quale rimedio ad una convivenza divenuta inaccettabile per gravi ragioni. La separazione allentava il vincolo coniugale, senza scioglierlo, ammettendo la sola cessazione della coabitazione e del debito coniugale (la cosiddetta separazione di letto e di mensa, un'elegante endiadi per alludere alla fine dei momenti piu intimi dell'esperienza di coppia), mantenendo tuttavia fermo il dovere della fedeltá e il divieto di passare a nuove nozze, nella prospettiva di una riconciliazione. Con specifico riferimento all'Italia, dall'etá del diritto canonico classico, quando la separazione personale comincio a delinearsi, fino alla legge del 1° dicembre 1970, n. 898, che ha introdotto il divorzio, si sono susseguite oscillanti posizioni dottrinali e legislative, volte ora ad incrinare il dogma dell'indissolubilitá, ora a difenderlo strenuamente. Si e assistito nel tempo al passaggio da un modello di famiglia come istituzione (in cui non conta la volontá dei privati ma la superiore finalitá di garantire, attraverso l'unitá familiare, l'ordine sociale) a quello di famiglia come 'contratto' (in cui si privilegia invece l'autonomia dei singoli), senza che cio abbia comportato quale necessaria conseguenza la solubilitá del matrimonio. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Si tratta di vicende ampiamente ricostruite dalla storiografia, che a questi temi, e in particolare a quello della separazione (di Renzo Villata, 1989, 1350-1376; Marchetto, 2008) e al vivace dibattito divorzista sviluppatosi prima e dopo l'unificazione legislativa civile (Valsecchi, 2004), ha dedicato approfondite analisi. Una diversa chiave di lettura di un istituto 'classico' come quello della separazione puó essere tuttavia offerta dallo studio sulle modalità di intervento dell'autorità giudizia-ria nel delicato momento in cui la crisi coniugale, spesso vissuta nel segreto delle mura domestiche, diventa conclamata e pubblica, facendo ingresso nelle aule di giustizia 1. Il giudice, chiamato a mediare tra l'astrattezza della parola della legge e la concretez-za del caso di specie, irrompe cosi nella vita di coppia. Terzo rispetto ai coniugi nemici, egli influisce con le proprie pronunce sul destino dell'intera compagine familiare: decretando la continuazione o la fine del rapporto nuziale, condiziona la vita di ogni singolo componente e ne determina in qualche modo il destino futuro. Il primo codice civile unitario, varato nel 1865, offre sotto questo profilo interessanti spunti di riflessione. Volendo prescindere da ogni altra considerazione (quale il suo tra-vagliato iter formativo, i possibili modelli di riferimento, le soluzioni di compromesso adottate nell' ambito del diritto di famiglia, in una continua tensione tra scelte coraggiose e legami con la tradizione), l'ampiezza dell'arco cronologico applicativo e le alterne vicende politiche, sociali ed economiche che attraversarono l'Italia dalla metà dell'Otto-cento fino ai primi anni Quaranta del secolo scorso rappresentano un interessante banco di prova per comprendere la possibile corrispondenza degli orientamenti giurisprudenziali al mutevole quadro sociale di riferimento. Nel sistema del codice del 1865, come sarà poi in quello del 1942, la separazione, al di fuori dell'ipotesi consensuale, era possibile solo per cause tassative enunciate negli artt. 150-152 2, le uniche idonee a giustificare il sacrificio dell'unità familiare: ció significava che non era permesso ai giudici accordare la separazione per motivi che non fossero quelli enumerati dalla legge 3. Erano tali l'adulterio, semplice o qualificato a seconda che fosse imputato alla donna o all'uomo (una disparità di trattamento che soltanto alla fine degli anni '60 la Corte Costituzionale qualificó illegittima 4), eccessi sevizie minacce e ingiurie gravi, 1 Una ricostruzione dell'operato delle corti milanesi, condotta attraverso l'analisi di fonti archivistiche relative ad un quindicennio di attività, è svolta da Parenti, 2001, 755-823. Cfr., da ultimo Passaniti, 2011, 259-264. 2 Si noti qui la differenza di disciplina rispetto alla separazione consensuale, dove si chiedeva al tribunale la semplice omologazione dell'accordo raggiunto dalle parti, senza che il legislatore si fosse premurato di indicare specifiche cause di riferimento. Vista la laconicità dell'intervento normativo, i coniugi potevano di comune intesa chiedere la separazione anche per ragioni diverse da quelle contemplate dagli artt. 150152 (invocando, ad esempio, l'incompatibilité di carattere), purché queste fossero sufficientemente gravi da giustificare la fine della convivenza. Esplicito in questo senso il tribunale di Milano che in una sentenza del 4 marzo 1902 precisava che «la separazione consensuale dei coniugi non richiede (e forse non consente neppure) la indicazione dei motivi che la hanno determinata» (in Mon. Trib., 1902, 351). 3 Rimanevano, per esempio, escluse dal novero, e pertanto non potevano essere invocate a fondamento della richiesta di separazione, sopraggiunte modifiche della situazione economica della famiglia, l'infermità mentale, la demenza, il furore, la sopravvenienza di malattie contagiose, ipotesi che pure erano state variamente contemplate nelle legislazioni italiane e straniere ottocentesche. 4 Il riferimento è alla sentenza del 16 dicembre 1968 n. 127, in cui la Corte dichiaro l'illegittimità costituzionale dell'art. 151, 2° comma, del c.c. del 1942, che escludeva l'ammissibilità dell'azione per Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 volontario abbandono, condanna a pena criminale, mancata e ingiustificata fissazione di una residenza, unica ipotesi di genere, oggi diremmo, e perciô invocabile dalle sole donne, visto che, in una concezione gerarchica della famiglia, imperante sia in epoca liberale che fascista, era dovere primo del marito garantire una stabilità di vita e di dimora. E' tuttavia una tassatività che deve fare i conti con l'indefinita varietà dei casi pro-spettabili nella realtà: nonostante l'art. 149 riconoscesse ai coniugi il diritto di chiedere la separazione solo per i motivi determinati dalla legge, l'apprezzamento soggettivo e di-screzionale operato dal magistrate relativo alle singole circostanze ricorrenti nelle ipotesi di specie finiva per vanificare il concetto stesso di tassatività, tanto da far sostenere ad una parte della dottrina che i casi di separazione colposa non rappresentavano un numero chiuso, ma formule aperte esemplificative e omnicomprensive 5, «un concetto generale da servire di norma al giudice caso per caso» 6. Vale inoltre la pena sottolineare un secondo profilo contemplato da questo art. 149 (ripreso poi dall'art. 150 del c.c. del '42): il riconoscimento della separazione come un diritto, spettante esclusivamente ai coniugi, che non poteva essere esercitato neppure dal curatore o dal tutore 7 e intrasmissibile agli eredi (quand'anche vi avessero un interesse adulterio del marito in mancanza di circostanze tali che il fatto costituisca ingiuria grave alla moglie. Si rilevo la violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione a causa del diverso trattamento riservato all'adulterio del marito rispetto a quello commesso dalla moglie, sostenendo che il legislatore non potesse collegare ad identica violazione del dovere di fedeltà coniugale conseguenze giuridiche diverse a seconda che i fatti integrativi fossero posti in essere dall'uomo o dalla donna. L'art. 151, 2° c., a detta della Corte, creava a vantaggio del marito una situazione di vero e proprio privilegio [...]. L'infedeltà della moglie è sempre causa di separazione personale, l'infedeltà del marito, tranne il caso suddetto [ossia un fatto integrante l'ingiuria], è priva di sanzione: [...] il marito e la moglie vengono sottoposti a trattamento diverso, nonostante che ad entrambi la legge (art. 143 del Codice civile) imponga un eguale dovere di fedeltà. La conclusione non sarebbe diversa se si volesse supporre che l'art. 151, nella parte qui presa in considerazione, tuteli non già il diritto alla fedeltà, ma l'onorabilità del coniuge, e se si ritenesse che, a questo fine, il legislatore si sia conformato ad un diverso apprezzamento sociale dell'adulterio del marito e di quello della moglie. La Costituzione, infatti, afferma il principio dell'eguaglianza anche "morale" dei coniugi, ed esprime in tale modo una diretta sua valutazione della pari dignità di entrambi, disponendo che a questa debbano ispirarsi le strutture giuridiche del matrimonio: di tal che lo Stato non puô avallare o, addirittura, consolidare col presidio della legge (la quale, peraltro, contribuisce, essa stessa, in misura rilevante alla formazione della coscienza sociale) un costume che risulti incompatibile con i valori morali verso i quali la Carta costituzionale volle indirizzare la nostra società. 5 Cfr. per tutti Borsari, per il quale si trattava di enunciazioni complesse e comprensive, «laonde malgrado la clausola - che le cause sono determinate - la estimativa dei fatti conduce a quel giudizio subbiettivo delle circostanze che è una necessità delle cose» (Borsari, I, 1871, 573). Un tentativo di conciliare la tassatività delle cause con la valutazione in concreto svolta dal magistrato sul contenuto delle stesse è operata da Bianchi, per il quale «nessun arbitrio è lasciato ai giudici per uscire dal limite cosi rigorosamente assegnato dal legislatore» con l'art. 149, ammettendo pero che «l'ufficio del tribunale, oltre all'accertamento insindacabile dei fatti formanti base a quei motivi [s/c], deve talvolta estendersi eziandio a valutare la natura e l'importanza delle circostanze relative a quei fatti ed a stabilire in conseguenza se essi corrispondano veramente al caso dalla legge contemplato» (Bianchi, V, 2, 1901, 549-50). 6 App. Milano, 18 aprile 1874, in Giur. It., 1874, 151. 7 Netto sul punto Vignali, per il quale il tutore per essere autorizzato a promuovere il giudizio di separazione avrebbe dovuto essere sicuro che tale fosse la volontà dell'interdetto. «Ma come puo avere questa certezza, se l'interdetto non puo legalmente manifestare questa sua volontà?» (Vignali, I, 1878, 456). «E' vero che la legge non sanziona espressamente il divieto, ma lo si desume dal carattere personale dell'azione e dall'art. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 pecuniario). Il giudizio, quindi, cessava con la morte di uno dei due sposi 8. Quel riferi-mento ad un diritto soggettivo, accenno fuggevole e non insistito, sembra tuttavia anticipare tra le righe quella visione di famiglia che soltanto un secolo dopo, con la riforma del 1975, trovera compiuta realizzazione. Le ipotesi di separazione, sia nel primo codice unitario che in quello del 1942, erano improntante ad un'idea di colpa 9, quasi che alla stessa si volesse attribuire una funzione moralmente sanzionatoria nei confronti del coniuge che avesse contravvenuto agli obbli-ghi scaturenti dal matrimonio 10, concezione destinata a venire meno solo con la legge del 1975, quando si vide nella separazione (e nel divorzio da poco introdotto) un rimedio ad una situazione di intollerabilità della convivenza (considerata nella sua rilevanza oggetti-va e non con riguardo alla persona del coniuge insofferente del legame, una intollerabilità che potrebbe perfino prescindere dal comportamento delle parti) o di grave pregiudizio all'educazione della prole 11. Il De Ruggiero sente l'esigenza di insistere sul punto «perché da qualcuno si è messa in forse la necessità della colpa per farsi luogo alla separazione giudiziale [...]. La tesi è insostenibile: la separazione giudiziale è fondata su fatti di colpa, ha la sua base su responsabilità assunte infrangendo i doveri coniugali: e il tribunale non potrebbe pronunciarla quando riconoscesse incolpevole il coniuge convenuto in giudizio» (De Ruggiero, 11, 1926, 621, nt. 1). La disciplina allora vigente era in linea con la visione verticistica e autoritaria della famiglia, in cui l'interesse individuale era subordinato ad un superiore interesse pubblico alla conservazione del vincolo e il momento del dovere prevaleva su quello del diritto 12, cosi da poter affermare che la famiglia più che essere tutelata era messa sotto tutela. 807 del Codice proc. Civ., il quale prescrive la comparizione personale dei coniugi per lo esperimento della conciliazione» (Venzi, VII, 1, 1927, 470-1). Per Scotti, invece, occorreva verificare se l'azione fosse esperita o meno nell'interesse di uno dei coniugi e solo nel primo caso il tutore, sempre che tale ufficio non fosse rivestito dall'altro coniuge, poteva chiedere la separazione in nome dell'interdetto (Scotti, I, 1887, 186). 8 Cfr. Cass. Torino, 4 luglio 1914, in Foro it., 1914, I, 1125. 9 Che fosse questo lo spirito delle disposizioni lo si ricava anche dal fatto che il coniuge cui la separazione era addebitata perdeva i diritti di successione sull'eredità del consorte (art. 757 c.c.), tutti i lucri dotali e gli utili (art. 156 c.c.) ed anche la qualità di tutore nell'ipotesi in cui l'altro coniuge fosse interdetto giudizialmente (art. 330 c.c.). 10 Esplicita il concetto Bianchi: nel puntualizzare che la separazione non puô essere concessa se non in conseguenza di fatti che abbiano carattere di colpa, precisa che essa, tuttavia, non si configura quale pena civile (Bianchi, V, 2, 1901, 550-1). 11 Nella vastità degli interventi giurisprudenziali sul punto, merita di essere richiamata ai nostri fini una sentenza della Cassazione civile del 17 luglio 1997 n. 6566, in cui il principio qui enunciato è espresso con chiarezza: in tema di separazione personale dei coniugi, la riforma del '75 ha profondamente innovato la previgente disciplina, eliminando la concezione della "sanzione" basata sulla "colpa" ed introducendo il concetto del "rimedio". Ciô non vuol significare che il comportamento colpevole di uno dei coniugi non abbia alcun valore: non più presupposto indefettibile per la proposizione della domanda, esso si annovera tra i fatti (e non più atti, una differenza non solo linguistica, ma sostanziale, perché non si richiede l'integrazione di specifici comportamenti volutamente finalizzati a generare una crisi coniugale) rilevanti in giudizio per giungere alla pronuncia di separazione. 12 E' un concetto ribadito con chiarezza, fra l'altro, da una pronuncia della Cassazione civile risalente al 20 dicembre 1995, n. 13021, in cui si afferma che il legislatore del '42 (non diversamente da quello del 1865, Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Tuttavia il discorso è forse più sottilmente complesso, perché se è innegabile che i nostri due codici prevedevano la separazione con addebito di responsabilità come conse-guenza (e quasi minaccia preventiva) di violazioni degli obblighi matrimoniali, è anche vero che dalle sentenze relative al periodo in esame emerge come l'accoglimento della domanda di separazione avvenisse solo se i comportamenti chiamati ad integrare le cause previste fossero tali da rendere impossibile la prosecuzione di una vita in comune, ricor-rendo spesso ad un'interpretazione estensiva proprio dei concetti di 'ingiuria grave' e di eccessi', come andremo a esaminare 13. Anche se, giova ribadirlo, non bastava la sola intollerabilità a vivere insieme a legittimare la domanda di separazione, dal momento che «tutto il sistema di legge, in questa materia, sembra supporre uno stato di responsabilità in uno dei due coniugi o in entrambi» e gli stessi termini di eccessi, sevizie, minacce, ingiurie gravi «dimostrano che la legge si riferisce ad atti coscienti e voluti» (Venzi, VII, I, 1927, 467). QUATTRO CAUSE DISTINTE E CONGIUNTE Tra le varie cause, è la categoría degli "eccessi, sevizie, minacce e ingiurie gravi" ad aver maggiormente impegnato i giudici nell'opera di mediazione tra le parole e le fibre vive della realtà, calando l'astratta previsione normativa nel quotidiano giuridico. Le sen-tenze pronunciate sul punto dimostrano l'incontrastato protagonismo della giurispruden-za anche in un sistema normocentrico e codicistico, in cui molti aspetti della vita del diritto vengono ancora rimessi alla totale discrezionalità del giudice: l'attività interpretativa alla base delle decisioni delle corti finisce per divenire enucleazione di linee-guida valide per il futuro, enunciazioni di principi generali capaci di assumere quasi forza di legge. E' la stessa dottrina (che spesso si limita ad una mera esegesi delle norme, non disde-gnando il richiamo a quei giuristi francesi che si erano a loro tempo espressi sul codice napoleonico) a rimettere completamente nelle mani dei magistrati la decisione su quali siano i comportamenti idonei ad integrare in concreto le quattro ipotesi previste dal diritto. «Appartiene ai tribunali decidere se i fatti che si adducono siano tali da legittimare il grave partito della separazione», tenendo in considerazione da un lato l'interesse dei coniugi (ed evitare cosi di accogliere domande fondate su «querele leggiere e passeggere», senza tuttavia imporre il prolungamento di un'insopportabile convivenza), dall'altro l'interesse della società, che al contempo esige il mantenimento della comunione di vita e la fine degli scandali domestici (Pacifici Mazzoni, 1867, 294). Su questa falsariga si attestano autori che riconoscono alla magistratura un potere discrezionale nell'apprezzare cui il codice civile ancora oggi vigente si ispirô) aveva concepito la separazione giudiziale tra i coniugi come situazione patologica ontologicamente transitoria, nella prospettiva della difesa ad oltranza della famiglia ed in vista di una ricomposizione dell'unione coniugale, ammettendo la separazione solo in ipotesi tassative, riferite al comportamento colpevole di uno o di entrambi i coniugi, secondo una linea logica chiaramente sanzionatoria e repressiva. 13 Lo attesta Orazio Sechi, quando afferma che il codice unitario si atteneva al principio fondamentale che la separazione poteva essere concessa solo in ragione di quei fatti «che rendono impossibile la convivenza e che hanno in pari tempo carattere di colpa da parte di chi li commette» (Sechi, 1894, 16). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 la gravità delle sevizie o delle ingiurie (Cattaneo-Borda, 1865, 137) regolandosi sui fatti (Saredo, 1869, 606), rilevando l'impossibilità per la legge di «definire queste voci» dal momento che «non possono stabilirsi a priori fatti e circostanze che hanno una espres-sione variatissima nel tempo e nello spazio» (Calcaterra, I, 1873, 203). Meglio perciô abbandonarsi al criterio del magistrato, dal momento che «nessuno di questi fatti ha in sé, o puô comprendere, l'idea dell'assoluto » (Pisani Ceraolo, II, 1886, 287). Si chiedeva al giudice di non essere «né troppo proclive ad accordare la separazione per momentanee dissezioni, né troppo difficile, quando conosca che tra le parti esista una antipatia, un odio inveterato, che la coabitazione accrescerebbe, se vivessero ulteriormente insieme» (Stolfi, 1921, 226). Le valutazioni delle corti di merito sul punto erano incensurabili in Cassazione, come mostra una costante giurisprudenza della Corte suprema di Torino 14. La mancanza di sindacato da parte della corte di Cassazione è un elemento che accentua la sensazione di incertezza e di arbitrio di fronte a simile cause, che si sostanziano in «questioni di fatto, riserbate alla religione dei giudici di merito», con la conseguenza che «lo stesso fatto puó essere ritenuto ingiurioso da un Tribunale e non ingiurioso da altri giudici» (Stolfi, 1921, 234-5). La scelta di accogliere o respingere le richieste di separazione fondate sull'accusa di eccessi sevizie minacce e ingiurie gravi è certamente condizionata dalla sottostante visione di famiglia: se essa è concepita come aggregazione collettiva a base dello Stato (a sua volta inteso non come insieme di individui ma di famiglie), un'istituzione attra-verso la quale garantire il buon funzionamento della società (buone famiglie generano un buono Stato), il giudice tenderà a difendere l'unità familiare a discapito del volere dei singoli, con conseguente interpretazione restrittiva delle quattro cause violente e rifiuto di concedere la separazione; qualora la famiglia sia invece vista quale libera espressione di volontà e di autonomie individuali, i diritti e gli interessi dei singoli prevarranno. E' questa la ragione prima di opzioni giurisprudenziali oscillanti. Un'analisi condotta sulla specifica causa delle 'sevizie eccessi minacce e ingiurie gravi' non solo si presenta come la più adeguata per rilevare la declinazione tra lettera della legge ed apporto interpretativo del giudice, ma è anche motivata da ragioni statistiche: da-gli studi compiuti nel periodo di applicazione del primo codice unitario, risulta che queste forme di comportamento rappresentavano il principale motivo addotto nei procedimenti giudiziali (seguivano poi il volontario abbandono e l'adulterio); si trattava di un addebito, come si puó immaginare, riguardante più gli uomini che le donne e che vedeva prevalere 14 A solo titolo esemplificativo cfr. Cass. Torino, 14 giugno 1876, in Annali della giurisprudenza italiana, 1876, 1, 395; 3 agosto 1882, in La Legge, 1883, I, 171; 12 febbraio 1884, in Mon. Trib, 1884, 243; 7 febbraio 1889, in La Legge, 1887, I, 478; 19 febbraio 1892, in Mon. Trib., 1892, 561-2. La Corte insisteva sul fatto che fosse compito insindacabile del giudice di merito esprimere un apprezzamento sulla gravità delle espressioni ingiuriose scambiate tra i coniugi o sulla qualifica dei maltrattamenti subiti dalla donna ad opera del marito ora come eccessi, ora come sevizie, ora come ingiurie. La Cassazione poteva censurare solo le sentenze che avessero accordato la separazione per fatti non contemplati dalla legge o che avessero respinto una domanda giudiziale le cui ragioni fossero corrispondenti alla lettera o allo spirito della legge (Bianchi, V, 2, 1901, 550). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 in percentuale fra le quattro cause quella delle ingiurie gravi, proprio perché la più labile ed elastica nella determinazione dei suoi contenuti 15. Previste congiuntamente dall'art. 150 del codice del 1865, esse impegnarono tuttavia dottrina e giurisprudenza nell'affannosa e sfibrante, quanto spesso vana ricerca di speci-fiche connotazioni individualizzanti. La questione si era posta già in sede di lavori pre-paratori, quando alcuni commissari espressero perplessità sulla autonoma configurazione della categoria degli eccessi, ritenuta superflua e implicitamente inclusa nelle sevizie, minacce e ingiurie. Si deliberó tuttavia di conservarla proprio per garantire al magistrate una più ampia liberta di giudizio e la possibilità di accogliere istanze fondate su atti non immediatamente riconducibili ad una delle altre tre più specifiche ipotesi (Processi verbali, 1867, 47) 16. Tuttavia vi è chi evidenzia come «gli scrittori si sforzino di dare delle definizioni di queste singole cause di separazione quasi fossero altrettanti concetti giuridici ben distinti. Noi riteniamo che le espressioni della legge non contengano nozioni giuridiche definite, ma mirino a esemplificare i casi più comuni di maltrattamenti coniugali, e anzi si compe-netrino l'un nell'altra; le minaccie, le ingiurie, le sevizie, a seconda delle circostanze, possono diventare eccessi; ogni minaccia in quanto fatta al coniuge è un'ingiuria, e l'ingiuria grave, se ripetuta con insistenza, diviene una sevizia. Sono concetti questi che facilmente s'intendono col comune intuito», fino a concludere che si trattava ali espressioni che si sarebbero potute compendiare nell'unico lemma di 'maltrattamenti coniugali' (Venzi, VII, I, 1927, 459 e 460) 17. 15 Cfr. Annali di statistica (1882), 39-113 e Bosco, 1908. 16 La difficoltà di riempire di significato il vuoto involucro normativo si è manifestata fino alle soglie della riforma del 1975. La Cassazione, ad esempio, ancora tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso, si avviluppava su se stessa nel tentativo di fornire precise chiavi interpretative, definendo eccessi quei comportamenti del coniuge eccedenti i limiti consentiti dall'etica familiare, e rimettendo tuttavia al prudente apprezzamento del giudice di merito la verifica se tali eccessi generassero uno stato di cose tale da rendere obiettivamente insopportabile la vita matrimoniale. Si tentava in tal modo di conciliare estremi opposti: l'oggettiva impossibilità di convivenza era infatti valutata sulla base di apprezzamenti soggettivi, richiamandosi per di più ad un'etica familiare che a sua volta richiedeva un apporto definitorio effettuato sulla base di criteri extra-legali. Sembra di avvertire in questa sentenza (risalente al 16 dicembre 1963, n. 347) l'eco di Luigi Borsari, che nel suo commentario considerava eccessi tutti quei fatti che oltrepassavano una 'ragionevole misura', lasciando aperto l'interrogativo sulla possibilità di individuare un imparziale metro di misura della ragionevolezza (Borsari, I, 1871, 576). Insistera sul punto la Cassazione nel 1971 (sentenza 11 giugno 1971, n. 1773), quando spiegherà che nel concetto di eccessi va compreso tutto ció che esorbita dall'onestà e dalla ragionevolezza, grave tanto da turbare la pace domestica, mentre nel concetto di ingiuria grave rientrano non solo le manifestazioni incompatibili con il rispetto che ogni cittadino deve all'onore e al decoro altrui, ma anche quelle che contrastano con i vincoli di rispetto, di affetto, e di amorevole assistenza che devono regnare tra i coniugi (Cassazione civile, sentenza 10 ottobre 1974, n. 2759). Anche in questo caso un sottile legame si avverte con l'esaustiva esposizione di Borsari, quasi un ponte tra passato remoto e prossimo (Borsari, I, 1871, 577-9). 17 Si ritiene tuttavia che non si tratti di discutere se l'indicazione della legge sia tassativa o esemplificativa, ma di riconoscere la latitudine e la relatività dei concetti adottati dal legislatore. La formulazione ha, per taluni, una spiegazione storica, da ricercare nella loro derivazione dal codice napoleonico: secondo la tradizione tali motivi sarebbero nati insieme (fatta eccezione per le minacce aggiunte successivamente) e poi rimasti uniti nell'evoluzione legislativa (Azzolina, 1951, 69). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Alcuni individuano negli eccessi veri e propri attentati in grado di metiere in perico-lo la vita di colui contro il quale sono commessi (Pacifici Mazzoni, 1867, 293) 18 o che comunque risultino tali da provocare un danno alla sua salute (Bianchi, V, 2, 1901, 580), mentre altri preferiscono ricorrere ad una definizione residuale: l'espressione indichereb-be tutti i fatti di una certa gravità che «senza essere né ingiurie, né sevizie, né minacce, possono pure turbare la pace domestica e rendere impossibile la convivenza» (Sechi, 1894, 33) 19. Per taluni occorre ricomprendere nella dizione di eccessi anche forme di bru-talità «a cui trascendono uomini non sempre perversi, ma dominati da una natura violenta e feroce» (Borsari, I, 1871, 576). Le sevizie sono definite come atti di crudeltà o di barbarie (Gianturco, 1888, 60), azioni tormentose che non pongono in pericolo la vita del coniuge e che in una sorta di graduazione discendente rispetto agli eccessi risultano meno violente ma più abituali degli attentati e dei maltrattamenti (Pacifici Mazzoni, 1867, 293), capaci quindi di rendere insopportabile la vita al coniuge che li subisce, rivelatrici di mancanza assoluta di ogni sentimento di pietà o di commiserazione» (Sechi, 1894, 39), frutto di una crudeltà non iraconda ma fredda (Venzi, VII, I, 1927, 461). Integrano di contro le minacce (una novità introdotta dal codice Pisanelli rispetto all'art. 231 del codice napoleonico, cui il nostro legislatore per buona parte si ispiró) «atti o movimenti severi di mano o di testa e parole aspre con cui si promette altrui o gastigo o vendetta» (Pacifici Mazzoni, 1867, 293) 20, fermo restando che le intimidazioni devono risultare «serie e temibili», essere rivolte al coniuge che chiede la separazione o, al massimo, ad un figlio comune, non rilevando, a questo fine, la minaccia di un male volto a col-pire la persona o i beni di un ascendente o di un discendente (Sechi, 1894, 41). Soprattutto devono essere tali da incutere fondato timore in una persona dotata di «senno ordinario e quando consti che il coniuge il quale se ne renda colpevole, è di carattere violento e facile a passare dalle minaccie all'esecuzione» (Saredo, 1869, 608), cosi da togliere al consorte intimorito ogni tranquillità, procurandogli un continuo stato di agitazione (De Filippis, IX, 1881, 258). In poche parole, la minaccia si sostanzia nel timore di un male si futuro, ma serio (Lomonaco, I, 1894, 491) e prossimo (Bianchi, V, 2, 1901, 587) 21. 18 Tuttavia una sentenza della Corte d'appello di Venezia risalente al 2 ottobre 1889 precisava «che l'essere in pericolo la vita del coniuge, a cui danno gli eccessi sono consumati non e richiesta dalla legge», mostrando una maggiore flessibilita interpretativa rispetto alla dottrina (Foro It., 1889, I, 1127). Sulla stessa linea cfr. Cass. Torino, 31 marzo 1871, in Mon. Trib., 1871, 314. Cosi anche Sechi, 1894, 34. 19 Cfr. anche Corte d'appello di Milano, 9 febbraio 1888, in Mon. Trib., 1888, 226. Al contrario, il medesimo concetto di impossibilita della vita coniugale e da altre corti riferito alle sevizie: App. Venezia, 8 maggio 1900, in Temi veneta, 1900, 33 e 27 aprile 1894, in Temi veneta, 1895, 163. 20 Contesta tale nozione di eccessi Giulio Venzi, che commentando l'opera di Pacifici-Mazzoni cosi si esprime: «a noi sembra eccessivo che possa dar luogo a separazione la promessa di un castigo fatta dall'un coniuge all'altro mediante movimento, sia pure .severo, della mano o della testa. Occorrerebbe per lo meno anche la parola o la mano armata» (Venzi, VII, I, 1927, 459). 21 Si trovano riassunti questi caratteri in Cass. Roma, 4 marzo 1918, in Giur. It., 1918, I, 1, 331. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Più complessa e articolata la nozione di ingiuria, orale o scritta 22, che ricomprende tutte quelle espressioni oltraggiose con cui si attenta all'onore dell'altro coniuge 23, manifestando sentimenti di odio, di disprezzo, di avversione (Pacifici Mazzoni, 1867, 293). Non manca chi vede nell'accostamento delle quattro figure una ratio unitaria, ossia la violenza: le ingiurie sarebbero «nel morale ció che gli eccessi e le sevizie sono nel fisico; le une sono, si puó dire, la violenza nel corpo, le altre nei sentimenti» (Cattaneo-Borda, 1865, 137). E mentre gli eccessi costituiscono sempre e comunque una causa di separa-zione personale, le sevizie, le minacce e le ingiurie dovrebbero rispondere al requisito della gravità (De Filippis, IX, 1881, 258). E' invece da taluno offerta una diversa lettura della mens legis, ritenendo che l'inten-zione del legislatore, nel dettare espressioni dal significato assai simile, non sia stata quel-la «di indicare tassativamente quali fossero le ingiurie, sevizie, ecc. [...] sibbene l'altra di manifestare un concetto generale e direttivo, di cui il giudice dovesse fare applicazione in ciascun caso» (Ricci, I, 2, 1886, 55). Tesi avallata anche da una certa giurisprudenza, per la quale il legislatore, usando queste quattro espressioni, parzialmente sovrapponibili, si era prefisso due obiettivi: «che la coniugale coabitazione [...] non venisse se non per gravi motivi sospesa, e d'altra parte che una tassativa indicazione di cause non vincolasse a coesistenza in unità di famiglia coloro pei quali, o per altro dei quali, divenisse cagione di pericolo o di patimento eccedente i confini di una paziente tolleranza» (App. Milano, 18 aprile 1874, in Giur. It., 1874, 958). Ancora più esplicita in questo senso è una pronuncia della Corte d'appello di Torino, per la quale il legislatore usó i suddetti quattro vocaboli di significato quasi uguale per «dettare una norma generale a cui il giudice dovesse caso per caso uniformarsi» (App Torino, 10 gennaio 1921, in Mon. Trib., 1921, 594). Aderi-sce ad una simile impostazione De Ruggiero, per il quale erravano quegli interpreti che consideravano separatamente le quattro cause: «l'espressione della legge è di intendere come una formula esemplificativa, rivolta non a fissare in fatti determinati separate cause per l'esercizio dell'azione», ma piuttosto a tracciare indicazioni generiche (De Ruggiero, II, 1926, 623). Tale ultima posizione è respinta da Bianchi, per il quale il codice avrebbe stabilito cause distinte l'una dall'altra, senza alcuna volontà meramente enunciativa, come lasce-rebbe invece intuire la massima delle sentenze qui riportate, rimettendo al potere discre-tivo del giudice il solo apprezzamento della gravità delle minacce e delle ingiurie (non anche delle altre due ipotesi, dove la gravità è insita nella natura stessa del fatto 24) e la valutazione del raggiungimento della prova circa i fatti allegati, senza che tale discrezio- 22 L'ingiuria scritta puó essere contenuta sia in una lettera rivolta al consorte che in un documento indirizzato a terzi. 23 Per onore si intende «quella giusta estimazione che noi abbiamo cura di conservare nella pubblica opinione come testimonianza della nostra dignità personale» (Borsari, I, 1871, 577). 24 E' tuttavia una posizione non del tutto in linea con una certa giurisprudenza, come dimostra una sentenza della Corte d'appello di Milano, 9 febbraio 1888 (in Mon. Trib., 1888, 226), in cui si afferma che per le sevizie e gli eccessi la natura del fatto deve essere cosi grave da rendere intollerabile la vita ed impossibile la convivenza, lasciando intendere che anche per queste due figure la corte si dovrebbe pronunciare sul grado di gravità dei comportamenti adottati. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 nalità si estenda fino a pronunciare la separazione per motivi diversi da quelli enunciati dalla legge, anche quando questi siano giudicati dal magistrate di tale gravità da infligge-re sofferenze insopportabili (Bianchi, V, 2, 1901, 576-8). Come si vede, si tratta del tentativo di coniugare un'adesione alla lettera della legge con il potere interpretativo del giudice, utilizzando una logica giuridica che se appare in astratto stringente deve poi in realtà, al di là delle formule espressive, tracciare i limiti operativi dell'attività delle corti. Operazione - come un lungo passato dimostra - quasi sempre velleitaria. Vi è infine chi, più semplicemente, sostiene che il «codice italiano ha adoperato molte parole per comprender tutto» (Vignali, I, 1878, 457), ravvisando quindi nella pluralità terminologica la volontà di abbracciare quante più ipotesi possibili. Gli eccessi, sevizie, minacce e ingiurie possono assumere svariate forme, commettersi in molteplici modi e ammettere un'infinità di graduazioni, non suscettibili di aprioristica determinazioni legislativa (Madia, I, 1891, 122): «il campo è esteso, quasi senza confine» e per questo lo si deferisce «alla saggezza e alla prudenza del magistrate. E il tema potreb-be chiudersi con queste parole [...] se non fosse buon compito della scienza agevolare la via alle pratiche interpretazioni» (Borsari, I, 1871, 577). Nelle richieste di separazione raramente tali cause ricorrono isolatamente: dal momento che non era richiesto il loro concorso cumulativo (Lomonaco, I, 1894, 489), sono poste a fondamento della domanda o tutte insieme o a coppia. E' l'ulteriore riprova della difficoltà a distinguerle e sintomo della preoccupazione del coniuge agente: di fronte all'indeterminatezza normativa e nel timore di vedersi respingere l'istanza per un'errata individuazione del petitum, si preferiva in via cautelare richiamare genericamente tutte le ipotesi, lasciando al giudice l'arduo compito di far coincidere il comportamento concreto con una delle quattro cause. DOTTRINA E PRASSI: PUNTI FERMI E COSTANTI OSCILLAZIONI Puntualizza Pisani Ceraolo, nel tentativo di arginare il pericolo di una deriva giuri-sprudenziale in grado di svuotare di significato il dettato legislativo e la centralità del codice (e quindi dello Stato), che «fino a quando il magistrate ha sotto il suo esame la qualità delle persone è arbitro di ritenere grave o lieve un fatto, ingiurioso o meno, ma quando ha da esaminare diritti, allora non ha più quella latitudine che si crede» (Pisani Ceraolo, II, 1886, 288). Il rischio di un'eccessiva pragmatizzazione e di un ritorno ad un passato dominato da un diritto a vocazione giurisprudenziale sembra suggerire alla dottri-na la messa a punto di parametri in grado di contenere il potere discrezionale del giudice. Letteratura e giurisprudenza concordano che la gravità dei fatti vada apprezzata in modo relativo, con riferimento alla qualità delle persone, alla loro condizione sociale ed età, tenendo altresi conto di una eventuale provocazione da parte del coniuge che domanda la separazione 25 e del contesto di riferimento (usi, costumi, abitudini), spesso diverso 25 Cosi uno schiaffo o un pugno dato dal marito alla propria moglie, che potrebbe essere causa suficiente di separazione tra persone civili e di onesta condizione, non sempre lo e tra le persone del volgo (Madia, Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 da regione a regione: dalla combinazione di tali fattori consegue che ciô che da taluni è avvertito e considerato quale eccesso o ingiuria o sevizia non lo sia per altri. Emergono le prime divisioni quando si tratta di precisare se i quattro comportamenti violenti possano essere invocati dal consorte solo in presenza dell'elemento soggettivo del dolo o almeno della colpa. Se per i più non è suficiente il semplice accertamento oggettivo delle cause stabilite dalla legge, ma occorre anche la prova della volontarietà, non mancano voci dissonanti per le quali bastano fatti obiettivi (tali da distruggere la convivenza matrimoniale), indipendentemente da ogni indagine sulla consapevolezza del soggetto agente. La questione risultava spinosa quando gli atti violenti provenivano da soggetti affetti da condizioni patologiche: la giurisprudenza, in nome dell'unità familiare e appellandosi al dovere di assistenza e di aiuto, fine primo di quel consortium omnis vitae che è il matrimonio, negava in questi casi la separazione 26. Stesso discorso valeva per l'ubriachezza cronica (sia che integrasse gli estremi di una vera e propria malattia, sia allorché si riducesse a mero vizio 27): per quanto potesse ren-dere penosa la convivenza essa non poteva, in sé, annoverarsi fra le cause di separazione. In entrambi i casi vi è da parte delle corti il tentativo di rimanere in qualche modo fe-deli al dettato normativo: dal momento che la malattia e l'ubriachezza non erano annove-rate esplicitamente tra le cause di separazione e poiché queste ultime, come si è più volte ricordato, rivestivano il carattere della tassatività, non era ammessa forzatura della legge. Al tempo stesso, in una visione complessiva dei principi generali informatori del diritto, laddove la malattia rendesse il soggetto incapace di intendere e di volere, il magistrato non poteva che rilevare l'irresponsabilità delle azioni commesse. Per talune corti, tale irresponsabilità veniva meno se si intervallavano a momenti di incapacità lampi di lucidità, sufficienti ad acquisire consapevolezza che l'assunzione di bevande alcoliche poneva l'individuo nella condizione di commettere eccessi e sevizie (App. Milano, 28 novembre 1919, in Giur. It., 1920, 96). Particolarmente accesa e dibattuta era la questione che vedeva al centro della richiesta di separazione la trasmissione di una malattia venerea 28. Una prima difficoltà nasceva dall'individuazione della possibile categoria di riferimento fra le quattro indicate dal co- I, 1891, 122). Lo stesso vale per le locuzioni verbali, gravissime per donne appartenenti a classe sociali elevate o di raffinata educazione e percepite di nessun valore da persone di infima estrazione, «per le quali le espressioni in generale sono assai meno convenienti e misurate» (Saredo, 1869, 608). Anche la giurisprudenza fa riferimento a circostanze di tempo, di luogo e di persona (App. Milano, 4 luglio 1887, in Mon. Trib. 1887, 617), oppure richiama la condizione dei coniugi e il modo in cui l'offesa avviene (App. Milano, 8 dicembre 1887, in Mon. Trib., 1888, 122). Cfr. anche Cass. Torino, 19 novembre 1910, in Repertorio, LXII, 436 e App. Napoli, 10 febbraio 1913, in Repertorio, LXV, 454. 26 Si veda App. Napoli, 13 settembre 1933, in Mon. Tribunali, 1934, 476 che rifiutô la separazione richiesta nei confronti di un marito brutale e violento a causa di una psicosi degenerativa e paranoica. 27 Sul punto, App. Milano, 16 luglio 1919, in Mon. Trib., 1919, 657, per la quale «non giustifica la separazione personale dei coniugi per colpa della moglie il fatto che questa sia dedita al vizio dell'ubriachezza». Si veda anche Cass. Torino, 6 novembre 1920, in Mon. Trib., 1921, 560. In senso contrario perô la stessa corte di Milano, 7 febbraio 1913, in Mon. Trib, 1913, 254. 28 Un'ampia trattazione è riservata da Azzolina, 1951, 76-81. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 dice, un dibattito che non si risolveva in una semplice disputa nominativa, ma coinvolge-va altri più significativi aspetti. Farebbe propendere per una qualificazione del contagio venereo come 'eccesso' la lettura degli atti della commissione coordinatrice del codice, da cui risulta che la scelta di conservare l'autonoma classe degli 'eccessi' nasceva proprio dalla necessità di offrire una specifica casella di inquadramento all'infezione derivante da lue venerea, non catalo-gabile né come sevizia né come ingiuria (Processi verbali, 1867, 47). La giurisprudenza, invece, pur lamentando una certa lacunosità normativa 29, considera la comunicazione della lue ora come eccesso 30 ora come ingiuria reale 31, sollevando le perplessità di un attento osservatore come Francesco Saverio Bianchi 32, per il quale, se si considera il fatto come mera ingiuria, il tribunale, pur dichiarandolo provato, avrebbe campo libero nell'apprezzarne la gravità e una volta rilevatane l'insufficienza potrebbe negare la separazione. Una soluzione evitabile se si considerasse la trasmissione di morbo sifilitico un eccesso: una volta accertato il fatto, la corte non potrebbe respingere in alcun modo la richiesta di separazione alla quale il coniuge offeso avrebbe pieno diritto ex art. 149 (Bianchi, V, 2, 1901, 580-2). Di diverso avviso il Ricci, il quale, pur convenendo sulla possibilità di considerare il contagio venereo un eccesso, aggiunge tuttavia che «se tale fatto non sia accompagnato da una vita sregolata, che faccia ragionevolmente temere la ripetizione del medesimo» (Ricci, I, 2, 1886, 56), la moglie non dovrebbe poter chiedere la separazione. Un ragiona-mento che a ben guardare introduce un elemento, quello della ripetitività, non espressa-mente richiesto dal legislatore. Se le posizioni dei due autori riflettono le premesse di partenza della loro speculazio-ne scientifica, insistendo il Bianchi sulla tassatività delle cause ex artt. 150-152 e sulla intrínseca gravità degli eccessi (come si è ricordato in precedenza), il Ricci, invece, sulla volontà del legislatore di fornire mere direttive non vincolanti, appare evidente l'esito di siffatti orientamenti: Bianchi, restringendo l'ambito interpretativo del giudice, afferma il diritto del coniuge ad ottenere la separazione sulla base di meri riscontri oggettivi, dilatando cosi le possibilità di accoglimento della domanda; Ricci, al contrario, ampliando la sfera di ingerenza del magistrate, finisce per subordinare il tutto alla sensibilità soggettiva dell'autorità giudicante, che potrà cosi rigettare l'istanza presentata pur in presenza di una circostanza provata e valida per legge. Di nuovo lo scontro è fra una propensione e una preclusione all'istituto della separazione. Non è questo il solo profilo di discordia. Vi sono infatti decisioni che richiedono a fondamento della domanda la consapevolezza del coniuge del proprio stato e la volonta- 29 Si veda in questo senso la nota alla sentenza di App. Milano, 6 novembre 1866, in Mon. Trib. 1867, 942, in cui si rileva nella qualificazione come ingiuria della trasmissione del morbo sifilitico una certa forzatura interpretativa, dovuta alla mancata previsione fra le cause di separazione dei costanti difetti corporali e pericolo di contagione, contemplata invece dal codice austriaco, della cui applicazione il Regno Lombardo-Veneto aveva beneficiato dal 1816. 30 Cass. Torino, 25 febbraio 1885, in Annali, 1885, 341. 31 App. Genova, 20 luglio 1866, in Annali, 1866, 35; App. Milano, 6 novembre 1866, in Mon. Trib., 1867, 942. 32 Sulla figura e il pensiero di questo autore si rinvia a Solimano, 2010, 203-248, Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 rietà di contagiare il consorte 33, ma si registrano anche interventi di segno opposto, vólti a concedere la separazione prescindendo da ogni accertamento di cognizione colpevole o dolosa nel marito 34. Altrettanto articolato è il dibattito dottrinale. Unanimemente si ritiene possibile la concessione della separazione nel caso in cui il morbo, comunque contratto, sia stato comunicato scientemente al consorte, mentre nel caso di trasmissione inconsapevole si operano ulteriori distinguo tra contagio acquisito accidentalmente (che non darebbe luogo a separazione, ma a "reciproca rassegnazione") o per «coito impuro o adulterino», dove la trasmissione della malattia sifilitica avrebbe un diverso rilievo a seconda se a contagiare il partner sia l'uomo o la donna 35. In questi casi opererebbero i principi generali validi in tema di adulterio: per cui, se la colpa ricadesse sulla moglie, la separazione sarebbe da concedersi sempre; per il marito occorrerebbe accertare che egli conduceva una vita sregolata tale da far ragionevolmente temere la ripetizione del contagio 36. In una battuta, 33 Fra le tante, ricordo una sentenza della Corte d'appello di Milano risalente al 1920, la quale respingeva la richiesta avanzata da una donna che accusava il marito di aver trasmesso la sifilide a lei e al figlio, deceduto in conseguenza della malattia cosi contratta. Secondo la Corte, affinché il contagio sifilitico potesse costituire giusta causa di separazione, esso doveva ricollegarsi alla consapevolezza da parte del coniuge di esserne affetto e di poter potenzialmente diffondere il morbo. La pronuncia conteneva anche riprovazione per ogni altra interpretazione dottrinale e giurisprudenziale difforme, considerata in contrasto con il sistema del codice, alla cui base vi era la volontà di salvaguardare le finalità etiche del matrimonio (App. Milano, 25 febbraio 1920, in Giur. It., 1920, 98). La sentenza fu confermata in cassazione (Cass. Torino, 22 marzo 1921, in Giur. It., 1921, 795). Cfr. anche Cass. Torino, 4 novembre 1913, in Repertorio, LXV, 454, dove si legge: «il fatto materiale dell'inficiamento venereo non costituisce causa di separazione se non è accompagnato dal dolo o dalla colpa. Ció non si ravvisa nell'inficiamento fatalmente avvenuto a causa di un antico malore, rimasto latente, e che nei coiti appassionati e ripetuti abbia riacquistato la virulenza primitiva». 34 Se manca il deliberato proposito non si puó parlare di sevizia, che presuppone l'animo malvagio, ma neppure si configura l' ingiuria, che deve essere sempre accompagnata dell'animus injurandi, e pertanto puó, più genericamente, ritenersi eccesso, espressione che ricomprende quei fatti che, per trascuratezza delle norme della più elementare prudenza, recano danno alla salute dell'altro coniuge: cosi Cassazione di Torino, 24 febbraio 1885, in Sechi, 1894, 36, nt. 217. Una posizione di più ampio respiro si registra in una pronuncia della Corte di appello di Torino, in cui si afferma che l'art. 150 «non richiede affatto che gli eccessi, sevizie, ecc. siano praticati col pravo intendimento di nuocere o che per se stesse arrechino o possano arrecare un danno reale od eventuale alla salute od integrità personale del coniuge che li subisce» (10 gennaio 1921,Moni. Trib., 1921, 594). 35 Cfr. Vignali, I, 1878, 458, il quale esclude comunque che la trasmissione di lue venerea da parte del marito integri l'ipotesi di ingiuria. Il fatto rileverebbe solo se si ravvisasse nell'uomo la volontà e il «pravo disegno di pregiudicare la di lei salute». 36 Cfr. Borsari, I, 1871, 579, per il quale la semplice trasmissione di malattia venerea non integra in sé un'ingiuria grave, mancando nel marito l'animo di offendere la moglie: «Solo in caso di recidiva o di abitualità si potrebbe fare istanza per la separazione a causa della salute». Per Ciccaglione la comunicazione della lue si configura sempre come eccesso se si tratta di un'infermità anteriore al matrimonio e nota al coniuge che ne era affetto, tanto più grave se accompagnata da deliberato proposito; all'eccesso si aggiunge l'ingiuria grave se la malattia venga contratta dopo le nozze, anche qualora non vi sia alcun elemento intenzionale nel contagio, perché ció sarebbe comunque prova di un'avvenuta infedeltà coniugale. Se invece vi sia ignoranza della malattia e buona fede, non vi sono gli estremi né dell'eccesso né dell'ingiuria se si tratta di situazione preesistente al matrimonio; ma in ogni caso l'ultima parola spetterebbe al magistrato, l'unico in grado di vagliare le circostanze e sulla base di quelle pronunciarsi (Ciccaglione, 1891-1896, 834). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 si puo dire che «la comunicazione del male venereo non è per se stessa un'ingiuria grave, ma puo addivenirlo di seguito alle circostanze che l'accompagnino» (Cattaneo-Borda, 1865, 137). Risultava abbastanza complessa la possibilità di richiedere la separazione per gene-rici maltrattamenti, causa espressamente prevista dai codici austriaco e parmense ma assente nel codice del '65, in base al quale era necessario ricondurre i maltrattamenti sotto l'egida dell'art. 150 37. Nessun dubbio se si trattava di comportamenti tali da mette-re in pericolo la vita o la salute del coniuge (in questo caso era certa la loro sussunzione nel tipo 'eccessi'). Ma, ad esempio, la Suprema corte fiorentina si chiedeva se, al di fuori di questa ipotesi, si potesse coniare per i maltrattamenti l'espressione di «eccessi meno gravi» qualora si ravvisassero i termini «delle sevizie o minaccie che tolgono la tranquillità» (Cass. Firenze, 26 giugno 1875, in La Legge, 1875, 782). La massima giurisprudenziale sollevo le perplessità del solito Bianchi, intollerante di fronte ad una simile commistione lessico-concettuale che finiva per equiparare i maltrattamenti ad atti di crudeltà (le sevizie), pur non essendolo, o ad una intimidazione futura (minaccia) che nulla aveva a che spartire con la perpetrazione di un male attuale. Semmai, a detta del giurista piacentino, i maltrattamenti rispondono all'idea di ingiuria e dovrebbero per-tanto, al pari di quella, integrare il requisito della gravità, rimesso al mero sindacato del giudice (Bianchi, V, 2, 1901, 582-4). Se talvolta indicatore della gravità era la ripetitività o l'abitualità della violenza, ta-laltra un solo fatto poteva bastare, qualora, sempre in base al prudente apprezzamento dell'autorità giudicante, fosse in sé cosi molesto da rendere impossibile il proseguimento della convivenza 38. Si rinvengono cosi sentenze che respingono domande di separazione presentate da donne vittime di percosse, schiaffi, bastonate. A detta delle corti a mancare era il requisito della ripetitività e continuatività delle battiture 39: si assiste ad un soprassalto di tradizio-ne, poiché questi erano gli stessi parametri addottati fin dalle origini dalla giurisprudenza rotale. Si profilava, pertanto, una spregiudicata commistione tra valori ecclesiastici e laici in uno Stato che si era erto all'insegna del separatismo. E cosi, quasi ad evocare un antico ius corrigendi in capo al marito, vi sono commen-tatori che, avvalendosi dei contributi degli esponenti della scuola dell'esegesi francese, 37 Critico De Ruggiero, per il quale l'art. 150 utilizza quattro formule per esprimere in realtà il solo concetto di maltrattamenti, l'unica espressione che si sarebbe meglio prestata semanticamente e concettualmente ad esprimere lo spirito della legge (De Ruggiero, II, 1926, 623). 38 Cfr. Cass. Torino, 12 settembre 1894, in Giur. It., 1894, 1098, la quale puntualizza che «vi puô essere un fatto di sevizie tanto grave, vi puô essere un motto d'ingiuria tanto atroce, da costituire per sé solo una giusta causa di separazione, rivelando nel coniuge che se ne rendesse colpevole una pravità tale di animo da alienargli a buona ragione ed in modo assoluto ogni sentimento di affetto, di rispetto e di stima per parte dell'altro coniuge». Cfr. anche Cass. civile, 14 giugno 1927, in Mon. Trib., 1927, 688, per la quale puô bastare un solo atto, ma tale da rendere impossibile una ulteriore convivenza. Di segno opposto Cass. Roma, 27 marzo 1875, per la quale occorrono ingiurie e sevizie ripetute (in Giur. It., 1875, 482). 39 Era sufficiente sostenere che si era trattato di un'esplosione isolata di violenza, frutto di una momentanea irritazione sorta nel marito a causa del contegno della moglie (App. Torino, 5 febbraio 1870, in Mon. Trib., 1870, nt. 11, 405). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 vietavano alle mogli la possibilità di adire i tribunali per far cessare la convivenza con un marito che le maltrattasse e le percuotesse, purché non eccessivamente, «per causa de' loro disordini» (Cattaneo-Borda, 1865, 137) o per aver messo a dura prova la pazienza dei loro consorti con discorsi oltraggianti (Madia, I, 1891, 122). Teoria che forse poteva accettarsi in altri tempi, «quando anche i verbi s'imbeccavano nelle scuole a suon di ner-bo» - ironizza Lomonaco - ma che non trovava più alcuna possibilità di essere accolta: al marito, a detta dell'autore, non è riconosciuto alcun diritto di ricorrere alle percosse leggere e nel caso in cui lo faccia nessun tribunale potrebbe respingere la domanda di separazione personale promossa dalla moglie (Lomonaco, I, 1894, 491) 40. Vi sono tuttavia - come si è anticipato - alcune pronunce giudiziali che preferiscono far leva sulla gravità intrinseca del fatto anziché sulla insistenza comportamentale, a patto che sussista un ragionevole timore di una possibile ripetizione e che ció renda insoppor-tabile la convivenza 41 o che il fatto, anche se unico ed episodico, sia tale da offendere l'amor proprio di un coniuge, turbando quello stato di reciproca benevolenza alla base dell'unione coniugale 42. E' davvero infinta la casistica integrativa ora di sevizia ora di ingiuria ora di eccessi: il ferimento della moglie nel corso di un rapimento posto in essere dal marito per ricondurre la donna nella casa coniugale da cui si era illegittimamente allontanata 43, l'error vergini-tatis 44, il costringere la moglie ad atti sessuali contro natura (Degni, 1940, 102) o anche ad attività sessuale cosi intensa da mettere in pericolo la salute del partner (Sechi, 1894, 35-6), l'uso di strumenti anticoncezionali nel caso in cui si tratti di sposi giovani, in buona salute e senza figli 45, il rifiuto costante, senza motivo, di adempiere il debito coniugale 46, l'obbligo alla convivenza con una pestifera suocera o con figli avuti da un'altra donna 47, il tacciare la moglie di essere una meretrice o un mostro, e averlo fatto davanti ai figli 40 Tuttavia, ancora nel 1908, la Corte d'appello di Messina ammetteva che la redazione di un testamento da parte della moglie di nascosto dal marito e il non voler subire con rassegnazione i maltrattamenti di costui causati da detto testamento davano ragione al marito di avanzare richiesta di separazione per colpa della donna, alla quale il tribunale effettivamente addebitó la fine della convivenza (11 marzo 1908, in Repertorio, 1908, 475). 41 App. Roma, 27 marzo 1875, in Giur. It., 1875, 482. 42 Trib. Cagliari, 7 dicembre 1917, in Repertorio, LXIX, 285. 43 App. Torino, 8 maggio 1870, in Giur. It., 1870, 184. Singolare la posizione della corte, che rifiutó di considerare il tentativo di ratto un eccesso, sevizia o ingiuria. Lo diventava, secondo la pronuncia (e autorizzava perció la moglie a chiedere la separazione) se, eseguito a mano armata, sfociava nel ferimento della donna, non rilevando a questo fine se ció avvenisse per deliberata volontà o solo per imprudenza. 44 App. Venezia, 10 aprile 1906, in Repertorio, LVIII, 491. La sentenza ravvisava ingiuria grave nel fatto che la moglie, nonostante le formali rassicurazioni prestate prima del matrimonio circa la propria verginità, risultasse invece già deflorata. In contrapposizione, una sentenza della Corte d'appello di Torino riteneva integrati gli estremi dell'ingiuria atroce legittimante la separazione per colpa del marito se costui aveva costretto la moglie a sottoporsi ad intervento chirurgico per procurarle artificialmente la deflorazione e dissimulare cosi la propria impotenza (21 febbraio 1903, in Giur. It., 1903, 450). 45 Trib. Milano, 28 aprile 1914, in Rep. Foro it., 1915, 1097. 46 App. Milano, 16 marzo 1920, in Giur. It., 1920, 263, da cui emerge che il marito si asteneva costantemente da rapporti sessuali con la moglie adducendo un profondo disgusto fisico per la sposa. La corte ravvisó gli estremi per concedere la separazione alla donna per ingiuria grave. 47 App. Palermo, 12 novembre 1912, in Giur. It., 1912, 57. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 senza che la donna abbia mai fornito motivo per essere cosi maltrattata 48, la tolleranza del marito alle offese pronuncíate da altri contro la consorte 49, lo sperpero operato dal marito delle sostanze della moglie 50, l'abitudine al gioco degenerata in vizio 51. Costituiva inoltre ingiuria il rinfacciare alla moglie difetti fisici che il marito, per la loro evidenza, non poteva ignorare prima del matrimonio o il proclamare di preferire una morte violenta alla prosecuzione della convivenza (in un caso di specie, il marito affer-mava di aver affrontato un duello per farsi uccidere pur di liberarsi della presenza della donna) 52, o il sottrarre immotivatamente ad una donna l'amministrazione delle faccende domestiche, umiliandola davanti ai servi, o impedire senza alcun legittimo motivo alla madre di allattare 53, o il diffamarla di fronte ai figli 54 o il non averla assistita durante una malattia 55, a dimostrazione che ad integrare un'ingiuria non era necessario un fatto positivo, bastando a volte un'omissione 56, o l'averle impedito di osservare i precetti della propria fede 57, o il rifiuto di procedere alla pattuita celebrazione religiosa del matrimonio dopo il rito civile (Saredo, 1869, 609) o il persistente diniego, in caso di nozze cattoliche, di battezzare i figli 58, dal momento che, oltre all'onore, vi erano comportamenti offensivi di principi o sentimenti profondamente radicati, come quello religioso o politico (Borsari, I, 1871, 577). Anche le relazioni troppo intime tenute da uno dei due coniugi con altra persona po-tevano integrare l'ipotesi di ingiuria, pur mancando la prova di adulterio 59, e lo stesso poteva dirsi dell'occultamento di gravidanza anteriore al matrimonio ad opera di soggetto diverso dal marito 60, o l'aver tenuto a lungo nascosta al marito la figlia comune, impeden- 48 App. Casale, 25 maggio 1869, in Gazz. Trib., 1869, 537. 49 App. Casale, 16 luglio 1883, in Giur. cas., 1883, 261. 50 Trib. Taranto, 21 maggio 1937, in Rep. Foro it., 1938, 177. 51 App. Genova, 11 marzo 1932, in Rep. Foro it.., 1932, 1518. 52 Entrambe le situazioni sono specificate dalla Corte d'appello di Torino, 1° agosto 1868, in Giur. It., 1869, 682. 53 App. Torino, 3 agosto 1868, in Giur. It., 1869, 692. 54 App. Firenze, 25 giugno 1875, in La Legge, XV, 1, 782. 55 App. Genova, 24 febbraio 1872, in La Legge, XII, 1, 877. 56 In questo senso si veda App. Casale, 4 febbraio 1887, in Giur. cas., VII, 120, in cui la corte accordô alla moglie la separazione per colpa del marito, dal momento che quest'ultimo non l'aveva difesa contro gli attacchi licenziosi commessi dal suocero. 57 App. Genova, 17 dicembre 1866, in Gazz.Trib., XIX, 1, 422. 58 Trib. Cagliari, 28 maggio 1911, in Repertorio, LXIII, 437. In questo come nel caso precedente sembra necessario un preventivo accordo tra i coniugi, perché il solo rifiuto di far seguire al rito civile il matrimonio religioso o di impartire il sacramento del battesimo al figlio nato da matrimonio anche religioso di per sé non integrava nessuno degli estremi ex art. 150 (Ciccaglione, 1891-1896, 836). 59 Cfr. Cass. Torino, 24 febbraio e 15 aprile 1875, in Giur. It., 1875, 306 e 619; App. Venezia, 13 giugno 1884, in Temi Veneta, 1884, 383 e 15 dicembre 1891, in Temi Veneta, 1892, 89. 60 App. Brescia, 19 maggio 1890, in Mon. Trib., 1890, 935, nella quale il tribunale individua nella gravidanza dissimulata una comportamento che ingiuria l'uomo sia prima che dopo le nozze: prima, perché viene tradita la buona fede dell'uomo, che, se informato, non avrebbe contratto matrimonio: dopo, perché la nascita del figlio reca offesa alla sua dignità e onore. Ed è ingiuria tanto più grave se alla gravidanza segue il parto, di cui il marito è tenuto all'oscuro, nella casa maritale (App. Venezia, 4 ottobre 1889, in Mon. Trib., 1890, 122). Si inciampa ancora nella confusione terminologica quando alcuni autori, più che contestare il fondamento del fatto, si dissociano dalla classificazione operata dalle corti, ritenendo preferibile alla Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 do all'uomo di vederla 61. Si richiede invece costantemente che le espressioni ingiuriose siano pronunciate con l'intenzione di offendere, mentre non rileverebbero parole, atti, fatti, scritti che, se pure di natura ingiuriosa, si propongano di «richiamare il coniuge ad una vita corretta, rimproverandogli le colpe di cui si fosse macchiato» (Bianchi, V, 2, 1901, 591) 62. Perfino l'allontanamento forzato dalla casa coniugale, accompagnato dal divieto di farvi ritorno, determinati dall'idea di voler vivere con un'altra donna, costituisce un'in-giuria grave per la moglie, sia per l'offesa personale subita che per la perdita di stima sociale e pubblica (App. Casale, 16 luglio 1886, in Giur. cas., 1886, 231) 63. In forma quasi riassuntiva si esprime la Cassazione di Palermo quando afferma che costituiscono ingiuria grave la mancanza di prudenza nei rapporti tra coniugi, i reciproci dispetti, le maldicenze e le incompatibilità di carattere. Formule, come si intuisce, generiche che fi-niscono per riproporre anche la causa più vaga di tutte, ossia l'incompatibilité caratteriale di rivoluzionaria memoria (16 febbraio 1889, in Mon. Trib., 1889, 938) 64. Appare poi significativa una sentenza della Cassazione del 1930, in cui si afferma che anche i maltrattamenti subiti dalla moglie ad opera del figlio del marito giustificano la richiesta di separazione, respingendo la tesi, sostenuta invece dalla corte d'appello, che le sevizie, le minacce e le ingiurie debbano provenire direttamente dal marito. La posizione qualificazione di ingiuria quella di eccesso (Sechi, 1894, 33, nt. 4). La donna puó opporre alla domanda di separazione la prova della consapevolezza della gravidanza da parte del marito, il quale invece, in caso di accoglimento della domanda di separazione, potrà chiedere alla moglie un risarcimento per i danni materiali e morali sofferti. Più in generale, è possibile affermare che se i fatti costituenti ingiuria devono essere avvenuti dopo la celebrazione del matrimonio, vi sono situazioni antecedenti al matrimonio che legittimano la richiesta di separazione. Ció avviene quando la donna celi allo sposo comportamenti in grado di gettare discredito sull'ignaro coniuge, esponendolo al ludibrio pubblico. In questo senso si era espressa la Corte di appello di Torino, 15 aprile 1898, in Foro it., 1890, 1024, riconoscendo che «una tresca tenuta dalla sposa anteriormente al matrimonio, e da essa con artifizio e inganno occultata allo sposo, puó costituire ingiuria grave contemplata dalla legge come motivo di separazione personale». Di parere opposto Borsari, per il quale le ingiurie gravi cui si riferisce il codice devono essere avvenute in costanza di matrimonio, non essendo tecnicamente possibile ritenere integrata un'ingiuria nei confronti di chi non si è ancora sposato: «la dissimulazione non puó passare in ingiuria nel senso della legge [...], il silenzio in certi casi puó essere riprovevole, tuttavia sarebbe forzare la natura dei vocaboli il dire che il silenzio è un'ingiuria grave all'effetto della separazione. La legge non fonda l'azione di separazione su fatti precedenti il matrimonio [.] una donna caduta in fallo quand'era libera, puó essere pure una buona moglie» (Borsari, I, 1871, 5789). E' una linea interpretativa accolta anche da Venzi, VII, I, 1927, 464. 61 App. Milano, 7 luglio 1908, in Repertorio, LX, 475. 62 Cosi non sarebbe causa di separazione per colpa l'istanza presentata dalla moglie per far constare, mediante perizia medica, l'impotenza del marito al fine di ottenere l'annullamento del matrimonio (Cass. Torino, 10 aprile 1891, in La Legge, 1891, XXI, 1, 767), a meno che il procedimento di annullamento di matrimonio non sia intentato maliziosamente dalla donna invocando un'impotenza insussistente al solo fine di infamare il marito: in questo caso la separazione puó essere concessa ex art. 150 per ingiuria atroce (App. Milano, 20 dicembre 1887, in Mon. Trib., 1888, 55). 63 Cfr. anche App. Genova, 19 luglio 1905, in Mon. Trib., 1905, 993. 64 La sentenza è interessante anche da un altro punto vista. La Cassazione mostra un'adesione stricto sensu alla lettera della legge, annullando la sentenza d'appello che non aveva risposto ad una domanda cruciale nel valutare gli oltraggi perpetrati come sconvenienti: questi giunsero a un punto tale da costituire ingiuria grave? E' solo questo a rilevare per legge, «non i dispettuzzi, non il discorrere di fatti non veri, non la incompatibilità di carattere congenito. La corte non disse, e doveva dirlo» (cfr. Il foro catanese, X, 1890, 183). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 dei giudici di secondo grado - osserva la Suprema Corte - condurrebbe «all'assurdo di costringere la moglie a vivere nella famiglia del marito anche quando questi, invece di maltrattarla di persona, la facesse maltrattare da terzi, o potendolo, non impedisse che la moglie, nella propria casa, sia fatta oggetto di continui maltrattamenti da parte dei fami-gliari» (Cassazione civile, 26 luglio 1930, in Mon. Trib., 1931, 432). Per giustificare la separazione non era invece richiesto dalla legge che l'ingiuria grave, qualora verbale, fosse pronunciata in luogo pubblico, circostanza che agiva come aggravante (Pacifici Mazzoni, 1867, 294), dal momento che «l'ingiuria puó esser grave, ancorché fatta in privato» (Bianchi, V, 2, 604). Concordava la giurisprudenza, per la quale l'art. 150 «esige che l'ingiuria sia grave, ma non richiede punto che la medesima sia pubblica» 65. Sebbene di regola non si potesse eccepire contro la domanda di separazione la reci-procità dei torti, una compensazione era eccezionalmente possibile nel caso di ingiurie di pari gravità 66. UNA SINTESI Si nota nella giurisprudenza la volontà di trovare parametri e criteri in grado di co-stituire punti di riferimento costanti nella varietà delle possibili fattispecie concrete. Si chiede al magistrato un prudente apprezzamento e cautela valutativa, cosicché la separa-zione rappresenti l'estrema ratio cui ricorrere per rimediare ad una convivenza divenuta odiosa. Egli dovrà si soppesare le singole circostanze, ma riconducendole entro un quadro complessivo di riferimento: la gravità del fatto, commisurata in ragione della possibilità che il comportamento del coniuge distrugga o meno l'armonia e la tranquillità del menage familiare; la ripetitività dei gesti oltraggiosi, in modo che non sia un singolo fatto isolato a pregiudicare il mantenimento dell'unione coniugale; la volontarietà degli stessi, cosi da escludere parole o gesti espressione di un'ira momentanea; la gratuità, tanto da respingere la richiesta di separazione quando reazioni anche violente del marito siano indotte o provocate dagli atteggiamenti della donna. Cosi le accuse rivolte da un uomo contro la propria consorte non hanno il carattere di gravità necessario per la domanda di separazione quando da alcuni indizi (voce pubblica o lettere) egli sia indotto a sospettare della condotta di lei (App. Casale, 26 novembre 1880, in Giur. cas., 1881, 77) fino a metterne in discussione la fedeltà (App. Milano, 6 giugno 1919, in Mon. Trib., 1919, 371). Neppure le percosse inferte dal marito alla moglie in conseguen-za di comportamenti scandalosi da lei tenuti attribuiscono alla donna il diritto di chiedere la separazione (App. Casale, 18 febbraio 1881, in Giur cas., 1881, 200). 65 App. Torino, 2 ottobre 1866, in Giur. It., 1867, 529. 66 App. Milano, 4 luglio 1887, in Mon. Trib., 1887, 617. Era quindi necessario che le ingiurie fossero più o meno eguali, non potendo applicarsi una mutua compensazione allorché il giudice, sempre a suo insindacabile giudizio, ravvisasse una colpa in uno dei coniugi maggiore e tale da giustificare la separazione a suo carico. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Ma il vero metro indicatore è che i gesti, le parole, i fatti, qualunque veste concreta assumano, siano tali da rendere impossibile, intollerabile e insopportabile la continuazio-ne della vita coniugale. La rassegna fin qui svolta mostra una certa apertura della magistratura verso la separazione (sebbene si debba tener conto delle diversité intercorrenti fra le varie aree geografi-che e fra zone urbane e rurali 67), maggiore di quanto non avvenga in dottrina che, pur con le dovute eccezioni 68, appare più restia ad estendere le maglie interpretative della legge 69. Una dottrina che sembra dominata da un certo dogmatismo, attenta più a profili teorici che non ad interrogarsi sulle ricadute pratiche del disposto legislativo. Al tempo stesso anche le sentenze registrano atteggiamenti non univoci. Basti pensare ad una sentenza della Corte d'appello di Torino in cui una donna, che lamentava maltrattamenti subiti dal marito, si vide respingere la richiesta di separazione, anche se tre medici avevano rilevato in momenti diversi contusioni al braccio, alla mano e simili e alcuni testimoni avevano deposto sul fatto di aver assistito ad insulti e a schiaffi dati alla moglie per aver scordato di inviare il pranzo nelle ore di lavoro. Il tribunale ritenne che le lesioni subite dalla donna non fossero da ritenersi gravi o pericolose, «condizione questa indispensabile per poterle caratterizzare quali eccessi o sevizie», e lo stesso valeva più in generale per il comportamento del marito, che, sebbene non potesse definirsi «moderato né cortese, è lungi tuttavia dal poter essere qualificato qual eccesso o sevizie» (App. Torino, 15 dicembre 1868, in Giur. It., 1869, 929). E si ammonisce altresi i tribunali ad andare cauti nel concedere la separazione, tanto che i dissidi domestici, accompagnati da ingiurie e scene gravi e frequenti, non sono ragioni sufficienti a far pronunciare la se-parazione qualora i coniugi siano sposati ormai da lungo tempo, abbiano avuto parecchi figli e le accuse siano state reciproche (App. Genova, 4 novembre 1868, in Gazz. Trib., XXI, 7, 1869, 99), sebbene dalla lettura della sentenza emerga come il marito da più di un anno si era reso responsabile di abituali sevizie, eccessi, imprecazioni, minacce verso la moglie, i figli (avviati contro il parere di tutti i conoscenti e i familiari ad una carriera da lui imposta) e la suocera (allontanata dalla casa in cui conviveva con la figlia e il genero dal tempo del loro matrimonio), situazioni tutte provate con più testimoni, ma che la corte, trincerandosi dietro i sacri principi del diritto canonico costantemente richiamato, giustifica e scusa oltre ogni accettabile limite. 67 Cfr. Ungari, 2002, 188, in cui si evidenzia che il fenomeno delle separazioni interessa soprattutto le aree settentrionali e la capitale, mentre rimane semi sconosciuto nel resto dell'Italia centrale, nel Mezzogiorno e nelle isole. 68 Si tratta di un'apertura non disdegnata da taluni autori, come Saredo, per il quale «ogniqualvolta v'è motivo serio di separazione, e i tentativi di riconciliazione siano riusciti inefficaci, il magistrato non deve esitare a pronunciarla, perché ogni sentenza che la rifiuti e condanni due coniugi che si odiano a vivere insieme, puô essere causa d'incalcolabile calamità» (Saredo, 1869, 609). 69 Non è estraneo a questo atteggiamento un maggior legame dei giuristi ed una loro fedeltà ai canoni ermeneutici impiegati dagli autori francesi per spiegare il codice napoleonico. La sensazione è che spesso il nostro primo codice unitario sia letto alla luce dei contributi offerti di vari Theillard, Dalloz, Merlin, Zachariae, Demolombe, Toullier e via di seguito, della cui esperienza era possibile avvalersi per quella presunta omogeneità d'ispirazione tra il codice transalpino e il nostro. Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Al di là tuttavia di alcune significative pronunce, talune corti mostrano di sfruttare l'appiglio di una certa vaghezza ed indeterminatezza della formulazione normativa per accogliere il più possibile le istanze presentate da partners incolpevoli. La giurispruden-za mostra serietà più che severità nel concedere la separazione, alla ricerca di equilibrio tra mantenimento dell'unità e della stabilità della famiglia quale strumento di garanzia dell'ordine sociale e argine contro la corruzione dei costumi e volontà di ascolto delle ragioni delle parti. Rapporti coniugali logori al loro interno ma dall'apparente solidità ve-nivano smantellati qualora le relazioni esistenti non corrispondessero all'idea di famiglia quale luogo di comunanza di intenti e condivisione di veri affetti, rivelando paradossal-mente una coerenza con gli assunti di partenza circa la funzione etica e morale (prima ancora che giuridica) della stessa. Si nota inoltre la crescente volontà delle donne di reagire di fronte a vite matrimoniali divenute intollerabili: la loro voce si leva comunque alta ed insistente per denunciare e chiedere giustizia, anche se talvolta era una voce destinata a rimanere inascoltata. Forse è questo l'aspetto che più di altri dimostra l'avvenuto transito dall'ancien régime al liberalismo ottocentesco: quelle donne che ancora non godevano né della piena capacità d'agire né di diritti politici, che vivevano in una situazione culturale di inferiorità 70, trovavano la forza e il coraggio di adire i tribunali e di porsi come soggetti processualmente attivi. Di fronte a sacche di silenzio e di rassegnata sopportazione che ancora interessavano la nostra penisola 71, vi erano mogli e madri pronte a esercitare quel diritto che l'art. 149 riconosceva loro, rivendicando una legittima aspirazione al riconoscimento di un propria dignità, prima ancora che per perseguire la libertà e la felicità individuale. MED MOŽEM IN ŽENO: DRUŽINSKI SPORI IN POSREDOVANJE SODNIKA PO ZDRUŽITVI ITALIJE Loredana GARLATI Universita degli Studi di Milano-Bicocca, Scuola di Giurisprudenza, IT-20126 Milano, Piazza dell'Ateneo Nuovo, 1 e-mail: loredana.garlati@unimib.it POVZETEK Družina od nekdaj tvori kompleksen corpus, njene moralne, družbene in politične vrednote, mos in ethos se nerazdružljivo prepletajo s pravom. Če preučevanje posameznih inštitutov (zakonska zveza, ločitev od postelje in mize in razveza zakonske zveze, patria 70 Si vedano sul punto da ultimo le sintetiche ma efficaci pagine di Cazzetta, 2011, 74-83. 71 Annota Bosco che a Napoli, ad esempio, nonostante la fitta popolazione, il numero delle separazioni risultava inferiore a quello delle altre città della penisola. Ció si poteva spiegare per quella naturale «soggezione verso l'uomo a cui la donna napoletana per tradizione di costumi e per affettuosità di costumi si mostra avvezza». Il discorso puó estendersi a tutta l'area meridionale dove «i legami famigliari sembrano mantenersi più saldi che nel rimanente dello Stato» (Bosco, 1908, 143). Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 potestas (očetovska oblast), pravni položaj žensk, premoženjska razmerja med zakoncema, otroci - zakonski in biološki) "služi pravni zgodovini" (Vismara), se ta zgodovina hkrati ponuja kot nepogrešljiv instrument prepoznavanja določene družbe. Dolgo je bila namreč družina bolj družbeni ali metapravni pojav kot pa pravno urejena celota. Pravo jo je sicer urejalo, vendar je bilo pri tem vedno previdno in je bolj sprejemalo ustaljene prakse kot vsiljevalo pozitivne predpise. Enako velja za sodni organ, "tretjo osebo" in ultima ratio, kamor se zatečeš za krpanje nastalih nesoglasij ali za odločitev v konfliktnih situacijah znotraj družine. Čeprav so včasih skušali prepuščati reševanje nekaterih notranjih nesoglasij, razprtij in sovraštev družini sami, včasih tako, da so omogočali prevlado nekaterim njenim članom (če pomislimo na lik očeta in moža, ki je imel velika osebna in premoženjska pooblastila) ali pa so uvedli zgodnje oblike družinske mediacije, kot sta bila sodišče ali revolucionarni družinski svet, pa je na koncu sodnik dobil pooblastila za odločanje in reševanje, kar je nujno vplivalo na ureditev družine. S tega vidika je zlasti zanimiva tema ločitev zakoncev od postelje in mize. Čeprav so jo zgodovinsko podrobno preučili, je tu obravnavana kot paradigma načinov nastopanja v sodni praksi skozi dolgotrajno izvajanje civilnega zakonika iz leta 1865. Sodnik, ki je v primerjavi z zakoncema nasprotnikoma nekdo tretji, je s svojimi izreki vplival na celotno sestavo družine. Odločal je o nadaljevanju ali koncu zakonskega razmerja in s tem pogojeval življenje vseh družinskih članov. Sodišča so udejanila abstraktno črko zakona. Opredelila so na primer, katero ravnanje dopolnjuje prešuštvo, saj je zakon ženski dovoljeval, da naloži možu krivdo za varanje le, če je "vzdrževal priležnico v hiši ali je bilo obče znano, da jo vzdržuje drugod, ali če so podane take okoliščine, da dejstvo huje sramoti ženo« (150. čl. Civilnega zakonika). Celo štiri oblike nasilja (izpadi, trpinčenje, grožnje in povzročanje hujše sramote), ki jih je skupaj določal zakonik na podlagi 150. člena, so dopuščale dvome pri njihovem tolmačenju. Na njihovi osnovi so nastajale v sodni praksi nove usmeritve, ki so nihale med zaščito enotnosti družine in zagotavljanjem pravic posameznikom. In če je bilo tako včasih za izpolnitev pogoja, da je šlo za izpad, treba naravnost streči zakoncu po življenju, je v drugih primerih zadoščalo ravnanje, ki je motilo notranji mir in psihično-telesno stabilnost zakonca. Prav tako so pretepanje kot razlog za ločitev sprejemali le, če je bilo stalno in se je ponavljalo. Enako so sodišča pri zahtevkih za vlogo zaradi prostovoljne zapustitve včasih štela, da je beg trpinčenih žensk z zakonskega doma upravičen, drugič so jim spet nalagala, da se vrnejo v ugotovljeno nasilniško situacijo v imenu višje dolžnosti skupnega življenja. V dvajsetletnem fašističnem obdobju se je izvajanje predpisov na področju ločitev, ki so nastali kot izraz »liberalne« Italije, a so bili še vedno močno vezani na načelo neraz-družljivosti zakonske zveze in na priznavanje samo zakonite družine, izkazalo kot še trše in je še bolj slepo sledilo črki zakona ter bilo odraz natanko opredeljene družinske politike, katere namen je bil zaščititi »matrimonialno družbo« na račun interesov posameznika, kar še dodatno dokazuje nerazdružljivo povezavo med družbeno-kulturno stvarnostjo in sodnimi odločitvami. Ključne besede: razveza zakonske zveze, izpadi, trpinčenje, grožnje, hude razžalitve, družinsko pravo, sodna praksa, civilni zakonik (1865) Loredana GARLATI: TRA MOGLIE E MARITO. CONFLITTI FAMILIARI E INTERVENTO ..., 233-256 Tavole delle abbreviazioni: App. = Corte di Appello Cass. = Corte di Cassazione Trib. = Tribunale Annali = Annali della giurisprudenza italiana Foro it. = Foro Italiano Gazz. Trib. = Gazzetta dei Tribunali Giur. Cas. = Giurisprudenza Casalese Giur. It. = Giurisprudenza Italiana Mon. Trib.= Monitore dei Tribunali Repertorio = Repertorio della Giurisprudenza Italiana Rep. Foro it. = Repertorio Foro italiano FONTI E BIBLIOGRAFIA Annali di statisca (1882): Annali di statistica, serie 3°, vol. I, Roma, Tipografia Eredi Porta, 39-113. Azzolina, U. (1951): La separazione personale dei coniugi, Torino, Unione Tipografico-Editrice. Bianchi, F.S. (1901): Corso di codice civile italiano, vol. 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