Abbuoiiamento annuo fiorini 4 semestre f.r 2. Pagamenti antecipati. Per un solo numero soldi 20. Rivolgersi per gli annunzi alVAmminis. Redazione ed Amministrazione Via EUGENIA casa N.ro 334 pianterreno. Il periodico esce ai 10 e 25 d’ogni mese. Lettere e denaro devono dirigersi franchi all’Amministrazlome Si stampano gratuitamente articoli d’interesse generai Avvisi in IV. pagina a prezzi da convenirsi e da pagarsi antecipatamente. Non si restituiscono i manoscritti. Excelsior____ L'epaEito relittioso nelle scile miste. La corrispondenza di Lovrana, che abbiamo letta nell’ ultimo numero dell’ Istria, ci fece curiosi di vedere un po’ il Rescritto dell’Eccelsa Luogo-tenenza pel Litorale, al quale si riferisce il Monito del periodico „Curia Episcopale" citato dal corrispondente. Siamo riusciti ad averlo, e lo trascriviamo tal quale : „Die Kinder slavischer Zunge, welche eine italieniscke Abtlieilung besuchen, in den Stunden des Religionsuuterrichtes mit der sloveniscken Abtliei-lung zu vereinigen, ist mit der Schulordnung un-vereinbar und daher unzulàssig, dagegen unterliegt es keinem Anstande, und ist sogar selbst verstiind-lich, dass der Religionslehrer in Abtheilungen mit italienischer Unterrichtssprache gegentlber jenen Kindern, die nodi nicht genug italienisch verstehen, sich auscliilfsweise ihrer Mutterspraclie so lange bedienen, bis sie die italienische ausreichend erleint liaben." A piena intelligenza della cosa converrà ricordare, qualmente, perfidiando il catechista di Servola a voler istruire in lingua slava nella sezione italiana della scuola popolare di quella località, il Magistrato Civico di Trieste ricorse protestando alla Luogotenenza, la quale fece intendere alla Curia, che erano abbastanza i rompicapo che aveva d’ altronde, perchè ora venissero i preti a procurargliene di nuovi, e che insomma nelle scuole italiane si doveva insegnare il catechismo in lingua italiana. Pare che la Curia sia tornata alla carica, ed ha ottenuto questo nuovo rescritto, il quale per essa può significare roma e toma, ma per noi e per i nostri consigli locali non significa e non significherà mai se non ciò che è dato dal valore letterale delle parole. Il quale è il seguente : „II catechista nelle sezioni con lingua d’insegnamento italiana, con quei fanciulli che ancora non conoscessero abbastanza V italiano si può servire in via di aiuto della loro madre lingua, finché abbiano appresa sufficientemente la lingua italiana." Ergo, deduce la Curia, prudenti (lì) judicio Cateclietae relinquitur quaenam lingua instructionis in doctrina religionis scopo iustitutionis magis correspondeat. 2 DIVAGAZIONI (Cont. Vedi Num. 9). Candide lector, — scusami assai se tiro via a sbalzi, se, come cantava il povero Praga, io mi son un che quando va’ la penna la lascio andare ; perchè, del resto, la scritta che ho messo in fronte a queste righe me ne dà il pien diritto, e tu, da savio, messo in guardia dall1 insegna poco rassicurante, se poi il contenuto non ti facesse al palato, guarda bene dal perderti in recriminazioni, che ci rimetteresti il. fiato e l’appetito, senza per questo che mi curassi di te ne poco uè punto. E non per mancanza di riguardo alla tua rispettabile persona, sai, ma per una certa attitudine speciale della mia natura, che in mezzo alle barricate di convenienze e di rispetti che ad ogni passo c inceppano i movimenti, seppi conservare indipendente nella sua un pò ruvida e bizzarra selvatichezza, tale e quale forse 1’ ereditai. Curiosa natura, davvero, che regola le mie azioni dietro assiomi del tutto particolari, come nel caso presento, per esempio : non essere la diritta sempre la più corta ; assioma del resto non mio c non nuovo, e che il commendator Martini seppe si graziosamente illustrare. Da parte mia ti aggiungerò poi che i zig - zag hanno la loro speciale attrattiva, a te certo sconosciuta, a te, che comodamente trascini la onesta Ergo, deduciamo noi, ciò significa che l’istruzione deve essere impartita in lingua italiana ; che si può ricorrere allo slavo soltanto in via di aiuto (aushilf-sweise) per chiarire vocaboli dei quali i fanciulli non conoscessero l’equivalente nemmeno nel dialetto ; che ciò si può fare soltanto con quello o quei fanciulli che ne avessero bisogno ; che le preghiere devono venir insegnate tutte in lingua, italiana ; che quando il maestro non trova necessario di ricorrere allo slavo, non lo ha da trovare nemmeno il catechista. Noi sappiamo che a Lovrana si parla, come da noi, il dialetto veneziano, e non è affatto necessario che il catechista ricorra alla lingua slava; ricorra al dialetto italiano, come finalmente si fa nella prima classe popolare anche da noi e da per tutto, dove non si parla la lingua scritta. E dacché la Curia ce ne dà 1’ esempio, richiamiamoci anche noi al Rescritto luogotenenziale, protestando contro gli arbitrii; e l’Eccelsa Luogotenenza avrà certo la volontà e la forza di far rispettare i suoi decreti. Notiamo da ultimo, che il periodico „Curia Episcopali " non è il vescovo, il quale non avrebbe certo emanato un Monitum tanto illogico e pericoloso. ----------------------~-~'A±)!±K'-------------------------- Saggio di Annali Istriani. Del secolo XIII — dall’ anno 1235 e seg. dell’ Ab. Angelo Marsioh. (Cont. vedi N. 10 e seguenti) 1253. — Gregorio di Montelongo, patr. di Aquileia e marchese d’ Istria, trovandosi in Capodistria pronuncia sentenze (sedit prò tribunali). Lirutti. Not. delle cose del Friuli. To. I, p. 86. 1253. — Il comune triestino riceve potere di dettar leggi penali per frenare il potere dei ga-staldi, e leggi dispositive. Kandler. Cod. Dipi. Istr. sub ann. 1350 maggio. 1253. — Il patriarca Gregorio, sedendo qual giudice in Capodistria usa del suo diritto circa la nomina del gastaldione locale, che in base ai privilegi altri non può essere che un giustinopo-litauo ; la scelta cade su domino Guercio. Carli. Ant. Ital. — V, p. 186. 1253. — Gregorio, patr. - eletto di Aquileia, investe a titolo di retto e legai feudo Valcono de B... e suo genero da Venezia di tutte le possessioni spettanti un dì al fu Giedix da Pin-guente e la di lui moglie Binda. Carli. Ant. Ital. To. V, p. 179 e seg, 1253. — Il comune d’Isola è già costituito con tre consoli, consiglio e pubblico palazzo. Kandler. Cod. Dipi. Istr. sub an. 1212, 3 giugno. 1253. —• Gregorio, patr. - eletto di Aquileia, annulla la nomina fatta dal comune di Pirano del proprio podestà nella persona di domino Vando de Vilaco da Capodistria {Venerio da Gilacco?) e ciò per averlo fatto senza un permesso del patriarca, il quale cede finalmente alle suppliche del Comune confermandolo, ma per un anno soltanto. Carli. Ant. Ital. To. V, p. 180, — Kandler. LTstria Aan. VI p. 114. 1253 e 1254. — Rodolfo signore di Duino comparisce in questi anni. Kandler. L’Istria. Ann. V, p. 66. 1253, 15 marzo —• Il capitolo di Pirano conferma alle _ monache di S. Maria in Aquileia le solite cento libbre d’ olio che loro doveva annualmente per una chiesa ricevuta nel 1211 assieme ai beni a lei spettanti. Atti mss. dei vesc. di Capod. 1253, 14 aprile. Venezia. — Vicardo di Grisignana ed tigone di Raifenbergo si costituiscono mallevadori per Mainardo co. di Gorizia di confronto a Marco e Giacomo Feroli di Venezia per la restituzione delle 180 marche prestate ad esso Conte. Liber comunis ms. Car. 102.b nel regio Arch. di Venezia. 1253, 1 maggio. Isola. — Giovanni Boncinio, Walteramo de Busino e Walteramo di Orso consoli d’ I-sola autorizzati dal consiglio locale eleggono Venerio di Paisana e Menardo di Anastasia perchè rappresentino il comune dinanzi al patriarca Gregorio nella lite mossagli dall’ab-badessa di S. Maria in Aquileia. Kandler. Cod. Dipi. Istr. 1253, 26 maggio. — Odorlico vescovo e (Conte secondo il Docum. 1459, 17 dicembre) di Trieste vende al Comune certa colieta di vino ed olio ed il diritto calciaci (di cuocere la calce). Kandler. Cod. Dipi. Istr. 1253, 26 maggio, Trieste. — Il vescovo Volrico o Ulrico detto anche Divino ed Odorico de Por-tis, consenziente il capitolo, vende molti dei diritti pubblici di Baronia maggiore al comune di Trieste, per sopperire alle spese incontrate nell’ assedio di Brescia, alle gravi collette e provigioni impostegli dai legati papali, ed alle spese fatte nella guerra tra il patriarca d’Aquileia e Mainardo conte di Gorizia. Canonici di Trieste erano : Vitale decano, Volrico arcidiacono, Andrea custode, Matteo scolastico; diaconi-cononici Corrado, Enrico, Rantolfo,-Sardio e Giovanni; cononico - sud-diacono : Alberto ; can. - chierico : Enrico. Consoli di Trieste : Giovanni Ramfo, Vitale de Alborio e Bonifacio del fu Canciano. Kandler. Cod. Dipi. Istr. — e LTstria. Ann. Il p. 195, — e Indicaz. p. 30 e Marnano. Ann. del Friuli v. II p. 383. pancia di borghese ben pasciuta ed in perfetta regola con tutte le autorità civili ed ecclesiastiche sulla via maestra larga e piana, ed ogni due passi ti fermi per asciugare il sudore che ti colla dalla fronte, e sbuffi per un ciottolo che incontra la suola delle tue pantofole. Ahimè! — ed io, sempre per quel tal fondo strano di cui sopra ti parlai, amo invece i sentieri che s’inerpicano arditi sui dossi della montagna o corrono lungo i ciglioni dei precepizì, le viottole ripide e sassose, battute solo dall’unghie dei mulli e dal tallone del montanaro, le callaie attraverso i campi dove 1’ estate canta il suo inno vigoroso, le viuzze tortuose perdentisi nel mistero è nella fragranza dei boschi. Che vita colà! I pensieri liberi, freschi, elastici sgorgano dal cervello slanciandosi alle lontananze dei vasti orizzonti, vagando sotto i dòmi di luce con l’allegria di raggi di sole, con l’ardire di un volo di falchi : — le sensazioni si centuplicano, il sangue. circola piu caldo nelle vene, un’ energia nova di vita, di giovinezza, di poesia freme nell’ interno, pronta a rompere in un grido immenso d’ entusiasmo. * * * * Sdraiato lungo lungo sull erba molle e ancor fresca di rugiada, sotto un gelso a mezzo il prato, io così pensavo a te, o lector, a me, alle mille fantasie che mi frullavau per il capo, mentre la fragranza acre dei fiori salvatici mi solleticava le nari e lo sguardo seguiva la curva leggiera della collina che mi si alzava davanti, scendeva la fila dei pioppi lungo il corso del fiume e riposava sopra una macchia d’ alberi che orlavano il lembo della pianura. A destra la valle s’ allargava in un seno, piano e verde, lambendo con la freschezza dell’ erba fitta fitta di cui era coperta la falda brulla e sassosa della montagna, che da quel lato la serrava. Nella trasparenza mite di quella ridente mattinata di maggio correvano mille suoni bisbiglianti, vaghi, indistinti ; era un ronzio d’insetti, un frullare d’ali, un cinguettìo spensierato d’ uccelli fra le siepi, un frusciare di foglie, qualche voce raggentilita dalla lontananza, — mirabile fusione d’ armonie, che 1’ anima, cullata in una rèverie piena di sogni percepisce restandone dolcemente oppressa, come ascoltando una divina sinfonia di Beethoven. Mi sentivo tanto giovane in quel momento ! M’affacciavo ad una nuova rivelazione di vita con la trepidanza di chi aspetti una cosa cara ed ignorata : quel rigoglio della natura che mi fioriva d’intorno, infondeva ai miei sensi un tal sentimento di benessere e di vigore, che tutte l’energie del mio essere, dianzi quasi assopite, tornavano ora a ridestarsi, animate da forza novella. Mi pareva di sciogliermi ancor io nella gloria del sole, che riversandosi a bionde ondate da ogni parte m’investiva e mi tuffava in un bagno d’oro delizioso ; mi pareva di ridere ancor io all’ allegria sfrenata di raggi scorrente dai monti al piano, suscitando al suo passaggio uno sbarbaglio rapido di colori, che m’abbagliava la vista e mi faceva provare dei brividi di piacere per tutto il corpo. Oh, come la morte mi pareva una parola priva di 1253, 27 giugno. — Innocenzo IV conferma in Assisi nella chiesa collegiata di Pirano il numero di sei canonici. Kandler. Cod. Dipi. Istr. 1254. •—■ Muore l’imperatore Corrado IV, in seguito di che comincia l’indebolimento dei poteri del patriarca - marchese nell’ Istria. Kandler. L’Istria. Ann. VI, p. 89. 1254. — Il vescovo di Trieste Givardo consacra la chiesa dei Minori di San Francesco in città. Kandler. L’Istria. Ann. IV, p. 49. 1254. — Gregorio patriarca eletto, trovandosi in Istria, nomina ser Guercio a gastaldione di Capodistria, sua patria, lo investe co’ suoi successori a titolo di feudo dei beni di ser Fabro della stessa città, situati nell’ agro giustino-nopolitano ed in quello d’Isola, coll’ obbligo di consegnare ogni terzo anno al patriarca de tempore sei staia di frumento, portandolo al magazzino (Campa) patriarcale in Castel-venere. Carli. Antichità Italiche v. V, p. 178 e 211. — Kandler. Indicaz. p. 30, — e Manzano. Ann. del Friuli v. II p. 289. 1254. — Gregorio da Montelongo, patriarca d’Aquileia, ritorna in Istria a rafforzare il potere mar-chesale con nuove investite feudali a persone ligie a lui ; tra i quali infeudati molti appartenevano alla città di Capodistria. Carli. Ant. Ital. v. V. p. 187. — e Kandler. L’I-stria, An. I, p 131, — ed Ann. II p. 193. 1254. — Il patriarca Gregorio sospende Varnerio de Gilacco dalla carica di podestà di Pirano, perchè eletto contro la forma degli statuti, ma insistendo Pirano perchè ne lo approvi, il patriarca vi accede alle suppliche. Kandler. L’Istria. Ann. II, p. 193. 1254. — In quest’ anno figura qual podestà di Capodistria e di Pirano, Landò di Montelongo. Kandler. L'Istria. Ann. VI, p. 114. 1254 13 marzo. — Alessandro IV incarica il vescovo di Castello (Venezia) di assegnare a vescovo di Trieste don Guarnerio de Cucagna canonico di Aquileia, in luogo del capitolare don Arlongo, canonico di Trieste, perchè scomunicato. — Tra’ canonici di Trieste figurano Enrico del fu Bernardo cavaliere ed Emano da Udine. La città di Cividale onora in più guise l’eletto Cuccagna, suo nobile cittadino e canonico. Kandler. Cod. Dipi. Istr. — e Manzano. Ann. del Friuli v. II p. 392. 1254, 7 Aprile. — Nella pace stipulata tra Venezia ed Aquileia, la Repubblica concede al patriarca eletto Gregorio ed alle monache di Aquileia la grazia del vino istriano, cioè il diritto di ritirare, libero da ogni dazio, in Friuli per la via di mare il detto vino che l’Istria doveva consegnare loro annualmente, di più 50 staia di grano spettanti al patriarca e provenienti dai monasteri istriani, soggetti allo stesso patriarca. Minotto. Acta e Dipl. v. I p 23. 1254, 25 maggio. — Il capitolo di Aquileia delibera che le procure da rilasciarsi per la riscossione dell’annuo canone da Venezia debbano essere suggellate col suggello maggiore capitolare. — Aquileia percepiva il suddetto annuo canone per la cessione fatta dal patriarca di alcune giurisdizioni in Istria alla Repubblica. — Cappelletti. Le Ch. d’It. Vili, 365. 1254, 29 luglio. Capodistria. — Il vescovo Corrado, consenziente il capitolo, delega il canonico del duomo Damiano per appianare questione di decima, cui era tenuto il convento di San senso allora ! — le imagini dei cari perduti mi tornavano vive e parianti al pensiero, ritrovava una parte di loro nel profumo dei fiori e nei raggi di luce, respiravo con loro nell’ aria pura che mi dilatava i polmoni, sentivo palpitarli nel sangue che fervido mi scorreva nelle vene. Lasciami le tue mistiche ubbìe, o lettore ; perchè non dovrei io credere a questa circolazione eterna di vita, che, immensa e perenne corrente, attraversa gli esseri? Io sono antico quanto la terra, quanto la nebbia cosmica da cui si svolsero i mondi : la terra forse sparirà, attratta dal sole, sparirà ancor questo, assorbito alla sua volta da un pianeta maggiore, i mondi tutti si fenderanno in un solo per ripetere poi un’ altra creazione, ma gli àtomi che mi compongono per questo non periranno, — comincierò una nuova esistenza forse in più felici aiuole, forse sotto plaghe più beate di cielo. * * * Il sole intanto saliva saliva più alto, e il torrente di luce sempre più largo, più sonante e diffuso scendeva la costa del monte, allagava la valle, annegando gli oggetti sotto una nebbia d’ oro. Anche 1’ aria s’ era fatta più calda, e la mente cominciava a vagare in una fantasticheria popolata di ricordi e di visioni del passato. Ma dunque non era morto per sempre quel tempo, che ora fresco mi tornava alla memoria nell’ idillio gentile della campagna? Ma dunque si poteva rivivere per un’ ora, per un momento solo nella vita a cui si aveva creduto di dare un eterno addio ? Ebbene, candide lector, sorridi a tua posta, ma Nicolò del Lido in Venezia alla mensa capitolare giustinopolitana. Pergamene del capitolo di Capod. 1254, 17 settembre. — Papa Innocenzo III delega i vescovi di Capodistria, Pola e Pedena per prendere in esame la vita di Arlongo dei Visgoni, eletto a vescovo di Trieste dal capitolo della cattedrale. Le Chiese ecc. To. Vili, p. 692. 1254, 9 ottobre. — Landone di Montelongo, podestà di Capodistria e di Pirano, ascolta in appello qual giudice delegato dal patriarca eletto, questione insorta per un terreno tra il comune di Pirano e quello d’Isola. In seguito a sentenza, i due comuni vengono ad una demarcazione di confini. Kandler. Cod. lupi. Istr. — e lo stesso sub anno 1275, 5 maggio. 1254, 17 novembre, Napoli. — Innocenzo IV commette ai vescovi di Pola, di Pedena e di Capodistria la conferma e la consacrazione di Arlongo de Voisperch (dei Visgoni) eletto dai concanonici di Trieste a vescovo in loco, purché loro consti della regolarità della nomina e della persona nominata, e loro affida tutta la cosa, non potendosi servire del patriarca eletto aquileiese, perchè scomunicato. Kandler. Cod. Dipi. Istr. ——--------------------=<>-erra€3-£TE3err3-0==---------------- Replica di Fileufrasio Doccastellano. Bali' Istria, Luglio 1885. Dicesi che le cose lunghe terminano in serpi . . . ma pur capitati nel ginepreto, è giocoforza divincolarsene! In mezzo a cotante beghe ben più seriose, torna pena e quasi colpa, ad un tempo, l’ingolfarsi in cacabaldole letterarie, degne più presto dell’Achilliniano, che del secolo delle locomobili e dell’ elettrico . . . ma, insomma, si è tenuti a non lasciar andare il cane per 1’ aja, dacché il rispettabile pubblico avrebbe il diritto di non venir uccellato da ogni compare che si camuffi ad accademico. — Mi esprimo forse osticamente, perchè mi scuote il sistema nervoso che non pochi moderni pubblicisti (sic et in quantum !) abbiano preso l’aria delia infallibilità, in omnibus rebus, et quibusdam aliis . . . diniegandola, naturalmente, ad ogni altro gramo nipote di Adamo, e pretendano d’imberciare nel segno in qualsiasi più strana tesi che loro accada di arraffare ! Che la sia espressione corretta a capello il dire nel caso nostro II Patria nel più purgato italiano, mi lusingherei di averlo dimostrato all’esaurienza nella povera mia lettera pubblicata appunto dall’ impavido nostro Patria dd. 25 Giugno u. p. ; ma dalla non tanto breve risposta di madonna Istria (di Pa-renzo) in data 4 m. c. si evince che io sono riescito agli antipodi di quello che mi proponevo. — Non mi sgomento però più di tanto, conscio che in oggi viviamo in tempi ed in luoghi, nei quali, affediddio, non è la cosa più ovvia e manesca lo intendersi ... per cui calzerebbe il lamento dell’arguto Tacito: „Oh rara felicità di tempi, in cui sia lecito pensare ciò che si voglia, e dire quello che si pensa!" — A me suonava assai bene dire qui il Patria, non perchè io fossi superstizioso partigiano delle nomenclature mascoline, o sentissi orrore per le dizioni femminili; me ne guardi il cielo, ed anzi direi quasi col drammaturgo Giacosa: „In testa io mi son messo — „Che quanto è nome di piacevol cosa, — Dovrebbe essere espresso — Con femminil parola armoniosa ! — Anche la provincia nostra medesima, com’ è di tante altre, si fregia di un nome femminino ; ma ciò non impedisce che io, in questo incontro, simpatizzi pel maschi-lizzare pel Patria (col sottinteso periodico) bramando di sovvenirmi che la stessa voglia aspirare a propositi più presto maschili che femminili, od almeno che restasse femmina pure, ma della tempera per esempio di una Clelia, di una Lucrezia degli Obizzi, di una Giovanna d’Arco, o della Cairoli, o di quella Chinzica Sismoudi, che nel secolo XI corse a tutta notte dai consoli, ed eccitò il popolo a trionfare contro il Saraceno, che minac- lasciami un po’ a frugare fra i ruderi sparsi del mio passato ; chissà ! -— fra le ortiche ci scoprirai forse ancora qualche fiorellino dalla corolla delicata e dall’ effluvio gentile, e se non hai l’anima incitnillita del tutto, forse forse non ti pentirai di essermi seguito. II. „Tu sei una bionda e fantastica regina del settentrione, e i boschi di abeti ti videro passare fra i loro fusti alti e severi, là sotto il cielo bigiognolo della patria tua, quando i freschi venti narravano alla selva le storie di Odino, di Thor e della bella Nerthus. E tu l’hai raccolte quelle storielle nel cavo della pupilla fonda e misteriosa come il mare del Nord ; la Loreley t’ha certo invidiato i riflessi d’oro della chioma e le bianchezze periate delle carni, e le fate della Selva Nera si saran rose il core d’invidia per la snellezza delle tue forme. “ Io così fantasticava guardandola dalla finestra mentre passeggiava a passi lenti su e giù il viale del sot-posto giardino, pensierosa e distratta, come una bella fata nella sua veste bianca,_ che rompeva la monotonia del verde. Chi era mai la bionda sconosciuta? Io non l’aveva vista ancora, e sì che ogni giorno, da molto tempo, m’ ero affacciato a quella data ora alla finestra per cacciar l’occhio nel mistero di quel giardino, fin’allora deserto, che mi si stendeva dinanzi. Oh, egli era il mio buon amico il giardino, ne conoscevo sì bene ogni sito come se ci fossi nato e cresciuto dentro : il mio sguardo, spingendosi lungo il viale che si allungava ciava la carneficina di Pisa, e di altre simili che rifulsero tra li vulgari, siccome astri di primiera grandezza. Dette queste poche disadorne parole, non a vanvera, ma come detta vami la consueta ingenuità del sentire circa le Bue parole testò direttemi dal sempre riverito Dr. Tamaro, farò di venir, passo passo, notando quello che a me sembrerà indicato relativamente alla Sua risposta, poco laconica, al mal capitato scrittarello che gli diressi a mezzo del nostro Patria appunto, in data 25 Giugno u. se. — Imprimis riosservo che di profondersi in titoli sesquipedali non ci sarebbe stato il caso davvero, mentre che anch’io ritengo di esserne stato mai sempre parco, forse troppo, e di non essermi sognato di burlarmi del prossimo, fosse pure da pigliarsi più piccioni ad una sola favetta. — Le applaudo cordialmente che La ammetta di aver avuto il torto di essersi intromesso nella lizza, non chiamato, ma non mi pare che ci sia stato un eccessivo accapigliamento, per una supposta regola di grammatica, e giudico un’esuberanza che qui La implori col Re dei Salmi il Domine ne in furore! — Conceda che c’ entra alquanto la questione invece dei nervi ! — Sopra tutto Le duole che ci venga malmenato il rev. Ab. Moise filologo ossequiato da ogni galantuomo, e ciò solo per colpa di Lei che lo predilige meritamente: ma io sarei ardito così da supporre che quell’ erudito medesimo per la dizione sul Patria, vorrà mostrarsi filosofo tanto da ripetere il citato passaggio del Yen osino circa quel cieco d' occhi e divin raggio di mente, che per la Grecia mendicò cantando, e che il nostro sommo Vate appellava „Primo pittor delle memorie antiche,“ nè vorrà insediarsi tra gl’ impeccabili, finché gli occorre di _ peregrinare al dissotto della magnetica nostra luna. Spingo anzi, veda, il mio ottimismo a ritenere eh’ egli non rimpiangerà cicca il campo della pubblicità, nel quale sa d’essere veterano e strenuo, tuttoché per una fiata facesse cecca per la di Lei sbadataggine decisamente. — Sul Patria si bisticciava (Ella dice) in questione di grammatica, ed Ella, scrivendo casualmente, al nostro Abbate, nominò il Patria, come la coscienza, allora non prevenuta da sofisticherie, Le dettava, non pretendendo fare il sei-appuntino. — Il sempre gentile Sig. Ab. li 26 Aprile a. c., in via confidenziale, bollò di scamiciata quella frase, ed a scesa di testa pronunciò che con essa gli parrebbe di scrivere in calmucco ! Troppo spirito per diaci ! — Del resto va da sè eh’ Ella conservi cordialmente gli scritti delle persone qualificate che Le dimostrano affezione e compatimento ; e La può vivere tranquillo che in ciò non vi sarà il zotico che la redarguisca. — Nel battibecco insorto per quel benedetto articolo, non Le pareva un crimenlese il portare l’Autorità del Sig. Filologo che sarebbe potuto o dovuto tagliar la testa al toro ... ed Ella stavasene nel Suo pieno diritto. Se non che quivi la fu per avventura un micolino troppo autoritario ... e pigliandosela poi coi filologi usciti dalle aule Universitarie di Vienna, La dà in ciampanelle, di ricapo, escludendo, implicitamente, che possa darsi un’ anima la quale abbia sortito di non avere già in quelle succhiato il latte scientifico - filologico, ma più presto di avere alquanto sciacquato i suoi cenci al Lungarno. — Se da tutti i filologi poi Ella non vide una grammaticuzza purchessia... nonché da gareggiare coll’Abbate benemerito (fuorché nel breve incidente), si deve rispondere che La sarebbe, in fede, arciesigente quando La pretendesse che dalle prefate aule, alquanto pandemoniache, esca un lavoro di lena sul-l’idioma del Dante, ed infarinato delle finitezze della Crusca, della Proposta, del Gherardini, del Tommaseo ecc. Si può scommettere che lo stesso n.o ch.mo Ab. nòli sarà stato ad inspirarsi, in questo punto, sovra le sponde del-1’Istro! — Noi stimeremmo di portar vasi a Corinto se ci balenasse il ticchio di moltiplicare qualche lavoruccio grammaticale, dopo che abbiamo conosciuto li uotorii studi dei celebri Corriceli!, Bartoli, Redi, Mambelli, Fur-lanetto, Mastrofiui, Troia, Ponza, Bellissomi, Caleffi, Ruoti, Paria, Fontana, Soave, Carducci, Tavonia, Zanotto, Feria, Vitaliani, Parato, Danna, Decastro, Tedeschi, Apollonio, Lessona e cento e cent’ altri. Sullo studio ... de! Quintilio ecc. di cui li melanconici (a sua detta) dell’Accademia trovarono di servirsi, nessuno, per quello che mi consta, pensò mai di fiatarne, come neppure sulle elucubrazioni grammaticali del riverito nostro Filologo. giù giù fra una spaglierà fitta di verzura, salda e lucida come una muraglia verniciata, si era le tante volte smarrito in certe gole traverse che apriva, buie e nere, che mi lasciava indovinare laberinti di sentieri ombrosi, dove non trappellava mai un filo di sole ; volte serrate di fogliame sotto cui l’ombrìa verde dormiva piena di frescura ; certi angoli oscuri, deliziosi, pieni d’umidore, dove il silenzio non doveva venir interrotto che dallo stillicidio delle goccie dai tufi semicoperti di musco ; e cupolini fitti, allacciamenti strani di fronde, festoni di foglie, cortine insuperabili di piante incatorzolite, viticci i cui capi pendevano in giù come teste aguzze di serpentelli, avvolgentisi in spire verdi intorno ai tronchi bozzoluti. Tutto in mezzo a un lussureggiare sfacciato d’erbe selvatiche che avevano invaso le aiuole, traboccavano sulle rèdole fino a farle sparire sotto un’ ondata di ciuffi verdi, s’arampicavan con abbracciamenti di liane su pei tronchi, correvano lungo i muri, come un esercito formidabile che nell’ impeto della vittoria allagasse una piazza nemica. I convolvoli avevano cacciato le loro volute flessibili su su fino al frondame spesso degli arbusti, mentre la madreselva, dalle braccia più robuste, li serrava in un amplesso più forte, quasi volesse soffocarli : le clematidi e i ranuncoli dagli steli viiosi incalzavano, le mortelle rizzavano le foglioline come lingue di metallo, il melagrano selvatico vibrava le sue aste puntite e lucide, e le larghe lame dell’ erba spada s’innalzavano pronte alla lotta. (Continua) Vittore Matteicich Asserendo che il valentuomo fu esposto a dileggi immeritati, Ella prova che 1’ affetto Le diede le traveggole, mentre non si mirava che a notare un semplice sbaglio in via confidenziale ed accademica, ma senza il sussiego che rende alle volte altezzosi i confratelli del-1’ Accademia ; e perciò appunto La è degno di giusto encomio allorché La riconosce di aver errato ... e nell’ urto nerveo di parare l’amico, non vorrà mandare a fascio ogni cosa, memore dell’ antico dettato qui bene distingua ecc. — In questo breve diverbio, sia pure provocato da una svista, confido che La mi permetterà di osservare, di passaggio che nella Sua risposta peristaltica mi esplode 1’ epifonema del lasciar friggere ognuno nel proprio grasso .. . mentre questo, recisamente, dà un punzone al-1’ arte nobilissima da Lei coraggiosamente esercitata già da pezza, da poi che questa impone anzi di occuparsi, con dignità e moderazione, a difendere le ragioni del Vero, per quanto la turpitudine dei tempi valga conserti rio, ed a rintuzzare il venefico sandice del falso, ogni qual fiata però si abbia la coscienza delle forze proprie, nè si pretenda di entrare in un campo non noto per filo e perseguo! — Ella arriva ad aggiungere „anche quando si sa di poter fare del bene“ ! ma io tale pensata ed espettorazione non mi perito proclamarla una effettiva eresia, per la quale Vossignoria stesso dovrebbe riporre le penne nel sacco, per non occuparsi più uè cica nè mica, di pubblici interessi od intrugli, a fine di non dare di cozzo nè in Caribdi nè in Scilla ! — Dopo di ciò, Ella dichiara di pigliare la correzione, se giusta, da qualsiasi parte Le venga: e veramente la mia rettifica era diretta a Lei, ma sciuna di iattanze, tuttoché larga e confidenziale di guisa che non mi dovevo sognare Le avrebbe potuto far salire un atomo solo di senape alle papille dell’ olfato. Ma intanto, da bravo istriano, Ella non esita proclamare che io mi piglio il maltalento di burlarmi (??) di un vecchio, cui gl’ istriani devono gratitudine, e che questa la è cosa indegna ecc. . , . Adagio a’ ma’ passi ! Dottor mio buono, calzerebbe appena un tanto raffaccio, qualora fosse storico e documentato il gratuito asserto ! 10 mi supposi nel civile diritto di avvertire, meravigliando, 11 sounecchiamento inatteso del nostro buon Omero, ed oso sperare si evinca dal complesso di quella estemporanea cicalatina, che ben avevo 1’ animo le mille leghe lontano dall’ idea d’insultare alla benemerita canizie del nostro Quintiliano, che nominai sempre (e non ipocritamente) coi premessi di chìar.mo riv.mo ecc. e dichiarai persino di compiacermi molto di una vivente gloria nostrana ; e queste le sono parole che ribadisco, perchè non avrei il fegato di pronunciarle da celia, subito che premisi essere la schiettezza impreteribile per chi si rispetta senza belletti. — Sulle altre opere dell’illustre Ab. Moise non io dissi verbo, e della stessa Strennetta Baccelliana ebbi a notar l’atticismo o ’l fiorentino lepore, dove non fosse, puta caso, qualche stantio ribobbolismo ecc. ; ma la denominai arcadica, e scatente di quell’ ammanierata infantilità, che resto convinto non possa rendersi affatto popolare fra noi, a questi bagliori di luna quali a tutti son noti ! Che se Ella si lusingasse tale strenuuccia annuale abbia la potenza di emendare briccio le improprietà del dire nel nostro popolo rifinito dai quotidiani assili ; mi scusi, dimostrerebbe una candidezza, lo confesso, tale da non potersi conciliare colla esimia Sua dottrina ed esperienza. Per migliorare il linguaggio davvero, ci vorrebbe ben altro ceroto! Ci vorrebbe almeno che si cessasse dall’iu-ìbridire, a disegno, le nostre scuole e popolari e medie e superiori, e che si cominciasse, una bella volta, a sistemarle con intenzioni ben più pure di quelle che emergono dalle teoriche e dalle pratiche da cui ci troviamo quasimente maciullati !... Del rimanente, tanto le fan-fa iucche o leggende del resuscitato Nono Cajo Bacelli, che certe soaveolenti narranze di idilli degni del beato secolo già preterito, non azzeccano, me lo creda se può, con questo febbrile bisogno d’innovamento e di discautamento che esagita i precordi delle sì travagliate e truffate nostre generazioni ! — „II tostano Morfeo vien temine lemme 1“ . . . cantava un dì Giuseppe Giusti ; ma c’è motivo a sperare che quel pericolo non sia più che un materiale da archivio. — Ora permetta Le dica, in fine, con istile studentesco che Ella mi va in epico allorquando mi esce a sentenziare quella magherà e sprimacciata streu-nettina un’ opera non sol filologica, ma inspirata a grande amore di patria ... ed a sentimento di educazione nazionale ! Non battiamo, deh, la gran cassa in tal modo, e non facciamo ridere le telline con entusiasmi da ippodromo, e non già da persone serie che dicano pane al pane! — Ella medesimo, se mal non mi appongo, tutto giorno — pur troppo ! — ne relaziona quale classica affinità ci esista (parlo in genere) tra il sentimento nazionale ed il sentimento di una Cierocrazia, che non mi par quella proprio della santa Lega Lombarda, e non vogliamo, deh, fare le capate col muro . . . ossia non gittiamo le margarite degli affetti in un lombricaio, dove attecchir non potrebbero, insiuo a tanto che perduri l’odierno andazzo. Vossignoria lamenta di non conoscere libri popolari nostrani, ed oltre che fare, così dicendo, un torto anco a sè stesso, che pur si adopera del suo meglio allo scopo della popolare coltura, dà a divedere, crudelmente di non voler trutinare, imparziale, le amenissime condizioni di ogni genere dalle quali noi ci troviamo beatificati ! Non devo pensare che un tanto dipenda da quello che il sublime Giusti appellava la greppia: ma devo deplorare che Ella talvolta ne faccia della poesia dove c' è della spaventevole prosa da decifrare. Seguendo sempre la pregiata Sua responsiva, in quanto riguarda la parte postica degli stinchi del Mecenate da Lei laudato, trovo di abbandonare tutta la responsabilità della pulita frase a Lei stesso, reputando che, alla Democrito, non intendesse con tale tropo alludere ad un qualche suo affezionato conterraneo, ma più presto a taluno della ringhiosa razza dei botoli. — Non ò poi resipiscenza dell’avere alluso alla greppia del Giusti, perchè un oblio così fenomenico delle condizioni nostre sociali, etniche, economiche, politiche, e se Le pare anche religiose, cioè morali, mi richiama certo schifoso bestemmiatore, il quale, l’anno decorso, in Trieste, mi sosteneva che col denaro si può comperare anche Dio ! E per un Dio materialesco non avrebbe mica avuto ogni torto !,... Se non che li filosofanti non si piegano ad ammettere per ora che il diapason della civiltà si trovi al suo apogeo... e certa accontentatura di qualche neoterico a me ridesta la veemente metafora del Venosino — che si pretenda di assimilare gli agnelletti innocenti colle sanguinarie tigri o pantere ! — Ma non sciupiamo ranno in sottilerie! — Ella è ben padrone di andar in solluchero per la strennetta popolare, e faccia pure di divulgarla a suo libito, che nessuno avrà il diritto d’incaricarsene o di muoverLe perciò guerra, purché non lasci traboccare il fiele per un gnaffe, gettato appunto per umorismo, così da escludere che 1’ accidentale antagonista non valesse circum-circiter, nonché eguagliare, imitare un dialogo della benedetta strenna, che si pavoneggia dell1 epiteto d’ istriana, senza che se ne capisca una ragione palmare. — Se un altro figlio dell’ Istria si trovasse in vena di dettare un dialogo che rasenti quelli dell’ esimio Abbate, la è cosa a dir vero che nessuno potrebbe predire ; ma quello che sassi di positivo si è questo, che la S.a V.a emette una tale sfida più che per senso letterario, o umanitario, o patriottico, per piaggiare all’erudito amico, che se ne troverà leso nella modestia. Per non rammentare le non poche pubblicazioni nostrane degli ultimi lustri, e tali da onorare non solo la provincia, ma Italia tutta, mi restringo all’ affannosa scoperta eh’ Ella ci mostra di non conoscere guari le produzioni che più si resero ben accette fra nostri, avanti che entrassimo in quel periodo di sociale patologia, da cui non è dato prevedere quando si potrà venire salvati. Lasciando a parto le molte ed elettissime cose che pub-blicavansi nella magnanima Trieste, in seguito all’impulso datole dai memorandi Rossetti, Kandler, Luguani, Schuei-der, De Fiori, Rachelli, Dall’ Ougaro, Soma, Gazzoletti, Vaiassi, Tommaseo, Solitro, Tagliapietre, Besenghi, Revere, Randelli, Scalzuni, Ocioni e tanti altri pur benemeriti ; ci giovi arricordare che in questo travaglioso periodo stesso, 1’ umile nostra Provincia vedeva il Preludio del 1848, il Popolano dell’Istria di un Fachinetti Michele, il Memoriale di gratitudine offerto al Vescovo Peteani, l’Almanacco istriano di Iac. And. Contento nel biennio 1851-52, l’Aurora di Rovigno, l’Omaggio e pietà, il periodico l’Istriano, l’Astrologo di Carme, l’Almanacco dei Dr. Antonio Madonizza, e sopra tutto le tre annate della Porta Orientale del tanto deplorato C. A. Dr. Combi . . . senza ricordare gli scritti di altri nostri comprovinciali, sopra le stesse elegantissime Strenne Triestine, pel corso di non pochi anni. Ella, Dottor benemerito, La m’incalza che crederebbe (a dir poco) di toccare il cielo col dito (sublimi feriam sidera vertice!) se tutti gl’ istriani sapessero scrivere come l’Abbate — giurando sempre in verbo ... ad occhi inchiodati! Ma questa, sul sodo, a me la sembra una spiritosità di cattivo genere quale dovrà cadere sul suo bracciale se, inforcando la giornea, s’ impuntasse a dommatizzare che farei meglio ad apprendere . . . mentre la pedanteria (che ora c’ entra come i cavoli a merenda) non viene già da Luì, ma da chi vorrebbe (nè Ella comprende il perchè) dire il Patria e non la Patria !... Da sezzo Ella m’invoca persino la Natura, or confessando, or sconfessando che io me ne avessi un cencio di ragione, e va strabiliando per non capire la più ovvia delle elissi— come Empedocle che si ammazzò per non trovare giustificato il decremento al genitivo del noto Jupiter ! Di linuovo poi La chiede perdonanza e più di tutti se ne lava le munii ... A questo punto io non saprei che, da sincero fratello, racoomaudarLe di pigliare le cose con flemma, ricordando il proverbio di quelle gatte di Masino che sono gli Alemanni: „I mulini di Dio macinano adagio, ma macinano sicuramente!" massime a questi chiari di torpedini e di comunardi più o meno inguantati. Non, in vero, per gana di sproloquio, ma per sentimento fraterno, se mi sarà conceduto, in seguito a questa nostra strana batrocomiomachia, io tornerò a discorrervi probabilmente. Per commiato ora vorrei pregarLa ad ammettere che io pure mi reputo tutto altro che impeccabile, ed anzi che sono tra i più solleciti nel ricredermi, pentirmi e ritrattarmi . . . ove un raggio di luce più forte si degni colpirmi. Nella critica che mi permisi, ammetterò di avere, al caso, ecceduto in qualche frase; ma in merito vorrei lusingarmi di trovare venia, attesa la gravità linguistico-naziouale dell’ incidente, e la euormezza del richiamo fattoLe da tal Personaggio che,^ in buona fede, avrebbe appena potuto farlo con ingenuità sì primitiva . . . sempre stando al debole mio vedere! Una stretta di mano, e addio. ------------------------------------------ corrispondenze Isola 25 Luglio 1885 Vi ho promesso ultimamente di darvi relazione delle gesta dei nostri visitatori del 28 Giugno, intendo dire dei Soci dell’ Unione Operaja di Trieste (da non confondersi colla vera, grande Operaja) ma la cosa, abbenehè degna di severa critica, è tuttavia di un interesse tanto relativo da non meritar la pena d’occuparsene. Vi dirò che un individuo passò la notte iu gattabuia per aver voluto bere più di quello che intendeva pagare : altri parecchi si trovarono il borsellino troppo magramente fornito per soddisfare le esigenze di quanto avrebbero voluto consumare, ne fece una prova il buffet dei nostri esercenti che rimase ben fornito sino alla partenza dei grati e benamati ospiti. È meglio coprir la cosa di un velo e non fare confronti, specialmente confronti colle visite che ricevono le nostre consorelle Capodistria, Pirano, Paren zo duve sempre il buon umore, l’allegria, l’espressione di simpatia e di fratellanza, s’accoppiano al massimo buon ordine; e faccio punto. Le malattie nervose hanno sempre conseguenze fatali e sembra che le mie due relazioni antecedenti, e che voi avete avuto la bontà di publicare, abbiano dato seriamente sui nervi a diversi deputati e rappresentanti del nostro comune, ma tanto seriamente che temo davvero le conseguenze fatali di cui sopra. Vi assicuro che ne sarei dispiacentissimo per quel tale o quei tali Consiglieri deputati o rappresentanti; ma ciò non toglie che il bene puhlico lo si debba porre iu prima linea, che ogni qualvolta avrò da segnalare alla critica del publico qualche cosa mal fatta, io lo abbia a fare con 1’ animo tranquillo, per il bene del paese e per la dignità di esso, senza curarmi di alcuni nervi troppo suscettibili o suscitati. Un buon isolano, di quelli proprio che hanno buon senso 6 vedute chiare, mi assicurava l’altro giorno (e glielo credo) che i miei due articoletti antecedenti avevano suscitato una vera tempesta in seno alla deputazione comunale, e che c’ era un astro maggiore che voleva ad ogni costo far sfrattare l'incognito articolista!!! Si minacciò che, conosciuto verrebbe bastonato di santa ragione ! ! Ma ditemi un po o Signori ! perchè tutte queste tempeste? perchè questa eccitazione nervosa? perchè queste minaccio di sfratto (??)? perchè le ignobili bastonate ? 1 miei due poveri articoletti non erano che la vera descrizione di quanto realmente era successo ! ! Perchè non avete sbugiardate le mie asserzioni mediante la stampa? Non eravate nel caso di farlo? Ecco la verità ! Domani, tempo permettendo, avremo il Giuoco della Tombola, speriamo che le nostre vicine consorelle Pirano e Capodistria, porteranno anch' esse il loro contingente di visitatori, se non altro, in vista dello scopo umanitario. All’ultimo momento vengo informato che Domenica 2 Agosto p. v. avremo una visita della „Società Corale Sinico" di Trieste. Dio lo voglia ! Che almeno una volta all’anno questo misero paese abbia un battesimo di liberalismo! DELLA GENTE ROMANA TRIBUNIZIA dei BASILI!, ora BASEGGIO. Si annovera la famiglia Basegio fra le più antiche di Venetia; et le sue memorie vanno di pari con la fondatione della città.1) — A detto del padre Ireneo della Croce, nella sua Historia di Trieste, trae questa Casa chiarissima origine dalla famosa Gente Basilia di Roma, oriunda dalla Minuccia, dalla quale si deducono li Basilidi—Basilici — Basilissi — Basilii — e Basiliani con altri nomi, che fiorirono in Roma in Costantinopoli, et altrove. Da Roma con altre Prosapie illustri si trasferirono li Basilii alla Colonia di Trieste, come afferma il medesimo autore; e di là si diffusero in Capo d’Istria col nome di Bascgi, ed in Gradisca con quello di Bastilo, poi Baselli. — Che li Basilii Veneti riconoscano il loro principio dalla Nobiltà di Roma; et che da quella gran Metropoli venissero a Venetia, dove divennero Famiglia Patrizia e Tribunizia, lo accenna anco Lorenzo Longo nella sua Solerla (?) con questi versi : „Huc Celtae a Rheno, Costautinique, Nigrique „Venere, et Metii, Basiliique simul." Et Lugone Torelli nelle Annotatioui a detta Soteria, dimostrando quelle famiglie Patri ti e Venete, che, originate da Roma, ritengono l’antico nome, scrive così : „Aline vero familiae ac Gentes Venetae nomina gentilia „retinent — ut Cornelii — Valerli — Veturii—■ Amu-„lii — Lolii seu Rollini — Metii — Basilii-, — et „Alii“ — come sarebbero il Cicogna e lo Sanudo. Sopravissero però in Trieste alcuni Basilii, dettivi anche Basegio e Basei ; et vi sostennero sempre le prime cariche — sino che si estinsero l'anno 1625 — nella persona di Giovanni Basegio ; — ma Andrea Rapiccio, Vescovo di Trieste, ne’ suoi Manoscritti vuole, che da Capo distria passassero iu Trieste l’anno 1295; e queste sono le sue parole : „Anno 1295 — familia de Baulo, „seu Busco, ex Iustinopoli in urbe (?) migrasse constai" — ; dalla qual città sente il sopradetto Padre Ireneo, che anticamente addusse a Venetia. Sia come si voglia, ciò non implica punto che dagli antichi Basilii di Roma questi di Venetia non riconoscali la loro discendenza, et il possesso, non mai interrotto, della nobiltà Pattiti a, sin da quei primitivi tempi da Essi goduto, giustifica la chiarezza del loro sangue. Il Malfatti, et le altre Croniche Venete dicono, che da Torcello, et da Malamocco Vecchio venissero in Rialto, nelli quali luoghi si erano prima annidati ; et il Trescot, annuendo al Malfatti, scrive, che questa Casa fu nominata fra le Tribunitie di Torcello, et le dà un principio comune con quello di Venetia ; onde con ragione è numerata tra quelle prime dodici, che concorsero alla edificazione di questa Dominante, e nelle quali fu primieramente stabilito il Corpo della Patritia Nobiltà ; e come pure fu una delle dodici deputate nel 697 alla creatione del primo Doge. In quei tempi remoti chiamossi anco col nome di ■ astalitia come concordano tutti gli Autori. Esercitarono dunque li Basilii, corrottamente detti poi Basegi, li Tribunati di Malamocco, di Torcello, et ’) La originaria fondazione di Venezia nelle Lagune Adria-tiche rimonta agli anni 420-21 di Cristo, quando molti Nobili (Henety delle città del Friuli e di Padova nella Venezia di Terra Ferma, onde scappare alle stragi menate dal ferro e dal fuoco struggitore di Attila Re degli Unni e dei Goti, emigravano e riparavano nell’ isola di Rialto. In seguito la sorgente città, poco a poco ingrossata la società, che andava moltiplicando la costruzione di case, di chiese, di altri sontuosi edilìzi, per eccellenza assumeva il nome di Venezia 1’ anno 810. di altre isole ancora ; fecero edificare la chiesa di Santa Maria delle Vergini, et quella di San Basilio volgarmente San Basegio, titolare della Casa. Si estesero anco nella fabbrica di San Maurizio, sua Parrocchia ; et con grosse summe di denaro concorsero alla fabbrica del campanile di San Marco, col dono anco di alcune proprie loro case, dove sta fondato. Gli antichi suoi Personaggi, per servirmi della frase de’ vecchi manoscritti, furono huomini savii, di poche parole, ma di gran fatti. Antica e primiera impresa di questa casa fu una banda di argento in campo di oro ; ma nella conquista di Costantinopoli Giovanni (altri dicono Giacomo) Basegio fu honorato dal Marchese di Monferrato delle tre ossa di oro in campo azzurro, poste in fascia, l’una sopra l’altra, alle quali Baldovino Conte di Fiandra, eletto imperatore di Costantinopoli (1204), aggiunse la corona di oro sopra le stesse. (Continua) "X7" suri aulì 28 o 29 del corrente verrà varata in Venezia alla presenza del He e della Begina la corazzata Lran-cesco Morosini, della quale diamo alcuni ragguagli. Essa è una nave di prima classe, ed avrà una corazzatura sul sistema del Duilio, di 55 centimetri. La sua lunghezza fra le perpendicolari è di 100 metri e la sua larghezza massima è di metri 19 20, la spostamento di 10,000 tonnellate. Il giorno che verrà varata, sarà costata 4 milioni e mezzo di lire. La Morosini fu posta in cantiere nell’ ottobre 1881, e fu costrutta su disegno del compianto Micheli — lo stesso che diede il disegno della Lepanto — e sotto la direzione del signor Luigi Capaldo ; vi lavorarono in media giorno e notte 300 operai. Occorreranno ancora quattro anni prima che essa sia pronta a correre i mari, e quando sarà compieta-mente allestita il suo costo ascenderà a circa venti milioni e peserà 10,000 tonnellate. Essa avrà nel mezzo due torri giranti armate ciascuna di due cannoni di 106 tonnellate ; possederà una macchina di 10,000 cavalli e filerà 19 nodi all’ ora. Questa è la nave. Forte e potente quanto lo fu l’illustre ammiraglio veneto di cui porta il nome. Doge ed ammiraglio della Serenissima Repubblica, Francesco Morosini detto Pelopponesiaco fu il terrore dei turchi che sconfisse in cento battaglie per terra e per mare. A lui vivo - onore raro — fu eretto un monumento coll’ iscrizione ; Francisco Mauroceno Pelopponesiaco — adirne viventi. Questo grande onore ricordava un grande e terribile e glorioso fatto, 1’ assedio di Candia. Con soli 30 mila uomini, Morosini resistette 28 mesi a quasi 200 mila uomini, respingendo 68 assalti, facendo 80 sortite e soffrendo 1’ esplosione di 1400 mine! Alla fine dovette cedere, ma fu una capitolazione con tutto 1’ onore delle armi che dette in mano ai turchi, non una fortezza, non una città, ma un mucchio di rovine. Nato nel 1618, Morosini morì nel 1684. La di lui discendenza diretta si è estinta recentemente colla morte della contessa Morosini Gattemburg. * * * La Difesa lo strenuo organo degli interessi Dalmatici ci ha spedito la seguente circolare : Spettabile Direzione ! Dal giorno 12 giugno a. c. insino a ieri „La Difesa ‘ ebbe a subire ben sette sequestri, tutti inesplicabili per la oggettiva mitezza del nostro linguaggio, tutti incompatibili, forse, colle norme costituzionali che garantiscono la libertà della stampa. La legge ne concede bensì il diritto di pubblicare una seconda edizione : ma l’esercizio di questo diritto diviene semplicemente irrisorio pel fatto che le decisioni di sequestro ci vengono intimate parecchi giorni dopo uscito il giornale confiscato. Di tal modo noi non possiamo sapere precisamente quali sieno gli scritti colpiti e non siamo in grado di pubblicare una seconda edizione. Di fronte a questo stato di cose, che sintetizza a così dire la nostra situazione politica, e cui va oggi ad aggiungere nuova gravezza il decreto luogotenenziale che ordina il disarmo generale dei quattro sobborghi di Spalato, noi sentiamo il dovere di prevenire Essa Spettabile Direzione, onde il motivo del ritardo, effetto passeggero di forza maggiore, non venga attribuito a nostra colpa. Noi abbiamo attraversate con animo forte ben altre e più difficili prove. Attraverseremo — speriamo — anche questa, e potremo ristabilire il regolare invio del giornale. Intanto, voglia continuare ad esserci cortese dello scambio e gradire i sensi della nostra considerazione. Spalato, 7 luglio 1885 La direzione della “Difesa,, Onore agli uomini, che con tanto coraggio, con tanta risolutezza propugnano in Dalmazia la causa della nostra civiltà. La lotta sarà lunga penosa, ma, se è vero che è dei forti, la vittoria non può loro mancare. * * * Per iniziativa del D.r Lodovico Sprocani, si costituiva di recente a Pola una Società per azioni, la quale aprì in quella città uno stabilimento balneare sul sistema di quelli esistenti a Trieste. * * * In occasione del varo delle regia corazzata italiana „Francesco Morosini," una impresa triestina aveva divisato di intraprendere una gita di piacere per Venezia. L’autorità politica però v' interpose il suo veto, e la gita non può aver luogo. Ma vedete un po’, perfino nelle gite di piacere c’ entra la ragione di Stato ! * * * Mentre l’infaticabile D.r Lovisato ha pubblicato a Roma una pregevole memoria dal titolo “Contribuzione alla preistoria calabrese„ da lui presentata alla Reale Accademia dei Lincei, l’egregio prof. Arturo Pasdera ha dato alla luce a Sondrio un’ interessante dissertazione grammaticale in lingua latina intitolata “De interest verbo Impersonali.Ad ambo i comprovinciali un “bravi„ di cuore. Essendo già scaduto il primo Semestre 1885, invitiamo i Signori Abbonati a mettersi in corrente coi pagamenti. CRONACA LOCALE Il 12 luglio 1885, — Per forza ineluttabile di nostra vita, ultimi fra i confratelli a prendere la penna sopra la geniale festa che questa data ci ricorda, non ci asterremo per questo dal darne rapido cenno a’ nostri lettori con quell’entusiasmo che ancora ci parla nel cuore. Non erano per anco le cinque del pomeriggio di quel giorno e una massa enorme di cittadini con in volto scolpita la gioia impaziente onde s’ attende un caro amico, stipava la riva del nostro porto addobbato a festa, mentre il molo delle galere era occupato dal comitato di ricevimento, dalle rappresentanze di tutte le nostre associazioni liberali, e della publica stampa, e dalla banda civica in grande uniforme. — Lungi sul mare avanzavano stretti insieme i tre piroscafi che portavano gli ospiti impazientemente attesi, mentre, veloce come freccia, s’era già accostata alla riva un’ imbarcazione dell’ Operaia, colle sue simpatiche divise, per disimpegnare il servizio d’ onore al quale era destinata. Giunti i vapori di faccia alla città, due di essi rallentarono la corsa, onde si vide staccarsi dalla squadriglia „l’Adriana," pavesata a festa, colla bandiera della società sull’albero di prua, ed entrare lenta maestosa nel porto tra le grida di giubilo sprigionatisi spontanee da tutti i petti, tra 1’ agitar dei fazzoletti, di cappelli, di mani salutanti plaudenti, mentre la civica banda col solito brio iutuonava, il marziale inno di S. Giusto. Scesa a terra la Direzione della società operaia, venne salutata con acconce parole a nome della popolazione festante dal presidente del Comitato di ricevimento Sig. Antonio Dr. Sandrin, a cui rispondeva col core sulle labbra, colla sincerità della forza il direttore della società operaia triestina per l’educazione fisica Sig. Draghicchio, 1’ idolo della gioventù, il simpatico quanto distinto patriota. Il presidente della Società Operaia Sig. Edgardo Rascovich aggiunse pur esso la sua parola calda d’ affetto, serrata di pensiero. — Frenetici applausi scoppiarono alla chiusa di ogni discorso. — Scambiato questo fraterno saluto la Direzione del-1’ operaia triestina accompagnata dai membri del solerte comitato cittadino, dalle rappresentanze delle società liberali di qui; fiancheggiata da due schiere di vigorosi canottieri, si portò preceduta dalla civica banda e seguita — staremmo per dire — dalla popolazione tutta, in mezzo ad interminabili entusiastici evviva, per il viale ampio del Belvedere nella nostra graziosa piazzetta. Mentre la civica banda, sopraffatta quasi dalle grida di giubilo, suonava una bella marcia d’ occasione, la Direzione della società per 1’ educazione fisica si recava a ricevere il benvenuto da parte del nostro magnifico Podestà, che con sentite parole commentando i vincoli in-dissolibili che uniscono la città nostra alla generosa Trieste, porse a nome della città tutta cordiale saluto. Suscitando cari ricordi, che rimarranno incancellabili nella nostra memoria, rispondeva all’ illustrissimo Sig. Podestà il Sig. Edgardo Bascovisch ; e siamo davvero dolenti di non potere riferire testualmente il suo bel discorso. Seguite quindi le presentazioni dei membri della Direzione dell’ operaia, e dei consiglieri comunali presenti, i nostri ospiti, accolti al loro apparire sulla soglia del Municipio da un subisso d’ applausi e di evviva dalla folla che riempiva tutta la bella piazzetta, si portarono sulla spianata del belvedere dove, a cura del solerte comitato cittadino, era stata allestita ed addobbata con buon gusto una sala da ballo. E quivi sotto a’ platani frondosi seminati di bandiere multicolori, di faccia al nostro bel mare vivamente scintillante di faccia al sole che volgeva lento al mare nella festa di colori 4’ un bel tramonto estivo proiettando attraverso il fogliame dei platani caldi sprazzi di luce che venivano ad indorare le chiome delle belle figlie di Trieste, incominciarono le danze che si potrassero animate, piene di brio, di allegria fino al crepuscolo. Mentre ancora quivi ferveva la danza, la Direzione della Società operaia, cospicui cittadini delle tre città sorelle di Trieste, Gorizia e Capodistria, ed i membri del Comitato si raccolsero a fraterno convegno in una sala dell’ austero palazzo dei conti Tacco. Fu quivi che s’ appalesò ne’ brindisi fervidi il mirabile accordo d’intendimenti, di pensieri, di speranze onde tutti si sentivano compresi. Ed ora, vedete ironia della sorte! In quella stessa sala ove pochi mesi or sono un microscopico nucleo sloveno-croato si lambiccava il cervello per crear dissensioni in Provincia, in quella stessa sala le rappresentanze delle migliori Società liberali di Trieste unite in fraterno connubio coi migliori patrioti della città nostra, brindavano all’ unione di tutte le forze vive del Paese nelle aspirazioni comuni di benessere morale e materiale. Noi crediamo che miglior battesimo non avrebbe potuto ricevere quella Sala cotanto contaminata, ed ora all’ occasione essa potrà essere ridonata a geniali convegni, senza tema che più in essa si aggiri lo spirito maligno della discordia. Cessate le danze che furono animate da valorosa orchestra triestina, ebbe luogo nella elegante piazzetta un concerto alternato dail’orchestra e dalla banda cittadina. Ulta folla compatta di popolo a stento movevasi nella piazzetta, ogni tratto rischiarata a giorno da fuochi bengalici, e nel viale del belvedere col suo celo di palloncini. Applausi continui, fervidi evviva interrompevano susseguivano i varii pezzi dell’ attraentiesimo programma musicale, 1’ entusiasmo era al colmo e sempre più incalzanti scoppiavano le sue manifestazioni. Chiuso il programma musicale verso le 10 di sera, s’ allestì la partenza. La banda cittadina messasi a capo del movimento e seguita dalla Direzione dell’ operaia, dai membri del comitato, e da fitta massa di cittadini, mosse, suonando, pel futuro Viale Santo Gavardo, in mezzo alla cangiante luce de’ bengala, tra due siepi di palloncini che serpeggiavano ai lati del viale fin giù al mare, verso il porto, dove s’ offerse alla vista il più attraente spettacolo. Dal molo, dai vapori, dalla riva, ratti sgusciavano i razzi rigando in tutti i versi il buio fondo del cielo, bombe frequenti scoppiavano improvvise dal suolo spruzzando nell’ aria zampillo di fuoco, strug-gentisi in altrettanti spari, o dissolventisi in lumicini da’ vivi colori; lungo la riva opposta una striscia di fuoco correva parallela al mare, producendo co’ suoi riflessi bellissimo effetto. Sul colle di S. Marco qua e là ardevano fuochi, e da un poggio dello stesso spiccava, illuminato con garbo, l’elegante maniero del Dr. Pio march. Gravisi, che nel buio della notte pareva il medio evo rizzatosi un momento dal sepolcro a salutare i grandi ideali del nostro secolo. Circonfuso da nembi di fuoco, traspariva intanto sul molo un „Viva Trieste", che al suo mostrarsi strappò lunga interminabile ecco dalla popolazione affollata alla riva; e poco di poi in mezzo a’ raggi di cara . . . meteora apparve un trasparente colla scritta „Viva Capodistria," gentile corrispondenza improvvisataci da’ nostri ospiti graditi. Ma già le molte imbarcazioni dei baldi canottieri triestini scivolavano veloci sull’ onda bruna, rotta a ogni tratto da’ vivi riflessi de’ fuochi bengalici ; già l’Illustrissimo Podestà Sig. Giorgio Cobol con commoventi parole dà il saluto d’addio a’nostri cari ospiti, già i vapori si staccano col massimo ordine uno ad uno dalla riva. L’entusiasmo è indescrivibile; grida immense di evviva s’ innalzano dalla folla, che agita le mani, i cappelli, i fazzoletti ; un’ onda immensa di popolo preceduto dalla banda civica si riversa a capo del molo e quivi, mentre i vapori sfilano dinanzi, vengono scambiati i più sinceri cordiali saluti, che hanno un termine quando a mala pena si odono corrispondere dai vapori gli evviva de’ nostri ospiti. Ma que’ saluti non erano un addio, erano un arrivederci. Con questo voto della popolazione tutta diamo termine alla relazione di questa festa, che sarà per la città nostra uno de’ più cari incancellabili ricordi. * * * * Lunedì e martedì di questa settimana ebbero luogo gli esami di maturità presso il nostro Ginnasio, sotto la presidenza dell’ Ispettore Dr. de Gnad. Di nove candidati che si presentarono all’ esame, cinque furono approvati con distinzione, e sono i Sig.i Cosulich Marco, Marchio Giacomo, Novaco Giovanni, Ulcigrai Antonio, Zanella Alfredo. Degli altri quattro, uno fu dichiarato semplicemente maturo, e tre furono rimessi a due mesi, a ripetere 1’ esame in una materia. In complesso, un bell'esame di maturità ! * * * Abbiamo a registrare una nuova bravata dei prodi seguaci di Nabergoi, arruolati tra le file militanti di questo Istituto Magistrale. Una sera della scorsa settimana - e si potrebbe dire una notte, perchè la mezzanotte era già passata - un giovanetto dei nostri se ne stava seduto in uu giardino di un publico esercizio a godersi il fresco. Entrati dopo di lui quattro studenti magistrali, slavi o croati che fossero, che venivano dall’osteria all’Aquila nera ove sono soliti passare la sera, incominciarono ad acclamare a Nabergoi ed alla grande Slavia, vomitando un mare di sconcio trivialità contro gli italiani. Il nostro giovanetto fe’ atto di risentirsene, ed uno dei quattro gli fu tosto addosso con parole ingiuriose e modi villani. Non osò però venire ai fatti, tenuto in riguardo dalla presenza di un gendarme che si trovava pure nel giardino. Ma gli animi bollenti dei quattro prodi non potevano calmarsi così di leggieri; non doveva restar impunito chi aveva osato di mostrar risentimento alle offese villane, scagliate da quei farabutti contro la nazione italiana ! — Infatti, usciti dal locale, si posero in agguato ; e quando comparve il nostro giovanetto Io aggredirono proditoriamente, e gettatolo a terra, quattro contro uno, da vigliacchi quali|sono, lo percossero barbaramente. Convieu ritenere, che nella colluttazione 1’ aggredito abbia pronunciato qualche parola d’indole politica ; poiché il gendarme, accorso alle grida, lasciò andare uno dei quattro aggressori cui era riuscito fermare, per arrestare invece il nostro giovanetto, che fu condotto agli arresti — Sappiamo però che dopo dieci giorni di detenzione, fu rimesso a piede libero, avendo la Procura desistito da ogni procedimento in di lui confronto. Contro i quattro studenti invece pende il processo per la contravvenzione ex §. 411 CP. ; e vogliamo sperare che la punitiva giustizia sarà fatta valere in tutto il rigore, considerato che tali e consimili fatti avvengono un po’ troppo di frequente, con grande indignazione di tutti.