i i Soldi IO al numero. L'arretrato soldi SJO L'Associazione è anticipata: annua, o semestrale - Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 78 — 25 settein. 79 importa fior. 3 e s. StO ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a benefìcio dell'Asilo d'infanzia UNIONE CRONACA CAPODISTRIAN A BIMENSILE. si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore I L'integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costuma td energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSAKIO — IO febbraio 1870 — muore Pietro Cnppari — (V. Illustrazione). CENNI SULLA STORIA DELL'ARTE CRISTIANA nell' Istria (») (Continuationc V. n. 3, 4, 5, 6, 7 e 8) Ma poiché qui ci ha condotto il discorso, egli è ormai tempo di far menzione di quel lume della pittura Vittor Carpaccio, che insieme a Giambellino e Cima da Conegliano, forma il triumvirato del purismo della veneta scuola nel secolo XV. Più che a descriverne però le opere, d'altronde notissime, qui ci rechiamo a dovere di chiarirne i natali, poiché una costante tradizione lo fa nativo di Capodistria, ad impugnare la quale con fondamento non bastano certo gli errori e le incertezze degli scrittori. Il Vasari lo dice veneto, il cavalier Bidolfi lo fa cittadino veneziano ; il Lanzi così ne discorre : „ Competitore dei due Bellini e dell' ultimo Viva-rino, fu Vittor Carpaccio veneto o di Capodistria. „ E altrove : " Il paese è imbevuto di questa opinione, (cioè che il Carpaccio fosse da Capodistria). Selvatico nella sua storia delle arti del disegno lo dice forse nativo di Capodistria. Il più forte argomento in contrario, su cui si fondano gli oppositori si è l'essersi Vittore sempre sottoscrito ne' suoi quadri : Vmetus. Si rifletta però che veneto veramente egli era, perchè soggetto alla veneta dominazione, perchè dimorò in Venezia, perchè appartenente alla veneta scuola. Altri esempi si hanno, come ben osserva lo Stan-covich, di pittori che non si sottosrissero col nome della patria. Pomporio Amalteo di S. Vito del Tagliamento nelle sue pitture si segna: Mottae civis et incoia. Lorenzo Lotto in alcuni quadri si scrive: pictor venetns, in altri Tarvisinus. Giusto Padovano era fiorentino. Diana, civis Yolaterrana, era invece di Mantova. Che poi il Carpaccio si compiacesse di sottoscriversi veneto anziché giustinopolitano, non parrà strano, allorché si pensi alle povere condizioni di Capodistria e della provincia in allora, e al natuiale amor proprio e al desiderio di maggior celebrità ed importanza che avrà inclinato Vittore a sottoscriversi qual cittadino di una grande capitale, anziché di un' umile città di provincia. Si aggiunga che non infrequenti erano le trasmigrazioni di famiglie dalla costa veneta alla istriana, e che i nuovi venuti duravano nel-1' affetto alla patria antica ; per cui è probabile che la famiglia dei Carpacci, originaria di Venezia, conservasse il nome di veneta, che non avea certo perduto traslocandosi a Capodistria, città questa pure veneta ed italiana. Arroggi altra importantissima circostanza, non ancora avvertita, che cioè [gli I-striani venivano confusi erroneamente coi Dalmati, e chiamati, ingiustamente si, ma col poco lusinghiero nome di Schiavoni, nome che un uomo cotanto celebre avrà voluto evitare, sacrificando l'affetto di patria alle ub-bie ed ignoranze volgari, ed assumendo invece il nome generico di veneto, da non confondersi, si noti bene, con l'altro di veneziano*) Ma a ritenere invece il Carpaccio per capodistriano, siamo indotti dalla costante tradizione in Capodistria, notata anche dal Lanzi con quelle parole: "Il popolo è imbevuto da questa opinione.,, Ora domando io come si fa a imbevere tutto un popolo di così storta opinione, la quale può essere a ogni momento contraddetta ? E come avrebbero o-sato i cittadini di Capodistria additare i quadri del Carpaccio qual opera di un loro concittadino, sotto gli occhi di magistrati veneziani, gelosissimi delle glorie loro, se potevano essere smentiti da qualunque si facesse a leggere la sottoscrizione; come lo avrebbero osato, qualora questa opinione non avesse avuto d' altronde un forte e sicuro appoggio, superiore alla stessa scritta del pittore? Le false opinioni, i giudizj erronei si formauo in conseguenza a qualche causa accidentale ed estrinseca che gii abbia prodotti ; ma quando queste cause non esistono o sono apertamente contrarie, convien credere che l'opiuione sia vera, che il giudizio sia giusto, e discenda netto e preciso dalla intima ed essenziale natura delle cose. Cresce poi forza all'argomento il nome stesso dell'artista; essendo che comunissimo fosse quel nome nelle famiglie di Giustino-poli, per l'antica venerazione al martire Vittore, di cui si conservano reliquie nel duomo e se ne celebra la festa ai 19 febbrajo. Questo nome appare ripetuto di avo iu nipote, come è costume, nell'albero gentilizio della famiglia Carpaccio, tratto dagli archivi della cattedrale, dal quale però non si ha l'anno e la nascita di Vittore, cominciando appena i regolari registri di questa parrocchia col 1552, nei quali apparisce tra i primi un Vittore che sarebbe nipote dell'insigne artista, procreato da Benedetto, figlio di questo. Un ultimo argomento che fa per noi si è il buon numero di quadri che Vittore e il figlio Benedetto condussero a Capodistria, a Trieste, a Pirano. E si può egli supporre che un valente artista qual fu il primo, occupatissimo nelle grandiose storie di S. Orsola, di S. Giorgio, nei dipinti del palazzo ducale, sfortunatamente perduti, e in tanti altri importantissimi lavori affidatigli dallo stato e dalle confraternite più illustri di Venezia, avesse trovato tempo a dipingere quadri ed anche storie di locale interesse, se a ciò più che da poveri lucri non fosse stato mosso dalle relazioni di parentela, di amicizia e di patrio affetto ? Ciò evidentemente apparirà dall' e-same delle opere sue, che tuttora ammiransi in Capodistria. Cominciamo dal quadro della Vergine nel duomo che porta la sottoscritta : Victor Carpathius venetus pinxit 1516. Udia-mo il Lanzi che così ne discorre: „Nel fondo *) Sembra certo che tal sorte abbia toccato a frate Sebastiano da Rovigno, essendo che l'aggiunto di Schiavone noi lo riteniamo un appellativo, indicante falsamente la nazionalità e non un cognome. E tanto era schiavone frate Sebastiano da Rovigno quanto turchi i Veneziani. del quadro siede in trono maestosissimo nostra Signora, col divino infante ritto sulle ginocchia, e fan loro corona, disposti sopra tre gradi, sei de' più venerati protettori del luogo, variati egregiamente nei vestiti e negli atti, ed alcuni angioletti che suonano, e con certa puerile semplicità guatano insieme lo spettatore, e lieti pajon chiedere, che gioisca con loro. Conduce al trono un colonnato luugo, ben inteso, ben degradato, che una volta era unito ad un bel colonnato di pietra, che partivasi dalla tavola e distendevasi in fuori per la cappella, formando all'occhio un inganno ed un quasi incanto di prospettiva, che poi si tolse, quando ne furono rimosse lo colonne di pietra per aggrandire la tribuna. I vecchi della città, che videro il bello spettacolo ai forestieri il rammentano con desiderio; ed io volentieri ne iscrivo prima che obliterata no sia la memoria. " Ma questo dipinto molto è a dolersi sia stato in parte guasto dall'ardito pennello del Dusi, il quale ristaurandolo, non con quella riverenza che si conveniva a tanto maestro, per torre qua e là qualche rigidezza di contorni e secchezza di forme, sbizzarrì sulla tela, togliendole il carattere e lo stile suo primitivo. Non così si ha a dire, di altra tela del Vittor stesso, che trovasi nella podesteria di Capodistria, sottosegnata 1517, rappresentante l'ingresso di un veneto podestà, la quale in deplorabile stato per secolare incuria ridotta, con ingegnosa pazienza e lungo studio e riverenza molta ci fu ristaurata dall'egregio nostro Gianelli. In questa tela condotta negli ultimi anni di sua vita, si scorge uno stile più largo, un fare sciolto e rotondo che di molto si scosta dalla secchezza della sua prima maniera. Che se la povertà del soggetto, molto lontano dalla ricchezza e magnificenza delle splendide feste veneziane, qui non eccita tutta la ricca fantasia dell'artista, pure vi ammiri quel pressarsi di genti, quel vario atteggiarsi, quella vita, che unico seppe trasfondere il più epico pittore di que' tempi, nella rappresentazione di civili e religiose solennità. Molte di quelle teste sono condotte con la finezza e la precisione del ritratto, e più di un nobile del paese potrebbe ravvisarvi i tipi di sua famiglia; non un anacronismo ti offende, e serbato è diligentemente il costume, cosicché tu vi riconosci la foggia del vestire dei nobili d'allora dalle ampia toghe, e dei mercatanti dai rossi e corti calzoni, e dell'uomo del popolo dal rosso berretto e dalla larga casacca. Sulla loggia sopra al portone d'ingresso al palazzo, allora archiacuto, sventola il glorioso vessillo di San Marco, e alcune gentildonne guardano al corteggio; nel mezzo del quadro senz'arte di convenzione spicca la prima figura del podestà e naturalmente l'occhio vi cade sopra ; egli è vestito di larga toga, gli scende dall' omero destro 1' aurata stola di cavaliere ; tutti lo seguono, tutti onor gli fanno. A Vittore sono pure ad attribuirsi i due profeti nel presbiterio del duomo, e il portar della croce sul monte Calvario, piccola ma preziosa tela, che aspetta una mano dotta e paziente che ne rilevi le bellezze, salvandola dal lungo abbandono. Nella chiesa di San Nicolò vi è altro dipinto rappresentante la Vergine in trono coi santi Nicolò e Giovanni Battista, senza epoca e nome, il quale per la molta somiglianza della Vergine con la madonna snddescritta, sembra lavoro di Vittore. In S. Francesco di Pirano vi è pure altro suo quadro sottoscritto ; Victoris Carpathii veneti opus 1519. (Continua) (PIK fifléBTTI di una vergine Povera Lina! addolorata e pia Conducevi la vita; al tuo dolore Cedesti alfin, come a tempesta ria Tenero fiore. Riposa in pace: i terrestri contaggi Hai lavati col pianto, e Dio placato, Assai perdona gl'innocenti oltraggi, S'hai molto amato. "Ed io vedeva l'immatura Parca Aleggiarti sul viso, u' tosto il pio Sconforto apparve, onde ci rammarca L'ultimo addio. Ti guardava pensoso; e tu serena Di pace stanca al sole che moriva Fìssavi il guardo 've del cor la pena Tutta appariva; E ridevi al fratel quel mesto riso D'amore e di dolor, che poscia in pianto Si risolveva e ti bagnava il viso Pallido tanto ! Oh, non mi dite che ogni lieta spene Fugga i sepolcri e che i dolor sien vani: Vox rubate a chi piange il solo bene, Sieto inumani. No, giovinetta, quelle stille amaro Che ti piovver dal ciglio ai tuoi dolori, Fulgenti, o cara, le vedrai ingemmare Serto di fiori Raccolti in Paradiso; innamorato Un cherubin ti adornerà le chiome, E tra i celesti griderà beato Un altro nome. No, quel tesoro di celeste amore Che tenevi nel sen, caro tormento, Non è consunto; il palpito del core No, non è spento. Il più bel don, la più gentil fattura Dei. Cielo è il core, e troppo nobil cosa Perchè tutta quaggiuso arda sua pura Fiamma amorosa. Il buono, il vero, il bello che sitisti Con tanto ardore, con sì accesa brama, Lassù fanciulla, troverai commisti In Lui che t'ama. Ei solo il sazia, e solo in Lui s' acqueta, Qui, 1* hai provato, ha il cor scarso retaggio; Nè per istrazio Dio di sè l'asseta: La vita è un viaggio. Funesto viaggio e tenebroso! Un faro Lontan lontano d'un purpureo raggio Tremulo orienta nel cammino amaro L'occhio del Saggio. Ter quella luce a la tempesta fiso Tenevi il guardo, e ne avevi conforto; Torni al tuo labbro l'obliato riso: Sei giunta in porto. Capodistria GIOVANNI BENNATI FESSURI SULLA EDUCAZIONE L'osservatore il più superficiale si accorge di leggieri che la natura dell'uomo è disordinata. Composto fisico di due principii differenti, spirito e materia, l'uomo vede questi due principii in lotta fra di loro, e spesse fiate l'interiore sopraffare il più nobile ; o nello spìrito stesso scorge la strana e avviliente contraddizione del "video meliora proboque, deteriora sequor. „ Chi di fatto non ammira 1' offeso che sa perdonar^ o chi può tenersi dall' entusiasmo se il perseguitato benefichi il persecutore? Ma per converso, quanto pochi il sanno all'uopo imitare! Non è questo il luogo di chiamare a disamina la ragione di questo fatto ; ci basti averlo notato. Diremo solo così di transito che Rousseau e alcuni altri novatori l'attribuiscono esclusivamente a una mala educazione, per i quali l'uomo nascerebbe perfetto ; e contra la teologia cattolica incolpa in primo luogo il peccato originale. Sia però la mala educazione, come altri crede, o il peccato di origine, come crediamo noi, la causa di un tanto dissesto, una falsa educazioue sarà pur sempre fonte di gravissimi disastri. E però non sarà mai detto abbastanza su questo proposito, nè per conseguente verranno inutili del tutto le poche linee che verrò dettando. Nou si pensi ch'io voglia entrare nel campo delle speculazioni a correre per avventura la sorte d'Icaro, chè su questo proposito non patisco d' illusioni; camminerò sempre sulla terra, mi occuperò perfino di minuzie, ma di tali minuzie nelle quali sta riposta, a mio credere, la cagione potissima delle grandi sventure. Vediamo. Mi è occorso, e non una volta, di veder un fanciullo incespicare e cadere, e la madre accorrere, sollevarlo di terra e darsi a percuotere la sedia o qualunque altra cosa, dove il fanciullo era andato a battere. E ho veduto quel fanciullo che dirottamente piangeva, chetarsi improvviso, e atteggiarsi a una espressione tanto 'sinistra, che su quegli angelici sembianti ti dava l'apparenza di una nuvola tempestosa in un bel mattino di primavera. Io non ho il dono della meditazione profonda, e però non mi son mai potuto capacitare come anche uomini assennati non si tengano da una immoralità così palese. Si fa gustare a quelle anime innocenti la truce soddisfazione della vendetta prima ancora che abbiano chiaro il concetto della offesa ; il bisogno di vendicarsi, che, per me, hanno da natura, si ringagliardisce e si rinfocola, e quando una sana morale intima loro per la prima volta il dovere del perdono, non sentono la sublimità del precetto, o ne disperano la possibilità. Di qui una generazione di petrolieri e di omicidi, una „ razza di gladiatori nata per accoltellarsi" o per lo meno di fratelli che si accaneggiano, e che menano tripudio sui dolori dei fratelli. Prin-cipiis obsta, perchè una scintilla suol essere cagione di vastissimo incendio. Non si potrebbe in quella vece assuefare i fanciulli al perdono ? Non è raro che tra di loro nasca una dissensione, e che il più focoso percuota il più mite. Non potrebbe in simili casi il genitore dell' offeso accarezzare l'offensore, regalarlo, dire che non farà mai più, che l'ha fatto senza riflettere, e indurre i litiganti a regalarsi un bacio? E non si creda che un processo siffatto arrechi quei soli vantaggi che se ne ripromettono le anime timorate. Il livore danneggia non di rado la salute, allora specialmente che non gli si può dare quello sfogo che la passione vorrebbe. E quante volte succede che non può avere la soddisfazione che desidera? Io credo che assai frequente, e quindi assai frequenti le occasioni di disturbare la propria tranquillità, e guastarsi la salute. E il perdono non attutisce anche il bollore dell' odio nell1 avversario ? Il quale talvolta si lascia guadagnare alla generosità della sua vittima, e desiste dal perseguitarla, e le si affeziona; tal altra si avvilisce per la nessuna importanza che, a suo credere, viene attribuita a' suoi mali uffizi, alle sue contumelie, e si contenta di un odio inoperoso. Ma "la pazienza è la virtù dell' asino„ Da senno ? A rny pare invece che il perdonare sia il culmine della virtù razionale, una vittoria riportata sull' egoismo, cho come è la più forte delle umane passioni e la più ardua a infrenarsi, così è il dissolvente irresistibile della umana società, se non venga ristretto fra i debiti confini. La società si basa sul sagritìzio dell'interesse individuale all'interesse comune, la società è la morte dell'egoismo; favorite 1' egoismo, e voi avete uccisa la società. Osserviamo un' altra inezia. Io vorrei molto volentieri che tutti i fanciulli vestissero un taglio elegante, chè per tal modo la loro grazia naturale acquista maggiore risalto, e l'incontrarli ti cagiona una vera allegrezza. E vi è anche una ragione morale. La pulitezza e la grazia del vestito ingenerano nel fanciullo l'amore per la pulitezza e per la grazia del costume, e più difficilmente, o almeno più tardi si lasciano andare a certe brutture. Ma il guajo sta ihquesto, che quasi tutti i genitori non si peritano di accentuare la bellezza dei fanciulli in loro presenza ; di che non è adire se quei bimbi ne vadano in solluchero. E incontra di vedere al passeggio una fanciulletta di pochi anni incedere piena di sè, e istituire vanitosi confronti fra gli abiti propri e quelli delle altre ; e se le accade di avvenirsi iu una bimba più vezzosa di lei, la ti perde il buon umore. E pazienza se il male fosse tutto qui. Fatti adulti, quei fanciulli, e nominatamente le fanciulle, sentono una vera passione per i vestiti e per lo sfoggio in genere, e questa passione, come tutte le altre, conduce anch' essa la sua sequela di sventure. Lascio di nominarne talune, forse le più rilevanti, ma le meno convenienti ad essere riferite, e ricorderò tali altre soltanto. (Continua) BIBLIOGRAFIA (Dal Borghini del 1 febbrajo). Sau Bonaventura. Quattro operette ascetiche volgarizzate dall'Abate Giovanni Moise. Firenze, Tip. del Vocabolario, 1878; — Lire 2. 50. Questo traduttore è quello stesso Moise, autore di una Grammatica, della quale ho parlato nel n. 4 di questo periodico. Egli è da Cherso, sul Littorale Austriaco ; ma è tra' pochissimi che comprendano assai bene la toscanità benché non Toscani ; e che abbiano, scrivendo, il sapore e la schiettezza della lingua italiana : della qual cosa è prova parlante la presente traduzione, tutta semplice, tutta pura, tutta propria, senza vani fronzoli, senza ombra di affettazione. L'Abate Moise nella sua Grammatica ha fatto prova di difendere, per via di esempj, molti modi improprj, e anche falsi: ma nella sua versione non se ne trova pur uno; e si veggono fuggiti studiosamente. Ma, se gli fugge egli con tanta lode, perchè non insegnarli fuggire anche a' giovani ? Padre Zappata predicava bene e razzolava male: il Moise al contrario, in qualche caso predica male, ma razzola sempre bene. La sua può essere una bizzarria; ma non è però ipocrisia come quella dello Zappata: il perchè non gli facciamo colpa della prima parte, e lo lodiamo schiettamente dell'altra. Fanfani. là~peste" in europa (Dal Diritto del 31 gennaio) Nel Senato e nella Camera furono rivolte interrogazioni al Governo intorno all' epidemia, che, apparsa sulle remote foci del Volga, risalendo a ritroso il corso del gran fiume, impensierisce e spaventa l'Europa. Il Governo ha preso già qualche misura, ordinando una delle consuete quarantene per le navi, e sollecitando dai nostri rappresentanti in Russia notizie, rapporti medici, e minuti ragguagli. Quelli di Germania e d'Austria-Ungheria convocarono anche una conferenza, nella quale si deliberarono misure energiche, che additano la gravità del pericolo. Certo le quarantene sono troppo poca cosa ed anche le misure ad ottate nel centro d'Europa possono sembrare di per sè sole insufficienti. Bisogna pensare più seriamente ed energicamente alla pubblica salute; questo dovere ci sembra debba essere ricordato ai Governi. S'ignora, come sempre, in qual modo incominciassero ad Astrakan le stragi del morbo micidialissimo. Dicono si sviluppasse dagli abiti smessi di un cosacco tornato dalla guerra dell'Asia minore; forse altrimenti. Nella steppa, in quelle bassure acquitrinose del Volga, facile sarebbe stato ad un governo più curante della salute pubblica circondarlo, circoscriverlo, estirparlo. Si è parlato infatti di rigorosi cordoni, di misure energiche, di divieto d'ogni contatto: ma furono tardi, quando il morbo aveva già risalito il Volga ed era scoppiato nella parte più settentrionale della provincia. Fu gran ventura che non si trasmettesse sul Don, di dova scendendo agli emporeii del mar Nero, avrebbe potuto giungere in pochi giorni a Costantinopoli, sebbene il presente gelo del mare territoriale potesse creare un impaccio, forse un freno ai progressi del morbo per quella via. Ma come frenarlo lungo i floridi emporii del Volg3, che comunicano per fiumi e vie ferrate con tutta l'Europa? Come arrestarlo se veramente è già ai confini della Germania ? Non si sa bene sino a qual punto oggi il morbo si estenda. L'on. Dapretis, per notizie avute da Pietroburgo, una fonte per lo meno sospetta, assicurava ai Sonato che non è u-scito dal governo di Kasaii ; ma il Wiener Medicinische Wochenschrift dice in cambio che ha già toccato Nischni-Novgorod, la città delle grandi fiere, e vorrebbero dire che è alle porte di Mosca, mentre già si smentisce che sia comparso a Varsavia. Solo a prendere, fra le due notizie, la media, si può dire che è alle /porte della Germania. E naturale la domanda: la Russia è essa in grado di impedire che il flagello si diffonda? La miseria che la guerra si è lasciata addietro, specialmente nelle classi rurali, la defl-canza dei- medici, i movimenti delle truppe, a quella certa fatalità inconsciente, che entra nel carattere del popolo russo non ci consentono di dare alcuna risposta soddisfacente. È alla Germania, all'Austria-Ungheria, alla Turchia ed ai minori Stati dei Balkani, che ci dobbiamo principalmente rivolgere perchè il flagèllo non esca dalla Russia, perchè tutto intorno alla monarchia sia stretto il blocco più rigoroso ed energico. La moderna civiltà, colle sue stesse forze morali ci permette di considerare coi terrori d'un tempo lo sviluppo di questo morbo. I Romani potevano chiamarlo progenie infausta della Notte e della Fame ed erigergli templi propiziatorii ; ed i greci piegare il capo davanti ad esso, come "davanti all'ira di Marte inesorabile, che senza lo scudo e la spada — come dice Sofocle nell' Edipo — riempie la città di vasti cumuli di morti» ; ma le genti moderne debbono considerarlo con diverso criterio, e lottare contro di esso, non fuggire, o piegare il capo, o prorompere in disperati furori. Era già così gran tempo che la peste non funestava l'Europa che pareva da tutti dimenticata. Da quella cha devastò la Grecia durante la guerra del Peloponneso, alla peste che tra il 1348 ed il 1350 tolse all'Europa 25 milioni d'abitanti, la storia ne registra parecchie, ed anche dopo quell'epoca essa comparve in Egitto, a Marsiglia, a Messina ed in altre parti dell'Europa. Ma fu quella l'ultima delle più memorabili stragi, quando la superstizione e l'ignoranza erano così diffuse da fiaccare le maggiori energie, perchè tutti la consideravano come un'inevitabile castigo divino; quando riapparvero i flagellanti, e scoppiarono dovunque crudeli persecuzioni ; quando a Milano temevano gli untori, a Spira bruciavano 12 mila giudei, ed a Firenze si ritraevano le più vaghe donne ed i più spensierati garzoni a novellare lietamente, come in Boccaccio, per mettere in bando la fiera paura. Una volta all'ingenua medicina era facile dar ragione del morbo. La riponeva nelle ecclissi, in non visibili pioggie di fuoco, che penetravano nel sangue e lo mettevano in subbuglio, in animali impercettibili, che appestavano l'aria, in magici infusi d'arsenico e di zolfo, che genii malefici spargevano dovunque. Col Broussais soltanto si cominciò a cercarne la ragione nell'assorbimento di de-leterii miasmi i quali penetrerebbero nell' economia animale per tutte le vie, pori della pelle, polloni, organi digestivi, determinando un vero e proprio avvelenamento. Certo, se non bastano a sviluppare la peste, la fecondano terribilmente i cumuli di cadaveri delle necropoli moderne, il cattivo regime dietetico, il difetto di pulizia comune a molte popolazioni, specialmente in Oriente, le case sucide e prive d'aria e di luce, e tutto quel complesso di condizioni igieniche contro il quale ben pochi anche dei più civili governi d'Europa possono compiacersi d'aver fatto il loro dovere. Non sappiamo ancora di qual natura precisamente essa sia, fra le sue tante varietà, la peste scoppiata in Russia. Da principio, si dice, lo credevano tifo, e certo dal tifo, che tanto infierìduraute e dopo la guerra, ebbe alimento. Le descrizioni che ne abbiamo ci fanno sospettare pur troppo, ch'essa sia poco diversa da quella che Manzoni nostro, a tacer d'altri, ha così vivamente descritta, che se tutti ne i serbassimo il ricordo non potremmo averne più vivamente presente dinanzi a noi i tormenti | infiniti ed i lugubri terrori. L'età moderna più non consente le grida contro gli untori, come frena gli spensierati furori; la paura non sottrae interamente gli animi all'impero della scienza, e si esercita con maggior efficacia l'azione preventiva dello Stato. Ma in cambio abbiamo mezzi di comunicazione incomparabilmente più facili; relazioni postali una volta sconosciute ; frequenza di scambi quale nei passati secoli nessuno osò concepire e movimento incessante d'uomini. Mille e mille navi traversano rapidissime i mari, e in pochi giorni si compiono viaggi di mesi e d'anni. Gli è come se tutte le barriere fra le nazioni fossero abbattute, del che si hanno ad un tempo i vantaggi ed i pericoli. Tutti i governi d'Europa mostrano necessariamente la maggiore sollecitudine, ed imitano quella prudente Inghilterra, che più di tutti i paesi legiferò intorno alla pubblica salute, cesi da dare le più rigorose e complete norme su questa materia........ Uno Sei soliti errori (Brano di lettera) ... e giacche sono con lei, ci resto ancora un poco. Non so se ella possieda od abbia letto l'Appendice all' epistolario ecc. di Gr. Leopardi, pubblicata dal Viani, in cui c' è un errore che ci riguada. Il Viani, raccontando il fatto (nell' avvertenza premessa al volume) che nel 1854 fu pubblicata col nome del Leopardi (perchè falsamente attribuitagli) la Canzone per nozze Colloredo-Mangilli di Besenghi degli Ughi, dice questi "poeta friulano,,. Ciò non dovrebbe essere permesso di scrivere ad un letterato, come il Viani, dopo le belle pagine dettate sul Besenghi dallo Zanella e inserite anzi in un recente volume di suoi scritti. Sembra proprio destino dell' Istria che le sue glorie, da Capaccio a Besenghi, le vengano negate o di proposito o per errore, e talvolta anco bistrattate .... __________ B. F. DI DOMENICO ROSSETTI (Periodi ommessi nell'impaginatura del N. precedente) L'illustre triestino Domenico Rossetti (morto nel 1842), che fra i molti titoli alla benemerenza degli Istriani ha pur quello di esser stato maestro e guida nelle storiche ed archeologiche discipline all'illustratola della patria storia Pietro Kandler (morto nel 1872), il Rossetti, diciamo, nei suoi viaggi in Italia intrapresi per ragioni di studio, fu nel 1825 personalmente conosciuto a Milano da Giacomo Leopardi, ove questi tvovavasi in quell'anno invitatovi dall' editore Stella a dirigere un'impresa letteraria. Di questa conoscenza il Leopardi scrisse cosi da Milano, in lettera dei 17 settembre 1825 al cugino ed amico suo conte Francesco Cassi di Pesaro, (vedi 1' „ Appendice all' epistolario ecc. di Gr. Leopardi Firenze, 1878, pag. 98. lett. 49): .... "Ho avuto occasione di conoscer qui un Dott. Rossetti triestino, nomo dotto e pregevole, il quale desidera da costì quello che potrete intendere dalla sua lettera che vi acchiudo. Gli ho parlato di voi e del contino Mamiani, che vi prego di salutare singolarmente a mio nome. Non guardate se a fare il riscontro del codice si richiedesse un poco di spesa, perchè il Dottore è molto ricco, e pagherà volentierissimo quanto sarà di bisogno. Ha in Trieste una biblioteca petrarchesca copiosissima, e una gran raccolta di ritratti del Petrarca e di Laura; cose cha gli costano continuamente una buoua quantità di denari. Imfine ve lo raccomando assai, e avrò per molto caro sa potrete fare che la mia raccomandazione gli giovi a qualche cosa." — Phylloxera Quel flagello dell'agricoltura cha è la \phylloxera, che dall'America si è propagato i in pochi anni in Francia, in Germania, in Austro-Ungheria e nella Svizzera, ora è arrivato ai confini d'Italia. A poca distanza del confine nostro, dalla parte ili Ventimiglia, molte viti sono già offese da questo terribile insetto alato che attacca le piante, specialmente le viti, alle radici, succhiandone i succhi vitali e inaridendole. Alla Camera, al Senato, negli scorsi giorni venne segnalato il pericolo ; anzi fu anche proposto, d'iniziativa parlamentare, un progetto di legge. Il governo, per conto suo, ba promesso di fare tutto il possibile per tener lontano il male o per attenuarne le conseguenze, caso entrasse in Italia. Anche la stampa agricola italiana ha dato l'allarme. I direttori dei giornali di agricoltura con lodevole pensiero si sono messi d'accordo e hanno diramata una circolare al Parlamento, ai Comuni, alle Provincie, ai Comizi agrari, ai giornali politici d'ogni partito ondo illuminare il pubblico sull'importanza del pericolo, e sulla necessità di preparare anticipatamente i mezzi onde estirparlo. I mezzi consisterebbero nell'estirpare e bruciare immediatamente le viti che risultassero infette. A tal uopo nella circolare si dimostra la necessità che lo Stato spenda, all'occorenza, qualche milione per risparmiare danni immensamente maggiori all'agricoltura e all'economia nazionale. L'Unione dei giornalisti cha diramarono la circolare è rappresentata qui a Roma dal sig. Augusto Pozzi, direttore della Rivista agraria romana. (Dal Diritto del 31 gennaio) Illustrazione dell' anniversario È la morte immatura di un uomo, quanto modesto altrettanto utile, quella che oggi ricordiamo. Pietro Cuppari, nato a Catania nel 1816, percorso nella patria università lo studio medico, e poi si diede tutto all'agronomia. Fu il fondatore a Pisa, ove passò 1' intera vita, della scuola magistrale agronomica; collaboratore dei principali giornali agrarii del Regno ; e si mantenne indefesso allo studio suo prediletto anco durante le commozioni politiche, conscio di poter iu tale modo giovare egualmente alla patria. Tra i principali lavori del Cuppari vanno ricordati gli Studii sui prati artificiali della Toscana-, il Saggio di ordinamento dell' azienda rurale; Le lesioni di economia rurale ; Il calendario del coltivatore toscano ; Le lezioni di pastorizia ; e il Manuale dell' agricoltore ; o tra i lavori lasciati incompiuti primeggia la traduzione delle Georgiche, raffrontate, estesamente coi risultati della scienza moderna. Accademie nazionali o straniere, e deliberati cesarei lo ouorificMono.. Elezioni comunali. — Avranno luogo mercoledì e giovedì, 12 e 13 corr. (III Corpo); venerdì 14 (II Corpo); e sabato 15 (I Corpo). Una festicciuoladel tutto pri vata, alla quale peraltro parteciparono col pensiero tutti i cittadini, ebbe luogo qui la sera del 6 corr: una festicciuola di quelle che si godono in provincia, dove per taluni c'è grande noia, ma dove si trova sempre molto cuore; e 1' Unione che è fogliettino di provincia non sdegna di parlarne. In quella sera, la tranquilla e silente casetta del nostro carissimo canonico de Pavento, che a molti tornerà in mente irradiata dall'azzurro dei loro giovani anni, veniva rallegrata da una orchestrina di vispi giovanetti: erano gli studenti filarmonici del Ginnasio, i quali a nome di tutti gli altri davano ancora un addio al vecchio professore, che più non vedranno sulla cattedra e che seppe farsi tanto amare. Il gentile pensiero dei filarmonici trovò un gemello in quello di due altri giovani egregi: questi, pure a nome della scolaresca, pubblicarono in quella sera versi pieni d'affetto, celandosi dietro le loro iniziali ; ma la Cronaca della città, nel procurarsi il piacere di riportarli, non sa resistere a quello di spiccare il modesto velo, e di rendere noti ai suoi lettori tanto i nomi dei due giovani che cominciano ad ascendere la scabrosa erta della sacra montagna, quanto quelli degli amici di Euterpe. Sono i primi due: Antonio Gazzoletti e Giovanni Manzutto; gli altri: Nicolò Belli (viola); Carlo Colcuc (viol. I) ; Pietro F(«nda (viol. II) ; Pietro Longo (violoncello); Edoardo Pasdera (iìauto) ; Giorgio Polesini (viol. II) ; Giovanni Privileggi (viol. I); Francesco Rosmann (viol. II); Vittorio Scampicchio (viol. e direttore): Giovanni Tamburlini (contrabbasso); Francesco Yicich (viol. II). Aggiungiamo che fu suonata una polka mazurlca intitolata „Giubilazione» composta dal Rosmann, e che fu trovata carina. Ed ora ecco i due lavoretti. per la giubilazione dell'amatissimo mons. de pavento professore di religione AL ginnasio di capodistria VERSI di a. g. e g. m. Capodistria, Febbrajo 1879. 0 tu che con paterno affetto e sante Cure, ne' perigliosi anni primieri Trar ci sapesti ognora ai puri e veri Sentimenti del cor, 0 tu che di virtù '1 diffidi calle Con que' sì dolci ammonimenti tuoi E col tuo esempio dischiudesti a noi Pieno di santo amor, Non disdegnar de' figli tuoi un vale, Che se povero egli è d'aurati fregi Almen pe' caldi sensi, deh! tu '1 pregi, Di cui ricco se n'va. Ciò che quaggiuso a te più caro torna, Tutto su te '1 Signor versi a dovizia, Fuggan da te i malanni e la tristizia Della senil età. Giorni più lieti ed anni molti Iddio A te conceda di dolcezze pregni, E alfin ti schiuda della pace i regni Di tua famiglia in sen. fi- P- studente della VII classo Partisti, o amico! E nel lasciarci soli, Tu che tanto ne amasti, non ti scese Una segreta stilla Di pianto ad irrorar la tua pupilla? Mesto un affetto Non vibrò forse nel gentil tuo petto? O nostro amato, ti comprendo! Veggo La tua tristezza nella nostra impressa! Tu parti! E senza te, dolce conforto, Che mai ci resta? Tu sì buono e pio! j Un angelo eri tu che '1 cielo invia Per trarci di virtude in su la via ! Quanto eran dolci i sacri avvisi tuoi! In te l'amore Ben potente parlava al nostro core, Ed un fascino arcano ci traeva Ai sensi dell'onor, virtude e fede. Ed ora parti! Tu ci lasci soli, Privati di tua guida e tuo conforto! Ma gli alti affetti Che tua parola c'ispirò, perenni Rimaranno a infiammare i nostri petti. Parti ! Pur godi di quegli ozi lieti Che la senile età t'accorda, e mieti Il guiderdon de' pregi onde se' adorno. Parti! Ma serba ognora una memoria Di noi, che sacra in nostro cor scolpita La tua immagine avrem continuamente. E s'utili noi pur un dì saremo Alla patria diletta, oh quanto allora I santi avvisi tuoi benediremo! p■ /a- studente dtll» VUI classe "Vittorino da Feltro., — Così s'intitola il giornale pedagogico e didattico, organo della nuova scuola pedagogica italiana, diretto a Milano dal nostro illustre comprovinciale Prof. Vincenzo De Castro. Col nuovo anno, per esso secondo, lascia a' nuovi giornali il continuare la per trattazione dell'educazione infantile, e si mette a "distruggere i vecchi pregiudizi e le rancide pratiche pedagogiche e didattiche della scuola italiana, che costituiscono ancora un gravissimo impedimento alla sua riforma, reclamata da tutti i buoni pedagogisti e dalla stampa d'ogni partito,,. Nominato il direttore, torna superflua qualsisia parola per raccomandare il giornale agli insegnanti elementari. L' associazione, dal 15 gennaio al 15 dicembre 79 (un fascicolo al mese) costa L. 6, comprese le spese postali; e s'inviano alla Società E-ditrice Italiana, Milano, piazza Durini n. 5. — Vittorino da Feltre, come tutti sanno, fa quell'educatore del secolo decimoquinto, gloria d'Italia, alle cui lezioni da tutfa l'Europa civile accorrevano gli studiosi. Beneficenza. — N.° 175. Alla spettabile Ammistrazione del Giornale L' Unione in Capodistria. Lo scrivente Municipio, ricevendo gratuitamente il pregiato giornale 1' Unione, si fa dovere di rimetterle in compiego l'importo di fiorini IO (dieci) v. a., sapendo di giovare ad uno scopo molto benefico. Con perfetta stima e considerazione. Montona, 31 Gennajo 1879 Il Podestà Angelo Corazza Interessante pubblicazione. — Il tipografo Zanichelli di Bologna ha pubblicato testé un nuovo libro di Domenico Galati (in 8.° picolo, pag. 312) intitolato Uomini del mio tempo. Vi sono i profili dei seguenti uomini politici: Rouher, Gerra, Décazes, Wimpffen, Guerrazzi, Broglio, Ricciardi, De Savigny, Macchi, Vitet, Correnti, Di Cesarò, Caro, riordini, Corti, Gladstone, Crispi, Minghetti, Blanc, Medici, Tajani, Flourens, Nicotera, Claretto, Beaconsfield, Zanardelli, Petruccelli, Dufaure, Bertani, Ricasoli, Bismarck, Pessina, Zini, Baccarini, Garibaldi, Massari, Imbriani, Thiers, Depretis, Cairoli, Cialdini, Simon, Amari, D' Ayala, Mamiani, De Benedetto, Bonghi, Cantù, Veuillot, Spaventa, Ollivier, Grévy, Pyat, Pisa-nelli, Favre, De Spuches, Ferrari, Hugo, Zorilla, Franchi, Serrano, Gortschakoff, Martos, Ba-zaine, Parlatore, Gambetta, Sagasta, De Girar-din, Sella, Baffi, Moret, Mac-Mahon, Ville-messant, Ferrara, Rochefort. Traforo del S. Gottardo. — (Dall' E-sploratore). Ai 5 gennaio 1879,"il traforo «del S. Gottardo ha raggiunto i M.i 12,241 ; quindi 21 metri in più del Cenisio. Restano M.i 2679 a perforare. — Progredendo come nel 1878, nel quale anno si perforarono M.i 2540, nel gennaio'1880 il traforo dovrebbe essere compiuto; ma, secondo i rilievi geologici, si dovranno incontrare degli strati di serpentina e d'am-fibola scistosa, che ritarderanno i lavori. Teatro Sociale. — Neil' epoca presente, turgida di accordi, di convenzioni e di trattati, non era tanto improbabile che anche la nostra questione teatrale finisse, come finì, pacificamente, senza spargimento . . . d'inchiostro. Ecco dunque una questione di più sparita dallo scacchiere europeo. Così ne potessero sparire delle altre ! E l'immediata conseguenza della felice crisi si è che domani a sera udremo la prima dell' ottima compagnia Lazzeri. La stagione per noi viene ad esse brevissima: quindici sere sole; ma è certo meglio poco e bene che molto e . . . non bene, come ci accadde talvolta. Anzi mettiamo pegno, che il nostro pubblico, di non facile contentatura, si troverà questa volta arcicontentissimo. Riportiamo il repertorio adottato dalla Società, e proposto dal sig. Lazzeri, il quale, essendo molto intelligente, sa benissimo come l'intelligenza di una città non si debba congetturare dal maggiore o minore raggio della sua cerchia: è un repertorio che farebbe venire l'acquolina in bocca a qualunque pubblico di capitale. Eccolo. I Borghesi di Pontarcy (Sardou) — Speroni d'oro (Marenco) — Il fratèllo d'armi; Acquazzoni di montagna (Giacosa) — Leoni e Volpi ; Il divorzio (Augier) — Esopo (Ca-stelvecchio) — Giuditta (Giacometti) — L'articolo 47 del Codice Penale (Belot) — I dispetti amorosi (Moliere) — Danicheff (Newoski e Dumas) — Una pagina dell' Archivio segreto (Cormonn) Lucrezia Borgia (Victor Hugo) — La figlia maledetta (Turati) — Patria; Dora (Sardou) — I domino Bosa (Delaucour ed Hennéquin). Le due ultime sono le uniche che non sieno nuove pel nostro teatro. Il drappello artistico è poi composto come segue : Leontina Papà Giovagnoli; Virginia Lazzeri; Vittorina Cesana; Ida Colombo; Maria Seran; Merope Servida; Giuditta Onorato; Rosina Ferrante; Enrica Montanti; Maria Folli — Adolfo Colonnello ; Libero Pilotto ; Giorgio Kodermann ; Achille Leigheb; Dario Ferrarese; Michele Ferrante; Eurico Onorato; Natale Servida; Roberto Ripamonti ; Filippo Montanti ; Pietro Tarra; Giuseppe Colombo; Giovanni Folli.— Domenica a sera la Dora ovvero le Spie. Bollettino statistico municipale di Gennajo 1879 Anagrafe — Nati (Battezzati) 30 ; fanciulli 16, fanciulle 14; — morti 34 : maschi 13 (dei quali 7 carcerati), femminei, fanciulli 4, fanciulle 13.— Maininomi 5. — Polizia. Denunzie; in linea di polizia sugl'incendj 1; in linea di polizia edilizia 1: per maliziosi danneggiamenti 2; di apertura di pubblici esercizi oltre l'ora di polizia 4. — Arresti: per minacci» ed insulti 1 ; per mancanza di recapito e mezzi di sussistenza 4 ; per furto 1 ; per contravvenzione al rego -lamento sui mercati 1 ; per uhriacchezza e schiamazzi notturni 3; per schiamazzi e vagabondaggio 3. — Sfrattati : 16. — Usciti dall'i, r. Carcere: 15; dei quali 5 Dalmati, 6 Triestini, 1 della Carniola, 1 Istriano, 1 Stiriano, 1 dell' Inghilterra. — Licenze: di concerti istrumentali 3. — Insinuazioni di possidenti per vendere al minuto vino delle proprie campagne 11; per Ettol. 73, lit. 71; prezzo al litro soldi 40. — Certiticati p«r spedizione di vino 66, per ettol. 69, litt. 19. — di pesce salato 0. — di olio 22, recip. 75, Chil. 23884 (peso lordo). — Animali macellati. Bovi 74 del peso di Chil. 12931, con Chil. 1045 di sego; — Vacche 8 del peso di Chil. 1225 con Chil. 95 di sego. — Vitelli 33: — Castrati 1. Corriere dell' Amministrazione (dal 22 p. p. a tutto il 6 corr). Castroreale. Cav. Giuseppe nob. Venier, sottoprefetto (II sem. del IV anno e V anno) — Trieste Guglielmo Ceredoni (V anno); Avv. Bartolomeo de Bin (IV e V anno) ; Avv. Girolamo Vidacovich (idem); Avv. Antonio Vidacovich (IV auno) — Venezia Cav. Tommaso Luciani (V anno).