Soldi IO al numero. L' arretrato soldi 2O L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 75 — 25 settem. 76 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia I LTN CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. i si pubblica ai 9 ed ai 25 i Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è P amministratore I I V integrità di un giornale consiste nelV attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 26 Febbraio 1770 — Muore a Padova Giuseppe Tardili — (V. Illustrazione). GIVO CAPPONI PROPUGNATORE DI LIBERTÀ MINISTRO TOSCANO NEL 1848 LUSTRO POI DELL'ITALO SENATO PENSATORE E SCRITTORE SOMMO E DEI SOMMI CONSIGLIERE FU MODELLO AI GIOVANI VANTO DEI CONNAZIONALI AMMIRAZIONE DEGLI STRANIERI NATO A FIRENZE IL 14 SETTEMBRE 1792 IVI MORÌ IL 3 FEBBRAIO 1876 ULTIMO DELLA PROGENIE DI PIETRO. IL CALENDARIO (Continuai. V. il Num. prec.) Ma anche il calcolo di Sosigene era sbagliato, perchè, onde intercalare un giorno ogni quattro anni, sarebbe stato necessario che la terra compisse il suo giro intorno al sole in 365 giorni e 6 ore, e compiendolo essa in 365 giorni, 5 ore e 49 minuti, si perdevano ogni anno 11 minuti, così che in 131 si veniva a perdere un giorno. I Cristiani, dovendo celebrare la Pasqua la prima domenica dopo il plenilunio che seguisse all'equinozio di primavera, avevano più che altri interesse a verificarne la esattezza. E perciò che il Concilio di Nicea, celebrato nel 325 dopo G. Cr., onde togliere i quattro giorni perduti fino allora, stabilì che 1* equinozio di primavera fosse non il 25, ma il 21 di APPP]NDICE. BARBABLEUE RACCONTO DELLA TURINGIA della signora E. 91 ari 1 tt Traduzione dal tedesco di ANNA P. Questo lavoro portava l'impronta della fretta ed era affatto sbagliato nelle proporzioni ; e questi difetti avrebbero reso ridicolo il quadro, se vi fosse mancata la testa imponente di Oreste. Oreste 11011 ritraeva soltanto quell'espressione intensa di orrore che affascina ^ sempre di nuo\o lo sguardo renitente del contemplatore, ma anche un' espressione dolorosissima di pentimento significata dal pittore con vera maestria. Poco prima di morire, Arrigo stesso aveva appesi questi quadri ; egli stava a lungo e con piacere in mezzo alle sue creazioni, e colto da morte repentina l'ultima parola che balbettò fu: "padiglione». Perciò sua moglie considerò il casinetto quale lascito sacro, e volle assolutamente che i quadri re- Marzo. Così fu rimediata la perdita, ma non se ne tolse la causa e si continuò a perdere ogni anno 11 minuti. Non se ne parlò più fino al secolo decimo terzo, e sebbene varii concilii s' occupassero della riforma del Calendario, pur non si veune mai a capo di farla. Finalmente il pontefice Gregorio XIII convocò a Roma i più distinti fra gli astronomi onde studiassero una formola che togliesse la causa dell' errore e molt' essi ne presentarono, ma tanto complicate ch'era impossibile ad applicarle. In questi studii erano passati dieci anni, quando riuscì a Luigi Lilio, medico calabrese d'oscura fama, di trovare un metodo facile non solo per mantenere sempre gli equinozii al loro posto, ma sì anche per decidere in che giorno del mese cadesse il plenilunio, e quando si dovesse perciò celebrare la Pasqua. Il papa mandò l'operato di Lilio a tutte le potenze cattoliche ed a tutte le accademie e, avutane 1' approvazione, pubblicò 1* anno 1582 il nuovo calendario ordinando: che per quell'anno si passasse dai 10 ai 15 Ottobre, col che si guadagnarono i dieci giorni perduti, e che in seguito, dopo il 1600, non fossero bisestili tutti i secoli ma solamente quelli, le due prime cifre dei quali fossero divisibili per 4. Così non furono bisestili il 1700 e 1800, nè lo sarà il 1900, ed il prossimo secolo bisestile lo vedranno i nostri posteri che vivranno nel 2000. Tutte le nazioni cristiane accettarono la riforma, ineuo i Greci che non ne vollero sapere, essi si trovano perciò in arretrato di 12 giorni, cioè dieci tolti dal Papa, e gl'intercalari 1700 e 1800 che considerarono bisestili. Usano ancora il calendario di Giulio Cesare e, se il mondo dura tanto, verrà il giorno in cui patiranno di caldo in Genuajo e di freddo nel mese di Luglio. 3. Per determinare qual fosse il plenilunio della Pasqua, Lilio trovò VEpatta. L'Epatta stassero tali e quali li aveva appesi la mano del caro defunto; e il di lei figlio e la zia Barberina dovettero prometterle ripetutamente di preservare il piccolo edificio dalla rovina. Tutto questo era passato per la mente di Lillì mentre pensierosa stava contemplando l'Oreste; ella comprendeva benissimo come la zia Barberina dovesse aborire l'uomo che la voleva costringere a non mantenere la promessa. Poteva darsi per altro che egli, se la zia superasse l'antipatia per l'altro ramo dei Dorn, ed esponesse tranquillamente il motivo per cui desiderava conservato il padiglione, non insisterebbe per la demolizione malgrado la sua ferocia connaturale. All'improvviso la giovanotta fu distolta da questi pensieri nell'udire rumore di passi nell'attiguo giardino che s'avvicinavano cessando poi proprio dinanzi al padiglione. Verso le fessure delle gelosie vide un operaio col grembiule, carico d'ordigni, e vicino a lui il moro ed un altro servo in livrea. Che cosa mai volevano costoro? — Vedrete, vedrete, esclamò l'operaio, il bel buco che farò in questa catapecchia . . . ben presto sarà nel numero dei più. La vecchia là in faccia dovrà non è altro che la differenza fra l'anno lunare ed il solare, la quale importa veramente 10 giorni 21 ora e un minuto, ma che da Lilio fu calcolato undici giorni, differenza eh' egli fa scomparire col periodo delle epate che stabilisce. Quando l'anno lunare incomincia col solare, 1' Epatta è zero (la segnano *), l'anno dopo è 11, il terz'anno 22 e così sempre 11 di più ; ma quando il numero passa il 30, non si calcolano che i giorni dei quali lo supera. Così p. e. 1' anno 1875 avea per Epatta 23, quest' anno ha 1' Epatta 4, perchè 23 più 11 fanno 34. Conosciuta la Epatta, si trovano i novi-lnuii coli'aggiungere alla medesima il numero dei giorni passati dopo l'ultimo novilunio. Quest' anno abbiamo d' Epatta 4, aggiungendo 31 che ha Gennaro, abbiamo 35: la luna a-vrà dunque il 1 Feb. 5 giorni, ossia il novilunio avrà fatto ai 26 del mese. Ognuno può servirsi dell' Epatte per trovare con abbastanza esattezza le lunazioni, e, se non importa di sbagliare d' uno, o al più due giorni, il conteggio si può semplificare coli'aggiungere all' Epatta il numero dei mesi passati dopo il Marzo precedente e quello della data per cui si cerca lo stato della luna, dividendo come sopra. Per es. volendo sapere quanti di luna ne avremo la vigilia di Natale, dico : Epatta......4 Mesi dopo il Marzo . 8 Data per cui cerco la luna 24 lJ6 Risultano 6 giorni, coilo sbaglio però di due, perchè il 24 Decembre sarà 1' ottavo giorno di luna. Per determinare la Domenica di Pasqua non basta sapere la data del plenilunio, ma bisogna pur conoscere in che giorno della settimana esso cada, ed a ciò serve la Lettera dominicale. Le settimane dell' anno sono mar- accorgersi che col sig. Dorn non si canzona ve'. Subito dopo queste parole sulla parete dalla quale pendeva l'Oreste romoreggiò un poderoso colpo. Lillì strappò via il quadro e tirò la panca delle bambole nel mezzo. E al primo susseguì un secondo colpo: un pezzo di muro cou fracasso orribile precipitò nel salottino. Dalla densa polvere che s'innalzò, Lillì fu obbligata di uscire ma per un istante, chè poscia rientrò tosto per mettere in salvo i quadri prima che quel vandalo continuasse il distacimento. Appena rientrata udì una voce che gridava da lontano: Fermate! per ora basta così. Era la stessa voce che nella notte aveva richiamato il moro ; voce maschia e sonora, il di cui timbro lasciava di leggieri inferire che il comando le era abituale; era certamerte Barbableue. Pareva che volesse ispezionare in persona la sua opera di distruzione, poiché un passo lesto ed energico si avvicinò al padiglione. Lillì doveva forse fuggire? No. Ella era tanto sdegnata per l'atto violento di quest'uomo ohe gli voleva far sentire lo sprezzo e fargli vedere che aveva calma sufficiente per affrontare la sua brutalità e la sua prepotenza. S'accostò alla tavo-i la in mezzo del salotto, vi pose sopra uua cassetta vuota, e simulando indifferenza, si cate colle prime sette lettere dell' alfabeto latino: a-g, ma il 1.° di Gennaro incomincia sempre cali'a: la lettera sulla quale cade la domenica, si chiama Lettera dominicale. Que-st'anno incominciò di Sabbato; il 1" era a e il 2° b, Domenica. Negli anni comuni la lettera dominicale serve per tutto l'anno, negli anni bisestili serve solamente fino ai 24 Febbraro, e dopo si cangia nell' antecedente. La ragione si è perchè il 24 e 25 Febb. hanno la stessa lettera. Quest' anno, eh' è bisestile ha la lettera dominicale b ai 20 Febbraro, e dai 27 in poi ha la lettera dominicale a. L' auno ha sempre 3 5 lettere che formano 52 settimane e un giorno, per il che il 1°di Gennaro e l'ultimo di decembre hanno la lettera a. Su questi tre elementi: Aureo numero, Epatta e Lettera Dominicale fu elaborata per cura del Pontefice la Tabella pasquale, su cui, conoscendo la lettera Dominicale e la E-patta, trovate indicati i giorni nei quali cadono le principali feste mobili dell'anno. (Continua) G. F.—A. IGIENE (Cont. F. dal N. 13 dell'anno 1 in poi) Sulle disposizioni alle malattie Qnand'uno è malato, o teine di seriamente ammalarsi, ricorre al medico. Ma non sarebbe meglio non ammalarsi v Senza dubbio, mi direte, e certo che nessuno il vorrebbe. Nessuno il vorrebbe, eppure vi son pochi che s' occupino davvero del loro stato di salute e vogliano conformare la loro maniera di vivere alla particolare qualità del loro organismo e specialmente alle loro disposizioni morbose. Come v'ha nell'anima umana certe disposizioni che si sviluppano già nella prima gioventù, così vi sono nel corpo delle disposizioni ad un genere di malattie piuttosto che a un altro, e come a fare d'un giovane un uomo colto e morale non bastano le disposizioni, ma si richiede l'influsso della istruzione, dell'educazione e del buon esempio ed altri amminicoli atti a favorirne le buone disposizioni, così non basta la disposizione morbosa a far sì che l'uomo si ammali ; la malattia si forma appena allora quando alla disposizione s' aggiungono dello cause esteriori, che fanno sviluppale il germe del male e lo determinano a produrre quella malattia a cui più 1' individuo è inclinato. Disposizioue e causa che la sviluppi sono i due fattori che producono le malattie. La disposizione è, a dir così, la porta aperta per la quale la malandrina malattia s'introduce nel mise ad impaccare i balocchi che stavano sparpagliati. "Giacomo,,! gridò imperiosamente colui (e la voce era vicinissima alla finestra) — vi aveva ordinato di aprire prima queste imposte per vedere se sulla parete stesse qualche oggetto che potrebbe andarne sciupato. Perchè non l'avete fatto? — Ah signore rispose il muratore invece del servo, chiamato a giustificarsi che mai ci potrebbe essere ? La vecchia certo non userà questa anticaglia quale tesoreria. Nessuno rispose, ed una testa apparve nella breccia e guardò nella stanza Lillì alzò involontariamente lo sguardo. Ed eccoli l'uno iu faccia dell' altra, il terribile Barbableue e la giovinetta, la quale dovette repentinamente trincerarsi nel dispetto e nella fermezza per sostenere in questo importante momento la parte d'eroina che s'era addossata. Nel suo cuore si giudicò ben debole perchè non aveva potuto trattenere le onde ribelli del sangue che in quell'istante le affluirono alla faccia. Ella riteneva di non aver gettato che uno sguardo fuggitivo verso la breccia, eppure sapeva che là stava un uomo leggiadro, di portamento elegante, vestito con una giubba di velluto nero, e che la sua testa bella e giovanile, presentava peraltro dei lineamenti, i quali in qualche modo potevano giustificare nostro corpo. È ben vero che i ladri penetrano anche in luoghi chiusi, ma per farlo devono usare dei mezzi violenti ond'aprire la porta prima di entrarvi, e così va della salute. Si può contrarre una malattia anche senza averne avuta una certa disposizione, ma non la si contrarrà che in conseguenza di gravi disordini e di cause potenti, quando chi u' è naturalmente disposto, s'ammala anche per cause leggere. Supponete che due persone siedano a desco avendo a sè dinanzi [delle fiasche di vino. Il vino è buono e va giù per la gola eh'è una meraviglia: i nostri amici vanno a gara nel berlo. Che cosa accade? L' uno viene colto da un colpo apopletico che lo priva dei sensi, lo riduce infili di morte e forse lo manda in sepoltura; 1' altro pienamente ubbriaco si mette a letto, dorme profondamente molte ore, e si desta sano e beato. Ne sapete il perchè ? Perchè quello aveva una decisa disposizione all'apoplessia, e questo no. Che se il primo avesse bevuto una o due tazze di vino e il secondo no avesse tracannato tre o quattro litri, l'effetto sarebbe stato diverso : quello sarebbe rimasto sano e questo sarebbesi ubbriacato. Disposizioni e cause stanno dunque iu rapporto inverso : se la disposizione è decisa e marcata basta ogni piccola causa ; se la disposizione non c'è o non è tale ci vogliono delle cause più forti. V'ho detto, che la disposinone morbosa non costituisce ancora la malattia, e perciò, sia qualunque 1 a disposizione che abbiate, o crediate di avere, potete vivere tranquilli ; solo che vi conviene avere i necessarii riguardi onde non somministrare fomiti allo sviluppo del morbo. Vi sono moltissime persone che manifestano una tendenza a qualche malattia consuntiva, eppure vanno in giro, fanno i loro affari, menano una vita regolata, non sono robusti ma son però sani. Essi arrivano ai 70 e più anni, muojono di qualche malattia che non ha che fare colla consunzione, e se si fa 1' autopsia del loro cadavere, si trova il polmone tutto pieno di tubercoli rimarginati. Tanto è vero, che uno può avere la più pronunciata disposizione a qualche malattia e vivere, regolandosi bene, gli anni di Nestore; imperciocché come la semenza non si sviluppa se non ha terriccio e luce e calore, così può la disposizione morbosa starsi nell' organismo senza nuocere alla salute o mettere in pericolo la vita, quando chi l'hi sappia ben regolarsi. (Continua) G. F.—A il soprannome poco lusinghiero affibbiatogli. Dopo di essere rimasto un po' interdetto, sporse la persona nella stanza a considerare i guasti cagionati dal muratore, e Lillì osservò sottecchi che dava manifesti segui di disgusto col battere i piedi. — Oh, quale guasto! mormorò Barbableue lanciando un' occhiata alla gente che se ne stava lì perplessa. Spero d'essere giunto in tempo per ovviare malanni maggiori, soggiunse inchinandosi leggermente verso Lillì ; ma non ottenne risposta. Si volse, gettò via lo zigaro che teneva fra le dita, e fece seguo agli astanti d'andarsene. Lillì confidava ch'egli pure si sarebbe allontanato. A nessun patto ella avrebbe voluto essere la prima ad abbandonare il campo: il ritirarsi poteva con ragione essere creduto una fuga: nel suo interno peraltro non poteva negare che sarebbe scappata col massimo piacere. Ma egli invece rimase ancora nell' apertnra colle braccia couserte, appoggiato ad una trave, impassibile come se, invece di trovarsi sul limite del territorio nemico, calcasse terra amica. — Lillì, si può dire, sentì fissi sopra di lei gli occhi dell'importuno; e l'impazienza mista all'imbarazzo l'avrebbero quasi fatta montare in bizza se in quegli istanti non fosse stato di grandissima importanza 1' uscire dalla difficile po-, L' uccellagione (Bozzetti) Vienna 10 Febbraio (Cont. V. i N. 3, 4, G, 7, 8 e 9) A proposito di gabelle e balzelli, onde finiva il mio ultimo squarcio, vi narrerò un incidente serio-comico toccatomi pochi anni fa, quando andava in vigore la legge che obbliga gli uccellatori a provvedersi di licenza. Una bella mattina di ottobre chi avesse pie a la via tutta sbalzi e solchi che mena sul cucuzzolo pittoresco del colle sacrato un tempo all' evangelista del leone ; mi vedeva rannicchiato dietro un muricciuolo poco lungi da un folto boschetto d' ulivi in vicinanza del quale erano apprestati i miei utensili d'uccellagione ; quattro o cinque vergoni piantati attorno una gabb'a dove si dibatteva uua cingallegra semiviva dalle penne mozze e lorde ed appena riconoscibile per il colore sbiadito. Io era là tutt' occhi ed orecchi col fischietto di canna in bocca gongolante di gioja e superbo un pochino di aver attirato in prossimità alcune cingallegre. Ad un tratto le vedo fuggire ed odo a destra.... non uno squillo di tromba, ma un fragor d'armi e d'armati. Colla bizza di chi si vede rotte le uova nel paniere mi volgo e vedo luccicarmi dinanzi due benemerite bajonette e più sotto svolazzare marzialmente delle penne cangianti di cappone. Non vi starò a dire quale e quanto graude fu la mia sorpresa nel vedermi dappresso due gendarmi, che di mille doppi aumentarono il mio stupore colla loro improvvisa richiesta: Dove ha la licenza ? Tacqui nè altro di meglio pa-teva fare poiché a quel tempo la legge non avea ancora l'onore di occupare una sola mol-leccola del mio cervello. II silenzio tuttavia mi tradì ed uno di loro mi domandò nome e cognome. Non mi trovai più imbarazzato nella risposta e pronunciai il nome più chiaramente di quello che lo indoviniate voi,lettori miei, sotto le sottoscritte iniziali. Lo credereste però? Il gendarme inquirente estratto un grosso taccuino e toccata la lingua colla matita stette alquauto sospeso e mi scaraventò queste due frasi: È questo propriamente il suo nome? — "Non lo intesi mai!, — Ah lettori ! a questo punto montai sulle furie perchè capii di leggeri che mi si voleva attribuii«! un'azione di cui non mi sapeva capace e che non valeva la pena commettere per un' inezia qual' era quella. Di ripicco risposi : "Non ho avuto mai l'onore di aver da fare con lei ed è naturale che non mi conosca!» Sembra che le mie parole abbiano persuaso sizioue con calma dignitosa. Non lo degnò nemmeno di uno sguardo e mise nella cassetta un fantoccio i di cui ricci biondi e lunghi pendevano dal berrettino. — Oh la vezzosa creaturina! esclamò egli. Sarei molto curioso di sapere se può anche gridare. — Quanta ironia in queste parole! Certo mirava di offenderla trattandola da fanciulla. Gli lanciò un'occhiata piena di sdegno. — Ab, benissimo, replicò Barbableue sorridendo. Io voleva semplicemente sapere se la signorina conosce il tedesco; ora ne ho la certezza, e perciò mi allietta la speranza ch'ella mi vorrà rispondere almeno ad una domanda. Mi vuole perdonare se per mia cagione ella venne spaventata? — Io non mi spavento così di leggieri rispose Lillì; e con ciò, proseguì, io mi ritengo dispensata da qualsisia ulteriore risposta. La fronte di Barbableue s'era all'improvviso corrugata ; rimessosi tosto ripigliò con garbo : — Mi rassegno a 11011 insistere, ma mi dica Lei: Mosè, allorché udì il gorgoglìo dell'argenteo filo d'acqua sgorgatogli dappresso, si è forse accontentato di udirlo solo per brevissimi istanti ? Io souo nello st esso caso. il funzionario che subito scarabocchiò quattro segni (credo mi abbia regalato un h che non ereditai col mio cognome) e mi voltò le spalle. A dirvi il vero la visita insolita non mi diede gran fatto da pensare perchè imboccato il fischietto continuai la mia bisogna come nulla fosse accaduto. Brighe e conseguenze, bisogna che vel dica, non ne ebbi se si eccettui la dose di rabbia nell'aver veduto fuggirmi la preda che calcolava già nelle tasche. La mia denunzia e la mia condanna per l'infrazione in discorso giace ancora Ira gli atti polverosi del vecchio palazzo di Prefettura: voglia il cielo che ora per il desiderio di esporverlo non diseppelisca il mio delitto ancora impunito. Molto mi resterebbe invero a scrivere sopra altri modi di uccellagione. Per le ragioni a voi troppo note mi limiterò ad una semplice enumerazione dei medesimi. Presso di noi le uccellagioni ad arboscello e colle gabbie a scatto son molto usate dai ragazzi di campagna; il. paretajo è in voga nelle pianure lombarde ed il calappio, modo barbaro di cacciare gli uccelli, è proibito oggigiorno. L'uccellagione a palina per gli zivo-li avrete agio di vederla in cima al promontorio di punta grossa se a tardo ottobre visiterete per mare la città di San Giusto. In tal modo credo di por fine a' miei bozzetti, balestrati fra panie, tranelli, reti, vergelli, e grettole. Se io stesso impaniai la mia penna e mi invischiai più del bisogno, ammirate almeno il coraggio che mi spinse a scherzare con tanti impacci e pastoje. Da tutte queste materie viscose, da questo labirinto come me ne sia levato, voi giudicar ne potete. A voi l'ardua sentenza. Per ora m'inchino aspettando. A chi ebbe la costanza di seguirmi fin qui mi protesto riconoscente fino alla mia .... cremazione; a quelli che avessi annojato ripeterò coli' immortale lombardo: "non l'ho fatto apposta,,. E. L. CHIAROSCURI DEL CARNOVALE Da Vienna, 20 febbrajo (Cont. V. il Num. prec.) Alcuni giorni dopo, alle sette della sera, mentre ini stava abbigliando vidi comparire Arturo bello e pronto: avea perfino un mazzolino di fiori sull'occhiello dell'abito. — Per Bacco, si direbbe, caro il mio Arturo, che hai intenzione di render geloso il marito della signora Emilia; sei proprio seducente questa sera. — Se non sarà l'Emilia ci sarà qualche Maria, qualche Giuseppina e che so io? Lascia fare a ine per divertirmi un mondo. Frattanto anch'io era all'ordine e preso il ferntjolo salimmo al terzo piano. Fummo ricevuti gentilmente dai genitori della sposa e presentati a parecchie fanciulle, che ornavano già la sala. Fatti i complimenti d'obbligo, fra noi e quelle biondine incominciò una conversazione, che sembrava nou dovesse inai cessare. Io e l'amico avevamo vedute già alcune dell'invitate ad altre riunioni famigliari dello stesso sobborgo, sicché con loro eravamo di casa. La signorina Emilia, la sposa novella, era una simpatica moretta sui diciott'anni. Alta, snella, avea scolpite iu volto le virtù che fauno bello il cuore d'una giovinetta. — Alle 8 precise il padrone di casa rientrò in sala e c'invitò a tavola; io ed Arturo, dato il braccio a due di quelle belle fanciulle, entrammo nella sala ove era imbandita la cena. Prima che gl'invitati prendessero posto a tavola, il compadre tenue un bel discorsetto d'occasione e ne riscosse ripetuti applausi, che cessarono alla fine per esser sostituiti da un lavoiio di forchette e di coltelli. Cominciò intanto anche una conversazione, che si fece sempre più animata. Si udivano le argentine voci delle signore, che sempre vincevano quelle degli uomini ; i poveri sposi non sapeano più a chi rispondere, venendo interrogati ad una volta | da tutti gli astanti. Sul più bello giunsero due bambine vestite a bianco portando ciascuna un cestellino di fiori, che furono distribuiti fra gli invitati. 1 fiori furono quelli, che chiusero la cena e diedero il segnale alla piccola orchestra. La sala destinata alle danze era piccina si, ma fornita di tutto ciò, che rende elegante e insieme grandiosa uua sala. Mentre l'orchestra andava preludiando un ballabile si udiva per la sala quel mormorio di voci, che precede le danze. Le danze incominciarono ed i due sposi ballavano continuamente. Finito il primo valzer, lo sposo ci invitò a fare un giro colia sua regina della festa. Noi senza dubbio accettammo ed ella ci ringraziò con un dolce sorriso. Eravamo già al finire della festa quando trasse la mia attenzione un gruppo di vecchi e vecchierelle, che giocavano ad un tavolo verde. Sebbene tanto gli uni, che le altre si mostrassero immergi nel gioco, pure nou poteano fare a meno di gettare ogni tratto delle occhiattiue di compiacenza su quell'allegra gioventù, che ballava loro d'intorno. Alle cinque del mattino Arturo ed io scendevamo le scale di casa dopo esserci congedati da quella famiglia che ci avea fatto passare una sera tanto deliziosa. — Eravamo per entrare nella mia stanza al secondo piano quando ci parve di udire uua donna, che piaugesse. Arturo entrò nella mia stanza, accese un lume e venue sul pianerottolo delle scale. Non avevamo errato; la portinaja scen-dea pure le scale piangendo amaramente. Alle nostre domande ella rispose, non desistendo dal pianto, che alla porta numero 50 del quarto piano in quell'istante era spirato un povero studente, suo nipote, lasciando un' infelice sorella, priva d'ogni sussistenza e di difesa, nel massimo dei dolori. Fatte a salti le scale fummo alla porta n.50 del IVpiano; il piccolo quartiere compo-nevasi di due stanzuccie, ove quei due fratelli avranno passate ore di vera gioja mirando la fulgida stella del loro avvenire. Entrati nella seconda stanzuccia, ai nostri occhi si affacciò un quadro ben doloroso. Vedemmo su di un letto di morte una scarna e pallida figura quasi sepolta fra i guanciali, ed accanto a lei una fanciulla, che piangendo in ginocchio guardava quelle sembianze adorate, su cui la morte avea ormai sbattute le livide sue ali. Al nostro entrare la povera giovinetta volse lentamente il capo verso di noi e dopo alcuni secondi di angosciosa contemplazione, le si riempirouo gli occhi di più copiose lagrime. Quel pianto era eloquente; ci diceva che eravamo giunti troppo tardi e che irreparabile era la sventura di lei. Noi ci guardammo senza aprir bocca; ninno di noi due potea trovare la prima parola e lo sguardo della giòtanetta ci trafiggeva il cuore. Ella comprese il nostro silenzio, comprese il nostro dolore e disse: — Grazie signori ! Essi almeno si sono ricordati del loro collega. Povero il mio Enrico, povero fratello mio, quanto ha sofferto ! Avrebbe voluto continuare, ina ne fu impedita dal pianto e si accontentò di stenderci la mano che noi baciammo religiosamente. Arturo dopo ciò s'era avvicinato un po' di più al letto ed avea riconosciuto nel cadavere un nostro collega, che infatti mancava allo lezioni già da due mesi. A quella vista non potemmo frenare le lagrime e stringemmo fra le nostre quelle povere mani scafile e fredde. Io ini allontanai dal letto perchè non mi sentiva la forza di assistere più a lungo a quella scena, e perchè mi parea delitto il togliere a quella sventurata fanciulla le fredde mani del fratello in quegli ultimi momen- i ti, in cui potea ancora coprirle di baci. Essa i ci ringraziò di tutto quando eravamo per 1 uscire, e ci avrebbe accompagnati sino alle scale se non ci fossimo opposti. Noi abbandonammo quel quartieruccio profondamente addolorati. Scesi al II piano ed entrati nella mia stanza, ci coricammo ma non fu possibile chiudere occhio; la scena del ■ IV piano ci aveva troppo commossi. — Dopo una settimana percorrevamo in una Tramway la Renweg. Arturo, volgendo 10 sguardo distratto al di fuori, scorse una giovanetta vestita a bruno, che tenea fra le mani una ghirlanda di fiori. Camminava a capo chino e parea non si curasse che de'suoi tristi pensieri. Arturo la riconobbe; era la povera orfanella del IV piano. Tosto provammo per quell' infelice un sentimento di pietà misto a grande venerazione. L'abbiamo seguita, finche ci fu possibile mentre ella continuava la sua via verso il cimitero centrale. Angelo di virtù! Possa il Signore un giorno premiarti, possa renderti felice. Possa fino al giorno che salirai al cielo, placida scorrer sul mar della vita la tua navicella. — Va, o fanciulla, va a posare sulle molli zolle che coprono il frale del tuo amato Enrico quella ghirlanda benedetta con le tue lagrime . . nou disperare ; la preghiera ti sarà conforto, sostegno la fede e la speranza tenerissima amica. Achille C. Illustrazione dell' anniversario Nacque il nostro celebre violinista a Pirano nel 1792. Qui a Capodistria assolse 1' umanità e la ret-torica nelle Scuole Pie, s'iniziò nel suonare il difficile istrumento, e divenne schermitore valentissimo. 1 suoi genitori, nella speranza che entrasse nell'ordine del M. C. gli avevano fatto arredare due stanzette nei convento di Pirano, ma il Tartini non ne volle sapere. Allora lo inviarono a Padova a studiare giurisprudenza colle insegne di ecclesiastico. In quella città invece delle pandette, continuò a trattare il violino e, più ancora la spada, in guisa che frequenti aveva gli scontri occasionati in parte dalla natura focosa ed irrequieta ed in parte d illa brama smodata di preminenza nella bellica arte. E tali progressi fece in questa che avea deciso di prendere dimora a Napoli o in Francia quale maestro di scherma. Vicino ai quattro lustri s'accese d'amore per una giovane padovana e la condusse all'altare. Venuti i suoi genitori a conoscenza del suo matrimonio, ne presero alto sdegno, tanto più che allora appunto era stato eletto canonico di S. Elena nel territorio austriaco; per conseguenza non gì'inviarono più denaro. Trovandosi sprovveduto, abbandonò la moglie, indossò il sarrocchino, e andò pedestre a Roma. 11 vescovo di Padova, il cardinale Giorgio Cornaro, sotto la cui protezione viveva la famiglia della moglie di Tartini essendo montato in ira, mise in opera ogni mezzo per farlo tradurre a Padova; ma il pellegrino era scaltro e non cadeva negli agguati. Dopo di aver girato a lungo, trovò asilo nel convento dei M. C, d' Assisi (prov. di Perugia) che stava sotto la direzione di certo padre M. di Pirano, suo stretto congiunto; e lì ritornato in calma si diede per varii anni a studiare indefessamente il violino in modo da raggiungere quel grado di eccellenza che tanto celebre lo rese in Europa. Uno strano accidente deciso di tutta la vita di Tartini. Mentre suonava un giorno alla messa in orchestra, un buifo di vento tenne per qualche istante sollevata la leggera cortina, ed il caso volle che fisse riconosciuto da un padovano, ed iri pochi giorni tutta Padova sapesse il suo nascondiglio. Chiamato dal cardinale Cornaro con promessa di pit-na condonazione, si riunì alla moglie in seguito divenuta una Santippe. La dimora nel convento d' Assisi fu per Tartini il passaggio dalla scapataggine alla vita morigerata, austera e religiosa, che in seguito mantenne di continuo. Ed ora cominciano i suoi trionfi. Le Prime Capitali, e tra queste Parigi e Londra sa lo contesero a lungo, invano lo invitarono reiteratamente: egli, devotissimo al Santo di Padova, al di lui omaggio si dedicò esclusivamente col suonare nell'orchestra della Basilica. — Due sole volte ebbe a decampare dalla sua risoluzione; una avendo accettato di recarsi a Praga per l'incoronazione dell'imperat ire Carlo VI, ove lo trattennero per tre anni, e l'altra non avendo potuto rifiutare 1' invito di Papa Clemente XII. Re Federico III di Prussia gli dedicò uua composizione Musicale scritta appositamente per lui. — Egli è celebre per aver scoperto e studiato il terzo suono che si sente toccando due corde. Le sue opere sono: La suonata del diavolo (che udì in sogno avendo, secondo il patto, affidato il violino agli artigli d<-l diavolo : è la sua migliore composizione). Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia. — Risposta di G. Tartini olla critica del di lui trattato di m. Le Serre di Ginevra — Bei principii dell'armonia musicale contenuta nel diatonico genere —■ Lettera sul maneggio dell'arco ; e le inedite s'intitolano : Lr-zioni pratiche ' di Violino — Giudizio sopra la dissertazione del Lami sopra l'anima delle bestie-, innoltre lasciò varii > manoscritti e lettere importanti. AKM PELLEGRINI la nostra egregia collaboratrice, che aveva gentilmente accondisceso di tradurre per 1' Unione dall' inglese e dal tedesco, morì la sera dell'8 corrente, quasi all'improvviso, ammalata essendo da pochi giorni, nella verde età di 38 anni. Ad ingegno, a coltura estesa, a costumi semplici, a tratto dolcissimo, accoppiava le più pregiate doti del cuore ; ed ella perciò godeva la generale simpatia. Amare svisceratamente il marito ed istruire giovanetto fu la sua vita. Nata Liebig a Friburgo badese e venuta qui a diciotto anni quale educatrice in una famiglia, dopo sei anni s'era impalmata col benemerito cittadino. Ebbe solennità di funerali e lagrime. Consiglio della città. — La mattina dell' 8 corr., alle ore 11 si radunarono nella sala municipale i membri del neoeletto Consiglio, convocati dall'anziano, l'onorevole sig. cav. Giorgio de Baseggio, per nominare la Deputazione comunale. Era presente il Commissario imperiale sig. Antonio nob. Da Mosto. Aperta la seduta dal sig. anziano con un opportuno discorso, si passò tosto alla votazione secreta. Unanimi suffragi chiamarono alla carica di Podestà il D.r Pietro de Madonizza, il quale, dichiarandosi vivamente commosso per l1 avuta prova di fiducia, disse ritenere suo preciso dovere quello di accettare; accettare trepidante, riflettendo alle sue deboli forze, ma colla coscienza di disimpegnare l'incarico colla maggiore buoua volontà ; essere fiducioso nel continuo appoggio di tutti quelli che lo vollero preside; aggiunse esser dai suoi benemeriti predecessori chiaramente indicata la via da percorrere; non voler quindi fare programma e facili promesse, essendo già notori i molti bisogni del Comune ed i scarsi mezzi; proporsi in ogni modo di continuare sulla via del meglio in armonia alle poco liete condizioni del civico erario ; ed essere infine deciso di custodire gelosamente intatta la dignità del nostro paese in conformità alle nostre tradizioni. Fu applaudito. Sorto il Commissario imperiale, diresse all'illustrissimo sig. Podestà gentili parole di congratulazione, e promise da parte sua, quale capo dell'autorità politica, il più largo appoggio pel maggiore incremento di questa città importante centro intellettuale dell'Istria. Dopo ciò la nomina di consiglieri cadde a grande maggioranza sopra gli onorevoli signori D.r Niccolò Del Bello, Pietro Longo, Marco Cadamuro-Morgante e Giorgio Cobol. Giunto quindi il momento della solenne promessa, il sig. Commissario imperiale riprese la parola ; ricordò le prestazioni della cessata Deputazione, ed in ispecie del di lei Capo, e rese a lui sincere grazie anche a nome de'suoi dipendenti, per aver saputo mantenere in ogni incontro, nei rapporti coli' i. r. Autorità, quello spirito di conciliazione tanto necessario pel bene comune. L'onorevole sig. Giuseppe Pellegrini rispose di essere riconoscente alle lusinghiere parole del sig. Capo politico, e d'aver sempre proceduto colla meta di avvantaggiare la sua patria che ama teneramente. Ed anche dal Consesso vennero rivolti all' ottimo cittadino detti di obbligazione e di affetto. Dopo la solenne promessa, fatta dalla nuova Deputazione Comunale, l'inclito Consiglio ed il Commissario imperiale vollero onorare di corteggio fino alle loro case prima ii sig. Giuseppe Pellegrini, poscia il D.r Pietro de Madonizza. La Dieta Provinciale verrà aperta il 7 marzo p. v. Omaggio. Da Trieste fu inviata all'illustrissimo Sindaco di Firenze una magnifica corona d'alloro fresco colle bacche d'oro e portante due ricchi nastri, uno bianco ed uno nero: sopra quest'ultimo sono ricamate in oro le parole: A Gino Capponi le signore triestine. Essa fregiò il feretro in S. Croce durante le solenni esequie. La prima esposizione stenografica italiana si tenne a Roma dal 1 al 7 del decorso novembre nella sala di lettura del reg. Museo. V' erano rappresentate con 905 saggi tutte e due le scuole italiane la vecchia e la nuova (la nuova introdotta da circa 10 anni è l'applicazione del sistema tedesco di Gabel-sberger fatta dal prof. Noe, indi dall' avv. Bolaffio e dal Calzoni), ma i saggi di qne-st' ultima erano di molto più numerosi. La nuova scuola italiana fece rapidi progressi di diffusione; e dagli stenoscritti ad essa appartenenti risultò infatti che dei suoi allievi si giovarono i Consigli Comunali di Milano, Roma e Venezia; le Diete provinciali dell'Istria e del Trentino; i Consigli provinciali di Venezia, Udine, Milano, Vicenza e Padova; e varii Congressi, Istituti e Commissioni che troppo lungo sarebbe annoverare. Le città che esposero lavori, sono state Trieste (la di cui Gazzetta Stenografica per ordine di anzianità è la seconda in Italia, primo essendo lo Stenografo, di Padova), Venezia, Treviso, Padova, Verona, Bergamo, Milano, Pavia, Vercelli, Torino, Genova, Bologna e Cesena. Figurarono all' e-sposizione i seguenti giornali di stenografia: Lo Stenografo, La Gazzetta Stenografica, La Stenografia, Lo stenografo, L'arte stenografica, Il Tir one, Il Monitore della Stenografia e La Penna volante. Tra le curiosità merita ricordo una cartolina postale contenente tremilaseicento parole; ed un libriccino di pochi centimetri in cui è trascritta la Divina Commedia : ogni pagina porta un canto. Il Goriziano. — Il 1 gennaio Gorizia si vide arricchita di un nuovo periodico col titolo : Il Goriziano, bimensile e popolare. Il suo motto cousta delle tre parole: verità, luce, lavoro. Esso, escludendo la politica e le polemiche d'argomento religioso ed occupandosi d'istruzione, e degli interessi locali e provinciali, si profigge di mantenere alta la bandiera della nazionalità. Un tale programma deve essere accolto favorevolmente da ogni buon litorano. Auguriamo al nuovo confratello vita lunga e possibilmente scevra di quelle amarezze che i saccenti, gli invidiosi, i pappagalli e le ire di parte cagionano quasi sempre a chi batte la via della pubblicità, per quanto ottime sieno le intenzioni, per quanto sia onesta la condotta; e gli mandiamo un fraterno saluto. La Società Operaia di Parenzo.— Lietissime procedono le sue sorti: col 31 dicembre 1875 aveva una sostanza di fio. 1397.33, la quale, di confronto a quella dell'anno precedente, conta l'aumento di fior. 345.25. — Durante il 1875 ebbe 34 soci ammalati, pei quali spese iu denaro fior. 362.45, in medicine fior. 108.06, oltre alla paga annua del medico di fior. 150. — Le auguriamo sempre maggiore incremento. Teatro sociale. — Lunedi sarà l'ultima recita. Nelle sere successive alle righe che abbiamo scritto nel numero precedente, la sig. Caterina Bozzo, donna di parrucca, ed il giovane sig. Gaspare Bonzi, erotico, ebbero propizie occasioni di mostrare la loro perizia ; non sarebbe perciò equità il non parlarne. La Bozzo vesta seta o paunone, riesce bene egualmente ; le osserveremo solo che quando finge i di avere molte croci sulla schiena le sue ino- I venze riescono sempre troppo spedite. Il Bonzi agisce con metodo egregiamente appropriato, è fornito di voce melodiosa; ma non vogliamo ommettere di fargli l'appunto che con troppa frequenza sostituisce al cipiglio dello sdegno il riso dello scherno. — Il repertorio fu dei migliori: abbiamo udito lavori di Dominici, Ferrari, Cavallotti, Torelli, Castelvecchio, Ghe- rardi Del Testa, Costetti, Cuciniello, Giacósa e d'altri ancora. Esemplare poi fu il comportamento della compagnia anche fuori di teatro. Facciamo di ciò cenno non essendo cosa tanto comune, giacche non sono ancora finiti i tempi in cui nei piccoli luoghi, l'avveduto sfuggiva il contatto del comico perchè dissoluto o scroccone. Tutti i membri della compagnia Checchi-Bozzo osservarono contegno molto dignitoso, dando a conosere come ora il vero comico italiano non veda nella sua arte solo fonte di lucro, ma anche la missione nobilissima di contribuire all'ammiglioramento dei costumi, ed a tenere desto nei cittadini l'amor di patria. E martedì gli stimati artisti oltrepasseranno il fossato di Cormòns: inviamo quiudi ad essi un saluto cordiale, augurandoci di riudirli. Pubblici ringraziamenti Se nell' immensa disgrazia che lo colpì avesse potuto avere qualche conforto, il sottoscritto, lo avrebbe avuto grande nella tanta parte che i suoi concittadini presero al suo lutto. Profondamente commosso egli ringrazia riconoscente tutti coloro che resero il loro ultimo tributo di affetto e di stima alla indimenticabile sua consorte Anna Pellegrini n. Liebig, accompagnandone la salma all'ultima dimora; e sente poi il bisogno di esprimere in particolare modo gratitudine perenne al Dr. Cristoforo de Belli, che nella luttuosa circostanza fa medico tutto coscienza e annegazione e fu amico affezionatissimo. Capodistria febbraro 1876. Giuseppe Pellegrini Nella luttuosissima circostanza che fiera malattia mi rapiva la sera del 19 corr: in poche ore il dilettissimo figlio dodicenne Luigi Ottoniello, riesci-rono a me e alla mia famiglia di grande conforto la generale compartecipazione e le onoranze spontaneamente rese all'atto del funebre accompagnamento. Sento perciò il bisogno di rendere pubblicamente le più sentite grazie a tutti i concittadini ed ospiti, i quali numerosissimi si prestarono al pietoso ufficio, e particolarmente al Corpo ginnasiale ed alla Scuola privata di ginnastica, che vollero, in forma straordinaria, cooperare alla mesta solennità pel giovanetto loro alunno e collega. Ringrazio in fine di tutto cuore que' parenti ed amici più intimi, che, assidui, divisero il dolore mio e della mia famiglia e con ciò ne lenirono 1' a- sprezza. famigli! Capodistria, 22 Febbrajo 1876 Dr. de Belli Trapassati nel mese di gennaio 1 Anna Flogo d' au. 1 m. 3 di S. Marco. — 2 Isidoro - Luigi Lonzar di in. 11 g. 23. — 3 Pietro Crismali d'an. 28 in 5 da Portole. — 4 Nicoli -na Bonivento d'an. 1 m. 10. — Anna Grio di g. 8. — Biagio Mayer di g. 8. — 5 Maria Maddalena Parovel di m. 11 g, 27. — Giorgio Marsich di g. 3. — O Gi(oanni Tamplenizza d' au. 65 m. 3. — 7 A. S. d'an. 23 di Pupnats - Dalmazia - (carcerato.) — Luigia Riosa di g. 8. — 8 Chiara Grio d' au. 8. ni. 6. — IO Giuseppe Fontanotti d'sin. 77 in. m. 8 da Oltra, in S. Marino. — Il Naria Albertini di g. 15. — 13 Vincenzo Benedetti d'anni 4 m. 7. — 14. Antonia Minca di m. 1 g. 29 — 15 Domenica Rasman di g. 20. — A. P. d'anni 67 da Condino (carcerato). — 20 Sebastiano Perini d'anni 37 in. 5. — 21 Maria Teresa Palme di g. 8. — 22 N. figlio di Matteo Babuder nato-morto - 23 Maria Babuder moglie di Matteo d'anni 35. in. 11. — Maria Grio d'anni 1. m. 10. — Antonio Crevato d'anni. 41 di Buje. — Francesco Villitzheimer d'anni 22, da Rind- Distretto di Hernals - Austria inferiore soldato del 10 u battaglione dei cacciatori. — 24 Cosimo Cosovich di Natale d'an. 24 da Zemonico, comune di Zara, in Dalmazia. — 27 Pasqua Roncali ved. Francesco d'an. 87 m. 3. — 28 Maria Gasperutti fu Pietro d'an. 67 — 30 Anastasia Babich di g. 6 nata in S. Toma -Lazzeretto - — Antonio Vattovaz d'an. 77. — 31 Gabriele Giovanni Genzo di g. 6. Matrimoni! celebrati nel mese di gennaio 8 Andrea Dellavatle con Antonia Genzo vedova di Nazario Delconte. — 9 Giorgio Fontanotti con Maddalena Favento. — 15 Andrea Cepich con Maria Fontanotti. — IO Prof. Giuseppe Vettach con Antonia Battistella. —22 Pietro Apollonio C-li Rosa Bonivento — . 31 Giuseppe Bosich con Mattea Mogorovich. — Corriere dell' Amministrazione (dal 6 a tutto il 22 corr.) Albana. Avv. Antonio Scampicohio (il II anno). — Buje. Antonio Festi (1 sem. del II anno). — Maggia. Antonio Negri (il II ami"). — Trieste Guglielmo < 'eredoni (idem) ; Giulio de Lugnani (IV trim. del I anno e I sein. del II) — Umago. D.r Francesco Guglielmo (il lì anno). II "€Hustinopoli„ continua l'orario del 7 Novembre (V. il N. 3)