i Soldi IO »1 numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 77 — 25 settem. 78 importa fior. 3 e s. 30 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia mm CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. i i i si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore L'integrità di «« giornale consiste nell'attenersi, con costanza ed energia, al pero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO 27 luglio 1875 nuore il tipografo Giuseppe Ileriiardoni. — (V. Illustrazione.) STUDJ STORIOGRAFICI INTORNO ALL'ISTRIA (Cont. V. N. prec.) Dei Galli o Celti sulle Alpi istriane. Vinta Cartagine, la guerra di Roma contro i Galli fu di nuovo guerreggiata. Convien credere che i Romani, occupata già la Gallia Cisalpina, avessero compreso nella stessa tutto l'odierno Friuli, perchè nel 187 a. C., avendo una mano di Galli transalpini, calatisi dai monti, costrutto un castello a breve distanza dal sito ove poscia sorse Aquileja (Plinio lib. Ili, cap. XIX), Roma diede ordine a M. Claudio Marcello, console, ed a L. Porzio, proconsole, di cacciarli colla forza dai domini della repubblica. I Galli, in cui, dietro le toccate sconfitte, era già entrato alto spavento delle armi romane, senza resistenza si assoggettarono. Disarmati dal console, ne mossero lagnanza al senato, adducendo a scusa della fatta invasione l'esservi stati spinti dal bisogno. Tutto ciò dimostra come sulle Alpi limitrofe dell'Istria si fossero fermate alcune tribù galliche, confinatevi dalla crescente potenza dei Romani. Ed è probabilmente d'allora che il nome di Carso, che vuoisi celtico, restò alle parti più brulle della nostra Vena. Più tardi vedremo come nelle battaglie degli Istri contro i Romani, i Galli si fossero addimostrati infidi alleati di quelli; e ciò riconferma la distinzione che va fatta tra Celti ed Istriani. I Romani a contatto coll'lstria Per impedire che i Galli nuovamente irrompessero nel Friuli, ch'era bensi romana provincia, ma spoglio di difesa e quasi disgiunto dal rimanente della Gallia Cisalpina, il Senato ordino sì fondasse la colonia di A-quileja (185 a C.), la quale doveva pur servire di punto d'appoggio ad estendere la signoria di Roma sull'ultima provincia d'Italia, vale a dire sull'Istria. Tremila fanti con 45 centurioni e 240 equiti vi furono mandati, e tra questi si divise buon tratto di terreno coltivabile. Triumviri della colonia furono eletti Scipione Nasica, C. Flaminio e L. Manlio Acidino. Così i Romani vennero ad immediato contatto cogli Istri, i quali secondo Strabone (lib. V) erano contermini degli Aquilejesi. Cause della guerra istriana. Varie sono le cagioni che vuoisi abbiano dato origine alla guerra dei Romani contro gllstri. Secondo alcuni ne sarebbe stato un pensiero del console M. Claudio Marcello (Liv. lib. 39, cap. 40), concepito appena respinti i Galli dal castello di Aquileja, avendo egli richiesto il senato del permesso di condurre le legioni contro gli Istri, ma intimata loro la guerra senz'attenderne risposta. Altri accusano, l'ambizione di L. Manlio console, trovandosi scritto di lui, che in difetto d'altro argomento di trionfo, abbia cupidamente abbracciato 1' occasione offertagli dalla fortuna di soggiogare l'Istria (Liv. lib. XLI, cap. L). Vuoisi pure che la guerra fosse nata pel soccorso recato dagl'Istri agli Etolii. Questa opinione è appoggiata alle autorità di Floro (Lib. II, cap. X) e dello stesso Livio (Lib. XLI, cap. 1). Ma il Carli (Antich. Ital. part. I, libr. II, § 7) ne muove dubbio, citando l'autorità di Giustino, il quale nei Commenti a Trogo (Lib. XXXII, cap. I) dice chiaramente che gli Etolii si erano fatti contro i Romani, soli, disuguali di forze e privi d'ogni soccorso. Una quarta opinione, ripetuta da molti, si è che gli Istriani avessero insultato le navi di Taranto e di Brindisi ; e la quinta infine che essi sieno stati i primi a dar nelle armi, poi che videro sorgere ai confini della provincia, romana fortezza. Da questa varietà di pareri crediamo potersi conchiudere che tutti gli accennati motivi abbiano determinato la guerra istriana, siccome cause occasionali, mentre la causa primitiva e principale dee cercarsi nella romana politica, la quale mirava ad estendere ognor più il proprio dominio e specialmente ad insignorirsi di tal paese, che per la sua posizione a piedi dell'ultima Alpe italiana, le avrebbe prestato il mezzo di opporre più salda resistenza alle eventuali irruzioni de' Galli e degli altri popoli d'oitremonte. E che i Romani si fossero già qualche anno prima allestiti alla guerra contro gl'Istri, può giudicarsi del vederli nell'Adriatico su grossa armata, una squadra della quale posta a guardare il mare d'Istria dal porto d'Ancona sino al Ti-mavo. L'anno 183 a C. n' era stato affidato il comando a L. Duronio, pretore. Campagna «lei 107 a. C. Il console Manlio, a cui era toccata in sorte la Gallia, indeciso fra il desiderio di dar principio ad una guerra che gli meritasse il trionfo, e il timore lo si accusasse d'essere uscito illegalmente di sua provincia, venne a consulta coi tribuni militari, tra i quali v'era chi consigliava a non metter tempo di mezzo e chi ad aspettare gli ordini del senato. Vinse l'opinione dei primi, e il console mosse tosto al Timavo. Gli accampamenti furono posti a cinque miglia dal mare nella valle presso 1' odierna Brestovizza. Cajo Furio, preposto all' armata dell' Adriatico superiore veleggiò a quella volta con dieci navi ed altri bastimenti carichi di provvigioni. Tutta la squadra si raccolse nel prossimo porto ai confini dell'Istria, vale a dire a Sestiana, così che per le continue comunicazioni tra il campo e il deposito delle vettovaglie, venne in breve a formarsi un vero emporio. Il console diè subito opera a disporre l'opportuno per la difesa e per l'assalto. Ora seguiremo Livio a narrare l'avvenuta battaglia. A custodia del campo romano furono appostate guardie da tutte le parti. Per dominare poi la via dell'Istria fu collocata una compagnia di Piacentini. Più verso il mare vennero loro aggiunti due manipoli della seconda legione, circa quattrocento uomini. La terza legione era stata condotta sulla via che va ad Aquileja, perchè servisse di- scorta ai foraggiatoli. Dalla stessa parte, forse a mille passi, era il campo dei Galli, in numero di tremila o pochi più, comandati da Carmelo luogotenente del re loro. Agli Istri infatti si era collegato un corpo di Galli alleati di mala fede, poiché non solo non presero parte alla pugna, ma dimostrarono di volersene stare col vincitore. G'Istriani erano condotti da Epulo, loro capo, detto Regolo dai Romani con termine di sprezzo. Come videro il campo nemico muoversi al lago del Timavo, si trassero dietro di un colle in luogo nascosto. Ma poi per vie traverse, vigili a cogliere il destro d'ogni accidente seguitarono di fianco l'esercito romano. Tutto cbe si facesse per mare e per terra era loro noto, e poiché scorsero deboli le guardie del campo, e senza difesa la turba dei mercatanti che popolavano lo vie tra il mare e gli alloggiamenti, presero il partito di dar primi 1' assalto, e furono addosso a due appostamenti romani, l'uno della coorte piacentina e l'altro della seconda legione. Celati da fitta nebbia s'avanzarono, e quando il sole cominciò a diradarla, il non certo chiarore fe' apparire ai Romani maggior che non fosse il numero deglTstri. Lo guardie allora ritrattesi nel campo spaventate, vi portarono lo scompiglio credendosi i nemici già dentro agli steccati. Al grido: Alla marina, alla marina! tutti, come se ciò facessero comandati, e i più inermi, si gettarono a precipitosa fuga alla volta del mare. Lo stesso console adoperatosi indarno a rattenerli, dovette fuggire. Il solo Marco Licinio Strabone, tribuno della terza legione, osò far fronte con tre manipoli alle irrompenti schiere degl'Istri. Aspra fu la zuffa, ne prima ebbe fine che il tribuno e tutti i suoi fossero uccisi. Gl'Istri avuto così il campo romano, e trovandovi copia grandissima d'ogni maniera di cibi e di vini furono tutti alla gozzoviglia, dimentichi dei nemici e della guerra. I Romani intanto, affollatisi intorno alle navi per avervi salvamento, si trovavano esposti al maggior pericolo. Tra i militi e i marinai si venne alle mani con molte ferite e morti. Volevano gli uni ricoverare sulle navi, e temendo gli altri nou si empissero quelle di soverchio, contrastavano loro l'imbarco. Finalmente, per comando del console, l'armata si allontanò dalla riva o si cominciò ad raccogliere la truppa. Ma di tanta moltitudine non più di mille e duecento si trovarono in armi, e quasi tutti gli equiti senza cavalli. Manlio rianimò i soldati, mostrando quanto facile dovesse riuscire la vittoria, ove i nemici venissero tosto con impeto assaliti, mentre erano solo a predare intenti ed assonnati, e quanto. importasse ai Romani il levarsi dal volto la vergogna di una tanta sconfitta. Richiamò la terza legione ed ordinò che caricati i cavalli somieri, sovra ciascuno di essi montassero due soldati più gravi d'armi e che tutti gli altri cavalieri prendessero in groppa un giovine soldato. Fattosi questo con la maggior fretta, il campo occupato dagli Istri fu invaso e ne seguitò non già pugna ma strage. Ben ottomila degli Istri immersi ancoia nel sonno, vi rimasero trucidati . Gli altri fuggirono, e tra questi lo stesso Epulo. 1 Romani non condussero alcun pri- gioniero e non perdettero, al dire di Livio, che duecento soldati. A fronte di tutto questo la vittoria di Manlio non fu certo decisiva, poiché invece d'inseguire il nemico, si tenne nel campo sulle difese, sino all'arrivo dell' altro console M. Giunio. Questi, sparsasi la voce iu Roma che tutto l'esercito fosse perito, avea avuto l'ordine di recarsi nella Gallia, per levarvi quanti più soldati potesse, e di correre in soccorso di Manlio. Di più furono decretate leve straordinarie, e si formarono in Eoma due legioni cittadine. I latini dovevauo prestare 10,000 fanti e 500 cavalli; e si ordinò al pretore F. Claudio di raccogliere in Pisa la quarta legione, 500 soci e 250 cavalli. S' intimarono infine tre giorni di preghiere. — M. Giunio, arrivato al campo e accertatosi che 1' esercito era salvo, scrisse bensì a Roma in modo da tranquillare gli animi, ma visto che glTstri stavano in gran numero accampati non lungi dal Timavo, nulla intraprese contro di essi e ritirò le legioni a vernare in Aquileja. Anche gì'Istri ritornarono alle città loro, e così ebbe termine la campagna del 197 a. C. (Cont.) Scuole e maestri Dall'Istria, maggio 1878. (Continuazione V. n. 16.) Avendo toccato la necessità e l'importanza dell' indipendenza de' maestri per averli autorevoli e per poter quindi gustare i veri frutti dell' istruzione, vediamo ora, se essi posseggano intatto questa dote cotanto predicata anche dai trattatisti di pedagogia. E qui esaminando dapprima la questione dal lato materiale, franchi e risoluti facciamo anco una volta oscillare quella flebile corda degli emolumenti spettanti ai maestri, allo scopo non già di produrre una disgustosa impressione sul!' animo altrui, ma di cooperare, secondo è dato alle nostre forze, pel trionfo dell' e-quità. La legge fondamentale dell' Impero di data 14 maggio 1869, basandosi sulle norme pedagogico-didattiche al §. 55 prescrive in proposito: „ Gli emolumenti minimi oltre i quali a nessuna comunità scolastica è lecito uu ribasso sono da commisurarsi in maniera che maestri e sotto-maestri possano dedicare all' impiego tutte le loro forze, liberi da occupazioni accessorie che ve li impedissero, ed i primi possano anche sostentare una famiglia a seconda delle condizioni locali. „ Ora nessuna legislazione provinciale, cui spetta la regolazione degli emolumenti si discostò tanto da questa massima, quanto la nostra dell' I-stria, quando colla legge 30 marzo 1870 ai §§. 21, 22 e seg.ti stabiliva l'importo dello stipendio fisso e dell' indennizzo d' alloggio da percepirsi dai maestri e dai sotto-maestri, importo che varia secondo la classe cui appartiene ogni singolo comune scolastico, e che non ci dà 1' animo di riprodurre qui iu pubblico, ritenendo di fare un' onta grave a coloro che ne sono responsabili. Osiamo invece inalzare a chi spetta l'inchiesta : 0 siete persuasi che maestri e sottomaestri (d' ambo i sessi s'intende da sè) possano campare cogli emolumenti loro fìssati, o non lo siete, e ritenete che abbiano altri mezzi di sussistenza. Voler supporre il primo caso sarebbe andar contro i fatti ; altri mezzi di sussistenza o possono i maestri procacciarseli da gè stessi mediante qualche occupazione, e allora essi rubano le ore destinate al riposo, allo studio ed alla preparazione per la scuola, e incolgono la contravvenzione del §. 40 della suaccennata legge provinciale; ovvero possono ricavarli da casa propria, (caso raro quanto sono rari i maestri doviziosi, che per sola filantropìa o per capriccio s' addattino ad adempiere coscienziosamente gli obblighi d'una tale carriera), e se ciò fosse anche fattibile non sarebbe poi nè giusto nè decoroso che essi dopo avere speso non poco per la loro educazione dovessero, fatti maestri, rifondere del proprio. Uu ingegno non comune lasciò scritto : „ Qualunque legge sull' istruzione perchè sia proficua, non dev' essere diretta da motivi politici nè economici. „ Ben questi conosceva che il maestro non è uno strumento materiale con cui, applicata la forza, si possa ottenere tantosto l'effetto corrispondente, nè tampoco un semplice amanuense. Egli è uno che suda davanti a'suoi scolari, come suda un avvocato nei perorare la causa del suo cliente, come suda un medico nel fare la diagnosi d' un morbo insolito, come suda un giudice nel sciogliere una lite, nel fare una sentenza. Or se volete che il suo sudore non si promuova senza uu equo compenso, levatelo anche il maestro dal soverchio pondo di pensare come sopperire alle gravi spese di famiglia, che ogni giorno gli occorrono ; mettetelo a livello degli altri pubblici funzionari, chè con ciò non farete altro che rendere o-maggio alla giustizia e compiere un atto reclamato da voti unauimi. E se la coscienza, anzi la ragione stessa v'imporrà di largheggiare con loro, non temete che alcuno di essi sia per arricchire; ma piuttosto siavi di conforto e di giubilo l'aver sollevato molti di loro da uno stato miserabile e 1' avere con ciò posto in salvo il decoro della scuola. Imperciocché ove ben si consideri, i candidati al magistero appartengono tutti, per dir meglio novaiitanove su cento, alla classe povera; se la campano ol-tremmodo stentatamente durante i quattro anni d'educazione ; fatti maestri, i bisogni s' aumentauo, le fatiche si raddoppiano, e la condizione primiera non si cambia. Quindi all' amore ed all' interesse eh' essi al primo entrare sentivano d' avere per la scuola succede tosto l'indifferenza e la svogliatezza ; al coraggio ed all' energìa l'avvilimento e 1' angoscia, alla pazienza non di rado la immoralità .... È quanti maestri, che da principio davano le più belle speranze di felice riuscita, per non essere sufficientemente retribuiti, si vedono avvoltolati nel fango della miseria, o peggio portano un nome non onorato sulla loro fronte perchè ingolfati nei debiti che poi non possono saldai e! E questi sono gli educatori del popolo, missionari dell'istruzione? Mainò! Si chiamino piuttosto soggetti inutili anzi nocivi per la società; si chiamino vittime d' una legge ingiusta. Chè se alcuno tacciasse di esagerate le nostre osservazioni, eccoci ai fatti. ì bisogni per qualunque individuo sociale concernono 1' esistenza animale e 1' esistenza morale. Dei primi non osiamo neppur parlare, poiché cadremmo nella trivialità, ove volessimo dimostrare che nessuno può agira nè tampoco mantenersi in vita collo stomaco vuoto d' alimento. I bisogni risguardanti la vita morale d'un individuo si devono dividere in tre specie, cioè bisogui per l'indumento e per l'abitazione, bisogni per la famiglia, e bisogni per il perfezionamento cui tende ognuno nell'esercizio della propria arte o del proprio mestiere. E di queste specie di bisogni intendiamo ora di occuparci relativamente ai maestri, incominciando dalla prima : noi vediamo che l'impiego del maestro esige eh' egli stia in relazione colle famiglie, cui appartengono i suoi scolari per informarle dell' andamento dei medesimi porgendo loro, all' uopo savi consigli e chiedendo la loro cooperazione. Del resto poi affine di dare alcun sollievo all'anima il maestro si sente d'avvicinare alcune persone che presso a poco posseggono la sua coltura. A ciò siamo portati tutti quasi per istinto, donde nacque il detto: Similes similibus congregantur. In un villaggio al maestro ben si presta la compagnia del parroco e del podestà ; ne' luoghi più popolati sono molte persone ragguardevoli e colte che amano di trovarsi col maestro. Che se questi è celibe tanto maggiore sente il bisogno d' associarsi con persone che gli garbano. Da ciò risulta chiaro che egli quanto a vestiario deve tenersi conforme a quelli che lo avvicinano. Inoltre il maestro come autorità deve inter- venire e partecipare in certe circostanze alle feste ed alle cerimonie sì religiose che politiche, alle quali fan parte tutte le autorità del luogo; ed anche qui egli deve indossare tale indumento che corrisponda alla carica che occupa. Questa sorta di diritti o privilegi, che a ragione si dovrebbero chiamare aggravi, se sapeste a quali sagrifizi, a quali umiliazioni traggono bene spesso i maestri ! Oh se poteste udire la loro voce unanime muovere giusti lagni, perchè non sia loro dato di comparire anco nel vestiario come negli emolumenti al par de' fanti, de' carcerieri e persino de' bidelli. E costoro, per godere egual paga e per essere meno di essi danneggiati nella spesa degl' indumenti, non furono già obbligati a compiere i quattro anni d'educazione magistrale, e nemmeno a frequentare le classi inferiori d' una scuola media. Volete che i maestri conservino il decoro della loro posizione, e allora metteteli in istato che possano provvedersi, senza arrossire, abiti convenienti, altrimenti non avrete maestri, ma burattini da teatro. E ciò vale specialmente per que' poveri maestri di città, dove pur troppo si giudica l'uomo dall'abito che indossa. Come dev' essere decente e pulito 1' esteriore del maestro, così la sua abitazione deve lasciar trasparire decenza e nettezza, da non metter nausea a chi vi entra. Ora nelle principali città dell' Istria una stanza ammobiliata che soddisfaccia queste condizioni non si trova per meno di 8 f. mensili; a Trieste ed a Pola per tal prezzo s'avrebbe un bugigattolo. Quindi un maestro celibe che non si trovi in un villaggio deve spendere per il solo alloggio la bagattella di f. 96! S'egli è ammogliato e prende un appartamento vuoto consistente in una stanza da letto, cucina e fors' anco uno stanzino da porvi la biancheria ed i vestiti, deve su per giù raddoppiare la somma di f. 96. L'indennizzo poi eh' egli riceve non è che la quarta o forse la terza parte di ciò che gli tocca spendere. Stando così le cose, chi non istupisce al vedere che anche qui il maestro è posposto ad un carceriere, ad un gendarme, e persino ad un bidello, ognuno de' quali gode l'alloggio in natura senza detrarre un soldo dalla propria paga ? Accrescete la somma per l'indennizzo d' alloggio che spetta al maestro, ma accrescetela non già in proporzione di o-gni singolo emolumento bensì in proporzione dell' incarimento degli affitti d'. abitazione, chè così sarà più ragionevole e giusto; o se non vi garba questo, dategli l'alloggio in natura, che così nessuno avrà motivo di lagnarsi di dover rifondere per conto del medesimo una parte considerevole della paga fissa che gli appartiene. (Continua) BESENGHI DEGLI UGHI Quando scrivevamo nel N. precedente intorno alla biografia di questo nostro poeta, lavoro dell' i. r. prof, di Hassek, giovane studioso e scrittore di belle lettere, essa era già pubblicata a nostra insaputa. Nella prefazione il biografo racconta quello che dicemmo circa al disegno da lui mutato, e giustifica il partito preso colle seguenti parole: "Tuttavia mi doleva di dover gettare in un canto la biografia del Besenghi eh io aveva già quasi condotta a termine e che avrebbe dovuto precedere i suoi lavori, se li avessi pubblicati. E quest' è la ragione per cui adesso mi risolvo a stamparla, benché modificata in quanto alla forma per la diversa natura della pubblicazione. „ In gran parte quello che dicemmo, avendone il sentore, si è avverato ; e quantunque il biografo dichiari di avere vergato quelle pagine "coli'anima calda d'amore per il poeta,,, va nondimeno particolareggiando, tra gli altri, un episodio della vita del Besenghi, in cui senza il più tenue sentimento di perplessità, lo fa comparire ingrato, amante disonesto, e per ciò traditore dell' ospitalità avuta da un amico : un' ingiuria che, fatta al Besenghi vivo sarebbe stata punita dai Tribunali il biografo "col-T anima calda di amore per il poeta,,, gliela scaraventa sul sepolcro. E impossibile cbe un amico del Besenghi si sia incaricato (se pure il brutto episodio è tutto vero) di raccontare i particolari all' Hassek: questi deve averli uditi da un nemico del poeta; ed in ogni caso, li abbia uditi o letti nelle lettere (da persone nè amiche nè assennate certo non custodite), egli commise una imperdonabile indiscretezza nel pubblicarli; tanto più che in tale modo e senza il dovuto cribramento, viene condannato, se non infamato, chi non è in caso di rettificare e forse scolparsi ; e tanto più ancora che nulla costringeva lui primo propalatore (e probabilmente primo conoscitore) a rendere pubbliche cose e ciance ora da tutti ignorate. Besenghi aveva l'animo troppo nobile per cadere così in basso; e il dubbio che il turpe fatto sia vero si fa fortunatamente strada \ie\Yultima lettera diretta dal Besenghi alla gentildonna innominata, moglie del suo amico, quando egli erasi già da lei allontanato, e inserita a pagine 89-90, di cui è bene riportare questo periodo: "Del resto non temete da me molestie, non imprudenze che anche della menoma maniera vi compromettano; sono più tremante ed ho più riguardi di quello che vi potete immaginare.,, Da questo periodo emerge chiaro che anche a caso finito, la gentildonna non fu compromessa. È quindi assai probabile che in gran parte, e forse tutto, il sozzo racconto sia stato in origine tessuto colle ciance dei conoscenti e della clientela, e colle frange ricamate dai nemici, che al Besenghi, per la sua indole fiera, orgogliosa, satirica, e troppo schietta, pullulavano d'intorno ; e questa importantissima circostanza il biografo non la seppe valutare per scolorare la tinta troppo nera degli episodii o per tacerli; e neppure di essa fa in alcun luogo menzione per insinuare almeno nell'animo dei lettori il dubbio, come l'equità e "l'anima calda di amore per il poeta,, avrebbero richiesto. Parla invece come se egli, nato nel 1847 (così ci fa sapere nella prefazione) fosse vissuto dappresso al Besenghi dal 36 al 46. Lasciata poi da parte questa grossa menda, da noi con tutta franchezza esposta, e che (siamo certi) spiacerà allo stesso biografo, va tenuto conto della buona volontà dimostrata dal giovane e lindo scrittore, a cui auguriamo prospere sorti nella sua carriera letteraria, manifestando il desiderio che voglia occuparsi ancora, ma con più maturo consiglio, delle cose istriane. LA VITA DI VITTORIO EMANUELE DEL MASSARI Il Massari non ha voluto scrivere una storia, ma, come dice egli stesso intitolando il suo libro al principe Onorato Caetani di Teano, ha voluto adempiere il dovere che incombe ai contemporanei, di raccogliere cioè i ricordi sui quali la storia dovrà poi poggiare i suoi giudizi. Pochi in Italia potrebbero compiere siffatto ufficio meglio di lui. Esule ancor giovanissimo da Napoli, visse qualche tempo a Parigi, finché il primo risveglio dell' Italia nel 1848 gli consentì di ritornare in patria, e di prendervi parte alla cosa publica, dopo avere propugnato la causa dalla libertà e della italianità nella Patria, che il Eicasoli, il Sal-vagnoli e il Lambruschini avevano fondato in Firenze. Le sciagure di Napoli e la reazione generale del 1849 lo ricacciarono lontano dal paese nativo, questa volta però non più esule in terra straniera, ma ospite del Piemonte, dove la libertà e l'italianità si erano rifugiate come iu asilo sicuro e in validissimo baluardo per prepararsi a tempi migliori, maturandoli. A Parigi, come a Firenze, come a Napoli, come a Torino, il Massari visse nella consuetudine degli uomini più autorevoli e più operanti sul corso degli avvenimenti, da tutti trattato ed accolto con amicizia confidente, che lo lasciava penetrare liberamente nei segreti della politica, poiché lo si riconosceva incapace di abusarne. Fu intimo, per non dire che di due dei più illustri, di Vincenzo Gioberti e di Camillo di Cavour. Questo diciamo per far comprendere come i suoi ricordi sulla vita e sul regno di Vittorio Emanuele primo Re d'Italia siano attinti alle migliori sorgenti, e da informazioni che 1' autore possedeva in proprio come testimonio diretto delle cose che narra, o da relazioni dei personaggi stessi che in quelle cose avevano avuto mano. Oltreché molti documenti curiosi e rilevanti gli sono stati liberalmente comunicati da chi li possedeva, e sono venuti a crescere i pregi e le attrattive del libro. Chi ne comincerà la lettura non potrà distaccarsere fino all' ultima pagina. Vi è la storia intima del nostro risorgimento tratteggiata con efficace verità e insieme con artistica sobrietà di colorito. E, cosa notevole, la figura del Gran Re, in mezzo ai particolari più minuti che il libro contiene sulla vita intima, sui moti famigliari di lui, sulle sue relazioni private cogli uomini del suo tempo, spicca rilevata per le stesse qualità per le quali si profila nella storia: schietta, severa, leale ; la figura d' un prode e di un galantuomo. La risurrezione di un popolo è un fatto così grandioso e in pari tempo così istruttivo, che il seguirne le fasi in tutto il suo svolgimento cagiona le stesse varie e profonde commozioni che prova chi assiste allo svolgimento di un dramma appassionato. Quelli che hanno vissuto e operato, comunque, nel dramma così pieno di peripezie del risorgimento italiano, vi rivivranno ancora, leggendo il libro del Massari, col sentimento di chi, dopo dura e perigliosa navigazione, nella sicurezza e nella gioia del tetto natio, ripensa le procelle che gli contrastarono il ritorno. Quelli che delle passate vicende nacquero a cogliere i frutti e goderne, impareranno quanto senno, quanta costanza, quante virtù di ogni fatta costasse il coltivarli e maturarli ; e impareranno, giova sperarlo, a conoscerne meglio il pregio, e a fortificarsi delle stesse virtù per conservarli e moltiplicarli. Il libro del Massari è perciò un bel libro, e una buona opera patriottica tutto insieme. Il primo volume farà desiderare a tutti con ansietà vivissima il secondo. (Dalla Nazione di Firenze) Notizie di Gessi-iatteucci C. Piaggia, Brazzà, D'Albertis (Dal Bollettino di giugno della Società Geografica) Spedizione Gessi-Matteucci. — Intorno a questi viaggiatori troviamo annunciato nel Na-ture (Londra, 16 maggio 1878), che per innattese difficoltà incontrate tra Fadasi e Kaffa essi furono costretti di tornare a Khartum. — Questa grave notizia non è finora interamente vera. Un telegramma dell' 11 maggio da Khartum parla bensì dell'impossiblità in cui si trovarono i viaggiatori di procedere oltre Fadasi, e del loro ritorno nel Fazoglu, non però a Khartum stesso. Ugual cosa è ripetuta in un altro telegramma del 13 maggio da Massaua. — Al 15 maggio queste erano le notizie che se ne avevano al Cairo. Ma noi ignoriamo e l'importanza delle cause che impedirono il proseguire,> sopratutto i propositi ulteriori dei viaggiatori. — Dal Fazoglu essi potrebbero tornare a Khartum, ma potrebbero anche riprendere le esplorazioni per altre vie. Non dubitiamo di ricevere fra breve qualche notizia o da loro stessi, o da mons. D. Comboni che fino dal 15 aprile è giunto a Khartum, e da cui abbiamo già ricevute lettere. Nuovo viario di Carlo Piaggia. — Fu jn Roma da ultimo il viaggiatore C. Piaggia che sta per ripartire alla volta dell' alto Nilo. Incominciati i suoi preparativi cogli aiuti e buoni uffici de' suoi concittadini, del com-mendator Mordini e della nostra Società, egli ebbe l'onore di un' udienza privata presso S. M. il Re, che lo accolse colla sua abituale cortesia e si trattenne a lungo a parlare con lui delle peregriuazioni in quei paesi e dei vantaggi che la civiltà e l'Italia se ne potrebbero ripromettere. Mancando al Piaggia una serie di oggetti necessarii al compimento del suo equipaggio, ebbe il contento di sentire che S. M. gli aveva accordata, dalla sua cassetta privata, la somma ancora occorrente (L. 1200)solo manifestando il desiderio che il Piaggia avesse ricorso per le sue provvigioni a prodott i di fattura nazionale. — Tornato a Lucca, il Piaggia trovò che il Comitato per i premi alla virtù e al valore civile aveva a lui conferito il premio di quest'anno (L. 1137.67) e che il comune di Capannori, suo villaggio natale, gli aveva assegnato un sussidio di L. 400. — Ora il Piaggia si reca al Cairo e quindi a Khartum, senz'avere fissato rigorosamente il campo delle sue esplorazioni, disposto di scegliere quella via che sul luogo gli si mostrerà più promettente di frutto, e più che mai risoluto di corrispondere coi fatti alle prove d'affetto e di fiducia ricevute da molte parti d'Italia. Savorgnan di B razza nel Niam-Niam. — Riportiamo tradotta dall' Afkenaeum del 18 maggio p. p. la seguente notizia, di cui non isfuggirà al lettore la grandissima importanza (*). "Le ultime novelle sulla spedizione del sig. di Brazzà provengono dal Gabum in data del 7 marzo. Secondo le informazioni portate alle fattorie dell'Ogouè da alcune tribù degli Ocanda, il valoroso esploratore ha raggiunto il paese dei Niam-Niam e fu bene accolto dal loro Re. Questa notizia non sembra molto credibile, quaudo non siammetta che il territorio dei Niam-Niam si estenda verso libeccio più di quanto ritenevasi finora. Fu inoltre riferito al Gabum, che in conseguenza delle sfavorevoli relazioni fatte dal sig. Marche, il Governo francese ha sospeso i sussidi al sig. di Brazzà. . Questa notizia è in perfetto accordo colla voce corsa che il Marche sia tornato in Europa in conseguenza di dissensi col suo capo; ma la sospensione degli ajuti al sig. di Brazzà cade molto in malpunto, poiché venne fatto a quest' ufficiale di penetrare tanto più avanti d' ogni altro suo prodecessore in una regione del tutto ignorata. Egli dovrà ora dare di volta per difetto dei mezzi necessari a continuare nelle scoperte.,, Sull' ultima esplorazione di D' Albertis nella Nuova Guinea il dott. G. Bennett ricevette una lettera dal viaggiatore e la comunicò alla Nature di Londra del 16 maggio. In essa è parola delle collezioni fatte durante il viaggio. In sostanza esse riuscirono inferiori a quanto egli sperava. Raccolse nondimeno circa 800 pelli d'uccelli appartenenti a 200 specie diverse, e fra queste egli sperava che 20 o 25 fossero nuove per la scienza, ed altre tornassero importanti per i luoghi dove furono trovate, come per la loro rarità. Egli potè raccogliere un altro esemplare dell' Har-pyopsis nuova guinea, il quarto ottenuto da lui, mentre nessun altro viaggiatore della Nuova Guinea ne avea ancor riportato uno. Possiede anche il Gymnophaps allertisi che aveva trovato la prima volta a Dorey nel 1872, ma tanto raro che Beccari e Bruiju ne presero solo uno o due esemplari. Ha pure due o tre pappagalli nuovi. Fra gli insetti, alcuni sono veramente bellissimi, e senza, dubbio qualche specie nuova. Lo studio di *) Il nostro ufficio domandò informazioni a Londra senza averne potuto ancora ottenere.. Da Parigi il sig. C. Maunoir ci risponde (2 giugno) inviandoci copia di una lettera del conte Brazzà in data 25 luglio 1877, che pubblicheremo nel prossimo fascicolo. Ma essa non hà nessuna relazione colle notizie inglesi. (Nota dei Bollettino) . questa collezione importerà specialmente per la questione della distribuzione della vita animale; perchè fra gli scarabei papuani se ne trovano alcuni dell' Australia ed altri indigeni delle Filippine. Trovò pure una bella Buprestis (Stigmodera duboulayi) rarissima e conosciuta soltanto nell'Australia occidentale. Trai mammiferi potrebbero esservi una o due specie nuove; ma ciò sarà deciso quando le collezioni saranno giunte in Europa. Illustrazione dell7 anniversario (mauro Macchi. Almanacco Istorico - anno IX) Per Milano fu un vero lutto la morte di questo galantuomo, avvenuta il 27 luglio 1875. Egli era il decano dell' arte tipografica, ed il più stimato cultore che di essa ci fosse in Lombardia. Bello ed alto della persona, di core eccellente, di modi signorili, di costumi patriarcali, non solo egli era modello dei padri di famiglia, ma era amato e venerato come padre anche della numerosissima famiglia de'suoi operai, i quali, una volta ammessi nella sua tipografia, non se ne allentavano più. Vi sono il proto, i correttori, vecchi manuali, che entrati nello stabilimento del Bernardoni sino si può dire dall' infanzia, vi rimasero tutta la vita, e vi si trovano ancora al dì d'oggi, che, vecchi, piangono amaramente la morte immatura del proprietario, fratello e padre per loro, ancor più che amico. Tanto è vero che, in generale, il buon padrone fa i buoni o-perai. Pieno di studii, egli diede grande incremento all' arte tipografica, ed intraprese parecchie tra le più belle edizioni del nostro paese. Fu lui che, non senza suo sacrificio, stampò lo stupendo volume delle Notizie naturali e civili della Lombardia, compilato da Carlo Cattaneo per l'occasione in cui si tenne a Milano il congresso delli scienziati nel 1844. Zelante della cosa pubblica, e seriamente stimato dai suoi concittadini, fu più volte membro del Consiglio Comunale, e di quello della Camera di Commercio, e per lunghi anni gli fu affidato il delicato officio di sorvegliante del regio Collegio femminile e del Collegio Nazionale. Mitissimo d'animo e di modi conciliantissimo, in cento occasioni fu prescelto ad arbitro, per accomodare i dissensi che, di quando in quando, inevitabilmente pur surgono tra li uomini di affari e di commercio. Antico patriotta, si comperò una villa sul Lago Maggiore, sopra Intra, affine di potere nelli anni dolla nostra schiavitù, andarvi a godere in pace le sue vacanze, respirando l'aria libera di quelle Provincie, che già godevano dei beneficii dello Statuto. E quando, nel 1854, giunse l'ora della liberazione con ciglio asciutto ei vide partire il suo unico figlio, il quale, educato da lui all'indomito amore della indipendenza, benché poco più che trilustre, die addio alla famiglia ed alla nativa città per accorrere, con gravissimo suo rischio a Torino, ove si arruolò come semplice soldato tra le schiere dell'esercito subalpino. E fece la guerrra; e si battè da prode nella battaglia di Pastrengo. Questo figlio, deguo del padre, ora gli succede ; ed è a credere saprà imitarne tutte le virtù. Intanto può dirsi che li onori funebri resi da Milano a Giuseppe Bernardoni sono un omaggio alli uomini del lavoro ; i quali colla buona condotta, riescono a rendersi cari,, stimati e benemeriti del proprio paese. La salma del rimpianto amico nostro fu trasportata al suo diletto Premeno. Lìi nuovo nemico dell'uva. — Quale rimedio? Inutile lo zolfo, il petrolio, ecc. Bisogna ammazzare la tignuola (tortrix vitana) colle mani. Oh ! dissimo noi ad un amico che ce lo suggeriva. L'amico ci assicurò che è una operazione assai più facile di quanto sembri, ed il momento è questo. La tignuola è trivoltina, e si riproduce quando l'uva è come i piselli, e e in allora amputa persino il picciuolo (manico) del grappolo, e l'ultima volta alla maturau-za. Ma il solo momento per coglierla è questo, mentre aggruppa taluni fiori d'uva, e fa i glo-betti in tutti i grappoli. Passare per un filare e stringere questi globetti è cosa da poco. Una donna in una giornata fa un grande lavoro di questo genere. Siccome la tignuola e fragilissima, così questa stretta basta a scacciarla. Si dica alla donna: pulite i grappoli da quei gruppi e da tutto il seccume. Sembrerà diperdere molta uva; ma pochi giorni doppo si vedrà il grappolo rimasto bello è ingrossato. Il danno e già fatto dal verme, e se il verme non si uccide, l'uva di talune qualità rimarrà interamente distrutta. Si provi diligentemente, si pensi al danno e si vedrà che la spesa è inconcludente. Anche i bambiui possono venire ammaestrati a rendere questo servigio, e si divertono a farlo. (Dal Giornale di Udine). Il nostro sequestro, -r- La colonna bianca trovata dai nostri lettori nel N.° antecedente, li avrà tosto edotti trattarsi di un sequestro. Fu infatti sequestrato un racontino morale, che corniciava colle parole: Qualche cosetta si è fatta!, e terminava colla data: Istria, giugno 1878, e colla sottoscrizione : Enrichetta B. Tale sequestro, ordinato dall'i, r. Capitano distrettuale, ci empì di stupore; la proposta di conferma, avanzata dall'i, r. Procuratore di Stato, ci rese attoniti; e la conferma dell'i, r. Tribunale Provinciale ci ^sbalordì. Alla signora Enrichetta poi, alla quale la notizia pervenne mentre lavorava, cadde l'uncinetto di mano, e trasecolò: ci scrisse subito ella chiedendoci se e quali spiacevoli conseguenze le pendessero sul capo. In quella lettera ci diceva tra le altre:..... "Sono proprio cose dell'altro mondo! Se m'avessero detto che fu scoperto essere papa Leone una donna, o che fu vista fumare una locomotiva nella luna, l'avrei creduto assai più facilmente del sequestro. Ma, ditemi, è proprio vero o avete canzonato?. No, no, egregia signora; non scherzammo: legga qui quanto segue, e che togliamo dalla quarta pagina dell' Osservatore Triestino, il giornale ufficiale che mai legge. Del resto si rassicuri: Ella rimane fuori di combattimento in ogni caso. N.4490-490 Decisione In nome di S. M. V Imperatore! L'i. r. Tribunale provinciale quale Giudizio di stampa di Trieste deliberando sulla proposta dell' i. r. Procura di Stato d. d. 12 giugno 1878 N. 1262^800 decide: Costituire l'articolo »Qualche cosetta si è fatta" inserito nel periodico "L' Unione,, N. 17 d.d. Capodistria 9 giugno 1878 , gli elementi del crimine previsto al 65 litt. a) C. p.; confermarsi perciò il praticato sequestro, vietarsene l'ulteriore diffusione ed ordinarsi la distruzione degli esemplari appresi e da apprendersi passata che sarà in giudicato la presente decisione. Trieste, 13 giugno 1878 Teatro. — Nelle recite successive, della i brava compagnia Silvano, emersero sempre ! più le belle doti dei migliori artisti che la compongono: la sig.a Branchi, prima attrice, sia nel comico che nel tragico, appalesò ottima scuola e grande perizia, sempre assecondata lodevolmente dalle sig.e Forti e Giovara. Attrice provetta è la sig.a Silvano, donna di par rucca, che tanto nel serio quanto nel faceto disimpegna la sua parte con molta maestria; e la fan ciulletta Bissi, forse appena decenne, promette riuscita felicissima. Tra gli attori riportano la palma i signori Branchi, Rissi e Silvano: il primo caratterista di vaglia, che in ispecie nelle parti facete ottiene successo triofale; l'altro, brillante giovanissimo ma già molto innanzi nella sua carriera, la quale gl'intelligenti pronosticano luminosa; il terzo, primo attore, di molti mezzi, corretto ed accurato. Ed anche il sig. Malipiero è generico di buona scuola, sulla via di progredire egregiamente. Hanno variato e acconcio il vestiario; mai udimmo papere ; e sempre trovammo in quel piccolo teatro decoro e diligenza. A rendere poi ancora più gradevoli i trattenimenti, appagando nello stesso tempo un desiderio manifestato da molti frequentatori, ci vorrebbe uno schermo qualunque che riparasse dalla rugiada, e possibilmente un'orchestra che non facesse tanto rosseggiare perlo sdegno le guance ad Euterpe. E vero che il sig. Silvano potrebbe spararci contro, particolarmente riguardo all'orchestra, degli argomentiarmstrong, ma tuttavia . . . Mezzo di conservare i fiori freschi. — Al patto che non poniate i vasi alla finestra, tanto più se non trovansi debitamente assicu-1 rati, io vi citerò 1' espediente per conservare I i fiori, magari nell' inverno, purché li abbiate spiccati freschi. Prendete il fiore che volete conservare per le estremità del gambo, e tuffatene le foglie ed i petali nella parafino fusa a bagno-maria; poi ritirate e scotete il fiore in modo che la parafina superflua se ne vada, e non resti sulle foglie che una leggerissima velatura. Dopo ciò mettete i fiori soto una campana di vetro, perchè non ricevano polvere. Chi ha inventato questo sistema non sono già io ; ma il dottore Miergues, il quale, con questo sistema, conserva da un anno sotto una campana molti fiori che paiono spiccati ieri dal cespo. (Dal Caffaro di Genova). Trapassati nel mese di Maggio 1878 1 Pasqua Dezorzi ved. Giuseppe nata Giursi d'anni 64. — 3 Anna Sklaunig moglie di Pietro d'anni 41; Giovanni Vattovaz d'anni 35 da Cesari (Lazzaretto). — « Caterina Filipputi moglie di Gio. Batt.» d'anni 57. — 7 Lucrezia Gerin ved. Francesco d'anni 85. — 8 Maddalena Martissa di Antonio d'anni 17. — 13 Laura Regancin ved. Giovanni nata cont. Borisi d'anni 60. — 14 Nicolò Gajetta d'anni 45; Caterina marchesa Gravisi ved. Giuseppe nata Petrejo d'anni 88; A. B. (carcerato) d'anni 31 da Valle (Rovigno). — 15 A. B. (carcerato) d'anni 24 dal territorio di Bovigno. — 1« Maria Cernivani di Giovanni d'anni 26. 17 Pietro Cadamuro Morgante d'anni 86. — 19 M. K. (carcerato) d'anni 36 da Parcic (Dalmazia). — 21 I. M. (carcerato) d'anni 23 da Untervirz (Stiria); Giuseppe Steffè d|anni 58. — 24 M. C. (carcerato) d'anni 32 da Treviso. — 25 Antonio Da Ponte fu Domenico d'anni 67. — 2» Matteo Gregorich d'anni 83. — 30 Vincenzo Gianni d'anni 63 da Chioggia. Più quattordici fanciulli al di sotto di 7 anni. Matrimonio celebrato nel mese di Maggio 19 Francesco Dragovina - Caterina Torresini. N. 1932 EDITTO Dall'i, r. Tribunale d'Appello in Trieste si pubblica in conformità alla legge 25 luglio 1871 N. 96 B. L. I. che avendo l'i. r. Giudizio distrettuale di Capodistria compiuto il progetto del libro fondiario per i comuni catastrali di Piarla e Capodistria questo progetto sarà da trattarsi dal 20 giugno 1878 come libro fondiario, e che da quel giorno in poi nuovi diritti tavolari di proprietà, di pegno e di altro genere sugli stabili iscritti nel libro fondiario potranno acquistarsi, limitarsi, trasferirsi ad altri od estinguersi soltanto coll'iscrizione del libro fondiario. Per la regolazione di questo libro fondiario, che ognuno potrà ispezionare presso l'i. r. Giudizio distrettuale in Capodistria, si avvia in pari tempo la procedura secondo il § 5 della citata legge e si diffidano tutte le persone a) che in base ad un diritto acquistato prima del predetto giorno di aprimento del nuovo libro fondiario pretendono una modificazione delle iscrizioni in esso contenute e risguaidanti i rapporti di proprietà o di possesso, senza distinzione se la modificazione debba seguire mediante distacco, aggiunta o trascrizione, mediante rettifica dell'indicazione degli immobili o delli costituzione di corpi tavolari od in altra gnisa. b) che già prima del predetto giorno di aprimento del nuovo libro fondiario hanno acquistato sopra gli immobili iscritti nello stesso o sopra parte dei medesimi diritti di pegno, di servitù o di altro genere atti all'iscrizione tavolare, in quanto questi diritti sieno da iscriversi come appartenenti al vecchio stato degli aggravi ed all'impianto del nuovo libro fondiario non fossero già stati iscritti nel medesimo, a produrre le loro insinuazioni all' i. r. Giudizio distrettuale in Capodistria fino al 31 luglio 1879 a scanso della perdita del diritto di far valere le pretese, che s'intendessero insinuare, in confronto di terzi, i quali in buona fede acquistano diritti tavolari in base delle iscrizioni contenute nel nuovo libro fondiario e non impugnate. L'obbligo all'insinuazione non si altera per la circostanza che il diritto da insinuarsi .risulti da un libro pubblico che viene posto fuori di uso o da una decisione giudiziale o che penda in Giudizio una domanda di parte che si riferisce a questo diritto. Restituzione in intiero contro la trascuranza del termine edittale non è ammissibile, come nemmeno la proroga del termine stesso a favore di singole parti. Dall'i, r. Tribunale d'Appello Trieste, addì 6 giugno 1878. (Dall'Osservatore Triestino.) Corriere dell' Amministrazione (dal 6 a tutto il 22 corr). Albona. Antonio Riosa (I sem. del IV anno).— Chsrso. Deputazione Comunale (IV anno) — Parenzo Giunta Provinciale (III e IV) ; Pietro nob. Venier (I Sem. del IV anno); Comni. Dr. Francesco Vidulich (III c IV anno). — Trieste. Prof. Edoardo Visentini (I sem. del IV anno).