ANNO XYI. Capodistria, 16 Dicembre 1882. N. 24. LA PROVINCIA ir ? ì S - J \Jr M DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo. *) 1234.*) — Roma, 18 aprile. — Papa Gregorio IX conferma al Capitolo di Trieste la donazione delle decime delle case, fattagli dal fu vescovo Yernardo nel 1152. Cod. dipi. istr. CORRISPONDENZE Pisino, li 6 Dicembre L'eruditissime lavoro del prof. Dottor Benussi, L'Istria fino ad Augusto, verrà letto senza dubbio, con grande interesse dagli studiosi di storia; qui poi, anche da altri che amano prendere conoscenza di qualsivoglia cosa patria; e vi si crederà tutto, perchè ne è evidente la pazienza e la perizia dell' egregio autore per iscuoprire il vero e raffermarlo. Ci voleva tenacità di proposito per ripassare tutti gli autori antichi a trovarvi de' cenni sull'Istria ; e credo non si poteva addurre maggiore abbondanza di fatti per provare la celticità dell'Istria al tempo della conquista romana. Ogni fatto raccertato, è un punto lucido nel buio della nostra storia; però fra codesti punti uno mi appare di dubbia luce. Intendo che tra le tante buone prove, quella dei castellieri non sembrami accettabile. Conosco molti castellieri; ed osservando quelle vestigia, pare come se fossero stati abbandonati ad un istesso tempo ; non vi ha varietà di forme nè di eostruzioni, e appariscono come se anche dai secoli fossero schiacciate con uguale misura. Uno solo, tra Gimino e Barbana, dovette essere abitato sino a più tardi, essendone il recinto a malta; e l'interno (tutto coperto di lastre di pietra) come a conchette, ') Cont. vedi N. 1 a seg. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. da congetturarvi 1' esistenza di casipole rotonde per metà sotterra. Nel mezzo liavvi cumulo di macerie, risultante dallo sfasciume d' un edificio a malta che vi emergeva. Non v'ha dubbio che prima della venuta dei Celti, il paese avesse avuto popolazione, la quale doveva aver pure le sue dimore; ed appunto la grettezza di cotesti castellieri e il desumibile sparpagliamento della popolazione a piccoli gruppi, dovrebbe attribuirsi agli aborigeni, che stavansi circoscritti dove nacquero, senza desiderare maggiori opportunità locali e sociali. In quanto ai Celti si affà un tutt'altro concetto. Migrati da regione lontanissima, e provato tante esperienze per varie sedi, impedimenti e contatti di popoli, dovettero alla venuta in queste parti essere già istituiti a popolo ordinato e che esigeva dimore più confacenti ; cosicché avranno occupati i luoghi più adatti a loro centri; nel qual mentre gli aborigeni disparvero in breve periodo dalle altre stazioni, sia perchè tratti a servitù, sia perchè turbati nelle abitudini loro connaturate per campare. Ci manca un tipo di stazione celtica, perchè i luoghi da essi occupati e continuati ad abitare, trasformaronsi man mano in modo da diventar infine le borgate e cittadelle d'oggidì. La denominazione di recinti celtici venne data alle stazioni degli aborigeni, dopo oltrepassata collo studio la barriera dell' epoca romana, non ancora pensando ad un' epoca preistorica, nè supponendo tanta l'antichità della specie umana. D'altro canto se i Celti fossero stati i costruttori ed abitatori di quei gretti recinti a capanne di legna (chè non v'ha traccia di abitazioni di pietra), e dove non si scorgono indizii per desumere alquanto avanzato il vivere primitivo, non mai sarebbero col progresso possibile in que' tempi e luoghi, due secoli e anche cinque dopo la loro venuta, pervenuti a svolgere un attività, direi internazionale, ed edificare Nesazio inespugnabile ai romani. Non faccio quest'appunto con aria di saccente; ma soltanto per proporre, che ili qualunque opera di pregio risguardante l'Istria si credesse di trovare alcunché di dubbioso, e ne venissero fatte obiezioni sensate, fino allo schiarimento, affinchè si possa accettare alla cieca il già detto, per avvantaggiare in tempo e far premesse sicure al proseguimento degli studi. Il taglio dei boschi in provincia Tra gì' importantissimi argomenti pertrattati dalla Dieta provinciale nell' ultima sessione va posto in prima linea anche quello della conser- j vazione dei boschi di alto fusto, particolarmente l nelle parti alpestri della nostra provincia. Noi rechiamò qui 1' esauriente mozione del deputato on. F. Sbisà, che si aggira intorno all'ordinanza 1 marzo 1882; premettendo che venne accolta dalla Dieta la risoluzione dello stesso on. Sbisà la quale suona: „La Dieta provinciale dell'Istria, preoccupandosi degli inconvenienti e dei danni, che le recenti norme ristrettive siili' uso dei boschi, hanno portato ai possessori degli stessi; interessa T inclita Giunta provinciale a volersi adoperare presso l'i. r. Governo, affinchè lo stesso voglia fare oggetto di nuovi studi l'argomento, allo scopo di migliorare la coltura dei fondi boschivi dall'una parte, e di non pregiudicare dall' altra nè sotto il punto di vista agricolo, nè nei riguardi economici, la condizione dei possessori dei medesimi." Ora ecco la mozione sviluppata alla Dieta dall' on. Sbisà, qua!' è riportata dai Resoconti stenografici di quel consesso : Lascerò a parte pel momento le antiche e nuove leggi boschive, emanate sotto lo specioso pretesto di tutelare la produzione dei nostri boschi, iuquantochè sulle stesse si abbia già parlato altra volta, e molto a difuso. Mi limiterò a passare in disamina l'ultima notificazione dell'i, r. Luogotenenza d. d. 11 Marzo 1882, la quale contiene alcune nuove disposizioni per la conservazione e pel miglioramento della coltura boschiva, e ne abroga alcune altre che l'esperienza ha dimostrato non corrispondenti allo scopo. La prima fra queste disposizioni è quella che suona così: (legge). „È vietato il taglio raso, cioè la recisione totale dei boschi, e restano perciò obbligati i proprietari dei boschi, e rispettivamente gl'imprenditori di taglio di legna di riservare nei boschi di alto fusto sull' area del taglio per ogni ettaro a regolare distanza almeno 50 alberi sani ed atti alla produzione di sementi. Questi alberi non potranno essere recisi se non appena dopo seguita la riproduzione del bosco con sufficiente novellarne. Un' eccezione da questo divieto può aver luogo solo in quei tratti boschivi di alto fusto, nei quali al tempo del taglio si trova già del novellarne in quantità sufficiente." Per ora io mi fermerò a passare in disamina questa prima disposizione, e credo che non mi si potrà minimamente tacciare di avere sorpassato i limiti, quando avrò detto che essa tende a limitare i diritti di proprietà, ed a togliere al possidente 1' ultima sua risorsa. Di fatti nessuno di voi ignora come nell' Istria nostra i boschi ad alto fusto abbia formato sempre il così detto foudo di riserva dei possidenti di campagna. II fondo di riserva è destinato per sopperire agli urgenti bisogni nel caso di assoluta necessità, ed il fatto ha dimostrato due anni or sono che molti e molti possidenti nel distretto di Pisino, appunto ponendo mano allo sradicamento ed al taglio dei detti boschi, sono arrivati a scongiurare il pericolo di morire d' i-nedia e di fame. Ora la notificazione di cui sopra, dispone che in questi boschi il proprietario sia obbligato di lasciare per ogni ettaro 50 piante di rovere, e ciò fino a tanto che esse siano sostituite da buon novellarne. Ma 50 piaute di rovere, o Signori, se bene cresciute e bene sviluppate, rappresentano un valore rilevante, che per il possidente di campagna decide molte volte della sua esistenza. Imaginiamo di fatti questo povero infelice in un anno di falliti raccolti, aggravato da debiti verso privati, e quel che succede più di frequente, colpito dall'esecuzione per arretrati d'imposta; ed in queste coudizioni poniamogli il quesito: o devi tagliare le piaute, o perdere la tua sostanza, io credo che, seuza punto esitare, risponderà affermativamente alla prima domanda ; ma essendo esso impedito dalfa ,ji porre mano al taglio di queste piante, si troverà costretto, con tutti i mezzi in mano, a lasciarsi spogliare, e vedere spinta la sua famiglia alla rovina ed alla miseria. Quindi credo che, sotto questo punto di vista, la legge dovrebbe fare delle grandi eccezioni, e che il volerla tener ferma iu questi supremi momenti, in cui il taglio, o meno, di queste piante può decidere dell' esistenza d' una famiglia, sia atto immorale ed ingiusto. Ed invero per potere pretendere che questo individuo, che iu ultima analisi è il solo legale proprietario e padrone di queste piante, avesse da lasciarle, e non in vista «dell' interesse suo privato, ma in vista dell' interesse generale, io credo sarebbe equo e necessario che da qualche parte gli venisse fatta una corrispondente anticipazione, che valesse a sollevarlo dalle angustie iu cui eventualmente si trovasse. Procedendo, la legge stessa parla dei pedalini nei termini seguenti: (legge) „La riserva dei pedalini nei boschi composti, voluta già dalla natura degli stessi, dovrà pure essere osservata con riguardo alle condizioni particolari del Litorale nei boschi cedui, onde agevolare la loro conservazione ed il miglioramento della coltura forestale. Per ogni taglio di boschi cedui dovranno perciò essere riservate in distanze regolari almeno 20 piante (pedalini) per ogni ettaro, da scegliersi tra le specie lignee le più pregevoli e tra le piaute più vegete, possibilmente tra quelle che hanno proprie radici, e ciò fino a tanto che il numero dei pedalini sarà giuuto almeno a 40 per ogni ettaro. Tali pedalini non potranno essere recisi che dopo aver sorpassato l'età di anni 20. Alla mancanza del suddetto numero minimo di 40 pedalini per ettaro, causata da questa recisione o da altra circostanza, dovrà essere supplito mediante nuova riserva di un corrispondente numero di piante più giovani. Queste disposizioni non trovano applicazione ai tratti boscati rivestiti soltanto di specie lignee cespugliose." La questione dei pedalini è stata trattata diffusamente negli anni scorsi; sarebbe quindi poco ragionevole di tornare sulla medesima. Soltanto in linea dell' interesse che io ho toccato dapprima quando parlava dei boschi d' alto fusto, ritengo che la legge non dovrebbe disconoscere, qualmente lasciando un numero rilevante di pedalini per ogni ettaro di bosco, si vada a difficultare, a menomare e ad impedire la produzione del bosco stesso in legna cedue. Osservo inoltre che quando fu votata in questa Camera la proposta di riservare 20 pedalini per ogni ettaro, l'idea determinativa era quella di lasciare che queste 20 piante divenute adulte, potessero mettere frutto, il quale valesse a propagare in seguito i giovani virgulti e popolare il bosco. Ma, a dire il vero, colla nuova disposizione presa dall' i. r. Luogotenenza, pare che tale scopo non si arriva a conseguirlo. Da noi altri la vegetazione succede assai stentata, e specialmente quando corrono estati secchi com' è stato 1' attuale, essa è così lenta, che nel periodo di venti anni è impossibile affatto che una pianta di rovere arrivi a maturità a segno di poter dare frutto di rilievo. Darà forse poche ghiande, ma queste male oorrispondouo alio scopo. Quindi, volendo tenere ferma la disposizione della riserva dei pedalini, io ritengo che si dovrebbe limitarla ad un numero minore di piante, estendendo invece il periodo di riserva, che potrebbe essere fissato a 30 anni circa. La legge, proseguendo, fa eccezione di queste norme per i boschi che sono popolati da altre piante così dette cespugliose, ossia arbusti. Da noi non è raro il caso di riscontrare dei vasti tratti di bosco di tale natura, e senza annoverare quelli di carpino, che sono estesissimi, ve ne sono molti popolati dal così detto Quercus ilecc, o come volgarmente lo chiamano dall' „elice". Questa pianta, a stretto rigore, non potrebbe essere enumerata fra i cespugli, inquantochè coltivata accuratamente, può arrivare a formare albero e dare anche abbondante frutto, ciò che per altro da noi non succede per essere la coltura a cespo assai più economica e rimuneratrice. I boschi di questo genere si trovano specialmente nel nostro territorio alle sponde del mare, crescono rapidi, ed arrivati all'età di 12 o 14 anni, si propagano immensamente, mettendo frutto dalli stessi cespugli, tantoché molte volte sono tanto fitti da esserne impedita una rigogliosa vegetazione. Ora si è dato il caso in quest' anno, che un possidente di questo distretto, avendo tagliato un bosco di elici, fu ripetutamente chiamato a rispondere del perchè non avesse lasciato i voluti pedalini, e ci volle del bello e del buono a persuadere i gendarmi che si erano recati sopraluogo in seguito a denunzia d'uno dei soliti guardiani, perchè egli potesse cavarsela senza la multa. Dirò ancora che 1' elice è pianta sempre verde e di conseguenza può essere tagliata anche- fuori delle stagioni prescritte; ragione questa per cui lo stesso proprietario, fluito il taglio delle legua da commercio, aveva disposto ed anche cominciato il taglio di tutto 1' avanzo per pulire il bosco, per facilitare la vegetazione successiva, e nello stesso tempo per utilizzare quegli avanzi col fare una fornace di calce. Neppure questo gli fu accordato, essendo passata l'epoca prescritta pel taglio, per ciò egli dovette abbandonare la curazione del suo bosco, e rinunziare al vantaggio che poteva ritrarre dalla fornace di calce. Questi inconvenienti, se la leggo avesse un applicazione più pratica, potrebbero essere tutti risparmiati. Veniamo ora al secondo punto della notificazione che tratta dell'epoca del taglio, {legge) „I tagli di legna sono permessi soltanto nell' epoca dal 15 Ottobre al 1 Aprile ad eccezione dei boschi situati nella regione alpestre, nei quali i tagli dovranno essere ultimati entro il 1. Giugno." La disposizione, non si può negare, per quanto risguarda alla generalità dei boschi è saggia, e se l'applicazione ne fosse corretta, non ci sarebbe punto da ridire; ma il guajo sta tutto nell'applicazione. La notificazione fissa 1' epoca del taglio indistintamente per tutte le specie di legno ; interpretata quindi letteralmente, non ammette eccezioni. Ora, questa interpretazione troppo letterale, che al postutto è anche bene giustificata, porta fra noi dei seri malanni, impedendone il taglio di certe piante che, per l'uso cui sono destinate, devono essere tagliate verdi ed in istato di piena vegetazione. Primeggia fra queste il frassino, il quale si presta eminentemente bene per fare cerchi ad uso dell'arte del bottajo di cui in Istria abbiamo tanto bisogno. Ora è accaduto precisamente nel distretto di Volosca, che alcuni esercenti l'arte del bottajo, che attendono, come attendevano gli Ebrei nel deserto la manna, la stagione opportuna per tagliare i cerchi ad uso della loro industrie, si sono trovati impediti nell'esercizio di questo loro diritto, e le i. r. Autorità hanno proibito loro severamente il taglio, ed hanno spinto lo zelo fino al punto di andare a fare delle perquisizioni nelle case, per verificare se da essi abusivamente questo taglio fosse stato praticato. Credo che questo sia precisamente un male inteso, non potendomi mai persuadere che le Autorità, cui deve stare a cuore il benessere di tutti i cittadini, vogliano gettare così nella miseria una popolazione, che come quella di Castua e luoghi limitrofi, attende con ansia a questa industria per procurarsi il vitto per tutto 1' anno. — Oltre il frassino cresce in alcuni luoghi della Provincia anche il lauro ed il sommacco. Incredibile, ma pur vero ! le Autorità hanno trovato di proibire la raccolta delle foglie di lauro e di sommacco, le quali in quest' anno di ricerca potevano dare un buon reddito, e ciò pel motivo che collo svellere le foglie si impedisce la vegetazione delle piante. Ma se andiamo avanti con queste esagerazioni, addio proprietà; si arriverà al punto che non saremo più padroni nominali dei nostri boschi, chiamati al pagamento delle imposte che gravitano sui medesimi, ed interdetti dall' uso utile delle legna, dell' erba, e perfino delle foglie vegetanti sugli stessi. Ma veniamo al terzo punto della Notificazione, la quale suona così: (legge). È proibito lo svegro ed il dissodamento di radici e ceppaje non deperite negli alberi ed arbusti boschivi, e quindi anche il traffico colle stesse, ad occezione dei casi in cui il dissodamento venne concesso dall' Autorità politica in base al §. 2 della legge forestale, oppure intrapreso nei boschi di alto fusto. Venendo esposte in vendita delle legue derivanti da uu dissodamento iu tal modo concesso, oppure da boschi di alto fusto, esse dovranno essere scortate da un certificato dell' ufficio comunale, nel cui raggio è situato il bosco rispettivo, comprovandone la legittima provenienza delle legna stesse. Tale certificato deve contenere inoltre l'indicazione delle qualità delle radici e ceppaje, nonché la durata della validità del certificato stesso." Per chi volesse interpretare cum grano salis queste disposizioni della notificazione dell' i. r. Luogotenenza, credo che la cosa nou lascerebbe nulla a rimarcare ; ma avvezzi come siamo di vedere interpretate anche le più saggie disposizioni nel peggiore dei modi, non parrà strano certamente se anche di queste disposizioni noi crediamo di allarmarci, e di allarmarci precisamente per le condizioni dei nostri boschi migliori. Per la parola svegro o dissodamento, ragionevolmente parlando, audrebbe iuteso lo sradicamento delle ceppaje e delle piante sotto il pelo di terra. Se così fosse, io troverei di approvare pienamente le disposizioni della legge ; ma, edotto dall' esperienza, io mi metto in serio dubbio, e ciò per le ragioni She andrò ad esporre. I migliori nostri boschi sono popolati da una specie di rovere che si chiama da noi cervato. Il cer-vato per sua natura oltre che mandare dei bei polloni alti, ha la tendenza di portare le sue ceppaje fuori di terra, di maniera che dopo il terzo o quarto taglio al massimo, queste ceppaje crescouo in guisa da impedire la vegetazione del bosco, e se non vengono abbattute riducono la produzione a poco più della metà. Uso antico, e ragioni di buona economia forestale, hanno sempre indicata come assai utile la pratica di tagliare dopo il terzo taglio a pelo di terra queste ceppaje, per favorire la vegetazione del bosco. Ora, se la Notificazione viene male interpretata, se queste ceppaje non ci si permette di atterrarle, noi siamo costretti a vedere in pochi anni i nostri boschi migliori, ridotti in condizioni miserrime, e ciò perchè la legge e le disposizioni successive prese in relazione alla stessa, non stanno in armonia colle reali condizioni dei nostri boschi. Per non annoiare di più questi onorevoli Signori, io mi limiterò ancora a dire due parole sulla questione del pascolo estivo. Fresca è da noi la memoria di tre mesi di persistente siccità ; le nostre campagne inaridite, i nostri prati resi sterili, non diedero fieno sufficiente per poter provvedere ai bisogni del verno. Mantenere d' estate gli animali nel tugurio, è tale questione che nessuno certamente si azzarderà di mettere innanzi, in quanto che da tutti si conosca, che tenendo d'estate i buoi alla greppia, si arriverebbe a doverli vendere e macellare nell' inverno. Quindi sorge la necessità di dover usare di quei vantaggi di cui ci fu larga la natura. La natura popolando i nostri boschi di carpino — legna che in ultima analisi rappresenta assai poco valore — ha sopperito alla mancanza dei nostri prati; i nostri animali messi nei boschi di carpino, se anche portano danno alla vegetazione dello stesso, risparmiano danni ben maggiori al possidente, il quale così arriva a risparmiare il suo fieno pei bisogni dell' inverno. Mi dimenticava ancora una cosa ed anche questa essenziale. Coli' uso limitato del taglio di certe piante fresche, si impedisce anche il taglio del frassino per 1' uso delle pecore e degli agnelli durante 1' inverno. Da noi i pascoli si affittano, e la prima coudizione d'affitto è quella di permettere ai pastori di provvedersi dai proprietari dei boschi d' una sufficiente quantità di frassino, che riservano per nutrire nell'inverno i piccoli agnelli, specialmente nelle giornate piovose. Se ci si vieta il taglio del frassine verde, noi perderemo il benefizio del ricco provento dei pascoli, e quel che più monta, una quantità di concime, di cui propriamente difettano le nostre amministrazioni, e che torna molto utile in ispecie per certe colture. Le Terme di Monfalcone La stagione balneare principia qui, secondo il costume italiano, a primavera avanzata. A Vichy voi potete far bagni tutto 1' anno. Lo stabilimento di Monfalcone si apre dall'I all'8 maggio ; ma pochi ammalati vi accorrono prima degli ultimi di questo mese. Alla fine di settembre la macchina a pompa cessa di funzionare, e dura quindi una completa ibernazione di otto mesi. E così sarà fino a che non venga eretto un più agiato stabilimento. Di presente, i venti minuti che si percorrono in carrozza da Monfalcone, riescono pericolosi dopo un bagno caldo, colla terribile Bora invernale, o vento di nord-nord-est. I malati poveri abitano in case private, i ricchi ne' due alberghi (country innsj, al Roma e alla Posta (Vedova Vio). Letto e mensa a prezzo modico. Il fitto di tre stanze alla Posta era nella stagione 1880 di un fiorino al giorno; ed il prezzo medio pel cibo di un fiorino e mezzo a testa. I Brums (carrozze da nolo) sono cari e cattivi ; il prezzo è di cinquanta soldi andata e ritorno, e di sei fiorini per una gita di dopopranzo nei dintorni. Monfalcone non è „ delizioso" nella state ; l'aria n' è pesante, muffata, umida e febbricosa. A modo di pratica illustrazione voglio ora descrivere la storia di una cura presa dalle note di un mio compatriota, il quale gentilmente mi permise di pubblicarla. La narrazione interesserà la classe alta degl' inglesi, che soffre gli effetti dell' atavismo combinato col Port e Sherrv. Il mio compatriota, dopo essere ritornato dall'Egitto nel clima di Trieste, conosciuto per le artritidi come Venezia, fu colà inchiodato per cinque settimane. Grli fu suggerito di esperimentare Abano, luogo favorito dai Triestini affetti di podagra ; ma non si sentiva disposto di affrontare quella luuga linea ferroviaria. Avea inteso parlare fa- *) Dall' opera di Burton : The Termae of Monlfacone London, Horace Coi, 1881. Continuazione, vedi i N.ri 6, 8, 9, 10. 14, 16, 18, 20 e 22 a. c. vorevolmente di Monfalcone e si decise di provare queste terme. La sua cura principiò col consultare il Dottor Tamburlini. Il buon medico-direttore gli diede poca speranza che le terme di Monfalcone od altre potessero sanare un' infezione ereditaria, ma si accinse di alleviarne gli effetti e di rendergli la vita più sopportabile. Raccomandò un corso di venti bagni, il minimo essendo di quindici ed il massimo di quaranta ; in questo ultimo caso il doppio periodo è diviso da un considerevole intervallo. Alcuni bagnanti a Monfalcone e altri luoghi hanno tentato una «cura tumultuosa" ed hanno perduto molto tempo col precipitare la faccenda invece di risparmiarla. Il bagno non dovea oltrepassare la mezz' ora (fu invece di quarantacinque minuti) e la temperatura dovea essere di 37° 0. (F. 98° 66') ; è provato che un maggior calore fa spesso più male che bene. La dieta dovea essere generosa dopo l'uso del bagno, e il passeggio quanto si poteva maggiore malgrado 1' esaurimento delle forze. Il risultato della prima settimana fu un inasprimento dei sintomi. I piedi divennero più rossi e le giunture più dolorose; ma ciò viene considerato qual segno favorevole. Durante il quinto bagno furono applicati al paziente i fanghi; il quale deve fetar seduto, o meglio disteso, mentre gli si applica il fango legato con asciugamani sopra la parte malata, e caldo quanto lo può sopportare. Questa operazione dura dai quindici ai venti minuti. Rimovendo il cataplasma si trovò che una piccola quantità d' acqua separava il fango dalla pelle. L'applicazione del fango aumentò il male e dopo due prove crebbe il dolore, e la perdita totale del appetito costrinse il malato a giacere per un giorno (luglio 12) sul letto. Il buon dottore, vedendo nel paziente un robusto e muscoloso inglese verso la sessantina, ne avea precipitato la cura. Il trattamento fu ripigliato coll'astensione dei fanghi e col ridurre la temperatura del bagno a 25-26° Cent. (Fahr. 7 7°-79°) ; vi si aggiunsero due grossi bicchieri d'acqua solforata. E il miglioramento incominciò sì rapido, che già nel 17 luglio il signor H. Y. Z. potè andare in carrozza ad Aquileja e ritornare a casa dopo il tramonto con aria fredda e rugiadosa. Si permise poi una sosta di due giorni per prendere il quattordicesimo bagno, e nel 24 luglio potè, zoppicando, recarsi alle caverne presso il Monticello di S. Antonio; finalmente nel 26 salì il monticello verrucoso della „ Rocca di Monfalcone", la torre franata attribuita a Teodorico. H^Totizie L'illuste nostro comprovinciale professor Domenico Lovisato da Isola dietro invito di parecchi cittadini recavasi il giorno 4 corrente a Parenzo per farvi una lettura sulla spedizione Italo-Argentina. Accolto festosamente dai parenzani, ebbe la compiacenza di narrare nella sala del Casino al fiore della cittadinanza, tra cui molte gentili signore, le sue osservazioni e vicende più importanti della fortunosa pellegrinazione alla Terra del Fuoco. Appunti bibliografici Guido Levi. — Bonifazio Vili e le sue relazioni col comune di Firenze. — Contributo di studi e di documenti nuovi alla illustrazione di Bino compagni. — Roma. Tipografia del Senato 1882. Sulla copertina di questo grave opuscolo di storia, l'autore avrebbe potuto benissimo far stampare, con qualche variante, il motto appostò dal Cantù al suo noto romanzo : — Lettor mio, hai tu sudato studiando? — No. — Questo libro non è per te; tanto ne è grave e faticosa la lettura pei diversi intendimenti dell' autore. Ma nella provincia di Kandler non sono rari gli studiosi, avvezzi alla ginnastica del pensiero, per trovare lume in qualche punto oscuro della storia istriana; e se di uno studio di storia fiorentina qui si fa un cenno, non per questo usciamo del tutto fuori di casa. Senza dire che, posti noi ai confini di due colte nazioni, i dotti delle quali da qualche tempo prendono viva parte alla famosa questione di-nesca, il nostro umile giornaletto può benissimo fare la parte d'intermediario; o come di stazione internazionale, senza per ciò bollare o sequestare nessuna merce. Gl'intendimenti dell'autore parmi si possano ridurre a questi due principali : I. Contribuire nuovi studi e documenti alla illustrazione della cronica di Dino Compagni. II. Mostrare sotto nuova luce papa Bonifazio ottavo. E ciò con buone ragioni, e con nuovi documenti. E in quanto al primo intendimento, l'autoro piglia le mosse da principi generali ; e, venendo alla questione, opportunamente osserva che „per negare l'autenticità d'un libro non basta la minuta analisi, e meno che meno un sistema preconcetto; ma è necessario che il critico s'innalzi ad uno studio sintetico del libro e dell' intero periodo storico a cui le fonti esaminate appartengono. In uua parola il giudicare dell'autenticità di lavori come la Cronica di Dino Compagni, non può essere ufficio della sola critica delle fonti; ma della critica più propriamente storica, (pag. 8.) E tale, fu l'alto intendimento del Prof. Del Lungo nella sua eruditissima opera già da noi esaminata nei Numeri 20 e 21 anno 1881, la quale, se non ha fatto nel basso mondo letterario quel rumore di cui era degna, non perciò è opera fallita ; anzi con ciò mostra di essere degna di fama lunga e sicura. A questo siamo ora ridotti; quando di uu'opera, impresa con lungo studio e grande amore, tacciano le critiche ri-vistaie, ciò è buou segno ; vuol dire che non è pane per certi denti, e non è esame che si possa fare col tagliacarte. „E di vero all'analisi finissima di un continuo commento, il Del Lungo ha congiunto uno studio sintetico dei tempi di Dino, e 1' una e l'altra parto del suo lavoro fondò sulla ricerca dei documenti. Onde egli potè con tutta ragione asserire che il suo libro mediante tanti originali documenti, finora ignoti, ha su quasi tutti i punti mutati i termini della questione. E merito e importanza nou ultima del lavoro del professore Del Lungo sta nella nuova luce fatta sopra uu periodo tanto importante della Storia fiorentina, e nell'avere, come accade, con le sue scoperte indicata e agevolata la via a successive indagini." (Levi pag. 9.) Se, come dice il Levi, le scoperte del Prof. Del Lungo danno luogo a successive indagini, non per questo si ha a ritenere fallito il suo intento. 1 termini sono spostati, il metodo dello SchCffer è abbattuto; altri argomenti si potranno addurre, altri documenti scoprire, ma il più è fatto. I nuovi documenti e gli argomenti del Levi valgono a spiegare qualche punto della cronaca rimasto controverso, come un ragionevole seambio di nomi a proposito dell' eredità di Accirrito da Gaville (Vedi Documento IX); e poi via via molte altre sottilitsime e pazienti ricerche e questioni, fino al compassionevole caso del giovane Ghiandoni, che fa tornare alla mente il tentato assassinio contro guido Cavalcanti reduce dal pellegrinaggio di Composteli (pag. 34): argomentazione per analogia, ma che è sempre buoua arma contro i se, i ma e i forse, e le risa e le alte maraviglie con relativi scuotimenti di mano del signor Schoffer. Se non che fra questi studi, ricerche e difese della Cronica, si corre sempre il pericolo di perdere il filo e si ha la testa grossa ; ed ecco finalmente un'idea luminosa ti abbaglia; e il lettore si maraviglia nel vedere sorgere da questo labirinto, e disegnarsi netta, e sotto nuovo lume, la sinistra, ma pure grandiosa figura di papa Bonifazio ottavo. E tanto è maggiore il piacere della scoperta : perchè l'autore appena l'accenna e quasi si direbbe che ha paura di andare a fondo della questione ; onde ne viene eccitata gradevolmente la spontanea operosità del lettore, che di quella scoperta si compiace come di opera sua. 11 Guidi a dir vero ha posto in capo del suo studio il motto Bonifatius volebat sili dari totam Tu-sciam — e da questo motto si comprende l'intendimento suo principale ; solo che, da autore prudente non si è peritato di dedurre tutte le conseguenze dai raccolti documenti, ciò che richiedeva più largo studio, ed opera di maggior mole. Ma ccco di che si tratta. Papa Bonifazio col mandare il paciaro in Firenze, e prima ancora co' suoi iugerimenti nelle faccende del comune guelfo, non intese già solo di fare atto di autorità quale capo di parte guelfa, ma si studiò di estenderò il suo vero dominio sulla Toscana, e unire questa al patrimonio della chiesa. Ciò è dimostrato con tutta evidenza dal documento III, nel quale il Papa esorta il duca di Sassonia elettore dell'Impero a favorire le sue trattative presso Alberto d' Austria risguardanti la rinunzia alla Santa Sede dei diritti imperiali sulla Toscana. È un capolavoro d'astuzia, e di sopraffina politica : tanto è vero che ii Machievellismo non l'ha trovato il Machiavelli in Italia. Per la morte di Rodolfo d'Abs-burgo l'Imperio era vacante : la nuova famiglia non ancor molto forte: l'elezione d'Alberto dava luogo a qualche appiglio per contestarne la validità: 1' occasione era adunque favorevole al Papa per effettuare il suo diseguo, aggiungere cioè al patrimonio di San Pietro anche la Toscana. A riuscire nell' impresa il Papa manda un suo legato, il vescovo di Ancona, all'elettore _di Sassonia, perchè questi persuada l'imperatore a fare la volontà del Papa, se desidera il riconoscimento della sua autorità. Il breve papale comincia col solito stile curiale altitonante, e col solito strazio della Bibbia citata in senso accomodato per tirare l'acqua al suo mulino, La Santa Sede Apostolica è costituita sopra i re ed i regni ut evellat et dissipet, aedificet et plantet. Senza di lei non si può far nulla; per lei i principi comandano, ed i potenti rendono la giustizia. La Santa Sede per diritto divino comanda a tutto il mondo ; tuttavia stabilì l'Impero Romano prima in Carlo, e poi nei Germani, per avere una spada a difesa ; onde è chiaro come il sole che l'Imperio è una grazia, un benefizio, un favore della Santa Sede; et quìcquid honoris, preminentiae, dignitatis et status Imperium seu Regnum Romanorum habet, ab Ipsius Sedis gratia, benignitate et concessione manavit" (pag. 93). Ma ahi pur troppo l'esperienza ha provato che certi imperatori ingratissimi hanno volto in malefizio ciò che era stabilito a benefizio della chiesa stessa. Dunque, ;a impedire tanti mali, continua Papa Bonifazio, e per provedere all' onore di Dio e dignità della chiesa abbiamo pensato sarebbe ottima cosa che l'Imperatore (ci siamo) non mestasse troppo vicino, negli affari d'Italia e cedesse alla Chiesa il dominio della Toscana. E benché a far ciò (attenti che qui c' è il non plus ultra dell' astuzia) basterebbe al Papa volerlo, et licet ad revocationem iustarn facien-dam, sufficiat auctoritas dictae Sedis, tuttavia si desidera che il magnifico principe e duca Alberto d'Austria si adatti a quest'atto di giustizia e di riverenza ; e ceda lui spontaneamente al Papa la Toscana. In caso diverso il legato, vescovo di Ancona farà capire al predetto magnifico Duca che la conferma al titolo d'Imperatore tarderà molto a venire da Roma. Inutile rammentare al lettore che Alberto fece orecchi da mercante, e il vescovo d'Ancona, infectis rebus tornò al padrone. Da questo prezioso documento è provato quali fossero le intenzioni di Bonifazio sopra Firenze e tutta la Toscana. Altri documenti poi, riportati ,in questo studio medesimo, dimostrano gli accorgimenti, le na- ' scoste vie e le arti volpine del Papa per raggiungere il suo intento. Non è già la grande figura di Gregorio settimo che s'innalza maestosa a dominare gli avvenimenti. Papa Bonifazio ha le stesse pretese, con-vien riconoscerlo; ma nel primo eccesso è scusato da un altro eccesso, ed è reazione potente contro i mali cho travagliavano la chiesa; uel secondo no, perchè egli non ha di mira (così sono i tempi mutati) la riforma ecclesiastica, ma la onnipotenza e la gloria della Curia; e perciò questo che era un mezzo, reazione pel primo diventa fine nel secondo di ogni sua opera invano facendosi bello delle solite frasi — onore e gloria di Dio, libertà della chiesa. Quindi Bonifazio ricorre a mezzucci, a spedieati d'umana politica ; il suo linguaggio è ciarliero, curialesco, bizantino. Veg-gasi, per esempio, il Documento secondo. — Bonifazio VIII commette al Vescovo di Firenze, che ingiunga a quel comune di annullare certi processi formati contro tre fiorentini addetti alla curia romana, e che citi a comparire in corte Lapo Salterelli e gli altri accusatori. Ma Firenze, giustamente indignata di questa intromissione di Roma : e benché guelfa, fiera difen-ditrice della libertà del comune, non piega ai voleri altrui, mantiene la sentenza ; nomina Priore lo stesso Lapo Salterelli. Allora, apriti terra, Bonifazio rescrive al vescovo una lettera furibonda (Documento 4) perchè ; si processi subito Lapo Salterelli che ha avuto il coraggio di asserire che non debébamus nos intromittere de processibus et sententiis fiorentini Communis, nec etiam poteramus; mentre noi abbiamo invece l'imperio sopra tutti i re ed i regni, e tutti a noi devono piegare il collo. E tanto più oggi, come oggi, essendo vacante l'imperio, e non avendo noi riconosciuto il magnifico Alberto duca d'Austria; e bacia lì. (I due documenti sono dello stesso anno e dello stesso mese 13 Maggio, 15 Maggio, 1300. Noti il discreto lettore questo avvicinamento di date; e capirà il perchè della intromissione di Bonifazio nelle faccende del comune di Firenze). Quid igitur dictus Lapus, qui vere di-cendus est lapis offensionis et petra scandali, in caninos latratus prorupit, detrahendo tradite nofiis a Deo plenitudini potestatis? Conosco lo stile della curia romana, potrebbe ripetere qui Paolo Sarpi ! Che trivialità di linguaggio! Lapo, lapis ! E nou pare che il Papa rubi il mestiere al comico, e faccia molti secoli prima lo sciaradista e l'inventore di calembourg e pompierate come il pompiere del Fanfulla? È vi è di peggio. Nel documento V Bonifazio, il gran paciere, il padre universale dei fedeli priva del benefizio ecclesiastico Cino Ugolini rettore della chiesa di San Romolo a Firenze, perchè fautore degli Uberti et eorurn sequacibus perfidis Ghibellinis, per dare poi il beni-fizio stesso a certo Mancini ragazzo di dodici anni. Tali furono i mezzi a cui dovette ricorrere Bonifazio per esaltare la curia sopra tutti i regni e gl'imperi; onde egli apparisce non già il continuatore e l'emulo di Gregorio settimo, ma la caricatura di lui. E perciò la sua umana commedia finì, non già nella dignitosa tragedia di Salerno, ma con soldatesche baruffe nel drammaccio di Anagni. Ed ora viene naturale la domanda. Le superbe mire dei Papa, il desiderio di annettersi la Toscana fu noto a Dante ed agli altri reggitori del comune bianco? E opponendosi essi prima agli intrighi di Bonifazio, e alla venuta del paciaro poi, fecero atto di resistenza al capo guelfo, e difesero solo la libertà del comune ; o ebbero consapevolezza delle mire del Papa, e difesero, come oggi si direbbe, l'autonomia della Toscana? Qui sta il nodo della questione che il chiarissimo autore ha posto in questo suo studio erudito, lasciando ad altri la soluzione. Se questa consapevolezza potesse essere provata è chiaro, dice il Levi, come questo punto di storia fiorentina crescerebbe anche rispetto agli studi danteschi. Il libro — De Monarchia, la teoria dell' indipendenza delle due podestà, metterebbe radice in una lotta di politica attuale (Pag, 49). Anche nuova luce sarebbe fatta sulla questione del preteso Ghibellinismo di Dante trattata dall'egregio Del Lungo. Certo nel X dell'Inferno sorge solenne la figura di Dante guelfo in faccia al prepotente ghibellino, e la sua non è solo opposizione drammatica, oggettiva, ma viene da odi e da profondi amori, poesia tutta soggettiva, memoria dei primi amori e delle prime abitudini che interamente non si cancellano mai; e vale ben altre alzate d'ingegno e sibilline figure di veltri, di duci, di santi uccelli e di scale. Ma tornando alla questione, e lasciando da parte il forzato, occasionale, e male inteso ghibel- linismo di Dante, non avrebbe per avventura Dante filosofo, ed espertissimo conoscitore del cuore umano, letto in fondo al cuore di papa Bonifazio, e indovinati i pensieri di lui sotto la fronte corrugata ed oscura? Ed ecco così crescere in dignità il carattere dell'Alighieri. La lupa „che molte genti fé già viver grame, e „del bel monte il corto andar gli tolse" troverebbe una spiegazione nelle mire di Bonifazio, avido di nuove conquiste, e dopo il pasto più affamato che pria. E nella stupenda sfuriata del Canto XIX dell' Inferno, Dante non avrebbe sfogato una sua privata vendetta; ma per santo amore della libertà della patria, alma sdegnosa e benedetta avrebbe cacciato capoverso nel pozzo a spingare un giorno, con ambe le piote, lui che capovolse 1' ordine morale, mise la terra ove è il cielo. Certo Dante vuol essere anzi tutto commentato con Dante, ma anche con la storia, coi documenti, con le passioni dell' età sua. Ardua questione è questa adunque, e ben degna d'essere trattata dal Witte, dal Giuliani, dall'Occioni, dal. Del Lungo, dal Vassallo e dagli altri, quanti sono, illustri dandofili forastieri e nazionali. P. T. PUBBLICAZIONI La Concordia. Sotto questo titolo, assai promettente, uscirà coli' anno 1883 dalla tipografia locale di Carlo Priora, un almanacco o guida scematica istriana. La specialità del lavoro, nuovo per la nostra provincia, lo raccomanda a quanti s'interessano delle nostre cose. Ed eccone l'indice: Prefazione — Lunario — Detti sentenziosi — Effemeridi istriane — Tariffe del porto sul valore per le spedizioni di diligenza nell' Austria-Ungheria — Tariffa del porto sul peso idem. — Navigazione a vapore — Tabella degl'interessi — Scala per la commisurazione della imposta Bolli — Elenco delle fiere e mercati nell' Istria — Illustri istriani (sec. XI-XVIII) — Inno alla Concordia — Schizzi storici istriani — Varietà storiche istriaue — Miscellauea — Sciarade a premio — Divisione politico-giugiziaria ed amministrativa dell'Istria — Ruoli dei Comuni istriani ecc. — Prezzo dell'Almanacco è di soldi 60, e n'è compilatore il tipografo Carlo Priora di questa città. Corso preparatorio allo studio dell' Armonia di Alberto Giovannini, istriano. Milano, Ribolzi e Guardoni, 1882. — Il valente critico musicale Filippi dà il seguente giudizio di questo lavoro del nostro bravissimo maestro Giovannini: „Nè fra i prolissi, nè fra i superficiali, nè fra gli astrusi di scieuza armonica, va posto il nostro egregio professore Alberto Giovannini, che ora insegna i principi dell'armonia agli allievi del nostro Conservatorio, e li insegna colla dottrina accompagnata dall'amore per l'arte che lo distinguono. Il Giovannini, componendo il suo lavoro, è partito dal sano principio di non cadere nel solito guaio, di dettare cioè i precetti armonici in modo da non farsi capire che da coloro i quali li conoscono in precedenza. Egli lo dice chiaramente nell'avvertimento posto innanzi al suo Corso preparatorio : egli ha dettato per i giovani che non sanno e a questo suo intento giusto aggiunse quello lodevolissimo di raccogliere i precetti armonici, ai quali ottemperano anche i moderni armonisti, sceverandoli da quelli ritenuti inutili, perche non reclamati dal nostro organismo musicale. Lo spazio non mi consente di esaminare per filo e per segno il lavoro del Giovannini. di cui oltre la chiarezza è da lodare l'eccellenza del metodo, per cui credo che debba riuscire di molta utilità a tutti gli insegnanti di elementi, nonché di grande profitto agli studiosi." Hanno pagato il prezzo di associazione i signori: A saldo I. quadrimestre 1882. de Baseggio Cav. Giorgio, — Gallo Pietro Capodistria. A saldo lì. quadrimestre 1882. Bartolomei Nicolò, — de Belli Luigia Ved., — Bratti Andrea, — Barega Giuseppe, — Cobol Giorgio, — Del Bello Dr. Nicolò, — De Rin Francesco, — Depangher Antonio, — de Favento-Apollonio Don Giovanni Canonico, — de Faveuto Giorgio, — Gallo Dr. Augusto, — Genzo Cav. Giovanni, — de Gravisi March. Vincenzo, — de Gravisi Marchesa Antouietta Ved., — Dr. Lion Cav. Zaccaria, — de Manzoni Dr. Domenico, — Marinaz Domenico, — Rumer Vittorio, — Tommasich Andrea, — de Totto Conti Giovanni e Gregorio fratelli, — Vicich Francesco, — Venuti Leonardo, — Utel Luigi, — Società della Loggia Capodistria. Grubisich Dr. Vincenzo Pola. 4. saldo I. semestre 1882. Casino Commerciale Pola. i A saldo 1882. Depangher Manzini Vincenzo, — Lazzariui Bar. Giacomo, — Casino di Società Albona. — Battei Giuseppe Barbana. — Festi Antonio, — Franco Dr. Giorgio, — Municipio Buje. — Verginella Domenico Cittanova. — Gabinetto di Lettura Cherso. — Marussich Leopoldo Coruions. — Casino di Società, — Marchesi Alberto, — Mandussich Giorgio, — Sottocorona Tommaso, — Vattolo Antonio Dignano. — Tonetti Teodoro Fianona. — Nacinovich Dr. Ermano Fiume. — Sbisà Paolo Gorizia. — Ravasini Domenico Isola. — Amoroso Dr. Andrea, — Becich Dr. Guido, — Castello Bortolo, — de Franceschi Carlo, — Vidulich Dr. comm. Francesco Parenzo. — Venier Domenico fu Francesco Pirano. — Artusi Dr. Lodovico, — Barsan Dr. Antonio, — Basilisco Ant. Maria Canonico, — Dreossi Vincenzo, — laschi Francesco, — Rizzi Nicolò Pola. — Davanzo Dr. Pietro, — Basilisco Dr. Gius. Avv. Rovigno. — Biblioteca Civica, — de Combi Cesare, — Toininz Raimondo, — Vidacovich Dr. Antonio Trieste. — Manzutto Dr. Girolamo Umago. — Fonda Dr. Giovanni Volosca. — Dell' Oste Giov. Batt. Visignano. A saldo 1883. Lazzariui Bar. Nicolò Albona. — Cesca G. A. — Sale di Lettura del Lloyd Aus. Ung. Trieste.