ANNO XIV Capodistria, 1 Aprile 1880 N> 7 •i iii> iacùiìtiitó ifti'W GA ■ w'«'.V^ LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Aprile 1. 4. 1510. —Trieste. Si pubblicano due ordinanze sovrane, di confiscare cioè i beni di coloro che avevano abbandonato la città nell' ultima guerra, e di mandare quattro cittadini a Satoriano (oggidì Storje) perchè, levate a que' villici le artiglierie, vogliano difendere quel forte. -13, - e 1. 2. 1334. — Udite le informazioni dei fu podestà di Capodistria Filippo Barbar.igo, Baldino e Bertuccio Gradenigo, il senato delibera che d'or innanzi il podestà di Capodistria percepisca da quel comune 25 lire di grossi oltre la solita paga col patto però che debba avere il proprio cappellano. - 11, XVI, 56.b 3. 1354. — Venezia. Il senato, vista la fedeltà di Ambrogio da Verona, gli accorda la carica di scrivano dei sensali (sprochanorum) in Capodistria ove era accasato. - 11, XXVII, l.a 1283, — Il senato vuole che il pubblico erario sborsi per quest' anno lire sei di grossi al podestà, che verrebbe eletto per Capodistria, e queste oltre il consueto stipendio, in riflesso del caro prezzo dei generi e per essergli stato levato il danaro delle multe che venne aggiudicato a quel Comune. - 6, I, 150. 1323, — Leonino de Sara coufessa d'aver ricevuto a nome del patriarca pagano dal doge di Venezia marche 250, metà dell' annuo censo che la Repubblica doveva alla chiesa aquileiese per alcune giurisdizioni in Istria. - 6, I, 95. 6. 1342. — 11 senato delibera di scrivere all' amba- sciatore, spedito ad Alberto di Gorizia di venire col conte prima ad una conclusione risguardante i furti fatti ai Montonesi dai di lui sudditi, guidati da Anzil de Scaliubergo, ed ultimata questa parte di venire alla questione "confini,, - 11, XX, 45. a 7. 1732. — Trieste. I commissari imperiali Wolfango Veicardo conte di Gallenberg, capitano di Lubiana, ed il ministro Giam Pietro conte Arrivabene tengono delle conferenze vertenti sullo stato e sugli affari della città. - 3. 5, 8. 1510. — Gorizia. Arrigo duca di Brunsvick, zio dell' imper. e generalissimo dell' armata, notifica al comune di Trieste non potersi inviare soldati; osserva però che non mancherebbe 1 d'inviarne ove l'esercito nemico ritornasse a bloccare ed assediare la città. - 13. 9. 1435. — Capodistria. Il canonico don Giovanni de' Carli riceve per conto della mensa capitolare dai monaci benedettini di S. Nicolò del Lido in Venezia libre otto di pepe qual canone di quattro anni per alcuni beni che detto convento possedeva entro il distretto giustinopolitano - 34. 10. 1283. Il senato, decampando dalla commissione rilasciata ai podestà di Capodistria di non accettare inviti da chicchessia in loco, accorda al pod. Tomaso Quirini di poterne accettare da parte del capitano delle truppe venete dirette per l'Istria, aucorchè vi partecipassero dei capodistriani. - 6, I, 150. 11. 1291. — Il veneto consiglio rigetta la proposta di unire assieme le due cariche di consiglieri e di pagatori delle truppe iu Istria, i quali avevano la loro sede in Capodistria. - 6,1, 174. 12. 1222. — Sore. Federico II. si congratula col ve- scovo e co' giudici di Capodistria, essendosi veduto a'suoi piedi il podestà di Giustinopoli e molti altri cittadini a chiedergli la conferma degli antichi privilegi. - 6, 1, 14, - e 23. 13. 1342. — Cividale. Il patriarca Bertrando elegge ser Giovanni de Stegberg a marchese governatore d'Istria. - 21, 100. 14. 1428. — Trieste. Il nuovo giudice del criminale, ser Senesio de Bouaquistis d'Assisi, giura ai giudici della città di voler osservare con tutta coscienza le prescrizioni del civico statuto. - 2, 46.b 15. 1424. — Ducale Foscari che ordina al pod. e cap. di Capodistria, Pietro Zaccaria, a imporre ai proprietari di saline di prendere le barine a riattamento de' loro fondi saliferi ne' dintorni del Castel Leone. - 4, 72.b .Ibi» .T^tff .qO } ni ilq A I . WMM* J v Del decadimento dell' Istria*' Se auche Pola e l'Istria deserte si fossero adunque ripopolate con genti italiche, come nei secoli innanzi, e coi debiti modi, e non così bruschi come quelli del Malipiero furono, non se ne sarebbe fatto nulla egualmente, perchè i nobili possidenti avrebbero sempre trovato nella dominante un'oligarchia pronta a sostenerli, e legulei disposti a difendere i loro diritti. Il Malipiero infatti si lamenta nella sua relazione che gli ambasciatori di Pola vanno e vengono e — che le borse dei nobili non si risentono, anzi toma utile a molti di loro di gettar questi taglioni, perche essi non pagano, ma fanno pagare alli popolani et alli comuni (1). Vediamo ora se dopo tante spese e fatiche dello stato e dei provveditori, la repubblica abbia almeno ottenuto il suo intento. Come era a prevedersi i Ci-priotti ed i Morlacchi fallirono interamente alle concepite speranze, e l'Istria pochi anni dopo rimase più spopolata di prima. Le relazioni dei provveditori parlano chiaro. — "Li Cipriotti e le famiglie napolitano si sono mostrati poco grati e memori della mu-nificentia usatali da Vostra Serenità» scrive nel 158!j> il clarissimo Signore Giacomo Rhenier (2). Item —„ si sono mostrati poco grati „ ripicchia nel 1588 il clarissimo Salamon (3) e la città di Puola va di male in peggio ; perchè nel 1590, o giù di lì vi avviene un orribile assassinio — „sotto specie di amicizia nella persona del quondam Zuanne Ninà Ciprioto et Aunizza d'Albona sua massara, ammazzati nella stantia della sua habitatione e li traditori furono Marc' A-stonio ó Fabrizio Moscorni Cipriotti, et si è scoperto che da loro sono stati commessi per il passato molti ladrocinii et furti nella predetta città di Pucla e perciò è graude l'odio tra Polesani et le nove nationi. (4) Pure la lezione non giovò alla Serenissima incaponita in quella sua idea di ridurre la povera Istria a domicilio coatto di ladri ed assassini, che sempre nuove spedizioni decretò di Morlacchi e di Slavi della Dalmazia; e nel 1650 il nobil'uomo Girolamo Correi-capitano di Raspo va tutto in solluchero, annunziando al senato che ha fatto venire dalla Schiavonia iu Polesana il capo di Morlacchi Zuanne Radossevich, e non è bene che non se ne dica, e a sentire Sua Eccellenza molto c'è da sperare dal predetto soggetto; — "ma è molestato dall'insolenza dei vecchi sudditi, dalla temerità dei vecchi habitauti„. — (5) Povero Zuanne Radossevich, come erano prepotenti que' vecchi habitauti della citià di Puola! Ma che è, e che non è, pochi anni dopo l'eccellentissimo Friuli dovette far impiccare Zuane Radossevich in persona — essendo lui et la sua casa con li giunti ancora i maggiori ladri che infestino il paese (6). Adunque i famosi provvedimenti per popolare dopo la peste l'Istria si ridussero a diffondere per la provincia ladroni ed assassini, per cui la vecchia povera razza latina si trovò obbligata dopo otto secoli a lottare col peggiore elemento straniero, come benissimo osserva il De Franceschi nella sua recente opera — (*; Continuazione. Vedi Num. 23, 24, 1, 2 3 4 5 6. (1) Op. cit. pag. 324. (2) Op. cit. pag. 352. (3) Op. cit. pag. 381. (4) Op. cit passim. 400, 401. (5) Op. cit. pag. 224, passitii. (6) Op. cit. pag. 433). l'Istria, e a trovarsi dopo tanto cammino nelle stesse condizioni dei tempi del Placito e del Duca Giovauni; con la differenza che il duca Giovanni questa volta era nou uu feudatario, ma il capo d' una repubblica italiana. Oh! qui è ben duro dover ripetere col Petrarca: 0 diluvio racccolto Di che deserti strani Per innondar i nostri dolci campi ! Se da le proprie mani Questo n' avveue, or chi fia che ne scampi ? E così rimanendo italiane le città, e le borgate e le ville più grosse, fu introdotto l'elemento straniero nella campagna, iu un'epoca nella quale ogni buon istriano, cessate l'autonomie e le lotte repubblicane, comprendeva benissimo che la sudditanza a Venezia era per lui uua professione di nazionalità. Così si diffusero per la provincia e si organizzarono bande di assassini e vi durarono tìuo alla venuta dei Francesi che con leggi e decreti a tamburo battente, con forche e fucilazioni liberarono il paese da quella canaglia. E quindi ne venne pure una confusione nei nomi dei monti, dei villaggi, dei fiumi, come testé deplorava l'egregio Luciani, d'Italiani, che erano tutti, mutati o alterati colla desinenza slava, e il nome istriano confuso con quello di Morlacco e di Schiavone. Non efficaci adunque furouo questi provvedimenti, ma cagionarono anzi l'ultima roviua del paese. E non s'intende già di muovere accusa a San Marco perla mancanza di radicali rimedi, che avrebbero subito il paese, ma che non erano conformi alle idee dei tempi. Quello che più ci addolora e ci maraviglia assieme si i trascjirauza dei mezzi più ovvii, e ripetutamente raccomandati dai provveditori. Si spendevano denari, per esempio si facevan venir genti nuove dalla Dalmazia e dalle isole greche, e non si capiva che il mezzo più facile di ripopolare l'Istria sarebbe stato favorire l'incremento eia quiete della popolazione vecchia liberandola dalla leva militare, o come si diceva allora dalle cernide. Invece sentito questa: — La compagnia di cernide, scrive il Priuli, l'ho accresciuta et riempita di gioventù perfettissima al numero di 700." Che bravo uomo! E due righe più sotto — " L'anno passato mi pervennero le commessioni dell'Eccellentissimo Senato di far la sciolta de 500 cernide per la Dalmazia — „ Di bene in meglio. Ma adagio con le nostre ironie. 11 nobil'uomo mirava giusto, e meriterebbe una lapide in segno di gratitudine, se non altro per le buone intenzioni a benefizio dell' infelicissima provincia. Si odano di fatto le sue conclusioni —- Non devo tralasciar di far riverentissiino tocco a VV. EE. perchè ri-fiettiuo nel loro maggior servitio. In quei tre anni che le ho servite sono stati levati iu due volte dalla Pro-viutia 1000 fanti, oltre 500 sotto l'Eccellentissimo Signor Antonio Barbarigo predecessore, dei quali posso assicurar V. S. che non ne sono ritornati a casa la metà, tutti periti in Dalmatia rispetto alle grandi malattie che hanno provato in quelle parti. Gli altri che souo ritornati alle loro case, pochi giorni dopo sono morti un terzo. Humilmente raccorderei che la levata de Cernide in provincia de Istria fosse più riserbata che fosse possibile, poiché aveudo tanto premuto per popolar la provintia ecc. ecc. (1) Per le anime sante di Sem, Cam e Iaphet, bel modo questo di popolar l'Istria! Così il Priuli scriveva nel 1659, pochi anni dopo l'ultima peste, dopo che i provveditori aveano speso tanti denari per chiamare ed allogare quel famoso Zuanne Radossevich di ladra memoria con le sue 70 famiglie per popolare l'agro di Puola ! Neppure pretende che i Veneziani trasportassero a Pola una parte almeno dell'arsenale, o la facessero deposito di mare per essere rimpalmata e risanata. Sarebbe già troppo. Ci contenteremmo che si fosse ascoltato un solo e semplice consiglio del provveditore Malipiero — instituire una man di forni per far biscotti. — Si può esigere meno ? Un po' di attività ne sarebbe venuta al misero paese, e un qualehe miglioramento nell'aria. Ora si rilega la relazione del suo predecessore. — La materia dello instituirei forni da biscotti in Puola — non voglio mancare dì ricordargliela (1). E così il Salamon che raccomanda la instituzione dei forni per l'utile che — ne risulterebbe alla misera città (2). E questo ripetono tutti i provveditori fino al Bragadiu nel 1628 che torna a ribattere il chiodo. — perchè oltre che li fochi rinsciriano mirabili, la frequenza delle galee armate apportarian . . . accrescimento — abbondanza al paese. —■ (3) Sagge parole che dimostrano, se pur è bisogno, di quanta sapienza fossero ancora forniti i molti ufficiali della veneta repubblica, diversi in questi da tanti che oggi si tramutano di paese ad ogni mutare di luna, perchè così vogliono le famose esigenze del partito, o da altri che mollemente sdrajati sui cuscini della carrozza, ignari del paese e delle consuetudini, rapidamente passate, e nou vedono una spanna più in là dal fumo della pipa e dall'ala del berettino. Se qualche officiale però non si mostrava degenere dagli avi, e proponeva saggi provvedimenti non era assecondato dai superiori ; gli uomini non mancavano; mancava il governo, mancavano le institnzioni : e un popolo non si regge, non si conserva per qualche individuale slancio di potenza e d'ingegno; chè anzi queste rapide e solitarie manifestazioni recano danno agli stati perchè gonfiano ed appagano i molti inetti e inorpellano la generale corruzione. Da cento anni i provveditori scrivevano e rescrivevano su questa eterna proposta dei forni e di altre provvide istituzioni, come di un corpo di bombardieri e di medici e speciali, dei quali, incredibile ma pur vero, non ce n'era neppur uno a Pola (4); pure i Serenissimi facevano orecchi da mercante ; anzi ho tanto in mano da credere che non ascoltassero neppure, e che durante la lettura facessero un pisolino. Nella relazione del Malipiero infatti ci sono alcune notizie storiche di Pola e dell' Istria. Ebbene, solo cinque anni dopo, nel 1587 il provveditor Salamon copia alla lettera dal Malipiero e ricanta al Senato la storiella della distruzione di Attila, e descrive la superbissima Macchina di Puola, hora chiamata il Zaro e quel bclissimo Colisseo di forma ovata (5) ; e via di questo stile per due pagine intere. E gli Eccellentissimi, o erano corti di memoria o dormivano. E così si capisce come i forni di biscotto, e li speciali e li barbieri rimanessero un pio desiderio dei Polesi. Onde io credo che negli ultimi secoli della repubblica, questa utilissima istituzione delle letture dei provveditori in senato arieggiasse ---- (1) Item. pag. 367. (2) Item. pag. 379. (3) Item. pag. 413. (4) Item. pag. 417. (5J Item. pag. 375. quell'altra usauza che hanno i professori di leggere al principio dell'anno scolastico in seduta del corpo insegnante i relativi programmi, che tutti cominciano con la frase stereotipa — "nello stendere il programma del mio insegnamento mi sono attenuto agi' imposti programmi ministeriali ecc., ... e sono po' su po' giù tirati sulla stessa falsariga e lasciano il tempo che trovano. E intanto Pola precipitava alla totale rovina, e l'aria vi diveniva micidiale. Meno che il provveditore Rhenier fece la famosa scoperta che la cattiva aria proveniva dalla grande quantità di "elera nata nelle fessure e ruine di muri, che generava certa fumosità di vapori v e spese molti denari per farla bravamente estirpare. Nobilissimo e radicale provvedimento davvero! Così andavano le cose a Pola ; così in tutta l'Istria veneta, e peggio poi nell'Istria austriaca dove, come vedremo, orribili erano le condizioni del paese. E continuando nello studio delle cose venete, diremo che anche per l'agricoltura e la conservazione dei boschi, c' erano buone leggi ; le quali però col crescere della corruzione nella capitale, venivano mano mano perdendo dell' antico vigore e trovavano impedimento nell'arti dei tristi e nelle interessate infedeltà dei magistrati minori. Il Malipiero avea ben osservato che i pascoli d'animali, chiamati erbatici, erano la principale causa dell' abbandono del territorio di Pola, anzi di tutto l'agro istriano, ed avea proposto un rimedio radicale, asserendo „che quanto più si diminuirà il numero dei pastori, tanto più si accrescerà quello degli agricoltori " (1). Ma a questa riforma si opposero i Clarissimi Rettori, cioè i podestà che senza l'erbatico sarebbero rimasti privi delle regalie che si davano loro secondo l'ordinario per tutta l'Istria. È il lamento continuo del Malipiero; — „gli humori erano favoriti da quelli che manco dovevano farlo per ser-vitio delle cose di Vostra Serenità1' (2). Poca efficacia aveano pure le leggi contro la distruzione dei boschi. — „Li boschi sono in gran parte rovinati, scrive il Malipiero, e ridotti in tale declina-tione che portano pericolo di esterminarsi tosto.... causa il pascolo degli animali.... et il taglio delle legne lunghe che si fa il più, sotto nome delle regalie delli Clarissimi Rettori* (3). E che li Clarissimi Rettori, foggiati sul tipo del podestà di Muggia del povero Nievo, facessero fiamma e fuoco per non perdere i soliti segni di devozione degli affezionatissimi sudditi, possiamo provarlo con la testimonianza del sul lodato provveditore. — „La prohibitione degli ber-batici ai forestieri e delle legne lunghe mi concitarono ! addosso una grande invidia, ed un mal affetto di alcuni di quei Clarissimi Rettori dell'Istria, per gli utili che essi ne baveriano potuto conseguire secono le vecchie consuetudini" (4). Come abbia finito la questione, e se la vittoria sia stata del Malipiero o dei podestà, informino i nostri boschi, o meglio le lande, dove un tempo sorgevano. E il Salamon ce ne sa dire anche lui qualche cosa. — „Le regalie di legna delli Clarissimi Rettori sono in gran parte, siccome certamente saranno, la rovina e distrutione loro totale per li molti danni che li boscadori per ben servire le Sue Signorie Clarissime (1) Notizie storiche di Pola pag. 331. (2) Item. pag. 337. (3) Item. pag. 338. (4) Item. pag. 344. fanno in detti boschi" (1). E altrove — „Nei boschi anche di legni di lavoro, non si resta di far del continuo danni d'importanze, poiché iu effetto non si dà quell' esecutione che si dovaria alli ordini statuiti da Vostra Serenità " (2). E così pure nel celebre bosco di Montona già nell' anno 1596 non si trovava più abbondanza di legname — «perchè li conduttori attendono più al proprio interesse che al pubblico servitio" (3). Panni di avere riferito irrefragabili prove della negligenza del governo negli ultimi due secoli della dominazione veneta; onde il decadimento dell'infelice provincia. Gioverà conoscere poi quale opinione avevano allora di noi i governanti, e quale, secondo il giudizio di questi la causa delle nostre miserie. Ogni male proveniva (sappiano gl'Istriani donde prima venne l'accusa, e ne facciano loro prò, se vera ; la ribattano sdegnosamente se ingiusta) ogui male proveniva dalla nostra pigrizia. — „ I Polesaui, scrive il Malipiero, risvegliati dall'andata dei Greci (que' bei ceciui!) iu quella città, si sono in parte tolti dalla loro solita pigritia" (4). Ed altrove — „ Et si sa per esperienza che li popoli Istriani per il più si lasciano vincere dalla pigritia" (5). Il Rhenier gli tiene bordone; e a sentir lui — „non si può negare che non sieno negligenti et poco dilettosi ed amatori dell'agricoltura" (6). Che prediche e da che pulpiti, Eccellenze Serenissime ! Che iu qualche città e nella campagna qua e là gli abitanti, accasciati dal cumulo delle sciagure, abbiano talvolta perduta alquanto l'antica attività, uon si vorrà del tutto negare ; ma che la pigrizia sia proprio la caratteristica dell' istriano, e che questa accusa si possa anche oggi ripetere, e da altri pulpiti seuza una protesta, sarebbe per parte nostra nou pazienza, ma la virtù del somaro. Vadano, vadauo un po' i detrattori dell'Istria a vedere a Isola, a Pirano, a Capodistria e in altre cittadelle il movimento che si osserva per le strade, e si prolunga per due, tre e tino a cinque miglia lontano nel territorio coltivato dagli agricoltori agglomerati nello nostre città. Di buon mattino vedranno i popolani giovani, vecchi e fanciulli uscire dalle nere casuccie, pigliare il largo, cacciandosi inuanzi il paziente somarello, e con un solo pan giallo nelle tasche scendere nelle valli, arrampicarsi su pei monti a duri lavori, lottando qua col torrente che svelle le rive del patrio campicello, là con le frane che tniuac-ciauo il podere, a rompere cou la zappa le glebe, potare i festoni del buono refosco, rincalzare gli olivi, contendere palmo a palmo ai sassi, il terreno, e quasi fan apparire meno maligna la suggestione diabolica: — Fa che queste pietre diventino pane. E quando l'aria imbruna, eccoli di nuovo a frotte ritornare alle città per la magra cena, ammanita dalle buone massaie. Al tempo della raccolta poi. dopo il duro lavoro della gioruata, neppure la notte hanno riposo quei bravi popolani, chè, appena arrivati in città, col carico delle frutta, dei pomi d'oro, della verzura corrono al traghetto, o al vapore in partenza per Trieste, dove appena arrivati a prova saltano sul molo San Carlo, e via a gambe a pigliare quasi d'assalto la piazza grande per arrivare i primi a occupare i posti migliori ; e gettato a terra il (1) Item. pag. 386. (2) Item. pag. 388. (3) Notizie storiche di Montona: pag. 220. (4) Notizie storiche di Pola. pag. 322. (5) Item. pag. 341. (6) Item. pag. 350. marinaresco cappotto in segno di possesso non sempre pacifico, vi si sdrajano sopra que' poltroni e vi dormono come su morbido cuscino uu placidissimo sonno. Non minore l'attività a Capodistria e a Pirano, l'estate, nell'industria faticosa delle saline; industrie, attività che uei metodi anche difettosi rivelano tradizioni antiche di famiglia ed usi inveterati esistenti fino dai tempi che Luca lladossevich e le sue settanta famose famiglie adoperavano metodi più spicci per guadagnarsi il pane. X. Ed ora dell'Istria arciducale. Abbiamo veduto le colpe del governo veneto ; negligenze ci furono aduuque e un lento decadere nei due ultimi secoli: rimanevano però sempre le leggi, i liberi ordinamenti, le consuetudini, la civiltà, la lingua nostra e tutto un glorioso passato. Nulla di tutto questo nella coutea perduta tra i mouti. Il noto verso „S' Africa pianse, Italia non ne rise" sarebbe locuzioue troppo sbiadita a esprimere il vero stato delle cose nelle due parti iu cui era l'Istria divisa; meglio si avrebbe a dire cou più energia di linguaggio — „ Se al mar si pianse, su pei monti urlarono." Nella coutea infatto i miseri contadini morivano di fame, erano soggetti a tutte le augherie e peraugherie del sistema feudale durate fino a pochi auui or sono. La storia della contea è presto narrata. Vedemmo già la distinzione tra marchesato e coutea nelle prime e confuse instituzioni feudali. Ma la vera origine è a cercarsi nel secolo undecimo. L'egregio De Franceschi nelle sue Note storiche, la espone con tutta chiarezza (1). , Iutor no al 1077, quando il marchesato d Istria era tenuto dagli Eppeusteiu, due fratelli se ne disputarono il possesso : Volrico, patriarca d'Aquileja, ed Engelberto. GÌ' Istriani, che non volevano saperne del prete, stettero con l'ultimo: vennero alle mani i due fratelli, vinse il patriarca; il quale, per cessare future questioni, ritenuto per sè il grosso dell'Istria, ne staccò una piccola parte posta tra i monti di Pedeua e di Pisino, e col titolo di coutea la cedette al fratello. Engelberto con quell'osso in bocca si acquetò ; la contea passò poi ai conti di Gorizia; e quindi nel 1374 ai duchi d'Austria. Gli Ausburghesi, nou molto allora potenti, uon aveano alcuna ragione di prediligere un possesso lontano e dimezzato; perciò pensarono solo a cavarne denari; e il paese fu quindi ceduto in appalto ai conti di Duino, ai Walseck e a nou so quanti altri che tosarono di seconda mano. Chi mirò largo largo, e capì la natura e il valore del possesso istriano fu Carlo V, grande maestro di accorgimenti e di coperte vie. Perciò nella divisione degli stati ereditari austriaci lasciò al fratello Ferdinando la Stiria, la Carinzia, la Carniola, l'arciducato d'Austria; ma ritenne per sè Gradisca, Gorizia, Trieste, Fiume e la contea d'Istria con l'intenzione di formarne uua provincia da unirsi ai suoi possedimenti italiani di Napoli e Milano : concetto degno di Carlo V! Ma i nostri buoui vicini del Cragno guastarono al grande imperatore le uova nel paniere, che incaponitisi nell'idea di fare della Carniola e della contea d'Istria un solo paese e trovare così una calkaja per scendere al mare, ue fecero un casus belli, negarono il giuramento di fedeltà a Ferdinando, finché questi, scongiurò il fratello a cedergli anche i paesii al di qua dall'Alpe, come di fatto avvenne. Si acqueta- (1) Pag. 371. rono allora i Cragnolini, prestarono il giuramento di fedeltà; ma quanto a fondersi con le provincie italiane rimasero con le pive nel sacco, perchè, radunatisi a Gorizia i nobili del goriziano e della contea, vi si opposero energicamente. (1) Così la storia, maestra di vita, consigli ora chi ne ha bisogno a risparmiare denari e fatica per costruire strade e tirare il commercio istriano su per monti, dove non ci ha voluto mai andare : in onta alle sbarre i nostri interessi ci conducono a Trieste ed al mare. (Cont.) P. T. (1) De Franceschi, opera citata, pag. 394, 395. COREISPOHUEIZE Pisino, marzo 1880 Lo studio sul decadimento dell'Istria riportato negli ultimi numeri della ^Provincia" è eminentemente storico - sociale; però sopra un altro punto di vista più empirico si potrebbe chiamare l'attenzione; sopra quelle cause cioè, che hanno essenzialmente contribuito a portare agli estremi l'azienda economica della provincia, come cercherò ora di spiegare. Quanto esporrò, fatte le debite eccezioni per una dozzina di città o luoghi maggiori coi loro terreni circonvicini, credo si possa riferire a tutta la nostra penisola, ed in ispecie alla Contea di Pisino. La prima causa sarebbe la suddivisione del terreno in troppo piccole possidenze rurali a pezzi disuniti e dispersi. Non saprei se pel principio del sistema baronale o perchè già si appalesassero i inali effetti, venisse ancor secoli addietro imposto coll'urbario della Contea di Pisino il divieto di suddividere i terreni. Però come si apprende dall'Atto 28 marzo 1605, riportato nell' „Istria - Note storiche", il vescovo di Pedena intendeva persuadere il serenissimo Principe, che permettesse ai sudditi di testare a favore dei loro figli, parenti o luoghi pii, imperocché in quali mani si trovassero i fondi, non cesserebbero nè verrebbero a trasferirsi altrove la giurisdizione, la proprietà, il dominio utile e diretto sui medesimi. Come poi andasse la bisogna, è un fatto che negli ultimi due secoli si frazionarono ed impiccolirono i complessi o tenute su cui campavano le singole famiglie agricole per modo che avvenne il deplorato smembramento, in oggi tanto pernicioso al progresso agrario. La popolazione diradata dalle guerre e dalle pestilenze, poteva dedicarsi per l'abbondanza dei terreni alla loro coltura, alla quale era anche tenuta dall' abitudine. I mestieri venivano esercitati dai forestieri, quasi tutti provenienti dalla Carola, in ispecialità tessitori, i quali coli' assiduità e parsi- nionia acquistavano pezzi di migliori terreni, diventando così poco a poco possidenti ed abbandonando quindi la vecchia professione, che veniva tosto esercitata da altri loro congiunti o compatrioti. Per tale rotazione si formò ed aumentò un ceto più incivilito che si sovrappose alla classe agricola, specie ne' luoghi minori, dove le isolate famiglie nobili di possidenti andavano estinguendosi o prendevano domicilio altrove. La popolazione non rappresentava quindi una classe agricola posseditrice della terra, sia pure in disuguali proporzioni; nè rappresentava due classi sì distinte d' agricoltori e d'industrianti, conviventi e con reciproco vantaggio accudendo ciascheduna alle proprie attribuzioni ; ma vi era invece una classe che emergeva per oculatezza e per denaro, con seguaci di pari aspirazioni, e che assumeva un vivere più agiato e civile a tutte spese di un' altra classe inferiore di agricoltori, fruendo delle fatiche e dei prodotti di questi, i quali poco a poco rimasero depauperati da non potersi più riavere. Però l'impoverimento della classe inferiore, preparò un' èra di decadimento nel ceto civile, divenuto troppo numeroso ed esclusivamente consumatore; poiché se pur conduceva da sè la propria economia, non impiegava le sue braccia nella coltivazione dei poderi, dai quali perciò non poteva ritrarre un diretto e reale compenso. E già da molti anni il possidente civile comprese che la terra non è se non di chi la lavora; però in quest' ultimo periodo si sostenne col fare man bassa sulle quercie per venderle alla marina, o col profittare di qualche propizia eve-i nienza ; cosicché se protrasse, non scansò di trovarsi a pessimo partito. E se vi sono famiglie di possidenti che si sostengono ancora, esse quasi tutte ebbero la sorte di avere un canonico o un parroco, il quale visse abbastanza per preparare una pingue eredità ai suoi congiunti. Famiglie di possidenti benestanti di antica data sono rarissime, e quelle di data molto recente lo divennero per speculazioni fatte, per professioni od altro, le cui fonti di lucro non abbandonarono. Le terre, in generale, vengono coltivate da coloni o da proprietarii indipendenti che coltivano e le proprie e qualche appezzamento delle altrui; ma siano coloni a mezzadria, siano liberi (costretti in medio a privarsi di una metà dei prodotti per soddisfare ai loro impegni) è un fatto che nessuna famiglia di agricoltori può ritrarre sostentamento dalla metà del prodotto di quei terreni che è atta a coltivare. Così si può capire come i contadini e con essi i piccoli e mediocri possidenti civili, ven-| nero a tale povertà da non potersi più rimettere. La seconda causa sarebbe 1' attenuarsi e lo scomparire dello strato di terra coltivabile. Il nostro paese si presenta in parte collinesco a ripidi pendii, e in parte ondulato con sottosuolo fesso e cavernoso. Gli acquazzoni d' estate e le perduranti pioggie quando incalza lo scirocco dilavano e van denudando tutti i declivi a vista d'occhio. Yi sono dei tratti di nude roccie che a ricordo dei vecchi erano ancora tutti ricoperti di cotica erbosa. Come poi in tempi relativameute recenti si effettuò tale rapido denudamento si comprenderà facilmente. Due secoli addietro non venivano coltivati che i pressi delle castella e borgate, luoghi di poca popolazione, pella quale era sufficiente 1' agro prossimo, sia pelle vigne a palo secco o a pergolate, sia pei legumi e un po' pei cereali, avendosi ricchezza di ammalia dalla quale traevansi vestiti, carni, lardi e formaggi. Popolata la campagna da genti slave, schive dal lavoro e dedite piuttosto alla pastorizia, vennero dissodati anche pochi terreni opportuni ai singoli tuguri; la maggior cura prestandosi pegli animali; ancora sessant'anni fa, prima della distruzione delle grandi querele, contavansi più animali porcini che adesso vi siano pecore. Coli' aumentarsi della popolazione da due secoli a questa parte, quindi col-l'introdursi della coltura delle viti a filari, e di quella (lei formentone nel secolo scorso, vennero dissodati spazj maggiori. Ed ecco una superficie molto vasta, e in gran parte declive esposta ai dilavamenti. La terra bianca marnosa, perchè più tenace, resiste di più, ma la rossa coni' è incoerente e soffice viene asportata anche dai venti, nonché coli' andar del tempo infiltrata nel sottosuolo fessurato dalla roccia calcare. Nei declivij, dopo tagliate le grandi quercie che impedivano il cader impetuoso e diretto della pioggia, basta che 1' acqua abbia tracciato dei piccoli solchi, questi in pochi anni s' allargano da restar denudata tutta la costiera. I campi dilavati si abbandonavano, e ponevansi in coltura nuovi appezzamenti, finché in oggi non v' ha più terreni da dissodarsi op- , portimi a coltura, meno che non si volesse distruggere qualche buon prato, ciocché non torna. Infatti se si attraversa la regione j del Carso, si ha campo di osservare come a strisele ed a gruppetti su quelle pendici la terra va staccandosi, ben inteso sopra i pochi pascolivi non ancora denudati ; dimodoché le pecore, reddito quasi unico di quella regione, dovendosi anche svernarle nell' Istria bassa, andranno per insufficiente pascolo estivo sensibilmente diminuendo di numero e a I deteriorare di qualità. Neil' Istria mediana, a terra bianca, può reintegrarsi lo strato coltivabile solcando e rivoltando col vomere il sottosuolo che è marna schistosa molto facile a staccarsi in lamelle, le quali esposte all' aria si riducono a terra, però infeconda e richiedente molto concime. Neil' Istria rossa, escluse le vallicole imbutiformi, non e' è campo in declivio che più o meno non mostri le ossa. I terreni perfettamente piani sono di piccolissima estensione, fatta eccezione delle vallate e rispettive insenature laterali, che sono poi anguste e troppo profonde, sicché gli appezzamenti che ne vengono coltivati danno in complesso reddito parziale e di rado sopra il calcolato medio. Il guaio di cui farò cenno ancora è la mancanza di concime per rendere produttiva la molta terra già esausta o magra per natura. Nei tanti consecutivi anni di miseria, gli agricoltori non trovando più credito dovettero vendere bovi, vitelli ed animali lanuti, privandosene sino al termine estremo. Ne conseguì la mancanza di letame, quindi 1' impossibità di mettere ingrasso nei campi anche per lunga serie d' anni. Nella valle d' Arsa da Susgnevizza al lago di Ceppich, tutto terreno d'alluvione, vi sono vasti tratti d'arativo, quasi improduttivi. Colà per mancanza di foraggio si lasciano gli animali vagare al pascolo anche d'inverno, e così si perde lo stallatico. I prati della detta valle sono di qualità inferiore, danno fieno garbo, ed appartengono molta parte a contadini che abitano l'altro versante del Montemaggiore. — Pella mancanza di letame è generalmente invalso l'uso di gettarne una manata sopra ogni semente in quanto alle patate e formentone; così si fa ad aiutarsi come si può di volta in volta. Tale scarsezza di letame è sopratutto sensibile per 1' allevamento di nuove viti, le quali per difetto di adatti terreni vergini vengono piantate in quelli già esausti da viti che nei medesimi preesistevano e deperirono, e dove ora senza il debito nutrimento le nuove rimangono di cattiva crescenza e di poca produttività. Chi cammina il paese vede qualche appezzamento di bella campagna, voglia tosto guardare tutt' all'intorno come porta l'occhio, e vedrà quanto sia minima una tale frazione di confronto allo scadente ed all'improduttivo che è 1' estensione principalissima. È vero che parecchio letame, e foraggio, e molte altre cose vanno a male per l'indolenza; ma bisogna prendere in considerazione, come diventi l'uomo quando dalla nascita è circondato da tutte le inopportunità, patisce ogni sorta stenti, ed infine trovasi a dover lot- tare coi debiti ed a lavorare per altrui, sino alla morte. I forestieri dicono che qui si potrebbe avere di tutto, con un po' di solerzia, in ispecialità molte botteghe di squisito vino. Io non capisco come gli speculatori che in oggi fiutano da per tutto, non s'accorgano che qui ci sia di far profitto, come per esempio lo seppero trovare gli inglesi a Marsala. Però dopo che per tant' anni udii ogni sorta osservazioni sull'accidia di questa popolazione, sia da forestieri che ci predicano come essi a comando farebbero andar le cose molto bene, sia da saccenti che narrano come altrove ogni dabben uomo sappia molto meglio appigliarsi, sia da persone che trovato il dritto a far denari e che per far risaltare la propria attività, imprecano all'indolenza altrui; dopo tutto ciò ebbi anche ad udire da un forestiere, uomo assemiato ed esperto, fu referente economico in Gragno e stato mandato qui nell'anno decorso per cooperare al celere compimento dell' estimo fondiario, il quale non cessava di meravigliarsi del tanto terreno nella maggior parte dell' Istria inadatto a coltura ed a produzione, della scarsezza d'animali, di boschi, d'acqua potabile, sicché non comprendeva come la gente faccia a vivere, e meno ancora come lo farà in avvenire. (Continua.) È D'UNO SCRITTO INEDITO t del noliile signor | I GIOVANNI ANDREA DALLA ZONCA 1 DI DIGNANO *) Pad. Caro vui, gióusti par cagiòn ch'ai no se com-peria, né se citta vulla comperilo, bégna vinde culu-méia, paramur ch'ai taémpo paérso no se truva pióun; a se poi recouparài bezzi paersi, marecouparà al taémpo paérso a zù impusséibilo 2). Cumu i fari a recouparà cattro zornàde paérse ? Cont. Oh, no la impaénsa; o ch'i se mettaém 4) là cui cavo, e dòutti de sàlda vóugia, le cosse se fa a parangón IO) dii altri e canto i altri. Pad. Saénti! No bégna feiidàsse massa de sé stissi, par remegià 8) alle mancànzeie; savi chi eh' a poi essi 8) de lassà passà 8) òun dei seimalmaénto 2) in tii affari de campagna. Tei vidi: i te vivi urdenà de ciò sóun i sassi dal terraén ch'a zi otto dèi, ma i no soin stà oubbidói ; 9) a se poi moudà 8) al taémpo, e tèi no varé pióun la cugnetóura de fàlo. Cont. Chi ! a gi-ó da péiovi 8) saémpro? La stago quiito, despòi 12) d' al cattéivo vaén al bon, e poi a gi-ò peiovisto 5) tanto! Pad. Gióusto par quisto, asaéndo al taémpo a sta véia, a zi, pióun da, vi pagiura, che la peióva sevóitio | (*) Continuazione; vedi Provincia n. 6. 6) che no eh' a vaégno bòne zurnàde. Ma quista no zi la rasón ; la rasón vira zi che, o che la furtóuna vaén, bégna ciapàla, e a podi 5) fà al lavur IO) a taémpo zi óuna sorto, 2) eh' al seignur Iddéio dà a quii eh' a sa vantazàsse. Idéio déis : "gióudate tèi, che i te gioudaré 3) anca mci„ e cusséi zi al pruvérbio. Tèi vidi ; tèi gi-è paérso otto dèi inséina ciò sóiu le plaére dal terraén, e mèi vói déiman IO) l'altro vendimrnà; o che tèi gi-é furnéi 9) da vendimmà 5), tèi scogni giou-dàghe 8 a quii' altro campagnól eh' a vendemmia 6) de-spoi de téigio ; a poi péiovi e praésto i sognaém alla somaénte, e allura, a no se poi fà pióun inféinamaénto 2) sto augusto eh' a véli. Tèi a credaéndo de vi taémpo, 0 che i te gi-é ciamà, tèi me gi-é misso in piréiculo da ruveinà8)al cavàl; donca varda baéu ch'i no te saénti 1) mai pióun a dèi o eh' i te urdenii 6) óuna cossa: La nu' stago a impaens 8); se farò, a zi taémpo ! No ; bégna curri 8) a fàla iu bòtta. Varda eh' al taémpo par chéi gi-ó da fà saémpro 2) al zi cóurto. Recórdete che l'omo eh' a se liva 5) óun' ura pióun tardi dei altri, ch'ai se sfadeighia 6) canto ch'ai vói, noi li ciàpa mai pióun, e par al pióun óun' ura dizéido 2) de cosse grande. I lavuri in campagna no se poi fa saémpro, e, o ch'a se vói; la péiova, la giàzza, la seicóura a fà stà indréio, dii misi 5) inséina eh' a prumaétto 2) de lavurà a taémpo, e parzió al préimo dèi a parposéto eh' a ca-petia 6) no bégna pérdelo. In fra dóutti i mes' ciéri quii d' al campagnól zi pióun in piréiculo de sèi suggetto a dóutte le munda-rità 11) a dóutti i taémpi de stadion IO),e zi quii eh' a no se poi fà a dóutte le ure. Al fravo, al calighér, al marangón, i poi fà conto zura dóutte le zurnàde, paranmr eh' i lavura al cuvaérto, eppóur óun fravo eh' iebbio vóugia da lavurà, óun marangón 10) attaéuto nopaérdo2) zurnàde, e paricci campagnuói no gi-ó ver-gùogna da zéi, attursio pióun d' óun dèi, par cumperà oun manzo eh1 i pudaràvo comperà pióun praésto al marca, sèi o nó, par vadagnà 8) óun tallaro inséina fàsse conto de quii eh' i paérdo sbandonéndo la stanzia. To féio, par sparignà mezza frànzega, gi-ó paérso óuna zurnàda. Igua péiccula cossa basta par dcs'cióve dal lavor ; la guuzzadóura dii ferri, al cappel, le scarpe da cumperà, óuna mezza faésta, dóutto saérvo 2) par fàve paérdi. Varda ; i te turni 1) a dèi, che tèi no possi véi cu-luméia nama 12) dal taémpo, e quista par dóutti, e seimalmaénto par quii eh' a veivo cui brazzi zi la cossa pióun granda. Varda al to veizéiu, al gi-ó manco famija della to; 1 zi dui scuttàdi, ma a no zaéndo mai fora della stànzia, i lavuri zi fatti saémpro aununai e i so' reccolti zi mi-juri dei tovi, seibaén 10) eh' al terraén e al cléin 10) séio compagni. Recórdate che 1' omo eh' a gi-ó zèlo no zi stà mai póvaro 1). Pricóura de doucà 8) la to famija cu stii preinzéipii e tèi vedaré eh' a teignaéndo pióun conto d'al taémpo, tèi nu saré 3) rempruverà 9) de lavuri mal fatti, né de raccolti poco bóin 7) e tei cat-taré 3) saémpro 2) la stadión in favur. A gi-ó paristo 2) che a ste parole al culóno re-stàsso 2) presovàso e i soin zéi vi dalla stànzia cun sta sperànzia inséina vidi i so féijoi, séibbaen eh' i me vissi 5) fermà 9) pióun d' óun' ura. I gi-é savisto 5), per altro, da óun de luri, despói calco 2) dèi, che quii de-scurso a gi-aéro stà repurtà9), pountein par pountein alla sira5) a zaéna, alla famigia, eh'a ghe gi-ó fatto saénso, cunio che 'nde viva fatto al paro. I gi-ó cugueissóu 9) dóutti la viriti, e i se gi-ó curreggisto 5). 0 eh' i soiu turuà 9) alla stanzia, i' gié bóu mutéivo de ciamàme 8) contaéuto della seidovetà e prontizza de luri, parchi de colóin 7), préighi, e stra-scuraénti i zi devaéntadi pióun asvelti e la invéidia dii altri, paramur che i gi-aéro i préiuii a termenà 8) i lavuri, o i viva, pióun sorto in tèi reccólti; e i soiu stà suddeisfà 9) da vi vadagnà cui me descurso sta currezión. I saràvi filizéissimo, all' ura presaénta, se cun sto isaèrapio 'nde suzzedìsso 2) óuna cumpagna. (Cont.) La nostra Società operaia. (Dall' Unione) II giorno 19 corr. la Società operaia ha tenuto il suo decimo annuale congresso nel teatro sociale con molto concorso di soci. La seduta viene aperta dall' onorevole presidente Pietro Dr. Madonizza, il quale porgendo un saluto ai soci convenuti, coustata il felice andamento degli affari sociali; l'aumento progressivo del numero dei soci; le regolari risultanze dei conti preventivati ; la cospicua somma, posta a frutto, dei civanzi, malgrado la grossa spesa di sussidi. Accenna con particolare compiacenza al compimento del decennio di vita sociale, quale periodo che lo statuto contempla come necessario a iutraprendere nuove forme di sussidio, potendo la società far calcolo oggi su di un capitale fruttifero di oltre dieci mila fiorini. Patta menzione di questo primo periodo di prova superato felicemente, dice sorgere spontaneo, imperioso nell' animò il pensiero a quei generosi che fondarono la nostra Società, essendo dovere di gratitudine il ricordarli quali veri amici del popolo. Dice che, oltre al comitato promotore, molti furono i cittadini i quali prestarono ajuto alla società, ma che, essendo troppo lungo l'accennare a tutti, si limita a ricordare quei primi, fra i quali figura il caro nome del compianto avvocato Antonio Madonizza, preside del comitato fondatore, e primo a suggerire la formazione della Società, dimostrando allora con la sua facile e convincente parola i benefici che ancora fra noi s'ignoravano. Ricorda indi con particolare affetto 1' ottimo Dr. Cristoforo de Belli, cosi immaturamente perduto, primo Presidente e medico sociale, il quale con 1' autorità acquisita per le sue pregevoli doti, tenne unita anche in difficili momenti la società nostra, guidandola con amore ne' suoi primi passi, e combattendo con la sua euergica attività i molti ostacoli che sul sorgere si frapponevano. Sebbene di più modesta operosità, ma non meno ispirato a generoso e nobile scopo, ricorda Giovanni D'Andri, che fu primo segretario della Società, provvedendo con sacrificio di sè, che durò parecchi anni, a tutto ciò che allora bisognava creare perfino alla fede nei soci titubanti, lottando corpo a corpo con le arti gesuitiche tanto dei falsi amici del popolo, quanto de' suoi aperti nemici; e aggiunge che se la sua modestia volle sottrarsi sempre ai giusti elogi, è dovere in noi di attestargli pubblicamente la riconoscenza dell' intiera società. Ricorda iufiue il gentile pensiero delle concittadine, che regalarono alla Società la bandiera, solennemente inaugurata nell'aprile del 1875. Riandando ancora la vita sociale trascorsa per far tesoro dell' esperienza, rileva che la Società oggi può dirsi fiorente, soltanto per la puntualità dei pagamenti, per la costanza dei soci nella concordia dei propositi, e per la piena fiducia nei principi che furono posti a guida dello statuto, i quali si compendiano nel motto: lavorare, risparmiare, provvedere. Conclude dicendo che sulla via della fatta esperienza è nostro debito oggi di tener alto il nome della società, già ben noto tra molte sue consorelle, guidando la navicella delle sue sorti lontana così dai rumorosi impeti delle passioni, come dai bassi fondi, non meno pericolosi dei meschini pettegolezzi, e pensando all' avvenire, il quale, purché si voglia, spiegasi dinanzi a noi promettente e sicuro. Il segretario sig. Giorgio de Fa vento dava poscia relazione sul movimento della società durante l'anno, chiudendolo cou la lettura della dimostrazione matricolare. Invitati i soci alla nomina di due consiglieri e tre revisori, venivano eletti a maggioranza di suffragi, quali consiglieri, i soci Luigi Montanari e Francesco Romano; ed a revisori, i signori Andrea Marsich fu Domenico, Luigi Utel, e Giovanni Martissa-Carbonajo. Presentava quindi il cassiere sociale, sig. Leonardo Venuti, il resoconto dell'anno 1879: risulta da questo una sostanza, posta a frutto, di fior 9579.13 ; una facoltà mobile di fior. 347.21 ; un fondo separato per la bandiera di fior. 94.30; e quello delle vedove e pupilli di fior. 115.87. — GÌ' introiti a vari titoli sommarono durante 1' anno a fior. 2722.65 e gli esiti, (nei quali si comprendono fior. 765.67 capitalizzati) a fior. 2681.64. Il bilancio, compreso il fondo cassa dell' anno 1878 di fior. 624.47, veniva chiuso colla restanza in contanti di fior. 665.48. — La discussione del conto preventivo per P anno 1880, approvato in ogni sua parte, dava fine alla seduta di que.sto simpatico sodalizio, il quale torna di grande vantaggio alla classe artigiana, e di decoro alla nostra città. C—l. IL COMITATO PROMOTORE della Società li Navigazione a Vapore Istria-Trieste si pregia di avvisare il pubblico, che col 1 Marzo a. c. darà principio all'accettazione delle sottoscrizioni delle azioni necessarie a costituire la prefata Società Istriana di Navigazione a Vapore lungo la costa d'Istria da Pola a Trieste. NB. Per Pola dirigersi per informazioni e sottoscrizioni presso il Notajo D.r Glezer, presso la Ditta Rocco e Bartoli ed Andrea Rismondo, e per la Provincia presso le singole Podesterie di ogni paese. Gli statuti sono ispezionabili presso le Podesterie, principali Caffè ed Associazioni di ogni luogo. Ricevuto il prezzo d'associazione dai signori : A saldo 1880: C. Negri — Muggia ; — A. Petris — Parenzo; — G. Parisini — Pisino ; — G. Corazza — Montona ; — G. Vidacovicli — Trieste; — Società Alpina Istriana — Pisino; — G. Susani — Chersano; — V. Paccanoni — Capodistria; — Museo Civico di Antichità --' Trieste; — A. Bartole — Pirano. A conto 1880: M. Rismondo — Rovigno; — due quad. — Don G. Mizzan — Corridico; — I sem; A saldo arretrati 1878: — D.r A. Millossa — Rovigno.