Àbbuonamento annuo fiorini 4 semestre f.r 2. Pagamenti antecipati. Per un solo numero soldi 20. Rivolgersi per gii annunzi aiPAmminis. Redazione ed Amministrazione Via EUGENIA casa N.ro 834 pianterreno. Il periodico esce ai 10 e 25 d’ogni mese. Lettere e denaro devono dirigersi franchi all’Amministrazione Si stampano gratuitamente articoli d’interesse generale. Avvisi in IV. pagina a prezzi da convenirsi e da pagarsi antecipatamente. Non si restituiscono i manoscritti. Excelsior____ L’Amministrazione ritiene per abbonato chi non respinge il presente numero. Capodistria, 10 gennaio 1885. La novità del giorno sono le parole dirette dal Vescovo di Trieste al clero che lo felicitava nel-P occasione dell’ anno nuovo, colle quali esorta i preti a non si occupare di politica, come quella che non si addice al loro ministero. Le furono parole categoriche, ma che diedero cionostante occasione a differenti interpretazioni. Chi vuole che le sieno state dette, perchè in simili circostanze bisogna pur dire qualche cosa di più che „grazie, contraccambio altri vuole intendere che le abbia proferite per poter dire di averle proferite; e chi una cosa e chi un’altra: nessun giornale per quanto sappiamo noi le ha prese nel senso più ovvio, e nel quale vanno prese senza più, chi non voglia irrogare un troppo ingiurioso epiteto a chi può avere errato, ma non consta che soglia usare della parola per velare il pensiero. Se la nostra voce trova luogo, vorremmo dire che la presente questione, non va risolta coi ragionamenti, quando essa è tale da poterla risolvere colle prove dei fatti. „Komint Zeit, Kommt Rath“ dicono i tedeschi ; e può essere di fatto che il Vescovo abbia mutati i suoi pareri, o ravveduto o meglio informato. Se ne faccia la prova. I comuni di nazionalità mista p. e. dove finora non si fosse predicato che slavo, dimandino, o per mezzo del Podestà o direttamente i cittadini, che una domenica si predichi in slavo e un altra in lingua italiana ; dove preti forestieri avessero introdotto il costume di funzionare in lingua slava, si domandi che si ritorni alla latina ; e si stia a vedere. Se le saranno rose, fioriranno ; se spine, darà la risposta che ha data a Pisino, ed in tal caso si faccia quello che abbiamo inteso dire che intenda di fare, se già non 1’ ha fatto, Pisino : si ricorra. Ma noi abbiamo ragione di credere che sieno rose. E che la sia così: chi costringeva il Vescovo a pronunziare quelle parole colla previsione di sbugiardarsi alla prima occasione ? Sono dissonanti dai fatti recentissimi di Servola e di Pisino, dall’ attentato di S. Giusto, dal suo strano silenzio quando vide l’anno scorso i suoi stessi famigliati non darsi per intesi della sua circolare che riguardava i vestiti dei preti e da non so quali altri fatti! L’ob-biezione, a dire il vero, è forte, ma non distrugge la possibilità che siasi ricreduto, e che gli errori commessi finora non li commetta in avvenire. Insemina si ricorra alla prova dei fatti, e la questione è sciolta. Ed intanto che ne venga la soluzione, badiamo qui, per un diversivo, quanto ci recita nella Neue Freie Presse a proposito dell’ agitazione slava nell’ Istria un corrispondente da Pola. „Son già note le conseguenze prodotte dalle agitazioni slovene e dai tabor inscenati di recente nella nostra penisola. Puossi a ragione ritenere, che la maggior parte dei maestri che sortono dall’ I-stituto Magistrale di Capodistria, in unione ai sacerdoti qui piovuti dal Cragno, appartengono ai più fanatici agitatori del partito slavo. Da qualche anno a questa parte, si tenta anche a Pola d’iniziare 1’ agitazione slava. Si fondò all’ effetto una citaonica per la quale, oltre all’ ispettore scolastico, fanno viva propaganda alcuni impiegati slavofili. „II peggio si è poi, che appunto i membri del Collegio dei professori delia scuola Magistrale di Capodistria, al quale, oltre il deputato ed ispettore scolastico Spincic, appartiene anche il nostro ispettore scolastico distrettuale, si fanno uno speciale dovere di accendere in paese il fuoco nazionale sloveno e dargli sempre nuovo alimento. L’inchiesta in proposito avviata a Capodistria, porterà certo un po’ di luce nella questione. Certo è però, che i maestri nei villaggi, per ciò solo si danno tanta cura dell’ agitazione politica, perchè sanno di far cosa grata ai loro superiori. È notorio che l’Ispettore scolastico provinciale è uno dei più fanatici agitatori della questione slava, e che gli ispettori scolastici distrettuali vengono scielti appunto tra i professori e maestri slavi; e questi, in unione ai loro dipendenti ed al clero così zelante in affari nazionali, costituiscono una forza non indifferente contro 1’ elemento italiano. Per ora, i capoccia del partito slavo agitano in secreto. Appena in questi ultimi giorni, la colonia slava di qui ebbe il coraggio di rivolgere in un foglio slavo un appello agli operai slavi, invitandoli ad entrare assieme ad altri nella Citaonica qui eretta. “ , E qui tra noi ad onta della decretata inchiesta, la va forse diversamente ? L’abbiam detto e lo diciamo ancora la marea monta. La notte di Natale, per insulti recati a pacifici cittadini, cinque studenti slavi delle locali magistrali usciti alle due dopo mezzanotte (?!?) da un Caffè, quantunque rinforzati da un pistore connazionale, che ha la fortuna (ormai è una disgrazia) di guadagnarsi qui i mezzi di agiata sussistenza, furono picchiati di santa ragione da due, ripetiamo due nostri operai, ed ebbero una sola fortuna quella di giungere a sparire a forza di garretti e gridando aiuto, nelle vie laterali di scampo, che offre Calle-garia. Qualche ora prima altro studente delle magistrali offendeva con proterva insolenza il figlio esemplare di più esemplare magistrato nostro, e giungeva a fuggire — benché, a quanto ci dicono, ben segnato sul viso — pria che la pubblica forza fosse in caso d’impadronirsi di lui. Infine, per uguali ragioni, altro prode dello stesso istituto veniva schiaffeggiato in mezzo alla nostra piazza, ed all’ ora in cui nasceva il Redentore delle genti, Ledeva a casa a meditare sull’ immortai sua dottrina „non fare agli altri quello che non vorresti che sia fatto a te stesso.“ E così si continua sempre per la stessa via croata, e la marea, col fremito silenzioso, che precorre l’uragano, seguita a montare, a montare, a montare .... Quel vecchio e valoroso veterano della publiea istruzione, eh’ è il Cavalier Revelante direttore del-l’Istituto Magistrale emana ordini sovra ordini, ma giovano forse ? Le più sensate, le più energiche, le più rigorose sue disposizioni vengono paralizzate dalla petulante agitazione politica di alcuni docenti dell’ Istituto, restano lettera morta per i loro discepoli che non fanno che imitarne su altri campi le turpissime gesta. Il fatale esempio, che scende dal- ’ alto, perverte una gioventù, la quale non dovrebbe pensare che ai suoi studi ed alla santa mansione cui è destinata, di educare le novelle generazioni e giungerà giorno — ed è forse già vicino — in cui finirà col demoralizzarla affatto. Si narra, che que’ docenti alla testa di una Citaonica, che hanno potuto qui silenziosamente istituire per improvvida compiacenza di chi allora dirigeva questa autorità capitanale, e della quale fanno oggi pompa sfacciata, vogliono ora, a dileggio dell’indignata publiea opinione, decorarne l’uscita esterna con un’insegna a colori russi che si dice già bella e approntata nella locale Casa di Pena; ma noi non possiamo no, non possiamo assolutamente prestarci a crederlo. Sarebbe una sfida, troppo aperta e temeraria al governo ed alla città ed a tanto reputiamo non possano impunemente giungere. Ad ogni modo, ciò che si narra, lo sappia chi deve saperlo, chi deve tutelare la publiea quiete e ci pensi — lo reclamiamo senza ambagi — finché ancora c’ è tempo ; altrimenti, quantunque ne ributti il farlo, per ragione suprema d’incolpata tutela comincieremo a far nomi e ninno avrà il diritto di chiamarci responsabili di ciò, che potrà succedere, se, facendo nomi, il paese prenderà da sè le misure necessarie a far cessare un insulto diuturno, che ornai è divenuto insopportabile. -----------------»C3^1)Q()^CX---------------- L’ANNO DELL’ARDIMENTO L’ officioso Diritto di Roma in un articolo così intitolato, dipinge a colori foschi la situazione politica attuale, e dichiara in modo assoluto che, nel 1885 si compiranno dei grandi avvenimenti e rivolgimenti. Accenna alla febbre di acquisti coloniali da cui sono invase le Potenze europee, le quali, seguendo le tendenze di espansione della Russia in Oriente, hanno condotto a termine le annessioni di quest’ ultimi anni a Cipro e sul Nilo da parte dell’Inghilterra, a Tunisi, nel Madagascar e nel Tonchino da parte della Francia, ed adesso nell’Africa e nell’Australia da parte della Germania. La politica coloniale è piena di pericoli, e la gara della Germania e Francia da un lato, e quella dell’ Inghilterra dall’ altro, possono, quando meno si creda, far scoppiare delle forti complicazioni. Il Diritto vede pericoli gravi di un non lontano rombo d’artiglierie, che tuoneranno dal Pacifico al mare del Nord e difficilmente taceranno nel Mediterraneo. „Obbligo è quindi dell’Italia — scrive quel giornale autorevolissimo — di star bene attenta. Il 1885 deciderà delle sue sorti di grande potenza. Bisogna sentire la responsabilità della nuova èra, e bisogna con coraggio andarvi incontro, bisogna ridiventare uomini e di nulla timorosi, col santo amor di patria, di tutta Italia nel core, come fummo dal 1859 al 1860, da Palestre a Marsala, da Milazzo al Volturno." Dopo aver detto che l’anno che muore deve chiudere per l’Italia l’infausto periodo cominciato alla metà del 1860, dopo aver augurato che Governo ed Opposizione, dimenticando le meschine lotte di partito, concorrano tutti a rendere la nazione forte e potente ed a prepararla ad affrontare qualunque evento, 1’ ufficioso giornale di Roma termina il suo articolo con queste parole : „L’ esercito dev’ essere quandochessia pronto ad entrare in 15 giorni in campagna, a prestare in qualunque momento imo o due corpi da sbarco per qualunque destinazione, vicina o lontana ; la marina deve avere la sua flotta di battaglia, colle relative torpediniere, col relativo corredo di trasporti, sieno regi o privati, rapidamente disponibili; essa deve anche poter contare, all’evenienza, su buone posizioni marittime di rifugio convenientemente fortificate. Abbiamo noi ciò ? In parte si, in parte no : dobbiamo averlo, completamente, nel 1885. Grli avvenimenti si svilupperanno come le nubi, foriere dei temporali, e questa torre, che è l’Italia, deve sentirsi forte da resistere e da vincere la bufera, deve, col diritto dei giovani e dei coraggiosi, salutare il sole della vittoria. Onesto auguriamo alla nostra patria. 44 -------------------«==»5*0*|«=s=—----------------- INDUSTRIA LIBERA e lavoro carcerario (Dalla „Gazzetta Provinciale di Bergamo“) Continuazione vedi N. 23 e 24 a. d. Molti lamenti sorsero in Italia contro la concorrenza che il lavoro delle carceri fa all’ industria libera, ma i più clamorosi furono rivolti contro la determinazione presa, or non è molto, dal Governo, di far stampare la Gazzetta Ufficiale dai carcerati. Questi lamenti, forse appunto perchè più clamorosi, sono a mio parere i meno giustificati, anzi io oso chiamarli apertamente ingiusti. Bisogna distinguere, fra i lavori dei detenuti, quelli che danno un lucro al Governo da quelli che non fanno che soddisfare ad un suo bisogno. Nel primo caso il Governo è un imprenditore qualunque, e non deve valersi della sua posizione eccezionale per opprimere l’industria libera ; nel secondo caso si trova nelle stesse condizioni di un privato, che cerca di provvedere ai suoi bisogni colla maggiore economia possibile. La differenza è tanto evidente, che mi pare inutile sprecare parole a dimostrarla. Solo avvertirò che quando il Governo entra nel campo industriale come imprenditore, e approfitta delle specialissime condizioni in cui si trova per fare concorrenza all’industria libera, arreca un danno evidente ed ingiusto agli altri imprenditori. Quando invece provvede, coi mezzi di cui può disporre, al soddisfacimento dei propri bisogni, si trova nelle stesse condizioni di colui che sappia e voglia vestirsi senza l’opera del sarto, o voglia mangiare senza ricorrere al cuoco. Posta questa radicale e importantissima distinzione, 10 non solo non biasimo, ma lodo altamente il Governo di aver affidato ai carcerati la stampa della Gazzetta Ufficiale. Che cosa si direbbe di quell"' imprenditore che per provvedere ai suoi bisogni, pei quali deve valersi della sua industria, ricorresse ad altro imprenditore ? È ben vero che il Governo si trova in condizioni eccezionalmente favorevoli, ma non deve per questo essere impedito al Governo ciò che è concesso ad un privato qualunque, di soddisfare ai suoi bisogni diretti, senza ledere i diritti altrui, con quei mezzi che crede più opportuni nel proprio interesse ; anzi, se così non facesse, sarebbe giustamente biasimato. Contro la stampa della Gazzetta Ufficiale per opera dei detenuti si addussero anche ragioni di convenienza, facili a comprendersi, le quali, se per sè stesse possono essere di qualche peso, economicamente non hanno alcun valore, e mi dispenso quindi dal parlarne. Accennerò solo al lamentato inconveniente, che cioè molti personaggi dovranno, per la correzione delle bozze di stampa, trovarsi, loro malgrado, a contatto coi carcerati. Ma questo fatto anzi dovrebbe, per sè solo, servire mirabilmente a sollevare 1’ animo dei detenuti, e avviarli così a quella riabilitazione che è l’ideale delle odierne legislazioni penali ; e quei signori che devono mettersi a contatto con loro, vinto il primo ribrezzo, dovrebbero essere ben lieti di cooperare a questo nobile intento. Il Governo non prestò punto ascolto ai lamenti sollevati contro il suo operato, e fece bene, perchè altro, come dicemmo, è il suo compito quando agisce come imprenditore, ed altro quando provvede al soddisfacimento dei suoi bisogni. Esaminiamo ora quale è, a nostro avviso, il miglior sistema per impedire che il lavoro dei condannati nelle prigioni possa turbare l’equilibrio esistente tra produzione e consumo. Abbiamo già avvertito come, secondo noi, il condannato deve lavorare a vantaggio esclusivo dello Stato. Una sola eccezione si dovrebbe ammettere a questo principio, ed è nel caso che il condannato lasci una famiglia priva dei mezzi di sussistenza, la quale, se non sovvenuta, ricadrebbe ancora sotto altra forma a carico della società. Ma in questo caso il condannato dovrebbe lavorare non solo per sopperire alle spese che il Governo deve sostenere per lui, ma anche per venire in aiuto alla famiglia. Duplice fu il suo delitto, e contro lo Stato e contro la famiglia ; duplice sia la sua espiazione. Ammetto che il lavoro tornerebbe in questo caso molto gravoso per il povero condannato. Ma che perciò ? 11 lavoro, bisogna persuadersi, è una pena, non è un sollazzo. Posti certi limiti, oltre i quali sarebbe inumano spingere il lavoro dell’ uomo, il condannato deve subire le conseguenze del suo delitto in tutta la loro logica, inesorabile severità. Un principe di Svezia, che fu poi re sotto il nome di Oscar I, in un’ opera sulla disciplina delle prigioni, pubblicata nel 1842, dice: „II lavoro, considerato in sè stesso, non costituisce una punizione, ma è invece necessarissimo per la salute interna ed esterna dell uomo; esso è mentalmente e corporalmente il mezzo di riforma 11 più efficace, e per questa ragione non deve essere rappresentato come una cosa a temersi, nè essere confuso coll’idea della punizione14 (1). Questa teoria, che ora predomina nel campo scientifico e nella pratica, venne condotta tant’ oltre da offendere perfino la giustizia. Nel penitenziario di Zeitz (Principato di Heuss) i detenuti che possono provvedere al loro mantenimento sono dispensati dal lavorare nei diversi mestieri esercitati dai prigionieri, e possono dedicarsi ai lavori intellettuali che loro più aggradano (2). Ma per questo modo, o signori, voi ponete il condannato, non solo al livello, ma al disopra dell’uomo libero. Il condannato, che può provvedere al suo mantenimento, si diverta pure nei lavori intellettuali che più gli garbano ! L’uomo libero lavori invece dieci, dodici, quattordici ore al giorno per poi mendicare un tozzo di pane, che non è nemmeno bastevole a satollargli la fame ! Questa non si chiama giustizia ; e non è giustizia nemmeno fra gli stessi condannati. Il ricco e il povero, condannati ad una stessa pena, devono fessamente subirla. Quando si vedesse dai condannati una diversità di trattamento, anziché la loro riabilitazione, si promuo-verebbe maggiormente la loro immoralità. Il lavoro fu dato da Dio stesso come pena all’uomo ; tanto maggiormente quindi esso deve essere una pena pel condannato. Se togliamo il concetto di pena al lavoro, qualunque condanna, eccettuata quella di morte, si riduce ad una semplice privazione della libertà personale. Scoisi distinguere il lavoro in penale, „hard la-bour,“ e industriale-, il primo sarebbe improduttivo, produttivo invece il secondo. Questa distinzione, così nuda e cruda, può nella sua applicazione prestarsi, come infatti si è prestata, all’equivoco, e quindi mi affretto a dichiarare che, secondo me, il lavoro carcerario deve essere sempre produttivo per lo Stato, improduttivo pel detenuto. Lo Stato non deve mai impiegare i detenuti in lavori improduttivi, ma dalle loro opere deve ricavare, o direttamente o indirettamente, quanto è costretto a spendere per essi. Ad ottenere questo scopo, i detenuti non devono avere alcun vantaggio dal loro lavoro, eccetto il caso, come già avvertimmo, in cui abbiano famiglia. Solo allora che un detenuto fosse arrivato, per una strana ipotesi, a non essere a carico dello Stato e a sovvenire alla sua famiglia potrebbe avere un profitto personale del suo lavoro ; ma siccome ciò è ben difficile che avvenga, così in tesi generale il lavoro per il detenuto deve essere improduttivo, e i suoi prodotti vanno devoluti prima allo Stato, poi alla famiglia. Col togliere al detenuto qualsivoglia partecipazione ai prodotti del suo lavoro si va incontro all’inconveniente come già notammo, di diminuire la sua attività; ma questa anche col sistema opposto, è sempre molto problematica e invece il Governo col tenere per sè la quota che spetterebbe al detenuto ha un vantaggio positivo e reale. 11 penitenziario di Vermont, p. e., nel quale i prigionieri non hanno alcuna parte al prodotto del loro lavoro, ha fruttato allo Stato dal 1872 al 1876 una somma dai 1000 ai 3000 dollari all’anno, non solo, ma nei due ultimi anni la spesa è stata un poco inferiore alle entrate, per modo che lo Stato ha potuto avere un utile netto (3). Nè si creda che questo sistema abbia dato cattivi risultati sotto 1’ aspetto morale. Nel 1879 sopra 158 prigionieri solo undici erano recidivi per la seconda volta, tre per la terza, e un solo per la quarta volta (4). In Italia, dove vige il sistema opposto, non si raggiungono certo questi soddisfacenti risultati, poiché da qualche tempo il numero dei delitti è talmente cresciuto, che si impone all’ esame dei pensatori. Io, per mio conto, non dubito asserire che i due fattori di questo straordinario aumento di reati sono l’affievolito sentimento morale e la soverchia mitezza della pena. Stabilito il principio che il detenuto, prima di lavorare a proprio vantaggio, deve lavorare a vantaggio dello Stato (Q e della famiglia, vediamo come meglio potrà il Governo utilizzare il suo lavoro. Il sistema che si segue attualmente non è solo un assurdo economico, ma è, come dicemmo, un’ offesa alla moralità. Supponiamo che il lavoro dei detenuti dia un prodotto che costa 6: che lo stesso prodotto dato dal lavoro libero costi 8: che infine il valore corrente di questo prodotto sia 10. Il lavoro libero, anche nel caso che voglia fare concorrenza, se vorrà avere un guadagno, dovrà vendere il suo prodotto per lo meno a 9 ; il Governo invece per spacciare più facilmente il suo prodotto, si contenta di vender a 7. Ma non è egli vero, che se il valore corrente è 10 e 1’ offerta effettiva è 9, la domanda è superiore all’ offerta ?_ Che quindi il mercato non è sufficentemente appovvigionato ? Che quindi il Governo è sicuro di vendere egli pure il suo prodotto almeno a 9 ? Il Governo, vendendo a più caro prezzo ì prodotti del lavoro carcerario, provvede innanzi tutto il proprio interesse, agevola ai detenuti il modo di poter lavorare un po’ anche a proprio profitto, se non, fa una rovinosa concorrenza all’ industria libera. Abbiamo osservato che il sistema vigente è anche un’ offesa alla moralità. Infatti perchè il lavoro libero, il galantuomo dovrà essere costretto a competere non solo, ma restar vinto dal detenuto? Questo fatto non potrebbe sconvolgere il concetto del bene e del male? Ma astrazion fatta da ciò, non è chi non vegga l’intrinseca ingiustizia di un sistema che pone il condannato nella beata condizione di mangiare, bere, dormire e vestir panni senza un pensiero al mondo, e costringe il galantuomo a farne le spese. Ora dobbiamo esaminare se per 1’ attuazione del sistema da noi proposto sia più opportuno il lavoro in appalto o quello ad economia. Nei rapporti della disciplina dei penitenziarii occorrebbe per tale quesito un’ apposita trattazione ; siccome però io reputo più opportuno, per 1’ attuazione del nuovo sistema, il lavoro ad economia, così mi piace citare quanto ebbe a dire, anche nei rapporti disciplinari, M. Harold Maclean nel suo rapporto al Congresso Penitenziario di Stocolma. Egli, parlando della colonia penitenziaria della Nuova Galles del Sud, avverte che il sistema dell’ economia è preferito a quello dell’ appalto, perchè nell’ opinione delle autorità, appoggiata sopra dati assunti nei luoghi nei quali vige il sistema dell’ appalto, i vantaggi pecuniari che offre quest’ ultimo sistema sono più che controbilanciati dagli ostacoli che esso mette alla disciplina, che è la cosa più importante negli stabilimenti di pena (2). Per la disciplina il sistema ad economia sarebbe quindi da preferirsi ; ma io mi propongo dimostrare brevemente come sia a preferirsi anche economicamente, perchè i vantaggi pecuniarii dati da questo sistema sono superiori a quelli dati dal sistema dell’ appalto. Innanzi a tutto sta il fatto che 1’ appaltatore guadagna quanto, nelle pessime condizioni possibili, potrebbe essere guadagnato dal Governo. Questo si contenta d’una data somma che 1’ appaltatore gli dà, ma oltre questa somma 1’ appaltatore deve avere un guadagno, perchè diversamente non assumerebbe l’impresa. Orbene si abolisca il lavoro per appalto, e questo guadagno sarà tutto del Governo. Ma veniamo alla questione principale. L’ appaltatore tende unicamente ad avere un guadagno sicuro e pronto sul canone relativamente meschino che paga al Governo. Ad ottenere questo intento vi sono due vie principali : interessare il detenuto nei prodotti del suo lavoro, perchè in questo modo si stimola maggiormente la sua attività, e vendere al più basso prezzo possibile per vincere qualunque concorrenza. Questi sono appunto i due fatti, a cui noi vorremmo precisamente sostituiti gli opposti. L’ appaltatore non aspetta che il condannato, mediante i mezzi di correzione, lavori proficuamente anche senza essere stimolato dal proprio interesse. Parimenti non aspetta che la legge naturale della domanda e della offerta aumenti il valore del lavoro carcerario ; ma contento del guadagno che per eccezionali circostanze può avere senza molti disturbi, tenta di trarre dal condannato il maggior profitto possibile per il momento stimolandone 1’ attività coll’ interessarlo nel suo lavoro, nè si cura di vendere i suoi prodotti a un prezzo più elevato, aspettando all’ uopo che le condizioni del mercato sieno migliorate, perchè egli è già bastantemente rimunerato. Non così dicesi del sistema ad economia. I mezzi, di cui il Governo dispone, gli permettono di aspettare anni ed anni a vendere i prodotti del lavoro carcerario, e quindi può venderli nelle migliori condizioni possibili. Sotto questo rapporto panni quindi che non vi sia nessun ostacolo, ma che anzi vi sia un forte vantaggio ad adottare il sistema ad ecconomia, sempre che sia osservata la leggs economica della domanda e dell’ offerta. Parimenti col sistema ad economia il Governo può usare corno meglio crede dei detenuti, e se da principio, non interessandoli nei prodotti del loro lavoro, potrà averne pochi frutti, in seguito, coi mezzi coercitivi, potrà ottenere quanto e fors’ anche più di quello che ottiene l’appaltatore senza essere obbligato a dar loro una interessenza nei prodotti, (Continua) -------------------------C5B>-------------------------- Inghilterra e Italia Uno de’ più stimati giornali inglesi 1’ Engineering, che tratta di questioni tecniche con singoiar competenza e di sovente svolge importanti argomenti relativi alla marina militare, ha recentemente pubblicato un notevole articolo sulla potenza marittima dell’ Inghilterra facendo lusinghieri confronti con quella dell’ Italia. Da quell’articolo togliamo i seguenti brani che ci sembrano del più grande interesse : „Lo stato della nostra flotta corazzata paragonato a quella di altre nazioni, è stato abilmente di.,cusso in questi ultimi tempi dai nostri più competenti ufficiali di marina. „II confronto è sempre stato stabilito per mezzo di tabelle, nelle quali si consideravano la grossezza delle corazzate, il numero ed il calibro de cannoni ; ed il risultato di quel confronto ha provato inesorabilmente che la nostra marina non è sufficiente nè per corazza, nè per numero di cannoni e di navi.14 „Prendiamo ad esempio una guerra coll’Italia. Ben presto questa nazione avrà allestite cinque o sei delle sue corazzate di tipo moderno con una velocità da 14 a 18 miglia, protette con corazze di 21 pollici ed armate ciascuna con quattro cannoni di 100 tonnellate. Il solo bastimento che noi abbiamo e che potrebbe entrare in lotta con ognuna di quelle corazzate e l’In-flexibile , benché questo non potrebbe aver ombra di buon successo. „In tal caso le navi della nostra flotta del Medi-terranea dovrebbero tenersi riunite per una vicendevole protezione, col timore di dover entrare in azione cogli strapotenti bastimenti italiani, dappoiché esse non avrebbero nè la velocità per fuggire, nè la potenza d’ impegnare il combattimento. Il risultato di tutto ciò sarebbe, che la nostra tanto vantata squadra del Mediterraneo avrebbe il possesso di tanto mare quanto è la portata dei suoi cannoni----! „D’ altra parte le navi italiane potrebbero disperdersi senza difficoltà alcuna, giacché nessuna delle nostre sarebbe al caso di raggiungerle, mentre esse potrebbero piombare sopra ognuna delle nostre navi e distruggerle isolatamente. „È della massima importanza che qualche cosa si faccia per rimediare a questo difetto della nostra marina. „È molto facile il dire, che costruire una nave e-norme è come mettere troppe uova in un paniere, o dire che costa troppo ; ma se l’attuale nostra marina non verrà aumentata, essa sarà inutile ; l’Inflexibile costa circa 1 milione e mezzo di sterline, compreso tutto il suo armamento; in sua vece si sarebbero costruite due navi come il Duilio ma con maggior velocià. „Allorquando il governo italiano principiò la costruzione del Duilio il quale doveva portare cannoni di 100 tonnellate, all' epoca in cui il cannone più grosso della nostra marina non oltreppassava le 35 tonnellate-il nostro ammiragliato cercò di convincere il publico che la nuova nave italiana doveva essere necessariamente sbagliata; ma il publico non si lasciò convincere, in guisa che, dopo che il Duilio fu felicemente varato senza capovolgersi come veniva preconizzato, si seppe che Yln-flexibile doveva esser posto in costruzione; ma dopo che il Duilio era stato censurato come troppo lungo, pesante e lento, la nostra nuova uave doveva esser corta, larga e maneggievole. Il risultato è ben noto : la nostra nave, costruita ad un prezzo enorme, era così corta e così poco maneggevole, che non si poteva governarla, e dopo una breve prova, in causa di questo difetto, veniva modificata col sacrifizio di circa due miglia di velocità. “ -------------------------------------;--------------- Dall' Agro umaghese, Gennaio 1885. Abbiamo in vista un nuovo trattato di dialettica, lavoro di penna che va per la maggiore, non importa fra chi, ma che va per la maggiore. L’ editore mi concesse di sfogliarne il manoscritto, tanto che ne ho potuto rubare il concetto fonda-mentale, che a vero dire non ha il merito della novità, ma che ha fatto buon gioco da Adamo in giù a tutti coloro che hanno avuto la coscienza dove gli altri le calcagna: mentire e calunniare, calunniare e mentire ; qualche cosa resterà. E però non è ozioso che se ne ribadisca la memoria, e 1’ autore ha fatto ottimamente. Ho letto per esteso il capitolo quarto, dove si danno regole generali per destreggiare nelle polemiche, e conquidere e annichilare l’avversario, quando V avversario ha ragione. E qui è dove F autore supera se stesso. Mi duole nell’ anima di non poter trascrivere il capitolo per intero, ma la somma la posso dare ed è questa. Nelle questioni batti sempre la gran cassa: se ti riesca di stordire il pubblico, la tua causa è bene incamminata. E allora ti suggerisco un gioco di mano che se ti succede, mandi di punto in bianco 1’ avversario a vedere il sole a scacchi. Ma bisogna che ti succeda; diversamente faresti una figura tanto miserabile, che nei vocabolari delle lingue colte non troverebbero la parola conveniente a qualificarti, E il gioco di mano che ti propongo consiste in ciò, che tu veda di presentare in modo la causa tua, che sembri causa di un altro, il qual altro sia un personaggio altolocato, rispettabile per sè e per i castighi comminati dal codice penale a chi venisse meno ai riguardi che gli sono dovuti. — E dopo qualche pagina : Guardati dal prendere 1’ argomento di fronte, chè saresti perduto, ma ti butta dai fianchi; dipingi miserie, generosità, tolleranze; parla di diritti imperscrittibili, di sacrosanti doveri, di secolari aspirazioni, così, a vanvera pur di non ammutire, che sarebbe un cedere il campo : che se l’altro, pur vedendo che pesta l’acqua nel mortaio, non desiste, e addimostrandoti che parli a proposito di zucche ti vuol rimettere in carreggiata; e tu allora, non essendovi uomo al mondo, per intemerato, che non abbia il suo lato debole, perocché la virtù non consiste in una e-senzione dai difetti totale, ti accingi a rivedergli le bucce. Anche in questo caso 1’ argomentazione zoppicherà, non v’ ha dubbio ; ma sulla gente grossa, che costituisce la maggioranza farà effetto. E poi in difetto di altro ci sono intenzioni da interpretare, parola a due sensi da volgere al peggiore, apparenze da caricarci le tinte, e altri ammenicoli parecchi, che lascio indovinare alla tua discrezione. — E avanti e avanti da non credere a’ tuoi occhi. Come vedete, non c’ è male. Se 1’ opera verrà stampata diffatti, ve ne manderò una copia; chè, sebbene fuori del mondo, al mio romitorio ci arrivano tutte le novità letterarie di questo mondo e d’ altri luoghi ancora. E intanto badate a mantenervi sani. DI UNA LAPIDE SMARRITA Inciso in marmo nazionale, stava un mezzo secolo addietro nel muro sinistro di questa Loggia comunale un epitaffio d’antichissima epoca romana. Lo ricordano il nostro Carli1) lo Stancovich2) ed altri ; ne richiamiamo la memoria anche noi, non fosse altro per deplorarne lo smarrimento, e impedire, se c’ è tempo tuttavia, che non vada perduto. Ecco pertanto l’epigrafe: L. PUBLÌciUS SYNTROPUS archìgallus V. F. SÌBÌ ET ......................3) H. M. H. N. S Il Conte Carli dà delle sigle la seguente interpretazione : Vivus fecit .... Hoc monumentimi heredes non sequitur. La penultima linea dev’ essere stata scalpellata da qualche spregiatore della più venerabile antichità (le memorie degli Archigalli sono rarissime sui marmi) poiché riconoscevansi i colpi patentemente. Le altre lettere tutte erano ottimamente riconoscibili ; e in esse di prima giunta vedovasi la maestà ugualmente che la diligenza romana. Dalla iscrizione si rileva come Lucio Publicio Sintropo, Archigallo, facesse a sè stesso vivendo (?) e a un altro, il cui nome dev’ essere stato fra le parole cancellate, un comune sepolcro escludendone gli eredi (monumentimi heredes non sequeretur — Orazio, Satira 8, v. 4 del libro primo). Archigallo, per chi lo ignorasse, vale primo Gallo, cioè preside dei Galli, i quali erano sacerdoti della Dea Cibele, figlia del Sole e moglie di Saturno, detta madre degli Dei, e chiamata inoltre con una dozzina di altri nomi. Pare fosse l ’apoteosi della terra. I Galli, suoi sacerdoti, la celebravano danzando intorno al-l’idolo e contorcendosi orribilmente. Il nome di Galli lo ebbero da un fiume della Frigia, provincia dell’Asia Minore, alle cui sponde sorgeva magnifico un tempio della Dea. Il fiume alla sua volta aveva ereditato il nome da un giovane che, per ottemperare con maggiore sicurezza alla Dea che lo voleva casto, alle sponde di esso fiume in compagnia di Ati si fece menno. Ad Ati avea Cibele demandata la cura dei sagrifizì4) a patto che vivesse solitario. Ati non tenne la promessa e si unì alla ninfa San-garide. Rinsavito, a prevenire novelle cadute, ricorse con Gallo allo spediente della mutilazione dicendo : Ah pereaut partes quae nocuere milii, Ah pereant dicebat adhuc, onus inguinis aufert, Nullaque sunt subito signa relieta viri (Ovidio, Fastorum, Libro IV) A imitazione di Ati, tutti i Galli si eviravano; il perchè Lattanzio li chiama „né maschi nè femmine" Varrone „semiviri," e così pure Virgilio (Aeneid. IV — 215 — XII 99). I più dei Galli erano della classe dei liberti. Il nostro però non apparisce tale ; che anzi ci viene dichiarato cittadino romano, perchè della famiglia Publicia, della quale un Caio Publicio fu tribuno della plebe nell’anno di Roma DVLV (Livio, lib. 37) II nostro Carli, al quale ci confessiamo debitori di questa illustrazione, dice in proposito molte belle cose, ma di nessuna significanza per il nostro epitaffio. Del quale noi deploriamo la scomparsa, nella lusinga che il nostro lamento conduca al dis-seppellimento della lapide e alla restituzione. v) Delle Antichità di Capodistria — Capodistria, Tondelli, 1861, § XX e seg. 2) Biografia degli uomini distinti dellTstria — Trieste, Ma-renig, 1828, Tomo I, pag. 13, numero progressivo. 3) Linea scalpellata. 4) Cibele avea culto in un tempio a lei consacrato in Egida dai Bomanii dove ora vediamo il Duomo. ----------------------—E3——------------------- CORRISPONDENZE. Tirano 5 gennaio. Col nuovo anno incomincia l’operosità della nuova Rappresentanza cittadina, che oggi si è definitivamente costituita, eleggendo a Podestà il signor Pietro Vatta, e nominando Consiglieri i signori Nicolò Venier, Dr. Domenico Fragiacomo, Dr. Giuseppe Bubba, Antonio Brescia e Tommaso Fonda fu Nicolò. Questi nomi, vantaggiosamente conosciuti in provincia, ci fanno sperar bene delle sorti del nostro Comune ; e crediamo poterci lusingare, che, sotto sì valida direzione, il paese procederà a gran passi sulla via di un ben inteso progresso. Ci sono molte e molte cose da fare; ed i nuovi padri della patria, qualora vogliano prendere proprio sul serio le loro mansioni, avranno largo campo di operare tutto il bene, che il paese da loro si ripromette. Talvolta, si troveranno di fronte ad un partito di opposizione, surto, proprio per seguire l’andazzo dei tempi, da quella fittizia guerriglia elettorale che s’ è combattuta nelle ultime elezioni. Ma non sarà certamente una opposizione faziosa: chè, in ultima analisi, a Pirano, in Istria, di partiti non ce n’ è che uno, il solo il grande partito italiano. Voi pure vi apprestate costà alle nuove elezioni; e noi di vero cuore vi auguriamo che riescano conforme al miglior vostro desiderio, all’ aspettativa dell’ Istria tutta; che la nuova Rappresentanza comprenda in sè quanto ha di meglio la gentile città consorella, e che tutti i cittadini, poste in non cale personali ambizioni e rancori, cooperino concordi pel bene del paese. E con questo augurio vi saluto. C. A. Isola, Gennaio 1885. Che fate voi costà, se Dio vi salvi? Mi prendete sul serio, in Istria, 1’ agitazione slava ! 0 avete il cervello a pigione? Capisco che fondato un giornale ci si arrampica poi sugli specchi per avere di che riempirne le colonne ; ma che si dia corpo alle ombre, saria tollerabile appena il giorno della Befana, tanto per richiamare a sollievo dell’anima i fantastici terrori dell’infanzia, che poi si risolvevano, all’alba dell’Epifania, in un cartoccio di confetti. Che mi fate celia? 0 dove sono questi slavi che ci abbiano da intimorire ? Gli studenti delle Magistrali? Ma voi volete la baia. Lasciate che si balocchino col bamboccio della nazionalità, che del resto non è gente che possa far paura ; e se nell’ avvenire, non acquisteranno mai tanta eloquenza da persuadere a un solo italiano che la luce dell’ anima (vi rubo una frase) se l’ha da chiedere a loro. D’ altronde, credete voi che tutti codesti giovani la pensino come i quattro stenterelli spaccamontagne, che facilmente si fanno credere numerosi perchè fanno strepito? State di buon’animo ; lo so da fonte attendibile, che non tutti pensano colla testa degli altri, insufficienti a pensare colla propria. E più nascono scene indecorose e villane, e più rallegratevi : i migliori fra loro si allontaneranno sempre più da un partito, nel quale furono imbarcati in una età che non discerne, ma del quale usciranno per il bisogno di serietà e di gentilezza, per l’amore del meglio, che nelle anime gentili è istintivo, onnipotente. Nè più fondate mi appariscono le vostre apprensioni rispetto alla popolazione della campagna. Per essa la questione significa pane ; e se il bagliore di un socialismo che li dovrebbe far padroni di ciò che possiedono gl’ Italiani, i quali non per maggiore intelligenza, causa naturale e necessaria della ricchezza, ma per furti e concussioni sarebbero pervenuti alla possidenza, è riuscito ad abbacinarli ; già cominciano a ricredersi, a guardare con diffidenza i girovaghi ciarlatani, che colle fantasmagorie della magica lanterna si argomentano di travolgere i loro cervelli ingenui nella vertigine di pazze aspirazioni o di attriti rovinosi. Forse noi qui siamo fuori di mano, e non possiamo avere un’ adeguata notizia della posizione ; ma se vedo bene, una sola cosa ne può conseguire di questo chiasso artificiale, che cioè gli slavi dellTstria resistano all’ impulso fatale che li spinge a italianizzarsi. Ora, se non è che di questo, che ci abbiamo da vedere noi altri? Contenti loro, come si dice, contenti tutti. Non facciamo per carità come l’eroe di Cervantes, che prendeva per cavalieri i mulini a vento, e in vece di mistificare, badiamo a qualche cosa di più importante. C’ è l’industria, i commerci, le scuole, ci sono le società operaie da caldeggiare, le migliorie amministrative da promuovere, e, ad esempio dei paesi vicini, molte belle istituzioni da iniziare. Qui si volgano le intelligenze della Provincia, e, se pur si vuole, serva il rimanente come un diversivo a riposare la mente da più serie, e sopratutto da più utili occupazioni. *) *) Non siamo d’accordo su tutti i punti; ma noi non siamo esclusivi, e consentiamo volentieri che anche nel nostro periodico ci si dia sulle mani. N. d. B. Siamo dispiacentissimi di non poter questa volta, per mancanza di spazio, inserire — per debito d’imparzialità, — il rapporto giustificatorio del cessato amministratore del comune di Muggia, prodotto in seguito alla relazione — da noi già stampata nel N. 23 a. d. — del comitato revisore dei Conti comunali e speditoci come speciale comunicato. È veramente un lavoro che merita d’ essere letto e che riporteremo, quanto prima, tale e quale ci venne rimesso -----------------——------------------------------- Varia. Ringraziamo, gratissimi, l’Istria degli auguri affettuosi inviatici col suo ultimo numero, e ci riserviamo di rispondere nel prossimo Fatria all’ idea poderosa che ha suscitato, per la creazione d’un grande ed unico giornale provinciale. Intanto battiamo plaudendo le mani e la salutiamo col nostro moto *Excelsior.“ * * * La Germania, sempre intenta alla politica coloniale iniziata, mira ad assecurarsi lo scalo di Trieste o di Genova per una nuova e grande linea di navigazione. La scelta non è ancor fatta, ma pare abbia a cadere di preferenza sulla nostra consorella vicina. Avvenga pure, lo desideriamo di cuore ; sempre però purché il piano del principe Bismark non nasconda scopi reconditi, che non le potrebbero certo riescire graditi. * * * Il primo gennaio è morto a Pola l’i. r. Ispettore Superiore di Finanza sig. Giovanni Juriscovich nobile di Hagendorf, che rivestito dello stesso ufficio visse qui sino a due anni or sono. * * * Dai schiarimenti che illustrano il bilancio preliminare del Ministero del commercio pel 1885, togliamo ciò che si riferisce alla costruzione della ferrovia da Herpelje a Trieste. Per la biforcazione di tale ferrovia si richiedono prò 1885 f. 1, 200,000. L’ elaborazione del progetto è a tale punto che la collazione dei lavori potrà seguire al più tardi col principio dell’ anno corrente, dappoiché anche la contribuzione della città di Trieste, consistente nell’ abbandono di fondi comunali e tratti di rive ad uso gratuito, per quanto si riferisce al valore delle relative concessioni, corrisponda in generale alla legge 1 giugno 1884, Bollettino dell’ Impero N. 103, e dall’altra parte l’espropriazione dei fondi necessari all’opera possa offrire occasione di definire tale oggetto in via d’ ulteriori trattative. La costruzione di questa ferrovia sarà dunque bene avviata nell’ anno 1885, ma all’ uopo è necessario un credito a tutto 1’ 85 di f. 1,250.000. * * * Il Corriere di Gorizia annunzia, che il Deputato conte Coronini, intendendo di parlare ai suoi elettori, li invita a una conferenza pubblica per domenica 11 corr. * * * Leggiamo nell’ Istria 3 cori-.: Nella seconda puhlica estrazione delle lettere di pegno dell’ Istituto di credito fondiario istriano, che ebbe luogo li 27 decembre 1884, furono estratte a sorte le seguenti : a Fior. 1000, N. 351, 354, 804, 811, 831, 851, 1001, 1008. a Fior. 500, N. 46, 125, 182, 391, 484. a Fior. 100, N. 79, 309, 319, 481, 499, 824, 1202, 1277, 1507, 1841, 1883, 1958, 2074, 2114, 2326, 2333, 2352, 2455, 2465, 2490, 2553. Il rimborso delle lettere di pegno estratte avrà luogo presso la Cassa dell’ Istituto in Parenzo, e presso altri Stabilimenti di credito della Monarchia, di ciò incaricati, dal 1 luglio 1885 in avanti. * * La Camera degli Avvocati di Trieste annuncia che 1’ Avvocato sig. Giovanni Dr. Canciani venne nominato sostituto generale del testé defunto Avvocato Giuseppe de Vergottini. * * * Il Consiglio Municipale di Parenzo ha nell’ ultima sua tornata accolto ad unanimità di voti un’ istanza controfirmata da parecchi cittadini perchè ad onorare la memoria dell’illustre defunto Giuseppe Vergottini la piazza principale di quella città, sia chiamata —■ Piazza Vergottini. * * * Il professore Bernardo Dr. Benussi, riputato autore dell’ opera L'Istria sino ad Augusto e di parecchi altri lavori storici, ha ora pubblicato un Manuale di geografia, storia e statistica del Litorale, ossia della Contea principesca di Gorizia e Gradisca, della città immediata di Trieste e del Margraviato d’Istria. * * * Il congresso generale della società politica istriana, che doveva tenersi nel gennaio corrente, venne protratto al mese di aprile. * * * La seduta Presidenziale della Società politica Istriana destinata pei 7 Decembre p, p., e poi sospesa, sarà invece tenuta a Capodistria addì 11 corr. alle ore 4 pom. col seguente ordine del giorno : 1. Lettura del verbale dell’ultima seduta presidenziale ; 2. Comunicazioni ; 3. Determinazione dell’ ordine del giorno per la prossima adunanza generale ordinaria della Società ; 4. Discussione ed eventuale deliberazione sul contegno della Società di fronte alle prossime elezioni politiche per la Camera dei deputati al Consiglio dell’ Impero; 5. Conferimento dei premi ai maestri che si sono insinuati in base all’ avviso di concorso 5 febbrajo 1884 N. 13; 6. Eventuali altre proposte. SONETTI. Cadon le foglie e ovunque si diffonde Quella melanconia, che il cor m’innonda: Sibila il vento geme fioca l’onda, Tace l’augel, la mente si confonde E si conturba e indaga le profonde Ragioni del mistero, che circonda Il tutto, e cerca un Ente che risponda Al dubbio suo, ma il vero si nasconde Eppur un Dio lo scorgo, un Dio lo provo, Dentro lo sento a 1’ anima commossa ; Al spettacol sublime di natura Allor mi prostro, ed un pigmeo mi trovo E attonita la mente a tanta possa S’umilia, trema, prega ed ha paura. Ecco di fuori han chiuso lo sportello Han messo sulla porta i catenacci ; Un pagliericcio duro, al piè 1’ anello Come si usa far coi birbantacci ! Nè male ho fatto mai ! ma questo è il bello ! Ch’ io venni castigato ai duri lacci, Sol perchè un dì mi scrisse mio fratello Il desio della mamma ch’io l’abbracci. Era ammalata assai la mamma mia : Volea vedermi per consolazione. Come soldato, chiesi il „passavia" Ma il mio Maggior non so per qual ragione Mi ha negato il favor : io scappai via E per un bacio qui mi sto prigione. A. C. ----------------0-E=3-Q£T0-G=2K>-1-------------- CRONACA LOCALE Il distinto giovane maestro d’agricoltura G. de Baldini tenne qui la sera del 23 m. d. nella sala municipale un’ interessantissima conferenza. Dinanzi numeroso uditorio, trattò prima della coltura degli erbaggi, indicando le qualità e le posizioni dei terreni che s’adattano alla loro proficua coltivazione e parlò estesamente del modo di trattare il letame da stalla, il pozzo nero e le spazzature, che i nostri agricoltori acquistano in gran quantità a S. Saba (deposito dell’impresa triestima di publica nettezza) per ottenere un concime buono ed efficace. Indicò poi il modo più razionale di costruire letamai coperti vicino alle stalle e letamai in aperta campagna, e descrisse l’utilità della concimazione con concime ben maturo e insieme il modo d’eseguirla. Per sommi capi accennò successivamente alla preparazione di letti caldi per le semine invernali, ai trapianti e. ai parassiti degli erbaggi, e, per desiderio di alcuni agricoltori presenti alla lezione, ragionò del taglio dell’ olivo, suggerendo di dare possibilmente al-1’ albero di Minerva la forma d’un calice tagliandone i rami che crescono diritti nell’ interno della corona, acciocché l’ aria e la luce, che sono fattori indispensabili allo sviluppo di questa pianta meridionale, possano facilmente penetrare fra i suoi rami e mantenerla forte e rigogliosa. Suggerì infine di potare gli ulivi ogni anno, come si fa nella Toscana e nel mezzogiorno della Francia; poiché col taglio annuale si ottengono prodotti regolari e non intermittenti come succede nel nostro paese ove si tagliano ogni 3, ogni 4, ogni 6 e spesso anche ogni 10 anni. In chiusa favellò dei migliori innesti degli alberi da frutto ed insegnò pure praticamente la maniera di eseguirli. * * * 439. N. 7690-1018 Decisione In nome di Sua Maestà l’Imperatore. L’i. r. Tribunale provinciale qual giudizio di stampa in Trieste, deliberando sulla proposta dell’ i. r. Procura di Stato dd. 15 novembre 1884 al N. 2738-1457 dichiara : Costituire gli articoli inseriti nel periodico di Capodistria „Patria" dd. 10 novembre 1884 N. 21 portanti i titoli 1’ uno „a proposito delle idee di Carlo Combi sull’ unione delle tre provincie", l’altro „Pinguente 5 ottobre 1884“ ed il terzo „Voci di sotterra" gli elementi oggettivi il primo del crimine prev. al § 65 C. p., il secondo quello del delitto prev. al § 300 C. p. ed il terzo quello del delitto prev. al § 302 C. p. Confermarsi il praticato sequestro, vietarsi l’ulteriore diffusione di detto stampato ed ordinarsi la distruzione degli esemplari appresi e da apprendersi, passata che sarà in giudicato la presente decisione. Trieste, 18 novembre 1884. N. 1074-8085 Decisione In nome di Sua Maestà l’Imperatore. L’i. r. Tribunale provinciale qual giudizio di stampa in Trieste, deliberando sulla proposta dell’ i. r. Procura di Stato dd. 30 Novembre 1884 al N. 2879-1545 dichiara : Costituire l’articolo „Rifritture" inserito nel periodico di Capodistria „Patria" 25 Novembre 1884 N. 22 gli elementi oggettivi del delitto prev al g. 302 C. p. Confermarsi il praticato sequestro, vietarsi 1’ ulteriore diffusione di detti stampati, ed ordinarsi la distruzione degli esemplari appresi e da apprendersi, passata che sarà in giudicato la presente decisione. Trieste 3 dicembre 1884. PUBLICI RINGRAZIAMENTI. I sottoscritti profondamente commossi ringraziano tutti quei cortesi che parteciparono al doloroso loro lutto ed accompagnarono la salma del defunto loro genitore e fratello all’ ultima dimora. I figli Nicolò, Maddalena. Giuseppe de Baseggio a nome anche dell’ assente fratello Giorgio, e Santa de Baseggio sorella Ai parenti, agli amici ed a tutti quei buoni che in più modi s’interessarono durante la lunga malattia del compianto di lei marito Nicolò e gli tributarono con pietoso affetto 1’ estremo onore accompagnandone la salma all’ ultima dimora, rende commossa le più sentite grazie la dolente vedova Giovanna de Baseggio. Capodistria, 8 Giugno 1885. Gli onor. Signori associati vogliano avere la cortesia d’inviare l’importo d’abbonamento da loro dovuto all’amministrazione del giornale. Da vendere Uuna casa di 3 Piani, del tutto isolata, sita in Pirano in Contrada Marzana al civico N. 774 rosso (era degli eredi fa Pietro Schiavuzzi) a condizioni convenientissime ed anche a Livello affrancabile a lunga scadenza Per ulteriori informazioni rivolgersi a Capodistria al Signor Nicolò de Baseggio Amministratore del Civico Ospitale. 5 ci 05 ’S K © +3 © © ti ti Sm W) c3 £ Lti H CO UJ oc t— ci ^ -o '3 sa 3 ci -f- 2 « a - ti Pd A rN EH ** S ■31* s O ti À3 o ti O P-ti Ph