ANNO X Capodistria, 1 Febbrajo 1876 N. 3 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla lied azione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. IVO TIZIE E DOCUMENTI per la conoscenza delle cose istriane Dei Podestà veneti dell'Istria e di Giammatteo Bembo Podestà e Capitatilo di Capodistria negli amii 1541-42. Un uomo molto serio e molto sicuro nei suoi giudizii ha detto non è gran tempo in circostanza solenne il Maestro instruisce e lo Stato educa il popolo. È una di quelle verità quasi elementari alle quali molti non pensano, ma che euunziate s'impongono a tutti. Lo stato influisce più o meno sul popolo secondo che amministra, regge o governa, ma influisce molto, sempre ed in mille modi, colle leggi, coi magistrati, colle imposte, colla milizia.......a tacere delle scuole e della chiesa. Fermiamoci ai magistrati. Influentissimi sempre, la loro influenza è maggiore nei luoghi minori e nei paesi lontani dai grandi centri, perchè in questi ultimi gareggiano e spesso prevalgono altre influenze. Nei n. 5 e 6, anno 1874, della Provincia, ho presentato il caso di uu Podestà Capitauio di Capodistria che commise abusi enormi a danno della libertà, della sicurezza, degli interessi, dei diritti del popolo. Oggi richiamo l'attenzione su altro Podestà-Capitauio di Capodistria, il quale colle sue rare doti di mente e di cuore non può non avere esercitato influenza benefica sui costumi e sugli interessi della città e della provincia. Se si potesse avere uno schizzo biografico veritiero dei pubblici Rappresentanti veneti che governarono l'Istria per 4 secoli e più, si avrebbe, penso, lo scheletro e in parte anche le ragioni della storia ossia della vita provinciale durante quel lungo periodo. Ma questo non è possibile, dunque bisogna contentarsi di qualche frammento. Capodistria fu tenuta sempre in molto conto dal governo della Repubblica, e perciò al suo reggimento furono spesso mandati uomini istruiti, pratici, attivi, benevoli. Questo lo si deduce da molti indizii, ma specialmente dal fatto che non pochi nobili Veneti già prima di andare in reggimento a Capodistria ave- vano coperto rilevantissime Cariche, che molti passarono da quello ad altri reggimenti e ad Oftieii di somma importanza; che alcuni salirono poi, o anche immediatamente, al grado supremo di Dogi, e che buon numero di loro nelle Relazioni, (delle quali se ne conservano non meno di ottanta nell'archivio di Stato in Venezia,) si manifestano avveduti e pratici nell'arte di governare non solo, ma adempiono egregiamente la parte di consiglieri franchi e leali del loro Governo, e nello stesso tempo di amici veri del popolo. Riservandomi di notare più sotto quei Podestà-Capitani che divennero Dogi, e quelli dei quali ho potuto raccogliere le Relazioni, richiamo subito 1' attenzione su Giammatteo Bembo nipote del Cardinale, che fu Podestà-Capitauio di Capodistria negli anni 1541-42, per aver occasione di mettere sott'occhio ai lettori della Provincia alcune lettere scritte dal Cardinale al detto nipote suo e che riferisconsi a persone ed a fatti del nostro paese. È bello, mi pare, dopo tre secoli sentire da uomini come il Bembo ricordate le virtù e le debolezze dei padri nostri. Lode o censura bisogna accettarla, consolarsi e giovarsene. Giiimmatteo Bembo è nome che appartiene alla storia anche oltre i limiti della Venezia. Di lui scrissero più o meno, Marin Sanuto nei Diarii; Paolo Paruta, Andrea Morosini, e Pietro Giusti-niau nelle Istorie Veneziane; il Sansovino nella Venezia descritta, e nella Dedicatoria alla Storia universale di Messer Lionardo Bruni, da lui ampliata e corretta; Marco Foscariui nella Storia della Letteratura Veneziana, e nel Ragionamento della letteratura della Nobiltà Veneziana; Onorio Belli Vicentino nella Descrizione di Candia ; Bartolomeo Zucchi nelle Lettere, e nella Idea del Secretano; il Cornaro nel Catharus Dalmatiae Civitas-, il Curti nelle Famiglie patrizie veneziane; il Ruscelli nelle Imprese illustri, nelle Lettere di Principi ecc. e altrove; Camillo Besalio nel Novo libro di lettere ecc. pubblicate nel 1544, da Paulo Girardo; Bernardo Trevisan nel Trattato della Laguna; lo Zeudrini nelle Memorie storiche della Laguna; Apostolo Zeno nelle Annotazioni alla Biblioteca della Eloquenza italiana del Fontanini, e in quelle che fa alla Vita del Cardinal Bembo scritta dal Casa; Sebastiano Munstero nella Cosmografia Universalis, o più esattamente Lodovico Vergerio di Capodistria nella descrizione clie fa della costa liburnica e dalmata in lettera diretta da Basilea al Munster e da questi inserita nella sua Cosmografia ; (1) Giacomo Fiorelli nei Detti e Fatti memorabili del Senato ecc; il Mazznccbelli negli scrittori d'Italia; Sperone Speroni, Lodovico Domeuichi, Lodovico Dolce, Paolo Giovio, Girolamo Fracastoro, lo Sleidauo e non pochi altri. Ciò che si riferisce più strettamente alle qualità personali di Giammatteo Bembo e alle cariche da lui sostenute fu anche egregiamente riassunto da Emma-nuele Cicogna nella sua eruditissima e pazientissima opera delle iscrizioni Veneziane. E da questa anzi trarrò le notizie che giovano maggiormente al propostomi assunto, rispettando possibilmente le stesse sue frasi. Giammatteo fu figliuolo di Luigi quondam Zaccaria Bembo patrizio veneto, e nacque intorno al 1491. Da giovanetto navigò in Soria e visitò Gerusalemme. Nel 1519 si unì in matrimonio con Marcella figlinola del fu Sebastiano Marcello fu Benedetto, e nipote del Cardinale Pietro Bembo, essendo la madre di lei sorella di lui; dal che venne che Giammatteo si chiamasse nipote del Cardinale. Fino dall'agosto del 1520, Giammateo era al dazio del vino, e fu fatto uno dei quaranta al criminal. Del 1552, in agosto offerse un prestito di 500 ducati per andar Sopracomito, ma la sua proposizione non fu accettata. Negli anni 1524, 1526 e 1528, fu di nuovo del Consiglio dei quaranta, del quale fu anche Capo. Nel 1528, ai 28 Dicembre, essendo Sopracomito nelle acque di Puglia verso Bestize (?), perdè in una fortuna di mare la Galea, e potè appena salvare la vita. Fu poi Sopra-Consolo e Auditor novo, e nel 1534 venne eletto Conte di Zara. Ivi trovossi anche nel 1537, al tempo della guerra contro il Turco, nella quale occasione si comportò egregiamente. Nel 1538, andò Provveditore a Cattaro che difese con scarsi mezzi assai bravamente dal famoso Aria-deno Barbarossa (Aradin Bassà,) il quale, connivente o no Solimano, violate le tregue e occupato Castelnovo che non potè resistergli, erasi presentato dinanzi Cattaro con formidabile armata, ne aveva intimata arditamente la resa e incominciati gli assalti. Nel 1539 messo in ballottazione per Bailo a Corfù non è riescito, e per conseguenza rimase ancora a Cattaro. Nel 1541 era stato nominato Luogotenente in Udine ma per motivi di parentela vi si esentò accettando iu cambio il reggimento di Capodistria. Da Capodistria passò a Verona dove lo si trova negli anni 1543 e 44. Dal 1546 al 48 fu Capitano a Famagosta. Nel 1551 fu uno degli istitutori della Veneziana accademia degli Uniti. Nel 1552 fu Capitano a Candia. Nel 1560 fu Rettore a Brescia. Nel 1561 venne eletto Provveditor Generale a Cipro, ma se ne dispensò. Nel 1564, fu eletto Duca di Candia in luogo di Marco Giustiniaii, ma anche da questa carica si dispensò per ragione di età. Nello stesso anno 1564, fu eletto, con altri sette, Giudice per esaminare le operazioni da farsi sul fiume Sile; che in fatto di acque come anche di fortificazioni militari era intendentissimo. Frammezzo ai fin qui enumerati officii è stato Governatore delle entrate, Provveditore alle fortezze, Consigliere, Decemviro. Finalmente carico d'anni e di meriti morì. Il tempo della sua morte non è bene accertato, ma cousta che nel 1566, era ancora in vita. Tutti i contemporanei, (soggiunge lo stesso Cicogna,) rendono amplissima testimonianza del suo sapere nei maneggi politici e specialmente nelle cose del mare, della quale ultima circostanza sono chiaro indizio le galee sforzate armate dalla Signoria per ricordo suo. Dilettossi grandemente nella lettura delle storie e, secondo le occorrenze e il poter suo, ingegnossi di e-mulare gli atti egregi degli antichi e moderni. Attestasi poi che coteste sue virtù non furono mai bruttate da alcun vizio, e che l'esser anzi di natura troppo aperta, leale e libera, gli ha nociuto appresso molti co' quali egli avrebbe dovuto piuttosto dissimulare. E il Sansovino aggiunge (continua sempre il Cicogna), che assai grande era e hello di persona, ben formato di corpo, di natura robusta e valida, nella conversazione affabile, piacevole ne' motti arguti, acuto d'ingegno, giusto, amator delle lettere, de' soldati, de' pittori, degli scultori, degli architetti ecc. ecc. La moglie di lui Marcella fu versata nella poesia e nella lingua greca e compose sonetti, locchè viene attestato dallo zio Cardinale. Da questo connubio nacquero molti figli : — Paolo, Pietro, che fu poi Vescovo di Veglia, Davide, Bernardo, Lorenzo, fatto Sopracomito ancor giovanissimo, Alvise pure Sopracomito, Marcantonio, beneficiato a Cividale, Sebastiano e Giulia. Così dal più al meno il Cicogna. — Ora a rendere anche più completo lo schizzo biografico, prima di passare alle lettere dello zio Cardinale riporterò ancora alcuni brevi squarci del Ruscelli, del Fracastoro e un brano di lettera che lo stesso Giammatteo scriveva nel 1560, da Brescia. 11 Ruscelli nelle - Lettere di Principi - fa la seguente pittura del suo carattere: „ È Messer Giovan Matteo huomo di sua natura „ giustissimo, et di suo costume benigno et gratioso. „ Onde ne giudicij è proceduto continuamente con se-„ verità, etvclementia, secondo la qualità de' casi e delle r persone. È di tanta integrità, che non solo non è mai „ stato corrotto con danari, o altri doni, et presenti „ illiciti; ma alcuna volta (quello che gl'historici scri-„ vono di Martio Coriolano), ha rifiutato quelli che „ honestamente gli erano offerti, et che egli giustamen-» te poteva accettare, e come virtuosamente s'è aste-„ nuto dall'altrui, così è stato, et è cortese, et liberale „ del suo co' valorosi, et caritatevole verso i poveri. „ Ancora, è Messer Giovan Matteo Bembo amico del- „ l'antico in ogni fortuna..........." Quan- „ ta sia la prudentia, et il valor suo nelle cose di guerra, „ ne fanno particolare, et larghissima fede, oltre a „ molte altre, le cose da lui maravigliosamente operate „ l'anno 1539, nella difesa di Cataro contra la potentis-„ sima e vittoriosa armata Turchesca, la quale dopo „ la espugnatione di Castelnuovo, andò all' assedio di „ quella Città ecc. „ Girolamo Fracastoro poi, in lettera 12 settembre 1544, diretta al Cardinale, descrive così la partenza di Giammatteo da Verona......." Se al partir suo „ di Zara s1 intese che quel popolo piangeva come se „ fossero restati tutti privati del padre loro, et che nella „ Città non rimase donna, nè huomo, grande o picco-„ lo, che non l'accompagnasse, et poi essendosi imbar-„ cato, quei che nou havean barca da seguitarlo, si „ metteano a seder su il molo, et poneano i piedi in , acqua per mostrare che, se havesser potuto, l'havreb-„ bouo seguito più oltre; et se a Cataro et a Capodi-„ stria s'intese la medesima atfettione, che quei popoli „ gli dimo-trarono dal principio al fine, questa nostra „ Città (Verona) non s' è mostrata punto interiore ad „ alcuna delle già dette. „ E qui prosegue a dire che per quindici giorni avanti il partire dovette star colle porte del palazzo giorno e notte aperte per le continue visite che vi affluivano; poi che "havendo consegnato in piazza solennemente „ 1' officio et la bacchetta al suo successore, et data la „ benedizione al popolo con ambe le mani, fu astretto , da prieghi universali a non partirsi da Verona per „ quella sera......Et la mattina seguente tutta „ la Terra l'andò a levare, et fu accompagnato da più „ di seicento cavalli, oltre quasi tutto il rimanente „ di maschi et femine della Città, gridando tutti Pa-„ dre ecc. ecc. „ Racconta poi che durante il suo reggimento, pose freno alle usure degli Ebrei, — che aggrandì il Capitale del Monte di Pietà — che previde e provide alla carestia — che fece distruggere un gran cortile di Frati presso le mura perchè pericoloso, — che infrenò discordie pericolose tra grandi, — che indovinò e sventò macchinazioni di nemici che si preparavano nel Trentino, e nel Mantovano, — che compose e quietò fattioni ecc. ecc. Ricorda in seguito le doti e i meriti di lui fin dalla nascita: l'aver dato scampo ad uu suo amico Miobtoli, ■— il riaggio di Sona, e Gerusalemme per conoscere paesi coi quali la Repubblica aveva interessi in pace e in guerra, — l'essersi recato in Padova assediata da Massimiliano e poi il fatto massimo della difesa di Cattaro. Intorno a questo fatto, oltre gli storici di sopra citati, vedansi le stesse lettere di Aradin Bassà al Bembo, e le risposte di questi,-nonché le lettere dirette dal Bembo al Doge e al Senato, il complesso delle quali costituisce necessariamente il racconto di quel grande successo in tutte le sue più minute e interessanti particolarità. Egli stesso poi, Giammatteo, in lettera 1. Giugno 1560, diretta da Brescia al signor Girolamo Faleti Conte di Trignano et Ambasciator di Ferrara, narra così alcune riforme edilizie da lui effettuate in quella Città alle sue cure affidata: " .... mi diedi a far rovinar certe casaccio di „ preti, antiche et mal ordinate ; le quali, congiunte con la „ Chiesa Catedrale, stavano per traverso di questa et „ d'un'altra piazza, et erano di molta incomodità, et „ impedimento a tutte due, oltra che occupavano, et „ ascondevano quasi una porta di essa Chiesa, et ren-„ devauo bruttissima vista et malinconia, si come le-„ vate ora via hanno dato largo et spatioso campo „ et allegro ad una sola et grande, et bella piazza. Da „ un capo della quale ho fatto ancor nascere una nuo-„ va strada, che dall' una parte risponde al Vescovato, „ et va dirittamente riferire alla porta che risguarda „ verso Verona et dall'altra risponde su '1 mercato che „ si chiama della Biava.,, Da questa narrazione si scorge ch'egli precorreva, come direbbesi, i tempi ; ma molto più lo si scorge là dove passando d'una cosa in altra viene a parlare dell'aere di Venezia, della laguna che si va interrando, dei danni che le recano i fiumi colle loro melme, dei pericoli e dei ripari necessarii, accennando, tra le altre, a un parer suo di far un ponte da San Giovanni et Polo a Murano. Nel 1560, dava suggerimenti, che oggi ancora si trovano ottimi e si ripetono. In Giammatteo Bembo dunque si combinò indole egregia, virtù soda, sapienza vera, conoscenza e pratica di cose militari e marittime, ardire, valore, operosità, spirito di riforma e progresso in ogni ramo, e sopratutto il sentimento profondo della giustizia. Un uomo tale alla te§ta di una città e di una provincia è una vera benedizione; e di tali uomini nei tempi migliori del Veneto dominio, fortunatamente anche per l'Istria, ne furono molti. (Continua) (1) La lettera è segnata 16. Calend. Jan: an : 1549. — In altra lettera datata parimenti da Basilea VI. Idus Decem-bris MDXL Villi, lo stesso Lodovico Vergerio fa una breve descrizione dell'Istria e delle sue città, e questa pure è inserita dal Miinster nella sua Cosmografia coll'aggiunta di una carta. ------------ Seminario o Collegio ài Capodistria (Contin. vedi pag. 1777). Piemonte Entrata Spesa Tansata Scola della Mad.na del Car- mini 95 65 3-2 Scola di S. Primo e Feliciano 462 355 6-4 Scola di S. Andrea 357 306 6-4 Scola di S. Zorzi 254 180 6-4 Scola di S. Zuanne 146 117 6-4 Scola di S. Piero 158 106 6-4 Scola della Madonna 395 339 6-4 Scola del SS. Sacramento 85 64 3-2 Scola di S. Pietro di Ca- stagna 395 309 6-4 Scola di S. Antonio di detta villa 424 292 6-4 Portole La Fabrica di S. Zorzi 2548 1771 35-0 Scola di S. Antonio 130 84 3-2 Scola di S. Zorzi 344 252 6-4 Scola di S. Lucìa 272 206 6-4 Scola del Spirito Santo 158 104 3-2 Scola dell' aitar della Ma- donna 200 130 6-4 Scola di S. Antonio abb. 184 129 6-4 Scola di S. Rocco 154 91 3-2 Scola della Mad.na nova 340 244 6-4 Scola del SS. Sacramento 248 202 6-4 Scola di S. Cecilia 354 229 6-4 Scola di S. Grisogheno 200 142 6-4 Scola della Mad.na del Ro- sario 220 160 6-4 Grisignaua (pag. 10) Scola di S. Nicolò 305 265 6-4 Scola del SS. Sacramento 120 86 3-2 Scola di S. Vido Scola di S. Rocco Scola del SS. nome di Dio Scola della Carità Scola di S. Zuanne Scola di S. Marco in Carinoli 11 Scola di S. Biasio Scola di S. Martin Scola di S. Antonio di Padova Scola di S, Florian Scola della Fatoria Scola della Madonna Scola di S. Zorzi di Villa-nova Scola della Mad.na di detta villa Scola del SS. Sacramento di detta villa Scola di S. Cosmo e Damiano di Grisignana 31 u ini a 11 Scola di S. Gerolamo Scola di S. Nicolò Scola di S Rocco Scola di S. Pietro Scola di S. Ruffo Scola di S. Martin Scola della Madonna Scola di S. Mauro Scola di S. Gerolamo di Berda Scola della S.ma Trinità Scola di S. Giov. e Paolo Scola di S. Maria Maddalena Lezioni elementari di Agricoltura dettate da A. II. Vusio, parroco {Cont. Vedi pag. 1778) Ma tenendo fortemente compatto il letame, si potrebbe forse obbiettare che questo fermentando, si abbruci, ed anziché avere del buon letame, non si ottiene che del carbone 0 della cenere. Ciò non è vero, nè possibile ; imperciocché quando il letame è bene compresso nou si trova più iu contatto coli' aria atmosferica, il letame perciò non può più fermentare e per conseguenza nemmeno abbruciarsi. Quando poi per di più lo si tiene sempre alquanto umido, allora cessa asso-lutamemte ogni qualunque pericolo. Ecco quindi la necessità di cqstruire attiguo al letamajo un piccolo pozzetto dove può facilmente raccolgersi l'orina che dal letame distilla e l'acqua piovana; imperciocché con questo liquido si può, durante specialmente l'estate, 2 0 3 volte alla settimana adacquare il letame e così preservarlo dai cocenti raggi del sole. In alcuni luoghi con molta saggezza si copre il letame durante l'estate con frasca 0 paglia, 0 anche con tavole; in altri ancora s'impianta tutt'intorno al letamajo degli alberi i quali difendono il letame dai raggi del sole. Questi due mezzi possono molto utilmente venir applicati. Il letame così tenuto non può fermentare, ed in tal modo sotterrato che sia le piante per qualche tempo non risentono la sua influenza. Se questo si vuole considerare in certi casi come un male 0 uu danno, in ogni caso non è che apparente ; imperciocché così il letame anziché esaurire le sostanze nutritive in un anno, le esaurisce iu 3 0 4 ciò che nella massima parte delle colture è sempre utile ed economico. §. 3. Classificazione dei letami. Dalla definizione data sul letame, chiaro può apparire che non solo gli escrementi animali, ma tutte le sostanze che producono l'ammoniaca 0 contengono in sè alcali esali servono qual letame, ossia somministrano delle sostanze nutritive alle piante. Queste sostanze possono dividersi in 4 classi, 0 sono: I le sostanze organiche animili; II le sostanze organiche vegetali : III le sostanze inorganiche ; IV ed il letame così detto composto. §. 4. Sostanze organiche animali. Alle sostanze organiche animali, appartengono: gli escrementi degli animali (letame propriamente detto) la carne, il sangue, i peli e le penno. Gli escrementi degli animali tanto più valgono quanto più abbondante è la quantità di ammoniaca che in essi si sviluppa; e questa tanto maggiormente si svilupperà quanto più nutritive saranno le sostanze delle quali l'animale si nutre. L'uomo per questo riguardo tiene fra tutti gli animali il primo posto; gli escrementi quindi dell'uomo sono per l'agricoltore i più preziosi. Per comprendere quanto importanti per l'agricoltura sono gli escrementi umani basta saper questo che col letame che un uomo fà durante tw'n»ne~m pt>o souo avere 2 ettolitri di frumento, che sarebbe quanto dire, uu uomo si può mantenere col solo letamo che egli produce. Cura principale adunque di ogni agricoltore sarà quella di fabbricare nel suo cortile una latrina, e di raccogliere gli escrementi della famiglia; 0 non potendo farla a parte, la faccia almeno sopra il letamajo 0 con questo abbia una comunicazione. Dopo gli escrementi dell'uomo, tiene il primo posto quelli delle capre che coutengono il 3 % di ammoniaca ; poi quelli delle pecore, dei cavalli e degli asini che contengono il 2 °/0 e finalmente quelli del ma-jale che ne contengono in piccola porzione. Anche gli escrementi degli animali casalinghi non sono da trascurarsi ; imperciocché se molto piccola è la quantità che si può raccogliere, d'altra parte contengono una maggior quantità di ammoniaca. P. e. gli escrementi del pollame e dei colombi contengono 1* 8 % d'azoto; e quelli del coniglio e degli uccelli, specialmente degli acquatici in media il 5 e 6 O/o U guano (escrementi degli uccelli che si raccoglie in grande quantità sopra alcune isole) contiene il 5 O/o La carne degli animali ^che periscono contiene fino al 20 0/q d'azoto; il sangue secco il 12 OjO; lo penne, i peli, le unghie, le corna, gli intestini il 18 O20; e finalmente il letto dei bachi da seta il 3 e mezzo per cento. Dietro questa proporzione, mentre con 1000 Ch. di buon letame, si può letamare un' ara di terreno, volendolo letamare colla carne d'animali ridotta in polvere, bastano 15 Chil ;; oppure col sangue secco, allora 10 chil ; 0 colla polvere di penne e di peli, ed allora 3 chil. Da questo dunque si può 279 190 6-4 1(56 122 6-4 92 44 3-2 189 156 6-4 97 62 3-2 30 20 3-2 138 105 3-2 141 42 3-2 110 49 3-2 341 168 6-4 158 107 6-4 281 185 6-4 150 55 7-16 244 155 3-2 220 162 7-16 107 61 3-2 191 97 6-4 137 101 6-4 111 77 3-2 239 227 6-4 161 148 6-4 558 361 9-6 228 204 6-4 144 120 3-2 519 276 9-6 222 195 6-4 ; 277 145 6-4 71 53 3-2 (Continua) vedere quanta cura deve avere l'agricoltore per raccogliere diligentemente tutte queste sostanze. Un' altra cura sulla quale deve essere rivolta l'attenzione dell'agricoltore si è l'orina tanto degli uomini quanto degli animali. Essa contiene molto azoto e serve mirabilmente per innaffiare quelle piante le quali stentatamente procedono ; come sarebbe il cap-pucio ed il frumento quand' è ancor giovine. Però per adoperare con profitto 1' orina, bisogna servirsi di due espedienti: o innaffiare con essa le piante dopo una sufficiente pioggia, oppure aggiungervi in suffic:eute quantità dell'acqua; altrimenti l'urina si renderebbe dannosa e le giovani piante facilmente perirebbero. §. 5. Sostanze organiche vegetali. Alle sostanze organici» vegetali appartengono: il sovescio di piante miglioratrici, del quale già tenemmo parola: poi la paglia, la vinacce, le panello dei diversi semi oleiferi, la polpa delle frutte, dopo aver estratto lo spirito o il sidro, l'acqua nella quale si macera il lino e la canapa, la scorza delle piante che servono per estrarre la tintura o per conciare le pelli, e da ultimo le foglie ed i ramoscelli. Di queste sostanze quantunque il semplice agricoltore le può raccogliere a poco a poco, tuttavia alla fine dell'anno, cento piccoli gli ha formato un grande, ed è perciò che deve diligentemente raccoglierle, e non avendo un luogo a parte, gettarle nel letamajo. In alcuni luoghi poi dove gli agricoltori sono più intelligenti, e conoscono molto bene l'importanza del letame, trovarono un mezzo come averne del buono e molto efficace colle sostanze vegetali. Ecco ora il metodo: Si raccolgono 1000 chil. di foglie e ramoscelli verdi, oppure 500 secchi (piallature del legnajuolo 0 i tutoli del frumentone) ; poi in un vecchio tino si versano 450 litri di acqua ed in questa si stemperano 25 eh. di filligiue, 200 eh. di gesso iu polvere, 30 chil. di calce viva, 60 chil. di cenere di legno, 5 chil. di sale grosso, 2 chil. di salnitro ordinario e 2 ettolitri di pollina o colombina. Con questo miscuglio si innaffia ripetutamente la massa 'la quale dopo poco comincia a fermentarsi ed in 20 giorni circa di tempo il tutto si riduce in buonissimo letame. §. 6. Sostanze inorganiche. Alle sostanze inorganiche appartengono: la calce viva, il calcinaccio, le ossa degli animali, la cenere, il gesso, la filligiue, il sale di cucina, la polvere delle strade ed il fango. Tutte queste sostanze non servono per somministrare il nutrimento alle piante, ma sono quali correttivi, senza i quali il terreno anche il più fertile e sempre bene letamato, coli' andare del tempo s'indebolisce nè più si presta per qualsiasi coltura. Importantissimo si è adunque di conoscere il valore delle sostanze inorganiche, perchè da queste dipende la buona conservazione dei propri terreni. La calce viva serve specialmente per correggere 1 terreni silicei ed argillosi, e si adopera con buon effetto per i cereali, per i vignetti e per l'erba medica, come pure dove si trovano gelsi, limoni e tabacco. Per un ettaro bastano 120 ettolitri di calce e questa serve per 5 e 6 anni. Neil'adoperare la calce bisogna badare: I che sia calce viva ed appena estinta; II che sia ridotta in polvere minuta; III di attendere sempre l'autunno, e poi nella seguente primavera letamare il terreno ; e IV di sotterrarla a poca profondità. Il calcinaccio supplisce iu parte alla calce viva, però bisogna adoperarlo in doppia quantità che non la pri- ma. Le ossa degli animali, che dagli agricoltori per lo più vengono trascurate o a vile prezzo vendute, sono esse pure importantissime nell'agricoltura. Per adoperarle però con buou effetto, bisogna ridurle in polvere ; ed tal'uopo si cucinano e poi si pongono in un forno caldo ed allora divengono molli o facilmente si possono battere e ridurre in polvere. Per un ettaro di terreno bastano 500 chil. di polvere d'ossa, e queste servono per 4 e 5 anni. Anche colla polvere d'ossa bisogna seguire le regole dette per la calce. (Continua.) Bibliografia Rime in dialetto veneto di Polifemo Acca. — Trieste Stabilimento tip. Appolonio e Caprin, 1875. Ci gode l'animo nel poter pubblicare la seguente lettera al Redattore, perchò i nostri associati avranno grandissimo piacere di tornar a leggere i briosi scritti dell' egregio corrispondente che da tanto tempo si era fatto muto. Pregiatissimo Signor Nicolò La si rammenta Lei di quell'arguta ironia del Manzoni quando, per spiegare la baggianata che Renzo s'era lasciato sfuggire nell'osteria della luna piena, dice che "presso il volgo poeta significa un cervello bizzarro e un po' balzano, ecc.; poi, facendo le viste di disapprovare il vezzo del volgo che manomette le parole, scappa fuori con quella stupenda osservazione : "Perchè, dico io, cosa ci ha che fare poeta co'n cervello balzano?. Ebbene ; quell'ironia lì, chè tanto più potente quanto più la si presenta con una cert'aria tra furba e ingenua, a me, fin dalla prima volta che la lessi, m'ha fatto una profonda impressione; e dall'ora in poi quando mi vieu fatto di sentire pubblicata qualche nuova poesia, quel poeta e quel cervello balzano mi si riaffacciano subito alla mente e mi distolgono dal leggere le ciance rimate dalle quali sto poi lontano anco perché un po'd'esperienza m'ha insegnato che, novantanove su cento, la definizione del Manzoni la ci quadra a capello. Non le farà dunque meraviglia, caro signor Nicolò, se le dico che m'è avvenuto lo stesso a proposito della recente pubblicazione delle Rime in dialetto veneto di Polifemo Acca; alle quali confesso di non ci aver posto mente da principio, e se non fosse stato che un amico me le ha cacciate in mano e dettomene uu mondo di bene, io non le avrei lette punto. E qui prevedo uua sua osservazione. I giornali di costà, dirà Lei ne hanno pur fatto cenno e le hanno lodate. Sissignore, le hanno annunziate e lodate ; ma che vuol Ella? io, con tutto ciò, senza la dolce pressione dell' amico, non mi sarei indotto a vincere cotesta mia a-bituale ripugnanza, prima perchè i giornali che fanno professione di politica le cose di letteratura giudicano ordinariamente a occhio e croce ; e poi perchè essi, nel caso nostro, riassumevano le lodi con queste parole : Chi vuole passare un'ora allegramente legga le rime di Polifemo Acca. Io non nego che passare un' ora allegramente la non sia una gran bella cosa, so anzi che la vita ha bisogno di un qualche trastullo come per medicina ai molti malanni cui è soggetta, so che il riso, per parlare il linguaggio mitologico, rinforza lo stame della vita, che nou è piccolo vantaggio, per chi ci si trova bene, nè ignoro che Orazio lascia libera scelta a' poeti di giovare o di dilettare - Aut prodesse volunt, aut delectare poetae -, ma io, a coloro che mirano al solo diletto, preferisco quelli che tendono più alto, quelli che studiano di pigliare due piccioni a una fava, che 1' u-tile uniscono col dilettevole; insoma, per tornare a 0-razio, - Aut et iucunda et idonea dicere vitae. - Comunque però sia di queste mie opinioni, o se vuole sofisticherie, basta eh' io ho lette le Rime di Po-lifemo Acca, e che ne sono rimasto molto soddisfatto, perchè, sotto il velame di que' versi berneschi, ci ho trovato uno scopo nobile e generoso ; onde chi disse che dilettano, tenga pure che, non è andato più là della buccia; dilettano certamente queste Rime, ma nello stesso tempo pungono la parte loro; di sorte che a più d' un lettore sarà morto il riso sulle labbra, a-vendoci scorto tra verso e verso il noto -Quid rides? mutato Nomine de te Fàbula naratur. - Oom'Ella vede, qui c'è il castigat ridendo mores (mi perdoni Orazio se lo tiro sempre in ballo); e a questi patti sto anch' io col Guadagnoli : „ Eh! lasciata pur che le straniere genti Abbian di cupe idee pieno il cervello ; Ma noi d'Italia ecc. . . . D'indole dolce e pronti all'allegria Perchè mentir l'ilarità natia ? „ E I* ilarità il nostro Polifemo non la mentisce quasi mai; di che se io volessi addurre esempi, mi bisognerebbe trascrivere la maggior parte delle Rime, cosa, com' ella sa, eh' è contro alla proprietà letteraria, è inutile per Lei che avrà comperato o comprerà di certo cotesta raccolta. Tuttavia, se me lo permette, un passo glielo vo' indicare. Prendiamo In morte d' un gato. Guardi, la prego, com' è ben simulato il dolore, con che gradazione vada crescendo. La non s' intenerisca però, chè è tutta uua burla. Diffatti lo stesso autore, dopo quel po' di lagrime, si rassegna, e finalmente esce a dire : „ Scoazzer, portelo via , Dal dolore alla rassegnazione, dalla rassegnazione alla indifferenza, dall' elegia al comico. Osservi come la chiusa muti improvvisamente la direzione delle idee, osservi come il contrapposto faccia scoppiare il riso. Sarà una mia debolezza, ma io credo che questa chiusa nou sia per nulla inferiore alla celebre del Guadagnoli: „ E tosto allor proruppe: o serra l'uscio. » In questi giuochi di contrapposti e di antitesi pare a me ci si riveli l'ingegno superiore di Polifemo Acca ingegno di vero artista. Dalla celia egli passa all' ironia, e ci riesce benissimo. Ecco com' e' parla di sè : „ ... la mia stela malaudreta M' à regala più pevare che sai. „ Quanto a pepe, è vero, e' lo si sente pizzicare qua e là ne'componimenti di lui; ma non creda eh'ei sia scipito : non gli dia retta, caro amico, è la modestia che parla; e quanto e bella la modestia in bocca all' autore, altrettanto è bella la verità sulle labbra del critico ; e la verità è questa, che la sua stella gli ha regalato molto sale e del buono, e eh' egli ne ha fatto buon uso, ne ha conditi i versi con tanta maestria e con tanto giudizio che sono usciti ghiotti e saporitissimi. Legga per esempio, questa sestina, e poi me ne darà novelle. L'autore racconta che una volta, u- scendo di notte tempo, andava armato di pistola: „ Ma dopo che un moderno Beccaria Co tanto de parole m' à spiegà Che prima de servirse de cnlia Bisogna vardar ben quel che se fa, E uo inarcarla e manco tor la mira Fina ch'el ladro no ve dise tira! „ Lasciamo stare l'armonia del verso, guardi che finissima ironia contro le sottigliezze legali! Guardi quanto sale nell'ultima terzina del sonetto la Versomania : „ Se no se nati co un tantin de vena, Ve garantisso mi che no fare Che un mar de versi co tre dei de giazzo. „ Altro che sale! qui c'è un intero trattato di poetica e certi chiaccheratori di versi questa sentenza dovrebbero ficcarsela ben bene nella mente. Già l'Aretino avea detto: "0 turba errante, io ti dico e ridico che la poesia è un ghiribizzo della natura nelle sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio ; e mancandone, il cantar poetico diventa un cimbaio senza sonagli, e un campanil senza campane ; per la qual cosa chi vuol comporre e non trae cotal grazia dalle fasce, è uu zugo infreddato. „ Belle e vere anche queste parole, ma zugo infreddato dice assai meno di un mar de versi co tre dei de giazzo, eh'è immagine più propria e più potente. Ne conviene Lei? Guardi che pennellata nella Marantega : " Co la ve mostra quel bruto mostazzo La ve par l'ira de Dio depenta a sguazzo ,, E del Sbraion, dopo che ha vuotato il sacco, che dice Lei? " Guai se me salta, sa, la mosca al naso . . . Ma xe Pasqua, e me devo confessar Per questo ingioto, compatisso ... e taso „ Dall'irò aia passa alla satira. È l'autore ebo pula. " So che no son el fior de sani' Antonio Che spande per la casa odor de bon, Ma uu' erba spina che ve ponze ' 1 naso „ E punge davvero; ma non con quell'acerbità, nè con quella sgarbatezza che parrebbe dal paragone dell' erba spina. Mi dica Lei : o chi lo vorrebbe sotto il naso quando e' fosse così ? Eppure molti lo gradiscono, lo tengono caro e meritamente, perchè s' ei punge lo fa con disinvoltura, con grazia, con brio; viene innanzi con una tal quale bouamia, con un risolino innocente, da dire che il canzonato è lui ; e li rallegra cou motti arguti, con celie sottili, con mille piacevolezze, solletica col verso armonioso e limpido, e si sta ad ascoltarlo tanto volontieri quel burlone! e si ride, si ride; poi, che è che non è, ci scappa un grido: Diavolo d'un poeta! me l'ha fatta, pareva una carezza ed è stata una pulcesecca. Appartengono a questo genere El baron, El Prete e 'l Zornalista, El Zornalista e 'l Prete, L' incognito, I Politicanti, El mecanico, El Codon e molti altri sonetti che hanno la chiusa pepata e salata. De' Politicanti, veri eroi da poltrona, come li chiamò il Giusti, l'autore dice: " Quando i governi voi catar barufa, Che i meta su un milion de sti soldai : * Ziogo la testa che la_J>a&&_è fata._„ Ma notevole la chiusa del Prete e del Zornalista. Il Prete comincia col lagnarsi che l'antico compagno (il Giornalista) lo tratti con sussiego, poi si duole di veder negli scritti di lui compromessa la chiesa, gli concede fin a un certo punt > di dir corna de' vescovi : 11 Ma entrar nel sacro tempio co violenza E profanar la cotola del prete, Bepo .... no go bevù . . . xela coscienza ? „ Quanta malizia in quel no go bevù 1 A volte la satira divien pungente davvero. Ecco qua 11 Zerbinoto. Quattro pennellate, e il ritratto è beli' e fatto. Noto subito el fianchete balarin che a me pare più espressivo dei lombi procaci d' un altro autore. Lo accompagna al Corso e alla trottata a Sant' Andrea. Quivi la cavalla aombra, onde " El cavalier che se la vede bruta Spasemà se ghe ciapa a brazzocolo, In sin che tuta alegra la cavala A son de tromba se lo porta in stala. „ Su questo povero Zerbinoto 1' autore ha sparso il ridicolo a piene mani e colma lo staio con quel a son de tromba, che è il verso, com' Ella sa, che fa il Bar-bariccia nell' Inferno di Dante. Nella Mima selerata c' è delle sferzate che [lasciano i lividi. Poveri putei come li ha conciati per il dì delle feste! Osservi, di grazia, la Venere de stuco, la Sborgna diplomatica ; legga il Codice d' un omo de spirito, dove troverà una frase felicissima L'ongia del ladro soto i guanti sali. Avevamo i martiri in guanti gialli di Beppe Giusti, ora abbiamo anche i ladri. Se vuol sentire la satira amara e giovenalesca legga La Birba ; sopra tutto poi le raccomando il Giuda. Tò, un sonetto su Giuda ! pensai la prima volta che mi cadde sott' occhio questo titolo. Vediamo quel che ci sa dire Polifemo su cotesto argomento; l'è il famoso del Monti: Gittb V infame prezzo ecc. e cominciavo a declamarlo ; ma 1' occhio e la mente correvano dietro a questo Giuda novello, e lo vedevo scappar di mano a Satana, arrampicarsi sur una ficaja, mettersi il laccio al collo e giù penzoloni. Or mentre m' aspettavo di vedergli cacciar fuori tanto di lingua, a un tratto sparisce la ficaja, sparisce, come per incanto, il personaggio storico, mi vedo dinanzi un traditore col cordone da cavaliere. Ma '1 diavolo più forca e più lezier, Rompe co i denti a la crovata il fioco E ghe mete un cordon da cavalier. „ " A vent' anni pare nn sogno la morte E pur si muore. „ Questo solo verso, mi diceva un giorno un amico, basterebbe per dichiarare poeta Teobaldo Ciconi. L' ultima terzina del Giuda, dico io, basterebbe per dichiarare poeta, Polifemo Acca; il cui ingegno, come abbiamo veduto, or si compiace della celia, or della canzonatura, ora dell' ironia socratica, ora della satira pungente e amara. E sia che si presenti sotto uno o sotto un altro aspetto, conserva 1' arguzia e l'urbanità quasi sempre; pregio raro, perchè la satira e il vernacolo sono forti tentazioni per indurre uno a passare la linea che divide il popolare dal plebeo, e passarla è facile quando lo scrittore non sia sorretto da molto ingegno e da grande bontà di cuore. Finita la lettura, io sono ritornato a pag. 47, e ho riletto quel vago idilio eh' è 1' Apolo in campagna. E son ritornato là perchè, dopo essermi rigirato fra tanti quadri rappresentanti le ridicole o scellerate passioni umane, sentivo il bisogno d'una poesia fresca, dolce, gentile; sentivo bisogno di respirare aure più pure, di riposare 1' animo nella beata serenità dei campi, fra le fogie e '? vento che sospira. Dunque tutt' oro di coppella ? A essere sincero, dirò che c' è dell' oro e della scoria. Vedo trattati, per esempio, argomenti frivoli, i quali, benché resi con grazia non si sollevano a generalità filosofiche, in cui sta il carattere della poesia bernesca. In qualche ritratto morale si sente più l'individuo che l'uomo, e a questo proposito, e anche per un altro rispetto, si potrebbe raccomandare al sig. Polifemo Acca la lettera 143 dell'Epistolario del Giusti, edito da P. Frassi. Anco ne'migliori componimenti si può fare qualche osservazione. La mia contrada è senza dubbio, un bellissimo bozzetto ; ma desinit in piscem, a mio parere. Da quel via vai, da quella confusione, da quell' assordante gridio, bene dipinti, si viene a una baruffa: u Svola i cazzoti ; canedindie, ombrele In fregole va su fin a le stele. ., Dal pacifico andirivieni alla baruffi è troppo breve il passo, e il lettore non ne è preparato. Poi parrebbe che tutta quella gente sia diventata a un tratto manesca e furiosa. Bisognava distinguere il bailamme d'ogni giorno da una zuffa che, per fortuna, è rara, molto più che qui finisce con un morto, che è più raro ancora. Questa scena poteva stare benissimo in un cantuccio del quadro, ma non conveniva dargli un posto così in vista nè così importante ; anche nel Giuda c' è una stonatura. Fare che lo Scariotte si rifugga nell' orto del piovano gli è un impicciolire il concetto e un abbassare il pensiero ; giacché a piovano noi uon possiamo annettere altra idea, se non quella d'una variante del tipo Don Abbondio, e quando uua tale idea possa secondare il movimento lirico del pensiero lascio giudicare a lei. Sentii dire che, c' è dei sonetti freddi, io li direi monotoni, che tali li fanno un movimento e un trotto uniforme. Giovava spezzare il verso, mutare qua e là la testura del sonetto, così il numero avrebbe ottenuto e varietà e vigore; come si vede ne' sonetti dialogati, che sono bellissimi. Rispetto alla lingua non c' è che dire, vuole scrivere in dialetto e dialetto sia; soltanto m'è dispiaciuto vederlo farsi forte d'una sentenza di Orazio, mentre Orazio parla di "subretto,, (materiam), e non di forma. A voler essere pedanti, si potrebbe dire che certe voci non avevano bisogno di spiegazione, altre, men note ai non Veneti, la richiedevano. Così la sdrondenada eh'è tolta allo Zorutti, anche de' Veneti pochi sanno che sia. A pag. 83 ricorre la prima volta la voce ingru-mar, e la spiegazione si trova a pag, 91, tontonar non significa tentennare come è detto nella nota in calce. Se io avessi voce in capitolo, raccomanderei al sig. Polifemo di correr migliori acque e di alzar le vele per usar una frase dantesca. L'ingegno lo ha, l'affetto e la meditazione gli diranno quali argomenti siano più giovevoli alla società per [la quale scrive. Da ultimo gli suggerirei di smettere il pseudonimo ; non ne ha bisogno me lo creda. E poi Polifemo non gli si affà ! Polifemo aveva un occhio solo e auche quello glielo ha spento Ulisse. II nostro ne ha due che vedono benissimo le piccinerie, le goffagini, le turpitudini sociali. Dunque si dica Giglio Padovan addirittura, e ha di che tenersene. Caro signor Nicolò, scusi la lungagnata, mi continui il suo compatimento e la ,sua benevolenza e mi creda Trieste, gennaio 1876 suo aff. amico Jac. Cavalli Cose locali Sala della Loggia. — Sul Concerto ch'ebbe luogo in questa sala la sera del 15 p. p. riportiamo dall' Unione.: "Assassini, catene e baionette . . . ma signor cronista, dove diavolo andiamo a parare ? esclameranno i trecento lettori dell 'Unione, supposto che tutti gli associati la leggano, senza limitarsi a fare un'opera di beneficenza . . . ma il cronista imperturbato continua: assassini, catene e baionette s'affacciarono più volte alla nostra mente (tra parentesi: tutti i cronisti contemporanei parlano sempre col noi come gli scettra-ti) durante le velocissime ore dell'accademia favoritaci dalla società Filarmonica la sera dei 15 corr.; e non per l'associazione delle idee ( grazie tante ! altra esclamazione dei trecento) ma per un ricordo storico sbucatoci improvvisamente da un recondito ripostiglio della scatoluccia dei pensieri. In questa medesima sala, ove ora Euterpe ci procura ogni qual tratto sollievo e spasso, ai bei tempi del Regno d'Italia (come li chiamano i nostri vegliardi ancora entusiasti) vi regnava l'inesorabile Astrea, v' erano le Assise. Alla parete d'occidente, presso la quale suona l'orchestra, sedeva la Corte; dove adesso pompeggia ed olezza il bouquet centrale costituito dalle dame, stavano sbigottiti o truculenti gli accusati; ed alla porta si pavoneggiava l'usciere togato colla mazza. Quale mutamento! Oh la fatale incostanza degli eventi! (nella quale moltissimi sperano, soggiungeranno probabilmente tutti i trecento). Nel volo dei secoli quante volte essi si cangiano, si modificano e si ripetono più o meno compiutamente ! Quindi nessuno dovrebbe trasecolare se un giorno venissero . . . ossia ritornassero ... le Assise in questa sala. Entriamo nel solco eh'è tempo; ma vi entriamo perplessi, poiché non avendo potuto intervenirvi il nostro consunto relatore musicale, ed essendo noi profani, abbiamo dovuto raggranellare quà e là i giudizii di varii intelligenti e metterli insieme come le nostre deboli forze lo consentirono. Possa questa franca e dovuta confes sioue implorarci indulgenza. L'orchestra sotto l'elegante impulso del valentissimo maestro Angelo Montanari (di rado il superlativo dell' epiteto è giustificato quanto in questo caso), il quale sembra trasfondere colla punta della bacchetta le maggiori virtù musicali, suonò briosa e pienamente intonata due belle Sinfonie una in Do di F. Vanduzzi e una in Sol minore del conte Stefano Rota di Pira-no ; la seconda di grande effetto perchè di grande studio, grandiosa e di belle ispirazioni, specie nell'adagio ; e non altrimenti poteva riuscire un lavoro di un poeta quale è il sig. conte Rota. Applaudite esecuzioni dell'orchestra furono ancora il "Coro e duetto, nella Norma-, e qui meritano particolare menzione i due flauti, cioè il marchese Antonio Gravisi (Norma) ed il prof. Stefano Persoglia (Adalgisa) ; e la marcia Alpi Giulie del maestro Montanari in cui a felicissimo saggio di melodia se ne unisce uno di ammirabile contrappunto ; c' è in essa un' avvicendamento di entusiasmo e mestizia che si diffonde nell'animo di tutti. Due care giovanotte le signorine Lauretta de Belli e Marianna Bratti cooperarono col suonAdel pianoforte a rendere il trattenimento ancora più leggiadro, 1' una mostrandosi dapprima brava accompagnatrice negli ardui fiori Rossiniani del Cavallini che il Montanari eseguì col clarino da "peritissimo concertista, fé queste due parole ci furono suggerite da tutto t' uditorio) ; e poscia di-simpeguandosi sola nell'andante di J. Ascher sulla Lucia di Lamermoor con tocco agile e preciso — l'altra facendoci udire una fantasia zeppa di malagevolezze di Ketteler sull' Africana, che superò con molto slancio riscuotendo lunghi e generali applausi. Il programma era ancora costituito da un centon» sull'opera Un ballo in Maschera concertato colla solita eccellenza d'arte dal Montanari, ed eseguito egregiamente dai signori Nicolò de Belli (violino), march. Antonio Gravisi (flauto), maestro Montanari (clarino), prof. Stefano Persoglia (pianoforte), Vittorio Scainpic-chio (violino), prof. Federico Simzig (viol. di concerto). L'allegro convegno finì in mezzo alla generale soddisfazione, e lasciò desiderio intenso che altri simili e frequenti ne avvengano.,, AVVISI_ Giornale d'agricoltura, industria e commercio del regno d? Italia Serie nuova anno 1876. Si pubblica regolarmente il 10, 20, e 30 d'ogni mese. — Forma tre volumi all'anno con Copertine ed indice costituito ognuno di 12 fascicoli : cioè un volume di pagine 384 ogni quadrimestre. L'associazione è annua, da Gennajo a Decembre; si pagano anticipate Lire 20 per tutta Italia {latria compresa). — Ufficio del giornale e indirizzo per la Direzione, Amministrazione, Annunzi e Ufficio commissioni : Prof. Botter Via Zamboni 2542 — Bologna. Per Trieste e l'Istria presso il prof. Nicolò La-risch in Trieste via Lazzaretto vecchio N. 11 Libertà e Lavoro giornale premiato all' Esposizione Triestina del 1871. Si pubblica a Trieste il IO ed il 25 d'ogni mese. Prezzo d'abbonamento: per Trieste un anno f. 3, sei mesi f. 1.50. Per i paesi soggetti alla Monarchia austriaca: un anno f. 3.30 sei mesi f. 1.75. Un numero separato soldi 20, arretrato soldi 30. Pel Regno abbonamento annuo L. 10. PRESSO LA DITTA BOUSQUET & COMP, Ferramenta e Metalli IN TRIESTE trovansi al minor prezzo i IUOVI PESI E MISURE NONCHÉ BILANCIE DECIMALI