SEGUIAMOL 0 ! - ■ ■ ■■■ ■' ... .L - <# JANKO IL MUŠICO terza edizione, aggiuntotfi il bozzetto del medesimo autore L’ ORFANELLA dfc & Traduzlone del sac. I. TRINKO UDINE, 1909 * $ TIP. DEL PATRONATO E. SIENKIEWICZ Seguiamolo JANKO IL MUŠICO terza edizione, aggiuntotfi il bozzetto del medesimolautore L’ ORFANELLA Traduzione del Sac. I. Trink o UDINE TIPOGRAFIA DEL PATRONATO 1909 . Traduzione riservata a norma di legge SEGUIAMOLO ! FREFAZIONE ALLA 5EC0NDA EDIZIONE -- II Quo vadiš ? occupa da un anno la critica italiana in modo straordinario. Come tutti i Ja¬ vori buoni, suscito discussioni feconde, e chi ne analizzo 1’ arte, chi ne studio 1’ambiente storico; i piu elevandosi a considerazioni piu alte, dalle quali appari, colla opportunitk del libro, la ra- gione intima del suo successo. E a questa ven- tata d’ aria sana, che invase ad un tratto il nostro ambiente artistico, ammorbato da un graveolente naturalismo alla Zola, da una faticosa analisi alla Bourget, da una vacua cabala simbolista alla d’Annunzio, tutti ši scossero come ricreati, e domandarono con sorpresa piena di compia- cimento: ma chi e questo polacco, questo bar- baro, che ci disvela con improvviso folgorio quanto cristianesimo latente ci sia ancora nelle nostre anime moderne ? E si volle conoscerlo, ■e si ricercarono altri lavori di lui, e si tradusse — 6 Senza dogma '), la famiglia Polanieski, Bartek, it vincitore, e si sta ora traducendo 1’ epica trio- logia polona: Ogniem i mieczem (a ferro e a fuoco), Potop (diluvio) e Pan Wolodyjowski (il signor Wolodyjowski). Eppure noi friulani conoscevamo il Sienkiewicz prima ancora deli’ apparizione del Quo vadiš ?. L’ onore di aver dato a noi, e, čredo, ali’ Italia la prima traduzione di un suo lavoro, spetta a un sacerdote nostro, al valente prof. d. Giovanni Trinko del seminario. Sei anni or sono, egli traduceva pel ‘ Cittadino’ un breve racconto del 1 omanziere polacco : Seguiamolo / che venne rac- colto in volumetto e poi tradotto anche in latino sulla r Vox Urbis ’ di Roma. Ma nella febbrile ricerca dei lavori dello Sienkiewicz, chi si ricordo ora del piccolo Seguiamolo! cosi semplice e cosi profondo, e nella sua bella veste ilaliana, cosi snello e vivace? Che sia dunque la benvenuta questa nuova edizione del caro racconto, tanto piu che essa ci reca qualche cosa di nuovo: un grazioso bozzetto dello scrittore polacco. Io spero che šara accolta con viva soddisfazione da tutti gli appassionati di cose belle, da tutti i biso- gnosi di voci buone, cosi rare — purtroppo — i) Non so perche il traduttore, certo Cidmpoli, muto il titolo Bez dogmatu (senza dogma) in oltre il mistero. — 7 — oggi nell’ arte; e che servira nello stesso tempo a chiarire gl’ intenti di Enrico Sienkiewicz nel Quo vadiš? travisati di questi giorni da pole- miche incresciose. Di fatto Seguiamolo !, pur nella sua brevita segna un momento importante nell’ opera dello Sienkiewicz, pero che mi pare il nocciolo pic- colo e sano dal cui seme germoglio maestoso il Quo vadiš?. Leggendo in fatti quelle poche pagine piene di vita cristiana, in cui 1’ autore nella pittura deli’ ambiente greco-romano nascose la sua poderosa erudizione, individuandola, direi quasi, nel fatto e ne’ caratteri, e difficile non pensare che non gli balenasse, fin d’ allora che le scriveva, una piu larga concezione artistica di quel luminoso primo secolo deli’era cristiana. Semplicissima e la trama del racconto, anzi non \ v’ ha quasi trama. E la storia di tre creature che si elevano dal cupo fermento in cui brulica il nrondo antico, spinte da una aspirazione in- quieta ed immensa verso qualche cosa di inaf- ferrabile: un patrizio romano, un filosofo greco, e una fanciulla malata. Tre creature vive e tre simboli insieme: la forza romana, la sapienza ellenica, e quel male lento e inesplicabile che le consuma e le rende impotenti. Noji sei tu solo che soffri: soffre in te F onima del mondo, dice Timone a Cinna in quel doloroso dialogo sulla — 8 — riva del mare, interrotto da silenzii lunghi, da sguardi ansiosi sulla superficie delle acque infi- nite. E Cinna sente un sollievo, come se comin- ciasse a dividere con tutto il mondo il suo ter- ribile peso. Vi alita dunque lo stesso pensiero, la stessa aspirazione che nel Quo vadiš ?. Ma mentre nel Quo vadiš ? 1’ aspirazione parte dal sentimento invadendo a poco a poco il pensiero, qui invece la ricerca penosa del pensiero si riflette sul sentimento per giungere al punto stesso, alla quiete di tutto 1’ essere nel supremo appagamento delTanima. E vi giunge a quel modo che solo poteva giungervi. Quando i tre predestinati hanno veduto passare dinanzi a loro il volto divino e sanguinante del Redentore, sul quale il sole manda sinistramente i riflessi rossastri del manto, la tensione delle loro anime si allenta; Antea non vede piu gli spettri che la perseguitano, e, nel meriggio primaverile, ali’ ombra del fico prediletto, si protende con tutta 1’anima verso la visione divina che le si riafaccia. E gli mi chiama a se, esclama moribonda e raggiante la fanciulla. E Cinna pallido geme: Ebbene! se egli ci chiama, seguiamolo ! Come si vede, nulla di piu semplice e di piu grandioso. Io non conosco altro lavoro moderno in cui il sopranaturale sia piu nettamente af- — 9 — fermato senza ledere le ragioni deli’ arte che ha bisogno deli’ umano. 11 Sienkiewicz ha compreso mirabilmente 1’ armonia tra il nadirale e il di¬ vino ed ha reso, con intuizione profonda in Cinna e in Timone, con rappresentazione sim- bolica e pur viva in Antea, la condizione tra- gica di tre anime che cercano sempre, che sempre aspettano, e non sanno che cosa, get- tandosi verso 1’ignoto con isforzi angosciosi ed incoerenti dei quali soltanto nel sopranaturale che sottentra alla impotenza deli’ umano, si scopre la stupenda armonia. E il divino, che 1’ arte non ha potuto rappresentare se non di scorcio, entra come im’ ondata possente nell’ a- nima, che riconosce in esso quella cosa vitale cercata e aspettata da tanto tempo, e tutta vi si abbandona colla calma serena della fanciulla greca. Questa e 1’ armonia, profondamente sentita dall’anima, che si distende sul Seguiamolo! e che critici troppo ristretti e analitici non vol- lero vedere nel Quo vadiš? paghi di racimolare delle brutture sul Palatino o nella časa di Pe- tronio. E i due lavori si completano a videnda: nel Quo vadiš ? 1’ ascensione del sentimento a un amore che trascende 1’ umano: nel Seguia¬ molo/ la rinnovazione della coscienza dinanzi alla verita. In questa differenza sta il carattere 10 diverso dei due Iavori. Se il punto di vista da cui 1’ autore considerava la rinnovazione cristiana nel Quo vadiš ? lo tiro allo studio deli’ ambiente, forzandogli talora la mano in quelle pitture po- tenti e disgustose, che rendono a parecchi pe¬ rico losa la lettura del romanzo, un diverso punto di vista lo trattenne nel Seguiamolo / alla severa analisi del pensiero, nella cui faticosa ascen- sione si divinano i fremiti angosciosi che scop- piano dalla corruzione di quel mondo impotente. Cosi il piccolo racconto, pur tra mezzo ali’ an- goscia che spira, e avvolto da una certa sere- nita mistica, e, senza le urtanti crudezze del Quo vadiš?, risponde del pari ai bisogni delle anime moderne. Dopo cid puo sembrare superfluo il parlare degli speciali pregi artistici del lavoro. Diro soltanto che 1’ autore del Quo vadiš ? si sente a ogni passo: la stessa serena obbiettivita, che rende piti feconda 1’ impressione complessiva, la stessa cura dei particolari maestri che svelano tante cose tacciute, la stessa potenza descrittrice che si rivela specialmente nella grandiosa scena del supplizio di Gesu, piena di tanto senso sto- rico, di tanto colore locale, di tanta arte evo- catrice. E non voglio omettere un particolare stupendo. Tra quella turba cosmopolita e odiosa, dalle faccie curiose o frementi, tra tanta mistura d’odio incosciente e di arcigna indifferenza, ci si presenta ad un tratto — come raggio di sole nella tenebra — la bellissima situazione di Antea, che nello spossamento in cui langue, balza con un impeto improvviso di vigore, strappa i gia- cinti e i fior di melo che adornano la sua let- tiga, e, tra il subito silenzio della turba istupi- dita a quell’ atto, li getta a piedi del Redentore il quale si volge a guardar lei che mormora fiocamente: Tu sei la verita! Mirabile partico- lare che ha insieme la vivezza della verita e la solennita del simbolo. Non e forse vero che tutto cio che restava di sano nella bellezza e nella sapienza antica, veniva a infiorare la via del divino condannato del Golgota? Io penso qui mestamente, ma non senza spe- ranza: quante fonti d’ arte dischiuse dal cristia- nesimo, zampillanti prima sommessamente, poi traboceanti come torrenti alPuscire del medio evo col poema di Dante, restarono sepolte sotto i bagagli accademici del rinascimento! La no- stra letteratura occidentale non pote piu scuo- terseli di dosso, e, pur proseguendo mirabilmente nella perfezione della forma, se li trova sempre appiccicati. E bene che ora, alPaprirsi del se- colo XX, noi che ci troviamo con un’ arte che parla piu che non senta, tendiamo le orecchie alle voci di promessa e di speranza che ci ar- 12 rivano da ogni parte, e non per opera del Sien- kievricz soltanto. Abbiamo fatto evidentemente un lungo giro, e arricchiti di molte conquiste, siamo avviati a un benefico ritorno. La paren- tesi del rinascimento va faticosamente chiuden- dosi, e 1’ idea cristiana riappare anche nell’ arte piu luminosa in mezzo alle conquiste fatte. Che ben venga! II nostro povero mondo latino ne ha tanto bisogno. * * * Aggiungo qui qualche cenno biografico sul Sienkiewicz. Enrico Sienkiewicz nacque nel 1849 nel villaggio di Wola Okrzejska nella Podlasia, fece i suoi studii ali’ universita di Varsavia, e ne usci laureato in filologia nel 1872. Collaboro subito nella Gazzetta polacca, e tra il 1876 e il 1878 fece un viaggio in America. Percorse anche tutta 1 ’ Europa, fermandosi lungamente a Parigi e a Roma. Le prime sue opere furono novelle e bozzetti umoristici a cui avea atteso fin d’ allora che frequentava 1 ’universita. Dopo il ritorno in pa- tria scrisse tra 1 ’ altro Janko muzykant (Giannino il mušico) unito alla presente edizione, e il Se- guiamolo! Finalmente sul giornale polacco Sloivo (la parola) apparve nel 1881 la prima parte — 13 della trilogia, seguita poi dalle altre. Nel frat- tempo su altre riviste altri lavori, tra cui la graziosissima Hania (Anna). Importante e pure un suo studio letterario, vivacissimo assalto alla turpe scuola naturalistica dello Zola: notatelo voi che trovate la pornografia nel Quo vadiš ?. Pubblico alla fine il Quo vadiš?, la famiglia Polanieski, il Senza dogma. In quest’ ultimo mo- stra 1’ infelicita a cui riduce lo scetticismo, negli altri due rivela le bellezze di un ideale cristiano. Il fecondo scrittore attende ora alla ristampa delle sue opere complete, mentre sull’ Illustrovoani Tigod?iik si pubblicano gli ultimi capitoli del suo nuovo romanzo I Crociati. Di questi giorni poi usci in russo e in qualche altra lingua un nuovo suo piccolo racconto: Sull’ Olimpo, in cui torna con evidente predilezione al tema del cristianesimo primitivo, rappresentandoci s. Pie- tro e s. Paolo di fronte alla Grecia fascinatrice. Se il traduttore del Seguiamolo ! potesse darcelo in italiano ! TJdine, maržo igoo. Sac. G. Ellero professore del seminario. Caio Settimio Cinna era un patrizio romano. Aveva passato la sua gioventu nelle legioni in mezzo alfaspra vita militare; dopo di che s’era ritirato a Roma per poter ivi farsi bello degli acquistati allori, e godersi a suo talento 1’alle- gra vita mondana usando del le sue fortune, grandi bensi, ma non piu intere. E difatti egli godeva fedelmente, anzi di la delPonesto, di tutto cio che la gran capitale sapeva offrire ai favoriti dalla sorte. Passava le notti banchet- tando nelle magnifiche ville suburbane; di giorno visitava i Ianisti, disputava coi retori nei tepi- dari, ove mettevano Capo tutti i pettegolezzi, tutti gli aneddoti, tutte le novit& non solo di Roma, ma per cosi dire, del mondo intero. Ap- pariva negli ippodromi, nei circhi, nelle arene dei gladiatori, in mezzo ai tibicini greci, alle maliarde tracie, o in mezzo alle saltatrici, con- dotte a Roma dalle isole deli’Arcipelago. Con- — i6 — giunto per parte di madre al celebre Lucullo, aveva ereditato da lui la volutta dei cibi preli- bati. La sua mensa era sempre fornita di vini greci, d’ ostriche napolitane e delle piu appeti- tose rarita dei piu remoti paesi: tutto cio che di piu squisito potevasi trovare in Roma, tutto era riservato per Cinna. Egli pero non riempi- vasi smoderatamente di quel ben di Dio, come avrebbe fatto un ingordo legionario, ma se ne serviva da giudizioso patrizio. Sforzavasi di per- suadere a se stesso, ed era forse persuaso dav- vero, di amare le belle arti. Sapeva parlare in- torno alle piu peregrine cose ed appariva un dilettante erudito conversando coi vecchioni sdentati, che a mensa studiavansi di ricoprire la propria calvizie con delle corone di flori, e dopo il pasto masticavano il flore deli’ eliotroprio, per profumarsi piacevolmente 1’ alito. Conosceva le bellezze dell’epoca ciceroniana ed animirava i versi di Orazio e di Ovidio. Educato da un retore greco, parlava con eleganza la lingua attica e sapeva declamare brani interi deli’ Iliade, e nei banchetti cantava le canzonette d’Ana- creonte fino a diventarne rauco, o fino a che non ruzzolava in terra soprafatto dalle abbon- danti libazioni. Di filosofia ne sapeva tanto, da potersi rendere conto del nesso logico fra le di- verse parti deli’Iliade. Conosceva inoltre molti — i7 — settari, ma non era loro largo di simpatia, per- che sembravagli che simile genia facesse piu della politica che altro, e d’ altronde li consi- derava come insipidi pedanti e nemici dell’al- legro vivere. Piu di frequente sedevano alla sua mensa gli scettici, i quali fra piatto e piatto andavano escogitando sistemi interi, procla- mando, colle coppe ricolme in mano, il diletto esser un’ arte, e 1’ ultimo fine per un vero filo- sofo esser riposto nella calma della morte. Cinna ascoltava tutto, ma pero simili chiac- chiere non lo impressionavano gran fatto. Egli non aveva nessun principio, ne desiderava punto di averne qualcuno. Riguardava la vita come un mare or piu or meno in tempesta, e tutta la sua filosofia consisteva per lui nel saper andare innanzi barcheggiando a seconda dei venti. Inoltre aveva in gran pregio le spalle ben ri- quadrate, quali appunto erano le sue, gli sto- machi da struzzo, come il suo, le belle teste ro¬ mane dal našo aquilino, precisamente come la sua; con queste buone., doti si poteva, a parer suo, tirare innanzi discretamente. Non appartenendo formalmente alla scuola degli scettici, era pur tuttavia scettico nella vita pratica, e, come cio non bastasse, aveva intorno non poco deli’ epicureo, Non prestava fede agli dei e non credeva nelle buone opere, ne nella Seguiamolo ! — i8 — verita, ne manco nella fortuna. Come padrone, egli trattava umanamente co’ suoi schiavi, se pure non lo assaliva ufi’ira improvvisa. Era fi- nalmente del parere che 1’ uomo fosse come una cantina, la quale tanto e piu stimata, quanto piu prelibati sono i vini che vi si tengono in deposito; per la qual cosa egli aveva cura di tenere sempre ben fornita la sua. Non amava persona di sorta; era pero innamorato di molte cose, fra le quali preferiva sopratutto la sua testa e le sue snelle patrizie gambe. Nei primi anni di tale sua vita godeva di essere frequentemente oggetto d’ ammirazione pei Romani, ma da ultimo cio pure gli venne a noia. II. Finalmente col suo metodo di vita die fondo a tutti i suoi averi. I creditori lo spogliarono d’ogni cosa, e non gli rimase altro che la stan- chezza, come dopo un qualche faticoso lavoro, ed il fastidio, nonche un’ altra cosa affatto inat- tesa, un certo timore, una inquietudine interna. Aveva guazzato nelle ricchezze, servito alTamore, secondo che 1’ intendevano allora, accontentata la gola; s’aveva acquistata della gloria nelle — 19 — armi, aveva affrontati dei pericoli, aveva assag- giato in qualche modo la filosofia, fatto cono- iscenza colla poesia e coIl’arte; in una parola poteva dire d’aver tolto dalla vita un po’ di tutto quello che essa gli poteva offrire. Ad onta di tutto cio capiva da ultimo che gli mancava ancora qualche cosa, e precisamente qualche •cosa di capitale. E que!lo che era di peggio, egli stesso non sapeva bene che cosa gli man- -casse, e per quanto ci pensasse su, mai non si poteva raccappezzare. Aveva pur anche tentato di cacciarsi di capo simili fastidiosissimi pen- sieri, di liberarsi in qualche modo da quella inquietudine, ma egli era un far bučo nell’ ac- -qua! Si affaticava di persuadere a se stesso che la vita non avea, anzi non poteva avere nul- I’altro che potesse dare; ma 1’ inquietudine non lo lasciava in pace neppure allora, anzi piu e piu gli cresceva, fino a ridurlo a tal punto, da parergli che non s’ inquietasse soltanto per se, sibbene per tutta Roma. Invidiava gli scettici ed insieme reputavali pazzi, perche essi crede- vano potersi benissimo il deserto rienrpire di vuoto. Gli sembrava che in lui si trovassero -davvero due esseri, il primo pronto a mettere in ridicolo il suo timore, 1’ altro persuaso pie- .namente della ragionevolezza di esso. Poco dopo la perdita de’ suoi averi, per le 20 potenti aderenze di parentela, ch’egli aveva in Roma, Cinna fu spedito ad Alessandria in qua- lita di pretore, collo scopo precipuo di assestare in quelle ricche contrade le sue malandate for- tune. II timore, imbarcatosi con lui a Brindisi, 1’ accompagno nel tragitto ad Alessandria. Cinna pensava che, giunto in quella citta, le occupa- zioni, la nuova gente, il iiuovo mondo, le nuove impressioni avrebbero scacciato via per sempre 1’inesorabile compagno; ma s’inganno. Come il grano di Cerere, trasportato dali’ Italia nella ferace terra del Delta, vegeto ancor piu rigoglioso, cosi pure il timore di Cinna, da tenera pianti- cella, si sviluppo in poderoso cedro, cedro che proiettava un’ ombra sempre piu grande sul- 1’ animo del nuovo governatore d’ Alessandria. Dapprima Cinna tento di soffocare l’inquie- tudine col tenere quel metodo di vita, che aveva gia tenuto a Roma, cercando la pace nel godi- mento dei piaceri. Ma qui pure vedendosi ben lungi dal trovarla, incomincio a pensare al sui- cidio, iinperocche molti dei suoi compagni ave- vano terminato cosi i loro giorni: chi ucciden- dosi per noia, chi togliendosi la vita pel fastidio di dover mangiare tutti i giorni. Se lo schiavo fosse capace di brandire destramente la spada, trascorrerebbe un minuto e buona notte! Cinna avea prešo ad accarezzare daddovero questa trnova idea, e gia tutto era pronto per mandarla ad efletto, quando ne Io impedirono de’ sogni spaventevoli che ebbe. Sembravagli di passare in barca oltre un fiume, e vedeva sulla sponda opposta il suo timore in aspetto di macilento ■schiavo che gli s’inchinava dicendo: « Mi sono affrettato innanzi per attenderti da quest’altra parte. » Cinna resto atterrito per la prima volta in vita, perche capiva bene, che se, pur stando ancora al di qua, non poteva pensare senza paura alla vita di la della tomba, questa paura ■cola pure lo avrebbe senza dubbio seguito e ■viemmaggiormente perseguitato. Allora decise di entrare nella grande societa ■dei filosofi del Serapeo, sperando di ottenere da -essi la soluzione del grave quesito. Senonche essi pure nul la gli seppero dire di nuovo, e si accontentarono di dargli il titolo di sapiente, come usavano di fare sempre cogli illustri ed opulenti Romani. In conclusione quest’ era un •conforto ben magro; anzi., il titolo di sapiente, dato ad un uomo, che non poteva venire a capo di cio che piu lo angustiava ed inquietava, po¬ teva sembrare a Cinna un’amara ironia; senon¬ che egli pensando che forse il Serapeo non aveva voluto aprirgli cosi di subito tutto il sa- crario della scienza, si confortava ancora con ■qualche raggio di speranza. 22 II piu chiaro ed illustre fra quei sapienti era- il nobile Timone Ateniese, uomo ricco e suddito romano. Viveva egli gia da molto tempo in Alessandria, ove si era recato per iniziarsi alle segrete dottrine delhEgitto. Dicevasi di lui che- nella biblioteca non c’era pergamena, non pa- gina ch’ egli non avesse letto, e che in lui com- pendiavasi tutta la scienza umana di quei tempi. Ma egli oltre ali’ esser dottissimo, era ancora molto affabile e gentile, e parlava ben volen- tieri con tutti; non e dunque a meravigliarsi se Cinna incomincio tosto a preferirlo ed onorarlo- piu che ogni altro di quei dotti pedanti, di modo che non ando a lungo che trattarono fra loro famigliarmente e divennero amici. II gio- vane Romano non rifiniva di ammirare la di lui piena padronanza della lingua, e la sicurezza,. colla quale il vecchio parlava dei piu elevati argomenti, risguardanti il fine deli’ uomo e del mondo. Ma cib che lo colpl sovratutto, era un certo dolore, che traspirava da tutti i discorsi di Ti¬ mone. Quando ,col tempo fra di loro meglio si conobbero, Cinna tento piu volte di apprendere dal vecchio sapiente il motivo di tal dolore, e cerco insieme di mettergli a nudo l’animo pro- prio, finche da ultimo non gli si presento bella. opportunita di appagare le sue vive brame. — 23 — III. Una sera stavano ambidue assisi in riva al mare, vivamente disputando intorno alla tra- smigrazione deile anime; ed eccoti Cinna ad un certo punto stringere nelle sue mani la de- stra di Timone, e confessargli schiettamente cio che gli amareggiava la vita e cio che lo aveva indotto ad avvicinare i sapienti ed i filosofi del Serapeo. — Del resto, disse conchiudendo, il mio ten- tativo puo dirsi riuscito, non foss’ altro, perche qui conobbi te, o Timone; imperciocche sono d’ avviso che se tu non spieghi 1’ enigma della mia vita, nessun altro uomo potra mai spie- garmelo. Timone guardo per qualche tempo via per la tranquilla superficie del mare, sul quale tremo- lava 1’ argenteo chiaror della luna, quindi preše a dire : — Vedesti mai o Cinna, le lunghe schiere degli uccelli, che vengono a noi sul far del verno, migrando incalzati dal freddo settentrio- nale ? Sai che cosa cercano in Egitto ? — Lo so. Cercano il caldo e la luce. — Anche le anime umane cercano il caldo, che e 1’ amore, e la luce, che e la verita. Se- - 24 — nonche gli uccelli sanno bene ove debbano di- rigere il volo per ritrovare cio che fa loro d’uopo; ma le anime umane vanno correndo alla cieca per un deserto. ■— E perche, o nobile Timone, non possono trovare la vera via ? — Dapprima 1’ anima trovava la sua pace negli dei; ma ora la fede negli dei e svanita, come svanisce la neve al sole. Dopo si credette che la fonte della verita fosse la filosofia; ora tu stesso sai molto bene che, come a Roma e nell’ accademia, cosi ad Atene e qui stesso stanno assisi sulle sue rovine gli scettici, ai quali sembro alla loro volta di aver arrecata la pace, mentre in verita non ci portarono che 1’ inquietudine, rigettando la Iuce ed il calore, ossia precipi- tando lo spirito in quelle tenebre, che appunto cagionano 1’ inquietudine. Ed eccoci, colle mani allungate ali’ innanzi, cercar brancolando fra 1’ ombre una qualclie uscita. — E che ? tu pure non la trovi 1’ uscita ? — La cercai e non mi venne dato di trovarla. Tu la cercasti nei piaceri, io nella meditazione, ma ambi tuttora ci avvolge la medesima oscu- rita; sappilo bene adunque: non sei tu solo che patisci, patisce in te, direi quasi, 1’ anima del mondo. Dimmi, quando cessasti di credere negli dei ? — A Roma li adorano tuttora, anzi ne ap- portano ogni giorno di nuovi e dalPAsia e dal- 1’ Egitto; ma loro ormai non prestano fede che i venditori di erbaggi e di legumi, che la mat- tina vengono dal contado alla citta. — Ed essi soli sono davvero tranquilli. — Precisamente, come coloro che qui s’ in- chinano ai gatti. — E non altrimenti che quelli, i quali, a guisa di ben pasciuti animali, aspettano tran- quillamente che dopo il cibo venga ad abbrac- ciarli il dolce sonno. — Ebbene, se cosi stanno le cose, vale egli la pena di vivere ? — E la morte, sappiamo noi che cosa ci portera la morte ? — Che differenza passa fra te ed uno scettico? — Gli scettici si appagano, o fingono di esser paghi della tenebra; al contrario per me la te- nebra e un martirio. — E tu non vedi uno scampo ? Timone qui si tacque un poco, poi a bassa voce e quasi esitando rispose : — Lo aspetto. — Donde ? — Non lo so. Piego poscia le testa appoggiandola alla mano, e quindi, come sotto 1’ impressione del silenzio — 26 — che regnava sulla spiaggia, ripiglio a parlare a voce ancora piu bassa : — Strano, se vuoi, ma a me sembra talora che se noi potessimo essere solo cio che sap- piamo, solo cio che siamo, non conosceremmo 1’ inquietudine... Cosi da ammalati ci consoliamo colla speranza di guarire... La fede nell’ Olimpo e nella filosofia e morta; pertanto la salute deve essere riposta in qualche altra veriti, che noi ancora non conosciamo... Abbenche Cinna nulla sperasse, pure riporto da questo colloquio non poco alleggerimento. AH’ udire che non era egli solo a patire, ma che era ammalato il mondo intero, gli parve come se un peso enorme si rimovesse dalle sue spalle, per andare a gravitare su mille e mille altre. IV. Da quel giorno 1’ amicizia che legava Cinna al vecchio Greco, divenne sempre piu stretta. Spesso Tuno recavasi in časa delhaltro, e co- municavansi a vicenda le proprie idee ed in- sieme scambiavansi il pane nei conviti. Cinna era ancor troppo giovane per non trovare tut- tora un qualche allettamento nella vita; eduno ne trovo davvero in Antea, figlia di Timone. — 27 ~ Godeva essa in Alessandria una farna per nulla inferiore a quella del padre. La adoravano i Romani, che frequentavano la časa di Timone; adoravanla i Greci, adoravanla i sapienti del Serapeo, 1’adorava il popolo tutto. Timone non la teneva rinchiusa nel gineceo, come erano rinchiuse le altre donne; invece s’adoperava indefessamente per farle apprendere tutto cio che egli stesso sapeva. Era appena uscita d’infanzia, che gia legge- vano assieme libri greci, romani e perfino ebraici, imperciocche la giovinetta, riccamente dotata dalla natura, e per giunta cittadina di Alessandria la poliglotta, aveva appreso benissimo quelle lingue. Ella era pertanto la compagna de’ suoi studi; assisteva soventi volte alle dotte disqui- sizioni, che facevansi in časa sua, e non di rado trovava il bandolo nelle piu arruffate que- stioni e costringeva gli altri a tenerle dietro. Il padre ne rimaneva estatico e la venerava. Di piu ancora un non so che di misterioso e, starei per dire, di santo circondava Antea, poiche aveva piu volte dei sogni profetici, nei quali le si manifestavano delle cose invisibili agli occhi dei mortali. Il vecchio sapiente la amava come l’anima sua, e percio temeva sempre di per- derla. Ella gli raccontava molte volte, che le apparivano in sogno degli esseri malefici, ed — 28 — insieme una strana luce, della quale non sapeva dire se le dovesse essere fonte di vita, o non piuttosto di morte. Era stata sempre circondata d’ affetto. Gli Egiziani, che venivano in časa di Timone, chia- mavanla fior di loto, forse perche in riva al Nilo davano a questo Sore onori divini, o forse anche perche chi la vedeva una volta non se ne scordava piu. La sua avvenenza era pari al suo sapere. II sole d’Egitto non le aveva offuscate le guance. L’ azzurro de’ suoi occhi ti richiamava in mente il fiume Nilo, ed il suo sguardo era cosi pro- fondo, come le acque del misterioso fiume. Quando Cinna la vide e la udi per la prima volta, ritornando a časa, poco manco che non le erigesse nelle sue stanze un’ ara e non sa- crificasse in suo onore un paio di candide co- lombe. Aveva incontrate nella sua vita mille donne, dalle bionde figlie dellTdtimo settentrione, fino alle figlie delle negre numide; ma non aveva ancora mai incontrato tanta bellezza, e tanto spirito. E quanto piu di spesso la vedeva, quanto piu la udiva parlare, quanto meglio ve¬ niva a conoscerla, tanto piu rimaneva prešo da meraviglia, e quantunque non credesse negli dei, pure a certi momenti gli veniva di pensare che Antea non fosse figlia di Timone, ma figlia — 29 — d’un qualche Dio, e quindi un essere di mezzo ra 1’ umano e 1’ immortale. Ben presto si senti prešo per lei da un inat- teso, forte, invincibile amore. Desiderava d’averla in isposa non per altro che per inchinarsi libe- ramente dinanzi a lei. Era pronto a versare per lei foss’anche tutto il suo sangue, pur di poterla avere. Avrebbe preferito d’essere un accattone con P amata fanciulla, piuttosto che un impe- ratore senza di essa. E come la burrasca ma¬ rina con insuperabile violenza invade e scon- volge tutto cio che le si para dinanzi, cosi pure 1’ amore di Cinna tutta invase P anima sua, tutto il cuore, tutti i pensieri, il giorno tutto e la notte, in una parola tutto il complesso di cio che costituiva la sua vita. Finalmente la sua passione si trasfuse anche in Antea. — Avventurato Cinna! esclamavano i suoi amici. Avventurato Cinna ! ripeteva egli a se medesimo; e quando finalmente se la ebbe in isposa, quando le di lei labbra proferirono la sacra formola: « Dove sarai tu, o Cinna, lžt sarb anch’io », allora credette che la sua feli- cita dovesse essere come un mare senza misura, senza confini. — 30 — V. Passo intanto uii anno e la giovane sposa di Cinna in časa era sempre considerata come una specie di divinita. Pel marito ella era la pupilla degli occhi suoi, il suo amore, la sua luce. Se- nonche Cinna, paragonando la sua felicita al mare, non si ricordo che questo ha il suo flusso e riflusso. Una terribile, sconosciuta malattia si impadroni di Antea. I suoi sogni si cangiarono in paurose visioni, le quali a poco a poco le andavano consumando la vita. Le decadde il fiorente viso, e d’ esso non rimase altro che un diafano perlato involucro; le mani le diventa- rono lucide; gli occhi le si affossarono di molto, e le guance impallidivanle sempre piu, tanto da sembrare omai guancie di rnorto. La gente osservo che sopra la časa di Cinna andavano aggirandosi gli avoltoi, la qual cosa era reputata in Egitto come foriera di morte. Le visioni si facevano ognor piu paurose. Al- lorche il sole sul mezzodi inondava tutto della sua vivida luce, e la citta s’ immergeva in un profondo silenzio, ad Antea sembrava di udire intorno a se come de’ passi frettolosi di esseri invisibili, e nell’ aere stagnante dinanzi a lei appariva una disseccata ed ingiallita testa di — 3i morto, che la guardava co’ suoi spenti e neri occhi. E questi occhi la fissavano con tanta in- sistenza, come se la invitassero ad andar in un certo luogo, in una certa oscurita, piena di mistero e di terrore. Tutta la persona di Antea incominciava allora • a tremare, come colta da violenta febbre; il viso diventava estremamente pallido e glielo rigavano grosse goccie di freddo sudore, e 1’ adorato essere del domestico focolare cangiavasi in una debole e spaventata fanciulla, che stringevasi disperatamente al marito, ripe- tendo colle pallide labbra: « Salvami, Caio ! Difendimi! » E Caio si sarebbe aventato furiosamente con- tro qualunque mostro, fosse pur stato il piu orribile, che avesse potuto sbucare dai sotter- ranei di Persifone ; ma egli fissava iirdarno nello spazio il suo sguardo. Tutto alPintorno era, come sernpre sul mezzodi, vuoto e deserto. L’ab- bagliante luce del sole inondava la cittži; il mare sembrava quasi che bollisse sotto gl’ info- cati raggi, ed il silenzio non veniva rotto che dal gridio degli avoltoi, roteanti al disopra della časa. Le apparizioni si facevano sempre piu fre- quenti, fino a che non divennero quasi quoti- diane, ed Antea ne era vittima infelice ali’ aria aperta non meno che nell’interno de’ suoi ap- — 32 — partamenti. Cinna, consigliato dai medici, aveva chiamato dei suonatori, acciocche colla mušica soffocassero il calpestio, prodotto dagli esseri invisibili. Ma anche questo mezzo nulla valse ; Antea distingueva i misteriosi passi anche in mezzo al frastuono della mušica, e quando il sole ergevasi tant’alto sull’ orizzonte, che 1’ombra dell’uomo giacevasi ridotta quasi a nulla ai suoi piedi, allora nell’ aria, tremolante pel caldo, appariva la testa di morto e, guardando Antea, mutamente torceva addietro i vitrei occhi, quasi che volesse dire : «Vieni con me !.... » Talora sembrava ad Antea che le aride labbra del morto si movessero leggermente; altre volte scorgeva delle nere, schifose mosche uscirgli di bocca e dirigersi volando alla sua volta. Ormai il solo ripensare ali’orribile apparizione la riem- piva di terrore; onde la sua vita divenne un cosi penoso martirio, che non potendo piu reg- gere, pregava Cinna a volerla uccidere di spada, oppure a propinarle il veleno. Ma egli sentiva troppo bene che non gli sa- rebbe giammai bastato Tanimo di fare cid. Era capace ali’ occorrenza di aprirsi tutte le vene, ma uccidere lei non gli era possibile. Quando giungeva a figurarsi quell’ amato capo morto per lui, cogli occhi chiusi e con quella fredda calma; — 33 — ad immaginarsi quel petto trapassato dalla sua spada, allora sentiva di dover impazzire prima di poter assecondare la sua preghiera. Un medico greco gli disse che 1’ apparizione di Antea altro non era che Ecate, e che gli esseri invisibili, che col loro strepito atterrivano 1’ ammalata, formavano il corteo della divinitA Aggiunse che per Antea non c’ era piu speranza, imperciocche chi avesse veduto una volta Ecate, doveva inesorabilmente morire. Allora Cinna, il quale poco prima derideva la credenza in Ecate, per placarla le fece un sacrifizio. Ma il sacrifizio nulla ottenne, e il giorno seguente a mezzodi i terribili occhi erano di nuovo spalancati e fissi in Antea. Provarono a coprirle la testa, ma continuava a vedere il capo morto anche attraverso il piu fitto velo. Quando stavasene seduta nell’ oscurit& delle sue stanze, quella faccia la guardava dal- 1’ alto d’una qualche parete, rischiarando le ombre col suo sinistro bagliore. Sotto sera 1’ ammalata si sentiva meglio, ed allora s’ immergeva in un sonno tanto profondo, che Cinna e Timone ebbero a temere piu volte che non avesse a risvegliarsi piu. Intanto essa cosl s’ indeboli, che, non potendo piu cammi- nare da sola, dovette farsi portare in lettiga. Cinna si vide di nuovo in preda ali’ antica Segniamole / 3 — 34 — inquietudine e paura, cresciuta a cento doppi, tanto, che si sentiva schiacciato sotto la fatale impressione. Temeva per la vita di Antea, ed insieme tutto meravigliato sentiva che la di lei malattia doveva avere un secreto nesso con cio, di che avevano nn di parlato fra di loro egli e Timone. Forse era dello stesso parere anche il vecchio sapiente, ma Cinna aveva paura e non osava muovergli domanda della cosa. E 1’ammalata veniva frattanto meno e languiva come tenera pianticella, alle cui radici si fosse insediato il verme roditore. Cinna, abbenche nulla sperasse, pure tutto tento per salvarla. Dapprima la condusse al de- serto nelle vicinanze di Memfi, ma nulla gio- vando a liberarla dalle apparizioni neppure 1’ ombra delle piramidi, dovette ricondurla in Alessandria, e chiamo allora presso 1’ ammalata le maliarde e le streghe scongiuratrici delle in- fermita, ed altra simile genia corbellatrice, che tanto abusa della credulita deli’ uomo, genia che Cinna pur si risolvette di chiamare per non sapere ormai a qual migliore partito appigliarsi. In quel tempo giunse per avventura in Ales¬ sandria un rinomato medico, I’ ebreo Giuseppe figlio di Cose. Cinna lo volle subito presso 1’ ammalata, e pel momento sentissi rinascere in cuore la speranza. Giuseppe, che non aveva fede — 35 — negli dei di Grecia e di Roma, respinse recisa- tnente la favola di Ecate, ma non nego che qualche genio malefico potesse avere del potere :gopra Antea, e consiglio di abbandonare 1’ Egitto, dove, oltre agli spiriti, potevano avere delle ma¬ ligne infiuenze sull’ ammalata anche i miasmi del paludoso Delta. Pertanto, forse perche egli era im ebreo, insinuo a Cinna di recarsi a Ge- rusalemme, in quella citta, dove gli spiriti non .avevano accesso e dove 1’ aria era secca e sana. Cinna si appiglio a questo partito tanto piu volentieri, perche allora era governatore di Ge- rusalemme Ponzio, a lui ben noto, essendo stati i di lui antenati clienti del la sua famiglia. Quando vi giunsero, Ponzio li accolse a braccia aperte e loro assegno per abitazione una sua villa estiva, situata presso alle mura di cinta. Ma la speranza di guarigione era svanita per Cinna gi& prima che giungessero a Gerusalemme. La testa ferale appariva ad Antea perfino sulla eoperta della nave, onde poscia quando si sta- bilirono nella detta villa, 1’infelice donna aspet- tava ogni giorno il rnezzodi colla medesima paura mortale, che in Alessandria. E cosi loro trascorrevano i giorni nelle an- gustie, nel terrore e nell’ aspettazione della morte. — 36 — VI. Nella villa il caldo era molto intenso benche fosse ben protetta contro il sole, e la stagione non fosse ancora avanzata. C’era non lungi dall’edifizio un vecchio e frondoso fico, che protendeva a largo intorno i suoi rami, e cosi alPaperto di sotto ali’ ombra sua si poteva go- dere delTalitar del venticello; per cio Cinna die 1’ ordine che cola fosse trasportata la lettiga,, tutta messa a giacinti e flori di melo, nella quale giaceva Antea. Egli stesso poi si assise al suo fianco, poso la sua sulle mani di lei* che erano bianche come alabastro, e le chiese: — Ti senti meglio, amor mio ? — Meglio, rispose Antea con voce debole. Quindi chiuse gli occhi come se fosse colta da sonnolenza. Per qualche tempo stettero in silenzio, e solo il vento aleggiava lievemente tra le foglie del fico, dimodoche il raggio del' sole, che penetrava attraverso di esse, spariva, e ricompariva tremolando ad ogni momento. L’ ammalata riapri gli occhi. — Caio, disse, e vero che in questo paese e comparso un sapiente, che guarisce gli ammalati?' — Costoro chiamano i sapienti di tal fatta profeti, rispose Cinna. Udii parlare di costui e — 37 — volevo chiamarlo per te, ma si conobbe esser egli un impostore. Inoltre si sa che egli declamava contro il tempio di qui e contro le leggi del paese, per la qual cosa il governatore lo condanno a morte ed oggi stesso verra crocifisso. Antea chino la testa. — Te guarira il tempo, soggiunse egli ve- dendo 1’ espressione di dolore che le si leggeva in viso. — Il tempo serve alla morte e non alla vita, rispose ella sottovoce. E di nuovo si fece silenzio. AH’ intorno scherzavano di nuovo i raggi tremolanti, e dal di sotto le pietre uscivano le piccole lucertole e correvano a riscaldarsi al sole. Cinna di quando in quando osservava Antea e per la millesima volta ormai gli passava per mente il doloroso pensiero, che non ci erano piu mezzi di sorta per la di lei salute, che non c’ era piu un raggio di speranza e che quella adorata donna avrebbe dovuto morire ben presto e di lei non sarebbe rimasto altro che un pugno di polve nelle catacombe. Giž. fin d’allora cosi giacente nella lettiga in mezzo. ai fiori, cogli occhi chiusi, somigliava piu presto ad un cada- vere che ad una persona viva. — Anch’ io ti seguiro, disse fra se Cinna. - 38 - Intanto udi dei passi che si avvicinavano. II viso di Antea impallidi, la bocca semiaperta comincio a respirare con prestezza ed il seno le si sollevava affannosamente. L’ infelice pa- ziente credeva che le si avvicinassero gli esseri invisibili, che precedevano 1’ apparizione della morta testa. Ma Cinna le preše la mano e diessi a rassicurarla. — Antea, non ti inquietare; i passi li sento- anch’ io, Ed un momento dopo aggiunse: — E Ponzio che viene alla nostra volta. Ed in vero allo svolto della strada apparve Ponzio Pilato; lo acconrpagnavano due schiavi. Egli era un uomo gia avanzato, dal viso tondo- e spelato, pieno di un’ artificiale serieta, ma insieme noioso assai ed insipido. — Ti saluto, o nobile Cinna, e te pure, ado- rata Antea, disse avanzandosi ali’ ombra del fico. — Dopo una notte piuttosto fresca, ab- biamo una giornata calda. Fosseci almeno fausta ed influisse anche sulla salute d’Antea tanto favorevolmente, quanto i giacinti ed i flori di melo, che adornano la sua lettiga. — La pace sia con te! gli rispose Cinna. Ponzio sedette sur un pezzo di pietra, guardo- Antea e, corrugando la fronte, preše a dire: — La solitudine produce melanconia e ma- lessere: in mezzo al popolo non v’ha luogo a v — 39 — paure; percio vi do un consiglio. Per disgrazia qui, in Antiochia e in Cesarea non ci sono giuochi, non circhi; anzi a volerne erigere uno, questa pazza marmaglia ebrea lo distruggerebbe il giorno appresso. Qui non odi altra parola che: « La legge», e tutto si trova in conflitto con questa legge. Amerei meglio essere nella Scizia, piuttostoche... — Tu ci volevi dare un consiglio, Pilato ? — E vero. Son uscito di strada e ne e colpa la noia. Ho detto che in mezzo al popolo la paura non si sente. Voi due potete oggi godere facilmente d’ uno spettacolo tragico; in Gerusa- lemme bisogna accontentarsi di poco. E neces- sario assolutamente che a mezzodi Antea si trovi in mezzo alla moltitudine. Oggi moriranno in croce tre condannati, e questo šara meglio che nulla. Inoltre abbiamo una straordinaria molti¬ tudine di Ebrei, convenuti da ogni parte per le loro feste pasquali. Potrete vederli a vostro bel- 1’ agio, perche vi faro assegnare un pošto co- modissimo appresso le croci. Spero che i con¬ dannati affronteranno coraggiosamente la morte. Uno di essi e un uomo assai strano; si dice figlio di Dio. E mansueto come una colomba, ed in verita egli nulla fece di cio, che si possa meritare un castigo. — E tu lo condannasti a morte ! — 4 ° — — Al contrario, io voleva mandarlo incolume; ma le vespe, che sbucavano ronzando dal tempio, non cessavano di pungermi. Questa genia ha gia, senza questo, mormorato di me a Roma. Alla fin dei conti qui non. si tratta della vita d’un cittadino romano. — Ma non per questo minori saranno gli strazii che egli patira. Pilato non rispose a questa osservazione, e dopo un po’ di pausa riprese a dire, come se parlasse seco stesso : — Una cosa io non posso soffrire, 1’ eccesso. In quel modo mi si puo mettere il malumore addosso per tutto il giorno. Benedetta la via di mezzo, alla quale bisogna sempre attenersi. Ma intanto non c’ e cantuccio al mondo, ove questa regola valga meno che qui. Che tormento per me! che tormento! Non c’e pace in nulla, non equilibrio, ne nella natura, ne fra gli uo- mini... Ora, per esempio, abbiamo la primavera; ebbene le notti sono fresche, ma di giorno e cosi caldo, che non si puo camminare per le pietre. Non e ancora il mezzodi, e vedete a che ci troviamo! In quanto alla gente, e meglio non parlarne. Io me ne vivo qui unicamente perche ci sono costretto. Ma eccomi di nuovo nelle divagazioni. Adunque, sapete che ? Andate a vedere come li metteranno in croce. Sono — 4i — persuaso che il Nazareno sapra morire da forte. Aveva comandato di flagellarlo per poterlo quindi mandare libero senza condannarlo a morte, perche io poi non sono tanto crudele; orbene, quando lo battevano, egli era paziente come un agnello, e benediva il popolo; tutto inon- dato di sangue levava gli occhi al cielo e pregava In fede mia quest’uomo e il piu strano di quanti ne abbia conosciuti in vita. Per cagion sua mia moglie non mi dava un momento di requie. Non lasciar morire un innocente, diceva pregandomi per lui. Anch’ io avrei voluto fare a modo suo, e tentai di farlo per ben due volte, rivolgendomi a quella frenetica canaglia, ai principi dei sacerdoti ed alla plebaglia infedele Ma essi, aprendo tanto di boccaccia fino agli orecchioni, urlavano tutti ad una voce : « Crocifiggilo! » — E tu cedesti ! osservo Cinna. — Se non avessi ceduto, sarebbero scoppiati in citta gravi disordini, ed io son qui appunto per tutelare 1’ordine e la tranquillit&. Sono co- stretto a fare il mio dovere. Io non posso tol- lerare gli eccessi; di questo mi sento gia stanco a morte; pero pel bene pubblico ho preferito il ■sacrificio di un sol uomo, tanto piu che desso e sconosciuto e nessuno lo difende. Peggio per lui che non e romano. — 42 — — II sole non risplende soltanto su Roma, disse Antea. — Divina Antea, soggiunse Pilato, io potrei ri- sponderti benissimo che dovunque il sole splende, splende per la patria romana, alla quale si deve consacrare tutto; ma intanto le turbolenze gua- stano il nostro prestigio. Ti prego poi calda- mente a non pretendere da me la revoca della sentenza. Cinna stesso puo dirti che cio e im- possibile, e che una sentenza gia notificata puo essere commutata solo dali’ imperatore. Anche avendone tutta la buona disposizione, io non potrei piu farlo. Non e vero, Caio ? — Si. Queste parole fecero evidentemente una im- pressione sgradevole in Antea, la quale, forse pensando al suo caso, disse : — Questo dunque significa che si puo pa- tire ed anche subire la morte senza propria colpa ? — Non ammetto che si possano dare uomini innocenti, rispose Pilato. Questo Nazareno non fece alcun male, e vero; anzi cio considerande,. io come govematore me ne lavai le mani. Come uomo pero rigetto la sua dottrina. M’ intrattenni con lui a bello studio per venire in conoscenza di tutto; ma dovetti accertarmi ch’egli insegna cose inaudite affatto. Cosi non si puo andare — 43 avanti! II mondo deve assoggettarsi ai dettami della sana mente. Niuno, per esempio, nega la necessita delle buone azioni, ne sono io a metterla in dubbio. Soltanto i settarii insegnano che bisogna sop- portare in pace le traversie; non pertanto essi non pretendono, come fa costui, che l’uomo si spogli di tutto, incominciando dagli averi e ter- minando col cibo. Dimmi un po’ tu, Cinna, che sei un uomo saggio, che cosa penseresti di me se cosi d’ un tratto mi venisse il capriccio di regalare la časa, ove abitate voi, al primo pez- zente che incontrassi per via ? Egli insegna inoltre che bisogna amare tutti gli uomini egual- mente: gli Ebrei come i Romani, i Romani come gli Egiziani, gli Egiziani come i Mori, e va dicendo. Non posso negare pero ch’egli mi conturbava alquanto. Quando si trattava della sua vita, egli era di tale aspetto, come se cio non lo riguardasse menomamente; istruiva il popolo e pregava. Del resto non e mio dovere liberare uno, che della propria liberazione non si briga. Chi non sa moderare se stesso, a parer mio e un cattivo soggetto. Aggiungi inoltre che egli dicendosi figlio di Dio, scuoteva le basi sulle quali si fonda 1’ ordine, e cosi scandalizzava il popolo. Neli’ interno deli’ animo suo pensi cio che piu gli piace, ma non deve palesare le sue — 44 idee. Come uomo adunque io combatto le sue dottrine. Se, per esempio, non čredo negli dei, cio e affar mio. Del resto io riconosco che la religione e necessaria alla gente semplice. I ca- valli devono essere infrenati e ben infrenati. Fi- nalmente poi la morte non puo essere di terrore al Nazareno, giacche egli affermo ripetutamente che sarebbe risorto dai morti. Cinna ed Antea si guardarono meravigliati. — Risorgera dai morti ? — Si, e precisamente il terzo di dalla sua morte, al dir dei suoi discepoli. Mi scordai di interrogare intorno a cio lui medesimo. Del resto e tutt’ uno, poiche la morte dispensa dallo stare alle promesse fatte. Quand’ anche non ri- sorgesse, egli non ci perderebbe nulla, perche, secondo le sue dottrine, la vera felicitž. inco- mincia soltanto dopo la morte con una vita eterna; di questo parlava con una convinzione cosi profonda, come se lo sapesse di certo. Nel suo cielo v’ha piu luce che non sulla terra, e colui che qui piu patisce, vi arrivera di certo; e necessario solamente amare ed amare. — Che dottrina meravigliosa ! esclamo Antea. — E la turba gridava: Crocifiggilo ? chiese Cinna. — Sentite, io non me ne meraviglio. L’ anima di questo popolo e 1’ odio, imperciocche che — 45 — cosa, ali’ infuori deli’ odio, potrebbe ripagare 1’ amore con la croce ? Antea si asciugo la fronte con la debole mano. — Ed egli e persuaso che si possa vivere ed essere felici dopo la morte? — Appunto per questo ei non si spaventa della croce e della morte. — Che buona cosa sarebbe questa, o Cinna !.. Ed un minuto dopo interrogo di nuovo ; — E donde sa queste cose ? Pilato fe’ un gesto di mano : — Dice di saperle dal padre di tutti gli uo- mini, il quale e pegli Ebrei cio che e per noi Giove, con questa sola differenza, che, secondo il Nazareno, egli e 1’ unico ed infinitamente misericordioso Iddio. — Che buona cosa sarebbe questa, o Caio ! ripete 1’ amrnalata. Cinna apri la bocca come per dire qualche cosa, ma tacque ed il discorso non ebbe se- guito. Ponzio, a quanto pareva, stava pensando alla « strana» dottrina del Nazareno, poichž crollava la testa e le spalle insieme. Da ultimo levossi in piedi e si accomiato. D’ un tratto Antea disse : — Caio, andiamo a vedere questo Nazareno. — Affrettatevi, aggiunse partendo Pilato, il corteo si mettera tosto in cammino. — 46 — VIL A mezzodi la giornata bella e splendente .incomincio a guastarsi. Da nord-est incomincia- vano ad avanzarsi accavalcandosi delle nere nubi, quasi foriere d’ un prossimo temporale. Qui e cola si scorgevano ancora di mezzo ad esse brillare dei piccoli tratti d’ azzurro cielo, ma poteva prevedersi facilmente che dessi pure sarebbero presto scomparsi e che i nuvoloni avrebbero coperta tutta la volta celeste. Intanto il sole orlava di oro e di fuoco i contorni delle nubi. Soltanto sovra la citta estendevasi ancora un piu largo tratto di cielo sereno; ma il vento non soffiava ancora da nessuna parte. Su per un colle elevato, detto Golgota, vede- vansi di gia qui e cola dei gruppi di gente, che si affrettava a guadagnare la cima prima che vi giungesse il corteo. Quel luogo largo, brullo, ■triste ed esterilito era tuttora illuminato dal sole. Alla sua superficie monotona e bigia scor- gevansi frequenti spaccature e crepacci neri, tanto piu neri quanto pili vivido risplendeva il sole. In lontananza vedevansi altre alture, brulle al par di questa, ma di aspetto piu ridente in •causa della lontananza. Piu basso, fra le mura — 47 — della citta ed il Golgota, si estendeva una valle alquanto meno deserta, ma essa pure qui e cola sassosa. Nelle fenditure, in qualche luogo riem- pito di terra fertile, crescevano dei fichi rive- stiti di rare ed abbrucciacchiate foglie. Disperse a destra ed a sinistra avresti veduto delle čase dai tetti spianati, attaccate alle rupi a gufsa di nidi di rondine, e rischiarate com’ erano dal .sole le avresti credute come una specie di se- polcri imbiancati. Di piu. ancora al tempo di cuf parliamo vedevasi d’ intorno alle mura un accampamento intiero pieno di gente e di ca- melli, composto di tende erette dai paesani ve- nuti alla citta per le feste pasquali. II sole s’alzava sernpre piu alto negli spazi ancor non ingombrati dalle nubi. Era giunta 1’ ora in cui sulle dette alture facevasi d’ ordi- nario un silenzio sepolcrale, perche tutto cio che v’ era di vivo ritiravasi in citta, oppure nell’ ombra. delle spaccature. Oggi stesso, non ostante lo straordinario movimento, vi regnava una certa fosca tristezza, poiche cola i raggi del sole non piovevano sulla verdura, bensi sul largo e sassoso contorno. II rombo delle voci, che venivano dalle vicinanze delle mura, quivi cangiavasi come in un lieve sussurro d’ onde, che andava dileguandosi nel silenzio. I diversi gruppi di popolo che fin dal mat- — 4 « — tino stavano in attesa sul Golgota, volgevano la faccia a Gerusalemme, donde doveva ben presto giungere il corteo. Apparve intanto la lettiga di Antea, scortata da alquanti Soldati, messi a sua disposizione da Pilato, perche le asprissero la via fra la moltitudine e la difendessero dagli insulti della fanatica marmaglia, sempre nemica dei Romani. Subito dietro alla lettiga venivano Cinna ed il centurione Rufilo. Antea sembrava molto piu tranquilla e non mostrava nessuna paura per 1’ avvicinarsi del mezzodi colle terribili apparizioni. Era tanto assorta in cio che Pilato aveva detto del Naza- reno, che non si ricordo del suo proprio mise- rando stato. Per essa tutto cio era qualcosa di strano, che non poteva capire. Il mondo d’ al- lora aveva piu volte veduto morire degli uomini con quella indifferenza, con cui vanno spegnen- dosi i tizzoni sul fuoco smorzato. Ma quella era la calma della fortezza, o del filosofico modo di considerare 1’ inevitabile cambio della luce colle tenebre, della vita reale con una specie di oscura, indeterminata nebbia. Niuno pero fino allora aveva benedetta la morte, niuno era morto cblla certezza che soltanto al di Iž, della tomba si sarebbe dato principio alla vera vita, vita cosi piena di eterna felicitit, quale solo 1’ essere onnipotente ed eterno puo dare. — 49 — E quegli, che dovea esser crocifisso fra poco, parlava di tutto cio come di una infallibile ve- rita. Queste dottrine non solo sorprendevano Antea, ma le sembravano come 1’ unico argo- mento di conforto e di speranza. Sapeva di dover morire, e cio le cagionava un profondo dolore. Che cosa sarebbe stata per lei la morte? Secondo 1’ opinione di Cinna e del padre, avrebbe dovuto essere un certo che, come deserto, o come freddo ed oscurita. Quanto piu bene si sentiva in vita, tanto piu grande era il suo dolore. Oh se almeno la morte giovasse a qualche cosa, se almeno si potesse portar seco la memoria del- 1’ arnore, della felicita, quanto piu volentieri si sarebbe rassegnata ad essa! Ed eccoti ora, quando nulla pih sperava dalla morte, eccoti 1’annuncio che la morte poteva darle tutto. E chi annunziava questo ? Un uomo meraviglioso, un maestro, un profeta, un sapiente che predicava agli uomini 1’ amore come la piu necessaria buona azione, benedicendoli quando lo fiagellavano; un uomo che ora per tutte queste cose dovra subire la croce. Antea pensava: E perche dare simili insegnamenti, se poi gli sarebbe toccata in premio la croce ? Alcuni agognavano al regno •— Egli non lo volle; altri alle ricchezze — Egli rimase poverello, altri ancora si desideravano palagi, banchetti, diver- Scgniamolo I 4 — 50 — timenti, cocchi fregiati di pietre preziose e di avorio — Egli visse come un pastore. Egli pre- dicava 1’ amore, la misericordia, la poverta; dunque non pub essere malvagio, noa puo es- sere ingannatore. Se egli pertanto ha detto la verita, sia benedetta la morte come termine dei terreni patimenti, come scambio della mala, colla buona sorte, come luce agli occhi, che si vanno spegnendo, come ali che trasportano l’uomo al- 1’eterna felicita. Ora comprendeva Antea che cosa significava la promessa della risurrezione dei morti. II pensiero ed il cuore deli’ infelice inferma abbracciaronsi con tutte le forze alla nuova dottrina. Si ricordo delle parole del padre, che ripeteva di spesso esser solo possibile che una nuova verita liberi gli spiriti umani dalle tenebre e dalle catene. Ed eccola la nuova verita! essa ha vinto. la morte ed ha portata la salute! Antea s’ era tanto immersa in questi pensieri, che Cinna oggi sol- tanto, dopo tanti giorni, non lesse sul di lei volto il terrore che la invadeva albavvicinarsi del mezzodi. Finalmente il corteo incomincio a sfilare dalla citta verso il Golgota, come Antea poteva be- nissimo vedere dall’altura ove gib. si trovava. La turba era numerosa assai, quantunque sem- — 5i — 'brasse quasi perduta in mezzo al largo e brullo spazio che percorreva. Dalle spalancate porte della citta poi versavansi sempre nuove file, alle quali si univano per istrada coloro che at- tendevano in prossimita delle mura. Dapprima procedevano in lunga e compatta fila, ma poi si sbandarono a guisa d’una fiumana che abbia straripato. Ai fianchi della processione correva disordinata una gran turba di ragazzi. II corteo risplendeva di vari colori, dai candidi veli degli uomini alle bigie pezzuole delle donne. Di mezzo spiccavano le armature e le armi dei Soldati romani. L’echeggiare delle molteplici voci che udivansi da lungi, si faceva sempre piu forte e distinto. Finalmente la gran massa fu di molto vicina,- ed i primi incominciavano gia a salire sull’ altura. Le turbe dei curiosi correvano in- nanzi per occupare i posti piu favorevoli, onde vedere lo spettacolo ; per la qual cosa la schiera dei militi, che accompagnava i condannati, ri- maneva alquanto indietro. " Giunsero primi i fanciulli, specialmente una moltitudine di monelli mezzo nudi, coperti solo alle coscie, dai capelli tagliati a corto, dalla faccia abbronzata e dagli occhi azzurri. Con grida selvagge incominciarono essi a sgretolare dalle rupi dei sassi per iscagliarli contro i con- danng-ti. Subito dopo giunse il popolino d’ogni — 52 — fatta, dalle faccie infuocate per la corsa e per 1’ impaziente aspettazione. Le voci rauche, la infinita di parole, pronun- ziate da ogni sorta di bocche, la ruvidezza e la estrema mobilita di quei curiosi sorprendeva Antea, benche fosse assuefatta alla vivacitS. dei Greci di Alessandria. Qui la gente parlava come se da un momento ali’ altro dovessero venire- alle mani: gridavano e strillavano non altrimenti che se qualcuno volesse scorticarli vivi ed essi gli tentassero di fuggire di mano. II centurione Rufilo, avvicinandosi alla let- tiga di Antea, spiegava con accento tranquillo- e rispettoso or l’una or 1’altra cosa, men tre in- tanto sempre nuove turbe rigurgitavano dalla citta. La folla ingrossava ed ingrossava. Vi avresti veduto i cittadini facoltosi parati a festa,. che distinguevansi dagli straccioni dei sobborghi; c’ era anche un gran numero di provinciali,, giunti per le feste. Ci si vedevano gli agricoltori ricinti di cuoio, i pastori dal viso bonario ed attonito, vestiti di pelli caprine. Fra gli uomini procedevano turbe intere di donne; ma poiche le donne agiate non amavano uscir di casa v predominavano le popolane, le contadine e le donne dei trivi, dagli abiti smaglianti, dai ca- pelli studiosamente ornati, dalle sopracciglia e dalle unghie tinte, di mezzo ad un profluvio- — 53 — di acri profumi, che fin da lungi ferivano l’o- dorato. Finalmente comparve anche il gruppo dei sa- cerdoti con in mezzo Anna e Caifa, che por- tava in capo la biforcata mitra e la piastra do- rata sul petto. In fila con essi procedevano i Farisei d’ogni gradazione, corne per esempio: gl’ « incespicanti», coloro cioe, che a bello studio inciampavano in ogni sorta di ostacoli per via; « le fronti sanguinanti», che battevano la testa contro i muri; ed i « gobbi », sempre pronti a caricarsi sulle spalle i peccati di tutto il mondo. Un’ arcigna indifferenza ed una fredda malignita li distingueva dal volgo ordinario. Cinna guardava tutto questo formicollo con volto indifferente, come colui che apparteneva alla casta dominante, ma Antea non poteva non considerarlo senza stupore e paura. In Alessan- dria c’ era un gran numero di Ebrei, ma s’ eran gia fatti mezzo Greci; quivi invece essa li ve¬ deva per la prima volta quali glieli aveva de- scritti Pilato e quali erano nel loro domestico nido. Il viso giovane di Antea. di gia segnato Col segno della morte; la di lei persona, che avea piu deli’ ombra che di uomo, attirava 1’ at- tenzione di tutti. Specialmente la osservavano con curiosita i soldati per quanto loro permet- feva di osservarla la Iettiga; senonche l’intol- — 54 — leranza e I’ odio verso gli stranieri erano quf tanto spinti, che non avresti letto ombra di compassione in nessun sguardo; al contrario ci si riscontrava il piacere e la soddisfazione che provavano sapendo che quella vittima non sa- rebbe isfuggita alla morte. Allora soltanto Antea vide chiaro perche quella gente aveva voluto la morte del profeta, che predicava 1’ arnore. Ed il Nazareno le divenne tosto simpatico e caro sopra tutto. Nul la c’ era che potesse libe- rare lui dopo che fu pronunziata la sentenza ; anche per essa era stata pronunziata una sen¬ tenza irrevocabile. Ad Antea sembrava che la fratellanza deli’ infelicita e della morte Ii legasse a vicenda; solamente egli šaliva la croce colla persuasione della vita futura, mentre essa non aveva ancora quella fede, era anzi venuta ap- positamente co!4 per imbeversene nella vista di lui. Ma ecco improvvisamente si udi un forte schiamazzo misto a fischi, poi tutto tacque. Antea udiva distintamente il risuonare deli’ armi ed i pesanti passi delle venienti turbe, le quali ben tosto comparvero ad uno svolto ed inco- minciarono a sfilare passando davanti la lettiga. Dinanzi, ai lati e da dietro venivano con passo uguale i militi, in mezzo poi scorgevansi le traverse di tre croci, le quali sembrava che — 55 — venissero innanzi da sole, poiche .portavanle uomini incurvati sotto il loro peso. Era facile comprendere che fra i tre portatori non c’ era il Nazareno, giacche due rassomigliavano a degli assassini, ed il terzo era un semplice con- tadino alquanto avarizato nell’ eta, costretto dai militari a sobbarcarsi la croce. E cosi era dif- fatti, imperciocche il profeta, caduto per la terza volta sotto la croce, non poteva piu reg- gere al peso. Camminava immediatamente ad- dietro fra due soldati. Era vestito d’ un manto rosso, aveva sul capo una corona di spine e gli si scorgeva il sangue scorrere dal la fronte pel viso. Alcune goccie trascorrevano presto, altre coagulavansi sulla fronte e rimanevanvi a guisa di fragolette, o di granellini di corallo. Era pallidissimo ; camminava lentamente ed a mala pena reggevasi sui barcollanti passi. Egli proce deva in mezzo al baccano tutto immerso in profondi pensieri, come se gia fosse stato strap- pato dalla terra, come se piu non udisse le grida nemiche ; misericordioso e buono infinita- mente di piu di tutti gli uomini insieme, per- donava tutto a tutti, sublime di mez/.o ali’ umana malvagita, silenzioso, mansueto, ma insieme ad- dolorato, si, immensamente addolorato ! — Tu sei la verita ! sussurro colle tremanti labbra Antea. — 56 — II corteo s’ avanzava in quel momento proprio davanti alla lettiga. Poi fermossi per alcun tempo finche i Soldati che precedevano non eb- bero fatto un po’ di strada. Antea vide allora il Nazareno a pochi passi distante da se. Vide come il vento scherzava coi suoi capegli, vide il rossastro riflesso che il suo manto gli traman- dava al pallido viso. La moltitudine scagliavasi verso di lui da ogni parte accerchiandolo da vi- cino, ed attorniava i Soldati, che dovevano di- fenderlo dal selvaggio attacco di quel plebeo canagliume. Dovunque scorgevansi pugni stretti, occhi stranulati e barbe teše e scarmigliate nella foga, bocche vomitanti senza interruzione im- precazioni e bestemmie le piu atroci, denti che orridamente stridevano. Ed egli, volgendosi all’in- torno, come se volesse dire : «Che cosa vi ho fatto ? » finiva col rivolgere lo sguardo al cielo e col pregare e perdonare. — Antea, Antea! chiamolla Cinna in quel momento. Ma sembro che Antea non avesse udito. Dagli occhi di lei piovevano amare lagrime. Dimen- ticossi del suo male, non le sovvenne che gia da tempo piu non si rialzava dalla lettiga, e sorgendo d’ un tratto, tutta tremante e del tutto inconscia di se pel dolore, per la compassione e per lo sdegno contro quell’ odio acciecato, — 57 — diessi a strappare dalla lettiga quanti piu gia- cinti e flori di melo poteva, ed a gettarli sulla via dinanzi al Nazareno. Per un momento tutto tacque. La turba resto instupidita al vedere quella illustre Romana onorare in tal modo il condannato. Ma egli si rivolse a guardare con dolcezza il di lei pallido, avvizzito ed infermo volto, e le sue labbra si muovevano come se le pronunziassero una be- nedizione. Antea ricadendo indietro sui guan- ciali deli a lettiga, si senti come inondata da un mare di luce, di bonta, di misericordia, di speranza e di felicita, e di nuovo disse : — Tu sei la veri ta ! Ed un nuovo torrente di lagrime le riempi gli occhi. Egli intanto veniva spinto innanzi verso il luogo ove stavano gia piantate entro alle fen- diture le tre croci. La moltitudine gli si serro nuovamente d’ intorno, ma poiche il sito delle croci era alquanto rialzato, Antea rivide la di lui pallida faccia e la fronte colla corona di spine. I legionari a cavallo irruppero un’ altra volta contro la folla e la allontanarono di tanto, che non potesse impedire la crocifissione. Tosto incominciarono a legare i due ladroni alle due croci che stavano ai lati. La terza ergevasi in mezzo con in cima attaccata ad un chiodo - 58 - una tavoletta bianca, cui il vento sempre piu furioso scuoteva e cercava di strappare. Quando finalmente i militi afferrarono il Na- zareno ed incominciarono a spogliarlo, fra la turba udissi gridare : « Re, re ! Non permettere o re! Dov’ e la tua guardia nobile ? Difenditi!» Allora scoppiarono cosi incomposte risa fra il popolo, che sembrava che tutto il sassoso din- torno ripercosso ne tremasse. Intanto lo gitta- rono a terra per inchiodargli le mani al braccio traverso della croce, onde poi tirado assieme ad esso sul tronco principale. Ma eccoti in quel mentre poco lungi da Antea, un uomo ravvolto in bianca tela, gettarsi im- provvisamente a terra, cuoprirsi la testa di pol- vere e di ghiaia, e gridare con forte e dispe- rata voce: — Io era lebbroso, ed egli m’ha guarito!... Perche lo crocifiggete ? Il viso d’ Antea impallidi come una pezza. — Egli lo ha guarito !... senti, Caio ? disse. — Desideri forse di allontanarti: chiese Cinna? — No, io voglio restarci. E Cinna si senti stringere il cuore da una sel- vaggia ed infinita disperazione, per non aver chia- mato in časa sua il Nazareno a guarirgli Antea. In quel momento i soldati misero i chiodi alle sue mani ed incominciarono a batterglieli — 59 — dentro. Udironsi gli ottusi colpi di ferro su ferro, colpi che tosto si fecero piu decisi appena i chiodi, perforando la čarne delle mani, in- cominciarono a penetrare nel legno. Le turbe fecero silenzio per potersi deliziare delle stra- zianti grida, che quel martirio avrebbe dovuto strappare al Nazareno. Ma egli taceva e solo i sordi colpi del martello ribombavano e disper- gevansi per 1’aria. Come tutto fu condotto a termine, il centurione che dirigeva le cose, con voce cupa die ordine d’inchiodare alla croce anche i piedi... Frattanto i nuvoloni che ingombravano fin dal mattino 1’ orizzonte, avevano coperto il sole. Un’ oscurita rossigna involgeva la terra, e quanto piu il sole profondavasi fra le nubi, tanto mag- giore facevasi il buio; sembrava come se qual- cuno dalFalto velasse ed intercettasse a poco a poco quella rossiccia luce. Venne un buffb di vento infuocato, poi un’ altro, ig e poi tutto fini. L’ atmosfera divento pesante, afosa. Improvvisamente scomparvero anche gli ul- timi avanzi del rossiccio riverbero e tutto resto avvolto nella piu fitta oscurita. I nuvoloni negri come la notte incominciarono ad accavallarsi a guisa di gigantesche onde, ed a raggrupparsi sulla citta. Scoppio un uragano. Tutti i presenti incominciarono a tremare di terrore. — 6o — — Ritorniamo a časa ! disse Cinna. — E che! Voglio vederlo ancora! rispose Antea. E poiche per il buio non potevansi discernere i corpi pendenti, Cinna comando di trasportare Ja Iettiga piu vicino alle croci; e la avvicina- rono tanto, che oramai non distavano che pochi passi dal luogo. Sul nero tronco vedevasi il corpo del Crocifisso biancheggiare nell’ oscurita come se fosse stato intessuto di argentei raggi di luna. Il petto gli si sollevava per un penoso e pre- cipitato respiro; la testa poi e gli occhi teneva rivolti al cielo... D’un tratto udissi fra le nubi un cupo rombo, che tosto crebbe, ed allargossi con orrido fra- casso da oriente ad occidente; quindi come profondandosi in un abisso senza fondo, udivasi sempre piu basso, or rimbombando con maggior forza, or romoreggiando debolmente, finche ter- mino da ultimo con uno scoppio formidabile, che fe’ tremare fino nelle viscere la terra. Nel medesimo tempo un immenso lampo squarcio le nubi ed illumino sinistramente il cielo, la terra, le croci, le armi dei militi e la moltitudine, che colta dal terrore stringevasi in gruppo a guisa di spaventate pecore. Al lampo tenne dietro un’oscurita ancor piu fitta. Presso alla Iettiga d’Antea si udi allora — 6i — il pianto d’ alcune donne, che si erano fatte vidne alle croci, e quel pianto, che echeggiava solo in mezzo al profondo silenzio, avea in se qualcosa di straziante. Qui e cola fra la turba incominciarono ben tosto a udirsi voci di spa- vento: — Guai, oh guai! Era innocente!... — Rendeva testimonianza alla veritL Guai! Qualcuno esclamo: — Guai a te, o Gerusalemme ! Altri improvvisamente gridarono : — Si e scossa la terra! Allora un nuovo lampo squarcio le nubi e lascio vedere in esse come delle gigantesche apparizioni e de’ spettri di fuoco. Le grida tac- quero, o si perdettero col fischiar del vento, il quale strappava furiosamente dal capo delle donne i veli e li trasportava a volo dissemi- nandoli per le rupi. Di nuovo udissi il grido: — S’ e scossa la terra! Alcuni volevano fuggire, altri terrorizzati ed inchiodati al suolo per lo spavento rimanevano immobili come pilastri, in preda alla dispera- zione, senza potersi raccappezzare, nuli’ altro sapendo, se non che era accaduto qualcosa di orribile. — 62 — Ma ecco, le tenebre incominciarono a dira- darsi. 11 vento scompiglio i nuvoloni e si fe’ un po’ di chiaro. Da ultimo squarciossi il negro velame, ed attraverso 1’ oscuro nembo si fe’ strada un vivo raggio di sole, che cadde ad il- luminare il Golgota, le smarrite faccie della gen te e le croci. Il capo del Nazareno, bianco come cera, erasi chinato profondameute sul petto. I suoi occhi erano chiusi e le labbra illividite. — Egli e morto ! sussurro Antea. — Egli e morto ! ripete Cinna. Allora il centurione gli trapasso colla Iaiicia il costato. Cosa strana ! il ritorno della luce e la vista della morte tranquillizzo la moltitudine che si affollo intorno alla croce tanto piu, per- che i soldati ormai non la respingevano indietro. Ci fu chi riprese a gridare ; — Discendi dalla croce ! Discendi dalla croce ! Antea rivolse un’ ultimo sguardo alla pallida, chinata testa e mormoro a bassa voce, come se parlasse seco stessa : — Risorgera egli da morte ? Alla vista della morte, al mirare quelle braccia cosi eccessivamente teše, al considerare quel corpo immobile, che dal suo peso era tirato in basso, la di lei voce tremolava in un doloroso dubbio. — 63 — Quel medesimo dubbio tormontava anche Tanimo di Cinna. Egli pure non poteva ancora credere che il Nazareno sarebbe risorto a nuova vita, benche fosse persuaso che, se egli ancor vivesse, gli avrebbe potuto risanare Antea. Intanto la marmaglia continuava a gridare : — Discendi dalla croce! — Discendi dalla croce ! -— Discendi! ripete Cinna colla disperazione in cuore : risanamela e togliti 1’ anima mia ! II tempo si faceva bello. I colli lontani erano tuttora involti nella nebbia, ma al disopra del Golgota e della citta il cielo s’ era fatto per- fettamente sereno. La torre d’ Antonio rifulgiva al sole, brillando come un’ altro sole. Per la fresc’ aria volavano torme di rondini. Cinna con un cenno di mano ordino di ritornare in citta. Era trascorso il mezzodi, e quando stavano per rientrare in časa, Antea disse : — Oggi non e venuta Ecate. Cinna pure aveva pensato la stessa cosa. L’ orrida apparizione non si fece vedere nep- pure il giorno appresso. L’ ammalata si sentiva rinata, tanto piu perche era giunto da Cesarea Tirnone, il qnale temendo per la di lei vita e spaventato dalle lettere che Cinna gli spediva, aveva abbandonato Alessandria ed era venuto a vedere un’ ultima volta la figlia, prima che — 64 — questa si dipartisse per 1’ eternita. Nel cuore di Cinna incominciava a rinascere la speranza, quasi pretendendo che le si concedesse un po’ di pošto. Ma egli temeva di aprire la porta ad una tale ospite; non gli era permesso di spe- rare ! Le apparizioni che logoravano la vita ad Antea, concedevanle a volte anche prima un po’ di tregua, e benche non lasciassero andare mai piu di due giorni di seguito senza farsi vedere pure accadeva piu volte di aver sosta per un giorno anche quando erano in Alessandria e nel deserto. Cinna ascriveva il presente miglio- ramento alla venuta di Timone ed alle impres- sioni riportate dal Golgota, le quali avevano talmente ferito 1’ anima deli’ ammalata, che, conversando essa col padre non poteva parlare di altro. Timone la ascoltava con attenzione, ne solo non contraddiceva alle sue parole, ma anzi la interrogava premurosamente intorno alle dot- trine del Nazareno, abbenche essa nuli’ altro sapesse se non quanto le avea detto Pilato. In complesso essa si sentiva bene e le parea di essere piu forte, e quando venne e passo il mezzogiorno, un gaudio indicibile le scintillo negli sguardi. Pih e piu volte fece sapere quanto avventurato fosse per lei quel giorno, e pregd il marito di tenerne nota. La giornata era del resto annuvolata ed oscura. — 65 — Pioveva gi& dal mattino, assai da principio, ma poi ando scemando e la pioggia si ridusse ad una minuta piovicina. Solo verso sera il cielo si rassereno alquanto, ed un gran fascio di raggi fiammeggianti, penetrando fra le nubi, li inondo d’ una luce rosso-dorata, imporporo il bianco marmo ed i corridoi del palazzo e quindi si confuse in un mare di luce verso il Medi- terraneo. Si ebbe quindi nell’ indomani un magnifico tempo, e quantunque il giorno mostrasse di dover esser caldo, pure il mattino era fresco ed il cielo, senza ombra di nuvolo, rifletteva sulla terra il suo azzurrino e ne rivestiva tutti gli og- getti. Antea die ordine di esser trasportata al- 1’ ombra deli’ amato fico, aflinche dali’ altura, ove desso trovavasi, potesse a suo beli’ agio spa- ziare collo sguardo quanto piu lungi potea per le vicinanze. Cinna e Timone non si allonta- narono di un sol passo dalla l^ttiga onde poter attentamente spiare le impressioni che traspari- vano dal volto deli’ inferma. Pareva di leggervi come una paurosa aspettazione, che pero non aveva nulla di quel mortale terrore che la in- vadeva sempre prima del mezzodi. I suoi occhi scintillavano piu vivacemente e sulle sue guance apparve un leggero rossore. Cinna cominciava a lusingarsi davvero che Antea potesse ancora Seguiamolo / 5 — 00 guarire e sotto 1’ impressione della speranza stava per gettarsi a terra e piangere di gioia e benedire gli dei. Senonche d’ improvviso lo riafferro il terrore, e gli sembro quello come il guizzo d’ una lucerna che si spegne. Desioso di ricuperare un filo di speranza, guardo piti volte Timone, ma questi, forse in preda alle medesime apprensioni, cercava di schivare i suoi sguardi. Intanto Cinna non si scordava di os- servare 1’ ombra, e gia la vedeva abbreviarsi sempre piu. Tutti e tre sedevano immersi nei loro pen- sieri. Piu di tutti sembrava tranquilla Antea, la quale adagiata sulla lettiga scoperta, col capo appoggiato ad un roseo guanciale, bevea avida- mente ’ t l’ aria pura che un legger venticello trasportava dal lontano niare. Ma il vento cesso del tutto nell’ avvicinarsi del mezzogiorno. II caldo aumentava di momento in momento. I cespugli riscaldati dal sole emanavano un soave profumo, mentre sovra i loro fiori aleggiavano lievemente le farfalle. Dalle fessure delle pietre uscivano le piccole lucertole, che s’ erano di gia assuefatte a quella gente ed a quella lettiga. Tutte le vicinanze si profondavano nello sfol- gorante silenzio, nel caldo e nel tranquillo riposo. Anche Cinna e Timone si lasciarono inva- — 67 — dere da quella pace universale. L’ inferma chiuse gli occhi, quasi ad un dolce sonno ; nulla tur- bava il silenzio e solo udivasi il leggero alito di Antea. Cinna vide che 1’ ombra gli giacea ormai ai piedi. Era il mezzogiorno. D’ improvviso Antea apri gli occhi e con una strana voce disse: — Cinna, Cinna, dammi la mano ! Cinna balzo in piedi. Tutto il sangue gli afflui al cuore; era giunto il momento della •terribile apparizione ? Ma gli occhi d’ Antea si allargavano, si allar- gavano. — Vedi, sussurro, come la si addensa la luce, ■come tremola, come brilla e mi si avvicina ? — Antea non guardare a quella parte! gridd Cinna. Ma, oh meraviglia! sul di lei volto non si scorgeva ombra di terrore. Apri la bocca, le pupille le si dilatarono sempre piu, ed una gioia senza confini incomincio a diffondersi sul suo viso. — Mi si avvicina una colonna di luce, disse. Guardate ! Egli e desso, e il Nazareno !... Egli mi sorride... o Mansueto!... o Misericordioso!... Come una madre, mi stende amorevolmente le — 68 — traforate mani ! Cinna ! Egli mi reca la salute T la vita; Egli mi chiama e se. Cinna impallidi estremamente e gemette: — Ebbene, se Egli ci chiama, seguiamolo !... FINE. JANKO IL MUŠICO BOZZETTO ♦ vtvtvt vtvtviv(v(Ytvtvfvtvtvt-i Venne al mondo malaticcio e debole. Le co- mari, radunate intorno al letto della puerpera, scuotevano il capo temendo pel bambino e per la madre insieme. La moglie del fabbro, che si stimava la piu saggia, incomincio a confortare 1’ ammalata: — Aspetta un po’, le disse, ti accendo la candela benedetta; vedi bene che sei bella e spacciata, comare mia. Bisogna apparecchiarsi pel mondo di la e mandare pel prete, che ti rimetta i peccati. — Appunto, soggiunse un’altra, e di piu bi¬ sogna battezzare subito il bambino; il prete non arriverebbe a tempo, e ve lo dico io, che šara buona cosa se lo battezziamo. E senz’altro, accesa la candela benedetta e prešo il bambino, lo asperse d’acqua in si malo modo, che la piccola creatura comincio a bat- tere convulsivamente le palpebre, mentre la donna, compito il fatto suo, aggiunse : — 72 — Io ti « battezzo » nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo e ti do il nome di Janko. Ed ora, anima «cristiana», partiti pure e ritorna donde sei venuta. Amen ! Ma quell’anima « cristiana » non aveva gran voglia di partirsene e di abbandonare il debole corpicciuolo; al contrario comincio ad agitare le gambuccie quanto piu furiosamente poteva, e ad emettere certe grida che, a parere delle comari, somigliavano piu ai lamenti d’un gatto, che al pianto. Nel frattempo s’era mandato pel prete, il quale venne, fece le sue cose e riparti, mentre la puerpera comincio tosto a sentirsi meglio; anzi in capo alla settimana aveva gia ripreso i suoi lavori. Invece la vita del bambino sem- brava per molto tempo pendere per 'un filo. Pero alla quarta primavera il cucolo venne a portare col suo canto il buon augurio sul po- vero tetto, e diffatti il piccolo Janko si riebbe un pochino, tanto che tiro via discretamente fino al decimo anno. Era molto magro e lungo, col ventre gonfio e colle guancie smunte. I capelli stopposi e quasi affatto bianchi, gli piovevano fin sopra gli occhi; e questi erano chiari, sporgenti ed in- cantati nello spazio, come se li fissasse in qual- che immensa lontananza. D’ inverno non faceva - 73 — altro, che starsene seduto e piagnucolare per freddo ed anche per farne, quando la madre non aveva nulla da mettere al fuoco. D’ estate andava attorno in camicia, stretta ai fianchi con una fascia, ed in cappello di paglia, dal di sotto del quale spiava nel mondo con uno sguardo lento, allungando il collo come gli uc- celli. La madre, povera diavola, vivendo di giorno in giorno sotto 1’altrui tetto, quasi rcn- dine pellegrina, lo amava forse a modo suo, ma nori gli risparmiava frequenti busse e talora gli dava perfino del « mostro ». A otto anni il gio- vinetto guidava a pascolo il gregge, o, se la capanna era sprovvista di tutto, si recava al bosco a raccogliere funghi, e fu un vero mira- colo se non vi rimase presto o tardi pasto dei lupi. Non aveva gran talento e, da autentico ra- gazzo di villa, parlando con altri ficcava il dito in bocca. Nessuno credeva .che dovesse vivere a futuro conforto della madre, perche era inetto al lavoro. Non saprei come spiegare il feno- meno, ma una sola cosa egli amava per la vita, cioe la mušica. La ascoltava quando e dove poteva, e fatto grandicello, non c’era caso che potesse pensare ad altro, fuoche alla mušica. Succedeva talvolta che, andando al bosco pei funghi, o coi compagni a cogliere fragole, se — 74 ne tornasse a časa a mani vuote e tutto felice bisbigliasse alla madre : — Mamma! che bella mušica! come « suo- nava » bene nel bosco ! Oh, oh ! E la madre: — Aspetta, aspetta, cialtrone! te la suonero 10 la mušica! E tosto si scagliava su di lui colla mestola 11 ragazzo gridava, prometteva che non avrebbe fatto piu cosi, ma per questo non cessava di pensare alla bella mušica del bosco... E chi suonava ? lo sapeva egli forse ?... Gli orni, i faggi, le betulle, i pini, tutto, tutto suonava: tutto il bosco suonava e basta!... Anche 1’ eco... Lungo il prato suonavano gli steli, nell’orticello davanti la casuccia i passeri alzavano un pigollo armonioso da far fremere i ciriegi. Alla sera ascoltava con profondo ra- pimento il complesso svariatissimo delle voci, che si levavano dal villaggio, ed era pienamente convinto che il villaggio suonasse. Anzi quando mandavanlo a lavorare di forca intorno al le- tamaio, perfino il vento gli suonava fra i denti della forca. Una volta Io sorprese il fattore rnentre se ne stava cosi, coi capelli scarmigliati tutto intento ad ascoltare il šibilo del vento... Vederlo e dargli con delle coreggie una lezione molto ac- — 75 — centuata, fu tutt’uno. Ma con che risultato ?... La gente fini per chiamarlo «Janko il mušico »• In primavera andava spešso di soppiatto al torrente a fabbricarsi delle zampogne. Di notte poi, quando le rane gracidavano in coro e le quaglie facevano il loro gergo ed i galli canta- vano nei pollai, non poteva dormire affatto, ma si beava di quelle voci, divinando in esse chi sa quale mušica... La madre non s’arrischiava di condurlo alla chiesa, perche quando 1’organo irrompeva con tutta la sonorita sotto le volte, oppure si scioglieva dolcemente in patetico canto, una nebbia velava gli occhi del ragazzo, come se non fossero fatti per guardare questo mondo.... Il guardiano notturno nel far la ronda pel villaggio, contando le stelle, oppur conversando coi cani per non dormire, vedeva di spesso biancheggiare nelToscurita la camicia di Janko, che quatto quatto si trascinava verso la bettola. Ma non entrava, accontentandosi di rimanere di fuori ad ascoltare appoggiato al muro. E dentro si ballava allegramente e di tanto in tanto qualche giovanotto emetteva il suo grido, oppure fra il rumore cadenzato dei passi udivasi la voce delle ragazze che chiedevano qualche cosa. Ed il violino cantava sommesso il suo canto, mentre con voce dura gli rispondeva il — 76 — violone. Le finestre splendevano illuminate da viva luce, ogni trave della bettola sembrava fremere, cantare e suonare, e Janko ascoltava! Che cosa non avrebbe dato per avere un vio¬ lino, che cantasse cosi delicatamente ! Ah, quella specie di cassetto sonante ! Dove si potrebbe trovarne uno simile? dove ne fanno di eguali ? Che mai gli permettessero di pren- dere in mano una sola volta una si bella cosa !... Oibo! gran che, se gli era concesso di ascol- tare! Ed il poverino ascoltava infino a che 1’ aspra voce del guardiano notturno non veniva a tuonargli : — Vuoi levarti di qui e andare a časa, brutto ceffo ? ! Ed egli tosto muoveva i piedi scalzi e se la svignava a gambe levate verso časa, mentre il violino gli cantava dietro dolcemente nella notte e rude gli rispondeva il violone. Quando poteva udire il violino, sia alla mie- titura, sia a qualche festa speciale, gli pareva di toccare il cielo col dito. Dopo una tale delizia si cacciava in časa a ridosso della stufa e per piu giorni non profferiva parola, guardando dal buio cogli occhi fosforescenti, come quelli d’un gatto. Finalmente gli riusci di fabbricarsi una specie di violino con delle assicelle e con crine di cavallo, ma lo strumento non voleva suonare — 77 — cosi bene come quello delbosteria; strideva e gemeva a voce bassa ed esile, simile al ronzio delle zanzare o dei moscherini. Eppure egli sdilinquiva suonando da mattina a sera, quan- tunque il piacere gli costasse frequenti e sode busse, tanto che da ultimo ti sembrava una mela macola e pesta dalla grandine. E che im- portava? tale era la sua natura. Ma intanto il povero diavolo peggiorava a vista d’ occhio, il ventre gli si gonfiava sempre piu, i capelli si facevano sempre piu arruffati e gli occhi sempre piu aperti, benchš spesso inondati di lagrime; le guance poi ed il petto gli decadevano e rien- travano di giorno in giorno.... In generale nulla aveva di comune cogli altri ragazzi; somigliava piuttosto al suo strumento di assicelle, che faceva appena appena udire il suo gemito. Per giunta prima della messe era sempre a preše coli’ inedia, pascendosi non di altro che di crude rape e del desiderio d’ avere un violino. E questa brama irresistibile gli diede il colpo di grazia. Il cocchiere del castello aveva egli pure un violino, che suonava a tarda notte per far pia¬ cere alla cameriera. Janko si spingeva talvolta di soppiatto fra le piante del giardino fino presso alPuscio della sala da pranzo, per am- - 78 - mirare Io strumento. Pendeva esso proprio di fronte alla porta ed il ragazzo lanciava con lo sguardo avido tutta 1’ anima sua a quella parte, giudicando il violino come una cosa per lui inarrivabile e sacra, che era indegno di toccare, quantunque spasimasse per essa. E pur tuttavia se lo desiderava. Voleva averlo in mano ed osservarlo da vicino una volta sola, almeno una volta... E quel piccolo, infelice cuor di fanciullo tremava e sussultava di gioia al solo pensiero di tanta fortuna! Una notte non c’ era nessuno nella sala da pranzo. I signori erano partiti per 1’ estero da parecchio tempo, la časa era quindi pressoche deserta, pero v’ era rimasto il cocchiere colla governante ed altra servitu. Janko nascosto fra le piante stava gia da un pezzo contemplando attraverso la porta spalancata 1’ oggetto delle sue brame. La luna era al colmo e pioveva la sue luce a pieno per la fmestra, formando sulla parete opposta un grande e lucido rettangolo, il quale a poco a poco andava spostandosi verso il violino, finche, raggiuntolo, lo investi tutto del suo splendore. Stando nel buio, sem- brava che dal violino stesso emanassero fasci di argentei raggi. Specialmente il fondo con- vesso dello strumento splendeva tanto, che Janko appena poteva guardarlo. Sotto quella 79 — magica luce tutto sembrava perfetto ; le parti ricurve, le corde ed il manico stesso terminante a voluta. Le chiavi balenavano come lucciole, e 1’ arco sembrava una bacchetta d’ argento. Ah ! tutto era bello, incantevole ; Janko guar- dava ed il desiderio gli si acuiva sempre piti. Accoccolato fra le piante coi gomiti puntati sulle istecchite ginocchia, a bocca aperta guar- dava e guardava. Ora la paura lo inchiodava al suolo, ora uit’ irresistibile brama lo spingeva in- nanzi. Era ammaliato, o che P... A volte gli sembrava che il violino stesso gli si avvicinasse, come nuotando nel fascio luminoso che lo in- volgeva... Malie, vere malie! Sopravenne una lieve ondata di vento, gli alberi stormirono, l’erba alta sussurro qualcosa e a Janko parve di udire chiaramente ! — Va, Janko ! nella sala non c’e nessuno... va, Janko!... La notte era serena, splendida. Nel giardino incomincio a cantare 1’ usignolo e a chiamare ora a bassa, -ora ad alta voce .• » Su, su, va, prendi» ! Ma un uccellaccio notturno, che volteggiava nel tepido ambiente sovra la testa del ragazzo, stridendo pareva dicesse: « No Janko, no ! » L’ uccellaccio tiro oltre, mentre restava a suo pošto, sempre lusingando, 1’ usi¬ gnolo e le piante lussureggianti intorno sussur- ravano ancor piti distintamente : « La non c’ e — 8o nessuno! » II violino risplendette di nuovi riflessi... Allora la pallida, meschina figura, tutta rat- trappita si spinse avanti pian pianino e con precauzione, incoraggiata dali’ usignolo, che in- calzava ripetendo sommesso : « Su, su, va prendi!... » La bianca camicia si faceva nell’ ombra sempre piu presso alla porta della sala ; non c’ eran piu le rigogliose piante a nasconderla. Ben tosto si udi sul limitare il respiro precipitato del debole fanciullo. Un istante ancora, e la camicia scom- parve, ne si vide piu sulla soglia che un pic- colo piede scalzo. Indarno 1’ uccellaccio not- turno ritorno volteggiando al sito e grido : » No, Janko, no ! » Janko era gia nella sala da pranzo. D’ improvviso le rane del giardino gracida- rono, come colte da subita inquietudine, ma presto tacquero. L’ usignolo sospese il canto e 1’ erbe non sussurrarono affatto. Intanto Janko si trascinava avanti piano e con circospezione, ma d’ un tratto si smarri d’ animo. Fuori fra le piante si sentiva come a časa sua, come la fiera nel bosco, ma ora provava la sensazione d’ un animale prešo in trappola. Il suo muoversi di- vento agitato, respirava a respiri brevi e sibi- lanti ; per tutta giunta s’ era fatto buio. Un de¬ bole lampo estivo guizzando tacito da oriente ad — 81 — occidente, illumino subito la stanza e Janko, il quale giaceva carponi in terra sotto il violino sollevando la testa per fissarlo. Ma il lampo svani, una nube continuava a velare la luna, e tutto ripiombo nella tenebra e nel silenzio. Un momento dopo d’ improvviso si udi nel buio un suono debole e lamentoso, come se qualcuno avesse urtato inavvedutamente le corde,. Una voce aspra e sonnacchiosa, partita da un canto della sala, grido rabbiosamente : — Chi e ? Un fiammifero comincio a sfolgorare strofi- nato alla parete, si fece chiaro e poi... Oh Dio ! Scoppio una tempesta d’ improperii, di busse, di pianto, di grida. I cani cominciarono ad abba- iare, successe un via vai di lumi davanti alle finestre, uno scompiglio, il finimondo per tutto i 1 palazzo. Il giorno dopo il povero Janko stava gia da¬ vanti ai giudici. Dovevano condannarlo come ladro?... Non c’era dubbio ! I, signori del tri¬ bunale guardavano indecisi 1’ accusato, che loro stava dinanzi col dito in bocca, cogli occhi a met& fuori delle occhiaie e smarriti, piccolo stecchito, sporco e pesto, inconscio del luogo dove si trovava e di cio che volevano da lui. Come faremo a giudicare questa meschinita ap- pena decenne, che a mala pena si regge in piedi ? Lo mandiamo in prigione, eh ?... No ! Janko il mušico. 6 — 82 — Dopotutto bisogna avere un po’ di compassione coi fanciulli. Lo consegneremo al guardiano, che lo percuota un po’, tanto che impari a non rubare e... buona notte ! — Proprio cosi! Fecero venire Stach, che era il guardiano: — Prendilo e fagli sentire la lezione ! Stach approvo colla sua stupida testa d’ ani- male, si caccio il malcapitato ragazzo sotto il braccio, come un gatto e lo porto nell’ aia. Il fanciullo o non capiva di che si trattasse, o non poteva per terrore articolar parola, solo guar- dava smarrito, come un uccellino. Che ne sa egli di cio che sta per succedere ! Soltanto nel- 1’ aia quando Stach lo afferro e lo rovescio bocconi in terra e sollevatagli la camicia levo in alto il bastone, soltanto allora Janko strillo : — Mamma, mamma ! Ed al primo colpo di nuovo urlo : «Mamma, mamma ! e poi ancora, ma sempre piu fioco e debole, finche per un ultimo colpo la povera creatura non die piu voce e non chiamb la mamma... Povero, sconquassato violino!... Ohe, stupido e tristo Stach ! chi batte cosi i fanciulli ? Non vedevi quanto era piccolo, min- gherlino ed appena vivo ? Venne la mamma, sollevo il ragazzo, ma do- - 83 - vette portarlo a časa... II giorno dopo Janko non .si levo, ed al terzo giorno spiro tranquillo sotto il rozzo lenzuolo. Le rondinelle gli avevano cantato in coro sul ■ciriegio, che cresceva presso alla finestra; un raggio di sole, entrando dalla meschina inve- triata, indorava di viva luce la scarmigliata te- stolina del fanciullo ed il bianco viso, sul quale non c’ era piu traccia di sangue; e quel fascio luminoso segnava la via, che doveva prendere partendo la piccola anima del moribondo. Buon per lui che almeno in punto di morte poteva mettersi per una via larga e piena di sole, nientre il sentiero da lui percorso in vita fu davvero seminato di spine. Sotto la carezza di questo sole il petto ische- letrito del ragazzo diede ancora un sospiro ed il viso assunse 1’ espressione come se ascoltasse le voci del villaggio, che entravano annoniose per 1’ aperta finestra. Era la sera e le fanciulle reduci dai prati cantavano, mentre dalla parte del torrente veniva il suono delle zampogne. Janko stava ascoltando per Fultima volta la mu¬ šica del villaggio... Vicino a lui sulla coperta del letto giaceva il suo rozzo violino. D’ un tratto il viso del moribondo si illumino e le pallide labbre susurrarono : — Mamma ! - 8 4 - — Che vuoi, figliuolo ? — gli chiese la madre,, soffocando a stento le lagrime. — Mammina ! Iddjo mi dara in paradiso un violino migliore ! — Sicuro, figliuolo, sicuro ! — rispose la madre: e non pote aggiungere altro, perche d’ un tratto il dolore, lungamente compresso, le eruppe dal petto : « Oh, Gesu, Gesu! » grido, e cadde col viso sul cassettone e scoppio in pianto, come se avesse smarrita la ragione, o come se d’ un tratto avesse acquistata la certezza di non poter strappare alla morte il suo predi letto... Ed infatti non lo pote strappare, poiche- quando si levo per guardare il povero ragazzo,. gli occhi del piccolo mušico erano spalancati del tutto, ma immobili, e la faccia s’ era fatta seria, oscurata e dura. Anche il raggio del sole- era sparito !... Riposa in pace, o Janko 1 * * * Il giorno seguente i signori ritornarono dal loro viaggio in Italia assieme alla signorina ed al cavaliere che aspirava alla sua mano. Il ca- valiere diceva: — Quel beau pays que 1’ Italie !. - .85 - — E che progenie d’ artisti ! On est heureux de chercher la-bas des talents e de les proteger... aggiunse la signorina. Sopra Janko sussurravano le betulle. FINE. L’ ORFANELLA -v.(3R) Nella piccola cittaduzza di Lupiskore era ap- pena appena terminata la funzione serotina, susseguita alla tumulazione della vecchia Kalik- stova; non di meno alcune donne vollero rima- nere ancora nel sacro recinto per cantare le pie canzoni. Erano le quattro pomeridiane e poiche d’ inverno a quell’ ora e gia sull’ imbru- nire, nell’ interno della chiesa era tutto buio. Specialmente 1’ altare maggiore sembrava spro- fondarsi nelle tenebre. Due candele ardevano ancora ai lati del tabernacolo, ma le loro tre- molanti fiammelle ne illuminavano a mala pena la porticina dorata e, poco piu sopra, i piedi del Cristo, trapassati da un formidabile chiodo, la cui capocchia splendeva come un punto lucido in mezzo ali’ altare. Le altre candele, spente allor allora, emettevano dei filamenti di fumo, riempiendo il luogo sacro di quel odore tutto chiesastico, che da la cera. Un uomo vecchio ed un piccolo ragazzo si affacendavano presso i gradini deli’altare. Uno — 90 — scopava, 1’ altro ripiegava il tappeto. Quando le donne interrompevano il canto, si udiva 1’iroso pispiglio del vecchio, che se la prendeva col ragazzo, oppure il picchio, che i passeri affa- mati ed intirizziti producevano dal di fuori sulle invetriate ricamate dal gelo. Le donne stavano sedute sulle panche presso la porta. L’oscurita in quel pošto sarebbe stata ancora maggiore, se alcune divote non avessero acceso dei moccoli per poter leggere sul libro. Uno di questi moccoli illuminava sufficiente- mente uno stendardo, fisso ad una panca vicina il quale rappresentava i peccatori in mezzo a fiamme e diavoli. Le immagini degli altri sten- dardi non si potevano distinguere. Le donne piu che cantare, mormoravano con voce assonnata e stanca una canzone, nella quale ricorreva ad ogni momento il ritornello : E quando giungeremo ali’ ultim’ ora, prega per noi il Figlio tuo, Signora ! La chiesa immersa nelle tenebre, gli stendardi ritti presso i banchi, le vecchie donne dalle facc.ie irruginite, le fiammelle tremolanti e quasi perse nel buio — tutto, tutto faceva paura, si, destava terrore ; e le cupe parole di morte sa- pevano la dentro qualche cosa d’ insolito. Di quando in quando la cantilena si arre- stava; una donna si alzava dalla panca e con — QI voce tremula incominciava a dire : Ave Maria gratia plena e le altre aiutavano ; Dominus tecum ecc., e siccome poco prima avevano seppellita la Kalikstova, cosi ogni Ave Maria si chiudeva colle parole : Requiem aeternam dona ei, Dotnitie; et tux perpetua luceat ei! Marissia, la piccola bambina della defunta Kalikstova, stava anch’ essa seduta sulla panca a fianco d’ una vecchia donna. Intanto sulla recente tomba della mamma cadeva silenziosa e soffice la neve, ma la bambina, che non aveva piu di dieci anni, evidentemente non compren- deva la sua disgrazia e non si addolorava. II suo piccolo višino spirava dagli occhi celesti una pace virginea, e quasi quasi una noncu- rante indifferenza. Vi si scorgeva un lieve ri- flesso di curiosita e nuli' altro. Guardava a bocca aperta lo stendardo coli’ inferno e coi peccatori, poi volgeva gli occhi nell’ angolo della chiesa e li fermava da ulfcimo sulla finestra dove picchiettavano i passeri. Finalmente fermo anche lo sguardo smarrito e senza espressione. Frattanto le donne ripete- vano ormai per la decima volta : E quando giungererao ali’ ultim’ ora, prega per noi il Figlio tuo, Signora! La bambina torceva 1’ estremita dei suoi ca- pclli, raccolti dietro la nuca in due treccie,. 92 — non molto piu grandi d’ una coda di ratto ; evi- dentemente essa si annoiava. D’ un tratto volse la sua attenzione al vecchio. Costui si avanzo in mezzo alla chiesa e co- mincio a tirare la fune nodosa, che pendeva dal soffitto. Suonava per 1’ animadella Kalikstova> ma Io faceva affatto meccanicamente. Si vedeva bene che i suoi pensieri erano altrove. La campana annunziava in pari tempo che la funzione vespertina era terminata. Le donne ripetendo per 1’ ultima volta il ri- tornello della buona morte, uscirono di chiesa. Una di esse guidava per mano Marissia. — Kulikova, che cosa farete della bambina ? le chiese qualcuna delle compagne. — Che vuoi farne ? Andra a Lescinze ; ce la ■condurra Berto Margula, che s’ e recato alla posta. — Che cosa fara a Lescinze ? — Buon Dio ! quello che fa qui. E nativa di la e la se ne vada. Forse trovera pane e tetto in castello. Cosi discorrendo attraversarono la via. Si faceva scuro rapidamente. II tempo era quieto, invernale; il cielo ingombro di nubi e 1’ atmosfera satura di umidita e ripiena di neve acquosa. Dai tetti gocciolava acqua e la strada era coperta di fango misto a neve e paglia. La ; - • ■''• . ;—7— ' v . ' v r ' .i r-^T^: — 93 — piazzetta davanti alle casupole non era meno desolante deli’ interno della chiesa. Qualche fi- nestra era illuminata; il rumore andava cessando e solo nelhosteria un organetto suonava una danza. Inutilmente pero, perche nessuno ballava. Le due donne che avevano parlato, entrarono a bere deli’ acquavite, della quale la Kulikova diede un mezzo bicchierino anche a Marissia dicendo : — ; Bevi, poiche sei orfana. Tu non avrai bene a questo mondo. La parola orfana richiamo alla mente delle due donne la morte della Kalikstova. La Ka- puszinska disse: — Alla salute, Kulikowa; bevete! Oh, čari miei ! come resto fulminata dali’ accidente ! non rnosse piu neppure un dito. Prima che venisse il prete, era gia fredda. E la Kulikova di rimando: — Lo diceva io da un behpezzo che aveva prešo cattiva piega. Domenica scorsa fu da me ed io le dissi: Kalikstova, Kalikstova! date piuttosto la Marissia al castello. Ed essa: Ho quest’unica figlia e non la do. — E se 1’ ebbe a male, comincio a piangere, poi ando dal pre- tore, per mettere in regola le carte, diceva. Pago quattro fiorini e sei soldi. Ed aggiunse: non piango per la bambina. — Mio Dio ! ed aveva — 94 — gli occhi in fuori, e morta che fu, pareva che le volessero uscire dalle occhiaie. Dicevano che guardassero la bambina anche dopo la morte. — Su questo dolore beviamo ancora mezzo quarto ! L’ organetto continuava a suonare. Le donnette diventavano di buon umore; la Kulikova ripe- teva con voce triste : poveretta ! poveretta ! La Kupuszinska invece si ricordo della morte del marito. — Quando stava per morire, oh corne sospi¬ rava, come sospirava! — e cosi ripetendo e stiracchiando la voce, senza accorgersi usci in cantilena, poi si mise a tempo coli’organetto e fini coli’ arcare le mani sni fianchi e canta- rellare a suono di mušica: Come sospirava, . -come sospirava in quel triste giorno ! D’ un tratto comincio a piangere, diede sei soldi al suonatore e riprese a bevere acquavite. La Kulikova era commossa e si rivolse a Ma- rissia dicendole : Ricordati, orfanella, quello che ti disse il parroco, quando seppellivano la mamma sotto la neve, che, cioe, su di te veglia l’angelo. Ebbe una scossa improvvisa, guardo ingiro come una furiosa e poi con una forza insolita aggiunse : — 95 — — Se ha detto che e uri angelo, e un angelo ! Nessuno aveva negato. Marissia ammiccando coi suoi bianchicci, stu- pidi occhietti, fisso gli occhi severi della donna. La Kulikova continuo : — Tu sei orfana. Sugli orfani veglia I’ angelo. Egli e buono. Eccoti dieci soldi. Se anche tu dovessi andare a piedi fino a Lescinze, vedresti che egli ti accompagnerebbe. La Kapuszinska si mise a cantare : «.Un rifugio contro i mali 1’ angioletto ti dara ed ali’ ombra delle sue ali 1’ orfanella accogliera » . — Silenzio! grido la Kulikova. Poi riprese a dire alla fanciulletta: — Stupida, sai chi e sopra di te ? — L’angelo — rispose con un filo di voce la bambina. — Poveretta, fragoletta, tesoro ! si 1’ angelo coli’ ali — continuava intenerita ed esaltata la donna ed attirando a se la bambina, si diede a stringersela ali’ onesto seno. La fanciulla comincio a piangere. Forse nella sua incosciente testolina e nel suo cuore, che non sapeva raccappezzarsi, si for- mava in quel momento la prima consapevolezza. — 96 — L’ oste intanto dormiva della grossa, le can- dele di šego scoppiettavano ed il suonatore aveva smesso di suonare, attratto da cio che vedeva e udiva. S’ era fatto silenzio, ma esso fu ben presto' turbato dali’ arrivo di cavalli che scalpitavano sul fango davanti alla porta, mentre una voce li fermava gridando : — Prrr ! Berto Margula entro nell’ osteria con un fa- nale acceso ; depose questo sulla panca, e co- mincio a battere le palme per riscaldarsele, quindi chiamo 1’ oste... — Dammi mezzo quarto ! — Margula ! esclamo la Kulikova, prendi con te la fanciulla fino a Lescinze. — La prendero perche ho paura da solo, ri- spose Margula. Poi aggiunse guardando le due donne : — Ce n’ avete bevuto, neh ?... — Sicuramente ! rispose la Kulikova. Ti rac- comando pero di esser prudente colla bambina. E orfana. Sai chi la protegge ? Berto non credette necessario di rispondere e cerco di cambiare il discorso; difatti afferrando il mezzo quarto, comincio : — Ieri vi... Ma non terminb, perche trangugiata 1’ acqua- — 97 — vite, torse il viso, sputo e deponendo con di- sgusto la misura sul tavolo, disse : — Ma questa e acqua ! Datemi deli’ altra, da un’ altra bottiglia... L’ oste lo servi, ma Berto fece una smorfia ancor piu brutta. — Eh ! non avete deli’ arak ? Bevutesi cinque misure di arak, non si ricordd piu del fanale, che intanto s’ era spento, ma senz’aItro preše per mano la bambina mezzo addormentata e disse : — Vieni, bambina! Le due donne s’ erano addormentate allor allora, sicche nessuno benedisse Marissia. E cosi, in conclusione, sua madre rimase nel cimitero di Lupiskore ed essa si avvio a Lescinze. Uscirono dali’ osteria, montarono in slitta ed avendo Margula gridato ai cavalli « hi! » par- tirono. Da prima la slitta correva con grande difficolta in mezzo al fango della cittaduzza, ma ben presto uscirono fuori nella campagna bianca ed estesa. La corsa allora divenne fa. čile e silenziosa sulla neve che non scric- chiolava; solo di tanto in tanto sbuffavano i cavalli ed a volte giungeva da lontano 1’abbaiare dei cani. Correvano e correvano. Berto stimolava i cavalli e canticchiava a mezza voce : Vorfanella. 7 — 98 — « Ricordati, o infedele, di cid che m’hai promesso.... > Ma ben presto tacque e rallento la corsa. Si dondolava da destra a sinistra assonnacchiato e sognava di ricevere a Lescinze delle busse per aver smarrito il sacco delle lettere, poi si riscuoteva a mezzo mormorando : « ieri! » Ma- rissia non dormiva perche aveva freddo. Guar- dava a occhi spalancati inanzi per la bianea campagna, che qualche volta le restava nascosta dietro la dondolante schiena di Margula. E cosi guardando pensava alla mamma morta e si raf- figurava il suo viso cereo e sfatto ed i suoi oc¬ chi sbarrati; e sentiva di amare la sua mamma e capiva anche di non poterla rivedere mai piu ne a Lescinze, ne in alcun altro luogo. Aveva veduto coi propri occhi come 1’ avevano sepolta a Lupiskore. A questi ricordi avrebbe pianto di dolore, ma poiche si sentiva intirizzire i piedi, pianse pel freddo. A dire la verita, il freddo non era acuto, ma penetrava addentro in causa del tempo umido ed uggioso. Berto per suo conto aveva nello stomaco un buon deposito produttore di caldo, essendosi rifornito abbondantemente nell’ osteria di Lupiskore. Si sentiva cosi felice in quel mo- mento, che nessuna cosa gli avrebbe fatto perdere il buon umore. — 99 — Cosi per esempio, non glielo fecero perdere i cavalli, quando giunti nel bosco, rallentarono il passo, e benche la strada fosse divenuta mi- gliore, non di meno rovesciarono la slitta nel fosso di fianco. II guidatore si riscosse bensi, ma non seppe rendersi conto di cio che era accaduto. Marissia comincio a scuoterlo. — Berto ! — Che gridi ? — Hanno rovesciato... — I bicchieri ? domando Berto e senza atten- dere risposta s’ addormento come un tasso. La fanciulla si raggomitold alla meglio e si sedette a lianco della slitta; ma ben presto, sen- tendosi gelare il viso, si diede a scuotere di nuovo il carettiere immerso nel sonno : — Berto! Non rispose. — Berto, andiamo almeno fino alle prime čase! E un momento piu tardi : — Berto! altrimenti vado sola a piedi... Da ultimo si avvio davvero. Le sembrava che Lescinze fosse cosi vicino ! conosceva bene la strada perche 1’ aveva percorsa ogni settimana colla mamina andando a messa. Ma ora doveva andare da sola. IOO — Quantunque il tempo fosse sciroccoso, la neve era ancora molto alta nel bosco. La notte era serena. II riflesso della neve ed il pallido chiarore della luna illuminavano la strada, che sembrava come di giorno. Marissia poteva anche da lontano distinguere le fanta- stiche e tranquille ombre degli alberi riposanti sulla candida neve. E cosi distingueva i cumuli di neve ammonticchiati fra gli alberi. Una pace solenne regnava nel bosco e dava coraggio alla fanciulla. La neve congelata sugli alberi si scio- glieva in goccie e queste cadevano battendo ed infrangendosi tra i rami ed i ramoscelli. E questo era 1’ unico strepito che rompesse il silenzio. Tutto il resto ali’ intorno era quiete, candore pace e deserto ! Il vento non fiatava. Ogni cosa era immersa nel sonno invernale. Sembrava che il manto di neve per terra e tutto il bosco silenzioso e le stesse nubi pallide e sparse pel cielo — tutto cio insomma fosse un essere morto. Tale e 1’ impressione dei primi scirocchi. L’ unica creatura viva, che passava come un punto nero in mezzo a quella morta immensita, era Marissia. Buono e maestoso bosco ! Forse le stille, sgocciolanti dai disgelati rami, sono la- grime che esso versa sull’ orfanella. Sono cosi grandi quegli alberi ed hanno tanta compas- IOI sione delle picciole creature! Ed appunto una di quelle deboli e bisognose creaturine attende soccorso in mezzo alla neve, fra le ombre del bosco. Del resto, non cade foglia che Dio non voglia. La fanciulla cammino a lungo e finalmente comincio a stancarsi. Molto la impacciavano gli stivali pesanti e troppo grandi per i suoi piedini, che ci si tro- vavano male. Di piu non poteva aiutarsi colle mani, perche in una stringeva nervosamente con tutta forza la moneta, che le aveva dato la Kulikova. Te- meva che le cadesse nella neve. Di quando in quando si metleva a piangere a voce alta, ma cessava subito, come se volesse accertarsi se qualcuno avesse udito il suo pianto. Naturalmente, 1’ udiva il bosco. L’ acqua dello sgelo continuava a gocciolare con ritmo mono¬ tono e triste. La fanciulla procedeva sempre piu lentamente. Avrebbe forse sbagliato la strada ? Dei pensieri inquietanti cominciarono a torturarla. Stanca e sfinita si assise a pie’ d’un albero. Le palpebre le si chiudevano a forza. Per un momento le sembrd che la mamina, uscita dal cimitero, le si avvicinasse per la neve. Ma nes- suno si avvicinava. La fanciulla pero sentiva 102 che qualcuno doveva venire: chi ? forse 1’ an- gelo ? Lo aveva pur detto la Kuiikova, che un angelo vegliava sopra di lei. Marissia lo cono- sceva. Nella picciola casetta della mamma era dipinto con un giglio in mano e colle ali. Egli deve venire certamente. II fruscio si faceva piu forte.... Silenzio ! qualcuno viene davvero. La neve scricchiola, benche soffice, e si distinguono dei passi sempre piu vicini. La fanciulla apre fiduciosa gli occhi assonnati.... Che e questo !! Una testa grigia, triangolare con le orecchie aguzze fissa la fanciulla.... Orribile... orribile! Era un lupo! E inutile dire quello che avvenne di poi. Un lupo fu dunque 1’ « angelo*, che venne a libe- rarla dalle amarezze e dagli stenti, che la vita senza dubbio apparecchiava alla povera orfanella. \v UUBtJAHtV