ANNO XXVIII. Capodistria, 16 Ottobre 1894. N. 20 LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1.° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; trimestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti antecipati. L' agitazione per le scritte slave fu pronta, spontanea, vivissima. E noi, qui, meglio che dimostrare ancora una volta con le ragioni ripetute in cento occasioni e pur troppo invano, la ingiustizia del decreto del Tribunale d'appello e del Ministero della giustizia che offende il nostro diritto storico, e vuole farci subire il diritto della forza, accenneremo ai fatti coi quali protestarono solennemente le nostre autorità provinciali e comunali e il popolo tutto. Prima Trieste sempre vigile custode dei diritti nazionali, alzò la sua voce alla quale fecero eco tutti i giornali liberali, e in seno alk delegazione municipale P on. avv. Venezian propose una risoluzione accettata all' unanimità ; eccone in succinto il tenore : Avanzare un memoriale al Ministero di grazia e giustizia, contro la intrapresa slavizzaziono dei giudizi distrettuali della costa istriana, poiché dipendendo essi dal Tribunale provinciale di Trieste, la disposizione che li riguarda tocca, non meno che i loro, i nazionali interessi di Trieste stessa. Officciare gli on. deputati Burgstaller e Luzzatto di appoggiare personalmente, presso il Ministero, il memoriale stesso. Nella presunzione poi che la Giunta provinciale dell'Istria abbia già preso o sia in corso di prendere provvedimenti adeguati alla gravità della questione, fu deliberato di scrivere alla stessa per avvertirla di ciò che si è in procinto di fare a Trieste e per chiederle quali sieno i provvedimenti da essa adottati affinchè 1' efficacia dell' azione, simultanea e concorde, contribuisca al raggiungimento del patriotico scopo. Intanto la Giunta provinciale aveva spiccato il seguente telegramma : „Eccelsa Presidenza Consiglio Ministri Vienna. „Viva agitazione nostre città esposizione parte seguita, parte ordinata stemmi Autorità giudiziarie scritta slovena o croata. „Misura ingiustificata, ingiustificabile, lede storici diritti e ferisce crudelmente sentimento popolazione ita- liana costituente quasi esclusivamente le città istriane ; apre profondo abisso fra parte italiana e Governo, e causerà probabilissimamente perfino criminose reazioni. „Scrivente protesta vivamente e domanda urgentemente sia sospesa e tolta deplorata disposizione mantenendo stato preesistito. Giunta Provinciale Istria Il Capitano CAMPITELLI". In pari tempo la Giunta provinciale indirizzò un energico memoriale a S. E. il Luogotenente, interessandolo a volersi validamente interporre per ottenere la rèvoca della deplorata misura. * * A Pirano venne convocata d'urgenza la rappresentanza comunale il 6 corr. per trattare l'argomento e calmare alquanto l'effervescenza sollevata nella popolazione. Nella detta seduta 1' on. Giuseppe Trevisini, con vibrate parole, deplorò la nota del Tribunale di Trieste a quel Giudizio,'tendente ad introdurvi le insigne e i timbri in lingua slovena, ciò che significherebbe un principio di slavizzazione del Giudizio. Invocò il concorso della patria rappresentanza, che è informata ai sentimenti della popolazione, affine di prendere urgenti provvedimenti atti a salvaguardare i diritti nazionali della città di Pirano. Rispose efficacemente il podestà avv. Fragiacomo, promettendo di adoperarsi affinchè la nota inviata dal Tribunale di Trieste venga revocata, essendo provato che l'idioma sloveno a Pirano è sconosciuto affatto. * * * Il silenzio significante del Tribunale d'Appello, ha colmato la misura e ieri la popolazione di Pirano non si contenne, e fece una di quelle dimostrazioni che resterà memorabile, e che vogliamo sia descritta su queste pagine, togliendo la relazione veritiera dal Piccolo di ieri : Stamane verso le 11, un gruppo di circa un centinaio di persone si era raccolto dinanzi all'ingresso del palazzo municipale e discuteva e commentava la minacciata misura delle insegne bilingui. A poco a poco il gruppo andò ingrossando fino a divenire folla e nella piazza si sarebbero potute contare parecchie centinaia di cittadini, colà riuniti, senza preventiva intesa, ma attrattivi soltanto dall'amore del luogo natio. Nel momento in cui più fervevano le discussioni, giunse iu piazza, reduce dal Duomo, il rev. canonico don Domenico Vidali, nostro concittadino, amante della sua nazionalità e beneviso al popolo. Lo accolse una lunga vivissima ovazione. Venne circondato e intorno sorsero alcune voci gridando: Andemo subito al Municipio! An-demo dal Podestà! Bisogna che savemo qualcossa! Che vegni con noialtri et nostro canonico; eli et parli lu. 11 reverendo Vidali acconsentì a parlare per i suoi concittadini e, insieme con tutta la folla acclamante, si recò al palazzo municipale. La folla irruppe su peile scale, invase la sala delle sedute. Tutto era zeppo: la galleria, gli anditi, le scale, l'atrio. Il podestà, dott. Domenico Fragiacomo, e la Deputazione comunale che si trovavano al Municipio, come di solito la domenica, per sbrigare gli affari correnti, accolsero il rev. Vidali con segni di simpatia. Poiché si fu stabilito il silenzio, il rev. Vidali rivolse al Podestà e alla Deputazione le seguenti parole: Interpretando il voto e il desiderio di quanti sono oggi qui convenuti, vengo a chiedere alle signorie vostre che ancor oggi sia convocata la civica rappresentanza affinchè protesti, con tutti i mezzi concessi dalla legge, contro la minacciata slavizzazione del giudizio e perchè avvisi al modo di difendere la noska lingua, ia nostra avita coltura, l'italianità nostra. Scoppiarono frenetici evviva e grida di bravo, btpe! Il podestà rispose: Annuisco con tutto l'animo alla richiesta fattami per desiderio del popolo, dal reverendo canonico Vidali e ciò perchè dettata dal sentimeuto dei miei concittadni, che intendono salvaguardare i propri diritti. Il popolo in questioni di nazionalità, non deve lasciare la briga di tutelarla soltanto a quei pochi che sono a capo della cosa publica, ma deve dimostrare che sente all' unissono con essi. È giusto il desiderio del popolo. Questa sera, o signori, la civica rappresentanza sarà radunata per le 5, per il decoro del nostro paese si servirà di qualsiasi mezzo legale per scongiurare il pericolo e stieno certi che il Comune manterrà alto il prestiggio della Città. Queste parole del Podestà vennero accolte da entusiastici applausi. Si gridava: «arrivederci alle cinque.» * * * La seduta. Alle 5 precise entrano nell' aula i membri del patrio Consiglio; nessuno è mancato al patriotico appello; tutti e trenta i rappresentanti rispondono alla chiama. La galleria è zeppa in modo che pare che debba crolare sotto il peso degli spettatori; anche la sala è in parte invasa e pieni di gente sono i corridoi, le scale e l'atrio. Nella piazza sottostante più di 3000 persone stanno radunate, in attesa del deliberato della civica rappresentanza, che dev' essere l'espressione pura del pensiero del popolo piranese. Nell'aula, allorché il podestà dichiara aperta la seduta, si fa un silenzio profondo. Il dott. Fragiacomo dice che, coerente alla promessa fatta nell'ultima seduta ad un rappresentante che lo aveva interpellato sull'attendibilità della notizia portata dai giornali rispetto alle tabelle bilingui egli scrisse una nota alla Presidenza del Tribunale d'appello, chiedendo la conferma o la smentita della notizia. Finore non s' ebbe risposta aL-cuna, nè più è lecito attenderne. Stamane una deputazione popolare gli chiese che fosse convocata la civica rappresentanza ed egli annuì di buon grado, essendo convinto che non si dovesse più oltre aspettare a prendere quei provvedimenti che le leggi consentono e la gravità del caso suggerisce. Accenna all'erronea applicazione che con questa misura fa il Ministero del § 19 della legge fondamentale, e come essa leda i tradizionali e storici diritti degl' italiani dell' Istria, e invita il Consiglio a proporre quelle risoluzioni che meglio gli sembrino opportune. Il discorso del podestà è accolto da grandi applausi. Si alza poi il rappresentante sig. Nicolò Venier, il quale, accennato all' assenza per lutto domestico del dott. Bubba, che in questa circostanza non avrebbe certamente mancato di far sentire la sua autorevole voce, rileva come la decisione dell'i, r. Ministero abbia destato un vivo allarme in tutta l'Istria. Legge il telegramma inviato dal capitano provinciale dell' Istria ai deputati dalla regione e il deliberato preso nell' ultima sua adunanza della Giunta provinciale di Trieste. (Grida entusiastiche di viva Trieste, che sono ripetute dalla folla accalcata in piazza). Qui 1' oratore assorge a momenti di calda e patriotica eloquenza, che sollevano una frenesia di applausi e di evviva. Conclude presentando le seguenti risoluzioni : Considerando che l'italianità della città di Pirano e del suo territorio emerge luminosa nella purissima forma dialettale, nell'aspetto dei suoi 11,000 abitanti, presenti ed assenti, nel costume, nelle sue tradizioni, nei cento e cento documenti del suo archivio, intatto dal secolo XII in poi, nella sua coscienza nazionale, mai sempre serbata superbamente, nella sua volontà di essere sempre tale e sempre senza paura, di fronte a qualsivoglia evenienza ; Considerando che l'i. r. Governo dà segno di disconoscere questo patrimonio nazionale della città di Pirano, disponendo che il palazzo di Giustizia, con tanti sacrifici elegantemente costruito per il decoro della italica piazza, debba tosto portare esternamente la sua destinazione pur nella lingua dei pochi coloni sorvenuti negli ultimi tempi e che nel trattamento degli affari giudiziali nessuna preminenza abbia la lingua del Comune ; Considerando che l'i. r. Governo con tale primo passo mira indubbiamente all' imbastardimento del Comune; Ritenuto che i pochi sloveni dei comuni censuari di Pedena, Villanova, S. Pietro dell'Amata e Castelve-nere, amministrati con viva reciproca simpatia dal Comune, non ponno avere determinato la draconiana misura dell' i. r. Governo, contenti di essere irradiati dalla coltura italiana, come lo provano i fatti che quelli di Castelvenere vollero una scuola italiana, e quelli di S. Pietro ne domandano una alla Lega Nazionale; Ritenuto del resto che gli sloveni dei cennati Comuni censuari parlanti un informe dialetto slavo, misto a numerose voci italiane si servono esclusivamente e bene della lingua italiana nelle contrattazioni, nei continui contatti cogl' italiani del Comune ; La rappresentanza cittadina, radunatasi d' urgenza per imponente volontà di popolo, acclamante all'italianità del Comune, deviene alle seguenti Risoluzioni : 1. Kitiene un insulto all'italianità del Comune la slavizzazione del foro testé ordinata dall' i. r. Governo ; 2. Dichiara di protestare contro tale misura che turba la tranquillità, la pace nel Comune; 3. Manifesta di non poterla tollerare perchè il Comune si sente legato in modo indissolubile alle sue tradizioni, alla sua storia, alla sua impronta, ai suoi costumi sempre italiani, come sempre lo saranno ; 4. Incarica la depuutazione comunale di comunicare l'odierno voto all'Eccelsa I. R. Luogotenenza, all'Eccelsa Corte d'Appello, all'Inclita Giunta provinciale dell' Istria nonché agli onorevoli deputati al Consiglio dell' Impero. Una lunga acclamazione saluta le ultime parole dell' on. Venier. Il podestà apre la discussione. Prende la parola l'on. Trevisini, il quale dice che dopo le nobili ed elevate parole di Nicolò Venier (Grida di viva Venier) poco v'è da aggiungere. Si dichiara profondamente commosso per la dimostrazione popolare d'oggi, in cui Pirano ha dimostrato di essere fiera e concorde nella difesa dei suoi diritti. Non sa spiegarsi il perchè di questo decréto ministeriale da nessuno chiesto, da nessuno atteso - che viene a gettare il turbamento e la commoziono là dove finora era regnata la tranquillità più perfetta (applausi). Appoggia caldamente la mozione Venier augurandosi che il Governo ci ascolti affinchè siano evitati peggiori guai (Applausi entusiasiastici. Grida di viva V Istria italiana. Il podestà ammonisce la galleria). Aggiunge ancora brevi parole l'onor. Ventrella, rilevando anche i danni materiali che la deplorata misura può arrecare colla confusione che ne deriverà ai libri tavolali. Svolge questo argomento con rara chiarezza e competenza e conclude citando il detto di Tommaseo : „La coscienza di una nazione può dormire per anni, ma fino a che la nazione stessa non sia scomparsa dalla faccia della terra, la sua coscienza non muore mai (applausi). Non prendendo altri la parola, il podestà mette a voti le risoluzioni proposte dall' on. Venier. Tutti i rappresentarti assorgono. Dalla galleria scoppia una lunga e clamorosa ovazione. La folla radunata in piazza, comprendendo da ciò essere questo il punto culminante della seduta, erompe in una entusiastica acclamazione. Si a-gitavano i cappelli e si sventolavano i fazzoletti. A memoria d'uomo, a Pirano, non si era mai vista una così imponente e numerosa manifestazione popolare. Il podestà pronuncia ancora uu breve e vibratissimo discorso, dopo il quale toglie la seduta alle 53/4- Mentre la sala e la galleria lentamente si sfollano, continuano gli evviva a Pirano non mai slava, a Trieste, all'Istria italiana. La folla che esce dal palazzo si u-nisce a quella che si trovava in piazza e fa ala al passaggio dei rappresentanti che vengono accolti con evviva al canto dell'inno della Lega Nazionale. Poi la folla prende la formazione in colonna e si avvia verso | . la casa dell' onor. Venier, ove si ferma e, dopo cantato I l'inno della Lega, si dirige al locale di vendita del I Piccolo. Anche qui fa sosta ; si agitano i cappelli e j si grida Viva il „Piccolo", Viva la stampa liberale. j Prosegue poi fino all' abitazione del Pedestà, poi a j quella dell' onorevole Trevisini, poi a quella del dott. Ventrella e finalmente dal canonico Vidali. Si marcia al canto dell' Inno all' Istria alternato con quello della Lega Nazionale e colla canzonetta popolare triestina Lasse pur.... La colonna percorre così tutto il paese ; molti al suo passaggio espongono i lumi ed è un continuo gridare W Pirano, W V Istria, W Trieste. Non vogliamo iscrizioni slave. Poi sotto il palazzo Municipale, la dimostrazione si scioglie alle 64/2. La cittadinanza piranese ha saputo mostrare con dignità ed energia quale fosse 1' animo suo di fronte alla decisione ministeriale sulle tabelle bilingui." * * * La Deputazione comunale di Parenzo, spiccava telegrammi al Presidente dei Ministri ed al Ministro di Giustizia a Vienna, e agli stessi, nonché al Luogotenente ed al Presidente d'Appello inviava il seguente Memoriale: „Eccellenza! „L'imminente apposizione d'una insegna esterna di quest'i, r. Giudizio distrettuale con iscrizione croata o slava che sia, dà argomento alla Deputazione comunale di Parenzo di protestare in nome della Città e della Rappresentanza comunale contro questa pubblica attestazione, imposta ad una Città riconosciuta pure dall' imperiale Governo, per natura, tradizioni e storia, puramente italiana. E se qui la Deputazione comunale muove lagno dapprima per quanto entro l'i. r. Giudizio distrettuale di Parenzo, con riguardo l'incalcolabile minimo numero di atti e pertrattazioni in lingua slava, viene superfluamente disposto per la slavizzazione dei timbri, cedole formulari ecc. ; dessa si sente poscia tanto più autorizzata di reclamare contro tale inscrizione in quanto la medesima si risolve in una mostra di permanente sfregio ed insulto al sentimento cittadino. Nel portare ciò a cognizione di V. E. la Deputazione comunale di Parenzo osa sperare che V. E. stessa, compenetrata della seria e reale necessità di decampare dalla disposta inscrizione slava, vorrà compiacersi di provvedere corvispondemente. Con la massima osservanza". Dalla Deputazione comunale Parerlo, 10 ottobre 1894. * * * Il Podestà di Montona inviava pure, col tramite dell' i. r. Capitanato distrettuale di Parenzo, analoga protesta all'i, r. Presidenza del Tribunale d'Appello in Trieste. * * * Ieri sera si raccoglieva a seduta la Rappresentanza comunale di Capodistria, invitata col seguente ordine del giorno : „Proposta della Deputazione comunale contro l'introduzione di publiche scritte in lingua slava nell'I. R. Giudizio Distrettuale di Capodistria." Quasi tutti gli on. rappresentanti risposero all' appello, e la sala era stipata di persone, l'atrio e le scale e molti attendevano nella piazza. Tra gli applausi frenetici venne votato quest'ordine del giorno presentato dall'on. Belli a nome della Deputazione : „La Rappresentanza comunale di Capodistria, fiera e gelosa de' suoi diritti nazionali, consegnati dalla storia alle leggi costituzionali dello Stato, sente il supremo dovere di conservare incontaminato il prezioso patrimonio di lingua, civiltà, tradizioni e costumi, guardato religiosamente a traverso i secoli dalla carità di patria, ravvisa nell' ordinata introduzione della lingua slava nelle publiche scritte dell'i, r. Giudizio distrettuale, che ha sede in questo paese prettamente italiano, una lesione manifesta ai più sacri diritti del Comune ed al sentimento nazionale dei cittadini, e forte del risentimento generale della popolazione, ferita nel suo legittimo orgoglio, delibera : 1. di protestare solennemente contro siffatta disposizione dell' I. R. Autorità Giudiziaria. 2. d'incaricare la Deputazione Comunale di officiare l1 Inclita Giunta Provinciale affinchè in sede competente ne chieda la ri vocazione." La folla continuò gli applausi, gli evviva all'Istria italiana nella piazza e in alcune delle vie principali tra la luce fantastica dei fuochi di bengala e quetamente quindi si disperse. * * * Sappiamo che anche le deputazioni comunali di Muggia, Isola e Rovigno stanno apparecchiando le loro proteste. --—.--—--—-i— Ancóra del dipinto di Giorgio Ventura Detto nello scorso numero del pittore, occupiamoci ora dell'opera sua recentemente scoperta dal bravo Vesnaver ('). La tela è alta met. 1,10; e larga 40 cm. Il santo, San Leonardo vestito in bianco e nero tiene aperto un libro con ambe le ulani, e un angelo dalle bianche ali rivolto al santo indica un dato luogo sul libro stesso. Dall'alto scendono due angeli recando in mano catene. A quale leggenda, si domanda, alluse il pittore; e che cosa significano queste catene? Il martirologio ro-•mano ci dà una piena spiegazione. In data VI Novembre vi si legge di fatti — Lemovicis in Aquitania sancti Leonardi confesso-ris, discipuli beati Bemigii episcopi, qui, nobili genere ortus, solitariam vitarn deligens, sanctitate et miraculis claruit, ac praecipue in leberandis captivis ejus virtus enituit. Ecco così spiegato il simbolo delle catene. Aggiungo che Lemovicus è oggi Limoges in Francia. Non essendo san Leonardo santo della chiesa universale, non posso dirne di più; il Vesnaver potrà domandare a qualche dotto prete dell'Istria, che consulterà in proposito il libello diocesano ed altre opere e darà una più ampia spiegazione. Forse si tratta di qualche altro Leonardo dell'ordine domenicano, come appare dall'abito bianco e nero; o più tardi i frati dell'ordine della xMadonna della Mercede, istituito appunto per la liberazione degli schiavi, accolsero e venerarono quale loro antecessore questo Leonardo francese dedito all'opera pia fino dai tempi del Vescovo Remigio, sotto il regno di Clodoveo. I Domenicani poi avranno probabilmente diffus'o il culto di San Leonardo nell' Istria e nel Friuli, dove è frequente il nome di Leonardo, e non poche chiese sono innalzate in suo onore (San Leonardo di Campagna per esempio parrocchia nella Diocesi di Concordia); e ciò in un tempo, in cui per le frequenti scorrerie delle orde turchesche nei secoli XVI e XVII, gli abitanti dell'aperta campagna venivano miseramente trascinati in ischiavitù. Tutto ciò è storico; ed ora del San Leonardo della leggenda, dal quale ho dato un cenno nel numero scorso. Nella Rivista delle tradizioni popolari italiane diretta da Angelo de Gubernatis — Anno 1 fascicolo X a pagina 746 leggesi quanto segue. Il formaggio di San Leonardo. „Presso Tuia, grosso villaggio del circondario d'Ozieri, nell'altipiano detto il Sassu a causa della natura del suolo roccioso, composto di porfido tra-chitico, sorge una chiesa dedicata a San Leonardo. Qua e là per tutto l'altipiano si osservano dei crepacci, la massima parte dei quali hanno l'apertura più stretta della larghezza interna del vuoto, formatosi a causa d'un disgregamento del porfido tra-chitico. Uno di tali crepaci racchiude un ciottolo della precisa forma d'un pezzo di formaggio sardo, più grosso della spaccatura da cui si può vedere e toccare, ma non estrarre. La immaginazione popolare, non sapendo spiegarsi questo fenomeno geologico, ha intessuto una leggenda la quale si racconta così. Un giovane era riuscito a rubare una forma di cacio ancor fresco da un ovile. Accortosene il pastore, lo inseguì per farsi rendere il formaggio e punire il rapitore; ma questi, nel traversare di corsa quel territorio, cercò nascondere il corpo del reato, ficcandolo in uno dei crepacei coli'idea di riprenderlo a tempo più opportuno. L'indomani, allorché egli vi ritornò, fu sorpreso di trovare il cacio convertito in sasso, e la fessura chiusa per modo da non riuscire a cavarlo dal nascondiglio. Il miracolo fu attribuito a San Leonardo, e anche oggidì gli abitanti dei vicini paesi raccontano questo fatto con la più cieca e indiscutibile fede." Fin qui la leggenda sarda di San Leonardo. I Come il santo liberatore dalla schiavitù, sia divenuto in Sardegna protettore dei pastori e dei villici contro le imprese dei ladri non è tanto difficile spiegare. Si sa quanto la popolare fantasia sia inclinata a confondere le cose, e ad immaginare storielle sul fondamento di un nome male inteso o di un simbolo. A raccontare tutte queste alterazioni e svisamenti della storia in fatto di santi,, ci sarebbe da riempirne una biblioteca; e di ciò si occupano appunto i folcloristi italiani nella Rivista del Gubernatis. Le catene fuorviarono certo la fantasia dei Sardi; si adoperano per legare gli schiavi, ma anche i ladri; ed ecco spiegata così la leggenda. Ed ora tocca al Vesuaver, di scoprire, facendo parlare i contadini del territorio, se il san Leonardo di Portole sia presso loro il santo storico, oppur quello della leggenda. L'esistenza della chiesuola in aperta campagna, e la pastorizia così diffusa nell'Istria, mi fanno sospettare che le leggende nostre vadano di un passo con quelle della Sardegna1). Anche giova da ultimo notare che le pietre leggendarie c' entrano spesso nel culto superstizioso reso dal popolo ai santi. In proposito ricordo una leggenda triestina che ha qualche attinenza con la Sarda. Sull'erta di San Giusto a Triese, accanto alla Cappella del crocifisso ora demolita, e sull' aerea della quale sorge oggi un'ampia e moderna casa infino al 1S10 circa vedevasi una pietra del selciato recante per una bizzarria naturale nel mezzo la precisa forma d'un ferro di cavallo. Ebbene, il popolino credeva fermamente che san Giusto stesso salendo al Campidoglio a cavallo, vi abbia lasciato prima di soffrire il martirio, quella memoria del suo passaggio agli amati concittadini. Questa leggenda fu raccontata a me fanciullo più volte da mio padre ; e mi rammento benissimodi aver veduto qualche semplice devoto chinarsi, a toccarla e a farsi quindi il segne di croce. Anche San Giorgio lasciò in sua memoria la lancia alla patria; lancia caduta dal cielo, proprio il giorno del suo martirio avvenuto in Oriente; e che poi divenne la sacra alabarda, l'impresa del comune. Di quest'ultima leggenda fanno menzione tutti i cronisti triestini, dell' altra no, e qui la ricordo, prima sia dimenticata del tutto. Rinnovato ii selciato nel 1840 circa, e sparita la pietra, cessò anche la leggenda. Sono fiabe, sono superstizioni, sapevamcelo, ora il popolo vive anche di poesia; e dietro le tradizioni popolari brilla la storia severa matrona pure indulgente ai sogni delle semplici muse. Le credenze, i simboli, i miti, contengono 1) Esiste tuttora la località — San Leonardo, come rilevasi della Carta Topografica del Comune di Portole, e la famiglia De Leonardis vi è tra le più antiche. Vedi — Notizie storiche del castello di Portole del Vesnaver. Trieste 1884 Hermanstorfer. un fondo storico e ci ajutano nella scoperta della verità. Cittadini romani furono i primi martiri ter-gestini, e impugnarono le anni a difesa di Roma, e salirono il campidoglio sul colle ora di San Giusto, a celebrare i trionfi dell'alma madre, e questa è storia. Qual maraviglia, se il nostro popolino credeva di vedere incisa sulla pietra l'orma del destriero d'un cavaliere romano. Nè Cirillo nè Metodio ci hanno poscia lasciato l'orma delle opanche; e nemmeno su quel clivo si videro mai l'impronta delle bullette degli stivali cragnolini. P. T. ---------—----—•— o t i z i e La Provincia ha già fatto conoscere la sua opinione sulla grave questione dell' unione in un solo corpo amministrativo delle tre provincie dell'Istria di Trieste e Gorizia ; e nell' anno 1871 quando venne risollevata la proposta presentata dal Municipio di Umago per la fusione, La Provincia, in mancanza di altri periodici nell' Istria, prese viva parte in una serie di articoli, a sostegno della nobile idea, però dimostrandone tutte le difficoltà della pratica soluzione e venne a concludere, certa di interpretare il voto di tutti gli istriani, che avrebbe favoreggiato in tutti i modi 1' unione delle tre rappresentanze dietali, ma che spettava soltanto alla città di Trieste il dichiararsi sulla opportunità di tradurla in atto. E in fatti, i migliori patriotti di Trieste ebbero a dichiarare „che non reputano opportuno il tempo presente a siffatta discussione". E non se ne parlò più. Abbiamo avuto occasione di riconfermare la nostra opinione alcuni anni dopo nel 1884, quando l'Indipendente portò di nuovo la questione all' ordine del giorno, e dichiariamo oggi, come non c' è ragione di pensare diversamente che saremo tra i ferventi nell'appoggiare il divisato progetto posto innanzi in questi giorni dall' Indipendente, e astenendoci dal fare proposte sulle modalità da parte dei nostri comprovinciali di gettare le prime basi per venire a un concluso, attendiamo invece per le ragioni indicate, coerenti alle nostre opinioni, le proposte serie che ci saranno presentate da Trieste. Nell'afe e Storia di Firenze N. 19 a. c. leggesi quanto segue : 11 Duomo di Parenzo e i suoi mosaici Il R. Institute of Britisch Architects ha incaricato M. John Hebb, Direttore dei lavori pubblici al Metropolitan Board of Works, di tradurre in inglese, perchè siano pubblicate negli atti dell' Istituto, le teorie sulla combinazione delle luci colorate nei mosaici del sesto secolo della Cattedrale di Pàreuzo, svolte dall'architetto Giacomo Boni in una sua conferenza all'Associazione Artistica Internazionale di Roma e recentemente pubblicate nell' Archivio Storico delV Arte. A proposito di questa conferenza e della recensione da noi pubblicata, l'Autore ci scrive: „Sono grato all' egregio Prof. Paolo Tedeschi per il gentile invito che mi fa, nel giornale Arte e Storia, di tornare a Parenzo, ma debbo avvisarlo che le recenti scoperte non hanno che vedere cogli scopi del mio lavoro. »Uno di questi scopi, quello pratico, riguardava la conservazione degli stucchi e dei mosaici ; l'altro, il teoretico, riguarda lo studio delle luci colorate. Il primo fu, spero, raggiunto ; il secondo non riguarda esclusivamente Parenzo e prima di farvi ritorno credo utile di completare le indagini sulle combinazioni ottenute, colle rispettive scale cromatiche, nei mosaici dei secoli IV e V." C. Va benissimo ; ma poiché le recenti scoperte, anche secondo il giudizio dell' illustre e compianto De Rossi, sono importantissime, tornando a Parenzo farà un viaggio e due servigi ; completerà le sue dotte indagini sulle scale cromatiche, ,e completerà o riformerà il suo competente giudizio sulle nuove scoperte e sui ristami dei valenti mosaicisti. -----■- Oose locali Nella settimana scorsa venne collocata a posto sull'altare, nel nostro duomo, la statua del Redentore crocefisso, opera del signor Scipione Biggi di Carrara, eseguita' per commissione del canonico Lorenzo Schiavi, che la offerse in dono alla chiesa. L'insieme dell1 opera, raccolte le impressioni del pubblico, è apparso armonico sul magnifico altare; forse, taluno avrebbe desiderato tutte le proporzioni alquanto ridotte. La figura è di marmo di Carrara, la croce di marmo del Carso di Trieste; l'espressione del Cristo che ha dato l'ultimo respiro, col capo inchinato, inspira la pietà ; una tal quale sprezzatura delle forme rigide convenzionali con le quali si suole rappresentare il sublime sagrifizio, rivela nell'autore il sentimento vero dell' arte. Ci guarderemo dal fare appunti, se anche a noi parvero aver ragione alcune mende, perchè non ci sentiamo competenti a pronunziare giudizi in argomento tanto difficile, bensì crediamo di poter asserire con tutta coscienza che 1' opera è degna del nostro duomo e tale che inspirerà sempre il sollevamento degli spiriti nei fedeli, e richiamerà 1' attenzione dei visitatori del tempio. Tutti i concittadini sono riconoscenti al generoso donatore Monsignor Schiavi, che in così breve tempo fece alzare nel Camposanto la bella statua del Redentore, e questa di cui abbiamo fatto cenno, nel duomo. --'^MiX&W^'---1—--— Nettezza e fermentazioni pure La principale cagione dell' impuro sapore e delle alterazioni frequentissime, cui vanno qui da noi soggetti i vini bianchi, deve essere cercata nella tardanza soverchia a sottrarre il vino dal pericoloso contatto colle feccie. Già per se medesima eminentemente alterabile, in grazia delle putride fermentazioni di cui è sede troppo di frequente, la feccia lasciata per troppo tempo in contatto col vino gli comunica un odore ed un sapore particolare disgustosissimo, che poi difficilmente esso perde anche coli'invecchiamento. Quale ricettacolo poi di germi numerosi di fermentazioni nocive al vino, la feccia è un vero focolajo di malanni, che presto o tardi appariranno nelle botti non a tempo travasate, specie al sopraggiuugere dei calori della state. E ciò facilmente si capisce. — Ed invero che cosa | mai è la feccia? — Essa è un sedimento di tutto ciò che il mosto già conteneva di impuro, e che ha cessato di rimanerci disciolto o sospeso nel liquido fermentato. E il rifiuto insomma della sana e pura fermentazione vinosa. Or come una casa lasciata ingombra di immondizie e di rifiuti dell' economia domestica presto diventa j un focolaio di infermità per i mal cauti abitatori; così una botte non depurata dal sedimento feccioso si comporterà rispetto al vino. Nella prima saranno gli uomini a contrarre infermità gravi e spesso mortali ; nella seconda sarà il vino a dar di volta, ad intorbidarsi, a divenir fetido e malsano coi primi calori, per andare I infine totalmente decomposto e perduto. Tosto che il vino bianco novello abbia cessato di ] fermentare e che siasi raffreddato ed un poco schia- i rito, sarà dunque tempo di travasarlo subito in un'altra \ botte netta, sana, monda dalla vecchia gruma, esente 1 da odori di muffa, di legno, di secco, o peggio d'aceto. ! La sanità completa della botte è il primo requisito per la sanità del vino. Nessun segreto negromantico , j varrà a dare vino sano da una botte malsana. E questo ^ se lo ricordino gli spacciatori di segreti enologici. Ma la vendemmia qui, come un po' da per tutto, ] è ancora un vero trionfo delle sporcizie. — Badate, pex i carità, a quelle figure da satiri, sconcie e lercie, che i manipolano le uve, imbottano i mosti, travasano il vino, ; tutta imbrattando con impuri contatti la bevanda preziosissima a noi fonte di energia e di salute ! Non si potrebbe invero essere più sucidi di taluni dei nostri cantinieri. — Sotto una crosta policroma, che J s'ingruma sulle mani, sul viso, sulle braccia, sulle gambe, j su per gli abiti, la figura umana non è quasi più rìco- " noscibile. Altro che fermenti puri.....! E a dirittura ; l'Arca santa di Noè, con tutte le razze e sotto razze -di fermenti puri ed impuri, che da Bacco in poi mai non abbiano vissuto e prolificato a spese del vino e a danno degli uomini. Eppur come esiste il precetto, che la feccia è quella che dona forza e valore al vino, così si considera la fermentazione quale una fiamma purificatrice di ogni lordura, capace di fare di un mosto insudiciato, un vino nettissimo e purissimo. Perciò col mosto tutto è lecito. Badate però che tanto il birraio, quanto il distillatore di alcooli, come ogni altro che, come noi, si occupi della industria della fermentazione, non sono punto del nostro avviso, e non condividono menomamente la cieca nostra fede sulla virtù purificatrice del processo ' fermentativo. Le fabbriche di birra, le distillerie ecc. sono anzi veri modelli di scrupolosa nettezza. Da per tutto infatti colà spine d'acqua per lavare, e gli uomini, e i vasi, e gli utensili, e i muri, e i pavimenti, e tutto : lavacri sopra lavacri insomma, giorno e notte, da Gapo a fondo ; eppoi, se ciò non basta, ancora caldaie a vapore per getti a pressione a ripulire i tini, le botti ed ogni recipiente. — Badate poi agli operai sempre lindi, ordinati e decenti nei loro lavori. Così è possibile l'applicazione di fermenti puri, nobili e selezionati, colla certezza che ogni altro germe impuro o nocivo non verrà ad inquinare fino da bel I principio il liquido fermentante. Così si sa quello che si fa, e quello che realmente si vuole ottenere. Senza la nettezza la più severa e scrupolosa, invano si cercherebbe di ottenere fermentazioni pure, sane e complete. L'annata 1894 col suo triste codazzo di vini subbolliti, incerconiti, inacetiti, fracidi e putridi, ci ha lasciato un ben grave e doloroso insegnamento sulla necessità del buon governo della cantina. — La trascuranza delle sane norme della igiene vinicola ci è stata multata per un importo ben più rilevante di quanto non si sarebbe disposti a credere a prima vista. Pulizia dunque e nel vino, e nella cantina. Bando alle feccie, alle vecchie incrostazioni di gruma, alle cantine ammorbate dal tanfo di tante lordure infiltrate nei muri, nei pavimenti, nelle travature e persino sugli abiti e sulle persone dei lavoranti. — Senza una nettezza grande e scrupolosa, non si parli di fermentazioni pure. La vendemmia e la vinificazione non debbono esser soltanto il trionfo dell'allegria, la festività campestre più lieta dell'annata; sieno sopra tutto il trionfo della nettezza, della proprietà e della vera igiene del vino ! Parenzo, 9 Ottobre 1894 Hugues ---—»r—----1 Appunti bibliografici Studi di letteratura italiana di B. Zumbini Firenze Le Monnier. (Un volume in sedicesimo di 358 pagine. Vale lire quattro.) In fronte al volume leggesi la dedica seguente : Alla memoria di Francesco de Saudis e di Bertrando Spaventa come segno di una gratitudine affettuosa che non finita con la loro morte finirà soltanto con la mia. Ho di proposito cominciato l'appunto col riferire la dedica, perchè questa dà l'intonazione al libro, e, perchè la gratitudine affettuosa serbata al maestro dimostra subito come il discepolo conservi le gloriose tradizioni della critica estetica accogliendo sì il buono dall'altra che chiamano storica, senza però sciupare tempo e ingegno nell' affannosa ricerca di cartacce e di chincaglierie da antiquari, di nessuna importanza per la scienza, e meno che meno per l'arte. Questi studi poi dello Zumbini, benché pubblicati in vari tempi nei periodici (ad eccezione dello scritto — La follia di Orlando, edito per la prima volta) appariranno ai più nuovi; e, raccolti in un volume, faranno vie meglio spiccare gl'intendimenti del critico, e i suoi concetti direttivi. Perchè due sono i pensieri dominanti in questo come in tutti gli altri libri di lui: ricerca del sentimento della natura nei vari autori dei quali imprende a studiare le opere; e raffronto tra gli scrittori italiani e gli stranieri; opportunissimi entrambi, così per la letteratura internazionale, come per rilevare i secreti ed intimi rapporti tra il mondo fisico e morale, costituenti quasi una nuova internazionalità tra gli esseri di tutto il cosmo. A questo merito dei larghi ed elevati concetti della critica dello Zumbini, si aggiunga in lui un colpo d'occhio sicuro, un'ammirabile e felice disposizione d'istruire i vari argomenti, e di scoprire sempre nell' autore esaminato qualche cosa di nuovo, o di collocarle in una tale prospettiva, da farcelo apparire come nuovo. E tutto ciò con pochi e sicuri tratti: mentre molti si perdono in questioncelle ingegnose, e in alzate d'ingegno, o diluiscono il concetto in un mar di parole, o per una certa associazione più da indici e da cataloghi che d'idee, da una questione ne fanno nascere un' altra con una critica di superfetazione, lo Zumbini colpisce sempre nel segno ein poche righe ci mostra il pregio d'un'opera, e di uno scrittore rileva le doti più essenziali. Così uel suo primo studio, Vittoria Colonna, a mostrare quanto questa egregia donna si sia sollevata sopra i petrarchisti coutemporanei, rileva il fatto seguente. Nel grande esemplare, comune a tutti i rimatori cinquecentisti c' è l'uomo che ritrae il suo amore per, una donna . . . Ma per la Colonna il fatto stesso fu nuova cagione di verità ed efficaccia: essa era una donna che volea significare nel verso ciò che sentiva per un uomo, . . . Con tutto il canzoniere petrarchesco nella mente, una donna, volendo poetare di amore, ha sempre bisogno di trovare in sè, o immaginar da sè, almeno quanto macchi per il caso suo a quel linguaggio." E così via: l'autore ha con sicuro sguardo intuito ciò che è proprio originale nell' amore sentito e profondo per Michelangelo. Un' altra dote dello Zumbini è poi quella sua arte di presentare l'intonazione per dir così, dall'autore, e di trasfondersi nell'ambiente di quello. Prendendo occasione da una strofa della Colonna, lo scrittore ci pone sott' occhio nel primo studio lo stupendo paesaggio d'Ischia e scrisse due pagine tutte pregne dell'erbe e dei fiori meridionali, e intorno alle quali pare aleggino i zeffiri profumati del golfo più bello d'Europa. Memore poi del precetto di Lessing, come l'immortale autore dei Promessi Sposi (e ciò rilevò egli stesso parlando di lui) non descrive per descrivere, uè gareggia col pittore; ma per derivarne nuovo pregio alla Colonna stessa, che la medesima scena già contemplò con intelletto d'amore, educando in lei il sentimento della natura sotto così splendida guardatura di cielo. E queste due pagine certo rimarranno, ad esempio di quanto possa la lingua nostra anche oggi in quell'arte del descrivere che F anfanamento dell'accumulare avvenimenti sopra avvenimenti, e la pedan- teria delle analisi psicolgico-materialistiche, fa trascurare ai moderni, mentre nei giusti limiti contenuti tanto pur giova alla varietà, ed al riposo della niente di chi legge; ed è quasi affogato dall'onda degli avvenimenti. Tutti questi pregi piti o meno adornano gli studi del presente volume; che sono, oltre al già ricordato: Il Saul — Il Misogallo — La poesia sepolcrale straniera e italiana ed il carme del Foscolo — Il Folengo precursore del Cervantes — Le lezioni di letteratura di Luigi Settembrini e la critica italiana. Sopra alcuni principii di critica letteraria di Gr. B. Vico — I Promessi Sposi e il Lago di Lecco — La follia d'Orlando. Da per tutto un mirar giusto, e qualche cosa di nuovo, che se non sempre subito ti persuade, pure ti sforza a pensare e ti allieta. Così la parte lirica del Saul derivata secondo l'autore dall' ode famosa del Dryden imitata già da Angelo Mazza, e a' nostri giorni egregiamente tradotta dallo Zanella. Il carme del Foscolo viene definito così: La più felice interpretazione di quella doppia voce che la natura e la storia ci mandano dalle tombe (pag. 153). Trattando del Folengo, precursore del Cervantes (esempio questo di ricerche d'imitatori stranieri dei nostri e non viceversa, come troppo di sovente fa lo Zumbini, secondo il lamento di quei vecchi gufi delle torri italiche, che ci vorrebbero tappati sempre in casa) trattando del Folengo, diceva, lo Zumbini conchiude „che la dimenticanza di un tanto scrittore è quasi una vergogna della nostra critica odierna che bene spesso, con la presunzione di far cose grandi, riempie libri e gazzette di questioncelle biografiche, bibliografiche e cronologiche, e intanto non un' occhiata a monumenti letterari che onorano insieme la storia e l'arte, il pensiero e la poesia italiana!,, (pag. 166). Se con lo studio poi sul Settembrini parrà a taluno che l'autore, dopo quanto fu detto e scritto sia arrivato come dicesi, con l'ultima corsa, non sarà difficile riconoscere da chi ben vede dentro nelle questioni, opportuna l'opera di un meridionale giunta a proposito a persuadere gli adoratori (e non sono pochi laggiù) che anche per la critica è oramai finito il periodo della rivoluzione (pag. 252). E del Vico poi, come condensa in poco più che una semplice nota, gli altissimi veri, mentre solo intendeva accennare alle attinenze della Scienza nuova con la critica lessinghiana e con molti moderni! Ed esortando gl'Italiani allo studio del Vico molto opportunamente e con fina ironia conchiude. «E poi esso (Vico) avrebbe oggi una particolare ra- gione di opportunità. Perchè fra tanti dotti discorsi di uomini politici e pubblicisti nostri, i quali ci preparano nuove e grandi riforme di tutte le scuole gioverebbe che l'umile voce di Giambattista Vico ripetesse qualche cosa in favore di quegli studi classici, che egli si dolse di vedere abbandonati nella sua Napoli per la solita funesta efficacia degli esempi francesi, e che considerò sempre come gloria eterna della patria, e fonte inesausta di luce per tutta la scienza umana«, (pag. 268). Nello studio — I Promessi Sposi e il Lago di Lecco, a proposito di alcune recenti questioncelle,. oltre che nel sopraccennato luogo, vede giusto quando -scrive che „il Manzoni non volle già ritrarre questo (il lago) in tutti i suoi punti ed aspetti particolari, bensì nelle linee generali« (pag. 280) e che quindi è vana critica quella di notare qualche contraddizione o indeterminatezza negli accenni ai vari luoghi del romanzo. Nei raffronti però con lo Schiller, e col lago dei Quattro Cantoni, forse 1' autore ha battuto alquanto la campagna. Nella Follia di Orlando, da ultimo benché dica cose bellissime, panni pure che lo Zumbini prenda troppo sul serio l'Ariosto scrivendo che nel descrivere cose tenero e drammatiche assume un tono d'indubitabile sincerità e fervore, senza aver mai nulla di quell'incertezza di sentimento, che predomina nelle altre sue dipinture^ (rag. Hi 3). L'intervento del cuore non nego assolutamente, pure c'è sempre la trovata comica, e fa capolino quella nota d'amabile e vago scetticismo che forma il fondo della poesia cavalleresca. Neil' episodio famoso di Cloridano e Medoro, per esempio, la commozione del lettore rimane scemata dall'egoismo di Cloridano che getta la soma e pensa. Chè sarebbe pensier non troppo accorto Perder due vivi per salvare un morto. (XVIII) E per descrivere i casi di Orlando, 1' Ariosto ha fin da principio presa l'intonazione comica nella seconda ottava del primo canto dove dice che conterà d'Orlando. "Che per amor venne in furore e matto. Il De Santis l'ha già notato, e quel giudizio rimane. Meglio riconoscere col nostro Rachelli che l'Ariosto come molti altri di quel triste tempo, perduta la patria, un' altra ne trovò nel mondo dei sogni e delle stupende sue fantasie. La difesa dello Zum-binè è sottile, arguta, ma non convince. Raccomando le studio di questo volume ai cultori delle lettere italiane, ai professori e scolari del patrio ginnasio. _P T.