ANNO XXV. Capodistria, 16 Dicembre 1891. N. 24 LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e qua-Jrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Sedazione. Estrema mala, estrema remedia NelVIndipendente del 27 dello scorso mese1) sotto la rubrica — Ribellione clericale — leggesi d' un parroco dell' Istria, clie, richiamato dal suo vescovo all' osservanza della legge proibente 1' uso della lingua slava nella liturgia, e minacciato di sospensione a divinis rispose la sospensione gli a-vrebbe dato agio di passare con tutta la sua parrocchia alla chiesa sismatica. Il Vescovo, secondo 1' articolista avrebbe dovuto trangugiarsi 1' amaro boccone, e per iscansare maggiori gèrico.li accon-1 tentarsi dì fare una paternale al prete ribelle. Il fatto, non fu mai nè in tutto nè in parte rettificato ; e in ogni modo è conforme a tanti altri fatti nell' Istria, e allo spirito dominante in quei preti boemi e moravi che Monsignor Glavina ha avuto P infelice idea di chiamare ad evangelizzare la nostra povera Istria. Non occorre dirlo : il fatto è gravissimo. A ; questa già, o presto o tardi, se le cose procedono ! di questo passo si ha a venire: divisione etnogra-I fica e divisione religiosa; un Istria italiana e cattolica e un Istria slava e ortodossa. Sarebbe il peggiore dei mali ; sarebbe la guerra, anzi una duplice guerra in famiglia. E non si dica, che noi esageriamo e corriamo le poste; l'esperienza quotidiana e la storia c' insegnano che dati questi principi, sempre ne vennero tali conseguenze. Parlare poi di progresso, e dell' attuale indifferenza per le cose di religione o peggio di tolleranza è fiato sprecato trattandosi di un popolo giovane sempre all' abbiccì della civiltà, fra noi anzi di una plebe facilmente infiammabile e trascorrente in nome della religione ad eccessi. Chi ne dubitasse Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati legga i recenti racconti e le notizie del modo u-sato dai Bussi per convertire alla fede ortodossa i così detti greci uniti e i poveri contadini cattolici della Polonia. Dunque non sono cose da mettersi in tacere; il.paternale non basta: estremi mali, estremi rimedi ; salus patriae suprema lex. Lo stato e la religione sono interessati a far cessare subito subito lo scandalo ; e a sradicare la mala pianta dalle radici. Ciò è presto detto, parlando così in generale ; scendiamo quindi subito ai particolari e accaniamo ai rimedi. _ Punto primo. È necessario, è giusto che in uno stato di varia nazionalità, ad ogni popolo sia assicurato il sacro diritto della lingua. E per parlare più in concreto è giustissimo che i Croati abbiano il pieno uso del Croato in Croazia, i Tedeschi in Germania, gli Ungheresi in Ungheria ecc. Ma non è conveniente, non e buona politica estendere, dirò così, con un' esattezza pedantesca detto diritto a tutte le singole frazioni di un popolo introdottosi sul territorio di un altro popolo antico e civile, specialmente poi se questo popolo è ancor frazionato, non ha 1' unità della lingua, e si suddivide in tanti e vari dialetti, senza un centro comune. Che ci siano scuole popolari croate in Croazia, slovene in Carinola, czeche in Boemia e polacche in Gallizia va bene. Ma che nella piccola Istria dove le città e le grosse borgate sono tutte italiane; dove gli Slavi, penetrati da diverse regioni, e già italianizzati in vari luoghi o sulla via d'italianizzarsi, interrotta violentemente in questi ultimi tempi, ci siano tante scuole, quanti i vari e rozzi dialetti che vi si parlano, è un errore, e dovrebbe indurre una confusione tale di scuole croate, slovene, ladine da digradarne 1' antica Babele. Nei paesi di nazionalità così intralciata, così mista, le scuole devono essere nella lingua colta del paese. E non si fa già con ciò torto alle famiglie ; ogni madre conserva il diritto d'insegnare a parlare e pregare i suoi fanciulli nella lingua materna; quando poi i fanciulli stessi, divenuti grandicelli, sentono il bisogno di estendere la loro cultura, allora è necessario, nel loro stesso interesse, che vengano istruiti nella lingua colta del paese. Non altrimenti si diportarono e si diportano i Tedeschi dell'Austria in varie regioni dell' Impero ; e noi Italiani dell' Istria, in possesso da secoli di una civiltà e di una lingua ammirabile, recla-miano per noi lo stesso diritto, e lo sosteniamo con le stesse ragioni da loro giustamente accampate per soprapporsi alle varie tribù slave penetrate nel loro territorio qua e là di nazionalità mista. Alle corte provveda adunque lo stato perchè nell' Istria, almeno nell'ex veneta, la scuola civilizzatrice sia italiana. Senza di questo rimedio radicale la scuola non sarà che una babele. Questo deve essere l'ideale nostro ; anche se oggi non lo si può raggiungere si tenda sempre a questo; e perciò domande ci vogliono e continue domande e al caso rispettose, ma vigorose proteste nei limiti delle vigenti leggi. Non dobbiamo perderci d'animo: sommissione attiva e resistenza passiva, ecco la parola d'ordine secondo il motto del celebre 0. Connell agitatore dell'Irlanda. I lenti ma sicuri trionfi dell'idea sempre si sono ottenuti in questo modo. E se altro non si può ottenere vigili l'Eccelsa Dieta, perchè nei luoghi dove ci sono scuole miste, la parte slava non prevalga sull'italiana, e maestri e preti non sforzino la mano ai genitori e gì' intimoriscano come avvenne teste a Servola. In questo caso imitino tutti i comuni l'esempio dato dal Municipio di Trieste che fece la sua vigorosa protesta. E troppi riguardi si sono usati da noi finora, o con che profitto si vede ! Passiamo ora al secondo punto : la religione. Il caso è ancor più grave sotto questo aspetto; le eresie e gli scismi furono sempre causati da vescovi da preti e frati riottosi ; è il clero che si trascina dietro le plebi. Dunque principiis obsta. La parola del pio e dotto prelato di Parenzo certo avrà prodotto qualche effetto. Ma se così non fosse, certo non mancheranno altri e più vigorosi mezzi al vescovo per mettere al dovere il parroco ribelle. Meglio sole le pecore che abbandonate ad un lupo in veste di pastore. E se c'è difetto di preti slavi nell' Istria, anziché farli calare giù di Boemia e Moravia, perchè non rivolgersi al clero regolore di tanti conventi dalmati, o meglio al collegio di propaganda a Rema perchè spedisca missionari nell' Istria interna? Speriamo però in un avvenire migliore preparato dal piccolo seminario in Capodistria, mantenuto con così larghi intendimenti dall' illustre prelato parentino. Fu scritto che i lamenti degl'Istriani dovrebbero farsi sentire nel Vaticano. Pare però che in curia si abbia, ora come ora, altro pel capo. Come ai tempi di Lutero là tutte le menti erano rivolte allo splendido carnevale dell' arte, aspettando come diceva Papa Leone, che passasse la birra al frate beone, anche oggi preoccupati da altre facende terrene, si sarebbe forse inclinati a non vedere la mano del Russo lontano, e ad aspettare pazientemente che svaporino le ire dei preti slavi. Non tutti così però; al di sopra di tutti sta il pontefice che, debitamente informato, vorrà certo anteporre ad ogni mondano interesse il bene del gregge a lui affidato, e provvedere a tempo con la sua autorità affinchè le antiche chiese suffraganee del Patriarca d'Aquileia non cadano in mano del Santo Sinodo di Pietroburgo tenuto a rigo dal volere dell' autocrata. R. --S'Jil® ifgV'T'S- Seminario o Collegio li Capodistria (Continuazione vedi N. 7 e seg.) N. 8. Ducale de 4 7.bre 1683: che ordiua alle Fraterne di Parenzo di fare la prescritta attuale contribuzione a cotesto Seminario, e siccome il Seminario Vescovile non ha mai cavato un soldo dalle confraternite, il convitto di civica fondazione fu all' occorrenza denominato Seminario p. avere e conservare il possesso delle rendite provenienti da coteste confraternite destinate legalmente e solamente p. l'educazione sopratutto degl' Ecclesiastici. Stando le cose come sono, il rischio mi sembra evidente che succeda la rovina del Collegio, e sussistendo questi due luoghi in piccola esisanita Città, in vhta dell'erezione, e miglioramento de'Convitti ne'Stati esteri limitrofi, e nelle vicine provincie consuddite, hanno essi da avere necessariamente 1' apparenza ed il sospetto di una gara non sempre decorosa nè ben considerata, da cui ne può nascere nel giro di non molti anni la decadenza di ameudue i luoghi di educazione di questo Paese. A Murano ed ancor meglio a Padova sono ammessi in que' Seminarj alunni secolari, e ne sortono soggetti utili anche fuori del Clero. 11 mio voto sarebbe adunque che il Seminario andasse ad occupare il buon fabbricato del Collegio, e ne amalgamasse le rendite incorporandole colle proprie, e riunisse le biblioteche ; che in quanto è possibile s'imitasse il metodo ed ordine fiorente in Padova p. la disciplina, subordinazione, e studj, dovendo qui le scuole esser Pubbliche ; che questa Casa continui ad essere sotto l'Autorità tutoria e benefica de' Vescovi, provandosi coli' esperienza di un secolo cbe le rendite del Seminario furono accresciute dalla vigilanza, attenzione e cura de' Prelati mentre le reudite civiche furono e sono deteriorate ed alterate dall' incivile arbitrio derivici. Cbe la città, la quale con sacrifizi generosi fondò il Collegio abbia il privilegio che gli alunni figli de' suoi Nobili siano ricevuti nel Convitto col ribasso nella dozzina di 25 %i e di più i Sindici Capi di essa e Magistrato degli studj abbia una influenza negli esami sopra i soli studi laici, nè si possa fare dal Vescovo alterazione alcuna nella fabbrica senza partecipazione de' Siudici e Magistrato suddetto, con quel più o meno di decorosa ingerenza, che sarà creduta conveniente, ma salva la giusta preponderanza del Prelato, e che siane il piauo concatenato in modo che la civica ingerenza possa servire a vantaggio e lustro, non mai ad imbarazzo e molto meno pernizie di quella fondazione di edificazione, la quale senza danno del Principe diverrebbe un Liceo bello e buono, e ne trarrebbe il Paese vantaggio e lustro notabile. Le circostanze sono delicatissime. Non può il Vescovo dimandare questa coalizione de' due luoghi a tenore delle Leggi fondamentali del Principato analoghe e concomitanti al concilio di Trento perchè presso la rauca maldicenza municipale parrebbe volersi la distruzione di ogni cosa. La Città, o Civici non faranno mai niente di bene p. non saperlo fare, uè pensare, e p. quell' insidiosa lesina meschina eh' è lo spirito predominante di simili Corpi, i quali non tendono che al privatissimo lucro a turno de' loro componenti. Sarebbe poi desiderabilissimo che qualunque eccitamento di Veneto gravissimo Magistrato commettente alla carica d'informare foudatam.te sopra lo stato del Seminario e del Collegio, lo facesse prima che nel mese di Maggio il Seminario entrasse iu spese di fabbrica, e prima che a quell' epoca escissero di carica i due Sindici attuali scevri fra molti dal maltalento di civica torbida tracas-sena, i quali seconderebbero, o non impedirebbero le ottime intenzioni dell' attuale Pod.ta direttamente trasportato p. ogni oggetto di pubblico bene. Ma come si possa effettuare felicemente questo mio desiderio nel laberinto del p. me inestricabile ordine Veneto, dove sembrami cbe si studi di far dificil-mente le cose facili, sarà merito delle di Lei luminose insinuazioni, le quali riverentemente imploro, quand'Ella creda che quanto mi sou preso l'ardire di accennarle meriti il riflesso di uu Uomo come Lei, di cui non farò l'elogio che rinnovandole la ricordanza della sincerissima stima rispettosa con cui ho l'onore di essere immutabilmente. FINE ---———•-- INDICE DELLE CAUTE DI RASPO (Archivio provinciale) Filza 7. (Continuazione vedi N.o IO anno XXIV e seg.) Decreto del 27 ottobre 1550 che ingiunge alle pancogole dì dover essere costantemente provvedute di pane. A conseguire più facilmente lo scopo, è disposto che il fonticaro sia tenuto di dare a cadauna di loro due misure di frumento; consumata che sia una misura, esse devono tosto pagarla ottenendo però dal fonticaro un'altra misura e cosi di seguito. È concessa facoltà ai giudici, ai sindici e ai giustizieri di poter verificare se le pancogole sono sempre provvedute di farina. Decreto della stessa data per il quale chi fa cuocere pane è tenuto di dare alle fornare non più di un pane ovvero un soldo per ogni venti pani, e ciò tanto in tempi prosperi quanto in tempi di carestia. Lettera del capitano agli Avogadori di Comun del 28 novembre 1550 con cui accompagna una copia di sentenza pronunciata dal predecessore Iacopo Barbarigo contro M. Smoglio-vich di Licischie nella giurisdizione di Lupoglao il quale, imputato di omicidio, fu bandito da tutto lo stato veneto. Decreto del dì ultimo di novembre 1550. A evitare incendi, chi tiene in Castello paglia o fieno, deve senza indugio asportarlo ed è concesso di tenerne solo tanto quanto può bastare per una giornata di vitto al bestiame; chiunque poi ha casa coperta di paglia o canne, è obligato di ricoprirla con lastre o coppi. Lettera ducale francesco Dona 5 novembre 1550 al podestà e Capitano di Capodistria, al capitano di Raspo e ai podestà di Montona, Grisignana e Portole Contiene severe disposizioni contro i danneggiatori del bosco di Montona. Decreto del di 13 decembre 1550 tendente a impedire l'esportazione di biade dal capitanato. Lettera ducale Francesco Donà al capitano David Bembo, 27 novembre 1550, che annulla la sentenza pronunciata dal capitano che fu di Raspo Iacopo Barbarigo contro Perino Sidersich il quale era stato condannato alla galea in catena al remo per anni dieci. Decreto del 21 decembre 1550 per il quale il capitano vieta a Paolo Vicentino di vendere l'olio a prezzo più alto di sei soldi e mezzo la lira come e sta carratato. Lettera del capitano, 5 gennaio 1551, ai provveditori supra fortiliciis con cui chiarisce, sulla base delle carte lasciate del suo predecessore, l'uso fatto dallo stesso delle munizioni. Lettera ducale Francesco Dona al Capitano Devid Bembo, 6 decembre 1550, che annulla la sentenza pronunciata da Iacopo Barbarigo che fu capitano di Raspo contro Giovanni Maria Vicich. Lettera dei provveditori e patroni dell'Arsente, 14 marzo 1551, al capitano con cui accompagnano la spedizione per alla volta di Pinguente delle armi e degli oggetti seguenti: Piche de frassino cum soi ferri vinti n. 20 Spedi novi alunati cum sue haste de frassino n. 20 Partesanoni novi cum sue haste de frassino n. 40 Arcliibusi trenta de meza onza de balla e fenta de un onza cum sexanta para de forme da balote posti in tre casse ligate n. 60 Botazi de cuoro con sui spolverini in una cassa n. 60 300 Agudi de 1 pe et mezo 300 Agudi de uno pe 200 Agudi de mezo pe Le quali armi il detto Capitano, nel giorno 8 del successivo aprile, distribuisce in questo modo. Il zupano di Rozzo ottiene 16 partesanoni. 8 spedi, 8 piche, 30 arcliibusi e poi ancora 30 botazi de cuoro e 30 forme de balote. Colmo riceve 12 partesanoni, 6 spedi, 6 piche, 10 arcliibusi, 10 forme de balote e 10 botazi de cuoro. Draguch ha 12 partesanoni, 6 spedi, 6 piche, 16 archi-busi, 10 forme e 16 botazi. Per le munizioni di Pinguente vengono riservati soltanto 4 archibusi, 4 forme e 4 botazi. Lettera del Capitano, 11 aprile 1551, accusa ricevuta delle armi su indicate e informa i provveditori dell'Arsenale sull'uso fattone Lettera del capitano, della stessa data, annuncia agli Avogadori di Comun della Signoria essergli nato il 15 febbraio 1551 un figliuolo che fu battezzato dal vice-pievano Giovanni Snebal e cui fu posto il nome di Dardi Faustino Vincenzo. Li prega di registrare codesto suo figliuolo nel libro dei Nobili. Parte presa in rogatis del 10 ottobre 1550 con cui si accoglie l'istanza degli abitanti di Draguch, Colmo e Rozzo i quali avevano domandato delle armi per difendersi in caso di bisogno. Questa decisione ebbe effetto, come si è veduto, nella compiuta distribuzione di armi riportata più sopra. Decreto del capitano, 12 aprile 1551, contro i danneggiatori dei campi. Decreto del capitano publicato nel maggio 1551 che vieta di portar via calce dalla fornace del comune. Decreto del dì 1 giugno 1551 che vieta ai carizadori dl legnami di tagliar legna, sotto verun pretesto, nel bosco di Montana e ordina loro di compiere quanto sono tenuti di fare entro il mese di giugno. Decreto del 7 di giugno 1551. Prescrive come deve farsi la guardia della piazza e delle porte, vuole eseguito il proclama che ordina di chiudere o munire di grossi ferri le aperture fatte attorno le mura di Pinguente e vieta ai mugnai di lavorare la domenica e le feste principali. Lettera dei provveditori sopra le fortezze, di Venezia 8 giugno 1551, che invita il capitano di rimettere ai provveditori dell'Arsenale tutte le armi che fossero diventate inutili. In esecuzione della quale il capitano rimette le armi inutili, nel cui inventario veggonsi registrati molti archibusi de ferro cum sui manegi. molte balestre cum sui tenieri, un'arca d'azal, lieve da balestra, molte corazine, archi de legno senza corde, cassette de freze d'arco senza pene et ferri, partesane cum lasta, et senza asta, un centinaio di lenze cum ferri et senza, veretoni, zeladoni, lumiere, targoni, ronche cum lasta, codette, cargadori da fidco-neto senza ferri, una spingarda de ferro senza el zocho, una bombardella de ferro cum suo zocho, un molinello da balestra una daladora da iustitia. senza el zocho, ecc. Delle armi di Rozzo, Colmo e Sovignacco sono restituiti parecchi archibusi. Una spingarda grande cum sua cassa restituisce oltracciò Sovignacco. Lettera del capitano di Pinguente 25 giugno 15-51, ai provveditori sopra le fortezze con cui accompagna l'inventario anzidetto e dove fra altro si legge : Non mi è restato arma alcuna da asta ne da dosso : V.re Mag.ie vedera esso inventario et mi remandera altre tante bone arme da asta et de dosso, in loco de corazine qualche cosatelo che sarano più a proposito. Abbisognerebbero per Pinguente due falconetti da sei, parimenti due falconetti a Rozzo per esser bon castello; un falconetto per Colmo e uno per Draguch che certo ne hanno de bisogno per esser suli confini. Soggiunse poi il capitano: V. S. me mandi etiam bona qualità de polvere de ogni sorte et del piombo, una daladora bona fornita de suo zocho et feri, et una bona corda da tormento. Che gli mandino infine un gonfalone di San Marco, poiché tanto Pinguente quanto i Castelli menzionati ne sono privi. 1 provveditori sopra le fortezze accusano, da Venezia 6 luglio 1551, ricevuta delle armi inutili spedite e invitano il capitano di riirjettere una distinta esatta di tutte le armi che gli si rendono necessarie. Lettera del capitano al principe di Pinguente 26 luglio 1551. Partecipa di avere mandato, in esecuzione degli ordini ricevuti, le armi e le munizioni inutili all'Arsenale. Allega una specifica di dette armi e chiede, ripetendo quanto scrisse nella lettera ai provveditori delle fortezze, armi e munizioni nuove. Altra lettera del capitano ai provveditori delle fortezze, di Pinguente 26 luglio 1551. Annuncia di avere spedito la lettera precedente insieme con la specifica e rinuova la preghiera fatta circa le armi e le munizioni nuove. Decreto del capitano, 2 agosto 1551. che invita coloro i quali ebbero anticipatamente denari per tal conto da Giovanni Scampicchio, incaricato dalla Signoria del taglio di legna per i magazini de Comun, di compiere entro il mese d'agosto il trasporto dei legni. Decreto del capitano, (i settembre 1551, che vieta di accogliere in casa persone che fossero bandite dal capitanato. Lettera di Giammaria Contarini podestà capitano di Capodistria 19 settembre 1551. A completare il numero di galeotti necessario per la galea di Capodistria lo interessa di voler ottenere che la comunità di Pinguente mandi altri due uomini in loco deli doi galioti faliti. Lettera del capitano, 21 settembre 1551, che informa il podestà-capitano di Capodistria circa l'invio dei due galeotti richiesti nella lettera precedente. Decreto del capitano, 4 ottobre 1551, che vieta di portar arme di notte, di buttar sassi sulle vie della città o contro le porte delle case e di sonare le campane Decreti del capitano, 8 maggio e 2 giugno 1552. Il primo vieta di danneggiare come che sia i campi e i prati, il secondo di comperare e incanevare frumento per farne mercanzia Lettera del capitano, 16 giugno 1552 al principe che ripete la preghiera già umiliata di mandargli armi e munizioni nuove in cambio delle vecchie e inutili rimandale all'Arsenale. Lettera ducale, 18 agosto 1552, di Francesco Donà al capitano David Bembo. Giannantonio Scampicchio comesso dal Conseglio nostro de X taglierà legna nel bosco di Montona per li magazeni nostri giusta la limitatione facta dal nob homo ser lunardo loredan patron al Arsenal. Veda il capitano che dallo Scampicchio sia compiuto qnanto gli fu commesso e che siano rispettati i legni buoni per l'Arsenale. Lettera del capitano, di Pinguente 13 ottobre 1552, che comunica allo Scampicchio il tenore della ducale precedente. Lettera del capitano agli Avogadori di Comun, di Pinguente 14 ottobre 1552. Partecipa che il 21 del decorso agosto gli nacque un figliuolo al quale, battezzato il 4 di ottobre da pre Giovanni Snebal pievano di Pinguente, fu posto il nome di David, Anastasio e Francesco; domanda che sia registrato nel libro dei Nobili. (Continua) G. V. — Portole -j^S----------- ITotizie E tempo di finirla Così iutuona VIstria del 12 corr. un articolo ispirato dallo stato vero delle cose, e dal sentimento esasperato di tutta la popolazione civile. Racconta come sieno seguite le elezioni comunali di Montona, dove finalmente prevalse la volontà del censo, della coltura, degli interessi tutti, di fronte alle solite agitazioni dei preti; ma con ritorno ai tempi medioevali si dovette difendere la città-castello da irruzioni di contadini armati. Racconta che mezz'ora distante da Parenzo nessuno può avventurarsi senza correre il pericolo di essere colpiti ; e cita i fatti avvenuti; che a Visignano vi fu una specie di battaglia; enumera i danni campestri perpetrati; e chiude: Ora, come a tutti è noto, codesti non sono che strascichi delle ultime elezioni politiche. Ma codesti strascichi durano un po' troppo, e sarebbe ora, crediamo, di finirla. Siamo arrivati ad un punto, che non succedono ornai le elezioni amministrative del più insignificante Comune locale, senza che si metta sossopra tutta la campagua. Fra breve, per esempio, saranno da effettuarsi le elezioni comunali di Visignano. E già, sappiamo che i preti, alleati con qualche farabutto, agitano in modo da scartare qualunque anche grosso possidente della detta borgata. La guerra non è fatta soltanto all' italiano, ma alla possidenza più spiccata, ed alla moderazione. Il prete Patatiuski di S. Giovanni di Sterna mostrava già le liste, in cui erano esclusi tutti i Visi-guanesi. E dire che Patatinski venne dalla Moravia, e non ha alcun interesse diretto nelle nostre campagne. Quando si pensi poi, che su per giù ad ogni sessennio cadono due elezioni politiche, pel Consiglio dell'Impero e per la Dieta, e due elezioni amministrative, pnr ogni comune locale; e che ad ogni elezione, sia delle prime che delle seconde, da qualche tempo a questa parte, si ripetono le stesse agitazioni, le stesse violenze, gli stessi atti vandalici, non si potrà a meno di conchiudere che noi ci troviamo iu un permanente stato di rivoluzione, non soltanto politica, ma anche sociale — stato di rivoluzione che si va facendo sempre peggiore. Soggiungeremo poi qui che tutto questo subbuglio iè aumentato negli ultimi tempi, per opera di don Luigi ipincich. Il quale nelle sue frequenti visite e contatti :oi contadini, nei suoi famosi convegni andava conti-luamente ripetendo, doversi in tutti i modi tener fronte igli italiani, e tormentarli (sic!) nasca che può, avvenga ;he vuole- In nome di Dio, può durare codesto andazzo ? E iofl si piglieranno ancora dei seri provvedimenti, sia per far ristabilire l'ordine, la legge e la moralità pub- Mica? Noi non abbiamo alcuna difficoltà di ammettere the le autorità governative disbrighino le vertenze cbe tadono giornalmente sotto i loro riflessi e competenza; ma ciò è troppo poco, e noi crediamo che a tempi e a fatti eccezionali ed anormali si debbano anche opporre ielle misure eccezionali, pronte ed energiche. Oh, per-fhè anche i nostri Municipi non si danno per intesi di uuanto avviene intorno ad essi, e non fauno sentire la oro voce! Conchiudiamo dunque: non ci si tiri più per i apelli, attribuendoci la pazienza del somaro, e le autorità governative facciano il loro dovere. È tempo di finirla colle provocazioni. Uniamo la nostra voce per dire anche noi: E tempo ii finirla! Togliamo dall' Indipendente: Da fonte non sospetta apprendiamo un fatto che dimostra a quale grado di prepotenza siano giunti i ireti boemi che monsignor Glavina ha seminato nelle larrocchie dell'interno, offrendone pure alla diocesi di 'arenzo-Pola. I nostri lettori ricorderanno forse che un paio di inni fa i vescovi di Trieste, Parenzo, Veglia e 1' arci-lescovo di Gorizia diffondevano una pastorale ai parroci e sacerdoti delle loro diocesi per ricordare eli' era ammissibile nell' esercizio degli uffici religiosi soltanto la fargia latina. Ebbene: in parecchie chiese dell'Istria interna, Iella Liburnia e del Goriziano si continuarono a tenere {li uffici religiosi in lingua slava. Tauto è vero cbe parecchie volte le autorità vescovili dovettero intervenire per far rispettare le loro disposizioni. Oggi poi siamo dinanzi ad un fatto molto grave: ì disobbedienza cioè alle disposizioni vescovili malgrado il richiamo all' ordine più volte ripetuto. II fatto è questo: monsignor Elapp, vescovo di Pavenzo e Pola, uno dei prelati più illuminati e meno ntransigenti delle nostre proviucie, saputo che uu parroco slavo, malgrado la sunnominata pastorale confinava a ufficiare in slavo, lo chiamò all' ordine. Tempo erso ! Allora monsignor Flapp ingiunse a quel parroco i recarsi ad audiendum verbuni alla sede diocesana di 'arenzo. Il parroco ubbidì. E monsignor Fiapp gli disse the qualora non avesse fatto atto di sottomissione ai Beri vescovili, che erano l'espressione della volontà iella Santa Sede, lo avrebbe sospeso a divinis\ Sapete che cosa rispose il parroco ? Che non intendeva sottomettersi uè alle pastorali uè alla volontà «scovile. Aggiunse che il vescovo lo sospendesse pure o divinis; niente di male, anzi tutt'altro: questa sospensione sarebbe stata il miglior stimolo a compiere il vagheggiato passaggio della sua parrocchia alla chiesa russa ! Questa la pura narrazione del fatto. Monsignor Flapp dovette trangugiarsi il boccone amaro ; fece una paternale al prete ma niente di più. Niente di più! questa è la situazione. Vorremmo sapere che cosa ne pensi il governo di Vienna, e, per pura curiosità, il potere più direttamente interessato nella faccenda: il Vaticano. E nell1 Indipendente del 7 corr. : I nostri lettori ricorderanno la notizia da noi data di quel parroco slavo che trasgredendo agli ordini vescovili e alla volontà pontificia, voleva sostituire alla liturgia latina quella slava. II vescovo di Parenzo gli aveva minacciata la sospensione a divinis se avesse continuato a ufficiare in lingua slava. 11 paiToco, che aveva risposto sarebbe passato assieme alla sua parrocchia alla Chiesa scismatica, continuò ad ufficiare in lingua slava. Allora monsignor Flapp pronunciò la sospensione a divinis contro quel parroco ribelle; minacciando inoltre l'interdetto contro quella parrocchia nel caso di resistenza. Allora il parroco, visto che il gregge affidato alle sue cure non era del suo parere di passare alla Chiesa scismatica, fece atto di sommissione, si ritrattò interamente, accettando di ufficiare in latino. Questa ritrattazione del parroco ribelle ha impressionato assai i contadini slavi, e non già a favore del parroco. Però, a quanto ci informano, la sospensione a divinis dura tuttora. --- Bollettino statistico municipale di Novembre 1891 Anagrafe: Nati-battezzati 25, maschi 13, femmine 12. — Morti 20, uomini 8 (dei quali 3 carcerati), donne 6, fanciulli 6, sotto i sette anni. — Trapassati. 4. F. L. (carcerato) da Mezzo-lombardo, (Tirolo) d'anni 67 — 9. Vitturi Giovanna fu Teresa d'anni 17 — 10 Sicovich Biagio fu Matteo d'anni 76 — 14. Laz-zarich Marianna ved. Antonio d' anni 78 — Minca Maria n. De-pangher ved. Frane, d'anni 76. — Bensich Maria n. Paolatto di anni 54 — 19. Almerigogna Luigi di Dom. d'anni 46 — 20. Argenti Giovanni del fu Bortolo d'anni 76 — Scher Giovanni del fu Giacomo d'anni 71 — 22. Vascon Luigi di Pietro d'anni 2ti — 23. V. G. (carcerato) da Dernis (Dalmazia), d'anni 26 — 25. Vat-tovaz Benedetto fu Andrea d'anni 76 — 30. Zetto Francesco fu Antonio d'anni 74 — R. M. (carcerato) da Belgrado d'anni 27, piti fanciulli 6, al di sotto di sette anni. — Matrimoni 10. — 7. Giuseppe Lonzar con Anna-Maria Minca — 8. Domenico Steffè con Maria Padovan — 11. Antonio Pelaschiar con Giacoma Parovel — 14. Giacomo Grio con Giacoma Lonzar — Antonio Riccobon con Maria Gregorich — Antonio Contento con Ernesta Cocever — 21. Giov. Battista Lonzar con Alba Millochi — Giacomo Zorzet con Giovanna Bensich — Simone Rasman con Antonia Parovel — 28. Antonio Bertoch con Antonia Stocovich. — Polizia. Certificati: d'indigenato 1, di buona condotta 1.— Usciti dall'i, r. Casa di pena 5, dei quali 3 triestini, 2 dalmati. Sfrattati 9. 1 Rilascio di nulla osta per l'estradazione di permesso di viaggio marittimo 1, — per passaporti per l'estero 1, rilascio di libretti di lavoro 4, di licenze per porto d'armi 8. — Insinuazioni di possidenti per vendere al minuto vino delle proprie campagne 1, per ett. 14 di vino nero a soldi 36 al litro. — Certificati per spedizione di vino 2 per tre caratelli del peso di chil. 144'/2, di miele 1 per barili 24 del peso compi, di chil. 2604, 3 per fasci 16, contenenti N. 1300 piante di barbatelle, d'olio d'oliva 1 per colli 194 del peso di chil. 2500, di sardelle salate 3, per barili 60 del peso compi, di chil. 2940, con un barile di salamoia, di sar- doni salati 1 per mastelle 42 del peso di chil. 808 compresa la salamoja. — Animali macellati : buoi 29, del peso di chil. 7035, con 305 chil. di sego, armente 30 del peso di chil. 4547 con 191 chil. di sego, vitelli 26, castrati 135 --—--- Appunti bibliografici S. Mauro, Protettore della città e diocesi di Pa-renzo. —. Studio del Canonico Giov. Pesante. Parenzo, Coana 1891. Un volume in ottavo di pagine 210.') Come se l'Istria non avesse tanti altri soprac- j capi, ecco qui una questione di storia ecclesiastica I e di archeologia. È noto come le recenti scoperte nella basilica eufrasiana di Parenzo rettificarono molti giudizi e indussero gli eruditi del luogo a conchiudere che il Mauro protettore di Parenzo nou è già il Mauro africano, ma un santo vescovo martire di Parenzo. E per vero i recenti sterri, e l'esistenza provata di due basiliche anteriori all' Eufrasiana indussero ad ammettere, senza alcun dubbio P antichità della chiesa parentina, e l'esistenza di vescovi, o almeno di corepiscopi anteriori ad Eu-frasio. Pare a taluno che troppo si siano corse le poste; ed ecco che a gettare un po' d'acqua sul fuoco il canonico Pesante è testé uscito col suo libro in cui si sforza di dimostrare che il protettore S. Mauro è sempre l'africano, come vorrebbe l'antichissima tradizione. Esposto lo stato della questione, l'autore nella prima parte tenta di dimostrare che non era possibile di alterare la tradizione, e di far dimenticare il primo Mauro per un nuovo venuto dall'Africa. Nella seconda tratta della particolarità della storia di San Mauro africano che si suppongono contrarie alla tradizione. Nella terza riferisce gli argomenti addotti per un S. Mauro vescovo martire di Parenzo e si studia di demolirli. Nella quarta tocca dei martirologi, e specialmente si sforza di demolire l'autorità dell'Usnardo che sarebbe ottima prova per l'esistenza d'un Mauro antico vescovo di Parenti. Nell'appendice poi riporta la passione di San Mauro africano giusta un codice del secolo XII ed il Rabano. Tutto questo, m'affretto a dirlo, è esposto in buona lingua e con una certa vivacità di stile commendabile ; le ragioni, se non convincenti, e talvolta esposte in forme un po' troppo scolastiche, pure invitano a studiare e fanno testimonianza di molta erudizione nel bravo canonico che è buon sacerdote dei nostri, e di cui sempre più si va pur troppo perdendo lo stampo. Anche ci tengo a di- chiarare, che lontano dal luogo, e solo riferendomi all' autorità altrui non ho la presunzione di sciogliere la questione (a ciò provederanno il Canonico Deperis ed il Dr. Amoroso) e che se metto bocca in argomento è unicamente per debito d' ufficio] Perciò attendendo con vivo desiderio un'ampia confutazione del libro del Pesante dagli egregi sopra nominati, mi si conceda di vagliare le ragioni del canonico ; specialmente in quanto riguarda la prima parte della sua opera. Anzitutto dirò che secondo i canoni della critica moderna, che è poi anche antica, per negare fatti e monumenti non bastano le ragioni, ma è necessario addurre altri fatti e monumenti che pongano in dubbio i primi. E qui abbiamo tali fatti e così luminosi, che ci vogliono ben altro che i cavilli della vecchia scolastica per distruggerli. In presenza delle recenti scoperte i se e i mai e le supposizioni non reggono; i recenti sterri spiegano la lapide dell' antico confessore Mauro ; nè giova sofisticare sulla possibile traslazione di detta lapide da altro edifizio ; è proprio il caso di ripeterei i se ed i ma son due minchioni da Adamo in qua A Il Pesante invece, (permetta che con tutto rispetto glielo dica), prende le mosse troppo dall'alto e mi rammenta il professus grandia d'Orazio. Che ci ha a fare il canone del bravo vescovo Bono-nielli con Pargomento in discorso? Qui si tratta non di possessi, ma di tradizioni, e non di tradizioni sacre, inalterabili, e fonte sicura di fede come la divina parola per i cattolici, ma di quelle fioriture della fede, di quelle tradizioni che vengono, come benissimo osserva il canonico stesso, alterate dalla ! immaginosa divozione dei popoli per accrescere la gloria intrinseca del santo. L'Achille poi degli argomenti pel Pesante, è il seguente: — Come poteva il clero ed il popolo ] di Parenzo dimenticare il suo vecchio patrono e ] vescovo proprio venerato con culto solenne (di pri- ! ma classe) per un oscuro martire venuto dall' A-i frica? Come mai, esclama con enfasi, in luogo di j un evoluzione di esaltamento si è introdotto un 1 processo di degenerazione, d'imbastardimento? (pag. 1 16). È facile di mostrare come in secoli barbari j l'abbandono dell'antico martire per un nuovo ve-1 unto dall'Africa fu una vera evoluzione di esalta- ] mento, in tutto conforme all' ignoranza ed allo spirito dei tempi. E per vero il culto reso ai martiri ed ai santi nella antica chiesa era semplicissimo ; ; si depositava il martire sotto 1' unico altare, e su questo si celebrava l'incruento sacrifizio al solo . Dio ; e si pregava dai fedeli il signore, unica fonte grazie, perchè concedesse, i suoi favori per l'in-rcessione del santo. La statua del protettore im-edesiniato col comune non aveva ancora soppianta o abbassata la croce ; nè la leggenda il valido.1) Il possedere il corpo di un martire antico ra adunque una cosa comune, e non troppo atta i esaltare la fantasia nel posteriore Medio Evo. llora si voleva la leggenda, il soprannaturale, lo fraordinario miracolo. E qual miracolo più grandioso I un corpo santo venuto per mare dall'Africa, e in ma barca rimasta illesa dall'incendio ? Ed ecco come secondo Mauro venuto dall'Africa soppiantò il primo Ifu questa una vera evoluzione di esaltamento e on di degenerazione come pretende il Pesante. La ìggenda di corpi santi venuti per mare miracolo-amente si ripete, e diventa un bisogno per la radula fantasia ; Parenzo non vuol essere da meno li Rovigno : santa Eufemia e san Mauro secondo si danno la mano. In entrambe le leggende si ri-lete lo stesso stile, quasi gli stessi errori ; in en-ranibe si sproposita sul punto più essenziale : il nome dell' imperatore regnante. Ciò posto è facile rispondere all' altra domanda : Quando e come potè avvenire lo scambio senza iroteste del clero e del popolo? Prima di tutto è necessario notare che lo scambio non avvenne dalla sera alla mattina ; ina fa opera lenta del tempo, come avvenne per tante altre cose ; fu la conseguenza dell' ignoranza, e di lunghi anni di tenebre. Accade in tempi in cui il clero ed il popolo aveano ben altro per il capo che conservare gelosamente le antiche semplici e pure tradizioni ; accade quando i vescovi conti spesso balzati dalle anticamere e perfino dalle scuderie dei principi, sulle cattedre vescovili attendevano alle cose di guerra, o a riscuotere tributi, privi di ogni scienza ecclesiastica ; accade in tempi in cui i vescovi di Parenzo, come appare dal sillabo si chiamavano : Gasbaldus, Gerboìdus, Ber-iholdus, bertoldeggianti tutti in anticamere e stalle con cani e cavalli. Che meraviglia se lo scambio sia quindi allora avvenuto senza che nessuno vi ponesse mente, diffuso da qualche mercante di corpi santi o da qualche pia monachella ? Al Pesante pare impossibile lo scambio della tradizione. Mi spieghi prima come tante leggende abbiano potuto diffondersi, così inconvenienti, strane, ed anche con-jtrarie alla purezza del dogma cristiano per cui fu ') Ci tengo a pubblicamente professare che io non mi diparto dal dogma cattolico. Le superfetazioni posteriori e gli abusi cagionarono la riforma, che per tagliar corto, negò il consolante dogma della intercessione dei santi. il bisogno che Roma purgasse il Messale e il breviario. Mi spieghi prima come da Cristoforo semplice martire si abbia potuto, giuocando sul nome formare la leggenda dell'ercole cristiano, che porta Cristo sulle spalle tragittando un fiume e che si trova anche oggi in moltissime chiese dipinto, mostruosamente grande sulle mura esterne per guardare i fedeli dalle streghe. E che i secoli fossero barbari, e l'ignoranza dominante nel clero e nel popolo lo provano gli scandali dei famosi misteri che si rappresentavano nelle chiese, e i balli pubblici intorno al cadavere con relativi canti licenziosi, aboliti per ordine di Carlo Magno ed a cui si sostituì il kyrie cantato dai preti girando aspergendo e incensando il morto. E se tale era il clero è facile immaginare quale fosse il popolo. Avido della pompa, della festa, dell' apparato esterno avrà ben volentieri accettato il santo nuovo, miracoloso e moro di giunta, invece del semplice vecchio martire relegato e dimenticato nell' antico sepolcro. Rasenta il ridicolo supporre che non si sia accorto dello scambio dell'oremws e del rito di prima classe cose note anche oggi solo a chi compila e consulta calendari di chiesa. Certo anche i nostri non erano tutti gonzi in quel tempo, come ha dimostrato benissimo lo stesso Pesante in una bella pagina del suo libro ; ma intenti a baruffe tra comune e comune e nella lotta secolare col feudalismo, e con Venezia, importava ben poco loro sapere se la festa di San Mauro era di prima o di seconda classe, e se bianca o rossa la pianeta del celebrante, dato anche, e non concesso, che il primo Mauro fosse semplicemente confessore. Ci sarà stata anche allora non nego, qualche persona pia, o qualche buon prete (che a credere tutti affogati nel gran mare dell' ignoranza si dà prova di poca critica e dottrina) ma sopraffatto dai più la sua voce si sarà perduta passando inosservato; oppure, e ciò è ancor più probabile, egli stesso avrà creduto più conveniente tacere, per non rilevare lo scandalo, e sperando giustizia dal tempo. Avviene lo stesso anche oggi, nel clero specialmente, in tanta luce di civiltà. Gli scrittori di storia ecclesiastica si me-raviglieranno nel secolo futuro della guerra mossa oggi dai Gesuiti all'illustre filosofo Rosmini, della condanna di alcune sue proposizioni storpiate ed adulterate dalla mala fede; e si chiederanno come ciò sia stato possibile senza una vigorosa protesta. Lo stesso dicasi degl' intransigenti, e dei preti gazzettieri notoriamente ribelli, e che pur hanno tanta voce in capitolo da soffocare l'autorevole voce dei pastori. I buoni tacciono e soffrono oggi, per ti- more dello scisma e dello scandalo ; lo stesso sarà avvenuto anche ai tempi dell'alterata tradizione del Martire parentino. E non mi si dica che anche io argomenti col se, e col ma; io cito fatti coi quali si provano altri fatti identici; ei appoggio sempe il mio ragionamento sul fatto certo, sicuro, dei recenti sterri e della lapide famosa visibile a tutti, e che riceve una chiara spiegazione, tentata invano finora. Il Pesante stesso è stato di ciò altra volta convinto ; anche egli ha dovuto, e lo confessa candidamente, riconoscere quel che tutti riconoscevano, e unire la sua voce nel coro. E non comprende egli che le ragioni opposte e contrajie al suo primo giudizio, sono più la conseguenza di un pregiudizio; più cavilli che ragioni? Riconosco che riflettendo si possa, anzi si debba talvolta, mutare opinione; se però il Pesante vorrà tranquillamente pensarci su dovrà convincersi che questa è una di quelle verità che s'intuiscono e si accettano con entusiasmo a mente serena, e che solo più tardi s'ingarbugliano, e ci diventano oscure per picca. Ciò apparisce ancor più chiaro se si esaminano i documenti edotti dal Pesante per sostenere la sua opinione, cioè le nove lezioni, il Passionano del secolo XIII, la cronaca del Doge Andrea Dandolo ecc.... il ciborio della cattedrale costruito nel 1277 e il codice membranaceo del secolo XII esistenti nella Marciana. È ovvio riconoscere che tutto questo in buona logica è un idem per idem. Validi argomenti sarebbero stati solo documenti anteriori e di molto al mille; una volta accettata la falsa tradizione di un San Mauro martire venuto dall'Africa, è naturalissimo che gli scrittori e gli artisti non poterono non confermare ciò che da tutti era creduto e ripetuto. Mi trovi il Pesante documenti anteriori al mille; e solo allora avrà vinto la causa. Guardate, dice egli invece, il ciborio del 1277, nel quale i due vescovi Eleuterio e Projetto risaltano cogli indumenti pontificali e mitra e bacolo pastorale, e gli altri, fra i quali San Mauro, che tengono semplicemente una croce in mano. Dunque San Mauro recentemente scoperto dai rimostranti non è vescovo, non è il santo patrono. — E non vede il Pesante che nello stesso modo si potrebbe negare ad Eufrasio il titolo di Vescovo parentino, perchè nel mosaico apparisce privo di un tale ornamento? Ma tutti sanno invece che nei primi tempi più era semplice il culto dei santi ; e che simili distintivi sono di un tempo posteriore. L'arte ha sempre secondato le tradizioni e la moda. Sa Ambrogio, per esempio, negli antichi mosaici ap parisce ornato di un semplice pallio; più tardi piae que rappresentare lui, vescovo pacifico sopra n cavallo e col staffile in atto di cacciare i Tedescl a Parabiago. E chi vorrebbe negare che il priu mosaico non rappresenti Sant' Ambrogio, per 1 semplice ragione che è senza mitra e pastorale L' argomento adunque si potrebbe ritorcere contr il nostro canonico ; e sarà anche inutile, spero aggiungere che lo scultore del ciborio ha scolpii il San Mauro africano, secondo la tradizione gi accettata attraverso le tenebre del Medio Evo. Anche poco valore hanno i dubbi mossi di Canonico contro 1' autorità dell' Usnardo. Secondo questo scrittore esistette verameni un S. Mauro martire dell' Istria da non confon dersi col Mauro africano. Che si voleva di più Ecco appianate tutte le difficoltà. Se non che i critico il quale ha fisso il chiodo a negare il ne gabile, torna in campo coi suoi se e coi suoi m e ini vuol far credere che l'Usnardo abbia in ci errato, come in altre occasioni. Tanto vale dire Lo storico X è un galantuomo, e di verità ne dici più d' una ; però però anche lui ha pigliato qual che cantonata; dunque non bisogna credergli nep' pur quando dice la verità, neppur quando le sui parole giovano a dare una chiara spiegazione d un monumento e di uno scritto rimasto finora in' decifrabile. Concludiamo che è tempo. Rimane adunque dimostrato che nella faccenda di questi due sani avvenne un' evoluzione di esaltamento e non di de generazione ; e di un esaltamento in tutto conforme allo spirito e ai pregiudizi del tempo ; e che lo scambio è un fatto spiegabile, spiegabilissimo. 1 senza perciò credere .di aver tagliato la testa al toro, per tutte le altre questioni, che in un articoli! di giornale appena si possono accennare, mi rimetta al giudizio competente degli egregi scrittori in loco. E grazie all'egregio canonico Pesante, il quale co' suoi dubbi, ha accresciuto la nostra certezza Dell' antico martire istriano, che dopo cinque secol sta per ritornare all' antica sua sede ; e certo, implorato, vorrà concedere ad un degno custode del suo sepolcro di accomodarsi alla battuta del padri compagno in capitolo; e di rivolgere a miglior meta le forze dello svegliato suo ingegno. P. T. - fi ■ " .. . ■- ^ . " ■ -, - . ■ ■ ■ ■ ■ V * ■^ftl; f ■■■ ■. « 11 • I- ■ ' 7 . . ■ "S,'- . * > >;• D JÌ Mìa . i i ' ■ ■ ' .. ....." ' ' . ■ . ; . . , ? ...ifrfv V jff •«ySJ v1» : l 5 jfer, JÌV * ■■ ; • V ■ ■ > • - . " > », - - • - f.. - >■■'{ - - -i ■