Anno I. UAPOD1STRIA, 25 Dicembre 1884. N. 24. \ Abbuonamento annuo fiorini 4 semestre f.r 2. Pagamenti antecipati. Per un solo numero soldi 20. Rivolgersi per gii annunzi aU’Àmminis. Redazione ed Amministrazione Via EUGENIA casa N.ro 334 pianterreno. Il periodico esce ai 10 e 25 d’ogni mese. Lettere e denaro devono dirigersi franchi all’Amministrazione Si stampano gratuitamente articoli d’interesse generale. Avvisi in IV. pagina a prezzi da convenirsi e da pagarsi antecipatamente. Non si restituiscono i manoscritti. Excelsior____ „Risuona, risuona, funerea campana Che passano i morti.........“ Un’ altra agonia, un’ altra preziosa esistenza perduta. Vesti a bruno diletta sorella, cala a mez-z’ asta la tua bandiera o vetusto municipio romano, il tuo primo cittadino il Dr. Giuseppe de Ver-gottini non è più. E così ad uno ad uno scendono nel silenzio della terra i nostri migliori, ad uno ad uno se ne vanno i prodi nostri, vinti da quella forza fatale, che inesorabile dissolve per ricomporre mirabilmente, che ricompone per dissolvere ancora nell’ arcano infinito de’ secoli. Egli è morto e sino agli ultimi momenti di sua vita, al par de’ Madonizza, de’ Combi, de’ Ve-nier e di tanti altri onore e gloria del nostro paese, è rimasto fido al santo ideale, a cui nel ferver generoso degli anni giovanili coraggiosamente s’inspirava. È morto, ma coll’arma al braccio, intrepido soldato d’un principio, che, scolpito nel cuore dell’ umanità, può ristarsi sopraffatto un’ i-stante, soggiacere non mai. E morto e la provincia tutta lo piange tra il pietoso conforto degli amorosi fratelli, l’Istria intera dai monti alle isole depone sulla sua tomba il fiore del pensiero, onde gli compose la mesta ghirlanda, che fregia il venerato suo feretro. E quel fiore irrorando di nostre caldissime lagrime, noi segniamo orgogliosi il nome del Dr. Giuseppe de Vergottini tra quelli de’ nostri illustri, e non soltanto sul marmo del cippo sepolcrale che ricopre le inanimate sue spoglie, ma nel volume delle nostre memorie, che di generazione in generazione passeranno ai venturi, monumento imperituro d’ un ammirazione e riconoscenza sacrata a splendida, possente virtù. Il Dr. Giuseppe de Vergottini nacque a Pa-reuzo addì 27 giugno 1815 dal Dr. Giuseppe distinto avvocato e vice-prefetto della provincia del-l’Istria al tempo del dominio napoleonico, e da Bianca della nobile famiglia Stae di Venezia. Ebbe la prima educazione a Vienna e studiò successivamente nel collegio di Santa Caterina in Venezia. Assolti gli studi liceali, frequentò 1’ università di Padova e vi prese la laurea in giurisprudenza. Compiuti i corsi universitari si recò a Trieste e s’iscrisse al Fisco quale praticante d’ avvocatura. Sorvenute le agitazioni politiche del 1848, di là passo a Venezia e praticò lo studio del celebre avvocato Perisinotti, per sostare poscia nelle fortunose vicende di quell’ anno burrascoso a Marghera. Cessata la rivoluzione, rimpatriò per stabilirsi a Trieste, dove strinse amicizia con Gazzoletti, Dall’ Ongaro e gli altri illustri, che allora dirigevano il movimento intellettuale in quella città. Nel 1855 fu nominato a sua richiesta, col sistema d’ allora, avvocato colla sede in Pinguente; ma già nel 1857 potè trasferirsi nella sua città natale. Nel 1861 venne eletto Deputato alla Dieta Provinciale e fu di quelli del „ Nessuno. “ Per gli avvenimenti politici del 1866 costretto ad allontanarsi dall’ Istria assieme a molti altri di- stinti comprovinciali riparò nel vicino Regno e ritornò in patria alcuni mesi dopo la stipulazione del trattato di Praga. 0^y} Nel 1867 gli elettoiri del grande possesso lo rielessero deputato, e come tale autorevolissimo prestò costantemente 1’ opera sua a prò’ del partito liberale. Nel 1872 fu nominato Podestà di Parenzo, e per voto unanime di popolo coprì questa carica sino agli ultimi giorni di sua vita. Nel disimpegno del primo ufficio cittadino, egli spiegò tutta la vigoria del suo ingegno acuto e robusto a vantaggio del paese, cui trovò a mal partito e quanto mai bisognoso d’impulso energico ed efficace. Ed il nome di lui sarà scritto a lettere d’ oro negli annali di quel Comune. Godeva fama incontrastata di giureconsulto e, più eh’ altro, era 1’ amore alla scienza che l’induceva ad esercitare avvocatura. Fu uomo di carattere franco aperto leale, di intelletto finissimo, di vasta e soda coltura. L’ I-stria ha perduto in lui uno de’ suoi Grandi, Parenzo un padre diletto che 1’ amava con tutto 1’ ardore affettuoso, ond’ era capace il suo nobile core. — Re-quiescat in pace. I FUNERALI celebrati al chiarissimo D.r Giuseppe Vergottini, Mercoledì 17 corr., a Parenzo furono splendidi, imponenti. Concorso straordinario. Il Municipio messo a lutto, i navigli tutti nel porto colla bandiere a mezz’asta. Negozi ed officine chiuse, chiuse pure le abitazioni situate lungo le vie, che dovevano essere percorse dal corteo. Questo era formato così. Precedevano la bara : La scolaresca col rispettivo Corpo insegnante ; la Società operaia colla bandiera abbrunata ; i poveri della Pia Casa di Ricovero; tutte le Confraterne delle chiese ; il Corpo filarmonico colla banda musicale ; il clero. — La bara tappezzata di velluto cogli emblemi della professione dei povero decesso, era portata a braccia da casigliani, e circondata da innumerevoli torcie della famiglia, del Comune, della Giunta provinciale, e di privati. Seguivano molte corone, alcune delle quali veramente magnifiche per artistico lavoro portavano scritto sui ricchi nastri : La città di Parenzo La Deputazione comunale di Parenzo — La giunta provinciale — Il Capitano e gli assessori provinciali — U Magistrato di Rovigno — 11 Municipio di Pola — U corpo insegnante — La Redazione . dell’ Istria — Gl’ impiegati provinciali — La gioventù di Parenzo — Alvise Dr. Rismondo Un amico — La famiglia Bradamante — La famiglia Privileggi - Luigi Ghersina. I cordoni della bara erano tenuti dai signori : Francesco Sbisà per la città di Parenzo ; conte Guido Dr. Becich per la Giunta provinciale; Avvocato Silvestro Dr. de Veuier per i Municipi dellTstria ; Avvocato Giovanni D.r Canciam per la Camera degli Avvocati. Seguivano la bara i membri della famiglia, la Deputazione comunale di Parenzo, il Capitano provinciale, il Capitano distrettuale, la Rappresentanza comunale di Parenzo, la Giunta provinciale, il Magistrato di Trieste rappresentato dal Dr. Avv. A. Amoroso, il Magistrato di Rovigno col Podestà cav. M. Dr. Campiteli! e il Consigliere A. Rismondo, ed i Municipi istriani cosi rappresentati : Pola — dal Cons. com. Dom. Malusà Capodistria — dall’ ingegnere Alessandro D.r Bratti Buje — dal Podestà Dr. Venier Deputato prov. ed Enrico Bonetti cons. com. Disino — dal Dr. Egidio Mrach Albona — dal Dr. Millevoi Deputato al Consiglio del-l’impero e Giacomo Nacinovich Montona — dal Podestà Angelo Corazza Pinguente — dal Podestà Adolfo Cianci Dignano — dal Podestà Dr. Ere. Boecalari Portole — da Fortunato Antonaz e Gius. Crevato consiglieri comunali Umago — dal Podestà Fr. de Franceschi Visinada — dal Podestà Giov. de Fachinetti Orsera — dal Podestà Dr. Appollonio e dal Conte Lazzaro Borisi consigliere comunale Antiguana — dal Podestà Ant. Depiera Visignano — dal Podestà G. A. Miani e dai cons. com. Ant. Dell’ Oste e A. Fortuna Valle — dal Podestà cav. Tomaso Bembo Deputato provinciale Verteneglio — dal Podestà Gardevich e consigliere comunale Dubaz. Torre — dal sig. Tomaso Radoicovich Muggia •— dal Dr. N. Del Bello Assess. provinciale Pirano — dal Dr. A. Amoroso Assessore provinciale Cittanova — da Gregorio Rigo Cassiere provinciale Lussinpiccolo — dal Comm. F. Dr. Vidulich Capitano provinciale Cherso e Veglia — dal Dr. A. Petris Assess. provinciale Grisignana — da Clemente Orlich Isola — da G. A. Vidali. Poi venivano : la „Società di Archeologia e Storia patria11, il Casino di Società di Parenzo col Direttore signor Giovanni de Candussio ; la Società Politica istriana col Direttore sig. Francesco Sbisà ; la Società Alpina col Direttore sig. Marchese B. de Polesini ; la Camera di Commercio ed Industria di Rovigno col vice-presidente sig. F. Danelon ; la Camera degli Avvocati coll’ Avvocato sig. G. Dr. Canciani ; le Redazioni dell’ „Indipendente" di Trieste, della „Provincia" di Capo-distria, e dell’ „ Istria „ di Parenzo rappresentate dal Dr. Marco Tamaro, e la Redazione del nostro periodico rappresentata dall’Avvocato e Deputato provinciale P. A. Dr. Gambini. Quindi seguivano tutti in corpo gl’ impiegati dell’ i. r. Giudizio distrettuale, del Capitanato distrettuale, dell’ufficio Imposte; gl’impiegati provinciali e comunali ; moltissimi ammiratori dell’estinto; antichi colleghi d’avvocatura; i deputati provinciali N. Rizzi, Dr. Doblanovich, Dr. Bubba, e parecchi altri che la mente non ci ricorda, e da ultimo .... tutta Parenzo (tanto erano vuote di gente le contrade e, vorremo dire, anche le case) col-1’ appendice di un lungo stuolo di buoni contadini della campagna. Per i canti delle vie, alle porte del Municipio, delle Chiese, e delle case si leggeva la seguente epigrafe : A GIUSEPPE DE VERGOTTINI RAMPOLLO DI NOBILE ED ILLUSTRE FAMIGLIA DISTINTO GIURECONSULTO ESIMIO AVVOCATO ONOREVOLE MEMBRO DELLA DIETA ISTRIANA PER ANNI DODICI DI QUESTA SUA PATRIA DILETTA PRIMO CITTADINO E PODESTÀ ZELANTISSIMO LA MATTINA DEL XV MESE CORRENTE NELL’ ETÀ ANNI LXIX CONFORTATO DALLA RELIGIONE AMOREVOLMENTE DA’ SUOI CARI ASSISTITO DA QUESTA ALLA VITA IMMORTALE PASSATO PARENZO NELLA ODIERNA PIETOSA COMMEMORAZIONE IN SIGNIFICAZIONE D’ AMORE DI STIMA D’ AFFETTO TRIBUTO SINCERO DI ONORE DI LAGRIME DI PREGHIERE DAL CUORE RICONOSCENTE OFFRE E CONSACRA Parenzo, li 17 Dicembre 1884. Sull’attico della porta maggiore della Basilica Eu-frasiana stava poi in lettere cubitali la seguente scritta: ALLA VENERATA MEMORIA DEL Dottor GIUSEPPE de VERGOTTINI PODESTÀ DI PARENZO QUESTE SOLENNI ESEQUIE La Chiesa era tutta parata a lutto, e straordinariamente illuminata. Ai quattro lati del catafalco si leggevano queste epigrafi : PIETOSI ACCORRETE O CITTADINI A RENDERE ALLA BENEDETTA MEMORIA DELL’OTTIMO VOSTRO PODESTÀ L’ ESTREMO TRIBUTO DI ONORE AD INVOCARE SOPRA IL SUO SPIRITO IMMORTALE L’ ETERNA REQUIE LA LUCE PERPETUA IN DIO AVEVA A CUORE IL BENESSERE DELLA SUA PATRIA NE CURAVA CON ZELO INSTANCABILE CON INDEFESSA SOLLECITUDINE IL MORALE E MATERIALE DECORO LA SUA DIPARTITA FU DOLOROSA AD OGNI ORDINE DI PERSONE MA LO FU SOPRA TUTTI ALLA SUA CARA FAMIGLIA A CUI LASCIÒ TANTA EREDITÀ D’ AFFETTI E DI DESIDERII E IL POPOLO ? ah! si IL POPOLO SOPRA TUTTI L’AMÒ IL POPOLO LO PIANGE LO DESIDERA E PREGA PER LUI Finite 1’ esequie in chiesa, fu portata la bara sotto le volte vetuste dell’ atrio, tutto riboccante di spettatori. La mesta funzione aveva qui raggiunto il suo massimo grado di tristezza e di solennità. Tutti erano commossi e di molti abbiamo veduto irrorate le gote di calde lagrime. Uomini già fatti e per età maturi, dalla fronte abbronzata dal sole e dalle mani callose, piangevano come bimbi. Allora, spesso interrotto da singhiozzi e lagrime, così imprese a dire il sig. Francesco Sbisà, primo consigliere comunale, facente interinalmente le funzioni di Podestà di Parenzo : „Non ci voleva che l’appello imperioso del dovere, per vincere in me le riluttanze del cuore e per infondermi energia e coraggio a parlare dinanzi a questa bara che toglie a Parenzo il Suo primo cittadino, a me quel compagno che mi fu indivisibile nelle fasi più liete e più tristi della vita, con cui ho diviso speranze e dolori, ed al quale per uniformità di principi e di aspirazioni era avvinto coi nodi della più sincera e cara amicici-zia. — Venia se nel soddisfare al doloroso ufficio, la parola mi vien meno, il cuore mi si strugge in amarissime lagrime. — Il primo nostro Cittadino, 1’ amatissimo nostro Podestà Dr. Giuseppe de Vergottini non è più, morbo crudele lo trasse anzi tempo alla tomba, lo tolse al nostro affetto, alla nostra stima. — Nato in questa Città nell’ anno 1815 die’ a divedere fin dai primi suoi anni svegliatezza d’ingegno, robustezza di propositi. Fattosi adulto appalesò amore grandissimo pegli studi in genere, pelle scienze legali in ispecie, nelle quali, assolti con lode gli studi, ottenne la laurea nell’Università Patavina. Chiamato a far pratica a Trieste, seppe circondarsi dei migliori legali di quei giorni, dai quali gli venne fama e nome di giurisperito profondo. E come tale abbiamo noi pure avuto campo di riconoscerlo nella lunga operosa carriera che tenne fra noi, quando, dopo assolta la pratica, aborrendo dalle lusinghiere prospettive che gli si paravano dinanzi, prescelse di ritirarsi all’ ombra del tetto paterno e di portare a vantaggio della sua Città natia il largo retaggio delle sue cognizioni, delle sue forze. E che tale sia stato il movente delle sue deliberazioni non ci è lecito dubitare, quando vogliamo seguirlo passo passo nella sua carriera, e lo vediamo sempre pronto ad obbedire alla chiamata della patria. —• Portato dal voto dei suoi Concittadini all’Aula Dietale nell’ anno 1861, coprì lodevolmente fino a questi ultimi tempi il suo posto, e con 1’ assennatezza dei suoi giudizi, coll’ autorità della sua parola seppe procurarsi la stima più reverente de’ suoi Colleglli. Schivo di sua natura ed aborrente da ogni genere di vita obbligata, pur quando in momenti ben difficili, gli fu dal voto unanime dei suoi Cittadini imposto quasi il sagrificio della sua persona e delle sue abitudini, Egli accettò il Seggio Podestarile, e lo tenne per ben dodici anni con tanta lode da lasciare noi tutti grandemente ammirati, rivendicando all’ Autorità Municipale quel morale prestigio che era presso che spento, e restaurandone senza scosse le esauste finanze. Una vita così lunga ed affaticata, tutta dedicata al bene del proprio paese, è tale un titolo di benemerenza da non potersi ricercare il maggiore. E tale titolo il Dr. Giuseppe de Vergottini seppe acquistarlo pienissimo, e Parenzo in questo supremo, doloroso momento si tiene superba di darglielo adeguato, proclamandolo piuttosto padre che figlio della patria e rendendogli il più sentito attestato d’ affetto, d’ omaggio, di pianto.* Poscia parlò l’ili. Capitano prov. Dr. Vidulicli in questi termini : „II numeroso concorso da ogni parte del paese a rendere 1’ ultimo tributo d’ onore al defunto primo cittadino di Parenzo, è testimonianza solenne della viva sua partecipazione al giusto cordoglio della città polla grave sciagura da cui fu colpita. Grave invero è la perdita che essa subisce, e le calde ed eloquenti parole testé pronunziate, le quali mettono in piena luce i vari pregi ed i sommi meriti del compianto trapassato, la rendono ancor più gravemente sensibile a quanti portano vero amore alla patria. Non è pertanto Parenzo sola che piange la prematura dipartita dell’illustre Dr. Giuseppe de Vergottini, la deplora anche vivamente la Provincia intiera, che ebbe agio di riconoscere in lui l’uomo di sodi e retti principi, di forti e fermi propositi, V uomo dai severi e profondi studi, che si immedesima nell’ umana famiglia, per condividere con essa le sue miserie, per temperarne le ansie, per infonderle con la coscienza di sè la fede in un migliore avvenire. Qui i suoi concittadini lo hanno veduto costante ed indefesso all’ opera nell’ interesse e pel decoro della sua città natale, e qui i suoi colleglli nella Rappresentanza del paese lo hanno scòrto sorgere sempre tra i primi a sostegno dei legittimi -diritti della Provincia, ed all’ avviamento suo a maggiore benessere. Onore al benemerito cittadino, all’egregio patriota ! Lieve gli sia la terra ! e lieve sia per modo da lasciare sotto le sue, ‘>c‘"nri ardere sempre vivo il fuoco di sue esimie doti e1 virtù. La cui irradiazione varrà a noi, suoi coetanei, di conforto nel breve tratto di viaggio che ancor ci resta a compiere, e spingerà, ne ho fede, i giovani ed i venturi all’ emulazione, ispirandone le menti ad alti e generosi concetti, ed infiammandone i cuori del santo affetto alla patria, all’ Istria, che per mia bocca a Giuseppe Dr. Vergottini porge 1’ ultimo vale commossa e dolente.* Infine il notajo Sig. Giuseppe Dr. Bubba, deputate provinciale, per la gioventù istriana, chiuse col seguente la serie dei discorsi : „E la gioventù dell’Istria manda essa pure, con voce di pianto, a Giuseppe Vergottini il mestissimo addio della tomba. Quest’ uomo già molto innanzi nel cammin della vita, apparteneva piuttosto a quella generazione, che per leggi ineluttabili di natura vede di giorno in giorno sensibilmente diradare intorno a sè le file de’ suoi valorosi; eppure alla gioventù Egli era legato di speciale affezione, forse perchè tutto quanto di nobile, di grande, di bello affacciavasi alla sua mente culta e gentile, Egli abbracciava con espansione d’ affetto, con giovanile ardore, con l’impeto generoso de’ vent’anni. Le fisiche infermità fattesi più acute negli ultimi anni di sua esistenza, non valsero a spegnere nè a rallentare quella fibra forte e potente, nota fondamentale del suo carattere, che dalla tenacia del volere traeva anzi nuova forza, nuova potenza, non valsero ad affievolire la vigoria del suo ingegno, per cui andava preclaro fra i più illustri tìgli di questa terra. E la gioventù istriana venerava in lui il duce già provato nelle tristi battaglie della vita, il maestro ricco di senno e di esperienza, il cittadino operoso e leale, il patriota d’ integrità specchiata. Ed egli, il povero defunto, le era guida amorevole e sicura, con autorità di parola, con efficacia di proposito, con sapienza di consigli. Quella favilla di patria carità, attrice di magnanime imprese, che noi tutti assieme alle prime aure di vita accogliemmo in petto fin dalla culla, fu da Lui, come il fuoco sacro di Vesta, gelosamente custodita. A quella favilla Egli attingeva lena e coraggio per sostenere sè stesso, per rinfrancare i deboli, per rassicurare i vacillanti, per infondere in tutti ardire ed abnegazione onde affrontare le difficili lotte, che, specialmente nel campo della vita pubblica, fruttano non di rado amaritudini e disinganni. Amantissimo dell’ Istria nostra, Egli che ne aveva partecipato così alle liete come alle dolorose vicende, seppe mai sempre tutelare coraggiosamente quei diritti, che formano il patrimonio intangibile di sua gloria ; 1’ onore e il decoro di questa povera provincia, che avversità di destini troppo inesorabilmente flagella, furono per Lui religione ; la speranza di vederne migliorate le sorti, fu l’ideale costante e più bello di sua vita ; il culto delle sue grandi memorie — tesoro che non ci può essere rapito — patrocinò e sapientemente diffuse in ogni manifestazione della vita pubblica e privata. A questi principi che informarono costantemente la vita dell’ uomo, che piangiamo ahi troppo presto ! rapito, Giuseppe Vergottini, non piegando mai la cervice a servili piacenterie, tenne saldo, stette fermo come torre che non crolla giammai la cima per soffiar de’ venti. Ed ora che ci rimane di Lui? Una fredda salma, che fra brevi istanti andrà a chiudersi per sempre nel-1’ eremo silenzio d’un avello. 0 Giuseppe ! A nome della gioventù istriana, che calcando 1’ orme tue, non potrà fallire a glorioso porto, io depongo, cosparso di lagrime, sulla tua bara, il fiore della gratitudine per quel tanto che ci insegnasti ad operare, per quel tanto che operasti tu stesso a prò di noi. E tu dall’ alto del sereno empirò, ove ormai, angelica farfalla, aleggi in più spirabil aere, rivolgi uno sguardo benigno a questa povera gioventù, che derelitta, per bocca mia, ti manda 1’ estremo vale.* Finiti i discorsi, che furono ascoltati con mesto raccoglimento da tutti gli astanti, e fra le lagrime di molti, il corteo, coll’ istesso ordine di prima, mosse verso il Campo santo, dove fu definitivamente deposta e per sempre la salma del defunto. Il cielo sempre annuvolato, ma per un momento stato in sospeso, •— scrive mestamente V Istria — mandò ancora grossi goccioloni di pioggia ; sembravano stille di pianto, che si mischiassero con le lagrime di tanta gente accorsa a dare l’ultimo vale al Podestà di Parenzo. Capodistria 25 Decembre 1884. Contiamo un anno di vita. A dire il vero è strano che per aver publicato ventiquattro numeri si assuma per noi il tuono dei giornali quotidiani, e si getti uno sguardo retrospettivo sul nostro operato. Ma tant’è; abbiamo concesso all’uso. Il nostro comparire passò inavvertito come la nascita di un abortivo. Più tardi ci si fece il viso dell’ armi ; poi le prevenzioni vanirono nei più, rimanendo gli altri a disprezzare il periodico perchè nostro, a insinuare che si voleva soppiantare altro giornale provinciale e infirmare le forze della provincia dividendole. In fine, se non ci illudiamo, il patriotico nostro scopo s’impose e non fummo più oggetto di avventati giudizi, che sarebbero stati oltraggiosi per chi non fosse abituato da lungo, come noi, alle sanguinose battaglie della vita publica. Apprincipio il materiale ci abbondava; in seguito ci venne meno per istanchezza o per vani riguardi la collaborazione di molti ; e spesso ci siamo trovati alla vigilia della publicazione, che non si aveva a sufficienza per due colonne. Ciò non ostante, o c’ inganniamo a partito, vorremmo dire di non aver noiato i lettori. Il motto del periodico non lo smentimmo mai, sia che si dimicasse per la nostra lingua gloriosa, o vuoi nell’ aprire le colonne a produzioni letterarie. Excelsior! Non siamo di ieri noi, e le alture le abbiamo guadagnate da un pezzo ; ci conviene poggiare più alto. Nelle controversie siamo sempre stati oggettivi ; e se taluno se ne recò, se ci ha veduto di sè vita, morte e miracoli ; se, come i banditi dei Promessi Sposi nel suono delle campane che invocavano per don Abbondio il soccorso di Pisa, ci ha letto il suo nome, cognome, patria e domicilio, noi non ci abbiamo da veder nulla; o non si ha da scrivere, poniamo, dell’ ubbriachezza, perchè un ubbriacone ci potrebbe leggere la sua condanna? E 1’ opera nostra non ci parve frustranea. Le medesime questioni non presentano a tutti la faccia medesima ; e se uno le ha considerate per un verso, giova che altri le consideri per un altro ; per tal modo sviscerate e messe a "nudo, n’ esce limpida la verità, la cui evidenza disanima il sofisma dagli assalti, o ne spunta gli strali, condannato a mostrarsi di primo acchito nella sua entità fatua e svergognata. Fin qui del nostro passato. — L’avvenire ci si presenta sorriso di belle promesse. Avremo nuovi collaboratori, i quali è da sperare che non si accascino, valenti come gli altri ma più costanti ; e se avvenga che il loro numero cresca sol di tanto, può essere che di quindicinale il nostro periodico riesca di settimana. Stava nelle nostre intenzioni che il Patria divenisse in parte letterario. Finora il desiderio nostro fu raccolto da pochi, ma fu raccolto ; di che noi ci congratuliamo con noi stessi e ce ne diamo vanto; che se quei pochi divengano molti, il nostro periodico non avrà segnato nella provincia un’ epoca insignificante. Grazie frattanto ai benevoli che ci hanno compatiti e sostenuti, ai quali auguriamo con tutto il cuore sereno l’anno venturo e benedetto dalla rugiada del cielo e dalla pinguedine della terra. ----------------------— --------------------------—— Un’ altra volta del „fatto gravissimo'6 Veniamo (a differire ancora la cosa diverrebbe troppo vecchia) veniamo al „fatto gravissimo“ narrato dal corrispondente dell’„Imparziale." Lo trascriviamo un’ altra volta perchè i lettori, che non abitano questa città, abbisognano di qualche commento. „Era la sera del 19 novembre u. s. Alcuni studenti di questo Istituto magistrale, animati da nobilissimi sentimenti patriotici, riunivansi in una sala della trattoria „Al Vaporetto", affine di festeggiare l’anniversario che ricorreva in quel giorno della nostra Augustissima Imperatrice. " Come si vede, il corrispondente ha la facoltà d’intuire i sentimenti. La comune de’mortali quando vede gente all’ osteria pensa che ci sia per amore del vino o della birra ; che se l’uno o l’altro, invece che vino o birra, chiede, come parecchi degli studenti in discorso, un caffè nero, ritiene che di vino sieno pieni sino agli occhi e domandino il mecca per calmare lo stomaco, che minaccia di ribellarsi. Del resto noi non facciamo questione dei sentimenti ; ci par sì curiosa l’ignoranza del corrispondente, il quale ostenta tanto sentimento di devozione e non sa quello che sappiamo noi da lui battezzati irredentisti, che cioè il 19 novembre non era „l’anniversario" (non si può intendere che della nascita) dell’ Imperatrice, ma 1’ onomastico. Secondo lo stesso corrispondente gli studenti si sarebbero radunati in una sala della trattoria, mentre la trattoria non consta che di una sola stanza. Ma andiamo avanti, che questo è il meno. „Colà in numero di 20 passarono un paio d’orette fra lietissimi canti nazionali mentre uno dei compagni suonava al cembalo l’Inno popolare accolto con entusiasmo dagli altri. “ Qui l’articolista ha omesso una parolina, la quale omissione ci convince della sua convinzione, che cioè quei canti non erano un’espressione d’allegrezza, ma una provocazione ; non dice, che erano canti slavi. Ha omesso inoltre un fatto, che quei bravi giovanotti si diedero a ballare fra di loro e colle cameriere urtando senza un riguardo al mondo le sedie e i tavoli dei pacifici cittadini che si trovavano nel locale. Ha poi la mente tanto intesa a colorire le sue spiritose invenzioni, che il suono dell’ Inno lo fa comparire una profanazione anziché 1’ espressione decorosa del sentimento di sudditanza; dice che lo si suonava mentre si cantavano canti nazionali. E il corrispondente continua : „Senonchè v’ erano presenti 3 persone, che da certe espressioni pronunciate e da certe risa che sapevano di disprezzo ed ironia, avevano di mira di mettere in ridicolo tale nobilissima e patriotka dimostrazione. “ L’accorto lettore ha già capito, che dal momento che il benevolo articolista non riferisce queste „espressioni pronunciate" è certo, che mentisce. E le risa? Bella ! Avessero riso, che non hanno,—e non avrebbero riso anche se i loro discorsi fossero stati lepidi, appunto perchè conoscono 1’ umore di certa gente, — chi autorizza l’articolista a qualificare di disprezzo e d’ironia politica un sorriso, che sfiora le labbra di persone, che discorrono de’ fatti loro ? 0 non sarebbe (do quasi nella malizia anch’ io) o non sarebbe, che il generoso corrispondente volesse che lo stato s’intromettesse come di cosa, che spetti a lui, se tre cittadini protestarono contro un ballo villano, che li disturbava e che mesceva la polvere alla birra de’loro bicchieri? Che poi questa pretesa politica dimostrazione sia stata nobilissima i lettori lo possono ornai giudicare. Noi siamo poveri diavoli e gente oscura ; ciò non ostante non vorremmo certo che il nostro onomastico si celebrasse col decoro che abbiamo detto. Ma non siamo alla fine. „I tre orano i signori Dr. Gambini già podestà di Capodistria, Baseggio e Derin." Notiamo qui in tutta fretta che la particolarità, che si aggiunge al nome Gambini non significa nulla per il fatto, molto per le mire di quella brava gente, che ha architettato sì bell’ edificio di carta pesta. E tiriamo innanzi. IN UN QUARTO D’ ORA DI NOIA 11 cielo è di color cenere, il grigio delle strade coperte di mota s’accorda alla tinta sporca, uggiosa delle casette scrostate, tozze, irregolari, sonnecchianti di stanchezza e vecchiaia nell’ aria umida e pesante, mentre i gelsi brulli, colle braccia stecchite gocciolanti di pioggia sembrano sbadigliare un tedio infinito sui bui cortili pieni d’ umidore e ciarpame, dove qualche chioccia petulante razzola becchime di vermicciuoli. Io intanto fumando il sigaro alla finestra guardo, guardo e sbadiglio. Dove, dove vagano i pensieri ? Chissà ! — forse dietro quella coda di nube che s’ allunga giù giù, poi si raggomitola d’ un tratto in una forma grottesca ; forse dietro le spire di fumo che in cerchiolini azzurrognoli si sprigionano dal mio sigaro ; forse .... ma no, certo io pensava con un senso d’invidia a te, buon Luigi XIII di Francia, che passeggiando e sbadigliando su e giù per le severe sale del Louvre, trovavi ancora un compiacente compagno con cui dividere la noia delle ore disoccupate. La noia, la noia ! E, certo, pensava anche perchè nessun poeta tes- „Finita la bella festicciuola, gli studenti, dopo aver intuonato ancora una volta l’Inno popolare, (pare sia di corta memoria l’articolista, perchè finora non l’avrebbero che suonato) sortirono dalla trattoria per recarsi a casa loro. Sortendo e quantunque risentiti un po’ (solo un po’ ? Con tanto sentimento di sudditanza !) per il colpevole contegno dei tre signori, pure vollero spingere all’ estremo la cortesia e (che cosa? Li capovolsero con tutte le sedie? Perchè sino allora la loro cortesia non faceva sperare che questo.) e con ogni urbanità li salutarono ripetutamente. “ E qui è, in quest’ultima parola, dove mi casca l’asino; è proprio Arlecchino, che si confessa ridendo. È vero, che alcuni salutarono ripetutamente; ma appunto in questa ripetizione noi vediamo l’i-ronia con maggior diritto, che l’articolista non la pretenda nei pretesi sorrisi dei tre signori ; quei ripetuti saluti commentavano le parole d.. k e m.. da che furono pronunciate uscendo non sappiamo da quali di quei bravi giovinetti chiamati a ricostituire il regno di Zvonimiro. „Sortiti quindi, attendevano che uno o due (via, non conclude ; e se tanto ama la verità, doveva mostrarlo nelle cose più essenziali) compissero un imperioso dovere (curioso concetto del dovere ! qui si tende a scalzare le fondamenta dei codici per sostituirne altri, forse quelli delle bestie) quando in quel momento s’ apre la porta della trattoria e ne escono i tre signori. (Tableau) Uno di questi ordina agli studenti di andar subito a casa (se l’ha fatto, ha fatto male ?) Essi protestano in nome della libertà personale, eh’ è un retaggio sacrosanto a tutti (Che spreco di paroioni! Eppure appunto gli studenti non hanno la libertà di star fuori a quel-1’ ora). Ma il Dr. Gambini ex Podestà e Deputato alla Dieta istriana (diceva io eh’ era quel dente là che doleva !) grida : Marche a casa, ed estratto nel tempo stesso da tasca un temperino (peccato non affermi addirittura, che l’abbia mandato a prendere dall’ arrotino) vibra col manico di questo un violentissimo colpo allo studente N. che colpito ad un occhio cade a terra immerso (frase obbligata) nel proprio sangue. Immediatamente allora uno degli altri due signori (pare che si scanni un maiale ! E gli altri studenti che facevano intanto?) non si sa ancora se il Baseggio o il Derin (coni’ e riguardoso nell’ asserire) con feroce voluttà (di bene in meglio) monta sul corpo del povero ferito calpestandolo ripetutamente (non si tratta a quanto pare d’un maiale, ma d’una pecora mansueta) fra le grida di pietà e di soccorso emesse dai poveri studenti presenti a sì straziante scena. (Non diresti che questi poveri studenti fossero fanciulli o ragazzi tutt’ al più ? Chi mai indovinerebbe che sono invece villici tozzi e robusti ; parecchi molto vicini ai vent’anni, taluno persino già fuori del servizio attivo dell’ e-sercito ?) “ Siamo al punto culminante dell’affare, dove ha da pronunciarsi la giustizia, imperocché quei tre signori furono accusati. Onde non è conveniente, che ne parliamo, e avremmo taciuto anche del rimanente, se non avessimo temuto che il dibattimento si protragga sino a divenir vecchio. Se prima di dare alle stampe sarà pronunciata sentenza, ne daremo notizia. Ciò d’altronde non toglie che possiamo dire che i venti in discorso ebbero il coraggio di farsi contro uno, e di fuggire quando quel-l’uno divenne tre. Povero regno di Zvonimiro, hai sesse mai un poema a questa nebulosa regina che ci s’infiltra pian piano nelle ossa, s’ adagia sulle nostre poltrone, salta fuori dalle note d’una musica, stilla dalle scene d’ una nuova commedia, schizza dalle strofe d’un ode, e via via da tutte le cose animate ed inanimate „che il grande orbe circonda" senza che ci trovassi un perchè soddisfacente. Veramente se fossi maligno, lo direi questo perchè, ma sono invece un annoiato, e mi contento di pensare ad un futuro poema che cominciasse così : Canto, o musa, la noia e lo sbadiglio con quel che segue, per vederne poi 1' effetto sui lettori nervosi. Perchè, lo creda, mia bella lettrice (badate, ne ho una ad imaginc mia), la noia è tutto affare di nervi. Ma ci vedo bene io, Ella sorride, Ella che sa essere i nervi e la noia malattie di moda, indispensabili ad una donnina elegante come l’acconciatura del suo cappellino, come il taglio del suo abito nuovo, come il colore di stagione e il profumo preferito che emana la sua personcina agile di vespa o superba di dea. Ma dietro la graziosa silhouette, per una di quelle strane incoerenze di pensiero che in certi momenti, senza saper come, ci assalgono e da un corso d1 idee ci sviano in un altro affatto opposto, delle altre ombre mi si af- da attenderla la tua risurrezione ! Ed ora ascoltiamo il rimanente. „Finalmente i tre eroi salvata la patria in modo cotanto sublime (che spirito ... di melissa!) a passi gravi si ritirano sghignazzando (della contraddizione l’amico non fa caso) mentre il povero ferito viene trasportato a casa in uno stato da far pietà.“ La verità la diremo noi. Uno di quei .... giovani eroi comici chiamò due giorni appresso il medico per una leggera lacerazione sul naso, il qual medico gli ordinò dell’ acqua fresca e non fu bisogno che ritornasse. Otto giorni dopo il naso non aveva più segno di ferita. „La famiglia dove egli abita manda subito per il medico, ma tanto il Dr. Gravisi quanto il Dr. Paulovich, con mirabile accordo si rifiutano di portarsi al letto del ferito, ed appena al mattino seguente il Dr. Gravisi recavasi a compiere il sacrosanto dover suo, (quello senza dubbio che compirono gli studenti usciti dall’ osteria) ed oggi, che vi scrivo il povero ferito è sempre a letto in cura medica e non si sa se potrà ricuperare 1’ occhio." Il fatto de’ medici è stato smentito dallo studente stesso dietro formale loro richiesta. Graziosa poi questa „dell’occhio colpito con violentissimo colpo del manico di un temperino" e che pure si può ricuperare ! Se vi regge lo stomaco badate al resto. „Questo il fatto gravissimo che ha indignato tutti i cittadini onesti (per dirlo, ci vuol un bel coraggio perdio) i quali con ogni insistenza reclamano la severa punizione dei colpevoli. (E che giustizia farebbero se li si lasciasse fare per soli dieci minuti)! E giustamente osservano che se da tali sentimenti antipatriotici (siamo sempre lì) è animato l’ex Podestà, quali sentimenti dovevano poi nutrire gli on. membri del Consiglio Comunale, che fortunatamente venne disciolto dalle Eccelse Autorità ! (tutto questo a proposito di che ? Del naso ammaccato?) E, posso assicurarvi che giustizia sarà fatta piena ed intera ed esemplare castigo si saprà infliggere a coloro che a furia di colpevoli violenze, vorrebbero veder distrutto il patriotico sentimento della nostra gioventù." Non direste che i giudici avessero assicurato 1’ articolista prima di conoscere i fatti, che i tre signori verrebbero appiccati? Ma non voglio caricare più del giusto, che forse l’articolista impietosito manderebbe a risuscitarli quel medico di sua conoscenza, il quale sa riparare un occhio schiacciato da un violentissimo colpo. Ed ora ai lettori il giudizio. Che si ha da pensare di chi mette insieme una siffatta scrittura ? Noi non lo diremo d’ avvantaggio; diremo solo che qui gli studenti delle magistrali croati o sloveni che siano continuano ad offendere coi loro eccessi il paese e che se l’autorità non provvederà, il paese non si lascierà a lungo impunemente insultare. Videant et provideant......con quel che segue. --------------------------------------------- BIBLIOGRAFIA Chi vuol vedere come sapeva farsi amare, anzi venerare da’ suoi scolari CARLO COMBT, legga lo „Studio Biografico, che ne fa il prof. Carlo Oddi — Venezia prem. stab. tip.-lit. di M. Fontana — il quale Studio riflette particolarmente le singolari attitudini didattiche di quel nostro compianto. tacciarono alla fantasia; onde io così proseguiva la mo-noloquente apostrofe alla lettrice bella e sconosciuta : Veda, può Ella imaginarsi Alessandro che s’ annoi mortalmente sotto la tenda macedonica, Cesare sonnec-chiante nel marmoreo triclinio, Carlo Magno che con uno sbadiglio sgangherato rompa gli echi solenni della sua gotica sala ? Donr.ndi al contadino curvato sul solco, al pastore che perduto nella stesa verde dei prati guarda le pecore brucanti, all’ operaio dalla faccia fuliginosa nelle officine, domandi se sanno cosa sia questa noia. Ma Ella, ma io, ma noi tutti, grandi e piccini, lavoratori più o meno assidui del pensiero, pieni di sogni e desideri, noi più o meno intinti di vaporosi idealismi o d’un eroismo molto, troppo impepato, noi ci annoiamo e sempre e terribilmente : — comunichiamo agli altri questo susseguirsi di sbadigli, questo contagio di nervi rilassati come le corde allentate d’una vecchia chitarra ; — trasportiamo nelle cose che ci avvolgono il mare fluttuante delle nostre irrequietezze malsane, contenti di trovare così 1’ accordo fra il nostro interno malato e 1’ esterno che a nostra foggia ci siam fabbricati. Si, abbiamo i muscoli atrofizzati, i nervi intorpiditi, e ci vogliono delle possenti correnti galvaniche a risvegliarli : ci vogliono le forti emozioni, le forti pas- Ci sono pertanto due cose a vedersi in questo lavoro : 1’ affetto grande di chi lo ha dettato per il defunto Maestro, e il metodo di Carlo Combi nell’insegnare, con accenni a certe sue originali teoriche nella scienza. Ma introduciamo a parlarne il prof. Oddi: „II metodo da lui prescelto nell’insegnamento era V intuitivo o reale, giustamente anteposto all’ esegetico che annoia e stanca 1’ alunno, obbligandolo a ritenere a mente troppe disposizioni di legge, di cui molto spesso egli non può discernere il nesso logico, giacché l’ordine con cui esse succedonsi nel Codice, eli’ è destinato principalmente ai bisogni della pratica, non è sempre il più adatto a una trattazione scientifica e metodica, qual si richiede, perchè torni efficace, in una scuola. Ben lungi, adunque, dallo spiegarci gli articoli del Codice, egli pensava a farci conoscere lo spirito della legge, il concetto fondamentale e coordinatore delle varie disposizioni in essa contenute ; egli mettevasi, per così dire, al posto del legislatore, e mostrandoci la necessità o l’opportunità dei vari istituti giuridici e la naturai connessione che esiste fra loro, passava a desumere dalla natura stessa dell’istituto le disposizioni di legge più adatte per governarlo. In questo modo si andava dal fatto alla legge, anziché risalire da questa a quello, e la disposizione del Codice era prima indovinata che letta sul testo, tranne, ben s’intende, nei casi in cui si trattasse di termini di tempo arbitrari o di disposizioni accessorie e puramente formali, che in tutto e per tutto dovevano affidarsi alla memoria, e delle quali, del resto, egli non faceva gran caso se anche ci fossero dalla memoria sfuggite. Quello che sopra tutto gl’ interessava era che ci formassimo, com’egli diceva, un sano criterio giuridico, per poter essere padroni anziché schiavi dei codici, che avessimo sempre presenti allo spirito, e logicamente concatenati conforme alla natura dei vari istituti, i concetti fondamentali relativi ai medesimi : espressione co-desta che ricorreva le cento volte nelle sue lezioni,* E più sotto : „Conciso, però, nel suo dire, perchè pieno d’ idee e abborrente, per natura, da ogni fronda rettorica, egli svolgeva le più complicate teorie in brevi termini, andando sempre a cercare il nodo delle questioni e penetrando sempre coll’ acuto pensiero nel midollo dei fatti senza punto occuparsi della loro corteccia. Così, ad esempio, nel determinare l’idea fondamentale del diritto, egli iacea capo all’ obbligazione morale sociale, previamente determinata, per cui ogni uomo deve astenersi dall’impedire agli altri il proprio perfezionamento. E su quella base, col rigore di un sillogismo perfetto e 1’ e-videnza d’una dimostrazione matematica, egli ragionava così : In due modi l’uomo può impedire il perfezionamento altrui: con atti esterni ed interni : i primi, benché immorali pel loro autore, sono effettivamente innocui al prossimo, perchè restano nel dominio della coscienza individuale e non appariscono altrui ; bensì appariscono i secondi che perciò riescono sempre, più o meno, ad impedire il perfezionamento degli altri. Di fronte a tale impedimento sorge spontanea nell’ uomo la facoltà di respingerlo, e poiché tale impedimento è sempre possibile, data 1’ umana natura, così è anche inerente all’ rimana natura la detta facoltà di potervisi opporre, che ha sua base assoluta nella necessità, obbiettiva e sub-biettiva ad un tempo, in cui l’uomo si trova di perfezionarsi. Tale facoltà costituisce appunto il Diritto, fondato perciò sulla Morale, ma ben distinto da essa, come quello che solo si manifesta nei rapporti sociali, solo risguarda fatti esterni, e dà origine a un obbligo esclusivamente negativo e tale da potersi far adempiere colla forza materiale. Questo criterio fondamentale non veniva mai dimenticato nel corso dello studio ogni qualvolta si trattasse di giustificare qualche importante istituto giuridico. E così, per esempio, la proprietà delle cose, questo supremo dei diritti reali e insieme civili, questo vero prototipo di tutti i diritti degli uomini, tanto malmenato a’ dì nostri dal Socialismo e tanto poveramente difeso da filosofi, economisti e giuristi del vecchio e del nuovo stampo, veniva assiso sul fondamento incrollabile di una giustizia assoluta dal nostro professore, che ragionava in tal modo. L’uomo ha un diritto in genero, perchè ha un dovere : quello di perfezionarsi ; chi vuole, o meglio, chi deve volere il fine dee volere per necessità anche i mezzi ; ma fra i mezzi dell’ umano perfeziona- sioni, i grandiosi spettacoli a luce elettrica, le musiche rumorose che attirino la nostra attenzione e ci facciano balzare dai cuscini ovattati delle nostre indifferenze come le salse piccanti per eccitare i deboli appetiti dei nostri stomachi. Intanto su quel lenzuolo bigio del cielo s’ andava aprendo uno spacco , come se un baldo raggio di sole si sforzasse un passaggio attraverso quella tristezza infinita di nubi ; riaccesi il sigaro che mi si era spento, e continuai dietro un filo che pareva si perdesse in quell’ abbozzo di luce : Ahimè ! a che queste sfuriate contro la razza presente ! Mi sarei lasciato trasportare dalle teorie nebulose e punto confortanti dello Schopenhauer e del Hartmann ? 0 dica, mia bella sconosciuta, o non esclamerò anch’io piuttosto con l’ottimo Leibnizio, senza volgermi alle osservazioni maligne di quella vespa furba di Voltaire nel „Candido," che viviamo nel migliore dei mondi possibili ? Si consoli e mi perdoni : non corro a questi estremi ; ma, figlio dell’ epoca mia, 1’ accetto tale e quale. È vero, ho inforcato gli occhiali, ho tentato di farle una diagnosi, così alla sfuggita, d’una malattia di cui pare colpito il nostro organismo come la nostra mente, ma solo per metterle sotto gli occhi alcuni ele- mento sonvi anche le cose, fisicamente e moralmente assoggettabili all’ uomo : l’uomo ha dunque il diritto astratto alla proprietà, cioè il diritto d’assoggettare a sè, con vincolo fisico e morale ad un tempo, le cose ogniqualvolta il possa, e lo può ogniqualvolta non nuoccia agli altri, cioè non vada a ledere il diritto concreto di chicchessia. Quando, adunque, il diritto alla proprietà si concretizzi in una cosa e divenga diritto di proprietà, questo rimane pienamente giustificato da quello, che, come tutti i diritti astratti, è inseparabile dall’umana natura. E il diritto di proprietà era veramente sacro ai suoi occhi come il simbolo supremo della giustizia, e dopo averne accuratamente studiati gli attributi, i caratteri, gli effetti e le modificazioni nel Diritto Civile, non mancava mai di riaffermarne il concetto nello studio degli altri rami di diritto privato ogniqualvolta s’incontrasse a discorrere d’istituzioni analoghe come, ad esempio, della comproprietà delle navi e dei relativi privilegi e ipoteche, nel Diritto Marittimo, o della proprietà delle miniere e di quella delle 07, sre dell’ ingegno nell’ Industriale. Anzi egli attribuiva* l’inferiorità di quest’ultimo Diritto di fronte agli altri rami del giure privato, appunto all’incertezza, che in esso domina, intorno al concetto giuridico di proprietà industriale su cui necessariamente esso dovrebbe fondarsi : incertezza che, alla sua volta, deriva dall’imperfezione della relativa scienza economica, le cui dottrine sono tutt’ altro che rassodate e indiscusse. Egli tuttavia cercava di togliere queste incertezze, e di porre basi sicure anche al Diritto Industriale, eh’ è, in sostanza, il diritto di lavorare, riconducendolo, come tutti gli altri, alla forma prototipica d’un diritto di proprietà. E ragionava in tal modo : Se 1’ uomo ha bisogno delle cose esterne per raggiungere il suo fine, ed ha quindi un diritto astratto alla proprietà di esse, come s’è visto, è altrettanto certo che deve avere un diritto astratto al lavoro delle medesime, dal momento che non potrebbe farle servire come mezzi materiali del suo perfezionamento (ricchezze) senza applicarvi la propria attività per trasformarle più 0 meno utilmente. A questo diritto astratto, giustificato, come quello di proprietà, dagli alti fini morali dell’uomo, corrisponde del pari il diritto concreto di lavorare, giustificato dal primo e consistente nella piena facoltà di trasformare le cose quando con ciò non si nuoca al diritto altrui ; e quindi, 0 di trasformare senz’ altro, come pare e piace, la cosa propria, 0 di trasformare, d’accordo con altri, cioè previo un contratto, anche la cosa altrui. Nell’ un caso e nell’altro è evidente trattarsi in sostanza d’un vero diritto di proprietà. Nel primo, il diritto di lavorare è nè più nè meno che l’esercizio degli attributi di godere e disporre inerenti appunto alla proprietà. Nel secondo è il diritto di conseguire una mercede 0 una quota di partecipazione dal conduttore della propria opera 0 dal socio, e quindi ancora un diritto di proprietà, ma assicurato per contratto e quindi dipendente da un’ obbligazione personale anziché costituito direttamente sulla cosa e quindi di natura reale, come nel primo caso.* E più oltre tocca del singolarissimo riserbo del nostro Carlo in tutto ciò che poteva menomare la purezza dell’ animo. „Ma non meno dell’originalità riuscivaci cara un’ altra dote rarissima del suo insegnamento, voglio dire la scrupolosa delicatezza d’animo, che gl’imponeva il più sacro riserbo nello svolgimento di certi argomenti scabrosi del diritto civile, co’ quali temeva di offendere il nostre pudore. Egli, che avea la squisita verecondia d’una fanciulla, ben volentieri sarebbe ricorso, in quei casi, al classico espediente del latino ; ma ben sapeva che i suoi discepoli, usciti. in gran parte dagl’ Istituti Tecnici, non l’avrebbero capito e a nessun patto avrebbe voluto lasciarci ignorare quello eh’ era suo dovere insegnarci. Egli evidentemente sosteneva una lotta con sè stesso, in quei momenti, egli faceva un sacrificio per noi, e per quanto la sua abituale chiarezza d’esposizione rimanesse anche allora inalterata, il suo imbarazzo non ci era meno palesato dall’ incessante tormentar, eli ei faceva, la sua povera tabacchieretta. Noi peraltro lo compensavamo del nostro meglio col raddoppiar l’attenzione e la serietà e ci compiacevamo dei riguardi che ci usava e che, in sostanza, tornavano a suo e nostro onore del pari : perchè gli è certo che chi ama sparlare inverecondo, non solo offende in sè la dignità d’ uomo, menti che Ella avrà certo riscontrato, senza potersene spiegare il come, senza darsi conto del perchè della loro esistenza, non pure in ogni manifestazione della vita complicata, arruffata dei nostri giorni, ma anche e precisamente nel giro delle arti belle, delle letterature moderne, queste imagini fedeli d’uno stato sociale ; di questo stato sociale saturo di febbri, di lontane aspirazioni, di tentativi, come tutte 1’ epoche di transizioni. Ma risolviamo ancor più questa larga fiumana di vita, e ne troveremo T equivalente in un succedersi di moti che sale sempre più alto, che ci avvolge e trascina, volenti 0 non volenti, nel suo esplicarsi. Il moto ! — Chi 1’ ha compresa nella sua profondità questa parola ? Il moto comprende virtualmente il pensiero, la vita che via via va da lui manifestandosi e rivelandosi : 1’ àtomo che vibra pure nel cervello dell’ idiota, nell’ immensità dell’ etere, negli spazi della materia, soltanto sotto un’ altra legge. Ma chi la discoprirà ? e quali ne saran poi le conseguenze ? La natura ha limiti determinati, voler spezzare i quali è opera da pazzi : si allarghino pure, ne troveremo sempre degli altri, sempre dei nuovi, sempre il gran mare dell’ ignoto ecciterà le menti assetate, gii occhi bramosi di vedere, ma le menti, ma gli occhi non saranno appagati giammai. 0 poeta hai ragione: ma 1’ offende altresì in chi 1’ ascolta, e al postutto anche il giovane più dissipato, purché non sia del tutto corrotto, preferisce sempre chi lo tien per onesto a chi lo tratti da libertino.* Questo opuscoletto ci fa conoscere a fondo il carattere e la scienza di Carlo Combi, ma in uno l’animo gentilissimo e la valentia scientifica e letteraria dell’Autore che noi ringraziamo con tutto il cuore. Il nostro egregio amico e illustre conterraneo Dr. Domenico Lovisato ci ha favorito una sua interessante Monografia, eh’ egli modestamente intitola „ Appunti Etnografici con Accenni Geologici sulla Terra del Fuoco*, monografia che riassume una parola degli studi da Lui fatti nell’ ultima spedizione a quella Terra tanto sconosciuta, eppur tanto importante. L’ elegante Fascicolo è uscito coi nitidi Tipi dello Stabilimento Tipografico Vincenzo Bona di Torino — Editore l’Istituto Geografico Guido Cora. Quantunque di questi studi scientifici difficilissimi la Provincia nostra annoveri rari cultori, osiamo tuttavia credere che riescirà sommamente gradito ai nostri lettori di conoscere lo scritto del dotto conterraneo, per la qual cosa non mancheremo di darne un riassunto in uno dei prossimi numeri. ---------------------------------- NECROLOGIA a Carlo ZDo’ Oorro.Toi nato in Capodistria addì 18 di Luglio del 1827 morto in Venezia addì 11 di Settembre del 1884. Si quis piorum manibus focus, si, ut sapientibus placet, non cum corpore extinguuntur magnae animae, placide quiescas, nosque .... ad contemplationem virtutum taurum voces. Tacito, Agricola, 46 Alta vigoria di cuore e d’intelletto ; fede in Dio sicura, non ostentata, non dissimulata ; opera indefessa per ogni forma di bene ; vita come d’espiazione continua, e purità da ogni colpa; a’ genitori, in lor vivente, amore sino all’ annullamento del proprio volere, morti, culto come a memorie sante ; a’ congiunti cure più che di fratello, di padre; a’ poveri larghezza, non pure degli averi, ma di se stesso ; dispregio di ogni ambizione, con ferma dignità di cittadino ; estimazione degli offerti onori, solo quanto tornassero nominanza alla patria, e negli onori scrupoloso adempimento dei doveri ; ingegno presto e idoneo alle più svariate teoriche e pratiche : poetare, compor di storia, geografia, diritto, politica, economia, bibliografia, sempre con intendimenti civili e nerbo di pensieri e di stile, insegnare in pubblico e in privato, avvocare ne’ tribunali, consultare ne’ consigli di città, d’ opere pie, di dotte accademie, trattare con uomini di stato: sacerdozio la scienza vasta, profonda, provata al cimento di quotidiana esperienza : tante virtù ebbe Carlo Coillbi, più splendide, perchè le costringeva a non mostrarsi altro che in fatti. Questo, non elogio d’ ammiratore, nè solo rimpianto d’ amico, è di lui la verità, e non tutta. Anima grande ! mentre fosti ancora tra noi mi fu dolce salutarti nell’ Archeografo nostro col nome glorioso che al tuo Vergerlo dava Santo de’ Pellegrini : „Patriae decus" : nome che a te sarà confermato dalla storia. Trieste, addì 18 Settembre del 1884 Attilio Hortis (Dall’ Archeografo Triestino — Vol. XI — Settembre 1884) Io stanco scenderò ne’ 1 cimitero, i tuoi riccioli biondi imbianchiranno, povero bimbo, e non sapremo il vero. Lettrice gentile, m’accorgo a tempo dello sbadiglio che lieve incurva le sue rosee labbra: s’ è meco annoiata e non ha torto. Anche il mio sigaro s’ è consumato, anch’ io mi sono ritirato dalla finestra, e, sdraiato sulla comoda poltrona, mi lascio vincere dal torpore. Lo sento scendere su di me, sui miei pensieri, sulle mie membra lento, dolce, snervante, e con gli occhi socchiusi lo gusto a centellini come una gradita bevanda. La mente s’ annebbia, le idee si smorzano quasi fasci di luce sotto le volte d’ una cripta cedendo il posto alle imagini vaporose dei sogni ... E lo spacco di cielo s’ è bruscamente racchiuso, un’ acquerugiola fine fine, accidiosa, monotona vien giù sui tetti lustri, coperti di musco delle casette che sembrano vecchie dalla faccia rugosa e screpolata ; fra i sassi delle contrade corre a rivi 1’ acqua giallastra in cui una frotta.di monelli diguazza chiassando i piedini arrossati, mentre i colpi di martello d’una lontana officina di fabbro mi giungono all’orecchio affievoliti come 1’ultima eco d’una romanza d’ amore. Vittore Matteicich LA PREMIAZIONE ALLA MOSTRA DI TORINO Nel giorno 4 del passato Novembre, sei dì prima che avvenisse la definitiva chiusura della Mostra Torinese, ebbe luogo nei locali della medesima una festività, la quale può dirsi significasse la chiusura ufficiale dell’Esposizione. Alludiamo alla solennità della distribuzione delle ricompense agli espositori premiati, solennità commovente, al sommo importante per la politica interna del vicino Regno d’Italia, ed apportatrice, non vi ha dubbio, a suo tempo e quanto prima dei più benefici effetti. Di questa bellissima festa furono scritte splendide pagine dal giornalismo di Torino e noi, non potendo riportare per esteso tutto quello che leggemmo in proposito, diremo soltanto che alla solennità assistevano il Re e la Regina d’Italia, i Principi di Carignano e d’Aosta, i Ministri Grimaldi e Ceppino, il Presidente Commendatore Villa, la giurìa dell’ Esposizione capitanata da quella spiccata notabilità eh’ è il Comm. Berti, la Giunta Municipale di Torino assieme al Sindaco Conte di Sambuy, e finalmente una numerosa rappresentanza del Senato italiano col suo Vice-Pres. Conte Alfieri di Sostegno, e del Parlamento con alla testa lo stesso Pres. Biancheri, oltre ad una quantità di Generali ed altri distinti personaggi. Riporteremo poi i significantissimi discorsi tenuti dal Principe Amedeo Presidente del Comitato generale dell’ Esposizione, e dal Conte Ernesto di Sambuy Sindaco di Torino, dispiacenti assai di non poter riferire per mancanza di spazio anche quelli pure importantissimi del Ministro Grimaldi e dei Commendatori Villa e Berti. DISCORSO DEL PRINCIPE AMEDEO Sire ! „Dividere col vostro popolo pericoli e trionfi, afflizioni e gioie fu sempre bisogno e desiderio vivissimo dell’ augusto animo vostro, come fu primo insegnamento del glorioso nostro Genitore. „Già il 26 aprile vi era piaciuto rendere solenne la inaugurazione di questa Mostra nazionale, degnandovi di assistere colla graziosa Regina alla manifestazione delle speranze che allora era lecito di concepire; ed oggi avete voluto far lieta di vostra ambita presenza questa solennità onde meglio partecipare alla comune soddisfazione per le amplissime testimonianze rese al successo che ha coronato 1’ opera grandiosa. „Concedete a me, che, a nome della Commissione generale, ve ne esprima la più viva riconoscenza. „L’opera è ormai giunta al suo termine, e certo le cause di trepidanza non furono poche nè lievi : ma si direbbe che i voti di ogni terra italiana perchè venisse a felice compimento la grande impresa, animosamente iniziata in questa Metropoli subalpina, ne abbiano preservate le sorti ; ed in vero in questo onorato cimento delle arti e del lavoro s’è offerto alle genti sublime più che mai lo spettacolo della concordia degli Italiani. „Si, o Sire, questo, che ora ci è dato raccogliere, è il frutto dell’ opera costante e concorde di tutti; ed a me, che ne fui testimonio quotidiano, è dolce il proclamarlo qui, al cospetto vostro, in così solenne occasione. „Permettete ora, o Sire, che nel Vostro Augusto Nome io riconfermi alla benemerenza del Comitato esecutivo quel tributo di lodi e di gratitudine che da ogni parte gli venne, e che io lo estenda a tutti coloro che ne furono zelanti cooperatori, ed a quegli egregi uomini ben anco che accettarono il non lieve cómpito di portar giudizio de’ risultati ottenuti in ciascun ramo delle scienze, delle arti e delle industrie qui rappresentate, e che a quel cómpito attesero con indefessa cura, con studio imparziale e con rara abnegazione. „Sire! Se il visitatore straniero ha potuto anche qui riconoscere, che quando la Nazione Italiana reclamava i suoi diritti in faccia al mondo civile, ben poteva dar pegno che avrebbe saputo degnamente esercitarli ; il visitatore italiano a sua volta ha dovuto comprendere, che questa prova splendidamente superata impone all’ Italia nostra 1’ obbligo imprescindibile di mantenersi in futuro a quell’ altezza, alla quale le altre Nazioni l’hanno oggi salutata con plauso. „A quest’ obbligo l’Italia non verrà meno giammai. „Ed un voto io qui esprimo per essa che certo è pure voto ardente del ben amato suo Re. „Al cuore d’ogni Italiano il ricordo di questo avvenimento felicemente compiuto, sia pure fonte di legittimo orgoglio ; ma gii sia al tempo stesso impulso costante a proseguire nella via di quel progresso civile, che è vita dei Popoli ed onore dei Regni". Entusiastici, interminabili applausi scoppiarono alla chiusa del brillantissimo discorso. DISCORSO DEL SINDACO DI TORINO CONTE COMM. ERNESTO DI SAMBUY Maestà ! „Nel giorno solenne in cui s’inaugurava questa Esposizione Nazionale e che, in presenza vostra l’augusto Principe Presidente, il Ministro per l’agricoltura ed il Presidente del Comitato Esecutivo pronunziavano i patriotici discorsi che ancor ripete 1 eco fedele di questi luoghi, il Sindaco di Torino. poteva tacere, nel compiacimento di vedere la vita italiana manifestarsi rigogliosa, ammirata, potente. Il silenzio non è più possibile in questo giorno. La città che rappresento mi reputerebbe indegno del grande onore che a me venne fatto, qualora non sapessi sciogliere, in un inno di gratitudine e di amore, la piena degli affetti che sgorga dal cuore. „Torino, che da otto secoli, ovunque posasse l’aquila Sabauda, fu fedele alla bianca croce della gloriosa Vostra Dinastia ; Torino, che vede in quest’ anno come, malgrado le gravi cure di Stato e gli alti interessi della patria, Vi sia piaciuto in mille modi confermare il grande affetto per la terra Vostra natale ; Torino si meraviglierebbe di me quando io non Vi sapessi confermare solennemente la fede illimitata di una popolazione devota e riconoscente. „Chè, se in quest’anno le rive del Po hanno potuto assistere al trionfo delle industrie artistiche, manifatturiere e meccaniche d’Italia, lo si è dovuto anzitutto al patronato del Re ed all’ opera efficace dell’ augusto Principe, il quale tanto fece per la riuscita del-l’audace impresa. E nella gioia che qui profondamente si sente ogni qualvolta è segnalato un passo fatto dal-l’Italia in sulle vie del progresso; noi ci rallegriamo d’ aver potuto, con qualche sacrificio, cooperare al successo della giovane Nazione, che tutti vogliamo rispettata, ricca e fiorente. „I Vostri ministri, o Sire sucessivamente venuti a studiare l’Esposizione, furono per noi larghi di espressioni benevoli e lusinghiere. È loro acquisito il grato animo dei miei concittadini, avvegnaché debbasi confidare che nell’ interesse d’Italia non riusciranno vani gli studi intrapresi e sieno per esaudirsi voti e promesse. „All’Italia, che tutta intendeva riversarsi fra queste mura se dopo il Giugno meno avversa ci fosse stata la sorte, Torino augura che da questa pietra miliare possa ripartire ardita, fidente, risoluta per arrivare presto ad altra, come questa, di lauro adorna e di gloria. Ma poiché di circostanze meno liete ho fatto menzione, mi sìa concesso di mandare da queste Alpi un saluto affettuoso alla Metropoli meridionale che il fiero morbo ha così crudelmente funestata. Là io vedo il nostro Re, là vedo il Principe Presidente di questa Esposizione, per giorni intieri esposti ad incessante periglio, pur di soccorrere e consolare quei miseri. „Graziosissima Regina! Dal nostro affanno abbiamo misurato la vostra trepidazione ed i vostri timori ; ma ci sentivamo fieri di essere italiani nel vedere il Re stesso coi più splendidi atti di carità e di coraggio rialzare il carattere nazionale ! „ Sire ! „L’ anno scorso, quando Voi poneste la prima pietra del nuovo Ospedale di Carità, io dissi che a Vittorio Emanuele II, Padre della Patria, era succeduto il Padre del Popolo. Le mie parole erano un vaticinio, e la Storia il glorioso epiteto già incide in caratteri indelebili." „Coll’antica fede dei padri nostri, con amore sempre più intenso per un Re sì pietoso e grande, colla speranza di vedervi per lunghi anni beneficare l’Italia portandola agli alti suoi destini, Torino non vi porge diplomi o medaglie, ma offrendovi il cuore dei suoi cittadini, invita gl’ italiani qui convenuti a lasciar libero sfogo al grido che il nostro patto nazionale comprende e riassume: „Evvivail Re! Viva Savoia! Evviva VItalia!“ Frenetici, vivissimi evviva ed applausi seguirono questo discorso, e lo stesso Re commosso si alzò e andò a stringere calorosamente la mano al toccante oratore. Dopodiché fu proseguita la Festa, che ben può dirsi, come felicemente si espresse nel suo applaudito discorso il Ministro Grimaldi, „La sintesi della Mostra nazionale di Torino“ INDUSTRIA LIBERA e lavoro carcerario {Dalla „ Gazzetta Provinciale eli Bergamo“) Continuazione vedi N. 23. Io ho premesso tutto questo, benché non entri nel mio argomento, per dedurne che il detenuto ha per lo meno il dovere, e non il diritto, di lavorare, e di lavorare nell’ interesse esclusivo dello Stato. Oggi invece si lascia al detenuto buona parte dei profitti del suo lavoro, per modo che 1’ andare in prigione può essere per taluni una vera speculazione. Io non intendo che si debba tornare ai pozzi, ed ai piombi della Serenissima, ma amerei che la pena fosse tale da corrispondere al gravissimo mandato che ha la società di prevenire i reati. Si oppone, che qualora il detenuto non avesse la lusinga di qualche lucro difficilmente adempirebbe ai suoi lavori. Ma a questa obbiezione si può facilmente rispondere quando si consideri che i detenuti possono essere obbligati al lavoro colle pene disciplinari. E’ ben vero che l’uso di queste pene porta ad alcuni inconvenienti economici, ma a questi può essere benissimo riparato, come diremo in appresso. Un’ altra obbiezione più grave si è quella che il detenuto deve cercare nel lavoro la propria riabilitazione, e che precipuo mezzo per ottenere questo intento è la interessanza nel prodotto dell’opera sua. Ma a questo proposito mi permetto porre un dilemma. 0 il detenuto ha ancora la coscienza della propria dignità, o non l’ha. Nel secondo caso non possono bastare pochi miserabili soldi a fargliela riacquistare ; nel primo caso il detenuto, deve trovare soltanto nella severa espiazione del proprio fallo la sua riabilitazione. Ammesso pertanto che il detenuto deve lavorare, e lavorare soltanto ad esclusivo vantaggio dello Stato, esaminiamo in qual misura il lavoro nelle carceri è dannoso all’ industria libera. Nella citata circolare della Commissione centrale per il futuro congresso penitenziario è detto che i prodotti del lavoro carcerario, di regola, non esercitano alcuna influenza sul mercato generale. lo, seguace della teoria di Voltaire (avant tout definissons des mots), amerei che fosse ben definito che cosa s’intende per mercato generale. O s’intende il mercato di una data piazza, o s’intende il mercato di una intera nazione. Nel primo caso è indubitato che il lavoro delle carceri, come è praticato oggidì, è dannosissimo all’ industria libera. Nel secondo caso è parimenti indubitato che il danno arrecato dal lavoro carcerario al mercato delle singole piazze torna alla fine di danno al mercato dell’ intiera nazione. E vediamo in qual modo. Il valore di una ricchezza è la sua potenza d’acquisto d’ altra ricchezza. Il valore è un rapporto, o in altre parole, un termine di confronto fra due ricchezze. Ne consegue, che non potranno tutte le ricchezze aumentare 0 diminuire a un tempo di valore, come suolsi dire talvolta nel linguaggio volgare, ma una almeno seguirà la fase opposta, e questa sarà il denaro, col quale soglionsi rappresentare tutti i valori. Se A che valeva B ha diminuito di valore deve valere meno di B, e per conseguenza B deve valere più di A. Se si suppone che tutto è diminuito di valore, dice lo Cherbuliez (1), A, che valeva B, deve valere B—X, e B, che valeva A, deve valere A—X. Ma se A vale B—X è chiaro che B vale A+X, donde risulta che A—X=A+X. Ora questa e-quazione non è vera che nel caso che X sia eguale a zero, ovvero nel caso che la pretesa diminuzione di valore sia nulla. L’ipotesi inversa, d’un aumento generale del valore, condurrebbe allo stesso risultato. Data la nozione del valore, è necessario sapere di quali elementi esso è determinato. Già si sa che il valore si distingue in normale e corrente. Il normale è rappresentato dal costo della ricchezza ; il corrente dal giuoco della domanda e della offerta, ossia, in altri termini, il valore cresce e diminuisce in ragione diretta della domanda e in ragione inversa dell’ offerta. Questi principii, ebe costituiscono in tale argomento 1 cardini della scienza economica, sono in oggi pur troppo trascurati a danno comune e del lavoro carcerario e dell’ industria libera. E inutile perdersi a dimostrare, perchè cosa troppo nota a tutti, che l’industria libera non può in alcun modo fare concorrenza al lavoro carcerario. Il lavoro nelle carceri è di tanto dannoso all’industria libera, di quanto il valore corrente dell’uno è inferiore al valore corrente dell’ altra. Supponiamo che nell’industria delle scarpe, per esi, il valore del lavoro libero sia 10, quello del lavoro carcerario sia 7. La differenza rappresenterà il danno recato dal secondo al primo. Questo fatto è di tanta evidenza che torna superfluo 1’ accennarlo ; ma io 1’ ho fatto perchè si ponga mente all’ assurdo economico di due valori correnti nella stessa industria, assurdo creato da un arbitrio che torna a danno dello stesso Governo. Questa considerazione dovrebbe servire a mettere sulla giusta via, poiché non può essere che falso un sistema che si ribella agli assiomi della scienza e alla evidenza dei fatti. Torna vano l’indagare quanta sia l’intensità del danno recato dal lavoro carcerario; se potesse da solo soddisfare alle esigenze del mercato, l’industria libera sarebbe completamente distrutta. In Inghilterra pochi anni addietro circa 10,000 prigionieri erano costantemente occupati a far delle stuoie, mentre fuori della prigione 3,000 operai liberi soltanto erano occupati in questa industria (2). Questo fatto dimostra che i lavoratori liberi possono essere impiegati in una industria esercitata dai detenuti soltanto per quella data quantità di lavoro che i detenuti non possono fornire. Dato anche che il danno recato dal lavoro carcerario all’ industria libera fosse nella proporzione di 1 ad 1,000,000 questa proporzione deve sparire, e le due industrie devono essere poste nelle stesse condizioni di produttività. Soltanto in questo modo si potranno conciliare tutti gli interessi ; in questo modo soltanto cesserà l'opposizione che di tanto in tanto si manifesta contro V introduzione nei penitenziari delle singole industrie. Non è già che si gridi contro il lavoro dei detenuti ; si grida contro il prezzo al quale è venduto. Data la stessa qualità della merce, non vi è alcuna ragione perchè il lavoro del condannato sia venduto ad un prezzo che è inferiore al valore normale del lavoro libero. Al di sopra di questo valore sia libera per tutti la concorrenza ; ma non dovrà mai il Governo valersi delle eccezionali condizioni in cui si trovano i detenuti per opprimere l’industria libera. Ciò, oltre ad essere immorale, è dannoso al suo stesso interesse. Invece col sistema che qui ho appena accennato, e che svolgerò p'ù avanti, si possono per 1’ appunto conciliare, come desidera la Commissione centrale, tutti gli interessi. Nulla avrei più a dire sulla prima parte del quesito. Prima di rispondere alla seconda parte, che corrisponde precisamente alla quarta domanda posta dalla Commissione su questo quesito, accennerò ad un fatto, permettendomi di esporre in proposito il mio parere per rispondere alle tre prime domande. (iContinua) -------:---------------~B------------------------ CORRISPONDENZE. Pisino, Decembre 1884. A Draguch siamo sempre da capo : si continua a volere dalle Autorità scolastiche distrettuale e provinciale la lingua croata ; e quei cittadini, com’ è troppo naturale, lasciano dire. Anche quest’ anno la scuola è deserta. Ed ora ci si racconta che il Consiglio Distrettuale di Capodistria ha deciso di multare i renitenti. Siamo curiosi davvero, se le Autorità superiori consentiranno a una simile decisione. Imperocché se vi è una legge che obbliga i genitori a fare istruire i loro figli, non ci consta che ve ne sia una che imponga di farli istruire in una lingua piuttosto che in un’ altra, e, dove ne conoscano due, nella meno colta, nella meno utile, nella meno o punto desiderata. Fossero tre o quattro m un paese a volere la lingua italiana, la sarebbe una irragionevolezza la loro ; ma quando la vogliono tutti, dico tutti, i quali tutti inoltre pagano il maestro, chi è che possa ragionevolmente intromettersi di questo affare, sostituendosi, quando non lo esige il bene comune, alla più naturale delle autorità, la paterna ? Ma lasciamo le disquisizioni giuridiche, e parliamo in lingua povera. Il Governo non troverebbe nulla a ridire, se un padre facesse istruire privatamente i suoi figli nella lingua, poniamo, ottentotta ; o perchè avrà da opporsi, se tutti i padri di una borgata vogliono per i loro figli la lingua italiana ? Ho inteso obiettare una ragione didattica, e cioè che se i fanciulli di tiraglieli conoscono l’italiano, conoscono però meglio lo slavo, e che perciò è in quest’ ultima lingua che se li deve istruire. Mi si permetta di girare 1’ argomento all’ onorevole preopinante invertendone i membri ; la è una questione di fatto, e il fatto parla in favore del nostro assunto : la lingua del paese a Draguch è l’italiana. È l’italiano che si parla sulla piazza e nelle case, anzi lo slavo non se lo saprebbe nemmeno, se il parroco non continuasse a predicare in questa lingua. (Alternasse almeno coll’ italiana !) Quando finalmente io penso che nella scuola di pratica slava dell’ Istituto Magistrale di Capodistria i pochi figli di guardiani carcerari, gente d’oltremonte, che la frequentano, ci s’inscrivono senza saper parola di slavo, non posso credere che la prefata ragione didattica, sia pure innocentemente, come credo, basata sur un errore di fatto, abbia determinato il Consiglio distrettuale di Capodistria a volere a Draguch la scuola croata. E allora quale ? Buje, Decembre 1884. Immersi nell’ agricoltura e nei commerci, viviamo qui apparentemente ignari di ciò che avviene nella provincia, nè mai, o quasi, un segno di noi apparisce nei giornali istriani. Non è però che non si partecipi vivamente al risveglio dei conterranei, e non si appianila e non si cooperi alle belle istituzioni ed ai propositi generosi dei fratelli. Chi conosce l'indole degli abitanti di questo nostro comune, come sono facili all’ entusiasmo, acuti nell’ intuire il vero 1’ utile il bello, di gran cuore e di più grande fantasia, costui sa 1’ eco che trova nelle anime nostre ogni aura che ci rechi dalle città sorelle una gioia o un dolore. E se la è una gioia, si mena un po’ di festa; se un dolore, si fa di lenirlo e si provede all’ avvenire ; poi si torna agli affari senza alcun rovello al mondo e senza malinconie ; si fa buon viso a cattivo gioco. Vorrei dire che noi siamo filosofi. E le nostre feste come bene le sappiamo fare ! Abbiamo poi una bandina che non fo per dire, fuori chi vuole, tranne quella di Seghetto e qualche altra. E si vive. Tutto questo è detto per iscusarci con codesta spettabile Redazione se non le abbiamo finora mandata nessuna corrispondenza, e perchè si induca ad accettare questa che, senza il preambolo che ci abbiamo fatto, poteva, che so io, venirci respinta visto che non avrebbe parlato che di un interesse locale. Ed ecco di che si tratta. Buje è innegabilmente delle più commercianti città dell’ Istria interna ; per conseguenza i suoi figli hanno maggior bisogno d’ istruzione. Se le nostre scuole aves-un maestro di più? La è una mia idea, e non so quanto essa sia effettuabile. Io direi che questo maestro di più 10 stipendino i cittadini, versando una piccola sovra-imposta. La condizione dei cittadini è tale, o m’inganno, che lo potrebbero fare senza risentirsi, quand’ anche si volesse formare per questo maestro una paga delle maggiori, ad avere molti concorrenti fra i quali scegliere 11 meglio abilitato. Con ciò io ho buttato là una mia idea, e non pretendo d’imporla. Se avessi la facoltà di imporre le mie vedute, vorrei che i Bujesi si tassassero volonterosi per una scuola cittadina. Muggia, 17 Dicembre 1881. È una parola la stampa, ma una grande, un’ immensa parola. Qual molla di civiltà, qual forza meravigliosa ! Se non ci fosse stata l’ultima mia corrispondenza, che aveste la bontà di accogliere nel vostro riputato giornale, qui tra noi il vainolo avrebbe fatto man bassa senza che si adottasse una sola misura riparatrice. Indarno ordinò, gridò, protestò l’autorità politica; il male 1’ avevamo in casa e chi regge a palazzo allegramente russava. Uscì il „Patria" del 10 cori-, e . . . . e la consegna di russare ebbe un termine per provvedere . . . . per provvedere a che? Le misure prese non istanuo in alcuna corrispondenza coi postulati più elementari della scienza, ed il nostro bravo medico indarno si moltiplica per curare gli infermi colpiti dal triste male. Ne abbiamo oggi quattordici in una popolazione di 3000 anime e non si prendono punto quei provvedimenti, che soli potrebbero impedire l’ulteriore diffusione del morbo fatale. Le disposizioni date sono insufficienti ed il suo progredire 10 rivela apertamente. Abbiamo Trieste a pochi passi, perchè non si fa a Muggia quanto si fa a Trieste? Se ne copino le prescrizioni, ed allora appena si opporrà un’ argine valido all’ invadente epidemia ; allora appena batteremo le mani a chi finora ha dimenticato 11 sacrosanto suo dovere di tutelare la vita de’ cittadini. Oggi non possiamo farlo, perchè se pur il Municipio e-mana degli ordini, non sa farli osservare e anziché derivarne vantaggio alla città, scapito soltanto ne ritrae esso nel suo prestigio. S* è adontato per le ultime mie parole sul vajuolo, ma si potea dire di meno ? Fatti, fatti ci vogliono e non parole. Avete voi del Municipio, o chi per voi, convocati i membri della Commissione sanitaria secondo quanto impone la legge ? E se que’ membri convocati non furono, a che sono tali ? 0 li ritenete forse comparse da teatro, cui non occorre far appello ? Avete eseguito a sensi di legge le disinfezioni prescritte per i luoghi occupati dai vaiuolosi ? Ne avete a sensi di legge distrutti gli effètti ? Avete posto in date ore a disposizione del popolo il medico comunale od altro per la vaccinazione e rivaccinazione ? Avete publicato, per conseguire lo ^copo, analoghi avvisi ? Avete provveduto alla sorveglianza necessaria perchè gli ordini del medico siano rigorosamente osservati ? E se non 1’ avete fatto di che potete adontarvi ? Noi sappiamo, per esempio, che un fanciullo coi segni del vainolo addosso continuava a frequentare le scuole, ad onta degli ordini più severi dati dal nostro dottore. Avrei voglia di raccontarvene delle altre, ma oggi non ho troppo tempo. Sinora — per quanto vi narrai nel-1’ ultima mia riguardo la reggenza di queste popolari — il Consiglio scolastico Distrettuale non s’è fatto vivo ma certo non mancherà di procedere. Posso supporre altrimenti, se quel Consiglio sa che tempo fa tali erano i dispiaceri insorti tra il dirigente delle nostre scuole ed il catechista, che quest’ ultimo si rifiutò persino per qualche tempo d’insegnare nella di lui classe? Oli, lo sa, lo sa e perciò ritengo, che se gli ha — come si narra — rilasciato un decreto d’ elogio che egli va mostrando per le piazze perchè lo si creda scevro d’ ogni colpa, o l’ha fatto per prestazioni ben anteriori o per meriti occulti, o finalmente per isbaglio. E per oggi basta. A rivederci col nuovo anno. Varia. Col giorno 81 cori-, cessa 1’ associazione al periodico provinciale V Istria tanto per gli azionisti, che per gli abbonati. L'Istria è l’organo della nostra società politica ed ogni buon istriano ha 1’ obligo di sostenerlo con tutte le sue forze. Il lasciarla cadere per mancanza dell’appoggio necessario ne’ gravi tempi che corrono equivarrebbe a deplorabile regresso, ed i nostri patrioti non pònno, non dònno rendersene colpevoli. Il furioso brigare dei nostri avversari, la lotta aspra e diuturna che ne deriva ci impongono il sacrosanto dovere di rafforzare, non di indebolire le armi impugnate a difesa della nostra nazionalità ed arma potente è per noi V Istria diretta e redatta da chiarissimi comprovinciali. Bando pertanto ad un inerzia di cui i nostri figli potrebbero chiamarci responsabili, e con ogni mezzo, pecuniario od intellettuale che sia, si concorra a facilitare la publicaziono e la massima diffusione del pregiato giornale parentino. * * * In Federico Campanella, morto il 10 coir, a Firenze, l’Italia perdette uno dei migliori suoi figli, uno dei principali campioni della sua civiltà. Sarebbe lungo il descrivere la vita agitatissima di quest’ uomo, il quale— malgrado le sofferenze patite per gli eventi della politica a cui s’ era votato sin da quando sedeva all’ Università compagno del suo prediletto amico Giuseppe Mazzini, — a ottanta anni aveva ancora una fibra robusta ed una lucidezza di mente appena consentite all’ età virile. Egli era sofferente da più mesi, e morì circondato dalle amorose cure dei suoi amici. * * * La Wiener Zeitung publicava l’ordinanza dei ministeri del commercio, dell’ agricoltura e dell’ interno, relativa alla pesca marittima. Essa contiene le disposizioni sui confini della pesca nel mare, sull’ ammissione dei pescatori non pertinenti al comune entro un miglio marittimo, sul tempo in cui la pesca è proibita e sui luoghi ove può essere esercitata ; contiene pure disposizioni circa la pesca con reti a cocchia e rispettivi arnesi. Quale corporazione consulente circa la pesca marittima, verà istituita una Commissione centrale presso il governo marittimo, la quale, sotto la presidenza del presidente del Governo marittimo, sarà composta, oltre che da un impiegato almeno di quell’ autorità che funzionerà da relatore, da un perito, che possa essere sempre pronto al bisogno, ed abbia le necessarie cognizioni scientifiche, o da due esperti. Presso ogni Capitanato di porto e sanità marittima, vi sarà pure un eguale Commissione locale. * * * Addì 14 dello spirante Decembre è morta in Trieste una vera illustrazione della Magistratura del Litorale, il Barone Giuseppe Kemperle, Presidente del Tribunale d’Appello. Pochi saranno in Provincia gli addetti agli Uffici della Magistratura, vecchi e giovani, che non avranno sentito con sincero dolore la dipartita di quell’ integerrimo Magistrato, di quell’uomo giusto. * * * Togliamo da una corrispondenza di Berlino alla Perseveranza il seguente brano, assai notevole : Il capo del Concistoro protestante ha emanato una circolare a proposito delle mene politiche e antisemitiche del dottor Stoeker; nella quale tra T altro dice: „che ai sacerdoti non è lecito fare gli agitatori politici e fare propaganda per un partito ; essi essere al servizio della chiesa e non d’ un partito, e se per caso un sacerdote riceve un mandato, lo deve solo ricevere nel-1’ interesse della sua parrocchia e dei suoi parrocchiani, chiedendone il permesso ai superiori ; inoltre egli non deve mai dimenticarsi che è un sacerdote, un parroco, e non un uomo politico ; un parroco che diviene un uomo politico perde l’opinione dei partiti avversi ai principi che egli professa. In una parola, il sacerdote deve solo pensare alla sua chiesa e al suo officio e non ad altro ; questi essere i suoi sacrosanti doveri. ‘ Non vi pare che una circolare simile a questa sarebbe bene che venisse diretta anche dai vescovi cattolici ai loro sacerdoti? * * * Dall’ I. E. Direzione delle Poste e dei Telegrafi di Trieste, riceviamo la seguente Notificazione: Verificandosi non di rado il caso, che lettere di piccolo formato e cartoline postali, deposte nelle cassette d’ impostazione, si introducono fra le pieghe di spedizioni sotto fascia, trovasi necessario di rammentare nuovamente al pubblico che, onde ovviare all’ accennato inconveniente, è d’uopo che le spedizioni sotto fascia (giornali, bozze di stampa, stampati, opuscoli, libri etc.) non siano deposte nelle cassette d’impostazione, ma bensì vengano consegnate direttamente ad un Ufficio postale. Oltre a ciò si raccomanda pure che tali spedizioni sieno sempre munite di una doppia fascia applicata in croce, od almeno che sieno legate, egualmente in croce, mediante filo o cordicella. — ---------—----«^«==3-a-0-a-*=3<>------—_______ . CRONACA LOCALE Il Tipografo Priora, ritenendo di far cosa grata ai nostri lettori e gratissima, non vi ha dubbio, al Solitario del Monte Maggiore, c’ incaricò di publi-care, aver egli di già prese tutte le disposizioni per dar principio, subito ai primi del prossimo Gennaio, alla ristampa delle Biografie dello Stancovich; aggiungendo anzi a queste quelle degli Istriani viventi nel 1829 distinti per lettere, arti ed impieghi, raccolte ultimamente in separato volumetto dal-1’ egregio Dr. Glezer ; l’intiero volume per tal modo arricchito verrà rimesso ai soscrittori della Ristampa ai medesimi patti di associazione, molto probabilmente entro il venturo mese di Marzo. Siamo sicuri che miglior regalo di Capo d’anno non poteva esser fatto dal Priora agli Istriani amanti del loro Paese. * * * Giovedì della scorsa settimana gli studenti italiani e slavi del locale Istituto Magistrale furono nella chiesa del Cristo a ricevere la comunione. Il prete incaricato di somministrarla, Don Pancini-, funse il suo munere sacerdotale, accompagnando 1’ atto sacro di parole croate, con aperta lesione delle norme ecclesiastiche e con manifesto affronto agli studenti italiani. Da ciò dispiaceri gravissimi tra studenti delle due nazionalità, eccessi e peggio. Basti dire che nella sera di quel giorno uno studente slavo inveì così impudentemente colle solite contumelie all’indirizzo di quanto è italiano, che il suo padrone di casa, pacifico cittadino ed alieno affatto dalle lotte politiche, dovè al momento metterlo alla porta con armi e bagaglio. C’ è del malumore in paese, la marea monta eppure non si pensa ancora a radicali rimedi. * * * La nostra „Società di abbellimento" terrà li 6 Gennaio 1885 un’adunanza generale per la nomina della nuova Direzione. — Si raccomanda ai signori soci d'in-tervenirvi numerosi. * * * Vincenzo Gorzalini del fu Giorgio colto da improvviso malore spirava il mattino del 14 corrente dopo irevi sofferenze. Fu negoziante probo e stimato, e in questi ultimi anni, quale unico Agente della Ditta G. Naglos di Cor-mous, si può dire sostenesse da solo l’importanza della nostra piazza nell’ acquisto della gaietta. Questa perdita, cotanto inattesa, sarà certo molto profondamente sentita da quel nucleo dei nostri buoni vecchi, che, dopo aver perduto 1’ amico Alberto Giovan-nini, aveano ritrovato novello gradito ritrovo, nelle lunghe sere d’inverno, nella bottega de sior Visenso. Chi sà chi raccoglierà ora quel drapello smarrito e sconfortato? Al povero defunto sia lieve la terra, e possano i superstiti nipoti mantenere alto e stimato il di Lui nome. * * * La notte di Giovedì della passata settimana, furono sparsi per le vie della città dei proclami sediziosi.