ISSO Tli. Capodistria, addì 25 febbraio 1881 N. 10 Soldi 10 al numero L' arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale Franco a domicilio L'annua, 9 ott. 80 — 25 sett. 81, importa f. 8 e s. 20; La semestrale in proporzione. Fuori idem Il provento va a beneficio dell'Asilo d'Infanzia UNIONE CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengi respinte e le anonime distra Il sig. Giorgio de Favento: è l'amministratore. k L'integrità di nn giornale consiste nell'attenersi, cou costanza ad energia, al vero, all'equiti, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 26 febbraio 1878 — Muore Angelo Secchi. — (V. Illustrazione). Effemeridi di città e luoghi marittimi dell'Istria Febbraio 16. 1500. — Capodistria. Il vescovo Valaresso dichiara decaduto dal conferire un certo ■legato il podestà e capitano locale, ser Alvise de Mula, e ciò per aver egli lasciato scorrere un anno intiero. - 3. 17. 1686. — La Carica di Capodistria conferma la deliberazione (21 genn. p. p.) del consiglio di Cittanuova, che è di accrescere il numero de'cittadini. — 35, I, 40. 18. 1567. — Capodistria. Il vescovo frà A-driano Valeutico dà in enfiteusi a Biagio Babuder di Corte d' Isola alcuni terreni posti presso la villa di Padena, coll'obbligo di corrispondere annualmente lire due e sol. uno di piccoli alla mensa vescovile. - 3. 19. 1330. — Venezia. Gossio di Apolonio, delegato dal comune e dal podestà di Citta-nuova, ser Giovanni Tornado, confessa di aver ricevuto ad imprestito dalla Camera dei Grani lire 2000 di piccoli per la comprita di bovi da adoprarsi per la coltivazione del territorio di Cittanuova. - 7, 1, 108. 20. 1371 (M. V.) — Il senato veneto conferma l'operato del conte di Pola, il nobil'uomo Nicolò Quirini, che aveva scelto a cone-stabile equestre pel castello di Mommorano certo Gervasio in luogo del defunto ser Giovanni del Preto da Pirano. - 44, VII, 76. 21. 547. — Massimiano, arcivescovo di Ravenna e nativo di Vistro in Istria, dota il convento di S. Andrea situato entro il porto di Pola e la chiesa di S. Maria Formosa, detta altrimenti del Canetto e posta nella stessa città. - 3. *) 22. 1231. — Aquileia. Convenzione stipulata fra il patriarca Bertrando ed il comune di Pirano; il patriarca accorda al castello di Pirano di poter ritirare dal Friuli qualunque cosa gli fosse necessaria, il comune poi promette al patriarca di voler venire in aiuto alla Chiesa aquileiese con 50 uomini, ov'ella si trovasse in guerra sia nella provincia istriana od altrove; tra' testimoni havvi Leonardo, vescovo di Trieste. - 6, 23 e seg. 23. 1338 (M. V.) — Il senato ordina al podestà di Pirano di coutare entro due mesi a Ubertino di Carrara certa somma di danaro che Masilio di Carrara aveva dato a mutuo al comune di Pirano con di lui pieggiaiia. - 15, XVIII, 5.b 24. 1546. — Venezia. Il senato elegge a podestà di Pirano il nobil'uomo, ser Daniele Vincenzo de' Priuli. - 17, VI, 592. 25. 1340. — San Lorenzo del Paisinatico. Il capitano Marco Corner, delegato dal doge iu seguito ad istanza di frà Giovanni Sor-delio vescovo di Parenzo, ultima questione di confine tra il comune di San Lorenzo e quello di Orsera. - 3. *f) *) Mainati: „Croniche di Trieste" To. I, Par. II, pag. 10, dice nel 546. **) I. B. Contarmi: De episcopis ad istrianas ecclesias... pag. 60, dice li cinque febbraio. 26. 1291. — Venezia. Deliberazione presa, che i militi delle lance lunghe per l'Istria compresi quelli della custodia di Buie (Bulle), non oltrepassino il numero di trecento e venti. - 7, I, 169. 27. 1305. — Pisino. Arrigo conte d' Istria investe Pietro e Nassinguerra li. vulgo Fiorella, figli di Sergio de' Castropola, vassalli del patriarca di Aquileia e capitani del popolo di Pola, del feudo di "Santo Apollinare" che estendevasi da Lome in giù. - 3. 28. 1334. ~ Pola. Il capitolo delega i due canonici, don Andrea arcidiacono e Alberto della Pergula diacono, per indurre il tribunale metropolitano a fargli avere le rendite e le prestazioni niegategli dal proprio vescovo, frà Sergio, e obbligare il detto vescovo a ritrattare le diffamazioni da lui lanciate contro i canonici della cattedrale. - 3. Spes ultima dea Un poeta disse la vita una memoria, una speranza, un punto. Non è una definizione che regge alle regole fissate dalla logica, ma è pure una verità, e va studiata. L' uomo pensa, vuole, imagina, ricorda, desidera : sono tante anella diverse che formano quella lunga e svariata catena, che chiamasi vita; sono come tanti astri, ognuno de' quali è adoperato a un ufficio particolare, ma tutti son mossi dall'istessa legge, tutti abbelliscono il medesimo cielo. Questo cielo è a punto lo spirito umano ; però l'uomo pensa, vuole, imagina, ricorda, desidera, ma in tutte queste operazioni è sempre lui, e con arte mirabile le sa volgere a un sol fine, corno pittore di garbo fa servire un' indefinita varietà di tinte, a incarnare l'idea spirituale, vagheggiata dalla meute ; o come musico pratico ordina abilmente disparate note, e ti forma armonia dolcissima. E armonia divina è l'anima umana vera immagine di quell'ago potente di vita (spiraculum vitae), di cui parla Moisè nel capo I del Genesi. Se non che, stando alla Bibbia, e come purtroppo tocchiamo con mano nella pratica della vita, quell'albo venne appannato, e l'accordo tra le virtù dello spirito si ruppe, e l'uomo, creato nell'/dea ottima, divenne ingiusto per natura caduta e debole, come dice il Vico nella Dignità CIV della sua Opera immortale. Di qui le grandi e le piccole miserie, di qui lo scontento degli uomini e delle cose, di qui la sete di felicità, e quel vedersela fuggire, come l'onda dalle labbra di Tantalo assetato (V. Orazio, Sat. lib. 1.1); di qui la necessità di riposare su le ali dell'amica speranza, o richiamarsi alla mente la memoria d'un tempo che fu. Ond' io non ho mai potuto leggere quel sublime Addio di Lucia nel Manzoni, senza sentirmi commosso fino alle lagrime, come son costretto a chinare la testa sul petto e sospirare, leggendo il Dialogo di Giacomo Leopardi tra un venditore d'almanacchi e un passeggero. 0 chi non riconosce una parte di sè stesso in quella fanciulla, che, presso a godere di | quel quadro incantevole dell'amore nel ma-\ trimonio, come dice il Sue nella Matilde, si vede stretta a fuggire come una peccatrice sciagurata? Povera Lucia! Nell'inconscia felicità de' diciott' anni, era beata : il suo cuore si apriva alla gioja d'una vita ridente, come fiore si apre a' primi raggi del sole nascente in un mattino di maggio : ma ecco fiera tempesta si riversa, e il fiore perde la sua vaghezza, il suo profumo ! Io già l'imagino in quella notte paurosa della fuga dal suo paesello, e la vedo seduta nel fondo della barca guardare i monti e il paese rischiarato dalla luna e variato qua e là di grand'ombre, la vedo scendere con 1' occhio giù giù per la china e lì scopre la sua casetta, la chioma folta del fico, la finestra della sua camera: quanti ricordi in quel momento : povera Lucia ! Peusate ancora col Manzoni al viandante che si allontana da' suoi monti volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna. In quel momento alla sua fantasia si disabbelliscono i sogni della ricchezza, e si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che un giorno tornerà dovizioso. Quanto più s'avanza nel piano, il suo occhio si ritira disgustato e stanco, da quell' ampiezza uniforme ; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose, e pare gli manchi il respiro; davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa con desiderio inquieto, al campi-cello del suo paese, allasua casuccia, alla sua cara famigliola: pensa le quante volte, tornando a sera stanco, era allietato dalle carezze dei suoi bambini, e dalle premure affettuose della moglie; pensa che forse in quel momento altri cuori sospirano per lui, e imagina il giorno del ritorno, e dimentica lo stato presente, e s'abbandona tra le braccia della speranza, e gode, e sorride, e sogna!... Ecco l'uomo nella vita. La gioja è difficile vedersela concretata in un punto, cioè nel presente; per noi figli del dolore o è speranza o è ricordanza. Tutti lo dicono : non si piange un bene, se non si perde : e chi non ha sperimentato cento volte, che nel desiderare una cosa, il valore di essa diminuisce a misura che cresce il desiderio? Così che, ottenutala, non si è paghi, e si desidera e si sospira ancora. Quest' è il tarlo che rode il cuore umano : ecco il carattere spiccato dell'immodesto Dottore del poema del Goethe, ecco la filosofia del dolore, abbozzata nel Dialogo ricordato più su. Perciò ho visto sempre un savio ammaestramento morale in quelle parole di Gesù, dove dice: Noti vi affannate del domani ; chè il domani avrà il suo affanno : a ciascun giorno la pena sua (San Matteo, cap. VI, v. 34). È a notarsi però, che passato il giorno dell'a/fanno, la pena piglia un'altra fisonomia, la guardiamo con altri occhi, ci apparisce trasformata. Talché, se Francesca avea ragione di dire malinconicamente: Nessun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria (Infer. cant. V); io non avrei tutt'i torti se dicessi : è un contento ripensate alla sventura, poiché la è passata, a quel modo che ci torna gradito il cielo sereno, dopo la tem pesta ; a quel modo che ci fa piacere ritornar con la mente sul pericolo, dopo che ne siam fuori ; ed allora vediamo brillarci l'anima ne vermiglio colore del viso. L'istesso divino poeta notò questo fatto, quando uscito fuor dalla selva selvaggia, guarda in alto e vede il sole spuntare in oriente, per la qual cosa tutto si riconsola. E come quei, che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva, Si volge all'acqua perigliosa e guata; Così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, Si volse indietro a rimirar lo passo, Che non lasciò giammai persona viva. (Infcr. Canto I.) In quel guata altri ci han visto solo spavento, e col fatto lo spavento c' è, se si pon mente all' ancor fuggiva che vien dopo ma nello spavento io vedo qualche altra cosa vedo il sentimento dello scampato pericolo, i quale sentimento non può essere se non in terna soddisfazione dell'animo che si rià, i sente nascere in sè nuove energie. Sono sen timenti fuggevoli, che, come onde, si accavai lauo, e a coglierli è necessario un occhio che sappia leggere a dentro. Gli antichi stupendamente dissero storia della vita maestra della vita e perciò l'uomo, arrivato a una certa età, e rileggendo con l'occhio della mente la cronaca varia e bizzarra del viver suo, ride: quanta fina ironia c'è in que sto riso! Vedetelo scolpito in uu caro viso sul quale la bontà e la malizia fanno baldoria insieme-. Giuseppe Giusti ne informa tutta la sua poesia. Di fatto, nella prefazioncella all'edizione di Bastia del 1845, leggo queste parole : »Lettore, se tu sei tagliato unicamente a spassarti, non andare più in là di questa pagina, perchè un riso nato di malinconia potrebbe farti nodo alla gola, e me ne dispiacerebbe per te e per me. Se poi ti s' è dato il caso di scioglierti con una crollata di testa dal pensioro delle tue miserie, vieni pure con me, e seguita a crollarla amorevolmente sulle miserie comuni." Fa bene, ogni tanto, ritornare col pensiero sulla via già corsa; qui l'uomo impara a sue spese, che vuol dire essere punto dalle spine, dare contro un sasso, cadere nel precipizio. E questo cercare di rifarsi su i propri errori, questo modificarsi via via si vien su negli anni, io chiamo educazione progressiva, che è come un perfezionare l'educazione ri cevuta nel seno della famiglia, e su le panche della scuola. A vedere un bambolino riposare dolce' mente sul petto della mamma sua; a vedere un giovanetto scherzare con una beata spensieratezza; a vedere un giovane tutto intento a volere occupare di sè il mondo, l'uomo fatto prova un non so che nel suo dentro, e riconosce ue' diversi stati della vita già passata, una parte di sè stesso irrevocabilmente perduta Vede spenti i suoi antichi ideali ; sente il tumulto delle passioni; è sopraffatto da amari disinganni, sta per mancare.... E chiude gli occhi, e imagina un più lieto avvenire: è" sua tavola di salvezza. In questa lotta di sentimenti e' può andare innanzi con più ardire : e l'anima con le sue facoltà farà che l'uomo riacquisti quella luce smarrita nella notte della sventura. Ecco qua la figura d'un grande infelice, ritratta dal pennello d'un prande poeta. Napoleone, l'uomo fatale, 1' orma del Creatore, è rilegato, prigioniero, su d'uno scoglio, e: Come sul capo al naufrago L'onda s' avvolve e pesa, L'onda su cui de! misero Alta pur dianzi e tesa Scorrea la vista a scernere Prode remote invan ; Tal su quell'alma il cumulo Delle memorie scesa. Imagine stupenda : e noi vediamo affol- Rossini faceva eseguire le sue composi- larsi innanzi agli occhi dell'esule il ricordo d' una vita avventurosa : la gioja più grande, il più grande dolore: ora vistosi segno d'im-msnsa invidia ora di pietà profonda, giacché Tutto ei provò: la gloria Maggior dopo il periglio, La fuga, e la vittoria, La regia, e il triste esiglio, Due volte nella polvere, Due volte sugli aitar. Quest'è il punto culminante dell' Ode maravigliosa; intorno a questo punto è contornata tutta la storia del genio rifatta dal genio, come dice il De Sanctis. Oh ! quante volte al tacito Morir di un giorno inerte, Chinati i lai fulminei, Le braccia »1 sen conserte, Stette, e dei dì che furono L' assalse il sovvenir. Assalito così a un tratto da tante ricordanze, non gli regge più 1* animo, e sta per disperare; quando una mano benefica lo rialza, una fanciulla celeste gli sorride. Abi ! forse a tanto strazio Cadde lo spirto anelo ; E disperò ; ma valida Venne una man dal cielo, E in più spirabil aere Pietosa il trasportò; E l'avviò sui floridi Sentier della speranza .. . È bello, dunque, è utile rivolgersi a quest'amica del cuore umano. O cara speranza, siici propizia nel cammino della vita; siici luce nell'oscura notte del dolore. Te duce, ci sarà dolce il vivere, talché anch'io possa dirti col Metastasio: Verrei da' lacci sciogliere Quest' alma prigioniera ; Tu non mi fai risolvere, Speranza lusinghiera : Posti la prima a nascere, Sei l'ultima a morir! Giuseppe Maria Zampini. Rossini in veste da camera*) (Continuazione, vedi % 2 N.i prec.) Com'è noto, Rossini, dopo il Guglielmo Teli finse di riposarsi sugli allori: dico finse perchè la sua passione fervida per l'arte e la sua operosità nel comporre non finirono che colla sua morte. Egli, in realtà, non abbandonò che il teatro, forse perchè era impossibile di salire più in alto, nè di scrivere un'opera che superasse il Guglielmo Teli. Che il genio di Rossini non fosse stanco, nè esaurito, lo provano le tante composizioni escite dalla sua iuesauribile fantasia, dopo la decisione presa di far l'immortale, prima di morire. All'ultimo periodo appartengono dei capolavori : lo Stàbat, specialmente, e la Petite Messe solennelle. Negli ultimi anni della sua vita si era dato a scrivere musica per canto da camera, e per pianoforte solo ; coserelle gentili, eleganti, caratteristiche, leggiere e serie a vicenda, dai titoli strani, come la Polka chinese, La iettatura che si suona col solo indice ed il mignolo, tenendo chiuse le altre dita, e Ah! Les petitspois, pezzo umoristico scritto durante una indigestione di piselli. Quando io andavo a vederlo la mattina lo trovavo spesso occupato a raschiare note, a correggere non solo i falli, ma le licenze del suo copista; il quale era un ame-nissimo originale: se per esempio, copiando le composizioni di Rossini, s'imbatteva in un accordo, in una disposizione di parti che non gli andava a fagiolo, correggeva a suo modo, toglieva note, ne aggiungeva di suo capo. E Jìossini, ridendo, mi diceva : Vedi quella bestia di quel copista, avrà magari ragione, ma io mi accontento dei miei sbagli, perche anche i'e mie orecchie se ne accontentano: e quando 'e orecchie non soffrono, mio caro, lascia che pedanti gracchino a loro posta. *) Scritto del Dr. Filippo Filippi ; estratto quale zioni, alla chetichella, dai suoi due pianisti favoriti, Diemer e l'esimio Planté. ch'è ora il primo di Francia. Un giorno avendogli io manifestato il desiderio di udire tutte le sue nuove cose per pianoforte, chiamò il Piante, gli confidò i manoscritti, e ci rinchiuse a chiave nel salotto, dove c'era un magnifico pianoforte a coda di Pleyel, sul quale il Planté mi fece udire tutto quello che Rossini aveva scritto per il pianoforte. Ci chiuse a chiave perchè madama Rossini non venisse a romperci le uova nel paniere, gelosa com' era, paurosa sempre che qualcuno le rapisse quei tesori, così miseramente venduti, dopo la morte del marito. Rossini, oltre i pranzi, dava anche delle serate musicali tanto a Parigi che a Passy. Egli le chiamava italiane o fraucesi, secondo che gli artisti che vi prendevano parte, appartenevano al Teatro italiano, allora fiorente, o all'Opra. Naturalmente si eseguiva, più che altro, musica del padrone di casa, ed egli se ne compiaceva assai. Quando le signore arrivavano e s'erano poste in giro a sedere nella sala del concerto, Rossini si recava da tutte, dando un bacio, ed anche due, ad ognuna, belle o brutte, giovani o vecchie, che fossero; solamente sfiorava appena la fronte delle brutte e delle vecchie; e alle belle e giovani, imprimeva sulle guancia dei baci sonori, che si udivano nell'anticamera. La stessa operazione si ripeteva al momento della partenza. Durante l'esecuzione, Rossini, esigeva un religioso silenzio : guai a chi chiacchierasse 0 facesse uno strepito qualunque. Appena incominciato il pezzo, egli si ritirava piano piano in una stanza vicina, e là se ne stava incantucciato ad ascoltare, masticandosi le labbra, e sorridendo maliziosamente, se, per avventura, le cose non andavano bene. In una di queste serate, nella quale non si era eseguita che musica sua. Rossini si doleva di mal di capo, e Meyerbeer allora gli soggiunse con molta malizia: cher maitre, vous vous écoutez trop. Era naturale che da Rossini si eseguisse tanta musica sua ; è un fatto però ch'egli udiva volentieri anche la musica degli altri, specialmente le novità: lo udii io stesso, parecchie volte, pregare i cantanti ed i pianisti di fargli ndire 1 migliori pezzi delle nuove opere.... anche del Wagner, che prendeva a gabbo in un certo modo che voleva dire : ne rido, ma gli faccio di cappello. (Continua). CENTO ANNI FA La saggio dalla Strenna-Album della Associazione della Stampa periodica in Italia. (Roma, Forzaui e | Comp. tipografi del Senato). città di Bra*) dall'anno 1789 al 1814, notizie storiche raccolte da Beniamino Manzone. — Bra, 1880. Pessimisti incorreggibili, eterni denigratori del preseute, che per le istituzioni e per le cose che vi circondano avete solo disprezzo; che ripetete fino alla sazietà le solite frasi mandate a memoria contro gli uomini, contro la società: contro il secolo, contro tutti e tutto ; che negate il progresso, che bestemmiate la civiltà, che chiudete gli occhi alla luce per poter dire è notte fitta — vi prego di leggere, miei cari calunniatori dell'oggi, un libriccino uscito in questi giorni. Ve lo raccomando questo prezioso libriccino come un rimediò, non fosse altro come il principio di una cura che dovreste fare per correggere i vostri falsi giudizii, per raddrizzare le storture della vostra mente; ve lo suggerisco come l'oculista comanda al miope l'uso degli occhiali, giacché, voi, credetelo, non ci vedete da lontano, non vedete che i difetti vicini, gli sbagli del momento, le colpe individuali, e con una smoderata abitudine di generalizzare e con una forza stragrande di ingrandimento attribuite all'intera società e al secolo XIX, ciò che appartiene — forse! alla breve cerchia delle persone fra cui siete soliti a passare la vita. Colla scorta di questo libro, col sussidio di queste notizie, desunte con intelligente e paziente amore dall'egregio Beniamino Man-zone, frugando nelle carte di archivii pubblici e privati, potrete, miei incontentabili signori, formarvi una precisa idea dello stato di un nostro comune, di una nostra cittaduzza nella seconda metà del secolo scorso. Non avrete poi, se la logica non vi fa del tutto difetto e se la ragione vi assiste, che a stabilire dei confronti . . e questi confronti potrebbero mettervi sulla buona via. . . Però, vi avverto fin d'ora, fra le molte superstizioni, fra i molti difetti e fra le gravi lacune e angustie della società comunale del secolo scorso, non mancano alcune parti ben intese e opportune: lo che ci prova che il bene è sempre misto al male, come adesso. Ad ogni modo la differenza complessiva è sì spiccata, il contrasto fra l'oggi e l'ieri sì grande, che bisognerebbe essere ciechi addirittura — non miopi — per non riconoscere il progresso che si è compiuto. * Nel 1775 Vittorio Amedeo III dotava il Piemonte di un nuovo ordinamento comunale. Gli affari del comune erano governati dal sindaco e dai consiglieri, il cui numero variava giusta l'importanza del luogo. Quando si do-veano discutere affari di speciale importanza, si sceglievano dei consiglieri straordinarii tra i più ricchi proprietarii. I cittadini venivano considerati dalla nascita alla morte fanciulli 0 come pupilli da regolare in tutti i loro atti. Le leggi si moltiplicavano sotto le forme più diverse e per gli oggetti più puerili. Oltre le leggi generali c'erano le leggi particolari, cioè ogni comune aveva il diritto di emanare bandi politici e bandi campestri. Lo zelo per il pubblico bene si mostrava nella frequenza degli editti, nella minuziosità delle prescrizioni ; si avrebbe voluto prevenire ogni disordine ed ogni abuso. Tutti legislatori, il sindaco, il feudatario, se il comune faceva parte di uu fondo, il principe, se la città era compresa nel suo appannaggio, ed il re! Il giudice, che doveva punire le trasgressioni, durava in carica tre anni, coadiuvato da un vicegiudice; ed il consiglio comunale, ad ogni triennio, nominava un sindacatore dell'opera loro. I più severi provvedimenti si adottarono contro gli incettatori. Finché sul mercato sventolava lo steudardo del comune, era proibito ai rivenditori di commestibili di comprarne, affinchè le famiglie potessero acquistarli a miglior prezzo. Era vietato ai rivenditori d'intromettersi in qualsiasi modo nei contratti altrui, od offrire maggior prezzo, o fare qualsivoglia gesto o segno equivalente, perchè ciò poteva rincarire 1 viveri. Non potevano nemmeno i rivenditori uscir di città, ad incontrare i contadini che portavano al mercato i loro prodotti. I forestieri usavano aquistare sul mercato di Bra, per esportarli, molti viveri : vi si provvide vietando loro di fare acquisti finché stava esposto lo stendardo. Molti venditori si servivano, per accrescere il peso, di carta pesante e di foglie di cavoli ; si stabilì una multa, e che la carta degli involti fosse sottile e tenuta in luoghi asciutti. I venditori di pesci e di verdura doveano usare bilancio colla coppa forata e cesti bucati, affinchè l'acqua o l'umidità non aumentassero il peso. Benedetto stendardo del comune, che possedevi tanta virtù! Vorremmo anche adesso invocarti noi, miseri consumatori, esposti più che mai all'ingegnosa avidità e alla raffinata cupidigia dei produttori o piuttosto dei rivenditori ! Valesse quel segno, in vista di tutti, a ricordare l'obbligo delia fratellanza e della carità cristiana! * * * I prestinai e i panettieri erano tenuti d'occhio. E non oserei dire che anche adesso non ci sia il bisogno di tenerli d'occhio, e molto ! Chi voleva esercitare questa professione dovea promettere dinnanzi al Consiglio di esercitarla— lealmente, -- di tenersi sempre provvisto di grano, di farina e di pane. Paghi una multa il panettiere che, estraendo il pane dal forno, gli manca di rispetto e lo getta sul pavimento, invece di deporlo in cesti o sovra tavole asciutte. Paghi uno scudo il panettiere se non tiene il pane riparato dal sole, dalla neve, dalla pioggia, dall' umidità. Paghi due scudi se tiene presso di sè una quantità di farina maggiore del consumo della propia bottega. Ufficio d'importanza era quello dei — breutatori — o portatori di vino. Li nominava il municipio; doveano aver fama di uomini dabbene e prestar giuramento. In Asti doveano essere persone — timorate della giustizia divina ed umana.—I nostri buoni vecchi il vino lo volevano bere puro e non annacquato e mandavano a visitare le osterie, e le falsificazioni erano esemplarmente punite. Talora versavano uua parte del vino — era tanto a buon mercato — sopra i passanti ; s'impose di usare delle brente chiuse, e le multe fioccavano. Dei capi ameni doveano essere anche i barbieri. Figuratevi. A Bra sollevano gettare nella via l'acqua colla quale aveano lavato il viso agli avventori, e, talora, bagnavano i passanti. Le lagnanze del pubblico indussero il Municipio ad aggiungere un paragrafo al bando, che riguardava quest' industria, per obbligare i barbieri a tenere nelle botteghe un secchio per gettarvi l'acqua sporca ! Non c'era mestiere che non avesse delle norme da osservare, delle consuetudini a cui uniformarsi, molte delle quali sussistono ancora. I carrettieri, per esempio, pagavano una multa se le loro carrette non aveano le dimensioni stabilite. I fornaciari doveano fare i mattoni, le tegole e i quadrelli secondo il modulo fissato dal comune, usanza medioevale di cui è memoria ad Ivrea, ad Ascoli Piceno, e ad Ancona: anzi in quest' ultima città si mostrano ancora quei modelli accanto al palazzo municipale. Se poi un' industria stava a cuore dei governanti, la tiravano su con privilegi e proibizioni. A Bra una persona era incaricata di visitare le case dove si allevavano bachi da seta, e di vigilare che se ne avesse la massima cura, affinchè i bozzoli riuscissero della miglior qualità e non si spiccassero dai rami prima del tempo conveniente. Le prescrizioni igieniche non mancavano del tutto : dovea ciascuno pulire la via davanti la sua abitazione ogni sabato e nelle vigilie delle feste ; doveano i proprietari togliere la neve e rompere il ghiaccio davanti le loro case, ecc. Fra tante prescrizioni c'era proprio da perdere il capo, a volerle ricordare tutte, e come avrebbe potuto vivere, allora, tutta quella brava gente, a cui par poca la libertà di cui si gode adesso ? Che studio a non fare cosa vietata, che misura nel muoversi nella cerchia prescritta, che talento nello schivare le molestie da parte dell' autorità, e di una autorità sì esigente e pettegola ! * * * I forni ed i macelli erano proprietà del Municipio, che ora li concedeva in appalto, ora li esercitava col mezzo di propri incaricati. Nel primo caso erano continue le doglianze. Si denunziavano di continuo all'autorità nuovi abusi e nuovi disordini : carni cattive, prezzi eccessivi, pesi falsi, i ricchi trattati meglio dei poveri. Il municipio scioglieva, di solito, il contratto, e tornava a vendere la carne per proprio conto, sotto la sorveglianza di un apposito economo. Il pubblico, avvezzo al buon mercato, non si lasciava facilmente gabbare ed era esigentissimo. È vero che gli stipendi ed i redditi erano assai scarsi. L' inserviente comunale avea quindici lire mensili ! le uova si vendevano tre soldi la dozzina, un pollo quattro soldi, un' anitra cinque. Il pane di prima qualità, nel 1772, si pagava uu soldo e sei danari la libbra, cioè meno di quattro soldi il chilogramma! * * * Le scuole.... Non dico che le nostre sieno una perfezione, ma via, un po di progresso c' è di sicuro. Ogni giorno prima delle lezioni gli scolari doveano sentire la messa, alla domenica frequentare l'oratorio o la — congregazione. — Non ammesso agli esami chi non si confessasse e comunicasse una volta al mese. Le fanciulle bastava che sapessero far la calza. Il maestro abbecedario o delle scuolette era sempre un prete, e dovea — con tutto zelo istruire gli scolari, non solo nel leggere, ma anche nella pietà. — Riceveva 1' annuo stipendio di cento lire ! Nelle scuole secondarie gli esami non erano difficili. I giovani di qualità non vi si preparavano nemmauco ; una circolare del governo raccomandava di non farli rimanere a lungo nella stessa classe. Quanto agli altri... bastava fossero in concetto di buoni cristiani. Un fatterello può completare queste edificanti notizie. Nel 1780 il prof, di Teologia don Vigna presentò al Consiglio comunale di Bra una supplica, chiedendo che la città facesse mettere i vetri alle tre finestre della scuola, giacché il veuto e la pioggia, lacerando spesso le impannate, ne soffriva la salute della scolaresca. Temendo però un rifiuto da parte del Consiglio, promise di far rimettere i vetri a proprie spese, se mai si fossero rotti. 11 Consiglio aderì ripetendo però che il professore dovea riparare, a sue spese, i guasti e le rotture! * * * Che ve ne pare, perpetui lodatori del passato? Adesso i vetri alle scuole ce li mette il municipio o il governo. L'insegnante non ci mette che la testa, il cuore, la vita. Giovanni De Castro. FILODRAMMATICA Grisignana, 14 febbraio. Dallo scorso dicembre fino ad oggi, ho più volte pigliato e deposto la penna per scrivere a voi : volevo procurarmi la soddisfazione di parteciparvi una piccola novità di questa borgata; ma mi rendeva perplesso il pensiero che il fatto non fosse, per avventura,degno di nota. Oggi, alla fine, riflettendo che non può non recare conforto a tutti noi Istriani il conoscere come anche nei luoghi più piccoli e più appartati della provincia vada la civiltà accendendo le sue benefiche facelle, mi faccio animo e vi scrivo. Sappiate dunque che qui nello scorso dicembre si è costituita una modesta »Unione Filodrammatica," sorta dal seno della Società Operaia per impulso e sotto la direzione del suo presidente sig. Elio Torcello, coadiuvato da due giovanetto artigiane. Fatto il passo dell'uscio, i nostri dilettanti ci diedero già cinque commediole, proporzionate alle loro forze di esordienti. Ieri sera, peraltro, con mia grande gioja, ho verificato un progresso inaspettato, dico la verità. Eseguirono le Trappole d'oro del Marenco, insieme alla vecchia ma bella farsa Paolo e Virginia. Nella prima produzione la parte della contessa Eugenia venne sostenuta con brio da Francesca Grachi; quella del colonnello Albani da Angelo Torcello, giovanotto svegliato e simpatico; quella del gaio cavalier Emilio da Antonio Pojani ; e finalmente quella del barone Dobelli da Giovanni Crosilla, il quale ultimo si palesò nella farsa ottimo caratterista, e che fu secondato egregiamente dalla spiritosa giovanotta Maria Pojani. Il pubblico, contro ogni aspettativa, era numeroso, perchè venne gente anche dai paeselli limitrofi ; e si contarono oltre a 350 biglietti. Dopo questo felicissimo successo, potete bene immaginarvi come pubblico e attori vi abbiano preso grande diletto, e come siasi fatta generale la speranza di godere con frequenza in avvenire, e in breve, divertimenti tanto belli e tanto utili. jv. C. 8. Isola, 21 febbraio Fino da iermattina si potea notare nei terrazzani la cera insolita dei volti, segno di meraviglia e di piacere insieme. Era, a vero dire, la prima volta dopo vari decenni che qui vedeansi appiccicati ai muri dei cartelli a lettere cubitali, recanti l'invito ad un variato trattenimento di musica e di canto e di drammatica da tenersi la sera fra le severe pareti del palazzo, ove asola tuttora lo spirito gentile del poeta Pasquale Besenghi degli Ughi. Era pio lo scopo: si trattava di sovvenire, divertendosi, il povero. Epperò non dico, se vi accorse ben volentieri tutta Alieto. Peccato che il locale non capisse più di quattrocento persone ! sicché le altre — circa duecento — dovettero a malincuore restarsene fuori. Tenevano 1' ordine le guardie municipali nella loro bella uniforme di parata. La sala — gentilmente concessa dal sig. Tomaso Delise — e la galleria sono bene illuminate, elegante il piccolo palcoscenico, messo su iu pochi giorni dagli stessi sig. dilettanti filodrammatici. — Noto, vago ornamento, come fiori rossi fra le spighe biondeggianti del campo, qua e là in mezzo alle teste delle donne belloccie del popolo, alcune calze, ultimi resti della tradizionale copertura del capo. — Accanto ad un rappresentante del Municipio siede il rev.mo Parroco canonico Giovanni Zamarini. Eppoi c'è il fior fiore della cittadinauza d'ambo i sessi. Eppoi faccie abbronzite dal sole nelle fatiche della dura terra e nei travagli del mare. — Ma zitto : chè batton le sette, e '1 trattenimento comincia. Comincia con una Polca, suonata dalla brava Banda cittadina, diretta dal Maestro sig. Francesco Giraldi. — Indi alzato il sipario uu coro della Società di canto ecclesiastico ed accademico, Maestro il sig. Mauro Dandri, intuona Viva Abdallà, viva l'Ausonia nell'opera Tutti in maschera: accompagna al piano il sig. Domenico Degrassi. E i venti cantori sono vestiti da ottomani e, taluno magari col viso dipinto di carbone talaltro con la lunga pipa fra' denti, fanno lieta impressione. Si distingue Abdallà (sig. Mauro Colombari, baritono). — Segue la Sinfonia nell'opera Giovanna d'Arco, eseguita maestrevolmente dalla banda. — E si chiude la prima parte del programma col Bozzetto in un atto di G. Ullmann: Negligenza e cuore, recitato dai dilettanti Tomaso Delise (Direttore di collegio), Antonio Zamarini (Sottomaestro), Giovanni Drioli caffettiere, Edoardo Minca, Giovanni Drioli cassiere com., Carlo Ravasini e Pietro Bonifacio (Vittorio, Emilio, Antonio, Giovanni, Umberto, collegiali). Il primo dei due Drioli sostiene la parte di protagonista con molto sentimento. Si distinguono anche i sig. Delise e Zamarini. Bene secondano gli altri. All' altra parte del trattenimento si passa per una Mazurca, suonata dalla banda. — Segue lo Scherzo comico musicale: La visita di un dottore, con accompagnamento di piano come sopra. Dove sa mettere di buon umore il pubblico, destando matte risa, il signor Nicolò Parentini, il grave dottore (basso). — Dopo l'Aria Sul vuoto letto nell'opera Griselda, mette fine alla bella serata la Farsa in un atto : Gionata servo di più padroni. Recita che riesce anche più gustosa della prima per 1' intervento delle simpatiche signorine Pia Tamaro (Madama Paolina Devers giovane vedova) e Paolina Ravasini (Lucietta cameriera) che interpretano le loro parti ottimamente. Riscuote i maggiori battimani il signor Antonio Zamarini (Gionata). Benissimo gli altri sig. Tomaso Deliso (Bernard negoziante) e Carlo Ravasini (Leopoldo Chambel). — Dà lo spunto un rammentatore da dietro alle quinte. Le tre ore passarono così in un lampo, e tutti si allontanarono spiacenti che fosse finito troppo presto; e desiderosi che simili passatempi — i quali educano il popolo al culto del Buono e del Bello e lo avezzano a beneficare il prossimo — si possano ripetere più di spesso. L'incasso della serata fu di fior. 100. Ai dilettanti filodrammatici mi permetterei di consigliare per l'avvenire una preparazione più lunga, affiue di raggiungere un maggior grado di affiatamento. Del resto sono da scusare e da lodare assai, chi consideri che in dieci giorni dovettero pensare a far tutto da sè, cominciando dal palcoscenico e terminando dai lumi. Si aggiunga che il sig. Delise per esempio doveva dalla scena scappare in platea a suonare il clarino. Un elogio speciale si merita la banda, per il buon volere e la costanza di che sono animati quei che la compongono. Sono i suonatori che nei primi tre anni dall' istituzione stipendiarono da sè il maestro mediante contribuzioni settimanali di soldi cinquanta per capo. E ciascuno si comperò lo strumento da sè, come ora, che il Maestro vieue sovvenzionato dal Comune, continuano a contribuire ciascuno quanto basti a far fronte alle piccole spese. g. v-a. MASSIMILIANO D'ANGELI avvocato e podestà emerito di Trieste, sua patria, spirò il 19 corr. vittima di repentino morbo. Già da parecchi anni milite nelle file dei patriotti, aveva compiuto nel 1879 un decennio di presidenza municipale, e la sua rielezione non era stata approvata dal governo. Trieste, Gorizia, e l'Istria, divenute anche in questa luttuosa congiuntura uua provincia sola, gareggiarono nel dimostrare di aver saputo apprezzare condegnamente i di lui sagaci e costanti adopramentia vantaggio della causa comune: numerose infatti e varie le deputazioni, folla di persone accorse dai luoghi circonvicini, numerosi itelegrammi di condoglianza; in grande copia sul feretro gli emblemi di affetto e di riverenza ; e non ultima alla partecipazione Capodistria, che lo ricorda studente del proprio Liceo. E la fitta ressa di popolo contristato, che diede ai funerali una solennità senza esempio ancora a Trieste, attestò quanto eccellenti fossero anche le doti del suo cuore. Illustrazione dell' anniversario L'usanza, mai finora interrotta, d'illustrare l'anniversario, obbliga oggi noi profani a dare (in mancanza d'altro soggetto indarno cercato) uu cenno sul celebre gesuita astronomo Angelo Secchi ; e piuttosto di ripetere, come pappagalli concetti di senso oscuro per noi (e probabilmente per gran parte dei lettori) taglieremo corto, limitandoci a notare in ordine cronologico quelle di lui opere che trovammo giudicate principalissime, e che sono: Intorno alla vita ed alle opere del P. Pianciani, — Sulle recenti scoperte astronomiche — Sull'epoca vera e la durata della cecità di Galileo — Fisica solare — Sulle ultime scoperte spettroscopiche fatte nel sole — Le stelle (ultimo suo lavoro). Nacque nel 1818 nel territorio di Reggio d'Emilia; fece i primi studii aRoma; passò quindi alcuni anni in Inghilterra e in America; poi dal 49 finché visse, diresse l'Osservatorio del Collegio Romano. Teatro Sociale. — Tutto ricordato, quando martedì notte i tocchi del campanone ci annunceranno l'arrivo col celere dell'oleosa matrona, potremo dire di esserci divertiti bene, se non benissimo ; e parlando di alcuue sere potremo anzi usare il superlativo addirittura. Peraltro mancherebbe in noi la consueta schiettezza, se non ci affrettassimo di soggiungere essere stato in complesso poco felice il repertorio : valgano alcuni esempii. Di Ferrari, una sola, »L'Attrice cameriera," scelta da quel pigroue di Doudini per sua serata ; una sola del Marenco ; due sole del Cicconi; una del G i acosa; e degli altri parecchi, che tengono alto il vessillo del teatro nazionale, nessuna! Ma, pronunciata l'accusa, vuole equità che si notino le mitiganti; e le mitiganti sono queste : causa in gran parte del repertorio poco felice, la forza delle circostanze ; impegno costante negli artisti ; vestiario elegante, decorazione diligente; ottimo affiatamento nella commedia veneta. E la commedia veneta ci svelò le doti del primo attore Bennati (il quale ebbe agio di farsi conoscere anche in due drammi faticosi) : quelle della Benini madre, che suscitò risa ed applausi in parecchie parti da parrucca ; sempre più quelle di Ferruccio Benini; e quelle innoltre del Gallina, fratello del celebre commediografo, il cui teatro ci venne ammanito per intiero. — Ora una interrogazione. Considerato che lo scopo del carnevale, e specialmente poi negli ultimi giorni, è quello di divertirsi; che di riso noi qui abbiamo estremo bisogno ; e atteso che non si parla più della solita serata del brillante, non si potrebbe destinare una delle cinque sere che mancano all' arrivo di quella certa matrona, per serata dei due brillanti Benini e Roncoroni ? A questa interrogazione fattaci da alcuni amici, noi per parte nostra rispondiamo affermativamente con tutto il piacere. La-presidenza del Teatro c' imiti e 1' affare è fatto. Una serata di due brillanti, sarebbe caso nuovo e piacevolissimo davvero. Perquisizioni domiciliari. — Il 19 corr. a tarda sera perquisirono l'abitazione del sig. Edoardo Cuder; nella notte successiva l'abitazione dei signori : Giuseppe Morelli, fratelli Driolin, e Nazario Padovpn (il quale ultimo venne così perquisito per la terza volta in quattro mesi) ; e il giorno dopo perquisirono la camera di Augusto Pesenti, uno dei camerieri dell'Albergo Alla città di Trieste e che venne condotto in prigione. Ci viene detto che tutte queste perquisizioni non abbiano avuto alcun risultato. E nelle ore pomeridiane del 23, perquisirono l'abitazione del giovanetto signor Vittorio Timolini. Centenaria. — Troviamo nei giornali di Venezia che in quella città, or sono pochi giorni, è morta certa Caterina vedova Festi, d'anni cento e quattro, nata a Rivoli Veronese. Bollettino statistico municipale di Gennaio 1881. Anagrafe. — Nati (Battezzati) 27; fanciulli 17, fanciulle 10; Morti 26: maschi 11; (dei quali 3 carcerati); femmine 7; fanciulli 5; fanciulle3. — Matrimonii 3. — Polizia. Denuncie : per ingombro stradale 1; per calunnia 1; per insulti 1 ; per contravvenzione all'ora di polizia 2; per furto 2; per schiamazzi notturni 4; Arresti: per schiamazzi notturni 5; per eccessi 3; per accattonaggio 6; per trascuranza agli animali 1; per attentato suicidio 1. Sfrattati 13: Istriani 7; Triestini 1; Goriziani 1; Dalmati 3; Stiriani 1; Licenze «l'Industria 3. — Insinuazioni di possidenti per vendere al minuto vino delle proprie campagne 10; per hi. 61, 1. 4; al prezzo di soldi 40 al 1. — Certificati per spedizione di vino 32 ; recip. 61, hi. 54, 1. 64; di. 8; — olio 20; recip. 50; kg. 4774 g. 40 ; — pesce salato 3 : recip. 6; kg. 191, g. 540. Animali macellati: bovi 47 del peso di Eg. 10610, con Kg. 764 di sego; vacche 12 del peso di Kg. 1582con Kg. 117 di sego ; vitelli 39 ; castrati4: agnelli; 3 Corriere dell'Amministrazione (dal 22 dicembre p. p. a tutto il 22 febbraio corr.) Albona. Maria Depangher Manzini (VII anno) — Gorizia. Dr. Giov. Pietro de Favento (VI anno e I sem. del VII) — Isola. Domenico Ravasini (VI anno) — Muggia. Antonio Negri (VII anno) — Parenzo. Giunta provinciale (VII anno) — Pirano. Casino di Società (IV, V e VI anno); Antonio Salvetti (V e VI aano) — Pisino. Casino di Società (VII anno) — Pola. Cristoforo Gerin (II sem. del VI anno e 1 sem. del VII) — Rovigno. Dr. Luigi Barsan (VII anno) — Seghetto. G. Battista de Franceschi (idem) — Trieste. Guglielmo Ceredoni (idem); Dr. Federico de Verneda (II sem. del VI anno e I sem. del VII); Aw. Girolamo Vidacovich (VI anno). CAFFÈ MESSICANO (Astragalus boeticus) il migliore surrogato del Caffè arabico — coltivazione primaverile ed autunnale : due raccolti annuali. Cento sementi al prezzo di soldi Otto — escluse le spese postali. Gapodittria. Ferdinando Peroolt.