* % è -r Rifiatiti futa iì Jìi'ìja . ’ . z z> , OPERETTE morali D E L M V T I O IVfTINOPOUTANO. Ld Orecchia del Vrencipe. Introdottone alla uirtu. Le cinque cognitioni. T rat tati di matrimonio. Trattato della ohedien\a de* fuddttì Confolation di morte. La Voluere, Con Vriuilegio del Sommo Pontefice Giulio III. Cadetto llluftriJt.Senato Veneto, & d'altri Prencipi. lN VIN EC I A APPRESSO OABR.IE1 6 1 o L Ito DE FERR.AK.I z fratelli. M D L, r- V ► d i. '-p l"T fc- i v_l n /ì H cj o .. i T vJL A il o M V i i V ’ U d H a »• 1 : a u *.* o i : ■ t s v * * • ■ ' " ' • YiO r.J * Viv": ; a :;V. u .v, : sv. t ynr=Ì , - - 'U. ,,m ., . .... , v, >.( " i--- ‘T - • . ' ... ì • V " 'K; * -j i. sii, X " 1 ..... '* ’ < : V il ii " >: .> - : Vi I y 1 • ii • a - ' i J < •' a ti AL MOLTO ILLVSTRE S1GN Q R HIERON IA1Q martinengo HIERONI Al O AIVTIO IVSTIKO POLITA NO, ^ry'ENDO Io in diuerfi tempi fritto diuerfeope' 5 rette morali, quelle bo nuou amente injle me raccolte per publicarle a beneficio O1 diletto di coloro, che di leggerle fi contenteranno* Eteffèndo effe dima ierie honor tuoli, et le piu intitolateci pfotte Illuflrifs ime, do u edone di tutte fare alcun dono, coueneuole cofi e' do narledcaualierdi honore * Ed onde cofiderado io, Eccellente mio Signo* r e,l antico uofro nafimeto chiaro p le molte glorie de'itofn maggioriti3 quello aggiungendo ilraro pregio del A ti uoflro ualore : che offendo uoianchor g:ouinetto cofinato d dDarraper la giujla uendetta fatta della morte del chtarif imo uojlro padre ?contra il fa ror de Eurchi ui dunojlrajle tale?che ui rìacpiiflajlc q? lapatria P & la gratia de nòjlri Signori. <^TppreJJo la utrtu dell animo uoflro uifece luo' got enent e dell Illujlrifsimo Duca di e bino : Et ultimamete dalla Eccel fa Repub. JS'initiana fofe mandato Gouernadore in Candia : Donde ho ra ritornando nuouo honoreuolegra do nifi appar ecchia. Quefle coje adun ([uè fra me Jleffb riuolgendo : C71 dendoui honorato di fngueP honora" to di ualore > honorato per molti gradì, ho uoluto in queflo ritorno uo Jlro apprefentarui queflo mio nuouo dono. Il che anchor a no ho fatto fen* Za alcuna obligatioe : che Jentendomi ? ejjere piu uolte Jlato honorato dalla honorata uojlra bocca 3 i coja con* veniente che io ui renda in parte di quelle grafie 3 che render fi pqflono dalla mia penna. ALLO ILLVSTRISSIMO PRENCIPE S. DON HERCOLE DA ISTI DVCA q_V ARTO DI FERRARA, HIERONIMO MVTlO I V STINOPOL ITANO, E G G E S I ttefie sfitte memorie Signore Eccetten* tifiimo, che apprejfo i Re di Perfta era una tale ufanza » che nato il primogenito, il quale nel regno doueua futa cedere, il giorno del fuo nd feiméto era da tutti i fuddis ti fèjlofdmente honorato, er fuccefintamente di anno in anno il Reai natale era da tutta Afu folennemen te celebrato. Et era nutrito il fanciullo non da male A Hi scorte, er poco bonor euoli femine tte, ma da Buttila thi del Re, CT da quelli, che [opra gli altri erano gli ottimi reputati : i quali principalmente intendeì «rffio a procurare, che egli belli fimo dìuentfje, raffi* landò, cr dirizzando le teneret te membra di lui » Quindi fórnito che egli haueua. it fettimo anno, miei Uri di cavalcare ne prendevano il governo apt preffo nelle piacevoli fatiche della caccia era manda* toad efeircitarfi alla campagna. Vòfcia Come egli era ala età de’ quattordici anni pervenuto,a lui ueniuaa no dati i reahgcucrnadari, Ei coflcro erano quattro eletti huc\r.ini eccellentifìmi oltre a tutti gli altri delregno , il [alientif imo, I/ giuftifimo, tó# tempe rantifimo, ep'il jvrtìfnno,, il.primo.gli infegnaua la Magtca diZoroajhd, ncjt4 quale jiiimofraua con ^nali cerimonie fi douefferà i Bei bottorare , ercort quali leggi hauejjèrp i Ke dagouernare i popoli aio ro '[oggetti. il feccndòloammaèfìraua a douere e[* fert mónti fimo di uefita find terzo apparava il garzone a vincere le pafionì ,'er gli appetiti. Et dal quarto era inanimato à grandezza di animo, crà magnijiqenza . Per tante mani bauea~(a pa'jarè: da tanti maefìri bauea da prendere gli ammaeftra= menti colui, che lo fcettro di quel regno doueua preti dere, Intorno al qual coftume rìuolgendomi io alena nauoltacolpenfìcro ,auuifo cheque’ fauq htwmini giudicarono, che befanie non fife un Intorno ì dar Ar mtcYitd,er con un tuie efempto non fio quello ,cfo ni debbili dir di quegli ferii tori, i quali tolto fi baita fio per fuggetto il uoler formar da tutte le parti un Prencipe ne’ loro uolumi. Et quelli, fi come perdo, non intendo di biafiim'are, cofi anebora non è inten* tion mia di uolergliJiguitare. Anzi éf edemi nettuni nocaduto unpeifiìcrodidouere alcuna cofa del Preti cipe ragionare, piu toflo alla uftnzd di Perfia colia firmandomi, una minima parte, ©" cioè la fola orec* cbia di lui ( quanto è in me ) ho meco propojlo di uoa ler regolare. Et intorno à quefìa imprefa anchorcbe io fappia, che generalmente i motti ragionamenti dt Tettano, er gli ajpri conturbano gli animi altrui ,pur ricordandomi io di quel memorabiTdctto dì Demara* to, che il parlare fecondo l’altrui piacere è grande* mente nociuo, da quel camino in tutto lontanando* mi,le pedate della nuda uerita mi fono pofloà fé* guitare , iflimando che fmeero ferittore là doue fi tratta del bene unìucrfale debbia piu effere inten* to al gìouare, che al dilettare.benché io fa ficuro,che fenza dilettation non fi poffono leggere cefi fatte fcritture da coloro,i quali fono amanti digiuflitia,cr di uerita fiudiofi. Ma douendo io quefìa mia mona fatica, nella quale del Prencipe fi fauella, honor ars del nome di alcun Prencipe , d cui la deueua io pili toflo rimettere in mano, che 4 quel Prencipe, 4 cui ragioneuol cofa è che io alcuna uolta anehorade gli otij miei renda alcuna ragione i Ax uoi adunque uà* lorofo Sig.mìo la apprefento io con quello animo che A iiii fuole il femplice uìUanétlo fare offerta alle farcititi gim di alcune poche [piche del fa pouero campicelo. Delle quali con tutto che il fommo Dio utilità non ne fenta, pur debbiamo noi credere, che ì grado gli fìa, che colui il ringratij, et meri fot. M a fin qui fu detto del configito mio dello fenuere,^ dello intitolare quefia mia frittura. Tempo ibernai che uoi uirtuofifiimo Preti cipe prediate orecchia al li bro della Orecchia del Principe. la orecchia DEL P R E N C I P E. r A le molte memorabili cofe, che di Pithagora fono fiate da gli fcrittori con lau de raccolte, non in ultimo luogo uiene recitato il ragio namento da lui fatto con Leonte Précipe de’ Phliasij, col quale hauendo egli alcu* ne cofe non men dottamente, che ornatamente dijfu tato, marauigliandoft colui tra per la profondità del la fcienza, er per la copia della eloquenza, nel do» mandò quale fòffe la arte fua principale : dcui egli ri ffofe, che non fapeua arte ueruna ; ma che era Phi lofopho. Et Leonte hauendo nuoua marauiglia pre fa di cotal uoce non mai peradietro fentità da lui ( percioche quelli, che bora Philofophi fi chiamano, Sophi ( che tanto fuona nella Greca lingua , quanto nella nofìra fauij) in fino a quel giorno erano flati detti ) lo richiefe , che moflrare gli douejfe quali fòffero coloro, i quali Philofophi fi nomin iffero . Perche Pithagora il parlar riprendendo, in quefla fentenza gli nffiofc . Che il utuer noflro mondano, er quel ragunamento, che da tutta Grecia con gran" > L A ORECCHIA difilli* folennìta ne’ loro giuochi famofifiìmi'fi ufiua di fare, ì lui p arcuano effere molto fmìglianti. con* dofoff eco fi che in quello ui baueuatto di coloro, thè facendo pruoua dette loro perfine ,all’acquijlo delle gloriofe corone haueuanogti animi tutti intéti. Altri tirati dalla cupidìtà del guadagno per comperare, per uendere ui trabeuano. Ne ui mancaua una altra maniera di brigate, le quali effondo di piu genero fi fidito, che gli uni, e?gli altri di fopra detti, non per difìderio di gloria, o di utilità, ma folaméte per uedere,per intendere, q-per notare i modi, erle maniere di ciafcuno ui fi conduceuano.Et fumgliantc-mente effendo noi uenuti di una altra in quefla uitd, V quaft ufciti di una gran citta alla folennita dì aU cuna famofi fèjla, altri darfì allo dindio detta gloria, altri al ragunar danari, or alcuni pochi hdiièdo ogni altra co fi per nulla ,riuolgerfi tutti alla contempla= tion detta natura ; cr que/li cefi fatti effer coloro, che egli chiamano.dludiofidi fipienza(che tantouie-ne a dire quefla noce di Phtlofipbi ) Et ft come ne giuocbìera cofi nobilifiima il uedere fenza fare di 'alcuna cofi acquiflo, cofi in quefla uita à lui pareua lo fludio del conofcere \ i deilo intendere i tutte le altre gfercitationi douere efferi dntcpojio: Or que* fla fua fentenza, come che ella i fuoi laudatori poffa perauuentura ritrouare, no perdo conforterei io al= cuno,che cofi femphemente la fi mettejfe à feguita* re. Impercioche a me pur fembr a, che molto piu lo* .deuole fa lo adoperar uirtuefimente cofi degna di -Theatro, che l’accrefiere il numero de gli filettatori. DEL PRENCI? E. 6 thè molto piu gentil? ffiritofia da effete fintato quello di colui, che fa le opere uirtuofe* che digitai JoUmentecerca di inuejtizare i fegreti dellanàtura. Che fe noi uorrèìho giudicar piu laudabilcofa Ugnar dure,che l’operare,in queftaguifa poteremoanckor dire, che ritrouundojì in ampio pelago naue da iteti* ti, cr da onde combattuta , cr calando altri le antenne , altri raccogliendo la itela , tirando altri le farte , altri intendendo al gouerno, cr notando altri la fentina, quegli, che federa in un canto fenza dire, ne fare cofa opportuna alla faluezza comune,cr con attenta offeruatione noterà i mìnijlerij di ciafcuno, far a da flimar degno di maggior commendatione, O anchorache nello fremo pericolo della patria fen« tendofì er le campane, cr gli frementi bellici fuona* re all’arme, cr gridando arme arme tutto ilpopolo, CT correndone una parte alle mura , una altra alle porte , cr qual per una, cr qual per altra uia cer= cando di difènderla da nimici > in cefi fremo perico* lo dico furano da chiamar piu nobili coloro, che nella piazza otìofi fedendofi intentamente mireranno i ua ri] difeorrimenti, che da gli altri per la citta fi fa* ranno. Verche tanto fono io lontano da quel fuo auui f° > eh e non folamente giudico gli filettatori douerf preporre àque’ ualorof, che ne’giuochi i corpi loro adoperauano, ma pofforre anchora a coloro, che per mercature ui erano ragunati : percioche quef itali in alcuna parte uenìuano a giouare, cr à far benifi ciò alla infinita moltitudine, che ui cocorretiano, là douc quegli altri di niente giouauano a ucruno. Ma fi come L’ O R E C CHIE daUa openione ,che fucna nelle nude parole del gras uifimo Pbilofopho, mi diparto, cofi giudico io eia* feuno douerfi con tutte le fòrze faticare à feguitar la tuta di lui. Che egli dopo quefto ragionamento hauum to con Leonte pafìò in Italia, er giunto a Crotone ri trono quetta citta in ultimo termine di lafdarfi in prt da alle morbide deUtie, che le parti di lei, fi come fono le nationi, er le con= gregatmi de’ popoli, che nelle terre, er nelle citta fono ragunate, le chiameremo le membra maggiori, Cr le mezane : er ogni particella di lei, il chefìamo ciafcun di noi, medcfimaméte ad ogni particella della nofìra fórma la compareremo. Et in colaiguifa pò* DEL PRENCIPE, 7 tremo noi anchor dire, che fi come nel corpo di cia= fiuntt creatura diuerfe membra àdiuerfiufi fono fa-bricatei et che altro è l'officio dell’occhio ; altro quello della orecchia ; altro quello della mano » ©" ^tro quello del piede, er di mano in mano altri quelli delle altre parti ; non altramente, che de gli hucmini fecondo le diuerfita delle conditioni, delle età, de gli ingegni,delle faenze, cordelle arti loro diuerfe bab*^. piano ad ejjer le imprendi ciafcuno. ~~Ma Tn tal ma= niera hanno elle ad effer diuerfe, che fi come ne’ con» pi que’ diuerfi effetti, i quali adopera ciafcuna parte, tutti fi hanno da riuolgere ad un fine, il quale è il be neficio del tutto ; che l’occhio non uedeja orecchia no ode, la mano non fa , il piede non ua folamente per fe, ma per bene, per commodita, per utilità, er per conferuatione di tutta la firma » Simigliantemente le parti, et le particelle del gran corpo deU’humano le« gnaggio al beneficio, er al fojlegnodel tutto fi do» ueranno faticare . il che ci uolle fignificare il dittiti Platone ad Archita fcriuendo, che alcuno di noi non è nato folamente a fefleffo, Ne perauuentura dagra= uifitmi Latini fcritlori per altro è flato detto ,che l’huomo è Dio aU’huomo. Ma che dirò di quello,che di ciò fentiffe la buona antichità i Ella a coloro, i qua li con nuoui ritrouamenti, er con nuoue arti fecero alla humana generatione alcun beneficio, confacrò ala tari', er tempìj, er celebrò, i loro nomi, er le loro memorie con diurni, & eterni honori . Etueramenle qual cofapin lodatole, er qual piu Imoreuole può L* O R E C C H I A far l'huomo, che giouare aU’huomo ? certose io crt= da tùuna . Et a quefionon pur ci confortano gli am= maeflramenti di coloro,che per ìfcienza fono flati famoft, ma in ogni altro eccellente jfirito anchorafi è dimostrato effere,non faprei dir come, fenon dalla natura generato un difìderio di far giouamento àgli huomini propriamete, come ad una parte di fe fieffo, cpur di cui egli fi fentiffe effer parte. Quinci tien= nero i Filali, er i Damoni, Quinci le Donne nobia lifime di Sparta cangiarono le uefte co’ loro impria gicnati mariti per cangiare la loro morte con la loro uita. Quinci il giouanetto Scipione non temette di pc_ ruolo di morte per liberare il padre dalla morte : & i pietoft gioueni Spagnuoh morendo fofìennero in uita il padre, er la madre loro . Che dirò della fepol tura de’fratelli Fhileni i che del ponte di Horatio ? che del fuoco di Mutio f che del Ugo di Curtio f che de torméti di Attilio ? Ne fi debbono ifdegnare que* fti ualorofi ,che fra loro fu annoueratalauedouettcl ludit, che la uita, er l’honore non dubitò di efforre ad e fremo pericolo per liberare i fuoi cittadini. ■Or contuttoché per legge di natura ciafcunofu obli gaio à cof fatto amore, non perciò doutra effere al= cuno, che in qucRa fentenza non confenta,cbedegli huomini fecondo i gradi della carità piu debbia effer tenuto tino che altro à far giouamento à de gli altri huomini. percioche piu douera far l’un fratello per l’altro , che il uicino ; er piu fi douera ordinaria= piente cu fimo adoperar per lo parente, che perle DEL PRENCI PE. 8 firanitYQ.yero è, che decorrendo per tutte le con* ditioni de’ uìucntfio non fo fe obligatione alcuna fia da reputar magiare , che quella del Prcncipe uerfo d popolo fuo l Conciofiacófa che altra il legame della humana Jpetie, ha egli obligatione fienale di confer Vare ì fudditì a lui comme fu per lì quali noche altro, mala ulta ifieffa dee egli liberamente /pendere, CT gìttare, non hauendo ( come dice Platone) da penfa-fare al particolare, ma al publico bene . Sono i Preti eìpi ipaflori degli huomini( che mfìgli chiama Ho= Vitro) er dee, il buon fa fiore dar l'anima fua per le pecore fue c fecondo il dettoci quel buonpajtore flì. quale quefia fent.enza non folamentc con parole ci in fegnò, ma ne la mife apprefio in opera dando fe ftef-fo humili finta uittima per le fue gregge. Et in que•= / a guifafaceuano que' buoni Re, et Prencipi antichi. Leonida hauendo dallo oraculo di Apolline conofciu4 to tl defimo di Sparta, accioche quella non cadeffe , «otte cadere egli. Et Codro per le fue Atbcne corte* fernet e fiarfe l'anima. Et chi potrebbe tacere il uolutt tarlofacrificio, che di fe ftefi fecero ì due Dccij preti dpi amendue della loro citta io pur il perpetuo efìà Ho tolto da Ligurgo in uita, et in morte per fargia uamento alla fua ? Ne mi par da.pa/far con (ìlentio la yatioftfima Uefier, la quale per la falute del pepo* j.° contra la legge atcofictto del Re non dubita ^lapprefintar fi con pericolo della propria ulta fua. Di quefiì cofi jcdttl efempij pUr. f np trouano tieUe antiche memorie, non coft a tempi nefiri ,ptuwchc ( cotta dice Raniero ) . > L’ O R E C C H I A Veti de i padri affai peggi or, che gli itti Ha generato noi uia piu cattiui, Onde ufeiran piu uitiofi figli. Ma ne io perciò ricerco da’ Prencipi,che efri hahbia= no a morire. Ne fempre è bene per li popoli, che i loro Prencipi fi muoiano. Ma con quefii efempij uen go io À dimoftrar loro quanta cura debbiano prènde* re de’ loro [oggetti, da che per loro non che altro , ma di dar la propria uita non debbono recufare . chi per la uita de’ buoni Prenci pi hanno i popoli co fi di fare oratione,come propriamente per la loro falute. Et quèUFfper mio amilo, faranno i buoni,iquali fi riuolgeranno nell'animo quella Platonica fentenzd> che i Signori fono ordinati per li Sudditi, er non t fudditi per ti Signori. Ne fenza grandifimo fonda* mento di ragione ci lafciò cojì fcrittoquel grauifiimo Philofopho. Concioftacofa che noi da principio na* feemmo tutti liberi, er tutti eguali, er la prima di* fiintione,che fra gli huomini fi fece della piu, et deUd meno nobiltà,et maggioranza fùnon dalle ricchezze, che ogni cofa era comune > non dal [angue, che tutti fi fentiuano da un legnaggio difceft ; ma dalla fola uirtu. Quejla fu quella prima, la qual cominciò à fa re, che que’ primi mortali gli occhi, er gli animi i coloro riuolgendo, ne’ quali ella piu chiara rifflen• dtua, ad hauere in ueneratione gli cominciarono. Et ejfendo efri fenza leggi, er fentendofì di gouerno ha tier meflierefi diedero à rimetter la cura delle loro citta, er delle loro congregationi a coloro *de' duali maggiore lonojceuano ejjere ilmlore.Et quefla fù ™ de’ Principi DEL PRENCI? E. 9 Ae' Prencipi la untiti, primi er uera iftitutìone, Et, pertanto fi debbono efi faticare per auanzórfiian* to di uirtufra gli altri buomini, quanto per lo Pren* cipato jlanno loro f'opra ; Che fentcnza fù di Ciro, che non fi conuiene effer Signore 4 chi non è miglior di coloro,a'quali egli jignoreggia .Et quelli che tali non jono , er che co/i non panno, con tutto che per Prencipi fi tengano, er co/» fi chiaminoci neri Preti dpi non ritengono altro che il nome. Et quantunque con le arme le terre, er i popoli tengano foggiogati, a me non paiono perciò di niente piu degni di ritte= renza di coloro, i quali effendo e fi priuati in Scena in fórma di Re comparirono mafeherati : er fe altri fufofì leuajjeper far loro honore, tutto il Theatro de' circolanti a rifofi mouerebbe. Or da che la iftittt don del Principato fù ordinata per beneficio de’popo li,debbono ineri Prencipi riuolgerfi tutti nonalia cura di fe, ma al gouerno di quelli, er al gouerno di quelle membra, che alla loro cura fono fiate racco-, mandate. il che con qual mezo principalmente efi lo habbiano à fare, molte uolte fra me fleffo confidenti do , er uedendo, che efi per non poter effere in un tempo piu che in un luogo non poffono ueder tutte le cofe, che ne’ loro flati er buone, er ree continuamen, te fi adoperano, altro migliore non ne Co ritmare± che la grada dellFudienze , er la liberatiti detteL crecchie ; delle quali fe ogni Signor ne haueffe piu, che la fama Virgiliana, non farebbe di fouerchio,che, efi a tutte le bore le teneffero tutte aperte. Et que* fie orecchie nomi io che fopra ogni altra cofafòffe* L’ORECCHIA ro amiche di uerita : della quale io diro quello,che già-fe da Platone detto della fapienza : che beatifiime ziu dicherei quelle ci t ta, zrqucUi flati, i cui Rettori,er icui Prena'pi fi dilettai fero di udirai ueroj auue= gnache con fuéfla mìa nuouajenwfiza io poffa hauer detto una cofa ifteffa co Platone. Percioche che altro è amor di fapienza, che imefligation di uerita ì Ma di qucfto amor di uerita non faprei al prefente che dirmi, s'io non intende fi, che fi come aUa natura del le cofe è di confolatione, er di nutrimento il materno fuolo, er il naturai cielo, cofi anchora molto ficon-jfòrta effa di que'cibi, che da' teneri anni ella è fiata ufata di prender in alimcto, intanto che egli s’c ritro nato, che per lungo ufo da fanciullezza incominciato di pigliar ne’ cibi cofe uelenofe, nella matura età non fono fiate nociue,pciocbe fecondo il detto del Poeta Noflra natura è uinta dal coflume. LÌ onde uoglio dire io, che fe infin dalle culle cornine ciano le molli orecchie ì bere lalufingheuol pefte delle menzogne, er il dilicato animo a pafcerfi del peflifcro tofco delle lufmghe, er di quelle fi ua infino alla perfètta età nutricando, non fo come poffa poi uo ìentieri la uerita afcoltare, effendo ella majltmmen te per lo piu odiofa ;er tanto maggiormente ad ogni uno,quanto egfitàla mente alla fapienza men di= ffofla. Vergè, ch'io non fo qual piu mi debbia dire cht eUa fu o odiofa, dmaÌmuoUaritrouare:effen5 do di lèi fiatò detto, che ella è nel jondo del pozzo * Eila è adunque in luogo ofcuro, in luogo profòndóf&r folto molta acqua: et 4 uolernela tur fiori è mefite*. DEL PRENCIPE. »o yo futkdrp , cercare, er pefiare affili^ cr bìfogna . woltTuolte uotare il pozzo infin al finio prima che fila fi truouì:crcki fi crede di douerla hauerealla prima feccbia , fe ne ha in cambio la acqua pura. Et férmamente dee hauer caro ciafamo non fidamente di aficoltar ciaficuno, non fidamente di e fiere ammonito, ma di effere anebor a corretto , er riprefo. N e altra maggior teflimonianza di bene difiofla méte potrei io di leggeri imaginare : percioche,come dice Salmone^ chi ama la correttione, ama la faenza ; er chi ba iti . odio la riprendane i pazzo. Collume di fiaui Signori è fiempre fiato di aficoltar coloro,che hanno lor udii to ricordare alcuna cofia , che intendeuano ueder piu gli occhi che l'occhio, er chef come dalla percofia del focile, e? della felce fe ne tragge il fioco, cefi dalla diuerfita delle ben dìfiutate openioni ne apparifee il lume della uerita. Di Ciro fi legge, er di Dario,che non con altra uia acquiftarono tanta gloria, fe non col lafciare altrui liberamente parlare .Efi porgeuano orecchia ad ogniuno : er fecondo l'auuedimcnto di eia fimo dauano loro gradì conuenienti. Et à queflo mo, do ritrouando remuneratione la uirtu, concorreuano à loro gli huomini di alto affar e;et e fi p li lorocoft gli di giorno in giorno fi faceuano maggiori. Et che cogliamo noi crederebbe faccfifead Alt filandro acqui ftar tanti huomini eccclienti,i quali tutti dopo la mor f e di lui di Reai degnita degni fi dìmofiraronol Certa no altro principalnicte,che la liberalità della orecchia per lo mezo della quale battendo di molti et di molti fatto giudicio nsUe co fi fue maggiori, ì primi luoghi b a haued dati a quelli, che egli huued di piu dcuto fen^ timento, cr di piu chiaro di fior fio ritroudti.Ne tacea ro io Mofe, il quale da Dio eletto al gouerno del po polo fuo j noti ifdegnò di afcotiare i ricordi di Uhm laceriate', &di Jeguitare i fuoi conigli.Et nel ueró fi dee da ogni huomo porgere orecchia a qualunque conditiondi per fona che l’udir le molte opcnioni no dee potere fenoti fommamcte giouare : et do per mol te htflorie prouar fi potrebbe ; ma io faro contento di hauer ricordato Nahaman; il quale [degnato che Elifeo fenza ufcirghincontragli haucjfe mandato 4 dire ,cbeeglial Giordanone andajj'e, andar non ui ttoleua ; Et pur non rifiutò di dfcoltarei ferui fuoi, che à douerui andare il confortarono ; anzi H coloro configlio figuitado ui andò, et lauofii, er bene gliene auuenne : che fu mondato dalla lebbra,Et fi come bene fuccedette a ccftui,cofi male ne feguitò ad Annibale, per no hauere egli uoluto dopo la battaglia di Canne, afcoltar coloro,che lo confvrtauano ad ufar Ben la uittoriofa fua uentura, il che fe egli fatto haueffe, ageuolmente gli farebbe potuta uenirprefa Roma, che non gli fu conceduto lapoi. Et fe Dìonifio fòfjè andato appreffo a ricordi li alatone, quanto meglio uoglìam noi credere che fa rebbono paffute lecofe fue ? No mancherebbe anchos va a' tempi nojlri da nominar dì coloro, che per non hauer uoluto aprir le orecchie quando altri bene gli confìgliaua , hanno perduti de' poderofi eferciti. Ma la troppa fuperbia, ©” la openion dì fe medefimi bitinta infin col latte delle balie e cagione di infiniti. DEL PRENCI P E. ti mali : U quale , o altro che jì (òffe, non che altrui<. ■Md il graie Aleffandro macchiò alcune uolte di ferti piterna infamia. Si come fu quando egli non uoUe foflener Clito, che liberamente gli parlaua, crearne à fidele amico,et à feruidore ft conuemua Et che egli in ciò grandemente erraffe non uoglio io altra teff* monianza, che quella di Aleffandro ifleffo, il quale appreffo fe ne uoUe dar la penitenza con la morte. Or fe i prencipi uoleffero da gli antichi efempq apa prender quello, che a loro di feguitare, er di faggi* re s'appartenga, er con queflo mtzo regolar la loro uita, er e fi ne anderebbono molto piu honorati, er t popoli molto meglio farebbono gouernati. Et bene douerebbono cofì fare, che la hifloriaj maeflra della ulta, ma efii il piu hanno Faltrui fapete per nulla : er fé huomo di uirtumoflra loro co fa, che aeramene _ te pa da fare ye/?t per dare a uecfere altrui che: pof<* _ fono quello,che ttogliono, fanno il tutto in còtrariàt 7 gr IddoueJlcreciono di far conofcere,che fono Signo~ ri,dimoflrano non fafere effer signori. Altri nònjf ~dfcoltano, che coloro t i quali uanrto le toro openioni__ fecondando , & trafugando i loro appetiti ‘. Et da queflo non ùolere udir quegli altri, er dallo udir eoa fioro ne nafee appreffo un maggior male ; che que’ thedeftmi, ì quali hanno la orecchia del Prencipe,per confeguente hanno , o danno i gouerni delle citta, er de gli fiati, Quelli, quelli,che da Dio fono flati eoa fiituiti ( come è fritto nella Sapienza ) per fignorega giare alle creature, er per difforre ilcircoito della terra ad egualità,er à giuflitia prepongono al reggi* B Hi L* ORECCHIA mento de gli brnmini gli adulatori,et la fèccia di ogni piuuil conditione di uiuenti. Colui domandato come egli fu [alito a quel grado potradire ,.n • . Otta fu m’hanno condutto te lufmghe, ond’io non hebbi mai la lingua fiacca, ......... Et queR’altro dira I fon colui, che la Ghìfola bella Condufi a far la uoglia del Marcbefe, Se ne fono ueiuti d noftri giorni di quelli, che le fò* relle, cric moglieri hanno à Signori accbfcntiteper hauer le maggioranze appreffo di loro i Et pofcia a que’tali è rimeffo il pefo del tutto. Et fe alcuno ri» corre al Prencipe , a loro uiene pur rimandato. ma ben fi prouede,che per fona al Prencipe no ricorra , thè egli non vuole [afidi di gouerno,cr i minijlri uo gliono e fi governare fenzacheil Prencipe ne fappìa tmUd. Radi [ime uolte i Prencipi apparirono in pus lltco: fiatino rincbiuft con le guardie di molte porte, ne è conceduta la entrati fenonad alcuni felici ( come efi vogliono effer tenuti ) a quali foli c lecito di pars lare al Signore , Vengono i fuiditi opprefi j Vo* gliono [applicar per giuftitia, il Signore è ritirato. Che fa egli i E' occupato intorno alle bifogne dello flato . O uoglia Dio , che non facciano molte uolte peggio di colui, che con lo filo del fèrro faceua la caccia delle mofche. Appreffo, ogni volta che quejli dilicati efeorio di camera, hanno al lato un di que' ci ri,che dì fuori fono chiamati i fauoriti, il quale dalla orecchia no gli fi parte riamai , accioche altri difoc* ’cupata trovandola . non vi li accolli V Che crediam DEL PRENCI P E. ^ «t noi quali ragionamenti frano quelli ! forfè bene che trattano di cacciare il Turco di Europa ;o di ricoue rare il fante Sepolcbro. Non già che quefreno fono cofe , che 4 Principi Chrijliani s'appartengano. Ci potremmo noi perauuètura apporrete dice fimo, che raccontaffero , Mi non uoglio paffar piu auan ti,che il termine della honeftì comporti. Vero è, che del gouerno de’ [oggetti bene jfreffofì tengono ragionamenti . Non ui ha perfona fuddita alcuna dal maggiore infino al minore, di cui non fìa prefa curi particolare . SÌ dico di imporgli le grauezze,cri pef intollerabili,et di diucrargli l'offa, er di bergli il fangue. il Signore infin dagli anni fanciuUefchi in firmo di incurabil Hidropifa di oro, er di argento , uolentieri afcolta coloro, che allo ardore della fui ineftinguibil fete porgono alcun refrigerio : Et il mi niflro ,che non è ueropaftore,ma guardiano [trame» ro, er a cuì la greggia di nulla appartiene. folo cht_ jeglianchor je ne ingrafi con nuoui rilrouamenti, fe-tondo il detto del Poeta Due uolte l'hora le pecore mugne. Et che uogliamo noi forfè penfare,che coloro, i quali con male arti fi hanno que' luoghi acquifrati' debbiano ritrarfene cofì di leggieri i Non fra chi fe’l credi che freritto è ne’ Prouerbij, che coloro, i quali fanno peruerfì fentieri, hanno anchord laperuerjità nelle loro firade, Et ciafcbeduno fi affatica di conferuar quello, che egli ha,con le medefmtc arti, che egli lift hi guadagnato . Et medefrmamente è da dire, che quando per mento di uirtu i Prencipi diflribuiffero i B Hii L'OREC chi a naeftratì, coloro che per Unir tu fi [entifero effere mrninijtrati. oltra. 'che anchóra uno altro bene ne Tevuiterebbejcbe uedendofì lauirtu effere da’ Prcn= dpi amata, er efaltata , quella da ogni parte fi ne= dere'bbe abbracciare, er al uitio dare il bando. che di quelle cofe fi ueggono i [additi diuenire fludio(ì,deUe "duali i Prenani li lentono prender maggior diletta* lime. Et per andare lo incominciato camino feguitan do. Io non fo ne uedere, ne imaginare, che altronde pojfano auuenire ne piu, ne maggiori difordini ne' gouerni delle citta, er de'popoli, che dal non ijlare le orecchie de’ Prencipi aperte come àouerebbono. Noi ueggiamo tutto di nelle Kepubliche, lì doue gli cfflcij fi danno ì uicenda di tempo in tempo, er doue_ fi ha da flare ì fìndicato, che pochi fimi fono quellit thè non fi trouino alcuno giudicio hauere uenduto, ha nere opprefo alcun pupillo, hauere ad alcuna uedoua denegata giujlitia , er breuemente hauer fatto ahu* ita ruberia . Et fe lì doue fi uiue fotto le leggi: er doue gli ofjìcij, er le orecchie de’ giudici fopraflanti fono aperte ì tutte le bore, er doue non è alcun fauo rito di alcun Signore , er doue la giufitia pure an* thoratruoua ricetto. er fouore ; Se quiui,dico, fi trp nano di colali misfatti in quelli huominì, che per fmce ri fono eletti ,erdi buona uita, che debbiam noi peti fareche facciano iti tanta licenza ,doue fono ferrate honorati con le opere uirtuojeltudicrcbbcno ai con? fer 'uTrfi nellaÌTratiade’ Signori, er il audnzarjìcon rtuette 'aomlìo di loro~. dixhe’i reggimenti non pò? trèhbono elitre lenon dirittamente, freon Imcerifa BEL PRENC IPE. tj le orecchie de' Prenctpi ,crdotie molte uolte perico« loft cofa è il far fenttre il nome della giuflitia : che debbiam noi penfar, dico, che facciano t minifiri ? er fopraglialtri quelli, che molte fiate per la loro fior Cd uita piu farebbono degni di eJ]ere con efircmifupe plicifcalWgati, che honorati congouernì, er con mag* gioranzef I quali non chejiano ejìi mimjtrì, macoli tiranneggiano i Signori, come bene fieffo i Signori tiranneggiano i popoli. Samuel battendo cojhtuito Saul Re fopra lfrael, riuolto al popolo dilfe, Rcndeo te tejìimonianza contra di me nel cofietto di Dio, er del fio Re, fe io ho mai leuato àueruno il bue, [egli ho tolto l'afmo, fe ho fatto fòrza a chi che fa ,fe ho oppreffo per fona, er fe di mano di alcunoho riceuuto prezzo . Alle quali parole riffiofi il popolo . N on hai inuolato, non hai sforzato, non hai riceuuto pagamento . Che crediam noi che rijpondejfero i popoli a molti officiali,??a molti gouernadorì,quado fofi-fero in parte , doue poteffero liberamente parlare ì forfè quello,che fhrìfiofto a Samuel;??forfè nò. Di quefii intefe il Propheta dicendo, che fanno in agguato come Leoni nelle fielonche per rapire i po-uerì. Quefii fono quelli, de’ quali egli dice,che man» giano il popolo nel cibo del pane. Et quefii fono quel li, nelle cui mani fono le iniquità , e?le cui defire fono piene dì doni contra quello, che Dio comanda fie tialmente à minifiri digìufiitia nella fua legge dicena do, che i doni fanno ciechi gli occhij defauij. Di' qui uengono poi quegli acuti motti che a' Prencipi fi figlioli dire, Claudio lmperadore ddendofidella po<* L’ ORECCHIA uertd del Phifco, hebbep ri flo fla, che egli fi farebbe fatto ricco ,fe hauejfe fatto a copagnia con Ndrciffo, gr palante fuai liberti. Et d Mafimiliano, troiana dofi egli (Iremo di danari, dijfe un giorno Corrado buffone, che fe egli uoleud guadagnare toflo gran fomma, irpacelle Secretarlo i'^Et a Federigo bora Duca , er allhora Ntarcbeje di Mantoua ejfendo egli andato a uedere due cauaUi, er dolendofì che non fi ingraffauano , Ambruogio da Milano gli dijfe, che nolendo che diueniffero tojlo grafi, nejacejfe l’uno Sindico ,er l'altro L'bejortere. Donde vengono que» Jii demani Dotile quefli ingraffamenti t Dal forno de' Prencipi ; dal loro non uedere, er dal loro non udire. Che ( come dice Salamene) il Re, che fede nel la fedia del giudicio diverge ogni mal con gli occhi fuoi. Ora effondo i mini Uri rei, erj Prencipi negli= genti, la giuftitia, et la dirittura de' giudicij à redine Jciolte uanno in precipitio , Molti Pono de’ Sienori*. che f'uggono le fatiche ,er tutti ne’loro diletti inuol ti giudicano perduto quel tempo, che da quelli fi fot3 tragge^ er quello che ft /fende nella cura dello flato par loro,fecondo il loro auuifo, che fu male flefo, Di che quanto fu mifera la conditione della humana fle tic ageuolmente potrem noi farne argomento, fe Morremo hauer rifguardo alla poca cura, che di quella fi prende da gli huomini, er al molto fludio che da quelli fi mette intorno a co/e infenfate, er a bruti ani inali, Vhuomo della uiUa ufa intorno alla uite una continua diligenza : er fecondo le ftagiom la zapp*, le letta datorno le herbe nociue » le circonda il pedale B ELi PR EKGIPE. i4 & copre le radici di graffo letame, le tronca i tralci foperchi, er ì rimanenti alla conueneuolezza loro ri dutti lega d fuoi palkdli ; er apprejfo il tempo della ttioftofa uendemmia auuicinadofi,la ua sfrondando, er aprendo la uia a' raggi del Sole, accicche l'uut s’auacano a diuenir mature. Et di mille altre fatiche le fa egli dintorno, il pafrore con cjuanta affettiotie gouerna egli U fue pecorelle ? Nelle motti ftaUe fa loro i teneri letti ingiuncandole di uerdi fronde, pos [eia la mattina per tempo AUhor quando gratifrima a le gregge Ne la tenera herbetta è la rugiada,, Sotto la guardia di fidi cani le mena atta paflura ; er quella molte uolte jparge di faporito fale-.zr pafeiu* te ad, abbeuerarle alle chiari fiime fontane le conducei Et in fui mezogiorno,quando S odon dintorno rifonar le uigne Sotto l ardente Sol per le cicale, Le ricoglie alla ombra di alcuna antica feluaiet quìut con mal culti canti, er con labofrareccia Zampogna, le loro mal dotte orecchie fi ingegna di diletare «. Fofcia quando uede calare i raggi Del gran Pianeta al nido ,ou'egli alberga, E’mbrunir le contrade d'Oriente, battendole prima alle herbe, er a mi rimenate, le ritorna alle loro pialle, doue diligentemite rinchiu= fe infino alla aurora lelafciaripofare. Che diro del bagnarle ne chiari fiumi t che del curarle della perico lofa fcabbia ? er di mille altre fatiche, che qutfto luo go non richiede i Cefi anchora diligentemente è gas L’ ORECCHIA ucrndto il bue, co/i il cune, cofì latino, cr degli altri animali ; Solo dell’huomo par che non ne caglia a co* loro, a culla cura deU'huomo s’appartiene. Or fe il luTtónéHo intornÒ~alla ulte, (e il pajtore intorno alla pecora, or fe de gli altri intorno a de gli altri ani* mali ; le quali cofe tutte fono fuori della no fra natu* ra, cr della nojìra Jfetie, cr per nofiro ufo ordina* te, mettanogli huomini tanta cura, cr tanta- diligen* za,quanta donerebbe effer quella detlhuomo nelgio uare aU’huomo ! nel giouare alle membra di quel cor* po, del quale egli è membro { cr d queUe membra , al gouerno delle quali egli c ordinato {-Et fe coloro delle fatiche loro traggono alcuna mercede, cri Signori hanno da' loro fudditi anche altro che uino, altro che lana, altro che latte, et altro che tutte quelle al* tre cofe, che da ogni anima non partecipe di ragione pojfaucnire altrui. I fudditi danoloro le ricchezza t fudditi danno loro l’auttorita; i fudditi danno loro Thonorei i fudditi gli fermno; i fudditi gli confer* uonoi ! fudditi gli difèndono; crje i fudditi no fof* fero, i Signori di che farebbono Signori f Poi uiene il pouerofuddito cppreffo alla corte, et non è chi a lui gli occhi-riuolga ; non c chi lo afcolti. MacgU è fcrit* torcila frittura, che chi rinchiude le orecchie a'gridi del pouero, anche egli griderà, cr no farà efaudito». Et fecondo che recita Luca, par ola diChriftoè, che fe bene tardai far uendetta delle uoci di coloro, che d lui il giorno, cria notte gridano , non perciò la* feera egli che non ne faccia uendetta. Ma percioche d queflo timore di Dio par che ultimamente, o non DEL PRENCI PE.', imi fi penfi,ricordar fi debbono i Prencipi,che etiam» dio dagli huominThon jono.ficunqueUt, che la-gtti?__ JlìtiamgaJìo JIMTTNon màncand'mllFefempij dì Ttfanin fiati dìmazzati.Et àme/ara affai hauer ri cordato Philippo,al quale hauendo Paufaniapiu,et piu uolte portata la querela della ingiuria fattagli da Attalo, er uedendo che giufiitia non ne feguiua, tutta l’ira,et l’animo della uendetta riuolfe contra lo ingiufto Signore. Hebbe forfè Philippo riguardo al par“etado,che egli, hauea fatto co Attalo. Ma cotal ri ffetto no hauerebbe egli hauuto,fe tato cara hauejfe hauutala giufiitia,quitto Prencipe dee hauer e.Degno di laude in un [migliate cafofùc. Mario,il quale giu dico un nipote fuo da Celio Plotio effere fiato giuftd mète uccifo,pcioche dicofa l’hauearichiefio,che bone ftacofano è a dire.Ma Philippo della ingiuftia fua ne hebbe la punitione.Et que’Signori,che la irà di Dio* et de glì huomini Uogtmffijchifare coglielempii deC uiUdncllo, er del poffare", & degli altri .chegouer __ nano de gli altri animali,hanno da riuolgerfi co tutta la intentione de gli animi loro al reggimento di co* loro, che da Dio fono fiati loro r accomandati^rico* nofcendo cofì da Dio le Signorie , che tengono,come e/fi da* fumi per signori vogliono'effete riconog— fiuti ♦ Et intendendo quante enfi, difèomeneuoli guitino tutto di per la fcarfita delle loro udienze > debbono alcuna uolta riuolgerfi in fe fiefii,®" rìeo?5 dar fi di effer Prencipi, er hauer memoria à qual fio ne i Prencipatj [uno flati ordinati.?? formar latti» ta loro per c[empio, erpcr legge della ulta de gli L' OR EC CHIA' altri huomini,apprendendo a figareggiare da colui, “chefu Re fapientifiimo Egli grida che la gratia del Re dee efjeruerfo coloro, i quattfiSHUò le labbra ohe dienti alla giufhtia ; er che dee amare chi parlando feguita le cofe diritte. Odano adunque liberamente dafcuno,crpano amanti diueriu:er /appiano,che da niuna condition dì perfone ella non e piu di rado udita,che da loro. Antiocho Re un giorno in caccia traffortato dalla uolunta di feguitare alcuna fiera, da' fuoi fi dilungò , er alla cafetta di alcuni poueri bttomini di contado effondo capitato, er la notte fo= prauuenuta,quiuifi firmò ; er da colorofonofciuto non effóndo in cenando gli mtfe in fui parlar del Re per intendere quello, che di lui nel popolo fi fentijfe, Et udi dire, che il Re era per altro buono, fenon che egli bauea di ribaldi miniftri, er che egli a loro il penfier lafciando, era negligente nella cura del go• uerno. oltra che ffefje uolte per fouerchio fludio di caccia egli lafciaua in abbandono le cofe al Regno ne= ceffarie. Alle quali parole egli allhora nffofla non fece . Ma hauendolo il feguente giorno i famigliari fuoi, che di luì andauano cercando, à quello alber» ghetto ritrouato,ey Reali uefìimenti apprefentan-dogli, Nc/ nero diffe egli, dapoi che di uoi primiea rumente mi uefii, io non ho udito, che di me mi fia quello medefmamente auuiene à tutti i Prencipi. Et do loro auuiene per quelle cagioni, che noi già di fi* prd habbiamo detto, Et pertanto ft efii uogiiono /tata detta la uerita fenon hieri. Et qUo,che Antio "fèlMhoraf DEL PRENCIPE. quefta infelicità fuggire (che non foqudl poffaallehu tn_ Sciìti modo da credere* che un bouero. un briuato\ ° Ufi molte uolte non mai piu dal fuo Prencipe ueduto uengq al Prencipe per dolerfi di alcuno, che jta caroal Prencipe, Je egli non ha Jeco la iter ita in compagnia» Sa che il Prencipe no procederà contra di colui fenza faputa di lui ; er che fe egli kauera portate le menzogne , elle faranno [coperte, er egli ne fara,fenon caftigato, almeno uituperofamente [cacciato. Sa che fe egli daraalcunbia[modper[ona,che habbia alcun fauore, er quello [a falfo ritrouato , egli aprirà la porta a colui da poterlo ficaramente offendes re,percioche ogni udita che celi ritornale à ram:» mancar lene , ejjehio già flato per bugiardo conos [ciato, non farebbe piu chi glfuoielTe non che fède, ma pure orecchia prejtare . piche a me f imbrache il Signore tanto maggior fide dee dare ad ogmuno, qudto colui ,'Che fi lamenta è minore,et maggiore co lui, contra il quale gli fono portate le accufe. Et tati to meno dee egli credere à ciafcuno, quanto egli ha piu di gratia , er di potere ; er quanto apprejfo di lui fi truoua hauere la auttorita maggiore, che il »e= d&rjì dar credenza induce molte uolte gli huomini, fecondo le loro aff etimi, o di amore, o di odio, (e* _ tondo ì loro appetiti. er fecondo le loro utilità , 4 dare a uedere a Signori di quelle cofe, che fono in tutto lontane dal uero, con quefta firma Jferanza, thè altra giufificaìme non fe nc haura da ricercare, c a I/ ORECCHIA E parcofia rcigioneuolc che a coloro, de'quali nelle loro cofe piu grandi i Vrencipi fi confidano ,er d. cui efi fidano i loro fegrcti, debbiano anchor prefilar fide nelle cofe minori. Et i miniftri che queflo inten dono, fi ueggono di hauere quafi un pmilegio di po ter liberamente peccare. Et quanto di ingegno adope rano in ben feruire il Signore ne' Juoiparticulari, alttretant5 neuJanòTn fifatiare i judditiYef, di fi Jentono créscergli Honori, & di qua multiplicare i thefori .E ti P rencipi, che a ciò non mirano, credo= «o pure ogniuno a fitoi, Et è uitio queflo hoggimai co fi uniuerfiale, ch’io non mi credo, che Signore alcu no fila ne cofi fauio, ne cofi fedelmente fieruito,ch’egli ogni giorno non fia alcuna uolta ingannato, fatuo fio egli alcun giorno no fila da tutte le faccéde fieparato. Et d queflo- inganno di lui ne feguita un non minor male,che i popoli uedendo alcuno effer ingiuriato, V ifitratiato da’ miniftri del Signore, er che il Si* gnor non ui rimedia , auuifianonon la colpa effer di loro, ma pur di lui. Et e ben degno -fiche fie egli fi laficia Tiranneggiare da coloro, cui egli donerebbe fioreggiare, peccando coloro,egli fia il colpeuole del loro peccato .Et cofi ■■ In giufita parte la fentenza cade. Che molte uolte i Prencipi per altro giufilifilmi, in* giuft fiimi fono riputati: I cotinent fiimi dìinteperan za fono bìafimati ; I pìetoffiimi come crudeli, er i liberal fiimi come dilavi fono uituperati.Et queftaini quità de' miniferi con la negligenza de’ Signori acco* pagnata c tanto dannofit, tanto grauc, zf tanto in* del PRENCI PE. 19 comportabile, che molto c piu difìderabite a'[«getti un reo Precipe co buoni miniflri,che un buono co mini ftxi rei.No ha il P recipe, no ha il Precipe adempiuto l’officio del Prècipep battere ordinati i miniflri della giujìitia ,fe egli non giudica ì fuoi mimftriianzi dee . egli Idfctar loro~gli altri giudicif^cr giudicar foa_ fra di loro, giudicando come facciano diriti giudici^ che non fannojempre i miniflri giuflitia >er ipoue=■ relli opprefi non la hauendo ritrouata in coloro, d cui ella c commeffa dal Prencipe : cr non la potendo apprefjb confeguir da quelli, a cui ella è fiata coma mefja da Dio, riuolgono le loro appellationi ad effo D/o, mandando al cielo le itoci con 1[aia . Habbiamo gridato tutti àguifa di crjì ; & habbiamo gemuto co me colombe ; habbiamo attefo il gutdicio, cr fio appa rifee : habbiamo affettata la falute, et ella s’c da noi allungata. Lagiujiitia c fiata lontana,percioche nella Strada ha ritrouato intoppo, cr la entrata alla equi* tu è fiata denegata. E t Bomcnedio ode da atto le lo-ro Jtrida, cri lorofofpiri : cr per la bocca delpro pheta grida a' Signori : fate ilgiudcio all’orfano,^__ al mendico . liberateti pouero, cr il Infogno fot li= TeratcTo cfaUcnufii del peccatore. Et con la lingua di Hierernia dice, La'mattina giudicate ilgittdicio , cr liberate l’opprcjfo delle mani dcll’oppreffore,accio*" cbè la ìrcunia non ej caccine fuoco, cr non fuchi lei cfimgua. Et dice giudicate la mattina : il che no uuol dire altro, fenon tallo che a uoi è ricorfo per gìufìi* tia, 0“ voi fatela incontanente : cr non uogliate comportare, che di hoggi in domane ftano i poueri Iacea C Hi L’ OREC CHIA retti, er quìi er lì balcfirati. Et la punìtion del fuoco promette Dio, aggiungendo, che egli ha giurato per fe (lejjb, che le cafe di coloro, i eguali non libere ranno gli opprefii ,Jtconuer tir anno in folittidini : er ~allo incontro a' loro liberatori promette lo jìabilì= mento de’ loro flati per mercede, Per fuggire adun= que cofi fiero ftippliao, er per confeguir cofi difidea r abile mercede, doneranno i Pretta pi fenza alcun ri fguardo fargvuflitia cofi al picciolo come al grande, cofi al pouero, come al ricco : cofi allo (tramerò,come al cittadino > E tdoueranno mirar non gli buomini, ma le caufe, er aficoltare ogmuno contra ogniuno : er far giujlitia ad ogniuno contra ogniuno, che ogni coja dee dar luogo alla giufiitia , er ella a munti, Traiano già montato acauaUo per andare allo efer= cito fi ritenne infino a tato, eh'egli hebbe fatta giufli tia alla pouera fiminetta. Zaleuco Locrcnfe fece giu fcitia contra il proprio fuo figliuolo: et douendone egli per uiger di quella perdere amendue gli occhi, er pregando il popolo per gratia,fece gratia al po=* polo nel figliuolo,ma uolle che aìlagiufiitia fòfjcrefo il fuo douere, er al figliuolo fece cattar l’uno, er 4 fe l’altro occhio . Et-Caronda fatto accorto di hauer fatto contra quella legge, che egli data hauea, anebor che difauuedutamente fatto lo haueffe, del fuo difauuedimento in fe medefimo fece gìudlitia,dandofi la morte di fuo. mano, er coi (angue fuo fiabiltndo quella legge, la quale egli fatta baueua. Contra i figliuoli, contra fejlefii, contra i proprij loro occhi, contro, le proprie loro ulte faccuano giuftitia quegli DEL PRENCIPE. 20 animi udlorofi : er i vrencipì noftri non ardiranno di fare alcuna uolta un facrificio a Dio della ulta, er del [angue di coloro,che de' pouerelli ijlratìano la uè ta,gr beono loro il [angue. Barbaro può effer repu tato l’efempio di Cambi fe, di cui fi legge che fece [cor ticare uno ingiuflo giudice, er del cuoio di lui ueftir ne fece la fedia, doue hautua a federe il fuo fìuccejfi* re. Ma neramente iflimo io niun fupplicio potere efi fer cofi nuouo, ne cofi fiero, che egli non che crudele, ma pur feuero debbia effer reputato nelle perfine di coloro, i quali pofli ne’ tribunali della giuftitia , in cambio di diritti giudìcij fanno le iniquità, in luogo di filettar gli afflitti gli opprimono ; crin uece di dareàciafcunoil fuo rapi fono l’altrui. Ma fìuuole hauer nfguardo,mi dira alcuno, al grado, alla degnia ta,etr al luogo, che tengono coloro : che il uoler far giudicio de’giudici c un dishonorar L’officio. Dishcno rano l’officio coloro, che ingiuftamcte l’efircìtano,cT la dcgnita fua è non che la iniquità fila impunita, ma che la giuftitia fila fintata ; er è dishonorato quel luogo effendo ricetto di miniftri ingiùfli. Adunque io haùero coftituito un giudice, er egli jenza hauere al= cuti rifguardo a me, finza hauer rifguardo alla giu-, ftitia, finza hauer rifguardo a Dio [ara le iniquità ? er io hauro rifietto ad un reo huomo ; Etuorroanzi diutnire infittilo, comportando la ingiulhtia di co= _ lift , che far la giuftitia timendo l’inpiulìo ? Tolga Dio de gli animi de Prencipi un cofi cattiuo peti fiero: er [appiano efii, che in mima altra maniera poffino fare ne piu honorati ?ne piu riguardatola tribunali ---------------------- C Hii V ORECCHIA della giuflìtia , che confidandoli col fupplicio di co=> loro, che alcuna uolta con le loro ìngiufiitic gli bino contaminati. La commoditadel peccare è quella, che fa ffejfe uolte cadere altrui nel peccato ; ©~ pertanto leuino uia i Signori que&ajicenza di potere effere fieramente ingiuri; il che altramente far non pofs fono, fenon tenendo continuamente le orecchie aper* te, in ciò féguitanio l’efempio del non men giufto,che patiente Ioh : di cui quefie fono parole. Io liberaua il pouero, che gridaua, er il pupillo, er colui, che non baueua chi gli porgeffe aiuto, lo er agli occhi al cieco, er i piedi al zoppo ; cnt padre a’ poueri ; er inaefli gaua la caufa, ch'io non intendeua : er rompeua le niafcellc de gli ingiujU, er de' denti faccua loro git* tar la preda. M a gratti filma imprtfa, er cofa quafì imponibile potrebbe parere ad alcuno di uoler prone dere a tante quiflioni, quante ogni giorno rifurgono in tanti giudici]. il che à me fi mojira non che nnpofii• bile,ma ne anckor molto malageuole.che fe il Signore alette poche uolte hauera di alcun minifiro la iniquità cono fiuta,et come ai iniquo minifiro gli haura trai* - io il cuoio, et rotti ì denti,et le mafcelle,copocbifimi esepi tutti i giudici] dello fiato fio fi fendra hauere fi fattami te regolaci, che la giuftUia da ogni parte fi uedera fior ir e,et a lui del douer ogni giorno udir nuo ue querele far a in poco di tòpo tolta ogni fatica. Hornai auuifoio di hauer tanto in quefia materia ragionato, quanto può effere affai ai ogni ben difpo= fia mente. che alle altre Jo che ne UwgbzZd di fer* mone, ne fòrza di argemiti, ne auttonta di fritto* DEL PRENCIP E. ** ri, ne infinito numero di efempij non hauerebbono uir tu di farne alcun profitto. Hora perctocbe noi hab-biàmo molte uoltc replicato, cbei Signori debbono preftar le orecchie ad ogniuno, tanto uoglio io aggiutt gere, che io intendo, che a gli huonuni le frcfìino ,ct_ non atte, belile . Et fe alcuno mi dicefje, crearne! parlano forfè le beftie ! lo dirci di fi : er dirci che i parlari di quelle beftie che parlano ,fono f opra / mor fi di tutte le altre piu uelenofe beftie , uelenofi Che domandato Diogene, quale beftia fòjfe quella,che piu fieramente mordefie, nfbofc tra le domefliche l'Adu latore, er tra le faluatiche il maldicente. Come adunque à quefte due maniere di beftie debbiano ì Signori non porgere orecchia> er cornea loro debbiano dare il bando , non mi par fenon ben fatto che alquanto fe ne ragioni. Fiatone de gli Adulatori parlando gli chiama be= file 'afta humana generation peftilentiofe, cr gli a fi* miglia A nocenti demoni, i quali fotto jftctic di alcuna dikttatione i male accorti animi affalendo, continua= mente di alcuna terrena bruttura gli tengono macu= lati : er tali huomini giudica egli effer uie peggiori che ladri, er che micidiali ; concìofiacofa che noni da, nari ,non le mortali membra, ma (quel che è peggio) ci tolgono lo intelletto. Peggiori che ladri, peggiori che micidiali, er peggiori che maghi, V incantatori Jono cojìoro ; che non che facciano co’ loro incaute=» fimi uedere a’ mortali occhi di coloro, che efii falbamente lodano, le cofe e fiere in altra forma, che cUe neramente patio ; ma gli occhi della mente priuano di L’ORECCHIA uifld, w di giudicio ,gli huomìni in beflie mutando tanto piu infelicemente che Circe non faceua, quanto ella i corpi trafmutaua , là doue cofloro gli animi 1trasformano , di quel conojcimento priudndogli, il qual dee principalmente l'huomo hauere. Di quel co nofcimento, dico, il quale c tanto utile, tanto necefe fario, cr di tanta degnita, che gli antichi fauij fecero fcriuere quel metto di douerfì l’huomo conofcere fe ficjjo nel tempio di ApoUine ; Volendoci lignificare quello effer detto, di cuiconueneuole fta da credere, che Dio cr non huomo ne fu flato auttore. Et ime. ftigando il diuin Platone quale habbia ad effer di fe il conofcimento, dice non effere altroché il conofcer ciafcuno l’immortal fua parte ; il che altro non è, che l’anima ; la quale è o fola, o principalmete l’huomo. Ne quefla fe può conofcer fe non fl uede ; ne ueder fi può, fe non fi pecchia. ne Jfecckiar fi può fencn alla guifa dell'occhio . Et mirando l’occhio tutte le altre membra dell’huomo non uedra ritratto alcuno di fe , fe non dirizza la uifea nell'occhio, ne nell’occhio fo= lainente, ma in quella parte dell’occhio, doue è la uir tu del ueder e ; che è la pupilla : cr quiui fi uedra, o* fi ceno fiera egli fe flcfjò. Simigliantemente è di me* ftiero,chein fe fi riuolga,et in quella parte di fe,che ha la uirtti del conofcere, et ciò è la prudéza ,et la fa pienza. Nell’occhio ha da mirar l’occhio, et la anima nell'anima, cr non nella lingua del fallace adulato= re. Ne debbono i Prencipi intendere alle lufmghe di coloro , che per uilta di amino dalla diritta jlrada della uerita fi dipartono, che ueramente altro che DEL PRENCIPE, a* Wliti di (inimo non dee poter conducere alcuno a cojt abominatole ftudio, come è il proporf: di douer l'al= truigratia con male arti acquiftare, cr di dire,cr dinegare non fecondo, che egli fenici, o non fenta, ma fecondo quello, che altri dica, o neghi ; mawfi* (lifiìmo argomento di natura feritile, cr di natura, la quale naturalmente da ogni piu eccellente animo c fempre fiata odiata. Et di cui fanno mentione le hi* fiorie che piu di Alcjfandro fijfe di laude difiderofoi Et pur hauendogli Ariflobolo alcune falfc fue laudi recitate , egli fi per traboccarlo nel fumé Hìdafpe i er poi ritenutofene hauendogli il libro tolto, nel qua le quelle erano de fritte, quelle gittò nel fiume. Et di Ottauiano è fritto, che egli abhorrìua le adulationi intanto, che pur non uoleua effer chiamato Signore : Et che effendo in alcuni giuochi publici fiato un giora no recitato ,o signor gufilo cr buono : cr hauèdo il pòpolo cotali parole, fi come ditte di lui, con fifia ri=■ ceuute . egli incontanente cr con mano, cr col uìfoà tofi fatte lufmghefilentio impofe, cr il feguentegior no ne publicò un decreto di riprenfìone. Et da Ale fi fandro lmperadore fe alcuno in filutddolo hautffela tefta chinata ,o ti fata alcuna parola lufmgheuole,que= gli era incontanente da lui per adulator ributtato. Et cofi hanno da fare i Signori, acuì nobiltà cr gran* dfZza di animo fi conuiene , Et à cofi fatte malie, cr à cofi fatti incantamenti debbono i Signori tener fem Pleferrate le orecchie, come A finde,che non a folta noce di incantatore. Or che direm noi hora di quella altra befiia fèrfe L’ ORECCHIA no meno di quefla noctua ? Ella ha il morfo cofiacuto, er cefi ha uelenofa la lingua, che in un punto uccide tre perfone,che l’anima di fe medefv.no uccìde il mal dicente,cr uccide quella dello afcoltatore, et ultima~ mente il nome, et la fama di colui, di cui egli faueUa. Et forfè che nelle corti non fe ne traudito di quefli co= tali. Egli nc fonohoggimai le belle fchuole,ct di qud= li, che piu continuamele fono apprejfo i Signori : che come otto fi gii fentono, cefi per fuggetto fi prendono il biafimare coftui, er colui. Et hannolo ì Signori per piaceuole traJluUo.Anzi è già uenuto in tato prezzo queflo efercitio di dir male , che uiene chiamato iì quinto elèmento^quafi fenza quello homai uiuernoft poffa,fenon come fenza uno de quattro naturali eie=? menti. Ma fe uolejjerogli buomini alla legge dellana tura ben riguardar e,er i quello, che dì altrui parian do oblighinofe medefimi, farebbonofenzaalcun fallo piu affai ritenuti, che no fono ne’ loro parlari:®- fa= rebbeno delle loro lingue altro thè foro, che non ne fanno. perciochs fi auuedcrcbbono dello artifìcio, col quale non fenza gran magiflero fìamo flati fabricati, che habbiamo ciafctino di noi due orecchie,cr una liti gua, er quelle aperte, er qjla rinchiufa,er circodata dalle due fìepi de'denti ,cr delle labbra ,à fìne che auucder ci pofiamo, che libero ci dee effer l’udire,no cofi il dire i che ad ogni bora polimmo afcollare ,ma non ad ogni bora debbiamo pattare: er che molto pw che la lingua ci ji contitene le orecchiefadoperare. il che quanto poco Ji feriti,cr quanto male, il comune ufo delle orecchie, cr della lingua il ci dimoflra. Eoi del PRENCIPE. 2J che diretti noi, che gli huomini in altrui biafmandoà feftefii impongono una tal lego di uiuere. che hanno da guardar ft da tutti que' difètti, i quali come danne? uoli appongono ad altrui f Che fe rimproucrerdno à chi che jia la incotinenza, hanno effi da effer coatta nenti fimi ; Se l'auaritia,conuìen loro effer liberali : Seia puflanimita,dioro dièffer magnanimi fi appar tiene , er cojì di mano in mano è da dir de gli altri uitij,g7 delle altreuirtu . Ne folamente hanno da fuggir quelle colpe,che ne glialtn riprendono,ma da qual uifo uorrò io notar faltrui peccato, fe di uno altro o pari, o maggiore mi fentirò colpeuolej_0 qua to faremmo ciafcuno di noi men reprcfèbili,fe cofi di ligentemete le uite nojìre efaminafimo, come faccia* ino quelle de gli altri. Ma portiamo in ffalla le bi= face, er nella paidk dauanti ripognidmo ( comTjìgnf fica il Poeta) gli altrui difètti, et i noftn in quella di dietro. coli gli altrui habbiamo dinanzid glì occhTf £9“ i nolìri dopo le [falle : Veggiamo il fùfcdlo della paglia nell’occhio di tioffro fratello, er nel ncjlro no ueggiamo la tratte: in cafa [amo cicchi, er fuori por tiamo occhiali da uecchio. D er fe non ui temeranno ogni giorno faranno in fu gli occhi uojlri di mille cofe cattiue. Se ueramite uoi,er nello afpet* to ui mofirerete grane, er con le opere feueramente ui riferirete, er uoi ne bauerete honore, er la corte uoflra fara pacifica, er quieta. Et tanto uoglio io an~ ebora aggiungere, che ad un nouello Signore io non credo che cofa poffa tanto giouare, quanto il fare al* cuno atto, non diro feuero, ma crudele:percioche cui pochi tali efempij ogni grande fiato fi uiene a re* gelare . Ma come il Prencipe comincia à mofirarfi gratiofo, da quella prima opinione prendono i cat* tini una tale ficurta, che poi cento opere digiuflitia non mettono tanto terrore, quato batterebbono fiat* to due, c tre in fui principio, in modo tale,che, quel lo, che da prima pare crudeltà, è uer a pietà,et quel lo che Jembra tfiere benignità, e la iflejfa crudeltà^ Non meno riuerendo uifara tra udiri il farai cono= fiere di animo, er di ulta immaculato_, che la bontà è quella, che fopra tutte le altre cojéft fa riuerire, Et dal uitio altro che Uff rezzo non fi dee affettare. ALLA VIRTV, ( Come dltri di alcun uitio del fuo Signore e confapex uole, £r partecipe , cofi gli pare non piu di effere, fuo feruidore , w fratello, alle gob* bes et quegli di Ariflotelc balbet tauano. Di che in tut te le maniere babbiamo da guardarci da uitiofe ami* citie : et tanto piu da quelle,che contaminano l’animo, quanto piu dannabili fono i uitij dell’animose quel? INTROD VTTIONB li del corpo, Apprefjo no in ultimo luogo i da confederare quel l’ultra cofa,la quale ofo io dire, che è uitio comune di tutte le cortiiet ptato maggior cura douete uoi porre ad iftirparlo della uoflra : er ciò è,guardami da gli adulatori. O quanti ne fono de cotali nelle cafe de Vrcncipi i per tutti i canti fi fentono gracchiare di quefti corbacci. Ahi come fono le male beftie. Guam datcuene ,guardateuenecome dalla mala uentura,che bcjlie piu peftiftre, piu uelenofe , er piu mortifere non ut potete annidare in cafa, che i comi terreflri. La natura de corui è, che come trouano alcun cada= uero ,cofi incontanente gli cauawgli occhi, et àcor= pi de gli huomini morti cauano gli occhi i comi aerei, ma i terreflri gli cauano àgli huomini uiui, er non cauano gli occhi corporali, ma ( quello che c mol to piu ) quegli dell’animo, et dello intellettoiet quelli cauando, di animali rationali, cr intcUetuali gli fan no diuentar bruti, er infenfati. Là onde ben dice Chrifoftomo, che ogni adulatore è nimico di uirtu,ZT ficca un quafì chiouonell'occhio di colui, con cui egli fauella, infn che gli rintuzza la punta della ragion ne, er ammorza quel poco di urne, che in lui lì ri= trotta. Quefti tali non folamente lodano oltra il con ueneuole ogni atto, er ogni mouimento de’ Signori, co’ quali parlano, ina a uitii loro anchora danno no= me di uirtu » che chiameranno il prodigo liberale, il timido auueduto, il temerario ardito cofi d gli altri difètti daranno gli altri honorati tìtoli : crfimi gliantemente con la peruerfua de’ nomi danneranno ALLA VIRT V. 3» le uirtu di quelli, le lodi de’ quali fanno non effere grate là, doti e fauellano. Et poi que’ medefuni inala tri luoghi trcuandofi , per compiacere altrui, biafì-mano coloro, che hanno lodati, er loddno quelli, che hanno biafìmati. Di che propriamente dice di loro Plutarcho, che fono jìmili al cameleonte, la cui nati» va è far fi di colore di tutte quelle cofe, alle quali egli fi amicina, fuori che bianco : che efi à tutti le cofe fi accommodam, eccetto che alla purità del uero. Gli adulatori induffero Nerone a far fi recitatore di Tra gedie : Gli adulatori fecero piu crudele la tirannia di Phalaris, dandole nome di giujlitia : Et gli adulatori induffero Aleffandro a uolere effer tenuto Dio ; Ma egli fi auuidepoi del uero, quddo firito uide che della piaga ufciua [angue: er di quindi fu cofìretto 4 con-fffare di effere huomo, er che gli adulatori baueua= no mentito * a notabile mancamento non fi conduce P rencipe alcuno, che egli da gli adulatori non ui fa tirato. Et non e marauiglia, che fecondo il detto di Hieronimo, non ci ha cofa, che cof di leggieri cora rompale menti de gli huomini, come la adulatione: che piu nuoce lingua di adulatore, che fpada di pcr= fecutore. Et io ut ricordo, che la adulatione è un mor tifèro ueleno. i ueleni f danno ne cibi, che altrui aggradano; er ogniuno ode uolentierì le fue lode ter fatto il mele delle lode fauuelenanogli animi de’lo= dati .Non mancheranno à uoi dicoloro,che fenza ha> uer uoi fatto opera degna ditterà gloria,ut uorrano far maggiore del gran uojlro zio, er del uofrogu padrei cr fi faranno le fattole,che di fuori di noi fi I NT R-ODVT TIGNE (lice, crfì falleila, e? che cgniuno uipredica, z? Ut efalta . Vofcia dd ogni uoflrd parola , ad ogniuos (irò dtto fentirete griddre , o come buono, o come bello. O come fono efi fceltrdti, cr infami, che in luogo di douer nutrire una tenerd furgentepianta co__ la rugiada delle falcifere ammonitici,et col fole de" buoni efempiff e fi con la falce della peftilentiofalin= gua ogni buona fferaza di quella troncano da radice. Che perfuadendoft i lodati di ejfer tali, quali uien loro detto , di tanto fi contentano , Q" rimettono quello fiudio di uirtu, per lo quale far fi potrebbono gloriojì. Or con qutfli tali fate quello uoi[, che ufa di fare l’ajfide fordo aUauoce dello incantatore. Ritu* rateui le orecchie. Non gli guardate con diritto oc* chio. Volgete loro le ffalle ; cr habbiategli p nimici, etp tanto piu pericolofì nimici,quato i nimici domefti ci,et occulti piu ui pojjono nuocere,che gli ftranieri,et palcfi.Tofto che uoi uedete alcuno effere fludiofo di lo danti in prefenza, habbiatelo per adulatore, CT non comportate che egli auueleni «or, ne corrompa la uo-&ra famiglia , anzi mandatelo con gli altri corni 4 cercar paftura, che a lui piu fi conuenga,Eflrema infelicità ueramente è quella de’ Prencipi,cbe non ci e conditione ninna di perfone,che piu di rado oda Lue rìta : che fludiando la maggior parte de gli huomini < che la maggior parte de gli huomini fono i trifli ) di compiacer loro, er di dilettargli, a’ buoni fono te tinte le orecchie chiufe, per effere odiofa la uerita. Ma io dico à uoi, che fuome nelle cofe dolci fi bee il uclcno, cefi le bmnde anitre I bullono cjjere alfe ALLA VIRTV. 3* lutifèra Medicinei. Et fecondo che ui confòrto à fuggi re le adulationi ,cofì ui ricordo anchora, che debbiate porgere uolentieri orecchie alle ammontimi,cr alle amoreuoli riprenfìoni. Che douete bene effere fimo, che perbona non uerra à dannar uoi a uoi feno per uo firo bene. Et duoloro, che di quefii ojfcij faranno diferetamente con uoi, donerete effer certo, che efi debbono effere huemini amanti di uirtu, et difiderofi del uoflro honore. Et fiano pur di qual códitione effer fi uogliono , udite uolentieri ogniuno , che ( fecondo il detto del Poeta ) Et l'hortolan fondite benfauella. lo puffo bora col parlar mìo a trattar di uno altro ueleno, il quale ne’ petti giouenili è no fòrfemen dannofo di quello^, di che pur dianzi habbiamo ragion nato. Et quefto è lo Amore, il qualefo che alcuni fo glion dire, che è grande incitamento à uirtu ; che fa bonoratamente comparire : er che tiene gli huomini defti, er uigilanti. Ma quefla di quefto amore c ope rione di uulgo, er non di huomini fauij. Che come jpuo effere incitamento a uirtu quel defiderio,il cuffia ne e ultio l La uirtu è per fe fteffa difìderablTfetpiF queTfrutio, che dì lei fi coglie, il che è la gloria : Et chi dalla degnita della uirtu, er dal pregio della glo ria alla uirtu no fi accende, a quella non potrà effere accefo da altro difio. Non intendo io come amore fac eia comparire gli huomini honoratamente , faluo fe non chiamano comparire honorato, l’hauere habiti di licatì, er leggiadri ; che quefto è il ueftirc de gli innamorati per piacere alle donne loro, il che fe cefi INTRO D VTTIO N E intendono, fard da dire che caudlicro, il quale boterà. ualorofaméte combattuto, etuittoriofo fard tutto fudato, tutto pieno di poluere, et pinguinofo fi delle altrui come delle fue ferite non pojfa bonoreuolmé= te in queU’babìto comparire. Non nego già che l'amo re non tengagli huomini deflì : ma al lor male gli tien dtfti. Et chi potrebbe dormire fentendofi il petto fat to un mongibeUo ! Et il cuore da mille [dette trafitto? Se per queflo [ara da lodare amore , [ara anche da dire. che meglio fu l’effer infirmo che fatto ^ datori che gli infirmi non dormono, er i forni loro da uarie firme di fogni fono tutti traunghiti non altramente che quelli de' feguaci di amore. Ma dapoi che di infir mi mi è uenuto fatta mentione dico, ch'io non conofco infermità maggiore, che l’effere innamorato, concio fìacofa che le altre infermità opprimono i corpi,quel, la di amore opprime i corpi, corrompe le anime, er tormentagli animi. Et a gli altri morbi pur fi truoua medicina,et queflo filo e fenza rimedio. Et il remedio che cotra [fio dee l'huomo adoperare è guardarfi da no nemmalare.Vniuerfilmate confentono gli fritto ri in queflo, che detto s'c, che al mal di amore no ui ha riparoj Et pure alcuno ha detto, ch’egli e melica bile. Et la ricetta contra queflo male è fritta m uno Epigramma, il quale fuona in quefa f utenza. La fame ficaccia il pharetrato amore; O pur l'etade ti trarrà d’impaccio ; Et fe qucjla non fregne il fiero ardore Per medicina ti rimane un laccio. Dalla qualità della medicina potete comprédere qual fiala ALLA VIRTV. ** fu la conditione della infirmiti. Et fe ttolete di amore hauer uen contezza leggete le biftorie degli v>antichi amori: er leggete le fcritturede’poetiinnia Morati. Qui non trolierete altro che pianti, dolori, fojpiri, er. lamenti : erquiui non altro che Jlupri, violenze,rapine, guerre, inganni, tradimenti, er ogni maniera di f celerità : et il minor male che di amo fe fi truoua è, lo hauer pojlo mano nell'altrui ,onel proprio [angue. Non uoglio io qui adducerui in mezo ne le auttorita di quelli, che hanno di amore [critto qUo,che in [ebano fentito,ne recitami de gli efempij, che èfflc [ono co[e affai agevoli a ritrovare: erto no fono ambitiofo in farut dimoflratìoe di moltdlettioe, Ben ui diro,che filo, che ci infegnano le humane lettere , nelle [acre anchora ci viene cofirmato ; che del fanti fiimo David fi leggetegli p amore diuene adul tero,cr micidiale. Del [apìétifiimo Sdiamone,che per amore fi fece idolatra: Del fòrti fimo Sanfonefhe p amore perdigli occhi,xr le fòrze . Et di lui dice Ambrofio. Sanfon gagliardo, et fòrte foffocò il leoa ne , ma l’amor fiIto non poti egli [offocare t Egli fciolfe i legami de'minici, ma non ifciolfe i legami del jk [uc cupidità j Egli abbruciò l’altrui meffe, ma acce ' [o del fuoco di una fèmina perde la meffe delle fue virtù. Se adunque da amore tanti mali procedono, er cotanti uitij ne riefeono ; er fe per lui fi perde la meffe delle uirtu, non fo come dir fi poffa, ch'egli atta virtù ti fila di incitamento. Et dapoi ch’egli i cofa coft dannabile , come apparifee per quello , che detto ne habbìamofi confeguente che da quello uoglia ogni ra« E INTROD VTTIONE girne che ui debbiate guardare. Et la uia del guardamene è il fuggire le ceca foni, che la guerra di quejlo affetto è tale,che fùggédo fittince.Etpciochc Et nafce di otio, er di lafeiuia humana, y i è mefliero di fuggir l'otio, er di effere fempre oc= capato in alcuno konoreuole efercitio , o nella colia uerfatione di pcrfonedi ulta , crdi difciplina honen fta,o nella lettione di aleuti buono auttore. Et l’efer citio uojlro hanno da effere le arme, i cauaìli, er la campagna: che quefle cofefi conuengnno alla profèf* fione, la quale uoi per hereditaria douete tenere. Et la conuerfation: delle perfonehonefle coligli efempij, er con la- lingua regoleranno la ulta uofìra ». cr la lettione co la rammemoradone delle altrui memorie, ui far a un far comparatione de’ moderni, er domesìi ci uoflri coligli antichi ftraltieri efempij. Et dalla cont paratione di quefli con quelli, er di quelli con quefìi alla loro imitatione ui fentirete inanimare. Fate che quefli fiano i ucflri amori: che tali amori ui faranno neri filinoli àuirtu ; ui faranno comparire honoreuo le :er ui terrannoTanìmo cefi deflo, er cofi uigilate, che alcun forno non haucra fòrza de leuar delle menti de gli huomini la gloria del uojlro nome. Finquàbauendo fcritto ,er petifando di metter fineàquefla frittura,mi i uenuta a mente un’altra cofa,laquale conflentio non intendodi trapaffare. Sono alcuni, che feguitanolc cor ti, i quali ad.altro non mirando ,che ad operar bene gli artigli, no fanno co’ Signori parlare, che non predichino la liberalità, mnequella, cheacquijli loro ej nome, er afflitte ALLA VIR TV. ! 34 . àffaiAlche io no nego cfferuero: ma dico bene, che t piu non fanno quello che fu liberalità^ cheiwtif ditnno nome di uirtu.UejJer liberali a’ Prencipl Ji co UÌenaet liberalità è ff édere quàdo,et douejì couiene^ et il donare ajfai non i qUo che a' Signori acquijti ho norato nome, inali ben donare. Et non le amicitie di Ogniunofi uoglionó caper are con doni,ma quelle,che pojjono dare reputatione, ©“ honore ; che molti fono i quali meglio farebbe non gli concfcere,che hauergli peramici, Qucfti non fa fare altro, che proporre ogni di alcunakofa dishonefta, et uitiofa, er uuole che per quejlo il signore lo faccia ricco ; er che paghi 4 ‘cotanti colui, che procura la fuuergogna, cr il f'-° tittuperio ufC[uigliìper moflrarft piu uorace cheun lupo , uuoìe che il Signore lo premij, perche egli logori piu folo che la metà della famiglia. Et colui non penfa in altroché in trouare nuoue fattole, & nuoue inuenticni da far rìdere : cr uuole effere remunera= 10 dal Signore per fario egli diuerdr pazzo : che fe 11 molto rtfo è cofa da pazzi, il donare à chi ci faccia riderei comprar paztia.Non ucglio lafciar di dt re che molti Signori donano piu per uanagloriache per gìuditio,che non tanto mirano à chi donar debbiano, quanto fi diuulghi che donino: Et di qui è che fe bene haueranno appreso delle perfone uirtuofe quelle la feiando in difagio doneranno àjbaneri, che quello no uagliono, che uaglìono coloro che effihanno incafa. Et ciò non è effere liberale er uìrtuofo,ma prodigo ©“ mbìtiofo> Et uoida tutte quefte maniere di donare ui donerete guardare che quefto nonè.ufar liberalità,» E H INTROD VT TIGNE inigittar Icfaculta. Ne mi ftenderoin iiruìph parti colarmente del modo di ufar quefia uirtu : che que* ftd è opera migliore che del prefente fuggctto.Etdi quello,dì che detto ho, che ui dcuetegudrddre,potete intendere ciò che ftd dd adoperare. Vi parrà forfè che quefio mio fcriuerfid troppo feuero,come quello, che ui priui di molti piaceri, er da uoi richiegga troppo durezza dicoflumi. Perche hauete da fapere, che io da muno pidcere cerco di te* ntrui [epurato : anzi a' ueri piaceri ui inulto, et dalle [alfe ombre di quelli ui conforto a ftar lontanavano* foggiano i Poeti che Hercole deUd età uojlra camina do un giorno giunfe [in parte, doue la uia in due fi partiua ; er quitti firmatofì dubbiofo per quale meta ter fi doueffe,due dome gli fi apprestarono,delle qualiciafcuna uoleua che egli ne andaffe[eco. Et di qutlle l'una era giouìnetta, uaga, er dilìcata, tutta lifciata, er ueftita di panni pretiofi riccamente fre= giati, er lauorati: er fopra i biondi capelli baueud una ghirlanda di nouelli fiori izrhauendo rofe nel petto, or nelle mani, ffargeua dintorno foaue cr di* fotteuole odore. Valtra neramente era donna di me Zana età, di grane affetto , di grafi panni bone(la* mente uefoita, eoi crine fenza alcun ordine ftarfo,zr tutta poluerofa. Quella con lafciui (guardi,er con artificiofdfauettd inuitaua Hercolead andarfene per quella parte, donde ella di menarlo intendala, ino forandogli la uia della mano manca, promettendogli di guidarlo con diletto, er con foUazzoper piaceuo* lìfiima ftrada lontano da ogni noia, er da ogni mole* ALLA VIRT V. ?$ ftìd di fatkd. Et facendo pardgone detti fui delia* tezza atta ruuidezza dcU’altra, gli diceua che egli lei per colei non doueuain alcun modo abbandonare, che quella feguendo, farebbe cotinuamente uiuuto in [udori, er in fatiche, ne mai hauerebbe fentitopace, neripofo. L'altra con grani, crhonefti [guardi, cr con cajhfiima [duella la defira ftrada con mano mo• Orandogli, a quelli lo chiamaua dicendo, che ella gli prometteua affierifiimo catte , er dura [alita di una altifiima montagna:ma che come egli atta fommita di quella [òffe peruenuto, cofì hauerebbe hauutoognico [a piana,[orito[uolo,aere [reno, acque fi-efche er dolci, er eterna tranquillità, er pace. Et che fi come il camino [uo era graue da principio, er nel fi-ne dilettofo,cof quello, donde lo haueua da condu* cere quella sfacciata, era in prima uifeapiaceuole,mi da quello fi cadeua in uattoni deferti, er in luoghi precipitof, doue imiferi,che dallelufmghe di colei fi lafciauano dilettare, la loro uita inflicemente ter» minutano. Et udite le due donne ilgiouinetto Her» cole, dijf rezzato il fiore della uana bellezza, er le promeffe lufingheuoli, alla inculta riuoltatofi,fi ri* mife nelle fue mani, er lei perla faffofa ftradafi diede a feguitare . Quefto dì tiercote mene fauoleg* giato da’ Poeti: er per quelle due donne ci figntfica-no i piaceri, er le uirtu, per darci à uedere, che chi quelli abbraccia, ha dolce principio, er amaro fine ; et quale a quefte fi fìringe, da faticofo principio immortai gloria uiene à confeguire . Perquejla firada ni chiamo io adunqueiper quefla infieme con Hercole E Hi INTRODV. ALLA VIRTV» mettetela dietro alU alpeflra donni co tutto il cuore. Et fi come Bercele per huuer domatoi mojìrì diuena ne gloriofo, cefi uoi incominciate ad.abbatter e queUe pejhfère coditioni di per fotte, dalle quali-io ui ho coti fòrtato che ui debbiate guardare, che quelli non fono altro che moftri piu pernicioft alla humana generaa tiene, che mai non furono ne il leone Netneo, ne il porco di E rimanto, ne la hidra di Lerna. Et quelli opprefit potrete dire di hauer paffuto gran parte di quello afpro camino, il quale allo afeendere la glo-riofa montagna ui fi propone. Et come alla cima di quella fante arriuato , quìui non folamente troue, rete uoi Eior, fiondi, herbe,ombre,antri,onde,aure foaui, ma il ualorofo uojlro zio, er il magnanimo uoflro pi dre fattiuifì incontra dolcemente ui abbnccea ranno, ©" con immortd gloria ui riporran» no nel grembo degli antichi uojlri pròa genitori Re,©" iUujìratori del * la Sereni filma cafa di Aragona. LE GIN Q^V E COGNITIONI. AL S. MARCHESE DI PESCARA I L M V T I O IVSTINOPOIITANO. H I L 0 N E P bilofopy effendcgli domandato qual cofa oltra le altre (òffe ma= lageuole, riffofc il conofcere fe Jleffo ; percioche l’amore di fe flejjo ha fòrza di acceca re altrui. Et Socrate folata dalla fibre fono grauemente cpprefi, perdono l’appe tito, & il tiigore, cofì quelli, che limono alle corti fo gliono perdere i buoni cojlunu, fe fpcffe notte non fi riuolgono nèWèmm quel detto ; Conofcì te lbeffo. Ottimamente difje Chitone , che fi come l’occhio ite* derido le altre cofe,fc medcfmo non uede, cofi un= dora la mente no fra acutifimamente gli altrui erro ri fcorgendo, ne’ fuoi è molte uolte cieca, & adiuene d lei quello, che alle donne non belle fuole adiuenire ; le quali troppo di fe flejfe amantine gli /pecchi mia rando delle proprie fattezze f inuagbifono ,&■ gli occhi uolgendo à delle altre di loro piu formo fe, er E tilt IE CINQ.VE piu grido fi, ufano di torcere il grifi. Et ottìmamea te Socrate ; Che nelle corti piu>che in\ altra parte le adulationi regnando, quìui piu che altroue ageuolme te gli animi ammorbano ; per effere quelle propria= j/cWt mente la pejìe di ogni uìrtu. La onde [untamente è fritto in I[aia, Chi predica che tu [e beato ti lugana , er turba i pafi del tuo camino . Et pertanto è buon coniglio contra tali morbi u[ar la medicina dal gran philofopho proponici, di riuolgerd per l’ani* mo quel celebratifimo detto, il quale fi dal mondo con tanta ueneradone riceuuto, che fi [limato di ec= cedenza maggiore, che poteffe ej[ere ufiito da alcuna bocca mortale. Et io i detti di que' due huomini[a* pienti fimi meco efiminando bauendo [entito che uoi Signor mio, er imagine di quel mio Signore , la cui memoria dall’animo non mi fi ha mai da partire, ui[ete nuouamente fatto huomo di corte, da che il co= nofcere [e jlefjo è cofi malageuole, er nelle corti è coft tanto nccejjaria, nell’animo mio ho propello di farpruoua [e con la penna mia ditanto ui potè fi far uire, che alla cognitione di uoi ui potè fi alcun gioua mento preflare. Et per non perder tempo in lunghi proemij, ui proporro alcuni capi, intorno a’ quali [e uoi hauerete dilìgente confida-adone, io fono ficuro che quefta mia non ui douera cffcre fe nò utile fatica. Lt fono quelli. Che ui debbiate ricordare di ejjere tmnoiCbenouiiimentJchuiie dTejJere ChriJFianóT Che non ui fica di mente che (ete nato nobile : Che ui conofciqteeilèrpjouinc: Et che [appiattiit[Ter Si= gnor e. Quejh fino tutte cofi tanto chiare, che d uoi COGNITIONI. 37 parrà perauuentura fouerchia quefla mia ricordatici= he, douendo noi da uoi faperle fenza che altri ue ne ammonifca , z'o quefli capi iti propongo non per dirui quejlo folamente, anzi per mofirarui quali fu* no quelle cofe, che nella rimembranza di ciafcuno di c/i! habbiatc a confederare ; cr come ue ne habbiate à gouernare. Et dapoi che cinque fono le cognitioni,che mojlrate ui ho, l’ordine mio far a tale,che fecondo che eUe fono propofle, cofì darò a ciafcuna il fuo ragiona Mento particolare. Dico adunque primieramente, che l’efferehuomo in diuerfi modi fi può confiderare : che altra co fa è di re, che altri fa huomo, o donna ; altra che fa huo* mo,o fanciullo : cr altra che fa huomo , o animai bruto. che il primo modo fa diftintione di fejfo >' il fecondo di età, crii terzo di fpecie. Ne del primo, ne del fecondo è mia intentione hora di uoler parla= re, ma del terzo folamente , per ricordami che ui debbiate bene fpeffo ricordare, che fete huomo, cr non altro animante » cr che da huomo debbiate uiue~ re, cr regolami. Ne ui facciate marauiglia, fe io cop ui parlo ; che cr le humane lettere, cr le diurne fanno fide, che molti, i quali in uifta fi mofrano huo mini,fono anzi ogni altro animale che huomini.Et che pe tifate mi chTJTucgliano dirle antiche fauci? delle perfone trasformate in lupi, ih orf, in Leoni, cr in porci * fenon che per la loro crudeltà, per la ira, per la fuperbia, cr per la libidine in quelle bcfie fi traf* figurarono i Per la medefima ragione chiamò Clirifo Herode uolpe ,per la fua aflutia ; cr i ihartfei prò* genie di ferffi ,per la loro maluagìta ; et per le per* fine date alle la'ciuie diffe , Non uogliate porre le_ perle innanzi A porci.'Ét fi Ugge in HUremia, Sono fitti cditalli impazzatip le fimìne. Et grida Dauid Non uogliate effer qual caualli,o muli, Si che tutte le fritture fono piene della mentione di queUe be/lic , che in firma di huomini caminano fu per la terra. Ma a douer uiuer da huomofia l'huomo principalmente da ricordarfi, che egli c flato in tal firma fabricato ( come dice il Poeta) Che riguardando tutti à terra chini Gli altri animali, a l’huom natura diede Sublime affetto ; cr uolfe che egli al cielo Miraffe, alzando il uifo erto a le felle . Et dice M. Tullio Cicerone ne’ libri della naturi de° De;, che gli huomini ftrono firmati tali, accioche al cielo mirando,poteffero hauer de’ Dei contezza : che gli huomini fono come cittadini , cr habitatori della terra, ma come filettatori delle cofe fuperne, &ce-lefu ; la contemplatione delle quali a niuna altra fie* tie di animanti fi appartiene . Notate, notate come prudentemente, er come diurnamente, cr fecondo la uerita parlauano quegli antichi fauij, i quali cognia tione della uerita non haueuano. Ne io in quefta par te della conofcenza dell'buono uoglio allegami altri fcrittorì,che di quelli della legge della natura > Et con Platone ui ho da dire, che non bafta all’buomo alzare gli occhi corporali al cieloiche lo jlarfupino sbadiglia do non è guardare in [ufo, ma lo hauer la mente le* nata alle cofe fuperne. Di che dice anchora Cicerone COGNITIONI» 38 ne' libri ielle leggi, che l’Intorno dal fuperno Dìo c fiato generato con una nobilifiima conditione, perciò= che è filo di tante maniere, er nature di animati par tecipe di ragione,et di cognitione, effendone gli altri del tutto priui. Et [aggiunge, Quale cofa è, no diro neU’huomo, ma in tutto il cielo, er in tutta la terra r piudiuina deUa ragione i Fin qua Tullio.Or fi diurna fifa è la ragione, er fé l’buomó con quella parte,che egli è terreno, ha da guardare al cielo, quante piu iti hauera da guardare egli con quella, la quale c celefiel Ha dato la natura all'huomo la mente ueloce, er ini* mortale ; or gli ha dati i fintimene.! tardi, cr mor-JauTojcella, accioche habbia da fioreggiare ; er quefii, perche habbiatto da firuire : er fi come disho noreuole cofi farebbe, fi un uilifiìmo fimo coniati-dajfe ad un nobilif imo Signore, o una finta ad una Prenctpeffq, cofi brutte è chela mente, er la ragione a' finimenti, er à gii appetiti li taccia fossetta fi Anzi molto piu uergognoja coja é queJFa, che quella non farebbe. che il comandar feruo, o firua rf Pmt= api, o à Signori è comandare huomo ad Intorno, o fi mina à fimitia > ma il comandare i fin fi alla ragioneA è come fi una befiia itolejfe comandare d Dio fiduen= do noi i fentimenti comuni con le befiie, er la rdgiott con Dio. Hanno diuerfi animanti,diuerfi comendatios ni: l’uno è piu ueloce, l’altro è piu defiro, qui fio e p'U fòrte, quello è piu animo fi : cr qua! e ha una, er quale ha altra eccellenza, in modo che gli huomtni da gli altri ammali delle doti del corpo uengono ad efifir fuperati : là onde non fi conuìene all’huomo collocar h LE C I N Q_ V E degniti [uditi alcuna di quelle parti, nette quali egli fi jente dalle bejlie effere auanzato. Ne per forza, ne per grandezzate per bellezza,ne per altra quali ta corporale fgnoreggia l’huomod gli altri animati, ma folamente per la nobiltà detto intelletto, er detta ragione. Et fe uoi uolete cotiofcere quanto fia uero quello , che io ui dico , confiderate, che fe ad un uoSlro eletttf imo falcone fi rompejfe una ala: Se ad un uoftro betti fimo cauatto fi guaftafe un piede : Se un udirò gagliardi fimo cane fi fezzafe magam* ba, uoi quelli piu non terrefte cari, ne piu ne preti* dercfte cura. Fili diro, che non bafta che una beftia fia buona, ma bifogna anchora che ella fa betta, feui dee aggradire. Non cefi farete de gli huomini, che mirerete non qual fa il piu bello, ma qual piu uà* glia : er non folamente de' non belli, ma de’fozzìfe' torti, de' zoppi, de’ monchi , er de gli firoppiati ueggtamo noi effere molto piu in prezzo, che molti betti, diritti gagliardi, interi, er fani. Et perche ì Fercioche la eccellenza dell’huomo c non in quel di fuori , ma in quello di dentro . Ne folamente nette altre arti, er difcipline fi uede quejlo, che io dico, ma in quella anchora, douepiu che nette altre la uir* tu del corpo fi richiede » ciò è nello efercitio detta guerra. Non habbiam noianóftridi uifiogcucrnar gli eferciti da chi non fi polena aiutare ne di piedi,ne di mani i er tale e fendo-far delle honorate imprefe l Et lo eccellenti fimo uofro padre quando penfat e uoi che fife miglior capitano i quando egli era atto a fai tare f o quando non poteuapiu cammarei EtJe anche COGNITIONI. i 9 di quelli, che fono aitanti dettd per fona fono in prex gio, non percio c dd dire, che Id eccellenza delibuo* no non fid quella, che io dico,dd che ueggiamo che i gioueni, eri robufH a' uecchi, er 4 gli infèrni fono molte uolte fottopofli :cr le migtidid di quelli dd uno dì quefli flare obedienti : Et quefto è non per altro, fenon che coloro fanno opera di corpo, er quejli di animo, in modo che gli huomini da battaglia da quelli di coniglio fono dì tanto auanzdti, quàto nien degni fono i corpi che gli animi. La degnita deU’huomo adu que è nella perfezione deWaninuT. Et fé uoghamo udir Platone ; l'huomo è folamente l'animoEt per tanto intendendo noi quale fa la degnita delì’huomo, opur qual fa piu propriamente l’huomo, douete or « dinar l’animo uoflro in tal meniera, che ui habbiate 4 far conofcere neramente per huomo ; il che fard prin cipalmente, fe uoì farete piu intento ad e Cerei tare, gr ad ornare l’animo, che a feruire, zr a compiacere al_ corpo ter fe adopererete Tfentiménti uoflnin quella ÙJo~cJk dalla natura ui fono flati dati-.ZT ciò è,che ui debbiano effere iftrumcnti aUo intelletto,zr mini= flri alla ragione,et che la mortai parpejiojlra habbia ad obidire alla immortale propriam Ite in quel modo__ che fa cangilo acquatterò.Et gueflot quanto al reggi mento di noi in uoi jtejjo. Quanto neramente al con* uerfare con gli altri huomini, hauete à fapere,appro batiflima fententia effere, che l’huomo non è nato fo* lamétte à fe medefmo, ma per beneficio anchora de gli altri huomini, Douete adunque con ogni fludiofa ticarui di aiutare, di fauorire , er dì feruire altrui L E C I N Q_ V E con tutte le uofire fòrze maggiori : er fiecialmente quelli, che fono uermente huomini.Et è quefia uirtti tanto flato, da' fatai commendata, che non hanno dubi= tato di dire , che Dio èaU'huomo chi fa gtouamen-to aU’buomo, Alla cognitione dell’effer e huomo nella propojta tìone noftra feguita quella deU’effire Chriftiano. il che uuol dire, che D io ui ha fatto gratia non folda mente di far ui huomo, potendoui fare uno altro ani* male , o un tronco, o quale altra cofa è piu uile, ma anchora di collocami nella luce della uerita, accioche chiaramète pofiate feorgere la uia di peruenire alla falute. Et douete fapere che ciafcuna natione per Ear bara che ella fia fiata al mondo, pur che habbia bauu-to lume di humano intelletto ; ha con alcuna religios ne honorate D/o : Percioche leuandogli occhi al cie= lo, er datornoguardandoft, qr notalo la gradezza, Cr il mirabil ordine delle cofe, fono entratigli huo* mini in una firma, er uer a opinione, che di quelle ne fa un fupremo auttore, qr rettore, dal quale haué= do ogni altra cofa battuto principio, er hauendo il fo jleniménto, qr il mantenimento, è cofa debita ch’egli fa temuto, qr nutrito, Ma offendo la cognitione di Dio nafeofta in tenebre, ì mortali a guifa di ciechi a tentoni fino andati cercando di quefio Dio : qr quale fi ha finto una, er quale un’altra diuinita.Et fi come le openionide’ Dei fono fiate diuerfe, co fi con diuer* fi cerimonie a quelli fi fino faticati di rendere degno honore, Et anchorche quelle fiano fiate falfi religio ni, fur nondimeno è da crederò che à Dio fifife grata,f COGNITIONI. 4° che gli buomini fi moflraffero uctghi di honorario, Et fidi Beato Agoflino di cjuejìa open ione,che d Ro= mani Dio onnipotente dejje la grandezza deUo I mpe fio per quella loro inuiolabile offeriianza di religio= ne • Et donde uogliamonoi credere che fiano uenuti que’ miracolofi efempij, i quali nelle hifiorie de' Gen tilifì leggono delle felicita di coloro, che r inerirono, Cr delle infelicità di quelli, che dishonorarono i Dei, fenon dalla permtfiione dell'altifiimo , il quale mole iti ogni modo, che gli buomini in alcun modo fiano re ligiofi. Et fe egli remunerati*, gr puniua coloro,che honor mono, er ffrezzauano ifalfi Dei, qualpre= mio, er qual cafìigatUra debbono fferare,cr temere coloro, che riuerifeono, er coloro, che fchernifcono lui uero , foto , immortale , er onnipotente Dio l A noi per gratia è fiata reuelata la uerita con laue= fiuta del S. noftro lefuGhriftq, dd batte fimo del qua le purificati, er della-fua [anta fède illuminati por* tiamo nome di Chrifiìani. Ma ben ci debbiamo ricor= dare che V effer eCbrijìianononconpjìend nome, ma nella offèruanza de comandamenti : che ( fecondo il detto diGìquanni in una fua Epìftola) chi dtcejono* feer Dio, er non, efevuifce-i -fimi comandamentue ÉIL. gtardo, er uerita non e fi lui . Et dice Paolo dialcu m fenuenio,à Tito fcotifèfilino conofcer Dio, er con fatti lo negano.voi fiete amici miei, dice il Signore , fe hauerete fatte quelle cofe, le quali io ui comando, Et chi fa la uolunta del padre mio, il quale è in cielo, effb entrerà nel regno de’ cieli. Et da altra parte fi legge. Voi hauete abbandonato il Signore,®* domai* LE C I N Q_ V E tkìto bàttete il mìo monte [unto, che apparecchiate là tnenfd alla fortuna, er[opra quella mangiate,er he uete. io ui dtinouerero à colpi di feade-.et farete tutti tagliati d pezzi •' perciocbe ui ho chiamati, er uoi no bauete rijfofto i ui ho parlato, er uoi afcoltato non mi bautte. Et dice Sdiamone, che l'empio fuggirà co tutto che altri non lo perfeguiti : il che altronde non auuienc, che dalla peruerja fua confeienza, che gli empie l'animo di terrore. Et ciò hanno intefo no fo■ lamétegli fcrittori facri, mai Gentili anchoraidiche nel gran poema de' Latini fe legge. Si come Pentheo fòrfennato feorge Bete fùrie infernali horribil fquadre, Et duo' Soli, ex gli par ueder due Thebe, O quando Orefte,che fouente fuole A tragici fcrittori efjfer fuggetto, E ugge la madre armata di facelle, Et d’atre ferpi : er uede in fu la foglia Seder le crude Dee uendìcatricì. Et'fi come la macchiata confcictìaflimola i rei,cofì la moda aficura i buonr.pche bene diffe anchora H oratio Qual huomo è giuflo ,crdi cofìante cuore T>a la falda fua mente no’l diftorna Ne terre bil furor di cittadini, Che'l richiegga dicofe men c'honede i Ne uolto di Tiran, che nel minacci ; Ne’/ turbido auflro tempeflofo duce De l’inquieto feniche d’Adria ha il nome. Trabocchi il mondo in pezzi, le ruine Lo feriran, eh’e ì non baura paura, Etquefei COGNITIONI. 4* Et quefiadal fìcurezza di animo fe è in alcuna con* ditione di huomini, è in quelli, che hanno nera cogni tìone di D io : et che in lui hanno fermata la loro fède« Che quefla ci induce poi à uolere facrifìcarc i figliuo li, come già uoUe il padre Abrahamo ; A'facrificar le figlie,come fece lepte ; A' uolergittare i figliuoli ne' fiumi, come Matio monaco di Egitto,per no com=> memorare bora le tante migliaia de'fedeli, che con allegri uolti hanno foflenuto martirio, er hanno abm bracciata la morte. Et fi come cofloro hanno nel eoa ffietto del Signore troiata la gratia , co/? di quegli altri, oltra i tormenti degli animi, fe ne leggono di infèlicifimi fini.Et perlafciarle hifiorie de' Gentili: cr per non ricordare ne Pharnone, ne Sennacherib, ne Herodc, luliano Imperudore prima Qhriftiano,zx appreffo nimico, etperfecutor di Chriftiani( laonde hebbe anche nome diapoflata) ferito a morte, fatto uafo della mano,zr empiutola del fuo fangue,in alto gittandolo, er al cielo gli occhi inalzando,diffeiTu hai pur uinto Galileo ( che cofì foleua egli nominar Chriflo ) fignificando ciò per la fua ribellione effergli auuenuto. Vrracha Reina facendo guerra con Alfòn fo fuo figliuolo, cr mancandogli danari, uoUe leuarne da’ fiacri tempi] j crnonhauendoi fuoi ardire di cotti mettere tal facrilegio , ella temerariamente ui pofe mano ; ma non fenza prefica vendetta, percioche ella incontanente ne cadde a terra morta. Et Honorifico Re de’ Vandali diuenuto Ardano, er perfecutor de’ Vefcoui catholici, fida tal morbo oppreffo, che delle carni fue i pedoahi germogliavano ; er di quello fi ? LE C I N Q_ V E morì. Dio è gia/io giudice, cr rende d c&fcano /é= condo le opere fue : cr quejla è uera dottrina Chri=> jiiana. Et uoi Chriftiano conofcédoui babbiate .fide in D/o : riuerite Dio ; cr temete Dio : cfre (/litio dt /4= pientia è temere il Signore ■ i dite capi, i quali ho piu tocchi, cfce trattati, po= trebbono ba/lare ad ogni perfètta iftitutione, anzi pur queftc folo del Chriftiano, quando altri ne uo-lefjepienamente ragionare. Mapercioche miawten tione è di gioitami, cr di dilettami inficine,ho eletta quefta materia di piu parti compefta, fapendo che fi come Rocchio piu fi inuaghifee in ueder le tauole, che eli colori diuerfi fono dipinte , cof d gli animi piu aggradano le fritture uariatc.Et pertato oltrapafi 'fando, ò1 della nobiltà battendo d ragionare, la quale tenne nell'ordine nefìro il terzo luogo, dico che ella è fiata da diuerfi diuerfaméte di ftinita.Et quale uno* le, che ella fìa una honoreuolezza, che uenga da' me riti de' maggiori : Altri dice che ella cor. fife in uir-1u, cr in ricchezze antiche ; Dd altrui fi tiene che la uirtu fenza altro fu la uera nobiltà; No mancano di quelli, i quali no uoghono,ihe la uirtu faccia nobili, ma che i Prenapi po fatto e fi dar la nobiltatetehi ne dice una cofa,et chi un’altra. Intorno alle quali fenteze io faro contento di hauer tocchi alcuni punti fomma* riamente, cr paffarmene con breuita. Et dico che fe tUa è bonoràza che uenga da’ maggioriate ucrra afe guitare,che qlh, i quali no hanno hau.uto maggiori,che habbiano hamto meriti di honoreuolezza , fe bene efi gli batteranno battuti, fio faranno perciò nobili,et COGNITIONI. ^ 4* hauedo nobilitata Id loro pofleritd, hauerdno lafcid= to dltrui quello, che e fi non hauerannohdUUtoiet coft i nobili hduerdimo hduutd Id nobiltà da' non nobili. Et potrd duuenire ancbord , che i fuccejjbri non ba= tterdtmo efi alcun merito di honore, er pur nondi» meno] faranno nobili, 0“ queUi che hauuto lo haue= ranno faranno /lati uili. Le quali cofe come pojfatto flare io non ho ingegno cofi pervicace, che lo poffa comprendere . Et quanto aUa nobiltà delle antiche ricchezze a me fembra che quefla douera ejfere di poca ftabilitauhe potendo duuenire che colui, il quale hoggi è ricco, domane diuenga pouero, fard da dire che con la ricchezza infume uenga in un punto a pera dere la nobiltà. Che non la uirtu , ma ì prencipi la poffano dare, mi par che fu fentenza anzi da hucmi* ni uani,cr adulatori, che diperfonegrani,0“ amati ti del nero. Quejloè un dire che i Signori pojfono quello, che non può far la natura, ne Dio. Chiara co fa è i che Prencipe ( pergrande che egli fi fu ) dando altrui titolo di dottore ,o cingendogli la jpada, non fard che egli fu dotto, ne prode , fe per altro in lui non fard dottrina, ne prodezza : er il medefmo è da dire dtUa nobiltà; ©* per confeguente che altro ci uo glia che l’appetito di un Prencipe d nobilitare altrui. Etfe lenza altro fondamento i Prencipi potranno no Militare, potranno medefmamente fenzaalcunaca= gione altrui di nobiltàpriuarenl che non fo come f a da dire. De’priuilegqde'Prencipi il mio parerei, che pano anzi giudicq, 0J teftmonianze della dota trinci, del udore, er iella nobiltà altrui; er no che ""f fi"""" LE C I N Q. V E editali cofedonino. Benuorrei io che quefti di/futd* toruli nobiltà mi diceffero tra quali beni di annette* raria intendono. Del corpo dir no poffono.Della fòr tana no credo che profumano. Et fe [ara di quelli del» fanimo,no douera effere altronde che dalla uirtu, Hora 4 uoi il parlar uolgendo. i maggiori uofìri ui hanno lafciata tal [uccefono di bcnorcuolczza,di priuilegij, er di ricchezze, che uoi per tutte quelle openiom nobili fimo fete conofeiuto. Et pertanto aca cioche nobiltà ueruna a uoi non manchi;quanto piu fete per nafeimento nobile, tanto piu hauete da fati= carui di moftraui degno della nobiltà tioflra naturale. Che quantola uita de' maggiori è piu gloriofa (fecon do il detto di Salujlio) tato la dapocaggine de' pofleri i piu uituperofa : Et dice il Satirico Poeta. Voglio anzi che tuo padre fu Terfite, Et che tu fu femhiante al grande Achille, Che fghuol di cojlui colui raffembri. Certi fona cofa è, che la nobiltà hebbe la prima ori= gine non altronde che dalla uirtu : per mezo della quale (- fi come altra uolta ui ho detto ) effendofì alai ni fatti conofccer chiari fopragli altri,illujlrarono le loro famiglie, or nome di nobili facquijìarono. Et d dimojlrarjì altri fuccejfore di alcuna antica nobiltà non bajìa portare i titoli dette famiglie » non bajld pojfedere le poffefioni, er le cajletta de' fuoi bifauo li ; ma fi richiede anchora che conferui la heredita del la uirtu , or che per quella fimoflri degno di effere dal mondo conofciuto.Che gioua,dice Chrifoftomoja thiara generatione a colui,cui imbrattano i coflumii COGNITIONI» 4 f o uero che nuoce la uile generatione i colui,cui t cojlit nù fanno adorno ? voto fimoflradi ogni bene chi fi gloria ne' fuoi padri. A' cofi notabil fentenz* *ggilin gero io,che à tutti i figliuoli di nobile antichità fi può dire quello, che diffe Chrifio d gli Hebrei; Se fetefi* gUuoli di Abrahamo,fate le opere di Abrahamo. Et io a uoi ho da ricordare, che effóndo nato di [angue chiari fiimo : er che intendendo di quanta nobilita fia la uirtu, debbiate hauere à mente un notabilifimo detto di Seneca, il quale èquefio. Quando uorrai ue dere la ucra conditione deÙ’huomó, er fapere quale 'glifi* ,guardalo ignudai deponga'il patrimonioi deponga gli honori, ey le altre menzogne detta fòrtu na : Spoglifi il corpo, ey confiderà quale, ey quanto 'gh fia i Se egli è grande dell'altrui, opur del fuo, inquefta maniera di fiderò io che uot ui defogliate 4 uolere che il mondo faccia di uoi giudiao. uabbiate tutti gli ornamenti della fortuna per cofe, che fiano fiori di noi i ey tutte le glorie de' uojlri maggiori ui fiano per cofe non uofire, Et fateche a quelle non per altro fi riuolga l’animo uofiro,fenon accioche mi rando ne’ domejìici efempij , la memoria loro ui fin una e fia, che in uoi accenda una coft generofa inai* dia, che con efii di gloria coi tendendo,fiate al fine,co nofeiuto tale, che d loro habbiate refo di honorenon meno,che ne habbiate da loro riceuuto. Paffo hora al parlare della età giouenile: cypri ma che altro mi occorre di dire, Che Licurgo dandone le leggi, ordinò che i gioueni infitto alla età uirìle no neUe citta, ma nelle uiUe allenar fi doueffero,accioche F Hi LE C I N Q_ V E lontani dalle delitic nelle fatiche fi cfcuitaffero, Cf robufti diueniffero. Ha erano le fue leggi fritte d priuati cittadini di Sparta, er no per iftitntione di Si= gnori. Perche in uoi concorrendo qualità altre, che da perfona priuata, è da dire, che fi come a uoi piu fi richiede il uiuer nelle citta,er negli occhi-dei gli huo mini di grado ecceifi , er di uirtu eccellenti, che ne' uillaggi, er tra perfine roze, et uili, cofianchor iti fi cornitene attendere att’efercitio della perfona ; md in quella maniera, che a uoi fi appartiene di annega giare , di caualcarc, er di farui fòrte nelle fatiche della caccia , ciò richiedendoli à uoi per difiorui a quella difapitna, alla quale come ad hereditaria glo* ria dcucte hauer gli occhi dell’animo fimpre intenti* B;ce Cicerone ne libri de gli offici],che quefta età pria cipalmente dalle libidini t da tener lontana i er che itt_ fatiche, er in patientia di animo, cr di corpo ha del effere efercitata ; accìoche la loro indufiria fia ap* preffo piu gagliarda nelle imprtfe cofi belliche, come ciudi: Si che da tutte le parti fene leggono dottrine con firmi. Ha pacche queUo, che fi due dello e fieni-tic corporale ordinariamente è in ufo tra caualieri, io reuolgerò il mio parlare àquelle co/è, che no me* no alla gagliardezza dell’animo,che a quella del cor po fi confanno. Vniuerfiale fentenza de' fauij c, che la prudenza nafee dalla efberienza ; er ì fare effe* rienza ci mole lunghezza di tempo. Et fi bene fi kg gono nelle fiacre lettere de gli atti marauìgliofi del fa uere di alcuni giouanetti, cerne di Saldinone , er di Daniello, quefli non hanno da effere addititi in e firn* CO G N I TIO N r; 4 4 pio, per é^ère quelle cofe fiate piu per fapìétia da* taper ifietiale gratia da Dio, che per operatione na turale, si come il fiore della bellezza de’corpi è.nel, la etagiouenile ,cofi quando quello è già caduto,inco lincia a fiorire quello de gli animi. Ne perche alla prudenza il tempo fu necefiario, è perciò da dire, che tutti i uecchi fimo prudenti. Che ne i peli canuti ne il uolto ere fio portano la prudenza con fieco, ma „ la indufiria, lo [ludio, et la dilìgenzaicr tanto uiene in altrui la uecehiezzdpiu honorata, quanto la gio* uentu è fiata piu fiudiofia, er piu efiercitata, Studio principale de’ gioueni dee efiere lo adoperare molto piu le orecchie che la lingua : il che Pitbagora giudicò che /èffe alla fiapìenza tanto necefiario,che la prima cofa, la quale egli uoleua da coloro, che erano da lui alla fina difiiplina riceuuti, era che tacefifiero almeno per due anni : in modo che pur domandare di quelle co fie ,che dubitauano non era loro ecceduto, Ne di Apoi Ionio Thianeofi legge, che in altra cofa egli metteffie maggiore fiudio, che nel'tacere. Et alla coftoro ope* nione conformandoli lacopò Apofiolodice: Ognihuo ma fu prefio ad udire, er tardo a parlare. Et fie ad ogni huomo ciò fi richiede, maggiormente fi conuie* ne a chi è piu atto ad imparare , che ad insegnare „ Hd il parlare una gride fimìglunza con gli fiecchi, che fi conte iti quelli mirando,le fattezze del nifi fi Veggono, cofi flecchiandoft altri nello altrui fermo* ne,uì ficorge ih [tratto dell’animo, Chi tocca un uafior al fiuono lofio fi auuede fie egli è pieno, o uoto ìfiee rotto , o fallo , et à conofieere fie uno jlomento è F Hit LE C I N Q_ V E tuono, non c’è altra miglior uia, che il farlo fonare Et pertanto auanti che altri Uoglia dare faggio dife, dee prepararli dentro di tal maniera ,chefa ritroud to bene adorno, non guafio, ne fcemo, ©- tale, che poffa rendere alle orecchie de gli altrui intelletti dol cifiima harmonia. Non uoglio io perciò dir e,che altri fi habbia à fare tuttauia mutolo : che ci ha tempo da tacer e, er tempo da faueUare. Et il parlare princì* palmente fi richiede che fu odi quelle cofe, che altri fa, odi quelle,che il ragionarne e neceffario. Et per cloche gran differenza è anchora dalle fchuolede’phì lofophanti a queUe de’ caualieri, tanto ho da aggiun= gere, che il parlare può conuenirf anchora là, doue non ci fané molta necefitta, ne molta faenza, fi come è nelle ragunanze delle corti : dout il fcuerchio fleti tio darebbe altrui nome o di ìnfenfato, o di fuperbo : Et gli fi potrebbe dire quello, che diffe Tkeophrafto ad un giouine, il quale in un comito fi ftaua fenza dir parola, Se per non faper parlar taci, fai fauia-mente,fe ueramente fai, taci fcioccaméte.Etin fom* ma in tutte le cofe la mediocrità è daofferaare,come quella, nella quale è lo albergo di ogni uirtu.A' que= fio ragionamento del ragionare, cr del tacere fi ag= giunga, che grandi fimo giouamento è ad acquiflar fauere, il credere di noftpere ; che come altri fi per fuade di efier pieno,chiude le orecchie,er non fi cura di afcoltar piu ne chi gli infegna, ne chTlo ammonifce. Et quanti ce ne fono de' cofi fatti ? Et poi fealtriden trogli riguarda ,gli truoua uefiche gonfiate di uen= to, Voi ne douete perfuàderui di fapere, ne in quelle COGNITIONI* 4S cofe, che dhchora di [aper ui cred et e, doucte coft ofR natamente fermar ui in una opertione,che non uoglia* te intendere chi ui paria in cetraria. Et in quello pro pojìto ui uoglio io recitare uno efcmpio dei uojiro gran padre. Egli auuenne un giorno che ragionane doft di cofe di cauaUerid ci trottammo hauerc egli una er io una altra openione . Et difèndendo egli buina* ìnfimamente la fua, er io con riuerenza la mia,mi diffe che io douefii fcriucre quello, che io fentiua in tal paggetto: Et forridendo aggiunfe, che io douefii lene aguzzar lo ingegno, che la uoleua ( comep dice) ueder con me infino in capo. Ciò feci io, er tornato à lui con le mie ragioni fcritte, egli prontifinnamente le prefie , er pur motteggiado mi diffe,che bifognaua che mi fofii bene armato ; che la uoleua combattere à tutto tranfito. Et appreffio fi diede a leggere : ne fie bene al mezo peruenuto di quello, che io portatogli haueua, che uer me gli occhi dirizzddo,et nelle fedi e ftringendofi, mi dtfje che io haueua ragione. Bello animo uer amente, Con tutto che egli haueffe fientito in contrario,er haueffe cofigagliardamente parlato, er in prefienza di piu gentiluomini, nondimeno fi reputò molto piu honoreuole confentire alla uerita x che uoler moflraredi hauere hauuto cpenion miglio= re, hauendo egli mafiimamente battuto quella felicità di ingegno, er di lingua, con la quale, quado haueffe uoluto, non gli farebbe flato malageuole diofeurare la chiarezza del nero. olirà che a me non era lecito difeutar piu là, che egli haueffe uoluto.Tanto può U ragione in una mente ben regolata, inqueftagioui* LE C I N Q_ V E netta uojlra età adunque fi couicne a uoi di cultiuar l'animo uofiro ,diJfargere in ejfo delle tali femenze di uirtu con la buona canfuetudine, er con la-buona cornerfatione, fe ad honorata mejfe difìderate di da uer peruenire. Grandifiima è Inforza della confuea tudine, intanto che da lei uengono dagli animi molte fiate diuelte le radici delle uirtu, che dalla natura uì fono generateci di quelle de’ uitij ue ne fono in quella ucce trapiantate. Et pertanto fi ha per tempo da cominciare a far buona cultura: er aqucjla è neceffa-rio lo aratro della buona conuerfatione . Vn poco di lieuito( come dice l’Apofìolo) corrompe tutta la pa= fia. Et nello Ecclefiajlico è fritto, che chi toccherà la pece da quella far a imbrattato. Si dilettano molti de' ragionamenti di coloro , che parlano fecondo i loro appetiti. Ma uoi non douete aprire quella porta ,fe non uolete alfine diuenire feruo de' uofiri appetiti, rimntiando la natura deU’huomofil douerdel Chri= filano, er il debito del nafeimento uofiro,er della ue ra nobiltà. La dìlettatione uojlra dee ejfer diufare con quelle perfine,non che piu Infingano le orecchie, ma alle quali piu uorrejte ejfer fimigliante ( ch’io fio* no ben ficuro,che uetnon fete per difiderare fenon honoratiftma , er lodeuolifiima fimbianza)Et per afiimigliarui dioro douete far quello, cheufano di fare i buoni dipintori. Efii ajfifano gli occhi in colo* ro, de’quali uogliono fare i ritratti, Non altramen te uoi mirando nella altrui honorata, er lodata ulta d quella conformate la uejlrauita. Et dal parlar toro uenendo in cognitione de' loro animi, di quelli fate COGNITIONI. 4^ difegnó nel uoftro animo . Siano fempre in cafd uoa ftra j et fatto nella compagnia uofira buomini di auta tori tu grani, e>~ Et hauendo noi in tati te arti, iti tante feienze, cr in tutte quelle co/e , che per nei s'e potuto, tifato il magiftero della medefima ragione pur in difcojlarci da loro, non ueggoperche DI MATRIMONIO, *4 no cefi debbiam [epurarci nei nobilifi.atto della gene* ralioe : Et tato maggiórméte ,che fe io douero uiucr ne' miei figliuoli, come uiucr o io in loro, fe non [apro quali i miei figlioli fi fieno * Là qual co fi ,cio è il no co no fieri figliuoli ; mofira eh'alcuna uolta tato piacejfi al (p altro) diuin Platone,eh e il mafie d direbbe bene fiato farebbe,quàdo le donne fiate fi fiero comuni. Ma none meftiere,che io mi flenda intorno à fila materia co piu parole, nò hauendo mafiimaméte fila Platonica opemoeritrouati(grd fatto) riceuitori; Et offendo il ntatrimoio (come ferine Paolo àgli llebrefhonoreuo le fi'a tutte le nationi. Et aggiungerò io honore noie anchor apprcjfo il meiefimo Platone : Che hauendo egli altroue ordinate le leggi, con le quali s'hauef* fero ad honorare i De/, principalmente fi uolfealla ordination di qucUe del legame matrimoniale, quello con lode celebrando; er coloro condannando, i quali nel tempo prefritto non haucfiero mogli prefe. Et ' mi forni enc bora, che mi è uenuta fatta mentione di quefia Platonica condannacene, che in uecedi feuca nta nella legge Mofiica fi ufi gratia er benignità. lmpercioche in quella fi legge, Che fe bucino hauera moglie prefa,non andra alla guerra ; Et a lui nò [ara impofla alcuna graltezza di joldati: ma f ara libero di ogni carico per uno anno :Et dar a confolatìone dfua mogliere . Ma per ritornar colà, donde fi partì il mio ragionamento : E [fendo il matrimonio ài tanta antichità, di tanta nobiltà ; di tanta et di tale utilità i Et da ogniuno tanto honorato ; Et per la finta legge V cofigratiofimète priuilegiato ; Et per dir meglio TRATTATO da Dio ordinato a fine dì accrefcer la generation di coloro , che babbìano ad adorar la diuinita : Et per tnultiplicar le diuine imagini, le qualifiamo noi, ra* gioueuol cofaèanehora, che [untamente, crriueren temente fimo celebrati i fuoi dolci,er fanti mifterij. la qual cofa intendendo anchor il già nominato P la-tone conforta i maritati che a que'[acri congiungi = menti fi babbìano d conducer fobriamente,et diro cofi, quafi con deuotione. Di che nelle [acre lettere fe ne hanno effirefii comandamenti. Se a congiunti in ma» trimonio adunque tra loro fi conuiene ufar tanta ri= uerenza, con quanto rifguardo norreni noi dire, che babbìano da guardarfi da ogni flraniera,zr no legitti ma congiuntane ì Debbiamo cìafcheduno di noi con ogni diligenza conferuare i corpi noftri immaculati, Cr netti da ogni bruttura carnale, per non macchia re il tempio di Dio, ( come fcriue l’Apoflolo d Carili thij ) che il corpo noftro è il tempio dello Spirito fan* to, il quale habita in noi; Et il quale habbiamo da Dìo : Et che noi no fumo di noiflefii ,fi come coloro, che per prezzo fiamo fiati ricomperati. Or fe à co loro, che fono foluti c comandato, che debbiano fuga gir da ogni immonditia, che doneranno far quelli,che per legittime conuentiom, er ftipulando Dio gli firu menti, uno ad altro non folamente fi obliga, ma rima nendo di effer di fe medefinto, d’altrui dtuenta ■ Che douete fapere, che ne’ contratti matrimoniali l'huoino perde la fignonadel corpo fuo er fi fa della donna ; Et lagiuridition del corpo della donna uiene a farfi dell huomo, fecondo che tefiifica il Dottore delle gen DI MATRIMONIO. SS ti pur i Corinthij fcrìuendo. Et debbiamo noi quelle parole dì lui hauer per una fentenza da Dio,non che fimplìceniente data, ma con [angue di fua mano au* tentieata nella fua fanti filma legge : nella quale con* dannò alla morte coloro,che in adulterio fòffero fta ti ritrouati. Et per non mancar in parte alcuna alla efecution di coft fatta legge, formò la fomma gìufti-tia anchor la legge della gelofia. per la quale fenza altri teflimonij poteuano i manti per la fola [offri* tiene chiamar le mogli loro dauantial facerdote:Et egli con le ordinate cerimonie le apprefentaua al co= Jfretto di Dio: Et quìui le fcongiuraua,et maladiceuai Et apprejjo daua lor bere dell’acqua amara d quefto effetto preparata ; la quale haueua uirtu di fare fcoppiare quali con altri huomini, che co’ loro mariti fi fòffero me folate, fenza punto offender quelle,fo= pra le quali [alfa openione d’adulterio fòjfc caduta * Veruno femplice foffretto era lecito il domandar le mogli in giudicto, er per pochi et fempliei teflimonij erano elle alla morte condannate, fecondo che di Sufa na fi legge, & de’ falfì uecchij. Et nondimeno uolle colei più toflo effere a torto mandata à morte, che uiolare la inuiolabìl legge della pudicitia. Uà che par lo io di quella fanta Donna nata, er nodrita nella luce deUauera legge ? fanno le Romane hifloriemen itone di popoli di donne, er di donne Barbare, lontane dalla cognition di Dio, Ubere da ogni legge,che per feruar i corpi loro immaculati a mariti, era ma riti morti, con la morte a loro confacrarono la loro fède. Rotti, cr/confìtti Tedefchi da Mario, le loro TRATTATO mogli [applicarono al vincitore , che egli uolejfe dì loro fare un dono ailcuergini Ve fiali, con le quali elle intendeuano didouerperpetua caftita firuareiEt quefia gratia effondo loro da lui fiata negata , lafe= guente notte elle tutte s'impiccarono per la gola. Mc= mòrdili efimpio, ©" neramente tale, che fi può ben dire piu gloriofe effere fiate le donne Tcdcfibe, che il uincitor de' Tedefchi. lo fio, che rammemorando quefic co fi con uoi; elle non ui hanno ad effere altro, che di grddifiìma confo latione offendo mafiimamentc la intention uofira ta= le, che fi come ella à quefie fintenze già s’era confòr mata, io non dubito punto, che a quelle la ulta nofira non fi habbiaparimente a conformare. Che ufiito no mi e di mente alcun uojìro ragionamento già fatto meco della impudicitia di molte maritate : le quali ne gli occhi uoftri piu parcuano degne di effer annoue-rate tra ogni quatunque uil conditiondi perfine, che tra le religio fi ( diro cefi poeticamente parlando) del fantiffimo Uimeneo, Santo legittimo amore,Et [anta maritai fide quaa to debbono effer filici coloro, a cui Dio fa gratia di fi fatta compagnia, che honeftamente,CT finzd fiffi= tion uiuendo, poffano infieme lodarne la fua perfètta bontà. Et qual cofa può effere d gli huomini piu di= fi ierabile f certo ( ch'io creda ) niuna. Le amicitie fi peffono prendere, & lafciare i I jignori,er fi /èra uitu fi mutano ; I padri, &• fi madri s’abbandonano : Il fimigliaiite fifa de’fratelli, er delle fonile: la yaoghcre er il marito , da che mogltere cr marito DI MA TR I MONTO. $6 fono diuenuti, altro che morte non gli può [epurare* Hanno da uiuer non pur in una medcjma citta, ma unchor fotto i medefmi tetti ; 1nfìeme ha da effer la Ulta loro; Comune è loro la proffera, cr lacontra= ria fortuna: comune la menfa; comune il letto ; comti ni i figliuoli; er comuni tra loro i loro fhfi corpi ; anzi ( comes'e detto di [opra) quel dell’uno dettai* tro ; o pur non due , ma uno ifleffo corpo, hauendo detto il.fempiterno padre, che farebbono due in una carne.Ora in tanta cogiuntion di corpi qudta uorrem noi dire, che habbia anchor ad effer la union dell’amo re, er de gli animi r Fermamente non dee ella effer minor e, che quella de’ corpi, effondo la principal ca tetta, che d queftò nodo ci accoppiagli animi nojlri, er, le noflre uolunta. Doueraiino adunque effereje. per fotte congiunte in matrimonio di uno animo, er di una uolunta : Et furano ittjieme quafì un corpo, et una anima : il che fura non folamente a loro di traqutUa uita, ma anchor faranno graditi in terra,et in cielo... fecondo che neU’EccleJtaflico fi legge, ione è fritto, Che.tre cofe Cono emendate nella tir e lenza di Ciò, er de gli huomini, la concordia de’fratelli ; hmor del prò fimo : Et il marito, er la moglie, che tra loro bene fi ccnutngono, Qui aggiungerei io molte hifto ntdi leggittimo amore, quando iftnnafi, che no piu i diuini comandamenti, er la ragione, che alcuni hu mani efempij appreffo di uoi douejfero ualcrc : o ati= chor quando à ciafcuno no foffe agetwle il ritrattarne: Et pur non mi rimarrò di dire, Che da Pbedro ap= preffo Fiatone è femmamete celebrata Alcejìefiglino TRATTATO ld di Pclid : ld quii tinto ardentemente imo il mari= to fuo, che ella in ifcambìo di lui fi codufje ì morire. Et aggiunfe egli, che quefto amorofo atto di lei fa no che da gli huomini lodato, ma da Dei tanto emenda» to,che da morte in uita la ritornarono. Hora l’incominciato ragionamento noflro feguìa tandò, Non uoglio lafciar di dire, che in quefìa matrimoniale congmntione, er amore, fi ritruoua una ( diro co/i) difegual unione , o pure una unita difa~ gtiaglianzi : percioche offendo naturalmente la dona aU’huomo [ottopodi, er hauendogliele la fuprema potenza fatta [oggetti,l'huomo uiene ad hauere auu torita[opra la donna; ma non perciò tale, che ella in Tirannia fi habbia a conuertire. Che dall’ Apojlolo è fritto a Colo/fenft, che i mariti non debbiano effere acerbi contra le loro donne, Et nella Epiftola à Phi= lippenfi fi infegna quale habbia ad effere la loro mag gioranza, LÌ doue fi legge, Mariti amate le donne uofire, fi come Chriflo ha amata la Chiefa, che s’è da to [e medefimo per lei per fanti ficaria, et mondarla con l’acqua del battefimo. Et per raccoglierla à [e Chiefa gleriofd fenza macchia, o creffa, o altro difètto ,acciocheeUa[òffe f anta ,& libera da ogni ri= prenfiane, Cefi debbono i mariti amar le mogli,come i loro proprij corpi. Chi ama la moglie ama fe fieffo. che non è alcuno , che habbia in odio la propria fai carne ; anzi la nuirifce, er la accarezza, come fa il Signor la chiefa ; pcioche fìamo membra dì uno me= de fimo corpo. Et quel, che fegue, Et uer amente dee il marito amar la donna fai come parte di fe cli ché nemoftrò D 1 MATRIMONIO. f 9 ne mo(lrò anchora il fiòttimo fattore, quando formo della cojla del primo buomo colei, cui egli gli diede appreffoper cbpagna : Et dalla colla piu,cbe da altra parte la uolle formare, per farci intendere, che non Holeua^chs tie ella à, lui/òffe fuperiore}nc tanto fog* getta, che l’huomo la fi douejfe porre fotto i piedi; ina che come parte di lui da lui douejfe effere amata : EUhe ella à liUMMe. a capo fuo douejfe affettile er riuerenza portare. il che ottimamétemoflra che in= tefo foffe da Sara ( fi come bene è notato da Pietro Apojlolo in una fua Epiftola ) conciofucofa che humi le, et obediète ad Abraham,lo chiamaua fuo Signore. Et qudto è lodeuole l'efempio dicojlei, tanto è da bìd filmare quello, della Rema Vafti ; la quale mandata ì domandare dal Re Affuero fuo marito , che ella à lui andar douejfe in habito Realeiche egli dell’affetto di lei uoleua honorare i popoli, gr i Prencipi fuoi> Ella recusò d’andarui : là onde fu giudicata per fentenza de’fauij del Regno, ch’ella no era degna di effer Rei* ita :-Et che il Re del matrimonio [uo,et delRegnopd rimente la doueua priuareill che egli fece incotanéte^ Et qudto la fupcrbia,ct la dìfobediéza humiliò cojlei, tato fu dalla bumilta efialtata l’obediétifima Hefter, la quale al medefìmo Re in matrimonio cogìunta meri to dì acquìftar l’amor del marito, l’affvttion di tutto il Regno,er la gratia del fuo,et nefiro Creatore. €on quelle regole ; con quefte ragioni ; con quefli efempiji col leggiadri fimo ttoftro intelletto; et col fan to proponimcto della mente uoftra, et della férma uo flra uolunta regolando uoi la ulta uoflrafio nbdubi* H T R AT. DI MATRIMO. topunto,che tió fidino p uederein uoi un nuouo e fan pio di cafto umore, et di inuiolabil fède. Gid auuifo io di uedere in mi quella donna, la gratia della cui uer gogna ( come fi legge neli'Ecclefìalbico) è piu che oro preciofa : quella, che raddoppia gli anni del fuo maria to:queUa,che da Dio e data all’huomo p le Jue buone "Operationi : Et finalmente quella, che fi come il Sole adorna co la fua luce il mòdo,co)i l’ajpetto di lei t or namenlòdella cij'a fua. Taie 7uu!)oio, che donerete efjer’uoi faccio in colai guifa al modo manifèllo, che della uoflra paffuta uita ne è fiata cagion necefiita-.zr di quella la uoflra libera uoluntà. che nel paffuto ui ha trasportata la fortuna er che bora ui gomma la uoflra uirtu.Et flit doucte uoi fare,effendo couene-uole cofa che debbiate feruar qlla legge,alla quale uoi da uoi fleffa ui fete fottopofla. Et fi il faperete uoi fa re,cociofiaco fa che tale è l'ingegno uofiro, che alcuno nò ha da dubitare, che uoi per mancamento di quello debbiate mancare. Et fi il potrete uoi fare,percioche niunacofa è imponibile a, fare di fe. mede fimo d chi uuole.Et fi il uorrete far ciche je di férma deliberatio uojtra no foffe fiato il cofi uolcr, nò ui farefie da uoi medefima legatacelo noui induccdoaltroxhe la prò pria uoflra uolunta. il farete adunque uoi: Et in ìjfid maniera feruddo la diurna legge con honore pafferete la uita uoflra nel coietto de’ uiuenti : Et effendo ( come dice Sdiamone ) la corona del marito twilro.cÒ lui in perpetua pace amerete; Et ultimaméte farete figliuola dell1 Alti fimo. A GLI ILLVSTRISS. S. FABRITIO COLONNA, EX S. DONNA HIPPOLYTA gonza g a colonna, I L M V T I O ~ Trvrt inopoli r ami. E R antichifiima confutili* dine è fiuto introdutto, che netta celebratione delle di* triu nozze gli amici,et i fer nidori con alcun dono uifiti= no i loro amici, & i l°r0 Signori. Et di qui fi nede che a’ nonetti Spolì quegl f dppr e ferita pretiofe gioie, quell'altro cofe d’oro cofg, f ommo artificio lauofate, da coki uenzono portati_ 'panni finì fiimi; quinci apparifcono dette ricchezze del_ ^ conditioue, er del fuo hauere ordina ifuoipre= f enti. Aid fe gli altri feruidorì uofiri, Signori miei ittuftrifimi, in quefta folennita dette ucftre canfolatio ni fodisfanno al debito loro di que’ beni, de' quali è fiata loro cortefe la fortuna,che douero fare io ,fe ella dì ogni fuo dono fi è a me fanpre dimojìrata aua .................... " H fi ri. inolierò forfè io folo dpprefentdmi à uoi conte "trióni del tutto note i Io dubito forte, che quando in tdl mdnierd ui tienifi ddudnti, uoi giudicberefìc che d me piu (òffe mdncdto L'dnimo, che il modo di ddem= pier il mio dovere. Là onde per ifchifxre qucfio peri colo ho meffb mano à di quelle ricchezze, le quali fo= no fuori della difnbutione della maligni fortuna, crUTporto un nuovo donò~, er un dono di quelli, che di'piu eccelft dnimi fono trdgli altri doni con piu lieta fronte ricevuti: Ne fetizi ragione ; dii zi debbono quefti citra gli altri effer tanto gradii ti, quanto quelli fono opere dimani , o~ fi-utti di terra , là doue quelli fono lavori gentili fimi, cr parti eccettentifiimi della nobilitimi parte di noi, che fono gl’immortali tiofìn animi. Et fi come quegli ad ornamento, er à nutrimento de’ corpi fono fatti et generati, cofidi quejìi gli animi fi adornano, er le anime fi nutrifeono. il mio dono adunque fintale, che ( per quello che io creda ) ninno ne ballerete uoi 4)duuto,che piu atta celebrità del ucjlro matrimonio fi confaccia ; pacche uoi trouerete ragionar fi in quefte ■carte di quel facramento, nel quale uifete nuouamc= te cogiunti : Et leggendone uoi ui uerranno perauuen tura vedute di quelle cofe, che piaceuole utilità, z? utile piacere ui laveranno à recare . Et un folo dono apprefento io ad dmendue : che effendo uoi per fanto congìungiméto fatti di due uno,no ft coiiueniua à me,del matrimonio parlando , feparare una cefi fanta unione. T RATTATO DI MATRIMONIO. O S A alcuna non è fotto il fole , la quale uerdmenFeljt pofj'a dire effere cófiperjet? IdfchTèfìa alcun* oppofitio,, , rie non patì fot .Et per tanto - : gnojì, dannare arichora te lo fc.laudati fime ,Jècon d o che eia loro fi lodano aneboa ^djjuelte ,cbe fono biajimeuòli, datinofe, er uitupeà rt>/e . Ne lolàmente per efercitatione di iagegnopuo duuetùre che altri biafìmi le cofe lodatoli, ma per ha uerne anebora una coiai peruerfa optinone, come Jt ueae tutto di ì’parerTde gli huomini effere in molte cofe diuerfi, er contrarij. Et ciò accade non folamea te tra le perfone particolarifma tra le intere natiori uato dall’altra. Et no che dltrd cola. ma de eli Aitati ti popoli di' Africa fi legge, che e fi haueuano per coftume di be/lemmiare, cr di maladire il Sole quado leuaua,z? quando fi coricaua, per cicche credeuano che egli alle campagne, er alle perfone loro foffe no duo. Et fe quel lume celejle, il quale è fonte di luce, H ili TRATTATI occhio del cielo, ornamento del mondo, er padre del la generatione ,habauutochi coji acerbamente lo ha perfeguitato. mncmarauhlU Ce anche le altre co fe alle punture delle altrui lingue fono fottovcfle. Qjitfco dico io , pcrdoihe non ci fono mancati, er tuttauia non ci mancano di coloro, i quali dannano, come mala cofa la fantifiima congiuntione matrimoniale : a' quali in fomnia ,fe tfi di matrimonio non fono nati , fi può rispondere , che altri non fi ha da jnarauigliare, [e non legìttimamente nati dannano la legittima generatione : Se ucramente hanno pur hauti to il na scimento loro fecondo le leggi, dir fi può, che da dannare fano que’ matrimoni], donde fono nati epe’ tali, da che ce fi infelicemente fono flati cotratti, che di efii ne fono ufeiti i loro dannatori.Eon uoglio_ , dire io ,che nel matrimonio non ci jlano delle noie,et delle mole/lie : ma doue no ce ne fono in quejta nòjtra __ Ulta mortale j Tra tutti gli ftudif no/lrt l'ììchltpufti fenza alcuna comparatione fono reputati l’efércftio ielle arme, er il dare opera ode lettere : Et nelle arti,er nelle fcier.tiedi quelle,erdi quefixchiuo~ lefje commemorare (lafctamo flare i pericoli , er le morti ) quante jlano quelle cofe, che patifeono i corpi noflri, er i nojlri animi, batterebbe fùfgctto dà feri ucr e troppo piu che io non intendo difare Iti qucjìo , che bora ho tra le mani, il Principato c cola honora tijfima. Et in quale fiato di ulta fi fentono tanti tra uagli, quanti nel gouernare git imperiis er i regni l Honcjtifimo è il reggimento delle Republicbe.Et do uè fono piiifajìfdij l maggiori affanni f piu granf DI MATRIMONIO. 60 perfecutionj i Ne conditione alcuna di uitd c (per fèli ee che dlafu iftimata ) che non babbia la fua parte di fiUecitudine, er di grauezza. Anzi quanto mazzio-fifonogli honori, et le utilità di ciafcuno, tanto gli è dattomaggiorpefodipenfieri^didifpiacerL Per che quantunque nella uita matrimonialeci fi fenta aU cuna molefia, altri non fi dee prendere ammiratìcne fe ella non ha battuto da Dio quel priuilegio dì efen= tione, il quale a niuna altra in terra è fiato coceduto. fàafe il matrimonio ha battuto de' biafmatori,no gli fono da altra parte mancati de’ nobili fimi laudatori. Ne fo qual maggiore teflimcniaza di lode gli fpoffa rendere da alcun mortale di quella, che gli f rende dall umuerfal confentìmento dì tutto il mondo, nel quale non ci ha natione alcuna, che il legittimo congiungimento dell’huomo , er della donna, come cofa bonoreude, non babbia riceuuto. e/ fe in alcuna la cornerfattone de mafchi con le ftmìne è pur fenza di ftintione, quegli fono popoli fenza leggi, er fenza coftumi, che meritano anzi tra le ftre , che tra gli buomìnì effere annoueratì. Tali fi legge ejfere fati i Garamanti itali furono già gli habitatori di Corfì-ca,ordì Scotia,er delle altre Barbare nationi, le quali poi come f fono ridutte alla hmanita, er alla regola del uiuer ciuile, cof hanno i matrimonij prin cipalmente abbracciati, er alla confitfone della genes ratione hanno dato il bando , gli adulteri] dannando, er confeuerifime leggi quegli caftigando. Ei a. que= fra tcfìmonianza, la quale detta habbìamo ejfere fa* ta re fa dal modo al matrimonio cof generale, aggiwt H i i i i gerò io anchora la particolare de’ Romani potentif* fimi, er de’ Lacedemoni) fatiti fimi, che inverna Ai Cenfori fi trottano effere fiati confidati i beni diper= ‘fonc, che fenica prender moglie erano alla uecchiezzd peraetmti. Et’in Sparta battolano tre hggidimtri monto : la prima condannaua quelli che moglie nfrpi= gliduano : la feconda quelli che tardauano a pigliarla: la terza quelli che nel pigliarla no feruauano i modi debiti, er conuenienti. Perche no fenza ragione dice il Philofopho, che aU'huomo dulie fi richiede pigliar moglie no follmente per la generatione de’ figliuoli ma per commoditafo" aiuto dellauita. Et dì Vhocili de Jì legge "quejia bella fententid. Non paffar la tua aita fenga moglie, Accioche fenza nome al fin non manchi : Già fofii generato‘.generando Alcuna co fa rendi alla natura Hor intorno alla celebratione de’ matrimonij, fi come diuerft fono diati i cofiumi di diuerfe nationi, cofì ne fono anchora fiati di dannabili. che già furono di quelli ,che mandauano le figlie a'porti delle marine a guadagnarfi le doti. In Lidia era lecito alle gìouc ni auanti che prende [fero marito goder fi co* loro ìnna morati. In Media,m Pcrfta, in India, er w Stho* pia le madri a’figliuoli, le foreUe à fi-atdlì, et le nia poti, er le duole ben fer_ uire à due Signori, Vno Duo bene lìenorezziare d mol ti, er hauer molti foggettì. Et il dare ad una donna molti huomini è dare ad un foggetto molti Signori. Per legge naturale adunque, er per beneficio della humana generatione farebbe molto piu conueneuole la moltitudine delle moglieri,che quella de’mariti. Md per la uera legge diurna ne l’hauer molte mogli, TRATTATO ne l’hauer molti mariti fi richkdc:cb'è fritto;far ano due,et no tre,ne quattro,ne fei, in una carne. Et è in tato [labilità qfta dottrina nel Vangelo,che benché il marito lafci la moglie,o la moglie il manto, infin che l'uno et l’altra uiue,ne l'uno,ne l’altra puopreder nuo ua moglie, ne nuouo marito, anchorche la feparatios ne fia fatta per cagion di adulterio ; che fe bene i corpi non fono uniti, non perciò fi difunifce quella unio* ne di fpinto, la quale è fatta nel confentimento dela l’un a , er dell’altra parte nella prefenza delfommo Dio . Et quefia è quella congiuntione , della quale C bri fio parla : Quegli che ha congiunti Dio non gli fepari l’huomo . Per quefia legge adunque fi come è dannata la moltiplicita de’ matrimoni'], co/? anch'ora uiene tolto uia il diuortio ; il quale gli Ùebrei intro* dujfero piu per appetito , che per alcuna ragione. Et a Romei il primo, che licentiò la moglie , à ciò fi mofje, percioche ella non por tana figliuoli: ma poi pafiò la cofa tanto auanti, che di quelli, che haueua* no donne atte à generare, ne accomodauano gli ami* ci, accioche anche efii potejfero battere fucccfiione. Noi; ci mancano di coloro, a quali pare grane cofa il uiuere Jempre con una , er con una, la quale molte ttolte non è conforme d fuoi coftumi ; er haurebbono per buona ufanza, che licentiando una moglie fe ne poteffè menare un’altra. Ma cltrache quefto farebbe contra ogni dmina infiitutione , ho da dire io, che ne tanti rammarichi, ne tante querele fi udtrebbono tut to di, quante fe ne odono, fe gli huomini prendeffero le mogli con quella intentione, con la quale i inatri* DI MATRIMONIO, )i non ui fi bada affettare . Diqui uengono poi le liti, et k-querele ì la menfit amara ; il letto lagrimofo ; le uigilie tur= late i i fornii travagliati ; er le cofe peggiori. A[coltami dìffeTangiolo Raphaetto d Tobia, Et io ti mo= firerochi fono quelli,[opra i quaii'ptw battere autto "mPtta il DimoniorGel&ro, i quali il •matrimonio in tal modo ricevono , che da /ir-, er daUa-k>ro-mertte-&io diacciano, gratta loro libidine copi vedono in quella ~gui[d, che- fa cavallo',' er mulo, ne’ quali non r-tfi= tettetto , [opra di loro haauttorita il-Dimonie Ma [egli huomini,[e le donne con riverenza à Dio, er à [uo honore, [e con purità di animo, er con [an ta intentioné, [e co' debiti modi, et co' legittimi mezi atta [anta cangiandone fi conduce fiero ( che quello c quello, che l'Apoflolo chiama maritar fi nel Signore) altro fra loro non fi /entir ebbe,che pace, quiete, er dolce affezione : ne altro da loro fi gufìerebbe, che frutto di charita, er di [antificatione. Percioche in cotal modo uerrebbono ad cficrc veramente partecipi di quella beneditene,la quale detto s'è che Dio diede da principio DI MATRIMONIO. Et che dal contrario il contrario ne riefice. Et pertanto ad una epa di tanta importaza no [idee coducer cogli occhi chiufi chi non uuole poi pentirfine, et dannare appreffo il finto matrimonio della propria fua colpa. TRATTATO Et per cominciare homai a riuoltar queflo nofiro ragionarneto uerfo il fine, dice Hefiodo Poeta à chi ha in animo di pigliar donna, Fa che la moglie Tua principalmente Perfonafia de la tua uicinanzdi Guardati ben intorno, ch'à uicini Allegrezza non portin le tue nozze » Et ciò dice quel Poeta ,percioche tra uicini fogliano /fiejfe uolte nafeer delle gare, et delle midie, là onde dell’altrui male fentono dilettatone. Et queftafen= tenza di prender moglie tiicina fu da lui detta per ri /petto delle perfine priuate ,i cui nomi fono ofcurìt ne fiflendono fimi de' domefiici pareti, Che i Prena le famiglie lllufiri ,come quelle [crfifin alto fono collocate , in tutte le parti fi ueggono, er per tutto rijplendono propriamente come il Sole ; il quale quantunque lontanifiuno è [corto da ogni mortale, pur che altri non habbta la uifla impedita. Et fi come tra il popolo mani fono coloro, che hanno le habitas tioni congiunte, o non lontane i co fi uicini fono tra /0= To i Prencipi, da che per qualità di coiit ione, er per altezza di nobiltà fono congiunti. Sara adunque fiata adempiuta da uoi Eccellente Signore Sposo la dot= trina di Hefiodo, da che bautte prefa moglie uicina; Et per hauere piena infirmatione delle qualità di lei, per la luce della famiglia lUufirifiima,et per lo fplen dorè delle uirtu chiaritine di chi la ha generata ui farete ben potuto guardare dintorno , cr hauere la teftimonianza del mondo delle fue conditioni, a'me no accade per honorare la honorati filma uofira spoft DI MATRIMONIO. 66 andar cenando legione ne de’ fuoi auoli, ne de’ fuoi bifauoli ,nede’ fuoi maggiori, i quali hanno inalza» ta la caja Gonzaga là doue ella fi truoua. No» nomi nero i molti, er ualorofi cattali eri del fuo legnaggio, i quali a di tiofln hanno acquetato fior di gloria, er fiorifcono in quella età . No» ricorderò le uirtu di quell'lUuftrifimo parimentecr Reuerendifiimo fuo Zio ,il quale oltra l’bonore della rara er eccellente fui dottrina, non lafcia che altri di lui poffa detemi tiare quale egli fiapìu,o Prcnapcgiujlo,oPrelato^ relitto lo. BdItano a lei per coronarla di gloria i do* tneftici fi-egi. Hauete uiuo, et prefenteil ualorofifii* ino padre di lei, il Prencipe Don Ferrando, il quale dalla fua tenera età co fi in imprefe di guerra,come ingouerni di Siati fi è dfmoffrato tale, che può altrui elfère propojto per regola di giuflitia,etdi udóre* Egli effendo Capitano generale de''càuaUi leggieri alla guerra di Napoli* fu principale auttore di con* ducere in necefiita l'efercito Fràcefe » onde ne nacque la disfattone dì queUo . E gli fotto Firenze tra gli altri molti honorati fuoi fatti col fiolo fuo petto fio» flenne l’impeto de' foldati Spagniuolì, et Italiani,tra quali fie efifio non fi interponeua, fenza dubbio fareb* bono efii uenutiaUe mani con grandi fimo danno del lo tmperadore ,& con perdita ài quella imprefia. Et fatta la imprefia conferuò la citta di Firenze, che ella non fu fiaccheggiata, er malmenata.Egli in vngaria er à Tunigi fiempre refe honoreuole dimofitratione dell'ardir fino, et del fino configlio. Egli in Prouenz* fi può dire che fola faceffe notabile fattione, che à I ti Erugnola col ualor fuo, crcol fuo auuedimento con molto minor numero di gente uinfi il maggiore,?? ft fece Signor di quella terra,?? delle perfone di mas gnanimi Capitani. Egli in Sicilia usò tal gouerno,che congiuftitia mantenne quella lfola in pace: con prua denzd prouide a’ pericoli di fiori ; con grandezza dell’animo à quelli di dentro, rimediando dpericolofi abbuttinamenti de’ faldati Spagnuoli : ?? infieme ina fìeme ft fece cono fiere non meno atto a gcuerni ciuili, che a quelli delle arme. Egli ad Algieri anchora con= tra la fortuna fece la fua uirtu manififla ; che coflate ne' pericoli prefinti, ?? prudente a prouedere à fùa turi fìi principal miniftro di confiruare l’efercito Ce= fareo, cria Zefarea armata.Et principal miniflro fu egli nelle imprefe di Erancia cofi ad effeiitlom di guerra, cornea trattamenti di pace. Taccio il pre= finte gouerno di quefto flato, er delle arme lmpea riali in Italia ; le quali due cofi da lui fono amminh firate in maniera, che ne inquefta, ne in quella al* tri non jiauuede che egli nella altra Jia occupato ^ TÌqucfie cofi, effe io ho di fopra tocche,quandodea gno fcrittore nefaceffi degna deferittione, Credete uoì Signore che fi ne trouaffiro molti degli antichi Capitani, che gli fiffi.ro da anteporre ? Ma er di lui daranno memoria a pofleri le hi fiorie : Et noi firma» tno non hifloria, ma celebriamo le uofire nozze . Et al dire della nobilifiima uoflra Spofa ritornando : Poi che delle donne principalmente fi ha da ricerca« re come ffierar fi debbia che ne’ loro cuori habbia da fiar uerde la pudicitia,in lei dal ceppo ne potete fare DI MATRIMONIO. 6y Sgomento , che la Virtuofiffma Signora Ducbcfft fUA Mola offendo giouinctta rima fa uedoua diede tofi fatu teflimonidzddei fuo cuftocuore, the elld i tute te le Prencipeffe , er Signore del Regno di Napoli propofeuno efempio degno di immortdl memorid. Et ld pudicif una Signord Prencipeffa fud madre, fìgliuo ld di quella mddre non meno di uirtu thè di cdrne, fuol dire, che cUd tonferud ld fède mdritdle non tan* to per rifletto del fuo Signore, qudnto per honore di fé. Di thè in luiuiene ddempiuto uno nitro detto di lei, il qudl è, Che ddpoi the gli huomini hdnno poflp l’honor loro neUd bonetti dette mogli, beati fi poffo*.. notenercoloro ,à qudli Dio concede donne,thèamati tifìano di honort. Da coli fatte piatii è'qudli frutti di hontjtd fi debbinno affettare ne' rampolli, è ageuolé cofd à ciafcuno il farne giuditio . perche di do Idftidtt do il parlare ho da dirui, che da una altra cofd ancho=> ra potete uoi far concetto nell'animo uoflro di certi Jferanzd di felicità: orcio è dada giouinettd età,di lei, ld quale quanto è piu tenera, tanto è piu dtti_ _ dUa maritai difciplina, er per confeguente piu dgea uole ì diuenire non Ipiamente un corpo, ma dncborcL uno antico interne con uoi. Di che oitimamete da uoi /i ueae effere anche ojfèruato uno altro comandameli to del Poeta di fopra nominato. Pache tu pi gli moglie uergineUd Accioche infegni à lei cafti coflumi. ®ora à uoi mi riuolgo gentilifiima Signora Spofa, per dina che ne a uoi da fapientifimi ucflri Signori padre , er madre è flato proueduto di Spofo, che . I Hi TRATTATO d'hctuer uoi non fìa degno.Et per non uì fare d dipilt ger lui, che ui è prefinte, piu che babbi a fatto di uoi a lui : per non parlare de gli honori , er delle degniU ieU'Eccellenti fimo filo padre : per non t effer e una biftoria della nobiltà, er della grandezza della chia=> rifìmacafa Colonna: Per no dirui che di quella fono ufciti i Pompei,i Proferii M. Antoni),et i Fabritif, mi rtf Tingerò adinu folamente ,che quando nella ca fa,doue nata fetenon hauefte gli /pecchi dì pudicitia, che uoi ui hauete , ne trouerefte uno coft chiaro nel petto della Valorofìfima madre di lui,che in quello mirado potrefe fi bene firmare, er adornar l’animo uofìro, che non meglio può feruire d gli occhi uojlrì corporali fpecchio difìnifimo alcun chriftallo. Che per raccoglìerui in una parola tutto quello, che in molte 10 potrei dir di lei, pila fa dubitare il fecolo nofiro tra la nobiltà del reai fuo [angue,le bellezze del bela lifimo fuo corpo ,&• le doti dello eccelfo fuo animo, quali fi pojfano dir e,che in lei fi trouino maggiori. Io mi finto opprimere dalla grandezza, er dalla turata di tanti, et di cofi honorati fuggetti,quitti, et quali nella cogmtione di un cefi granparétadomifì parano dinanzi. Et (e P un filo Soie fi abbagliano gli òcchi corporali de gli buomini, che donerà far l'anìa tuo mio alla contemplatione di tanti Soli di nobiltà di bone fi fidi Jdpienzd , er di uaìore t Et fi io dai penfarid filo mi Jento opprejjo, quanto è quelpefi, 11 quale uoi Signori Spofì ui douete trouare in fu le /palle ? e fendo per debito di natura obligati ì dimo= JirariiUaìrfThe Jute ccnofiiuti degni figliuoli,®* DI MATRIMONIO. ^8 progenie dema di coti chiari Udiri, di còfi rare ma» quefto fine fi hanno da indirizzare tutti gli ftudij ua fin,et tutti i uofiri péficrii Ne douete in alcun modo patire che il mondo ingannato rimanga di quella prò mffa->eheàlui è già fiata fatta daUa altezza de' uc* firi nafeimenti ; Che affai minor mate è non effer na* to nobile, che effer conofciuto non degno della nobiltàu. fua naturaleMa a uoi no [ara malageuole moftrar» ni non meno di uirtu, che di f angue effere illuftri t che fi come femenza di mala pianta mal può proda•. cere frutti, che lìano buoni ; coli da femenza di pianta eletta altro ché eletifiimi frutti non fi debbono affet* ~ tare. Et cofi prego io deuotamente quel signore. il quale e donatore di om nobiltà 1 di coni virtù, et di ogni altro bene, che facendo a uoi largo dono detta gratta fua, ui faccia gratia che conferuandoui nella fua grada, er uoi uiuiate infume una tranquilla, er lieta; er di fiori fiate cari, er honorati : er di uoi ueggiate tal fuccefione,che al mondo fiadì allegrezza,di rimedio,et dico folatione. i ua T R ATTATO 1X.E L JMVTIO IVS TINO POLITALO della gverra: et della obedienza db’ SVDDITI. .> s CE WiftmdeeJJen do guerra tra dgej>rp)cipt, i loro fudditi debbiano ue= dirfìle armejenzdfdpere, fé quella fa guerra lecitalo nò ; Et /è debbiano obedire a loro Signori, che gii chiamano, o mandano alla batta» gZù, prima che dì tal dubitatione fano fatti chiari. Sopra quella quiftione f uorrebbe fapere quello, cheàfuddito Chrifliatio di fare f conuenga. Ax quefa domanda douendof far rifpofa , molte fono le cofe, eh e hanno da uenire in confder adone; Et la prima è i Se il guerreggiare per diuina auttoa rifa fa permeffo. Intorno alla qual cofa già f sfora zarcno di mofrare gli hereticì Manichei, che per ni un modo fòffe lecito di far guerra. Et quefa tale cpcnictie dat Catholici fcrittori è fata riprovatalo* me quella, 4 cui la diuina frittura 'e del tutto con* traria : Et io di hautrne toccati alcuni pochi luoghi faro contento. trat. della gver. 7« *-egge/ì nelle fiere lettere, che Dio ammaeftraa Ui nella guerra Iofue di ciò che egli à fare hauejfe, Cr che lo aiutaua con pioua di pietre contra i fuoi ni mici : Ft accioche egli loroperfeguitandogli itccidejfe firmò il corfo del Sole , Et lo fiirito del Signore Muffe Gedeon alla guerra ; O" gli moftrò di quali huomini egli fi douefje feruire. Et è fritto, che aiu* tando D io B arac fu abbattuto lo efercito di Stfara.Et Dauid per ordine di Dio combattè contrai Vhilìftei, er combattè con quello ordine, che gli hauea moflra* to Dio. Et Moife famigliar di Dio dijfe al popolo, che combattendo co' nimici non douèjfero temer e,che il Signor Dio era in mezo di loro, cr per loro com* hatteua. Con quefte teftimonianze a me fembrache ila P‘u che manifèflo, le guerre effer non folamente permeffe , ma anchora ordinate da Dio. Et d quefla Jf utenza fottoferiue Dauid. Benedetto il Signor Dio mio. il quale infogna le mie mani alla battaglila" le mie dita atta guerra > Ditta che ciò uiene confirmato non folamente dalla militante, ma ahchor dalla trioni phante Zhiefdì la quale a, Dio lode rendendo canta i Santo, Santo, Santoj Signor Dio Sabaoth, il che tiuol dire de gli efercìti. Ne per fupremo honor gli darebbono le cèlefti hieranhie, che egli fiffe Dio de gli efercìti ,le le guerre,che per opera de gli efer-citi fono amminijlrate , per legge diurna fiffero condannate„ Md rifondono alcuni her etici moderni ; che fe Je«e nella legge Mofaica il commettere non era uieta-to ,4 Christiani (da che Chriflo ha uictate le guerre) non è lecito guerreggiare. Ma che Chriflo uietite le babbid lo dicono, er non lo pruouano . Che fe bette egli è ferino ; Non rejìftere al male : ma fe alcuno nella deftra guancia ti percote porgigli ladina, non perciò fono da Chriflo dannate le guerra chequefto fi può dire effere anzi di configito , che di comanda* mento. Et fe ciofòjfe di comandamento, Chriflo non baderebbe riprefo il miniftro, che nel cojpetto del ponteficeg’i diede la ceffata. Ne Paolo pur per fimi gitante cagione hauerebbe al Pontefice detto, Te per cola Dio muro imbiancato. Po' quando anchora que* fi e parole da Chriflo fòjfero fiate dette per comanda* mento, gran differenza c da quello, che babbid afa* re un Prencipe, crun priuato . Che fe bene io non donerò uendicar la ingiuria, che mi fura fatta, non perciò douera il Prencipe, il quale è miniftro di Dio in terrad uendicare le tcfemal fatte , nondouera^ ateo, egli lajciare sforzare, ne opprimere,ne danneg* gidre i popoli a lui foggetti. Et le ingiurie che a lui ,faranno fatte particolarmente , Je le comporteracon pattenzd, fara opera a Dio piugrata .che lacrincios Ma fe non reggerà. ct non difenderà conjiuftìtia i popoli àlui raccomandati, come ingiufto farada Dio Jeueramente cafiigato. Ne può il Prencipe molte uol* te adoperar quefia giufiitia,fenÒ in uirtu della ffada. E t pertanto non è da dire, che la guerra da Chnfto fu fiata uietata. Che il uietar la guerra farebbe un chiuder le porte alla giufittìa . Ma à tale heretici openìone njfionde anchora il Vangelo ; chi prepara= do Gtoumi Battifia le uie al Signore,cr predicando DELLA GV ERRA. 7° il battefìmo della penitenza in remiflion de' peccati * i foldati uennero a lui : Et lo domandarono che far do uejfero ; Et egli loro nfpofe ,cbe tton face fero uio-lenza ad alcuno , ne appone fero altrui cofe [alfe,mi tke hqero contenti delle loro paghe , dalle quali paro le dette da Giouanni a coloro, che cercauano qualuia tener doueferop confeguir la gratia , fi tragge,che anche i foldati, purché dirittamente [emano, poffo* no bauer la gratia di Dio, er confeguentemente la eterna fallite. Et fopra quel luogo parlando Agofti* no dice, Sapeua Giouanni, che coloro per andare a foldo non erano micidiali, ma mitìiflri della leggeicr non uindicatori delle proprie ingiurie , ma defènfori della publica falute. Altramente hauerebbe riffoflo, Gittate l’arme, er Infoiate l’efercitio di quelle.Or fi come per le parole del Vangelo fi comprende, che à Chrifìiani è lecito il guerreggiare, co fi dalla inter pr e tatione di Agojlino fi uiene ad intendere qual debbia effer la intétione del faldato Chriftiano in fu la guev fa per douere effer [ahio. Et con tali auttorita condii deremo, che a qual bora Chrifìiani fanno guerra per Zelo di giuflitia, per repulfar le ingiurie,er per con feruatione del ben publico, or della publica tranquil lita, quefla è guerra non folamente non dannabile,ma approuata da Dio.Et fe inguerramuoiono de gli buo mini, non per ciò dee ella effer dannata ; che fecondo Agoftinojnuoiono quelli, che hanno da morir e,acciai che quelli, che hanno da uiuefe iiiuanoìn pace. Quefla fentenza ritrouo io effere flata dalla Ckrh fiiana confuetudine confermata : che dal principio che TRATTATO Cbrifliani cominciarono bauer flgnoria temporale, quella hanno con le arme conferuatd , er ampliata. A'Cojlatino imperatore fu da Dio dato il fegno dtUa Croce da portare iti guerra ne’fuoi guidoniane' fuoi flendardi. Et perchè dargltelè^jettguerreggia re a Cbrifliani non èpermejfo ? À' fbeòdofiò apparuero in fogno Giouanni Vangeli (la, er Philippo Apo flolo «efitti di bianco [opra bianchitimi caualli confòr tandolo alla battaglia, er promettendogli la uittorid contra Eugenio : Et poi nella battaglia fi Iettò un uen to impetuoftfimo, il quale riuoltaua le faette de' Bar bari contra di foro , ©“ quelle de’ Cbrifliani portaua con maggior fòrza contra nimici.Poi al minor Theo dofio fece Dio gratia,che uno Angelo in forma dipi flore ccnduffe perle paludi legenti fue dRauama, doue lucifero Giouanni Tiranno ; le quali cofe no hi uerebbe operato Dio,fe egli hauefje uoluto che i Chri fliani fujfero dad: guerre in tutto Ioni ani.Et che di* ro, che anche ne gli eferciti degli infedeli faceuano il tnefliero dellaguerra gli antichi fedeli iCbe Giouinii no, il quale fu dapoi lmpcrudore, fu prima foldato di Giuliano Apoflata. Et neU’hofle di Diocletiano ferui» nano faldati ChriflianiìEt per lafciare gli altri efem pij, nelle imprefe di M. Aurelio contra Tedcfchì, ìffendo affé dialo il fio efercito di fete, et in granpe riccio di effer disfatto, per oratione di alcuni Chri= fliani, che erano in una delle fue legioni, fuori della fferanza di ogniuno «ernie una larghifima pioua, la quale riconfòrto i fidati ; Et legenti nimiehe che atta diflruttiom de'Romani erano apparecchiate, da fai* della GVERRA. 7# 'Mini, er dit ce/e/J/ fuochi furono {confìtte et differfc. Làottdeconja tìfiimpnianza di taliauttorita, cr di tanti miracoli non ueggo che fìa dà cfubitare, fe Chri (imi pojjàno far guerra ,o nò; Ne perciò pafferò confìlentio, che nel Concilio fatto in Francia al tent po di Papa Zachana fu ordinato, che ogni Capitano bauejfe un Prete, il quale doueffe confcffare, ey dar la penitenza à' foÌdati.ètn£Decreti di Nicolao Papa primo fi determina, che fenza necefiità nonfìdebbu far fatto d'arme ; ma che per difèfa tanto di fe, qua* to della patria, onero delle paterne leggi, fi deecont battere non che di altro tempo , ma ne’ fanti giorni anchora della quarcfma : accioche non paia che l’huo tno uoglia tentar Dio, non prouedendo alla fua , ey alla altrui falute, hauendo il modo da poterlo fare. Ma dira perauuentura alcuno, che fe benelaguer ra e da Dio permeffa, ey a Chrijliani non è uietatd, non percio debbono i Chrijliani mouer le arme cotta Chrijliani, ma folamente contra le infedeli, ey barba te natiom : Alla qual cofa riffondo, che nelle cofedel lagiuftitia non tanto fi ha da guardare alle perfine^ quanto alle caufe. Chea me fura piu lecito di ritorte^ ad un Cbrifliano quello,che eglihauera mal tolto à Me, che priuar lo infidele di quello, che egli guada* gnato fi haucra della fua giufta fatica. Et potrei io recitar molte guerre fatte tra fi dal popolo di Dio; ma folamente di quella farò mentione, quando per lo ftratto fatto alla moglie del Lenita,il popolo di lfrdel col lider di D/o prefe le arme contra i fratelli fuoi deU4 tribu di Beniamini quella mandarono quafi tutta in defolatione, Cofi adunque fard etiandio led=_ to d noi muouer le arine contra i fratelli noflri Chri Rìdili per dilef Telétta giu\utia, er del publicoTene. Et Je contra Cbrijtiam perla mala loro caufa ci [ara lecito guerreggiare, molto piu giufiamete doneremo noi poter mouer la guerra cotra gli infedeli, ne' quali la caufa è tanto peggiore, guanto no ci è maggiore tn~ giufiitia, che la infedeltà * uóTpòt che breuemefthabbiamo uifio,cbe il guer reggiare è da Dio permejfo i Et che è permejjo à Chnjliani ,è da uedere in quali guerre fìamo tenuti ad entrare per ordine de' noflri Signori. I primi Re, de' quali nelle hiflorie humane fi habbia alcuna mentione che cominciajjero a far guerre, d quelle fi mof* fero per difideno dì gloria ; et paffando co'loro efer citi in lontane regioni ualorofamente combattendo,fi contentauano di hauer conftguito uittorid fenza te=s nerft quelle nationi foggette.Et di quefli tali fu Sefo» flre Re di Egitto, il quale pafiò ì guerreggiare in Ponto i er Tanai Re di Scithia, che andò a combat= ter e in Egitto. Dapoiquefto difìderìo di fama induci ritia fi riuolfc » che non per altra cagione che per ampliargli fiati fi cominciarono d muouer le arme. Di' che dice Saluflio , che le guerre fi fanno per ca* glene di Signoria, er di ricchezze • Orquefie cofi fatte guerre non debbono m alcun modo effer tenute lecite ; che ne per ambitione debbiamo andare a tur* DELLA GVERRA. 7* tenz* di Cicerone lì doue egli intende,che giufia fi Ìtienzì potrà loro effere di falute . Ma doueranno ricordar fi, che hanno da offeruar la regola data dal Battifla , di douerfi contentar dille loro paghe : Et le paghe hanno da batter da' loro Signori, er non da' popoli : perciocbe, fecondo Paolo, à quefto fine fi pa gano i tributi. Et delle loro giu ile rendite debbono i Signori conferuarc in pace le nationi a loro foggette K Hii rTM CONSOLATORIA difèndendole da gli oltraggi de' popoliflranieri. Ne bafta a far la guerragiufta hauergiufle cagionile in guerreggiando anchora nofi feruano igiufii modi. ALMOLTO Magnifico AL HIERO NI AIO ZANI podestà' ET CAPITANO di CAPODTSTKIA PER. LA MORTE DELLA SVA M O G L I E I L M V T I O IVSTINOPOIITANO. AVENDO IO fra me (ìcjfo deliberato Eccellente S. mio in quefla acerbifima uoflra afflittile di porgenti alcun confòrto, tolta in mano le penna, er ifcrìtto il tito lo di quefla mìa ferii turarmi c caduto nell’animo un fi ama ropenflero > che io mi fento batter bifogno di no poca confolatione. Perciocbe confederando la grandezza della mona uoflr a per coffa ,à me fi rappr efent a ad un tempo dinanzi à gli occhi della mente la acerbità del uollro dolore 3 er la compaflicnc di tutta quefla PRIMA» 77 uofira citta, Id quale non altramente cie pictofi fi= gliuoli pendendo dal uolto del dolci fiimo padre, por* tana nel uifo dipinta quella pena, che fentono dentro il petto. Quella cofa di tanta trìflitia mi conturba, che da quella trasportato fono corretto a feguitare il dolore uniuerfale. Et poi che io cono fico, che d quelli primi impeti malageuolmente fi può coniraftare, ho meco propoflo di dcuergli alquato andare fecodando. Et perauuentura bene ne auucrra ; che sfigata in par te la amaritudine di tal pafiione apriremo la ftrada a piu fìcura confolatione, Quello iftejfo affetto, che dal mio proponimento mi difuia,mi dimojìra grauifiima ejferla pena uo= (irai che la grandezza del dolore conce pitto per cd= gioite di cofa perduta da due parti principalmente ]l comprende: et l'una, quanto fiffeil udore disutili, et l'altra quato ella fa fiata cara a chi l'ha perduta. Et fi quefto c, come neramente è, effendo la Donna uoftra fiata ualoroftfiima, er a uoi cari fiima, necefi fariamenie è da concludere acerbifiìmo cjfere il uo-ftro dolore. A' uoler pienamente dir del fio ualore farebbe tnefiiero di fcriuerne un proprio uolume. La patria honor atifiima, la famiglia nobili fiima, la fortuna fi= licifiima; quefiecofe fi tacciono. Chi potrebbe dire come per lei due chiarifiime famiglie Contarmi, CT Zani fi/fero liete i Quella di hauerlaprodutta,que= fia di hauerla ricemta. Chi potrebbe degnamele pre dicare le lodetiolifiime fue uirtu ? La prudentia, et la grauita , la modefiia,o" la cajlita, che la faceuano CONSOLATORIA uno efimpio, er unoJfecchio a tutto il fiffo fintini* le : er dimoftrauano in quell* rarifiima Donna ualo* re infinito da effir compenfato con infinito dolore. Et come che ella 4 tutti i fuoi habbia Infilato cagione da doler fi affai, pur ninno ue n’ha, 4 cui ciò piu giu* fiamentc fi richiegga, che a uoi, hauendofene ella por tato uia la meta di uoi. Che ella ui fijfe carifiima non ne dee dubitare di* cuno ; che i meriti fuoi lo richiedeuano : Et ejfendo uoi cotanti anni inficine uiuuti fenza querela, ifiimo che il maggior di fiderio dell’uno er dell’altra fijfe di pri ma fentire il fuo fine, che di ueder quello della tanto amata compagnia. Et in qucfto 4 lei fono fiati i cieli fauoreuoli, i quali ( diro cofi ) congiurati di fami torto, hanno uoluto che lontana dal coffe tto uoftro ella fe ne fia ufeita di quefla ulta. Sogliono in fi fatti auuenimeti riputar fi dolce cofagli huomini il uederfi fioro cari morir nelle loro braccia ; L’udir l’ultime loro par ole, er il chiuder loro gli occhi, che morti anchora difiderofi fi dimofirano di ueder quefio dolce aere, er le perfine di fangue, er di amicitia congiun te. Ma et forfè la forte di lei piu dura iftimar fi dee: che in quello ultimo, er terrebilifiimo paffo fia gli altri fuoi carifiiuii con gli occhi giagraui doueua an* dar cercando il dolcifiimo fuo Signore : Et con la Un guagiaquafi fredda la douea richiamare raccoman* dandogli i comuni figliuoli, tràini chiedendo l’ulti mo commiato. Ne credo che a’ già perduti [entimemi alcuna altra cofa in lei ultimamente [oprauiueffe col cuore, fenon il filo difiderio di uoi. PRIMA. 73 O nani penfieri de gli huomini: E t o mi ferii de' Mortali, yoi uedeuate non molto lontano il fine del uojlro reggimento ( il quale quando che fia,fenza do lore di tutta quella citta ejfcr non potrà ) Et pera (tuuentura difiderauate che fi affrettale il tempo ; Et ifferauate di trouar fina la cari fiima uoflra Donna, fcorgendo con l’animo lei fiat t ani fi incontro con donnefche, er amoreuoli accoglienze dolcemente riceuerui, er alleuiarui la noia della nauìgatione, er ogni grauezza di penfieri. Et la uoftra rea uentu* rauiha hauuto inuidia di una fi difiderabile contett tezzd- Hora altrononntrouerctedi lei, fonetico* fe, lequali.ui habbiano da rinouare il pianto, er l* affittitone. Altro nonui rimarra , che il nome fuo, il quale fo che fempre terrà albergo nella ttojlra lin-gua : Et la imagine di lei, la quale con amarìfiima me moria ui filar a fempre [colpita in mezo il cuore. Et ttuuerra forfè che talhora la fijfa imaginatione rnoffa dallo ardente dtfidcrio, à gli occhi ue la rapprefcn= tera in quella firma, che uiua erauate ufato di ue= dtrla, er darauui à uedere che ellafia deffr.Et quel tanto ui far a di alcun confòrto cagione, quanto fiare-te in cotale inganno : il quale poi che dal uero fard [coperto, dal falfo diletto alle nere lagrime ui fa= ra ritornare. Taccio bora la pafiione, che alla uoflra grauifii-mapena aggiunge il uederui tante figlie, er figltuoa li abbandonati dalla cara madre, er dal loro piu fi= dato gouerno ; er la cafa f confolata, er fola ; le qua li cofe nel uero hanno fòrza mefiimabile nello accrea CONSOLATORIA [cimento di ogni affettino. Ma quefo è piu dolor dela la propria incommodita, ebe della altrui morte. Et noi h abitiamo pianto 'affai. Et già mi incomincia pa= rer tempo piu di ricercare alcun confòrto, che di andare aggiungendo lagrime à lagrime , er foffriri d [offriri. riabbiamo pianto affai: er agrari ragione h abbia* wo noi pianto : ma fi come io non reputo cofa biafime uole il piangere, er il doler fi, cofì dannabile cofa ifiimo il non fapcr trouar fine al pianto, cr aUa doa glia. Et acciochc meglio pofiamo comprendere qudto fìa» o non fa rìprenfbile il tribularf,nomi par difdi cenale il repetere alqudto ptu alta quefta materia. Si diffruta tra Vhilofopbi ,fe gli animi de gli bua mini fauij fpoffono turbare; ìfeguaci di piatone, CF infume quelli di Ari fatele tengono, che le pa[ioni,o ucgliam dire affetti, o perturbationi cadono nell’animo de II bucino fauìo mediocri, stemperate. Gli Stoici neramente buomitù duri , er quafr fenza fen* timento, dicono che il fauìo non fente dolore,ne alle* grezza : er che nell’animo di lui non entra alcuna al= teratme. Mafuefc f fatte cofe, er delle altre an= chora dicotw efi(per mio auuifo) piu a pompa-^ ebe perche cefi fentano neramente. Et fequefo luogo il permetteffe , a me darebbe il cuore di mofrare come tra loro non fa uietato il temperatamente dolerf, er il gioire , Dz quefa durezza Stoica mi par che gloriofamcnte f uantaffe l’anticbifimo nofro Poeta Ennio,del quale fono celebrati uerf Latini, i quali iti quefa no fra lìngua fionano in quefa fentenza. 7 9 PRIMA. Di lagrime niffun mi faccia honore, Ne celebri mia morte con lamenti : Ch’io uiuopur,fe bene il corpo more, Et nolo per le bocche de’ uiuenti. Qilefla fentenza lodano alcuni infinitamente : ma con parole la lodano, er feguitano, er con effetti la dannano, sfuggono. Come fi può tra gli altri ueiere principalmente nel padre della Latina eloquenza ’• il quale nelle opere fue difèndendo in quefla parte la cpenione de gli Stoici, nella ulta fu non folamente no ìfloico, mane pur vhilofopho ; che intantofilafciaua egli uincere,cr abbattere al dolore, che no nceueua rimedio di conj'olatione. Ma lafciamo da parte le fentenzepompofe,cr le rifonanti parole de’ Philofophi , y de’ Poeti : CT ueggiamo quello, che ne dica lauera,zrfinceraPhi- lofophiatdico la Chrifliananoflra dottrina. lo ritro ho oltra le molte altre approbationi, che io potrei adducere in quefla materia, che Vaiti fimo Signor no= ftro uiuendo in terra come huomo, con nero corpo, creo» nera anima di huomo, or infegnando la uera egli diffè s Addolorata è l'anima mia infino alla mor» te, chi dubita che egli alhora non piangeffe f Et fe la ulta di lefu Chriflo fu tutta per efempio detta nofira, chi [ara che ciuoglia riprendereste ci dorremo,y fe piangeremo feguitando Chriflo i Non ci è adunque difdetto il piangere : ma non perdo debbiam noi credere che ciò fa all'huomo per» de’Giudei, cr pianfe per Ldzaro morto. Et quando CONSOL ATORI A tneffo di fare perpetuamente ,• che fe ogni co fa terres na è mortale, mortale dee anche effere quel dolore, il quale da noi fi foftieneper coft mortale. Or douen do noi a queflo dolore dare alcuna leggero far a cofa difconueneuole ricorrere ai alcuno de gli auttoridel le anticht leggi. Solone adunque il famofo fcrittore delle leggi de' fapientifimi Atheniejì fuole effere hia firnato da quefti fcrittori di opere gonfiate di uento di natta gloriaci una fentenza tale. Già non uoglio io che de la morte mia Il lagrimofo humor fu poflo in bando} A' gli amici lafciam malinconia Dd celebrar l’cfequie fofpirando. Quelle parole fono biafimate. In quefla fentenzd è il fapientifiimo Pbilofopho uituperato. o ciechi er fett mente. Io meco fteffo efaminando quanto di uera Vhilofophia fiia nafcofto fra cofi poche parole,quato piu uo in quella penetrando con lo intelletto , tanto piu fieramente mi fembra di potere affermare, che tra le molte laudabili fentenze di Solone,niuna ue ne fù quantunque di commendatione dignifiima, che con quefla fi poffa degnamente pareggiare : percioche io ci trouo effir effa la regola , orti termine delle no* fire pafiioni. Non diffe egli la mia morte fu pianta perpetuamente : Ma non fu fenza lagrime. No diffe, a'gli amici lafciam malinconia dauiuere eternamene te in foJpiri:ma folamente da celebrar le efequie. Vuole egli cheuedendoloi fuoi cari morire, ne fen• tano dolore ; Et che infino a tanto che fi celebrano gli ultimi giufii officij diano fegno di alcuna pafiione, PRIMA. 80 3 dimoflrar chdritd er amore, lequali cofe con uifo afciutto,er litto non fo come tnque' tempi ft pojfano dimofirare. Tanto i/limò quel fuuio che (òffe conue tieuole il piànto : Et quejla è la regolata trijlitia,che fiatone,er Ariflctcle non dannano: Qttejla deltut to non tolgono uia gli Stoici concedendo alcuni primi mouimenti dell’animo. Quejla non conobbe Ennio co’ [noi laudatori : Et di quejla ne diede efempio il Salua tore attrijlandofi, er piangendo il morto amico. Se adunque fin qui il piangere ci è conceduto, V ttoi quefto officio habbiamo ufato affai largamente, bora accioche il debito officio in uitio non fi conuerta c tempo homai che la pajìione dia luogo alla ragione, er che afciutte le lagrime, alla luce della ucrita gli occhi f ano aperti. Et percioche quelle prime imagi* nationi, le quali à pianger ci ìnduceuano, fe non fife fero dall’animo tolte uia, potrebbono fi fattamente^ firmami le radici, che affai di leggieri diudlere poi nonff potrebbono ; quelle prima ci ingegneremo di di* radicare, er apprejfo delle migliori piante faremo opera di trapiantami. Dura cofa ci pare il perder di quelle cofe, delle quali lungamente ci fiamogoduti, er habbiamole tea tiute care, ma fe ueglìamo il tutto dirittamente confi derare,ritratteremo a torto dolerfene chi fene duole. Noe mortali, che in quella uita ttiuiamo,non habbida ino firmo albergo, ne firma pojfefione alcunatanzi pure fiamo come coloro, che da loro Signori pofti uUd guardia di alcun caflello , ad ogni lor uolere quella hanno da abbandonare. Et di tutte quefìe cofe, che a C ONSOLATOR.IA nojlro ufo fono fiate create, delle quali noi uanamen te ci chiamiamo Signori, ninna ce n’c, che propria no fira fia, anzi ne fono ette cocedute come in prefianza. Et chi è colui, che ne' fuoibifogni battendo accattato dallo amico uefia, o cannilo, dopo alcun giorno richie fio a refiituirlo fi rammarichi, er non piu lofio lo ringratij della commodita nceuuta ì certamente ninno di mente fana. Et fe iter fogli huomini cotali officij grati tifar fi debbono, quanto piu conueneuolmente, er con quanto maggiore humilta habbiamo noi da ren dome gratie allo immortai nofiro Signor e,dal cui noi lere come di fomma perfittionc, er bontà, et podeftà■ a niuno è lecito di richiamar fine f Se egli alcuna fiata ci concede co fa, la quale a grado ci fiat Quella è fua liberalità : Se ce la ridomada, er quefia c gìuftifiima fua uolunta; Et dolerci non debbiamo fe egli le cofe fue fi ritoglie, ma fi ringratiarnelo del tempo, che egli le ci ha concedute. Che non le habbiate potuto prefintialmente rena dere quegli ultimi dolor ofi officij,Quella io ut repu to non picciola uentura : che effindo de’ fintimenti po tentifiimo il uedere , non hauete dinanzi à gli occhi uoftri ueduta la uofira affiittione , effendo uoi mafia fintamente certo, che ella di niuna cofa ha patito difa gio , trottandoli nelle inani de’ fuoi congtuntìfiimi. Et giudico anchora, che a lei il partirli di quefia uitd fia di gran lunga fiato mengraue, che Jlato non fas rebbe,fi alla prefitta fuauedutoui haueffecol uifo di pafiicn dipinto. Anzi diro piu, che lieta fi può ella tfifir partita, parendole di andare in parte, donde 'PRIMA. 81 dia fa.non le doueffe effere la firada del moderni. Etfa nel ritorno, che,farete alla patria lei non-rì trotterete, ut ritrouerete tdnte uiue imagini di lei, Creo le comuni figlie, er figliuoli,che molto mdggior dotterà effere la letitid ,deUa quale goderetep tanti, che la tnjlitid, che patirete per una. Se adunque quelle tali imaginationi, che ci pare* uano cofi potenti,che di primo tratto ci foffinfero i dir rottifanio pianto, fono cofi deboli, er leggiere, qual ci potrà piu effere giufta cagion di dolerci t Fera inamente, fe io ben mi guardo datorno ,niuna ne fo uedere .Et nel nero diro ben quefio, che fe per lagri me fi potejfero ricomperare i morti, io conforterei altrui a piangere i giorni interi, er à menare in la* grimt tutte le notti fetiza fanno . Ma fe per ueruit pianto non fi poffano riuocare a ulta : er fe la forte loro è fiabile, e^fèrma^m fi muta perle altrui mi* farie^ ragioneuohnenTeBd dJTefjare l'inutile, er uan dolore ; ne ci debbiamo lafciare tr affor tare fùor del camino mofiratoci dalla ragione, la quale in quefio_ cieco pelago di affanni ci è fiata ordinata da D io per gommatrice,et guida in tutti i piu tempeftofi affiditi deUa mondana fortuna. Dira far fa alcuno effere naturale in ciafcuno il di* fiderio de'faoi. Et chi lo nega ? Ma non dee egli per ciò effar moderato ? Et donde c che non ueggiamo in alcuno altro animale effere ne cofi lnngd,necofigra= uc una tale affettione f le fiere, ergh augelli in bre * uifiimo ffatìo di tempo acquetano ogni lor pena. l* bucino falò ua nutrendo il dolore ut fi macera non L CONSOLATORIA quanto fonte afflittione, ma quanto ha determinato di dolerfv.cr fi compiace di afftìgerfi lungamente. Et uogltamo uedere che di ciò fia pur propria nofirx la colpa, er non di natura i Le cofe naturali non fi uarianoin [aggetti (imiti, il fuoco,perctocbe la na« tura fua è di abbruciare, egualmente confuma ime* defimi corpi; er il fèrro egualmente gli taglia. Ma nellapouerta, nel guadagno, nella ambitione,er fimi gliantemente nel dolore, er nella allegrezza gli huo mini diuerfamente fi gouernano. Et fe naturai cofa è l’effer uinto dada malinconia, onde è che piugraues mente fi duole la ftmina che l’huomo i Perche piu zìi buomini rozi, er idioti, che gli fcientiatt_,er i rego lati da ragione i er di qùefìi perche l’uno piu che fai tro {Veramente egli è pur da dire che la'opemone di fuori apprefa, er la confuetudine uincono la natura. Et noi fumo pure quali da noi ftefii ci [appiani rego lare nella battaglia de tutte le pafiioni. Et che quefio cofi fia con gli efempij della dìuerfita de'coltami fer nati intorno d morte, mi piace di farne la ueritx manififld. Leggefì che tra Maffageti popoli di Oriente pofìi olirà il fiume Arafft fi ha per ufmza di uccìdere i uecchì, er diuorayglfi, riputandofì grane danno fe egli auuiene, che alcuno per infermità fi muoia, per* cicche dal mangiar di quelli fe ne xflcngono, fecondo, che anche noi ci guardiamo dal mangiar delle carni di quegli animali,che da fe fono mcfi'DjlClffelM lo ro uicini de' morti anchora fi pafeono . ìselhlndia alcuni hanno per cofìume fe homo ammala tra loro, PRIMA. 82 c';£ gkhuomhrilo uccidono, er in cibo fe lo càmera tono, primi che lungi infermiti le fue ami corront PA ’• er il medefìmo fimo le femine delle femine. Et FA alcuni altri feueruno infermi,egli fe ne m i' luo ghi deferti, er quiuiagiactr fe pone, ne di lui piu ne infermo,ne morto ilcunfe ne prende penfeero.Que* fii fe f itti co(lumi fi come fono Barbari, cofe fe deb>= bono reputare . Et pur nondimeno ci dimoftrano quello, che noi intendiamo di prouare, che naturale nonfea la pafeione di piangere i morti, ma fe corrotti openione. La qual cofa anchora confermeremo con piu lodeuole efempio che quefei fati non fono, I Traufe gente di Thracia piangono il nafcimento de' loro figliuoli rammemorando quali habbiano ad ejìere te mtjene, le quali uiuendo bineranno da (op=T jportàre ; Et i morti loro con giuochi , cr colf allea grezza fepellifcono, facendo fefea che liberati da in* finiti mali feano diuenutifelici. Et donde è quefto, che e fi di quello piangono, di che noi giorno i crdi quello gioì[cono, di che noi piangiamo? feno dalla con:= fuetudine, er dalla inuecchiata openione. Aggiungafe d quefte cofe pur per dimoftrare, che naturale non fia il cofe macerarp, che le cofe da na-tura procedenti per i/patio di tempo non crefcono,ne fi fanno minori, fi come noi ueggiamo, er fentiamo in noi far fe di quefei affetti: che col tempo ne uiene q nieno ogni gr qui fimo dolore .Fot ogni uolta che noi dirizziamo l’animo ad altripenfìeri, s’acqueta la tioftra malinconia : er col penfare a quella fe ritorna 4turbare, onde apparifceche in noi è la liberta di L ii CONSOLATORIA riporli, er di ripigliarla a nojlro felino. Et qltàHló è piu comuncuole ad huomo modefio , zr grane di metter da fe fine alla fua pafiione,iht affettar il ri= medio del tempo in queUo, che egli ageuolméte può fa re con la f i la fua ragione. Ma che diremo noi ancbordàel nojlro poco uede= re, che ucgliamo flruggerci dietro a morti, come a do far ne muoua la natura; Et non ci auueggiamo effer tutto il contrario. Habbiamo noi dimenticata la nojlra conditione * Non fumo noi, come anche ci chiù vaiamo,mortali* Et fe naturale è in noi il morire, contra la natura c upwigefej'che altri fumórtof 6 qudto farebbe il meglio, che noi ci allegrammo in fume eo' Traufì, rendendo alla morte honore zrlo de, che di lei dolerci. Dandole biafmo a torto er mala noce. Nei uiaggio di molti pellegrini chi fara che fi dolga per amor di colui, che prima fara arriuato al defti* nato luogo * Noi fumo qui in terra mandanti,er da jta mifera ulta. Rabbiamo'tutti da arrìuare aiuti fegno, chi prima zr chi dapoi. Ne è da fare alcuna flima fe ci habbiamo a morir nelle fafee , o pur nella ultima uecchiezza ; percioche qutjla età , che uec= thiezza da noi ft chiama, altro non e, che un circoito 3Tpochi anni. Ne Ji debbono piangerei morti, per= elodie fono aniuati alfine di quel corfo, il quale dal la natura, zr da Dio era flato loro pr e fritto.Et per pajfare anche un puffo piu auanti > Non folamente hanno i morti nojirì finito il loro corfo, ma hanno anehora confeguito il maggior bene, che fa nella tu* tura, Et queflo potrei io dimoftrare con ragioni,er autorità infinite, ma mi aggrada in quello luogo c8ljae.qt$ri hiflpria farlo manifèflo ,piu toflo che difputado : percipche mi par di effer certo,che d£ un cofi bello efempio gli animi afflitti nehabbiano da putir maggior refrigerio, che da alcuna copia di ode gationi, o di argomenti, Furono già in Grecia ( ft crediamo ad Herodoto pudre ddlejijflorte ) dite giotteni fratelli prode l’uno €3" / altro delta per fona intanto , che di amendut lì 3 che fùrono uincitori ne loro famofì publichi giuochi Olimpici. Or auuenne che un giorno, richie* dendo cofi il bifogno , conueniud alla madre loro an= dare ad un tempio dcUaloro Dea Giunone, er ui de* ima andare [opra un carro, il quale hauédo da effer tirato da uh paio di buoi, ne effendo fiati gii animali à tempo conduHi, i due figliuoli, mancando loro ogni altro prcuedimcto, giunti al giogo, trahendo il carro per piu di cinque miglia ccndufjèro la madre al de-terminato luogo, Moffe queflo loropietofo officio il fattore di tutto il popolo. Gli huomini, cr le donne parimente faceuano loro fifa. Lodauano gli bucini niatLfmto coniglio de'figliuoli > Lodauano le donne la madre, beata chiamandola di cofi filici frutti. La madre colma di quella allegrezza, che nel cuore non le capcua,porgendo deuotamente preghi a quella loro >Jefb’-efegratid, che à Cleobi ,&~d Bitone ( che cefi fi chiamauano i due giouenì ) degnaffe di conceder quello , che all'bucino fvffe di maggior bene. L iii CONSOLATORI A ■Dopo cofi fdtta oratione, er forniti i facrifìcij ,que' due fratelli nel tempio da formo fopraprefi fi addor-mentarono, er appreffo piu non fi deftarono. Di che fiuenne in puella determinatione,che la mortTfSJjT quel maggior bene, ~cfre (là Dio a, mortali potéjje eflère conceduto ♦ Ma che ci andiamo noi tanto riuolgenio tra te co fe de Gentili i Ritorniamo, ritorniamo alcuna uoltet nel diritto fentiero della fonia dottrina de' battezati, Dicono i facri noflri Theologi Ad Peparat ione detl’ani ma dal corpo effer non mortejma 'dormire,& forno: Laonde ì^pojtotoPaolo ci uieta lo attrijtarà per cagione di quelli, che dormono ; uolendo'fignifica-re , che balliamo a rifuegliarci nella uniuerfale refur rettione, quando in eterno haueremo d uegghiare in fumé co'fanti, er con gli Angioli di Dio. Per queflo adunque chiamano la morte fonilo , er per una altra cagione anebor a,la quale è quefla ; che fi come noi dor mendo k notti prendiamo ripofoper le fatiche dura • »? nTZZZZ Tlìl ' '"771: ""t'I wjTrz.:Ji * 77TTT te il giorno, cofi quelli, che di quefla uita fono ufciti, le ne fanno in requie lontani da' trattagli del modo. Et fe uogliamo paragonar la nofira con la loro for te, troueremo che e fi fono di molto piu felice condi=* tiene :che iter amente meritano di effer piante le nos ftre miferie uiuendo noi 1 n tanti pericoli ( taccio ho= ra quelli del corpo ) dell'anima dico , battendo ogni giorno da refifere a mille battaglie,et da fchermirei da mille fraudi dell’antico afiuto noflro nimico; er do uendo al fine render ragione infino di ogni parola otiofa, Di che fe noi fentiamo dolore per que' tali che PRIMA. 84 dormono, tto fo come pofiìamo furioso dico con pietà, Md fenzdmcrudèlirecotra di loroaijìderandodi ue* nergli frdnoiei fopporure quelle medesime pfecutio* ri > duali come ne increfca detta loro quiete. Noi miferi piangiamo gli altri non riguardando à noi (lefi,ne pelando guato fta men grane 'a loro il (od« ue dormire, che a noi il duro faticare. Et di qua è che unoflro Signore diffe ammaeflrado ifuoi difcepoli » Se nero (òffe cheuoi mi amajle fèrmaméte ui allegre* refle,pcioche io uado al padre. Et che diremo bora di quello,che riuolgédo talhora le facre lettere, mi è ue nuto letto Chrijlo hauer pianto Lazaro, no pche egli fòffemorto, ma pcioche rilujcìtàdo douea tornare a ri prouar le pene del mondo : clfegli lo riuocaua atta ui fa no per benefìcio di luì, map glorificare il nome del padre eterno,et p faluation di molti. Cbriflo gemeM douédo iì fuoi amici render fila ulta,la quale tolta noi piagniamo ne' nofìri. Quel pianto era pietofo ; quefto è crudele. Et piu inuidiofi ci poliamo noi aire, che co* papitone noli, difiderado ne' tioflri quello,che il Signor pianfe ne'fuoi.Neci mouacioche Chrijlo diffe, Addo lorata è l'anima mia infitto alla morte.Che egli allho* ratto pianfe di douer morire, Anzi haueagia dettai fuoi difcepoli, che allegrar fe ne douefferotma in tejli monidzadi effer nero huomo,fi dolfe antiuedendo le pene,che ittanzi alla mortegli fi appareccbìauano. Qui mi ridonderà forfè alcuno : Io no piango gli altrui accidenti,ma piango me jleffo,che no fenzagrct ui fiimo torme to pojfocopor tare,che i miei cari fiano da me feparati. Et quejìa ho top leggierìfiima feufa. L i i i i consola^òiua Se gli buomìni non potè fiero fopportare in pace là feparatione delle perfine dà loro am/tè'Jpadri non mai comportcrcbbono, che i dolciumi loro figliuoli per alcuna cagione dà loro fi dilungafiero . Et pur tuttodì (leggiamo che l'auantìa , er I'Ambitione gli fofiinge a far che s’allontanino, quale folcatido peri= colofi miri, quale cercado ftrani pàti fi,CT quale dando opera d gli Jludij delle lettere, quale mercatando, er quale feguitado le dubbìofe imprefe de gli efercitidi Uarte. Et molti ne fono, che la maggior parte della loro uita fi dimorano dalla patria lontani. Et pur co la fola fier anzi,che habbìano da confeguir ricchez* ze,et uanita terrene fopportano ogni difiderto . Et per lo acquifto di incomparabili thefori,di eterni ho= noti,di celefti dottrine,er di triomphali uittorie, ninno è, acuì non fi fchianti il cuore uedendone anda re uno de’fuci. Donde è queftof Veramente non al■ fronde, che dalla nojlra incredulità. Che fi noi defiia mo firma fide alle parole del Saluatore , Chi crede in me anchor fi fata morto uiuera: Se noi crede fimo, thèà Dio uiuono tutte le cofe, depofii i pianti, Et cols mi di denota allegrezza fatti confimi alla diurna uolunta renderemmo all’eterno Creator gratie immortali porgendo a lui continui preghi, thè liberandoci da que{io cieco efilio d thiamafie aUa patria ferena, oue egli trino,et uno uiue et re gna in fempiterno. SECONDA, 8j? ALLO ECCELLENTI SS, s> MARCHESE del vasto Per. la morte del mv= STRIS S, S. DON ANTONIO DI Aragona, d v c a di mont’alto .1 L M V T I o I VS TINO PO L IT A NO. O DVBITO forte, che alla prima uifla di quefla mìa frittura l’animo uoflro non la abhorrifca in quella guifa, che fuol fare il firi= tota mano del medicate, Che fi cornei corpi no fri dal do lore inacerbiti rifuggono il rimedio della [aiutifra medicina; cofi gli animi an* chora da nuoua, er graue percoffa trafitti fi vitrage gono dal uolere intendere alle parole di coloro, i qua li di recar loro alcun conforto s’apparecchiano; ijlU mando, non fo come, che alla loro afflittìone non ui fa a cun r‘medio migliore, che l’andar pur continuando 1. or dolore. Ma no per ciò ui douete noi Signor mio rimanere dì paffare auanti d legger quello, che io in feruigio di uoi ho diftefo in quefte carte : percioche no tanto ho in mano prefa la penna per far prucua di CONSOLATORIA confolaruì, quanto per dolermi, er per piagnere con effo uoi i er per far compagnia col mio al uojlro do=» /ore, er con le mie alle uoftre lagrime. conciofiacofct che io non mai ho jlimata lodeuole la openion di co» loro : i quali hanno uoluto,che l’animo detl’huomo fa= uio fìa da ogni humana pacione in tutto lontano, che quelli cofi fatti fi come fono di ogni dolor liberi, co fi anchorane di allegrezza' nì'diconfolatìone nolena tono pòrte alcuna . Di che à me fornirà, che efiTdi ogni humamtdjf cigliati piu a [ufi, o a quale altra è piu infenfata creatura, che ad alcuna jpetie di animali fiano [migliatiti , No/i fi dee ricercar da gli buomini, che gli affitti della humanita non fentano z Anzi hanno efii fecondo le profferita, er le dduerfi-td, er da godere, e~ da attrijìarfi. Ne di quelle foa le cofe,che a noi ffecialmente auucngono debbiamo fintire le punture delle affettioni : anzi pure habbia-mo fecondo l'Apoflolo da allegrarci con coloro, che fentono allegrezza, er da pianger con quelli,che fono in pianto, Et fe à feruidore alcuno è rtcbiejlo di far col pianto tenore al pianto del fuo Signore, auuìfo io di douere effer quel deffoicome colui, che da Voi fono flato ( diro cofi ) quafì chiamato in queflo uiag= gio per far compagnia a’ uojlri ( benché non con cofi dolorofi ) dolori. Lieo adunque, che ogni uoltd , che alcuno de' no fin cari da noi fi parte per andare in contrade lon= tane, là onde per alcuni pochi mefi non habbiamo ffe ranza di douerlo riuedere, non ci pofitamo contener re j che con dolore, er con lagrime non accompa= SECONDO- 8 £ gniamo la fua partiti,Et fe quello ne dttuiene quitto maggiormente ci doucremnoi attrifìare della partita che fanno i nojlri non da quella citta, dotte finn nei, non da quella regione , et non per brèeue /patio di tempo, ma di qttejla ulta, non lafciandoci (bcranzd ueruna di piu mai douerci ritornare ? Veramente fe quello è giuflo , et acerbo, quefto è giufiifiimo, ET acerbi fimo dolore. Et per tal cagione fenzafine ha uete noi da dclerui efiendoui mancata quella perfo= , la quale [opra le altre ui era cari filma, et con= giuntifiìma : Quella, con cui foleuatepartire tutti i uofiri penfierifia qual ui era accrefcimento di leti= tìa nelle allegrezze, ET confòrto nelle aduerfita : ET in cui raffigurante un altro uoi fteffo : Et dicui poteuate dire con Alejfandro , che anche egli era il Marchefe. Md che diro, che fc nelle perfine di [trema ueca chiezzd,quando elle ci fono dalla morte tolte,noi fin tiamopena intollerabile,la acerbità di quello cafo me rita di effer tanto piu lagrimata, quanto egli piu nel mezo del corfo della ulta fua ci è fiato rapito : Et tut= to quel fi-utto, che dalla piu matura età di lui fi po= teua fferare, aitar amente da inuidiofa morte ci èfta to intercetto. Et quali finiti erano quelli ,che dalla ui ta di lui affettar fi doueuano i Quelli de’ quali altri maggiori non fipoffono da mortali dìfidcrare.Et per lafciare bora Udir de gli honorati titoli, Etde'glo riofi trophei, di quella principal fua uirtu parlerei mo: della quale alcuna altra fia uiuenti non ifiimo, che con maggior laudi meriti di effer celebrata, ET CONSOLATORIA ciò è la benigniti, o uogliam noi dir ia benefictttZd : che per quella fola la buona antichità efaltò.etado= ró per Dei tutta quella multitudine di coloro, che da glifcrittori fono fa celefti annouerati. Et chi era à noflri dì, che con piu affettione, er con piu caldo fa uore porgeffe aiuto à coloro, che à lui per aiuto ri= co rrenano, di quello, che faceua il neramente \Uu» /Infimo signor Don Antonio d’Aragona ? cerio cfre io creda niuno. Bene il fanno coloro, che i benefici di lui hanno fentiti, er fannolo anchor di quelli che tut tauia ne affettauano, che er d gli uni, er a gli altri ne è rimafa la memoria della immortale obligatione infume col difiderio di una amarifiima ricordatione. Non patena quell’ eccellente /finto non far ritratto con la uirtu fua di quella reale fiirpe, donde egli ha ueua hauuta la origine, er il nafcimento : che quale può effere opera piu di animo reale,che il giouar tut to di a mortali con immortali beneficij i Per la morte di cofi uirtuofo Signore chi uorra di re che pianger no fi debbia t Hauete noi dapiager il molto amatouoftro cognato etfratello.Et direte uoi come leggiadri fintamente dite in alcune uoftre rime. Anzi figliuol di mie fatiche nato. Hanno da piagere,et-da imitare il piato delle foreUe di P he tonte le lUuftrifiime parimente, er ualorofifii me fuc. fot elle :et coi loro pianto bada accop .ignare il fuo la utrtuofifona, er gratiofifi.fua co forte,et qua/t una altra Laodomia ha da cogiunger l'anima fua co U fredda ombra del dolci fimo marito. Haurebbono da. piangere, er da frigger fi in pianto i pargoletti fi= S E C O N D A. ^ 87 gititeli,fela tenera loro età (òffe atta a mifurare la grandezza del loro danno. Et infume con tutta la Sereni fima cafa fua hanno da concorrere in quefto do lore tutti gli amici, er feruidori di quella rinouando gli efempij de Volumnij, deCeltj, de Petronifde P hi* lotimi, er di quali altri peramore, er per fède fono piu (lati dalle hiftorie celebrati. R dgioneuol cofa ci pare adunque,che noi ci habbia= ino j dolere : er poi che la ragion coft ci ditta, effetto do noi animali alla ragion fottopofti, fecondo quella ci habbiamo a gouernare. Ma pcrciochegli animi no ftri inuolti nelle tenebre della mortalità non cefi in* contanente pcjfono ifeorger la uenta delle cofe : Et molte cofe in prima utjla ci fembrano effer di una ma niera, che poi piu diligentemente mirandoci una di uerfa effer le difeerniamo, pertanto e ben fatto, che anchor piu minutamente efaminiamo quefta materia, acciocheft conofca etiandio infra quali termini ci ino-flri la ragione, che ad allargare, er a riftringerejì babbia il freno del noftro dolore. Che fe bette all’huo ino fi richiede fentir gli affetti della humanita, non perciò fi cottuiene à redine fciolte lafciarft da quelli trajfortare. Etjì come nelle proff erita ucrgognqja^ cofa farebbe il no faper per la allegrezza [ouerchid contener lari fa, gy l’andar datorno faltando-CT fa-cendo fifa, cefi anchora à dolori non dee altri darfi tanto in preda, che egli alle lagrime no fappia metter ne fine , ne ritegno : che quefto non e fentir le humane pafiioni, ma è un metterfi del tutto in ferui-tu dì quelle, CONSOLATORIA Or nolendo neramente conofcer quanta labbia del effer la grandezza del dolore, è principalmente di uedere quanto l’altrui morte ci debbia effer giufìa cd gione di lagrime ,er di tomento . Et perciocbe da gli antichi Philofophi molte cofe fi dicono in quejlo fuggetto, come da coloro, i quali quafì ciechi andavano tentone, er della immortalila delle anime dubia tauano ; ne dotte andar fi doueffero ,poi che de’ loro corpi ufeite fòffero,battolano alcuna cognitione, noi dalla luce della verità illuminati, di quelle folamente tratteremo, le quali in alcun modo fi poffono a quella conformare, o almeno da quella non fi habbiano à di= feordare. Per venir adunque a quefla confideratione dico , che gloriandoft fpeffe uolte Paufania Re de’ Lacedemoni] delle cofe da fe ualorofamente adoperate, er un giorno quafì per uìa di fcherno hauendo do mandato à Simonide Poeta, che egli gli doueffe dare alcuno ammaeflramento da [auto, Simonide per rin= tuzzar il colui orgoglio gli dìjfe non altro, fenon che non fi lafciajfe ufcir di mente , che egli era buono, il quale accorgimento Je non fi partirà dalla ìfojiret memoria, quello conofcer emo effer no folamente util rimedio d fare altrui abbaffar la crefta della fuper= Ha, ma anchora a fofiener tutti gli impeti della fora tuna : er a reprimer tutte le paficni, che per alcuna aduerfìta ci poffono gli animi aggravare, che fe noi ci ricorderemo di effere huomini, ci ricorderemo atta ehor quanta fiq ja humana debolezza, et quanta fìa la fragilità^ mortale,effondo di noi ma&mamentejta to dettotcbe noi ffqmo ombra di fimo, o fogno di SECONDA» SS co/è quale altra poffa effer piu uana, o di minor fermezza, io non mi fo penfare,ne penfo che altri leggiermente la poffa dire, o imagi= f,dre« Ben dirò, che conquefla fola fentenza mi par eheppojjano abbatter tutte quelle ragioni, per le qua U noi ci lafdamo dare d uedere, che della altrui morte fi debbiano fare i pianti ,o~ i lamenti. Che fe del paffar di un fumo, o di una ombra non facciamo il corrotto, meno fi dee egli far per l’ombra del fù= mo, o per lo fogno dell’ombra. Ma percioche ne ana chor per quefii foli detti cofi fintamente è da conche dere in quella parte ; Dapoi che la morte, della qua= le bora parliamo , non è altro , che una feparatwn dell’anima dal corpo, per la quale fi mette fine à que= fia mortai ulta, illimo effer coueneuol cofa,che da noi fi habbia cofideratione alla qualità di quella ulta. La uita nofira fe noi uorremo trafeorrer tutto queUo, che hanno fcritto i piu graui fittovi cofi Gena tili, come della nofira fama legge , er fi uorremo confiderare queUo,che in noi medefimi ne fintiamo, trouermo non e [fere altro, che pena, fatica,cr tra= uagliodefcorpi, er tfilio, er carcere delle anime no lire : La onde anchor fi fono trottiti molti,che al foto fintir ragionar della humana mifiria, hanno le ffade rìuoltate contra fe Jlefii. Et di Cleombroto fi legge, che non ejfindo à lui auuenuto alcun contrario accia dente, ma letto hauendo fidamente il libro di Platon della immortalità dell’anima, fi gètto di una alta torà re : i quali efimpij fi come per la loro impietà, & poca religione non fono da imitare, cofi alla nofira CONSOLATORIA infelicità rendono gradiflima teflimonianzdtet cimo nifcono noi, che non debbiamo cofe oflinatamente (?oV lerci di queUo, che altri con tanta ajfettione fi è ue* duto feguitare. Et che noi feamo qui in uno efelio è cofe tnanifefto, che neramente dir ci poliamo effer da una felici fima patria sbanditi in una ofcura uaUe di lagrime. Et ci dice il Dottore delle gemi, che noi qui non habbiamo ferma fianca, ma che la cerchiamo nel fecola futuro, òrJe'qualcFenoflro‘amcoTTafcuno di qùeflì nojlri ricetti, i quali noi chiamiamo noflre patrie, offendo per alcun tempo flato sbandito, finito Vefelio alla patria fe ritornajfe, et altri di quel fuo ri torno ne piangeffe, che cofa ne diremmo noi i Far* muniente non altro , feenon thè fe doleffe del bene di colui, come di nimico, o che egli di feenno fejfe ufcito fuori. Et fe cofe è, cr chepartendofe le anime noflre di quefla pafino a miglior ulta : er di efelio uìcendo. ritornino alla uera patria, tiofo con qual ragione ifecu far ci pofiamo, che noi fenza ragion no ci dogliamo, dolendoci per la morte de’ nojlri trapajfati. Et percioche non folamente efelio, ma prigionia delle anime habbiamo detto effer quefla uitaidico quea do effer anchor fe chiaro, che noti c'è uia di cctradiU tione. Le prigioni delle anime noflre fono i corpi no fri, ne’ quih'elle chiufe, er riflret temente ueggo= no, er niente intendono feenon quanto per le feneflre di quelli à loro uìene apprefentato : Et nel rimanente tirate pure alla cura di quefla terrena mortalità, e?* occupate tra nel foflentamento di quella, et nelle fue infermità, o~ nelle fue ambitiofe cure, er uanita, no mai S E C O N D A. 89 mai fi poffono dir libere infin che delle terrene mem= tra ufcite, er nelh loro primd natura ritorndte non cominciano a ucder e,zr'àft intender tutte le cofe nctld loro propria forma. Perche ncnpcfiiamdir che facciano fieno crudelmente coloro, i quali fi dolgono,che i loro amici, ©■ ì loro congiunti di prigione uficiti filano nèUdloro nadir di libertd ritornati :Et ottimi mente è dd dire , che fientififiero gli antichi philofos phanti, i quali fiotto la figura delle pene infernali defcrijjcro la incarceration delle anime ne’corpi ter reni, Percioche per lo fiume Letheo intefero il cieco crror deU'anima ,la qdale habbia dimenticata la definita , er la eccellenza detta fiua prima conditione, della quale èll'agodeua aitanti che in quefia grane car^ ne ella f offe fiata fepellita. Per l’ardente fiume^dì Pklegetonte ci efpreffero le fiamme de’ noftri fdegni, gy delle nolfre cupidigie . PerJicheronte lignifica* Tono il pentimento delle no fi re operationi fiotto la figura di Cocito i noflri pianti, cr le nojìre malitt conte et dlmò/trarono, E t còn la Stigia paludefigura* ironoZe nopeimidie\inoflriodii, arienofircdtf* Jenjìotù^Che diro del Voltolo , che l’immortal tèga* to di TUio diuora, ne mai da requie alle fitte rinajeen ti fibre? per quello non altro ci ucllono dimoflraret che i contimi rimordimenti delle colptuoli nofire con, Et Tantalo,che fra i pomi, nU meZ° dell’acqua di fame, er di fiete languifce, ci fa ritratto di coloro ,i quali per ninno acqutjlo d’oro,o diargen to mai fatoUi non fi fentono ; ef fiempre fono bifc* gnq/» , er mendici, Per la rota di ifiione habbmo M CONSOLATOR IA ad intender fuetti, che d caffo uiuendo, cr fenzd etlctt ita prudenza, o confidilo SwTando la aita loro. tutti nèWarbtirwfella f ortuna ji rimettono. ùrpTófaffo di Sifipho ci fono aifeghate le fatiche di quegli altri, ì quali la ulta loro confumano ih trattagli mutili, & jn^^atjm^òn^rpmttoalcun£m^^ruéJèm= Jcire. Con quejto. cfconTTlté altre figure ci ejjfrej., fero que' funi la prigionia deUt noflre anime , quel= la non prigionia , ma piu propriamente infèrno appellando : là onde non tanto di efilio er di carcea re, quanto di infèrno debbiam noi dire per la colos ro fentenza,cheefcano allhora le anime nojlre,quàdo elle abbandonano le tenebrofe membra moriEt di quinci è che i piu illuminati[furiti con tanta affittone hanno dì fiderata una cotal feparatione, Que/ìo bra= lombiperleuarji duolo, %fper ripofarft. Et Paolo quejto meaejmo effreffe 3fe ftejfo chiamando infili^ te, er difìderando di effer liberato del corpo di que= fla morte , Perche con tante razioni, or con tante auttòrìta di tali, Z7 di tanti huomini poliamo noi Scuramente concludere , che per la morte di ueruno non tanto ci habbiamo da dolere, quanto da allegrarci come della fua uera felicita : or che doue à morti dia~ Tuo i noftripianti,ey inoflrì lamenti,con lode, er con folcimi canti gli doneremmo celebrare, or efalta= re, fi come quelli,che à piu eccellente natura fi treg, ujno en ere inalzati, or cbéSufciti della ferwtudi cjuejlicorpi, er di molti abatini, ne’ quali fi frotta uno miluppati,una medejima forte inficine coligli SEC NND A. 9° giriti celefti habbiano confeguita. il che'ancor nette tenebre detti loro ignoranza intefero i buoni antichi: i quali ì loro benefattori non mentre che dimorata* no in quefia ulta,ma dipoi che di quella erano u'citi, dirizziamo i tempij, er gli altari, Et con titoli er con facrifìcij loro iftituiuano eterni honori. Injìno a qui a me pare affai chiaramète di uedere, che coloro, i quali noi morti chiamiamo, fi pojJf1}?.L piu neramente dir da morte liberati: Et che di fide* rubile, er laudabile jìa la dforte loro. Et che noi à torto ci dogliamo » er piagniamo dolendoci> er piagnendo per loro. Mapercioche netta morte de’nojlri ci fuol dolere l’effer noi di loro rimafì priui ; er che la morte inanzi tempo gli ci habbia tolti, non mi par di douer ualicar queftipafi (come fi dice)co’ piedi afciutti. Et primieramente dico, che non ci dee effer nafcofto tutte le cofe che a celefligirifono fottopojh effer corruttibili, er mortali. Et fe coft è , qual marauiglia è, fe una cofa corruttibile fi corrompe ? Et fe una mortale fe ne muore i Et quale è la nouit'i di cofi fatto accidente, che debbia far tal alteratati ne gli animi noflri, che ne habbìamo à fare i romort come di una cofa non affettata ? Brutta cofa è al Ca pitanodir nette cofe detta guerra, lo non l'haueapen fato . Brutto c il non hauere antiucduto quello, che non fappiamo fe ha da auuenire o nò : er non faro, brutto non hauere antiueduto quello, di che fumo ccr ti, che egli ha da auuenire : Et di che non fi ha altu incertitudine che del quando, effondo maf imamente qucfla incertitudine nojtra da una tal certezza CONSOLATORIA minata, che 4 tutte l’hore l'hMiamo da affettare, Belld fentenzaè quella di Epicarmo bicorno dottifii* mo. Egli s’i unito,cr [epurato : donde egli era uernt to ft n'è ritornato ija terra in tèrra ,érìo pirite in alto: Qual di qucjle due cofe è graue, o malage-ucìe < Nulla . Et à quello che detto s’è, soggiunga etncbora,che tutte qucjle cofe, le quali d noi fono piti care, non fono propriaméte nojlre, ma dateci in prc danza da colui ,di cui fono tutte le cofe. Perche uoglio dire io , che noi ci debbiamo guardare , che uerfo Domenedio non ufiamo [cortefta, er ingrutitu dine , dolendoci , perche di tante cofe , delle quali tutto di e’ne fa tante gratk, er ci è cotanto liberaa le, egli alcuna udita alcuna ce ne raddomandi. Gli mici, i parenti, ì padri, i figliuoli, i fratelli, er le foreUe, er le altre perfone a noi congiunte ci fono da Dio fiate date in depofito da douerglile ad ogni fua richiefta ritornare. Et che cofa habbiam noi,che da lui non la habbiamo rìceuuta ? N enfiamo noi il popo lo fuo, er le gregge della fua pafiura l Non fono di lui quefte nojlre uili, er a noi cofi care membra i Non è dì lui lo ff trito { non è di lui l’anima noftra i Et di lui offendo, perche rammaricarci dì douer à lui render quello, che i fuo i Non pojfo contenermi che col Poeta non gridi, O cieche menti d’huomini mortali, O petti nofirì neramente ciechi. Noi temiamo quello, che doneremmo di fiderare : er ci dogliamo di quello, dì che ci doueremmo allegrare: Che fe hauefiimogli intelletti fatti, tutti i dfiderij SECONDA. 9* tiofirì à qttefio finefitrebbono dirizzai cr intenti in affrettare che egli a noi ftefii ne raddomandafje, tjjindo cofa molto piu difiderabile effer di lui, che di noi medefimi. Ne detta morte di alcuno ci pofiiamo noi co ragion dolere, perche egli piu in giouenile,che in canuta età fi muoia > Conciofucofa che fe la ulta nofira è cofi mi fera, come s'è detto, quanto piu tofto altri è da tan ti mali liberato, tanto è la fuafelicita maggiore. Et in un lungo pellegrinaggio colui dee effere il piu fili r e riputatoci qual prima fa ritorno alla patria fua-, er non colui, che piu lungo tempo ritarda per lo ca mino, Oltra che fe noi uorremo diligentemente tfami tiare, che cofa fiàTil uiuer nojtro, troueremo quello effere un contìnuo morire? mancando ogni giorno un giorno atta nofira uitaTÉTt quel di che noi diciamo di uMmwuvuv è finir la morte , che fempre morire. Pofcia a noi non è fiato dato l’arbitrio di re gelar le uite humane : Ne noi habbiamo da dar la legge dellauita a colui, che èauttordella nofira ui* ta, Anzi debbiamo noi riceuerla da lui,et acquetarfì netta fua uolunta . Et che dirò che noi non pofiiamo faper quale fia quella bora, che ad altrui uenga piu in concio il morire , non fapendofi quello , che nel rimanente del tempo, che egli hauejfed uiuere,gli poteffe incontrare i Quanti filici fon già morti in fafee ; Quanti miferi in ultima uectinezza. M Hi CONSOLATORIA Et io bora non flaro 4 raccontare gli cfempij,effindo dgeuole a ciafcuno poterne non pochi ritrouare. No» uoglio già tacer quello, che in un tal propofito uietl recitato da Plutarcho, di uno Eli fio, il qude effindo nella patria fua di kauere, er di honore huomo prin cipale , er hauendo un picciolo figliuolo, er quello effindogli uenutoa morte, entrò In fojfeettione ,che altri uagho della heredita l'baueffe di ueleno fatto morire. Et penfando intorno d quejlo fatto , Et difì derando di chìarirfi del nero, ricorfe ad uno di que' maghi, i quali dalle anime de’ trapaffiti promettono di donerà fare hauer le riffoflc alle noflre domande. Et dopo fatti gli ordinari] facriflcij , effo Elifiofi addormentò ,zr in dormendo hebbe una tal uifìone. Il padre fuogli fi apprefentaua (nunzi, er 4 luipd retta di contargli quello , che egli ctrcaua dì faper del figliuolo , pregandolo che l'watt or della fua mor te gli haueffi à riuclare. Et il padre gli riffiondeua, Per quejlo fono io 4 te uenuto , er riuolgendofigli moflraua un garzoncello, il quale tutto al figliuolo di lui fi raffomtgliaua» Et gli diceua,piglia di cofld quello, che io ti porto. Et Eli fio] il domandaua quale egli fife : er il padre gli rifpondetia,che era il Genio di Euthinoo ( che cefi fi chiamaua il figliuolo ) Et quegl; oh apprefentaua una lettera da parte di Eu= thinoo. NeUa quale era fcritto,che egli era morto per Juo diritto dejìino : Et che tte al padre,ne alla madre di lui farebbe fiato profitteuole, che egli fòffeuìuuto. Con quejlo efempio nelle quell’auttor grauifimo di= tnoftraré, che noi babbiamo d tenere, eh e allhora ci SECONDA. 5> * ticngd interrotto il corfo di quejla ulta, quando ella non ha ad effere di utilità. il che fe da alcuno è da credere, che cefi fia, noi lo habbiamo d tener per fir rao-> (0ll’e quelli, che fappiamoil uolcr di Dio effer, che tutti gli huominì fi facciano jaluint efjènio que= fialauolunta di lui, debbiamo anchoraejfer ficuri, che egli a punto in quel punto di quefta aita ci leua, quando egli piu ci fonte d/fpofli alla noótra faluatio= ne. Et quefto pare che fentiffe quella uile fèminetta ; il cui figliuolo effondo menato all'ultimo fupplicto-.cr fentendo ella ,ch’egli tutto fmarrito uifi conduccua, la cor fa il co/or tócche [cacciata ogni paura alzaffe la tefta, zrgli occhi dirizzale uerfo il cielo : il che ha nendo egli fatto, or non fai tu figli nolo,dijfe eliache tu te ne bai da andare incontanente in quella pa= tria fempiterna f* Si come jfiejfe uolte fuole auucnire, che altri per folta nebbia la uifia [tendendo nò può di lontano feor gere la uera firma di alcuna cofa : Et poi che la ofcit fita di quella da’ raggi del Sole è cacciata , il tutto nella uera, espropria fua figuragli fi dimojlrai Cefi pare a me fentire, che quel debile mio [guardo, il quale in fui principio diquejlo ragionamelo dalla caligine della pafione ofcuratono difccrneua quello, che dirittamente richiede fe la ragione, horap quefli difeorfi dal lume del uero illuminato comprenda il tutto effer diuerfamente da quello, che di fiopra mi dittaua in quel primo mouimento dell’animo la mia openione. La. onde determinatamente mi rifoluo do= uerfi concludere in ninna maniera douerfi i mortali M. iii i CONSOLATORIA dolere della morte dì alcun mortale,poi che noi ueg* giamo per quella le anime noftre ritornare nella lo* ro uera natura, er ricongiungerfi al loro eternai fattore. Ne perche i corpi noftri perifcano ci debbiai mo noi affligere, perciocheprimieramente rimanerti do e fi fenza alcun fentimento non ci è cagion che noi per quelli ci debbiamo dolere, ricordandoci mafima mente dicio, che Diogene infui morir diffioneffe del fuo: che domandandolo gli amici fuoi doue uoleffe effer fepelììto ,d'iffe ,cbe nel gittaffero alla campa* gna : Et rifondendo e fi, che i lupi, y i corui l’ha» tterebbono diuorato, aggiunfi, che doueffcro porgli appreffo un baftone, che egli co quello gli kauerebbe facciati: Et foggmngendo coloro, che egli fintiti no gli hauerebbe . Che dunque diffe egli, à me, s’io non fintirò ? La qual fintenza di lui ,Ji come conferma, che pèrla morte de' corpi non debbiamo lagrimare, cefi io fo,che la pietà Chridiana non comporta , che di loro non fi debbia niuna cura hauere . Anzi ha ella proueduto, che in terren facro habbiano ad ejfer ripofii per liberargli dalla giuridition dell’antico no* ftro aduerfario , il qual pretende di hauer fopra quelli podeftà p la maladittion che Dio diede dopo il peccato de’ primi nefirì parenti. Di che anchorfì legge nella fcrittura , che egli combattè già per la pojfifion di alcun corpo particolare. Et ragione è, che fi come de’ ueflimentì de’ corpi noftri prendiamo cura,cofila habbiamo à prendere anebora de’cor* pi come de’ ueftimenti delle noftre anime. y in tale jtttna, y ncn in altra gli debbiamo noi hauere ; che S E C O N D Ai 9? fentenza de' piu faui e fempre fiata, che l’anima fola fi* ueramenttl’huomò~, cr che il corpo fu lafpogiia di lui. Et ciò fi come per molte fcritture è flato trat= tato, cofì da Anafarcho in mezo de’ tormente fl può dir che fìa flato autenticato . Che offendo egli per ordine di Anacreonte peftato in un gran mortaio, fenza fegno moflrar di alcun dolor ì miniflri riuolto difle, peftate il mortaio di Anafarco, che Anafarco péftar non potete noi. Ma di coloro, che i corpi loro hanno hauuti in poco pregio, et molti fono gli efein= pij : et queflo non eil luogo da raccotargli. Etpauuc tura no men molti fono anchora gli efanpij decoloro, i quali hanno> la morte de’ loro cari patutemente fo flenuta.Etio di recitarne alcuni pochi faro co tento. AnafdgoraPhilofopho dilatando un giorno fu fuoi amici gli fu recata noueUa, che un fuo figliuolo era morto : Et egli interrotto il primo ragionamene to dijfe a i circoflanti, Io fapeua bauer generato fi* gliuolo mortale. Horatio PuluiUo confutando nel Campidoglio un luogoà Gioue, hauendo uditala morte di unjuo fi* gliuolo, fenza fare altra parola, cr fenza pur di= moflrar nel uifo fegnal di alcun dolore, continuo la confecratione, , Pericle hauendo perduto due figliuoli in iflatio di otto giorni niente mutato dal fuo primiero ejfere, non fenza uniuerfal marauiglia di tutti gli A thè* niefi, trattaua i publici negocif, cr confòrt tua il po polo alla guerra, diuifando delle imprefe, le quali fi haueuano d fare, CONSOLATORIA ■pdulo Umilio battendo due fuoi figliuoli perda* ti , l'uno quattro giorni auanti il Macedonico triom pho , er l’altro tre giorni da'poi comportò quefie percojfe, non fidamente con patienza, ma nel cofpeta to di tutto il popolo di Roma ne refe gratie atta fortuna, ©” pregò i De;', che fie pericolo alcuno atta Republtca foprajlejfe , queUo riuolgejfero fiopra la cafa fua. Dione Siracusano e (fetido un giorno in camera con fuoi amici fientito un gran romore, er dotnadato che ciò fife, gli fù detto,che un fitto figliuolo era del tetto caduto, et morto. Et egli altra njfofia non fece,fieno che fi douefifie far fcpeUire „ Et Cornelia madre de’ Gracchi dopo la morte di dodici figliuoli, Et Tiberio, er Caiouccifii ergitta* ti fienza fepoltura, doletidofì le altre donne delle fiut tante fciagure : Et dicendo, che ella era neramente mi fiera, efij'a ri/pofie, Io non dirò mai, che io non fìjft* lice, dapoichef Gracchi ho parturiti. Qyefloa me fiembra un tale cfempio, che in quefio Itti par di poter conueneuolmente metter fine alla rammemoratimi di tutti que’ piu memorabili efempij, che in qucjla materia ci fi pojfano allegare . Vna donna, & madre, Et madre de’ figliuoli tenerifiima dopo la morte di tanti figliuoli ; Et nel inezo de loro flratij, cr delle loro ignominie chiamarfì felice, mi par che ecceda la grddezza dell’animo di qualunque altro piu fi è dimojlrato nelle aduerfìta coftantc. Et non fio fie altra uia migliore a confolateai triti nelle mi ferie fi pofifa ritroiure, che con quefio efempiori* SECONDA. 9 4 UolgcY Vinimo da quelle co fe, che afiftittìon ci arreca no, a quelle che alcuna confolation ci poffino appor= tare. Et beati dir lì ooffono in ciueflo tnodo_( fiealcu ni beati dir ci fi pofionolcoloro, i quali hanno nelle aduerfìta da ricorrere a cofe fiche pofiano effer loro di pari* conforto . Et fe alcuno ci ha, JTqualé beato dirjt pofJa,Voì Valorofìfiimo Signorc(p mio auliifo) beati fimo dir ni potete, à cui fi uede con larghi fiima tnano Dio hiuer fparfò delle fue gratie cofi de’ beni della fortuna, er del corpo, come di quelli dell'animo, T>i che douete anzi tffcrc oggetto di madia,che foggetto di dolore. Et fe bene a noi par di fientire nel ntar delle uoflre dolcezze alcun gufo di amaritudi ne ,Di qui hauete da fientire anchor confiolatione con farne argomento che la grandezza ,er la gloria tto dir a babbi a da continuare,et da fiarfi maggior :pcio= che niuno flato di mortali è piu pericolofo di precipi tofia ruma : che quello delle continue felicita fienza ab* cuno amenìmento di coje aduerfe. il che con l’cfem-pio di fi olici ale fi può affili ben comprobare : Ne me no con l’auttorita di Philippo, al quale effindo quafi in un me defilino tempo fiate portate nouette detta uìt• toria Olimpica : della uittoriofa imprefa dì Parme» nione, Et del naficimento del figliuolo, che fu Ale fi* fiandrò, pregò Dio, che con alcuna triflezza miti= Rafie quelle Tue tante allegrezze. Et per non mi par tir dal ragionar letta ' morte dico , che quefti fono comuni , er naturali accidenti . Cofi morirono gli dui ttoflri, cofi fono morii nofiri padri, er cofi mo* CONSOLATORIA rirrno noi . Et di' mano in mano fi daranno luogo una ad altra generatione. Doue c hora 'Kerfe con quella fua poderoffima hofte, con la quale eglicon= giungeua i mari i Et bcuendo afciugaua i fiumi l Dotte fono gli innumerabili popoli, che amò , er contra fe uide amati la ualorofa Semiramis ? i qua* li furono (per quello che fe ne ferine) tanti, che di altretanti infìemein altre guerre,non ne fanno per* auuentura mentione hìftorie alcune. Dotte è il gran* de Alcffandro, il quale un folo mondo non f conten* tana di fgnoreggtarc * Doue è quello altero ffirìto, il quale fi fece foggetta l’alta citta ,.la. quale .dal cielo era fiata ordinata a douer effer Donna dell’uni uerfo f Et doue tanti altri famofi, er gloriofi f che il ricordar pur di uno in uno i nomi loro empiereb* be piu fògli, che quejli non fono, i quali infitto ad ho ra io ho uergati con penna, er con inchiofiro . Et che parlo io de gli huomini f No» uggiamo noi man car le citta * non ueggiamo perire i regni i Et quel che è piu » noi Pappiamo, che non che altro, ma il mon do ifleffo morendo anche egli bada patir dijTolutio» ne, I» quejta conditione adunque cofì uniuerfiale non ueggo, perche alcuno ne debbia fentire dolor parti* colare , fapendofì tìuf imamente come inutili Ciano i foffiri noftri, Et come fetiz* gioumento filano le no Jbe lagrime : che elle noi diflruggono, er a’ morti nofiri non portano alcun rimedio . Di che poetica* mente , er leggiadramente dice Horatio à Vergi* lio fcriuendo. O/è tempraci le fonanti fila De la. tua cetra a gli arbori fonan lo Placidamente piu cbe'l Thracio Orpheo, Ter ner ia però il /angue à l’ombra uanal Poi ch’uria uolta con l’horribtl uerga Vhaura alla nera greggia infreme aggiunta Mercurio, il qual per prioghi non fi piega Ageuohnente a ritornarne in iuta. Potrei io affai commodamente con quejli uerfi china dere il preferite Juggetto ,fenon che una altra fola co fa non uoglio lafdar di dire. Et ciò è, che nelle leggi de’ Liei] era ordinato, che qualunque uolta altri ca= deffe-in alcun lutto, infin che durajfe quel fuo duolo e’ non doueffe ufar ueftimenti altri che ftminilì, udendo fi con quellofegno di= mofirare ,che il largare il fieno d doloro/affetti non è co fa punto con ueneuole à perlone di uirtu eccellenti » LA POLVERE ALLA ECCELLENTI SS* S, DONNA MARIA D’AR AGO N A Marchesana del VASTO I L M V T I O ivstinopolitano. I P A R R A forfè frana cofa Eccelfd, er Valoroft Donna, che io, il quale ab tre uolte mi fono faticato di mandam componimenti poetici j er leggiadri, bora mi fìd condutto ad dpprefen tarai cofa coft ulte, come è la E dure. Mane perciò douete mi dannare incontanente il mìo confìglio ; percioche quejla polucreno è in tutto da d'ifprczzare ; anzi ha ella molti priuia ligi] di degnila, er di eccellenza. er è perauuentu* ra piu che l'oro, er piu che l’argento pretio fa ; con* ciofìacofa che ella idi quella,che Dio con le fue mani adoperò nella formatione della humana creatura : di quella , che egli mette infume per fare i uejlimenti alle anime create alla imagine fua, er alla fua fimi* ghanza : di quella, in cui la dìuinita nafcojìa in far* ma d'huonto è fiata un tempo fra noi; di quella, che in noi obidendo alla diuina parte, che è in noi, fard LA POLVERE. 5><$ «ttd à diuenìre eternamente gloriofa > cr finalmente di quella, la quale glorificata nel corpo del figliuolo di Dio, er in quello della Vergine madre di lui, fo= P*d ì chori de gli Angioli è fiata efaltata. Cotale è adunque la mia poluere : nella quale, le uci EcceUcn te Donna uorrete ben guardare,uoi fieffa anchoraui uerrete a trottare. Là onde non doueteper la uilta del nome [degnare il dono mio ,fe non quanto uoi me= defima ui fentite hauere d [degno . Or uedcndo io quejìa poluere effer cotanto honorata, mi fono per maggior fuo pregio sforzato di ornarla in parte de’ fregi della falutifira dottrina, in maniera che per le cofe terrene trapaffando mi fono ingegnato di mct* terla nella ma della eterna beatitudine. Co fi piaccia a chi mi ha dato Jpirito di fcriuere , di darmi ambo, ra tanta uirtu di operare,che la uita mia no fi truoui diuerfa dalla mia frittura. LA POLVERE. VANTA fu la humana uanita, er quanta laburna= namiferia,con poche paro* k ce io injegna quefta mat* tina la fama maire Chiefa la fronte di cenere ffargcn-dca,c?à memoria riducen docì,chenoì fumo poluere, O’ che in polito e habbiamo i ritornare. L e qualipa= role nella loro breuita quanto cotcngano difentenza. LA POLVERE. altro piu propriamente non fo che dire , fe non che elle della nofra conditione ci apportano tutte quelle noueUe, che à noi piu di fapere fi appartiene. Et con tutto che elle infume con la nojìra creatione da noi debbiano effer e ilate intefe,pur uiuiamo noi in maniera, che di queUe non pare che ne habbiamo notitia alcuna, er tuttauia di anno in anno fempre mone ci ritrouano ; ne di hauerle hauute hoggi domane ci fa ra memoria. che fe noi da queUo, che elle alle orec= chic nolire fuonano ,à quello, che elle fignificano,ri uolgefimo i nofiri penfieri, er delle noflre menti no le lafciafimo ufcire , per la confieratione di queUe cono fendo la uanita noftra, er la no fra miferia,de’ nofiri errori auueduti ,er per altra uia dirizzati* do U camino della uita nofra, in breuifitno ffatio di tempo er men nani, er men miferi ci potremmo noi ageuolmente ritrouare . Alla qual cofa hauendo io, tofo che ho tal nouella hauuta, riuolto il penfero, ho nell'animo mio propofo di douere intorno i quelle parole andare efaminando quali fìano quelle cofe,che piu fogliano tener gli animi nofiri occupati, quaf co me in quelle poffa effere la uera felicità. Et do in= tendo io di fare con tale auuifo,che fe noi quelle tro uerano effer tutte uanita, conofceremo anchora, che quelle feguendo, fguìti&mo la nofra miferia’.et che pertanto in effe non debbiamo far fèndomento a'no-a fri peti feri, dapoi che noi fumo poluere, er che in poluere habbiamoàritornare. Etico adunque, che effendo l'huomo di anima, er di corpo compofo ; er effendo quella nobilif‘ma, er quefo LA POLVERE. 97 quello uilìfiìmo-.quella celefte ,etqfto terreno-.quelli eterni, cr quejlo mortale, noi uniuerfalmente tutti dati à dilettare, & d fodis fare a quejla uile, cr ter rena, cr mortd! pdrte noftra, della nobile, celefte, Cr immortale ne prediamo quella cura,chefe ella di nulla ci appartenere. il che non fi può dire che fu altro che euidentiftima pazzia: concioftacofa che ef; fendo il corpo no altro che ueftadell'anima.noi al go verno di quello offendo intenti, cr quella abbandoni do, facciamo rio altramente, che fe de panni noftri hauefttmo penfiero, cr t corpi nojlri non curando, quelli lafciafiimo perir di fame, & di difagio. O ben ueramente pazzt humane creature,cheej]en* do dall’una parte confórmi alla natura de gli anima• li bruti, cr daU’altra della diuinita partecipando, all’ornamento della terreflre parte tutti intenti, quello che è in noi di diurno ci fatichiamo di traspre marloincofa terrena. Perche no fenza cagione gridi il non minor Propheta che Re Dauid. L’huomo in honore offendo non l’ha intefo ; S’c comparato à gli animali bruti, Et à quelli s’è fatto fmigliante. Et comeche quejla fu pazzia cofì evidente,pur ci fu mo i piu di noi continuamente inuiluppati : er dal» la humana prudenza quelli fono i piu fauij reputa• ti, che piu in quella fi trouano ejfire molti. Or di quejla noftra pazzi* non una fola ne è la fftetie, ma molte, cr àiuerfe :che qual tratto da una, cr qual da altra openione, chi per luna uia, cr chi per late tra, i corpi noftri amando, a quegli ftudiamo di co* f L A POLVE R‘E. pittcere, Che altri i dilettare i terreflrifentìmen= ti è col cuore, cr con l’anima tutto molto : ad ah trui ftmhra , che la corporal bellezza:;, oda prodezza ad-ogni altra cofa debbia effere propofta : ah cuoi cercano di acquijlare, er di ragunar ricchezze quanto piu 'pojfono maggiori ;da altrui fi fttma, che feliciti al mondo non debbia effer tcnutapari à quel■ la del falire 4 gradi delle degnita, er de gli bone* ri : molti reputano ,che il fioreggiare fa quel bt* ne,del quale altro non pojfa effer ne-maggiore, ne eguale : ned mancano di coloro, che nel confeguir gloria, er fama hamo ripoflo il fine di ogni difide* rio loro, fra-quefli fludij ( sio non Manganilo ) /4 maggior parte de’ uiuenti tiene impiegati i fuoi peit fieri, er le fue fatiche. Perche di uno in uno 4 me piace di ragionarne alquanto, per uederefein ue-r uno di e fi ui baco fa ,fopra la quale debbiamo fera more i noflri difiderij, ricordandoci che noi fumo poluere, er che in poluere habbiamo a ritornare. Et dal piacer cominciando dico, che egli altro non è intorno 4 noflri [entimemi, che imo inganneuole lufmghiero, il quale con le fue falfe dolcezze , er con le fuefintepiaceuolezze ci da d uedere ottimo tffer quello, che è catttuifimo : crgioueuole quello, che, è nocenti fimo, e? quale anima de'fuoi uezzi fi lafcia inuefcare, de’terreni affetti alla fine fitruo= uà effer cattiua:cbe( come ben dice ildiuin Platone) Il piacete oda-gufa di un chiouo conficca l’anima al corpo , er 4 quello nel congiunge in modo, che la fa diuenir corporale: di che apprejfo t\e aumie, che LA POLVERE. 98 eUu jlimd uere quelle cofe, che il corpo le dpprefen* ti : er per confeguente dì quello dilettandofi, di che il corpo fi diletti , è neceffario che di ogni.alti, er honoreuole conftderitione fi ficài lontana , il che pir che bene intendejje quel buon Scornino, ilquile hiuendo fentito, che un Philofopho Atheniefe dicea Ui, che ogni cofi fi doueui fire per hauer pìdcere, pregò Dio,chea Virrho,er ì Sanniti (i quali erano nimici del popolo dì Roma ) doueffe dare una tale openione , er unitile intentione: giudicando che per quejìi uid contri dì loro a'Romani ageuolìfimi vittoria farebbe flati conceduta : fi come per tfem-pio fìt appreffoconfermato in Annibale,al qual piu tiocque capta, . Che non fè Tra fmeno, er Canne ì Roma. Perche non fenza ragione la citta di Sparti lunga* mente tenne gli occhi de' fioi cittadini lontani dalle A fatiche dclitie: e? Scipione Emiliano mandato in Hi/pagna, toflo che egli ali’e forato fk armato ,co mandò , che tutte quelle cofe -, che per cagion di piacere uif trouauano, incontanente doueffero effer tolteuìa , Lodéuolmehte i Lacedemoni], er lode* uolmente Scipione, Di che tanto piu di bìafmo me» riti ~Xerfe,il qudlpremij propofe a chi trouata hi ueffe alcuna nuoua maniera di -diletto . Ne di piu laude e degno Tiberio Imptradoro , che in Roma ordinò un nuouo off do fopra i piaceri. Ma quali parole potrebbono effer baftanti a degnamente lacerare lauilta di Àriflippoi Egli neUa fehuola Socra-fica di fan ti funi ammqef ramenti effondo fato nu* LA POLVERE. trito , per pottrfi dettar douerebbono, che l’appetito alle preparate menfe gli inuitaffe , efii l’appetito inuitano : là onde fempre fuogliati fi trottano, ne mai uno intero diletto fentonodi quello, di che fommamente fi dilettano, che affettando la fa* tnemon men grato fapore fentiuano legenti di Fera fianel loro nafiurtto,che (ì fentiffe M. Antonio,o Cleopatra ne’loro ( debbo io dir fplendidifiimi, o prodigatimi f ) canniti ; o pur viteUio di quante LA POLVERE. 99 fdporofe dilicatezze egli faceffe raccogliere da tutti i mari,et da tutte le terre nel fuo feudo di Mìnerua. Perche ben dieeua Alejfandro , mandandogli ogni giorno la Reina di Carta efquifiti cibi, cr diligeri=* temente conditi, che égli haueua migliori cuochi di lei, che a lui faceuano il mangiare faporito : perciò» che il faticar della notte nel facea ben deftnare, 0“ il definar fobriaméte nel faceua ben cenare. Et Ars taferfe fratello di Ciro in una ficonfitta hauèdo la fai* meria perduta , mangiando pane d’orzo , er fichi fecchi col condimento della fame, diffe, o qual piaces re è quello, che io per adietro non ho fentito gids mai. Perche io uengo a concludere, che fouerchio c lo fludio del cercar la uarieta, et la dilicdtezzd dette uiuande, confìjlcndo la dìlettatione del gufto no nella qualità di quelle, ma nell'appetito. Senza ehe Idue ra uia del goder lungamente del diletto del gufto è il uiuer fobriamente : che chi altramente fa , là A°uc penfd dijatiarft grandemente , fi priuadi potarlo far lungo tempo\ non ci ejjèndo cola uerund, che piu raccorci la ulta deU’buomo, che il compiacere aUi gola > oltra che fin che egli pure Jla in uita}per que* fio uìtìò à mille infermità è fottopofto : chealtrondc ne ptumolte .nep’.u vràiii alla humana creatura non_ nejfoprauengoiwT Pt che diro, che niuna altra wac_ piuprefìaà farci d'iuorarle faculta.eri patrimos mfi N i u rtacojaci t>riua piu di Tentimetito ,C?di in* tettettonìmal bìuatta a farci t Jecretì melare! Et niuna ce ne ha che piu prontamente a gli Ican^ Udii, grolle rifa ci conduciti Di' che non Jenzd odo i ------------------------ n Hi e LA POLVERE*. gioneil prophetet Iftiet gridi, Guai <ìcoloro', che fi leuano lamattina per andareprefjb alle ebbrezze• Et nel Vangelo del ricco, il quale fflendidamente mangiaua, è ferii to , che dall'infèrno gli occhi inal= zando diftderaua, che Lazaro già flato mendico dal feno di Abraham difcendejje à porgere alcuno refrigerio alia fua arfura. Vengo bora all'altro piacere di Epicuro, il qua* le confifle ne' carnali congiungimenti. Qac/ro da Pia, tone è detto piacere impetuofo, et ftriofo : er dinan= Zi à lui Sophocle Poetagli hauea dato nome di fiero, er critici Tiranno. Di che non fo qual cofa piu ue= rumente -fi poffa dire : che tome una uolta quefto fu* rare dell’animo humano fi infignorifee , cofì d niu-na altra cofa lo lafcia riuoltare t er con tutto che aU tri dell'error fuo s'auuegga,pur nondimeno uà qucU lo feguitando, Et uede il meglio, er al peggior s'appiglia. Et qual altra affettione s’è ueduta giamai, che gli huomini, er le donne habbia riduttì ad imprefe cofi ftraboccheuoli, ad opere cefi pericolofe,cr à misfatti cofi federati , come quefla f Certo , che io creda, ninna. Quefla Muffe Samiramis d ricercare gli ab» tracciamenti del figliuolo : er quefla fice, che Artas ferfe a trecento, er fejjanta fimine, che egli hauea, ui aggmfc anchora due fue figliuole . Che diro di Euridice Reina de' Macedoni, che per dare il regno all'adultero auuelenò i proprij fuoi figliuoli ? che di Cambifie i che di Caligula i Che di Gcnis Re disco= tia , che le fonile contaminarono i Tacerò Capro LA POLVERE.; disiane fio ricetto di. Tiberio > paffero con filehtio Nerone.,gli altri Romani, Imperadori; che.pani ino mio abborrifee di andar per. co fi {porche hifiorie decorrendo , Non upglio gii pajfar Ruben, er Ab~ {don, i quali fi mefcolarono con le {emine de’ padri loroMd chi ben mole intendere quanto fu ueleno= fi li pejledi qucjlafùria,.ft jpecchi in quel lume di fapienza Saldinone, il quale battendo fettecentomos gli, er trecento concubine, uinto da quella rabbia lì lafciò inducere ad abbandonare il nero Dio, er alla idolatria firmile. Taccio i piu jporchi efempifide’ quali non men piene nejono le {acre, che le mendas ne lettere : cr.folmente ucglio dir, che quefto sjre= fiato appetito ha condutto de gli buomini à uolerfì fdtiare anchora de’ corpi morti : il che er nelle antis che,et nelle moderne memorie fi ritroua oltra che da quefto impeto befilale Pafiphe à tal fu condutta, . ... Che s'imbeftiò ne le imbeftiate fchegge, ' fm il che non dico io per dare auttorita ai una fattola t ma per dir {otto quefia fauola,che perauuentura ino ■ *"r‘ ftri fecoli ne hanno uifto piu di uno de’ cofì fatti efem T/ pij. Brutti, {parchi, er abominatoli efempij, come f *, brutto , fporcho, er abcmineuole è il uitio, donde r procedono-.il quale fi come è abominatole, co fi è mol.d-jMfat i** te uolte con giufio dolore fieramente uendicato : ne-altra ingiuria alcuna è coft atroce, ne che coft prons (mente armi le mani de' popoli contra il {angue, er contra la uita, non che di altrui, made' proprij loro Signori, Roma non ricusò il giogo della Tirannia infili che Lucretia non fu uiolata : er i Dieci furono N iiti LA POLVERE. foftmtì infin che la caftita di Virginia non fu ten* tata. Che diro che lo sfòrzo tifato contra paufaniafù cagione della morte dì Philippo ? Ne folamente le in giurie, male falfe [off itioni hanno armate le mani de' fudditi contra i Prencìpi loro, come fi legge di 1 ppoclo Re de' Chi] . Et che feuere uendette fene leggono nella Scrittura.. Et per tacere il diluuio » cy le citta con fuoco diflrutte da Dio , lo ftupro di Dina figliuola dì ìacob fu cagione > che tutti i ma* fchi di Salen furono tagliati à pezzi : er perla onta fatta alla moglie del heuita , la Tribu di Beniamin fù condutta in diflruttione. Ne forfè men notabili uen dette ne hanno uifte i meno antichi fecali : er io faro contento di hauerne Smemorati due feguiti nel Re» gnodi Sicilia, il Re Manfredi per hauere hauuto men che honefla domcflichezza con la moglie di Gio* ttanni Conte di Caferta,per opra di lui perde quel Regno injìeme con la uita. Et appreffo u fando Fmn cefchi troppo liberamente con le donne Siciliane, que popoli tennero tal trattato, che al fuono] del ueffro quanti della natione Francefca erano in quella 1fol er la celada, er il patir fame, crfete , er freddo, er caldo, er armato dormire infu la nuda terra , pur ffierando quando che fra, di arricchire de' beni altrui.Quegli fra gli anni fer= rato tra il picciolo circoito di uno fluitolo, er «cg= ghia le notti intere, er digiuna, er (ùgge ogni pia ceuole compagnia, per poter poi à minuto uendtr la fetenza fua. Altrui non poffono raffrenar le leggi della natura, ne di Dio, che ogni giorno no fi pre= fbi ad ufura. Da coflui fi tien mercato delle cofefit ere. Ne ci mancano di coloro, i quali intorno à piu /forchi, er piu uergognofi guadagni contìnuamente LA POLVERE. ioj fi trottino occupiti. Ne uilta, ne triftitii alcuna ci hi, dZZd quale quefia malidetti fame d’oro gli buos nini non conduca . il che intendendo il gran difee= polo di Socrate, dice, che cofa alcuna non è piu per= niciofa dell’oro, er dell'argento. Ef czo no» meno e fiato cono fiuto dalle [acre lettere: che neU’Ecclefia-fiicoè fritto. Cofa non è piu federata dello auaro: che ti leni in fuperbia terra , er cenere ? Cofa non ci ha piu iniqua,che amare il danaio:che chi queliti, ama uende l'anima fua . Ma dette irifiitk, che per quefia cieca cupidigia fi commettono chi ne mole la copia degli efempij riuolga la mente alle hiftorie condo le leggi fi gouerna , quegli è neramente Re (come dice piatone) er è legittimo Signore:©■ qual da quelle Jìparte ( freddo la fentenza del medefìmo) o Tiranno. Ma ne Platone fi egli lo auttorc dt que~ fta fentenza : che Mcfe parlando della ijtitutione del Re> dùe , che egli debbia e[fcr con la legge, er ni quella legger tutti i di della ulta fua, accieche,egli o ii LA POLVERE. impetri a temere il fuo Signor Dio : cr dccioche egli ferui tutte le parole della legge, cr le cojlituttoni di quella,cr le metta in efecutione. Et Samuel ap-preffo battendo unto Saul, cr fattolo Re di ìfrael, fcriffe la legge, che eglibaueada feruare,nel libro, Cr la mife nel coietto di Dio. Or fe quejìo è l’officio del Signore, donde nafee quefto difderio di Signoria , douendo effere il Signore [oggetto a coloro, che a lui par che f;ano [oggetti i cr nella gràdezza, er nella ( diro cop ) infinità di tante faccende non po tendo hauerpure l’hore del fonno otiofe ? intorno ì quejle cafe decorrendo io alcuna uolta meco ftef[o,mi par di comprendere, che d quell’Alejfandro, a cui il mondo ha dato titolo di grande, et nel quale par che concorreffèro molte parti di humana eccellenza,d lui dico, mi par ( udendo egli effer Re ) che gli man* caffè la principal conditione : cr ciò e, che non fa-peffe qual fèffe del Re l’officio : che hauendo nell’ani mo uanamente conceputo una openione di dotter fog= giogar tutto il mondo, alcuna uolta diffe, Et quddo hauremo uinto il mondo, che faremo noi appreffo * Vano, cr pazzo Alejfandro, che ti giouaua hauere hauuto per maeflro Arsotele ,fe non hauereffi fas puto Signor del mondo trottar che fare ? Et che do= ueui tu penfar di fare altro, che di reggerlo, cr di gouernarloi Et quanto piu uer amente farefli tuffa to Re, fe piu pipi flato intento à reggere il tuo, che ad ufurpare l’altrui : cr fe tu hauefli faputo gouer tiare te fteffo, cr non ti lafciar tiranneggiare dalla ira, dal uino,et dalla ambitione; che da quelli fiftì LA POLVERE. *07 tndutto a macchiarti le mini del [angue de' tuoi piu wer{ j er piu fedeli amici : er cfd qucfta, prima che tu kauefii cominciato à domar parte alcuna del moti d° » fz lafciafti perfuadere a farti chiamar Re di quello, er appreffo d uolere effere tenuto figliuolo di Dio . Aid lafciamo bora il pazzo Alcffandro, il quale non Re, ma Tiranno dee piu propriamente effere appellato ; conciofiacofa che piu furono le ti= rannefchc opere fue , che le reali. Et per concludere il dir del legittimo Signore , effendo l’officio fuo quello, che detto habbiamo, er che neramente è, io non ueggo che cofa poffa effer nella fignoria, che la faccia difiderubile : percioche molto piu dolce cofd e l’effer e ben gouernato, che non è dolce todgeuole il bengouernare altrui. Da quello, che detto habbiamo quale debbia effe* re il gouernodel legittimo Signore, fi può affai age= uolmente comprendere anchora quale per Tiranno debbia effer conofciuto. Et per farne un ritratto di lui in poche parole, E gli il tutto opera per fe,0“ il libito fa licito in fua legge : Si come colui, il quale ha il fuo appetito per,legge. Or i Signori cofì fatti, quanto in uifla fi mojlrano glorioft, er intorniati di moltitudine di gentilhuomi ni, er di miniflri, che gli accompagnano, cr che gli fcruono, ci rapprefentano fimiglìanza di felicita,tati to negli animi loro fono piu dolorofi, er piu infili ci, lacerandogli il rimordimelo delle loro male con feienze ; Ne le guardie, che armate ftanno loro da* torno, gli difèndono, che le infernali fùrie non fem■ Ó ai LA POLVERE. pre pino loro dddofjo, er non continuimele gli tor mentino . Efi non hanno mi ne bene ne ripofo» Nella compagnia delle proprie donne loro , la quale fuole effere àgli huomini dolci filma, non iftanno coti l'animo mai quieto. Tra i figliuoli, i quali fogliono efjer la paterna confolatione, fembra loro di effer tra nimici. De’ frutti della fantifiima amicitia non godono giamai, dittando loro la loro confidenza, che non amando e fi alcuno, non meritano di effer da ala amo amati. Se mangiano, fe betiono temono il udc= no :fc dormono fognano arme, [angue, perfecutio= ne, er morte ; er continuamente hanno foretto di quello, diche fi fono confapeuoli di effer neramente degni : er di tanti hanno paura, di quanti fi trotta» no effer Signori : là onde auuiene, che non hanno perfora, di cui poffano prendere alcuna fide. Colui non andana mai 4 dormire con la moglie , che prima non faceffe cercare per tutta la camera, er iftuo* tere ì panni del letto , fe coltello ui fèffe fiato nafco= fio . Dionìfio delle mogli di niente piu fi fidaua di colui, er dalle figliuole fi faceua abbruciare la bara ba, er i capelli, accicche ne altri, ne effe con fèrro glifi accofiafferò ; er Commodo 1 mperadore no mett fauio di Dionifio, gli fi abbruciala per fe fteffo.Md mi par che piu memorabile efempio ritrouar noti fi poffa, di quello di Carlo fettimo Re dì Francia: er pertanto di quefio filo faro contento di hauere an* chor fatto mentione. Egli adunque temendo dì effe* re auuelenato flette alcuni giorni fenza alcun cibo, di che fegui che gliene uenne la morte ; la qual ccr= LA POLEEOE. log cando egli di fuggire in quella incorfe. Io non flaro bora a rammemorare le uiolente,etuergognofemor ti di molti,che tutte le età,et tutte le carte ne fono pie ne •"m<* l’en diro, che io non credo, che flato alcuno fla piu infelice, di quello de’ Tiranni, a' quali con= Mene o che uiuano miferi, o che muoiano uituperatìc Lafcio di dir gli affanni, che hanno ( o fieno Signor legittimi, o Tiranni ) nelle guerre, che fi fanno tuta todì; le perdite degli huomini,le ruine delle citta, gli incendij.de paefi, le rotte de gli eferciti, et delle armate, la loro cattiuità, cr altre mille aduerfita , che fl ueggono dì giorno in giorno ; er uengo a concludere , che nella Signoria ui ha molto piu di ama= ro, che di dolce; cr che per confeguente non eco fi difìderabilc. Et quando bene ui fvffero tutte le dola cezze, no doneremmo noi perciò metterai il fine de’ noflri de fin ; pcrcioche ( come dice I acopo Apoflolo) la uita noflra non è altro , che un uapore , tl quale apparifce per un poco di tempo, er incontanente fi dilegua ; il che non in altro modo piu ageuolmcnte fi conofle,che peti fando, che noi flauto poluere, er che in poluere habbtamo i ritornare, Ci refla a uedere quanto fla da apprezzare la gloria, er quella fama , che dopo'noi procuriamo di lafciare ; della quale pare, che quanto ciafluno è di piu eccellente ff trito, tanto ne fta piu difìderofoter do fi uede chiaro in ogni ftudio , er in ogni arteiche cofi nelle arme, come nelle lettere : cofì nella pittua ra, come nella finltura, er nelle altre arti meccaa biche, er nelle uiliflime anchorafn tutte le fatiche, o uà LA POLVERE. in tutte le pene, er in tutti i pericoli non par che alcun piu dolce nutrimento ui fi fenta,che quello della ffieranza di douerne gloria confeguire. Et è queflo difiderio ne gli animi noflri paffuto tanto auanti,che coloro anchora, i quali fcriuono i libri dello jfirez=> zar la gloria, à que' mede fimi libri pongono i titoli de’ loro nomi ; quello cercando, che altrui fi sforzano di moflrare, che fu da di/prezzare. Or queflo difio fìfù quello,per lo quale Giunto Aleffandro à la famofa tomba Elei fiero Achille fofpirando diffe : O te beato, che fi chiara tromba Trouafli, er chi di te fi alto fcriffe. Et queflo induffe appreffo Giulio Ce far e, ueduti U flatua di Aleffandro, d fojfiirare ; che in quella età, nella quale colui baueua fatte tante imprefe, egli non hauelfe anchora operato cofa degna di memoria. Et ciò che a Cefare auuenne di Aleffandro, Themiflocle fonti per Milàade, i trophei del quale non lo lafcia= nano la notte dormire. Et fi come per queflo difide rio Aleffandro uerfogli fcrittori era liberale , co/i Cefare fcriffe egli i Commentarij per dare aiuto 4 quegli fcrittori, che di lui haueffero uoluto fcriuere» Et Themiflocle diceua, che non poteua udir noce, che piu gli aggradiffe,che di chi cantajfc le fine lode. Altri punti da queflo flimolo : quali hanno fondate dcUe citta, er nominatele da loro nomi'.quali hdno fatto de' fuperbi edifici], er meffoui i titoluo’ nomi loro quali nelle fepolture, er quali nelle Jlatuefì fono ere dutidt douerfi perpetuare. Et pure il fojfiirare, il L A POLVERE, >o? hcw dormire, il donare, lo fcriuere, lo bduer caro di eJJer lodati, il fabricar le altre memorie magnifiche, k fipolture , eyil dirizzar le fatue fono cofe comuni, er tifate di farfì da chi fonte quefle puntu= re •" ma il preporre il nome alla uita, quefo pare pur cofa marauigliofa : er nondimeno er ne gli antichi fecole fe ne fono trouati, er i no fri hanno ueduto Hieronìmo Olgiato, il quale, non per altro che per dif derio di fama, non temette la morte, foloche il Tiranno morijfe.Et quefa farebbe anchora opera ho tioreuole, er lodatole,quando la primiera intentione fòffe la liberatione della patria, & non la efaltatio= ne del proprio nome. Ma che diro io di queU’altro humore, che Mentre Empedocle è )finto dal difre D effer tenuto al mondo immortai Dio, freddo gittofi dentro ad Etna ardente l Certo altro non ne diro, fenon che al diftderio di lui mancando l’effetto,gliene è feguito,cheegliha la= feiata memoria di una memorabile pazzi<*- Me qui fi fono firmati i difiderij de’ mortali : che fi fono tro• nati di quelli anchora, che con le cofe maluagie, er federate a’ nomi loro hanno bramato di partorire im= mortalità . Caligula uedendo che di lui non haueua d rimanere alcuno honorato nome difideraua, che fot to ilfuo Imperio feguitajfe alcuna gran ruina, della quale fi haueffe à ragionare , che ella fata fife al tempo di lui : Et Adriano ìmperadore faceua uccide= re chi di alcuna eccellenza gli era fupenore, accioche piu chiaro haueffe à rimanere il nome di ogni fuo ua* L A POLVERE. loro. Et de’ tempi] fi fono abbruciati, cr delle altre cofe piu brutte, er piu/forche fi fono fatte per di* fio di fama, per le quali non c mia intentione dì uo= termi andare hora piu auanti mefcolando, anzi ejfeit do quefto Jlimolo tale, che egli nelle opere loieuoli fa gli huomìtii ualorofi, er nelle uergognof ; jiraboc= cheuolì, quanta fu la uanita di quello mi gioua di co fiderare. Dico adunque, che da gli huomini dotti, é quali la firma, er la grandezza dett’uniucrfo ban* no uoluto e familiare, il mondo uiene figurato in mo do, che l’elemento della terra a riffetto del tutto no è altro, che un folo punto . Or di quefto punto non efce la fama noftra mondana : er affai farebbe, fe ella per tutto quello punto fi ftendeffe : ma del regno del la noftra fama la maggior parte è occupata dalle acqueto* di quello, che fcoperto ne rimane,una par te non è habitata, percioche la qualità del cielo noi foftiene : una altra c occupata da fanatiche fiere ine ci mancano de' paefi,i quali deferti, or areno fi non danno commodita àgli huomini da potem albergare: In modo che di quejlo punt o unapicciola parte è quel 1 la, chea noi è Inficiata ad habitare . Ne per quefta particella di un punto può anchora fpiegar l’ale la fama noftra ; che eUa fra tante nationi è diuifa, che non credo, che alcuna ce ne fia, ne che di lei da tutte le altre fe ne habbia contezza, ne che eUa habbia con tezza di tutte le altre. Appreffo le lìngue fono coft dìuerfe, che piu non fono diuerfe le maniere de gli animali, che le lingue de gli huomini. Lafeio bora il dir deUe diuerfita de' coftumi, i quali fanno molte 1 1 0 LA POLVERE, Uo 'c^e quello, che qui è honoreuole, è biafrmeuo e altroue . Et che diremo , che fra quelli, che una Mede fimo, lingua intendono, pochi ne fono, che delle memorie de'paffuti babbi-ano notitia t o pur alle orec enie de' quali i loro nomi frano peruenuti ilo m pojfo non rimanere ftordito penfando, come da quefra diui frotte di qtiefro punto mi paia di ritrouare, che alla fa ma di quelli, che fono i piu famofr, le penne ucngo= no accorciate in guifa, che a lei non rimane da ften= dere il fr0 «0/0 pur per una minima parte de gli ha citatori di un minimo punto di quc-fto punto. Poi fc vorremo confrderare quanto fra il tempo della noftra fama , troueremo, che non è piu lungo, che lì fra ampio il fuo paefeiche primieramcte per le migliaia de gli anni,che il modo auatiti noi è flato fabricato,i nomi mftri non poffono tornare a farfr conofcere. Appreffo confederando,che molti fono frati coloro, i quali nelle prime età è da credere, che frano fiati famofr, zrde' quali pure i nomi non ci rimangono, haueremo da concludere , che ì nomi, che bora ui* nono, e fri hanno anchora da morire. il che è ( come dice il Poeta ) morir fecondo. Ma quando anchor ben °Uefrimo effer lodati, er chiari tutto il tempo, che nrera'l mòdo,quefio che è d ricetto della eternità ( che mill'anni è piu corto Spatio a l'eterno, ch'un moucr di cìglia A. cerchio, che piu tardi in cielo è torto. Si ferine, che apprefro il fiume tììpani nafeono aku■ m tornaletti, U cui lunghifrima aita è di un giorno : e clua^ uogHo io dire, che la uita loro ha piu prò* LA POLVERE. portione alla ulta del mondo, che non ha ogni no fra fama alla eternità. Ne qui in terra ci bifogna di eter niu Jfcrare : che come ferine l’Apojlolo Pietro ; Gli elementi per fuoco f hanno da confumare.Pofcia, fe bene la terra hauefje ad effere eterna , cr la fama noflra per lo mondo tutto fi fiendeffe , er duraffe per tutti i fecoli, che giouer ebbe ciò à noi i Et che ne fediremmo noi,priui di ogni fentimento ? che pur di mente non ci deeufeire ,che noi fumo poluere,et che in poluere habbiamo d ritornare. Habbiamo uiflo quato poca felicita, er quanto po ca f mezza fi truoui in quelle cofe , nelle quali ì piu di noi fìamo ufati di cofhtuire il noflro bene. perche ad alcuno non dee ejfer molto malageuole à conofeere , che i nofri ftudij intorno a quelle altro non fono, che uamta, zr pazzie • er quefto è quel, che dice il propheta. Veramente lo (tato ìteflro humano" Altro non è che uanitate efpreffa : Chel’huom mena fua ulta imaginando, E indarno s’affatica, er fi conturba. Et imaginando dice egli, che meniamo la uitd nofrd. Il che mene a fgnificare , che ci facciamo le imagina tioni noftre di potere effere filici in quefte tenebre, er in quefte uanita, le quali per acquiftare indarno ci affatichiamo , er indarno ci conturbiamo. di che ne auuiene, che là doue filici Jferiamo di douer diue nirejn infilata, et in miferia ci trouiamo effer tra boccati. percioche qual può ejfer miferia maggiore, che bauendo la cura delle anime abbandonata per co* LA POLVERE. tu tentare i corpi, non rìtrouar poi co fa, di che uera= mente gli poliamo dilettare, er [odi sfare i Or que= fle cofe, delle quali habbiamo ragionato, fono quelle, otte quali ( come già s'è detto ) gli humani penfieri generalmente Jì fogliono dirizzare. Et fuor di que= fio comune firada fo, che non fono mancati degli buomini di non uolgari intelletti, che per altro ca* mino hanno riuolti i pafi loro. che tra Philofophi fo n° fiate diuerfc openioni, in che fi douejje trouareil fine di ogni bene : delle quali tutte infume tanto diro io, che e fi priui di ogni lume di uerita uoleuano pur trottar queflo bene flando in quefti corpi, in quefto mondo. ma effendo il mondo compoflo ,z?corrutti= bile, er patendo mutatione, ©r alteratone, impof= fibile è trouar douefirmarfì in lui: er pertanto que' fauij del mondo con le loro dottrine fono rimafi in= uolti in un cieco labirmtho di ignoranza. Ne fra loro fi e tiifto lume alcuno di uerita, fenon inquanto fi mi ra la dottrina di Platone, il qual nega gli buomini potere effer beati, fe non da poi,che gli animi nofiri fciolti da’ terreni legami nella loro propria natura faranno ritornati: perci oche doue lo intelletto noflro non ha delle cofe chiara conofcenza non fi può acquea tare; ©r acquetar non potendofì ,non può fommafès licita fentire , Et pertanto effendo il fummo bene quello, il quale per fe fceffo fi difidera di acquifla-re ; ©r che acquiflato fi può acquetare in modo, che altro piu oltre non fi habbia da cercare,ne da dtfides rare, determina effo Platone,che egli altro non fia, che filo Dio; fi come quegli, in cui fia ogni bontà, LA POLVERE. Cr ogni perfettionc : o che pure effo fa la ifleffa hon ta, cr la ifleffa perfèttione. Or fe un gentile nato nelle tenebre della mondana ignoranza , fuori della legge di Dio,fuori della luce della uerita,et fuori del fauor della gratia, uide, et intefe qui in terra no ci effer felicitane fermezza, quato maggioriate dotte remino noi,che habbiamo la chiarezza della uera dot trina,che habbiamo la uera legge,che habbiamo la ue ra luce, et che habbiamo il dono della gratia : quanto maggiormcte, dico, doueremmo noi conofcer la wfèr inita,cr la mi feria delle cofe mortali i er quelle cono fccdo,et da quelle fuiluppandoci, leuare i nojlri peti feri al dif derio della nera, cr eterna beatitudine { E' fcrìtto nella Bp(fola à gliHebrei, che noi qui no habbiamo firma fianca, ma che ne cerchiamo una, k quale ha da effer k noftra habitatione. Et quale è quella f fermamente non altra, che quella , alla quale la natura fabricandoci ne formò in maniera,che uerjo là habbiamo i uift inalzati. Al cielo ,-al ciclo fi hanno infume coligli occhi à dirizzare < nojlripenfieri: CT ciò co prontifimo animo dotteremmo noi fare,per fioche ( come fcriue il Theologo Poeta ) Volge fi il cielo, e intorno ci fi gira Dimostrando le [ite beUezzc eterne. Et la notte cr il giorno con continui mouintenti i fi gira intorno il cielo, quafi a fe chiamandoci, cr i»s lutandoci col dimofìrar l’adornamento delle fiammeggianti fue bellezze : et quafi dicendoci; or quitto t quel bello, che ui s’afconde ,fe que' lumi, i qua= li in me rifflcniono, er che fi belli à noi fu moflra- LA POLVERE. m fio,altro non fono,che ombre delle bellezze fupe= riori, le quale difettano uoì, ohe feto uermi Natì a formar l’angelica farfalla f Necofa piu propriamente fi può dire: perciochejt come i uermi, che fanno la fata, finito il loro la-uorio mettono te ale , cofi noi hauendo Chriftiand-mente operato, hauenmo da leuarci à uolo, er da accompagnarci infìeme con gli Angioli. Or adunque da che tale è la noftra conditione, defti dal fonno, che lungamente ci ha tenuti opprefì, rifcotianci per Lzo rifcotianci, er battiamo a terra lecalcagne Gli occhi uolgendo al logoro, che gira Lo Re eterno con le rote magne. il logoro nofiro è in cielo, ilqudle girando il fuper-no falconiere■■ ci chiama , perche fopra di quello ci andiamo a ripofare. Gli occhi nojlri adunque al cie= lo, e?gli animi fopra il cielo inalzando, er il paf> fato nofiro errore, er U noftra uanita confijfando, er le uie del mondo , er le mondane dottrine di= jf rezzando , incominciamo con un caldo difidtno à dire infume col Propheta. Chi mi dara le penne di colomba, Ond’io mi leui à uolo, er mi ripe fi i Noi non pofiiamo da noi leuarci da terra « er mete terci per lo camino da andare oda fuperna patria noftra, fe non c’è chi ne aiuti, er chi la uia ci dimo= ftri. Chi adunque ci porgerà quefto aiuto ? chi ci impennerà l’ale f er ehi ci far a feorta per un cofi erto, LA POLVE R E. et cofi lungo camino, come è dalla terra alcieloiPoci fatica è a noi a douerqueftauìdritrouare .fra noi è chi ci feorgera, et chi ci darale penne no delle Co lombe,nò delle Aquile,ma degli Angioli,che ci porti no [opra le ale de nenti. Fra noi è la luce,che illumina ogni huomo, che uiene in quefto mondo ; er fra noi è quel figliuolo del fuperno padre, il qual ci ha dato podeftì di diuenir figliuoli di Dio. Or quando fare» tno figliuoli di Dio diuenuti, doneremo noi dubita= re, che egli padre noftro noi fuoi figliuoli a fe non raccolga i Non fermamente, nò. Mettianci adunque d cercar quefta uia, er mettianci 4 cercar quefta luce, er quefto figliuolo di Dio, er mattianuici hoggn pcioche ( come ci ha lafciato fritto l'Apoftolo Iacopo) no fappiamo,che fi habbia ai effere il giorno di do* mane. La uera uia da andare al [omino bene,ty alla nera, er perfètta felicita è quella, che predifife \faia, che farebbe chiamata uia di fantita, er che per quella huomo maculato non metterebbe i piedi. Et que= fta non è altra , che \efu Chrifto noftro Saluatore : il qual dicendo, Io fono la uia, la uerita,ey la ulta: o~, Ninno ua al padre ,fenon per lo mezo mio; altra uia non habbiamo d ricercare : che effondo egli la uia , con lui trouandoci, non debbiamo temere di fmarrirla : offendo egli la uenta,non debbiamo hauer paura di ejfcre ingannati : er effendo egli la uìta, fumo ficun che non ci lafiera trabboicar nell’ombra della morte. Poi effendo egli anche la uera luce, è da dire, che tutte le uie lontane da lui fono tene• brofe : er chi ua per le tenebre non fa douefi uada» LA POLVERE. »*j Et il fortuito padre a lui anchora ne rende teflimoa nianza » che di lui dicendo , Quejlo è il mio figliuo= lo diletto, nel quale ho fatto quello, che mi é fato in piacere, uditel lui : dimoftra, che altra non è la uia da andare a lui. Egli è adunque uero mezano tra Dio, cr noi ; fi come quegli, che inquanto Dio, Cr uero figliuolo di Dio, è una cofa iftejfa con Dio: er inquanto huomo, cr uero figliuolo dell'huomo, è una ifieffa cofa con l'huomo : cr in quella , dirot unione , che egli ha con Dio, cr con l’huomo , effo mezano unifee a Dio fi fattamente l’huomo , che l’huomo mene ad entrare in Dio , cr Dio nell’buo= ,no •' fi come tefifica il medefimo Chriflo dicendo , Io fono nel padre, cr egli è in me : cr uoi in me, cr10 in uoi. che fe noi fiamo in Chnfo, cr egH £ n£l dre, confeguente è , che noi anchora fiamo nel pa« dre: cr fe Cimilo e in noi, cr il padre in lui, con-feguentemète anchora il padre è in noi. Ma non è con tutto ciò da paffar co filentio,che egli qfie cofe dice d coloro, i quali ferutrano i fuoi comadamctuet i coma damenti fuoi fono quelli, che egli con le opere, cr co le parole ci ha dimoflrati. Ne noi potremo fegui= tar gli efempij di lui , ne mettere in efecutione le fiue parole tenendo le uic del mondo,cr della carne» Egli primieramente non cercò i piaceri delle dilica» te uiuande ,ne de' nini pretiofi : ma digiunò ,cr patì fame, er fete: cr netta fua fame gli furono appre= fentate dede pietre : cr egli andò cercando de’frutti net àlberi, er non ne ritrouò : cr per fete doman dò dell’acqua alla frmitia firmerà izr aUa fua fite LA POLVERE. fi porta amari fama beuanda . D a gli altri corpo* rali diletti fu egli tanto 'ontano, che immaculato fcr= uà il fior fio uirginale : er tanto amò la nettezza, er la purità, che uolle nafcer di uirginita. Ne della 'bellezza del corpo prefe egli diletto, fi come colui, che uolle effere (fiutato, ijtratiato-, er lacerato : ne di forza, ne di uaiore,conciofiucofa che hauendo egli uinto il mondo, er il Prencipe del mondo,da coloro, che alla fola fua parola cadeuano in terra, foflenne di ejfer prefo, er legato . Le ricchezze flimò egli tanto, che eff adone tutti i ricchi del mondo fuoi di Jf enfiatoti, fi elcffe di nafcer e in una falla : er uU Mendo in. terra fra gli huomini, hauendo le uolpi le loro (òffe, er gli uccelli i loro nidi,eglt non baueua doue riporre il capo, D i honori fi cofi flttdiofo,che tffendo l’honore cofa propriamente fua, egli dishono rato co’ publicani ufaua, er con la plebe-ter in luogo di honorato tribunale uoUe [altre fopra il legno della Croce fra due ladroni . Alle fignorie andò egli appreffo in modo, che effendo effo Re [opra i Re, er Signore fopra i Signori, uiffe continuamente pri nato :er come fiddìlo mandò Pietro à pefeare per pagare il diritto à gabellieri : er figgi da coloro, che loro Re fare il ucleuano . Ne di fama fi punto piu ftudiofo,cbe delle altre mondaneuanita: er effendo egli quel folo , il quale è ueramente glonofo , nel fanar gli infèrni comandaua loro, che non dìuulgafi fero quelle opere per fue: er a Dimoili non lafciaud direchi egli tra uer amente. Or fe colui, in cui fino Putte le dilettationi ; nel quale è perfètta beltà, cr LA POLVERE» *«4 Jommd poffanzd : dal quale fono tutte te ricchezze, cr tutti gli honori, er tutti gli imperij : er il quale e il Re della nera gloria , nel mondo con noi uiucn* 0 di/prezzò tutte quefte cofe, dando à noi l’efempio di cojt douer fare, perche uorrcmo noi con tanto ftu dio andar loro apprejfo { Noi, dico, i quali fumo poi nere, er in poluere habbiamo à ritornare * A uolere effere congiunti con Chrifio,nonbifogna feguitar le uie del mondo, er della carne : perciocbe ■effendo il camino fuo da quelle flato lontano, chi per quelle camina tien uia diuerfa da Chrifiotcr quanto piu per quelle andiamo caminando, tanto piu da lui ei andiamo feparando : come linee diuerfe, che da un mede fimo punto partendofi, tanto piu fi uanno aliar* gando, quanto piu alla circonferenza fi uanno auui* cinando. Et poi che brieuemcnte habbiamo dimoflro con l'efempio di lui qual fia la uia da andare alla eterna beatitudine, ueggiamo anchora fomiti ariamo* te quale è quel camino, che egli ci infogna con le fue parole. Egli adunque al padre celefte il parlar di* ^Zzando dice: quefla c la uita eterna, che cono fia* }io te folo Dio, er quel le fu Cbriflo , il qual tu hai mandato. Intorno alla qual conofcenzaè da fapere, che noi ne per fublimita de' no/lri intelletti, ne per profondità di noflre fetenze debbiamo fperare di com prendere una cofi ampia, cefi fini furat a, er cefi in comprenfibilegrandezza . er quella conofcenza, che fperar pofumo di hautr di lui, c per lo mezo della gratta, effendo illuminati da lui. che gli intelletti no* fin, i quali pofiamo noi dire, che fono gli occhi delle P ii LA POLVERE. noflre anime, fino in continue tenebre, fenon inqnan todal fuperno fole fono lUuminatimon in altra guifa che fi fi ano naturalmente gli occhi noftri corporali, fe dalia luce del fole non uiene loro mojlrato il fuojflc dorè . perche ben dice l'Apoftolo , che noi non cono-= fciamo Dìo, fenon da lui prima conofciuti : che fi co= me fe l’occhio nofiro mortale uuol uedere il fole , è ne cefjario che il fole a lui fi moflri, cofi uolendo gli oc chi della humana mente ueder Dio ,fadi me fiero,che egli fi fcopraànoi col lume della fua medefimaluce . Il che ha fatto la fuperna bontà facendo a noi lar= ghifiimo dono della fua gratia, mandando in terra l’unigenito fuo figliuolo, il quale è ( come anchor detto habbiamo ) la uera luce, er quella, che illumi= na ogni huomo, che uiene in quefio mondo . Qiiefia luce adunque del fempiterno Sole jfopra noi ffiar= gendofi ha fcoperta la luce a gli occhi della immora tal parte noflra, accioche per quella pofiiamo fioriere il Sole, che è in lei, la quale è nel Sole, & che è una cofa medcfima col Sole. Et cofi fopranoì mi= rando Dio per Chrifio , noi pofiiamo per la fide di Chrifio tienire in conofienza di Dio. Ma a quefia fide quefio credere è bifognodi hauere molta confideratione : che fe noi uogliamo per la fide paf= fare alla uita eterna, ci bifogna tener la uia della ulta , mantenendo uiua con le buone opere la noflra fideipercioche fi come quelle finza quella non fono da Dio ricemte per giufle, cofi morta è la giufiitia della fide, fe ella per la un della carità operando non fi mofin fiuttuofa, ne debbiamo otiofi affettare, LA POLVERE. »t* che Dio uftuerfo noi la fuagratia, er la fua mifèa ricoràia : ma con le buone opere in quel modo, che per noi fi p’U0 migliore, babbuino à cercare di aderti pieve i fuoi comandamenti, er di prepararci per ria ceuer piu ogni giorno della fua gratta, er della fui tiirtu, er per dmenir litui tabernacoli dello Spirito Santo. che fi come dice Paolo appreffo Dio non eoa loro, che odono la legge, ma coloro che la efegui= fono faranno giuftificati : cof dimoiandoci, che quella giuflificatione di fide, della quale egli in ala tri luoghi parla, fenza le opere non bajla alla no= ftra falutc. Et ifcritto è da Iacopo Apojìolo, che fc alcuno dice di hauer fède, er non fa l’opere, quelli fide è morta : feguitando nel parlar dellagiuflificaa tione delpadre Abraham,dice,che egliper le opea re fu giuflifìcato , battendo offertoti fuo figliuolo Ifaac fopra l'altare: er che la fède aiutò i far l’ope ra : er che dalla opera la fède fu fatta perfetta. er ui aggiunge apprejfo quefle parole. Vedete aduna que, che per gli fatti l’huomo fi gìufhfica, er noti folamente per la fède. Ne contento il fanto Apoa ftolo di queflo efèmpio ui aggiunge quello di Raabt qual hauendo J'aluati i mefèi del popolo di Dzo, eJft fu fatua. Dice egli adunque : Simigliantemena te Raab meretrice no fu ella giufiificata per le opea re, hauendo raccolti i me fi, er mandatigli uia per altro camino ? Et uiene a concludere finalmente, che fè come il corpo fenza lo finto è morto , cof è morta la fède fenza le operationi. Di quefla uiua, Cr operofa fède intefe chrifto di parlare, quando P Hi LA POLVERE. dì[Je : Co/? rifflenda la. luce uojlra nel coietto degli huomini, che ueggano le buone opere uoflre. Che per tener la fède rincbiufa nel cuore nulla operando, ella non può rendere alcuno fflendore : er quefta ci fìgnìfeò egli dicendo , che egli è la ulte , er noi i tralci : er che quelli, che non faranno frutto [daranno tagliati. Che effendo ( come dice il Dottor del le genti ) Cbrillo il noflro capo, er noi le fue membra , egli ci uotte dimoftrare , che non hauera per membra fue coloro , che non fi affaticheranno bene operandoli flare in lui. il che ci infegnòegliancho ta maladicendo, er facendo feccar l’albero, il quale egli trouato baueud fenza frutto. Md quefla cofa homai dee effer troppo piu chia= ra, che di quella fe ne habbia piu in lungo da ra-gìonare. Perche bene è, che da noi fi pafi d uede= re quali debbiano effere quelle cofe, che da noi fi hanno da adoperare, uolendoci rimanere ineftati in ìefu Ckriflo . Et donde le potremo noi meglio ap* prendere, che da-effo Chriflo f E gli adunque hauen= do già detto,che tutta la legge, cr i Vropheti pen dono da due comandamenti : dell’amor di Dzo,er del profimo ì quella ultima fera , che egli cenò con gli J amati fuoi difcepoli, ne piu doueua kuomo mortale mangiar con effo loro, battendogli neramente ama= ti,moflrò loro, che perfèttamente gli umana,Et po= feia che effo maeftro , er fgnorc hebbe lanuti i piedi de’ fuoi difcepoli, er ferui , licentiato Giuda à douere andare a tener di lui mercato per ricompea far noi, ordinò il fuo tef amento : nel quale fra gli LA POLVERE. n