ricevuto: 1993-06-28 ACTA HISTR1AE IL CDU: 930.22:34(497.12/. 13 Istria +450.36 Istria)"Û7/08" SUL PASSAGGIO DEL POTERE SULLTSTRIA DA BISANZIO AI FRANCHI1 Lujo MARGETIC accadetnico doit., 5JOQO Ftume, Via G. Carabino 11, CRO SINTESI L'autore analizza i presupposti dell'occupazione franca dell'lstria (787 circa) e la questione,più voîte esaminata edhcussa, del dominio longobardo sulla penisola nelperiodo fra il 751 ed il 791. In mérito l'autore analizza quelle parti del Plácito delRisano (804 circa) che si riferiscono all'organizzazione delpotere iti época bizantina (tribuni, domestici, c.c.c.) e franca (centarchi) esi sofferma soprattuttosul carattere delprocedimento usato nel Plácito stesso dimostrando, in contrasto con la tesi sinora accettata nella letieratura storica, che non si îrattà di un procedimentoper inquisitionem. 1. IÎ potente maggiordomo franco, Pipino, ha realizzato il ruolo preponderante dei Franchi ín Italia anche tramite i suoi stretti rapporti con il papato. Le rclazioni tra Pipino ed il papa si sono rafforzate in modo sostanziale dopo il sostegno dato dal papa in occasione délia proclaruazione di Pipino a re franco verso la fine del 751 a Soissons. Sfruttando i grandi disaccordi tra gli Abassidi e gli Omaidi, Pipino riuscî a cacciarc gli Arabi dalla Settimania, e, soggiogando l'Aquitania nel 768 fece del suo regno una potenza di prim'ordine, i cui confiai orientali si estendevano fino ail'odierna Boemia. I lerritori a nord délia Francia per Pipino non rappresentavano alcun pericolo, anzi, potevano diventare facile preda per ulteriori conquiste franche. In Baviera nel clcro e nella nobiltà esistevano forti elementi favorevoli ai Franchi, cosí che nonostante la política indipejidente del duca Tassiîo, Pipino, a partiré dal 763, poteva considerare la Baviera uno stato satellite. Infatti, péri Franchi i problemipotevano sorgeresolo in Italia, dove il re longobardo Astolfo nel 751 conquisto Ravenna, il centro dell'esarcato bizantino, minacciando di estendere il potere longobardo su tutta Vitalia. Naturalmente, lo stato longobardo non poteva rappresentare un problema serio per i Franchi, ma si 1 L'/irlicoloè uscito in parte invar'mtoed in parte intégralo nel Croatie« Christiana Periodica30/16, Zagreb 1992 (1933), 1-10. 15 ACTA HISTRIAE II. Lujo MABGBrté: SUL PASSAGGIO DEL TOTE RE SULL' ISTRIA DA BISANZIO A¡ FRANCHI. 15-24 profilava un altro pcricolo latente, cioè che Bisanzio potesse iniziare una poütica moito piít aggressiva nei confronti del papata e dei Longobardi. Benché il papa, insieme a tutto I'Occidente, era un ncmico implacabíle dell'iconoclastia dell'imperatore Costatino V, egli nondimeno si considerava suddito di Bisanzio, p. es. menzionando i nomi degli imperatori bizantini neí document! papali e sulle œonete coniate a Roma. Pipino perciô reputava che l'annientamento dello stato longobardo sarebbe stato molto pericoloso, perché un contrattacco deirímperatore Co.stantino V avrebbe portato ai confiní franchi Bisanzio, cioè una potenza, che, se fosse riuscíta ad imporre i suoi concetti religiosi, avrebbe poluto influenzare decisamcnte la stabilità interna dei Franchi, la quale tral'altro si basava anche sull 'unítà religiosa e su concetti identici a quel 1 i del papato. Perciô Pipino avanzava in Italia con estreñía prudenza e circospezione. II suo scopo principale era di conservare la reale indipendenza del papato da Bisanzio. Contemporáneamente egli interveniva energicamente ma con prudenza contra Astolfo. Pipino intervenue in Italia due volte, ne) 754 e nel 756, "donando" al papa i territori in precedenza conquistad dai Longobardi, cioè 1 'esarcato e Pentapoli, cercan do pero di non provocare Bisanzio: Pipino p. es. non uso mai il titolo quasibizantino di patriciw Romanorutn con il quale il papa fo onorava, perché riteneva che iJ titolo di patrizio, típicamente bizantino, avrebbe poluto creargli delle difficoltà con Bisanzio. Inoitre, benché Pipino avrebbe poluto fácilmente distruggere lo stato longobardo, egli non lo fece né durante il regno di Astolfo né quello del suo successore, Desiderio. Non è impossibile che il matrimonio del duca bavarese Tassilo con la figlia di Desiderio Liutperga (cca nel 765) mirasse alio stesso scopo e che la cessione falta a Tassilo da parte dei Longobardi di aJcuni territori alpini si possa interpretare come un certo cordon sanitaire tra i Franchi e Bisanzio. La posiziotie giuridicamentc poco chiara dello stato papale non rappresentava al cují ostacolo perché è noto che Bisanzio sosteneva sempre la sua sovranità teórica su tanti territori che in realía non gil apparíenevano da moltissimo tempo. L'unico serio avversario di questa política lungimirante e saggia poteva essere solo - il figlio maggiore di Pipino, Cario, che nel 768, al momento dellamalattia e morte di Pipino, aveva già 26 anni. Pipino aveva avuto già moite occasioni per conoscere la sua insaziabile ambizione e la sua innata aggressività. Perciô, cosa noîevolissima, Pipino, distribuendo il regno franco tra i suoi due figli, ne assegnô a Cario le parti settentrionali, occidentali e sudoccidentali - duoque per il figlio aggressivo prevedeva la direzione settentrionale delle future conquiste, cioè i territori dei Frisi e dei Sassoni, mentre al secondogenito Cariomanno lasciô lutte le altre parti del regno. In questa maniera Carlo era stato tagîiato dall'ltalia e impossibiiitato a distruggere il raffinato equilibrio delle forzc crcato da Pipino in Italia. E' ovvio che Pipino prim3 di moriré aveva tracciato la futura política da seguiré in Italia e chu affidô la realizzaziorte di questa política allamoglie Bertrada. Per far ció egli aveva avuto a sua disposizione tutto il tempo necessario durante la sua malattia - e la sua mente estrema-mente chiara. Carlo non poteva non accorgersi che con la dívisione del regno era stato ailontanato dall'ltalia, e ancor peggio, di dover sposare la figlia del re longobardo, 16 ACTA HISTRIAE II. (.»jo M AKGfirió SUL PASSAGOIO DEI. POTIKE S ULL' 1STRIA DA BIS AN7.10 Al FRANCHÍ, 15-24 sigiílando cosí la pace con i Longobardi. Tutto ció rappresentava un ostacolo alie sue ambizioni, tanto più che anche sua sorella doveva sposare Adelchi, il figlio del re longobardo. Nel 769, cioè subito dopo la morte del padre, troviamo Cario lontano dal centro dello stato. Le cronache parlano dell'insurrezione in Aquitania. Ma che strana insurrezione! II capo della "rivolta", aü'avvicinarsi del Carla fugge immediatamente dal paese. Non ci sono notizie di un qualsiasi combattrai ento. Si ha Pimpressione che Cario non mirava ad altro che tenersi lontano dalla corte per non dover accettare la política di suo padre nella realizzazione della madre-vedova. Ma perché Cario acconsenti al matrimonio con la figlia di Desiderio? Ci pare ovvio: egli non poteva disubbtdire alia volontà del padre. Net due anni successivi alla morte del manto, Bertrada, la vedova di Pipino, era molto ímpegnata. Cosí nel 770 essa partí per la Baviera, e dopo aver attraversato le Alpi fe ce visita a Desiderio e poi al papa. II cronista ci comunica che la sua tournée è stata coronata da successo: redite sunt civitates plurime ad partem sancti Pétri (Annales Mosellam, Mon. Germ. Hist., SS XVI, 496), cioè, Desiderio ha conse-gnato al papa moite delle città conquístate dai Longobardi - ma, d'altra parte, come pegno d'amicízia verso Desiderio, Bertrada aveva portato con se in Francia la futura sposa di Cario, la fíglia di Desiderio, le cui nozze si celebrarono a Magonza il 25 dicembre 770. Quali erano i veri sentimenti di Cario lo si venne asapere già neH'anno successivo. Prima morí repentinamente suoüratello Carlomanno - proprio nel momento ¡deale per Cario, come in modo molto guardingo accennano i cronisti; poi, Cario, senza perdere tempo, strappa con mossa fulmínea la parte del regno franco ai figli del fratello e caccia dalla sua corte la propria mogHe rimandandola al re longobardo, dove trovano rifugio anche . la spaventata vedova di Carlomanno ed i suoi due figli. Anche il papato doveva esser conscio dei cambiaraenti decisivi awenuti nel regno franco. II pariito aderante alia política di Cario ebbe il sopravvento e perciô dopo la morte di papa Stefano al principio del 772 venne eletto papa Adriano I, il quale si dimostrô subito oltremodo fedele a Cario. Anche il duca di Baviera diventa vassallo di Cario. Nel 773 Carlo si mette in moto contro 10 stato longobardo e lo distrugge nell'anno seguente. Ma, lascia indipendente Benevento con il chiaro scopo di avere tra il suo stato e Bisanzio un "Pufferstaat". Cosí, a prima vista, sembra che i territori veneziani ed istriani erano 1 'único posto dove i Franchi ed i Bizantini avevano una frontieta comune. Ma lo erano dawero? Prima d'iniziare l'analisi di questo problema, ecco ancora due - tre parole sulla posizione di Bisanzio in Italia. Giuridicamente non esistevano dubbi che il duc ato romano, Rayenna, Pentapoli, Vene-zia, l'Istria e l'Italia méridionale sottostavano alla sovranità bizantina, ma l'ímperatore Costatino V, a causa delle guerre proiungate con gli Arabi fino al 751 e con i Bulgari fino al 763 non era in grado d'intervenire militarmente in Italia. II raffreddamento con l'Occidente si era inasprito ulteriormente quando sotto la diretta influenza di Costantino 11 sínodo di lerea (10 febbraio - S agosto 754) proibí severamente la fabbricazione, il possesso e la venerazione di immagini sacre minacciando i trasgressori con pene severissime. Uno dei risultati del profondo abisso tra l'Occidente e l'Oriente fù, ne siamo 17 ACTA HiSTRJAE IL Urjo MARGET1Ó. SUl. PASSAGGIO DEL POTERE SULL'ISTRIA DA BISANZIO AI FRANCHI, 15-24 convinti, che Costantino V tolse al papa la giurisdizione ecclesiastica su tutti i territori dove il pote re bizantino era reale, cioè sulla Sicilia, Calabria, Illirico (Salonicco, con la Macedonia e l'Ellada) e il diritto sulle éntrate papati dai possedimenti neíl'Italia méridionale. Come mai non si menzíonano né Venezia né l'Istria? A nostro parère la risposta non puô essere che una: I'impcratore aveva tollo al papa solo quei territori sui qualá aveva un potere reale. In quatito a Venezia, si sa che cssa nei suo nuovo centro di Malamocco riusci ad oítene-re 1'indipendenza nei suo i rapporti con gli stati vicini. Costatino V era un uomo político troppo saggio e troppo realístico per tentare d'imporre a Venezia i suoi concetti iconoclastici. Anzi, al doge veneziano Maurizio, al poíere cca dai 764, egli concesse perlino i íitoli bizantini, come consul ~ kypatas e imperialis dtve Venetiarum. Era un'onorificenza, si, ma d'altra parte egli ín tal modo sottolineava che, almeno formalmente, considcrava Venezia un suo possedimento. E l'Istria? 2. Il destino dell'Istria nei periodo dall'anno 751 al 791 è molto controverso. Ecco le opinioni di alcuni autori: Benussi (Nei Medio evo, Parenzo 1897, 107): in potere dei Longobardi fino al 774, poi di Bisanzio; Paschini (Storia del Frioli I, Udine 1953,130): fino al 791 in potere di Bisanzio; Hartmann (Geschichte Italiens in Míttelaíter 331, Gotha 1908,28): fino al 787 sempre in potere di Bisanzio; Cessi (L'occupazione long, e franca ecc., Atti del Ist.Ven Ï.C. II, Ven. 1941, 291 s.): fino al 770 in potere di Bisanzio, dai 770 al 774 dei Ixmgobardi e poi dei Franchi; de Vergottini (Liaeamenti stor. delta costituzíone pol. del) 'Istria ecc. I, Roma 1924, 37): fino al 787 in potere di Bisanzio, ad eccezione di un breve periodo nei 751 ed uno piü lungo verso il 774 quando era dominata dai Longobardi, ecc. Dellapresunta conquista dell'Istria da parte dei Longobardi nei 751 non ci sono notizie degne di fiducia. Ne parla soltanto il ChroniconSalernitanum (redatto verso il 978) che contiene molte altre notizie dubbie. Sut dominio longobardo verso il 770 riferisce la lettera scritta dai vescovo di Grado ai papa Stefano ÍII (MGH, Ep. III, 713, nr. 20) che p. es. Benussi (op.c., 97) e Lenel (Ven.-istr. Studien, Strassburg 1911, 11) datano con i 'anno 770, Cessi con l'anno 770-772 ecc. II vescovo di Grado scrive che "recentemente" (nuper) i vescovi istriani hanno iniziato a consacrarsi reciprocamente sottraendosi in tal modo al suo potere c che in precedenza, quando il papa Stefano IH aveva la iusssto et auctoritas sui re longobardo, la sítuazionc era migliore. li vescovo owiamente si riferisce al periodo che va dalia meta del 770 in poi, quando, sotto i'influenza della vedova di Pipino, B extrada, Desiderio, v oí en do rendere al papa quanto più accetabile la coalizione Cariomanno - Tassilo - Desiderio, gli aveva consegnato alcune città. Nella sua lettera il vescovo di Grado prega ii papa di proteggere il popolo istriano cosí come aveva falto con R&venna. Siccome soltanto verso la fine del 770 il papa ha potuto assicurare la sedia arcivescovile ad una persona di sua fiducia, la lettera del vescovo grádense puó essere stata scritta solo dopo quell' evento. A partiré dai marzo 771 il papa subisce I'influenza del gruppo vicino ai filolongobardo Paolo Afiarta. Desiderio colse Poccasione per far pressione sui vescovo grádense e quelli istriani alio scopo di rafforzare I'influenza del patriarca di Aquileia. Dunque, quel "nuper" deila 18 ACTA H ¡STRIAE II. Lujo MARGETIČ: SUL PASSAGGIO DÜL POTCRE SULL'ISTRIA DA BISAN Z10 AC FRANCHI, 15-24 ACTA HISTRIAE II. Lujo MARGEHC: SUL PASSAGGÍO DEL POTE RE St'L L'ISTRIA DA BISANZIO AI FRANCHI, !5-24 letíera del vescovo gradense si riferisce alia secoiida meta del 771. Ma ael periodo quando per il papa Desiderio é ancora excellentissimus filius noster, il vescovo gradense non si azzarderebbe a scrivere che ia gen,•i pérfida Langobardorum o i servissimi Longobardirapinano i bcni della chiesa neü'Istria su ordine del loro re. Soltanto quando con la morte di Carloraanno (4 dic. 771) la suddetta coalizione si dissolve, diventa owio che un cambiamiento é iinrninentc e che il ruolo preponderante spetterá al re franco Cario, e quindí i! vescovo gradense puó nel modo piü aperto ti ¡mostrare la sua inimicizia verso Desiderio raccomandaiidosi cosí alie nuove foize dominanti. La risposta del papa {MGH, Ep. III, 714, nr. 21) e sintomática. Da una parte egli deve ancora tener conto della presenza di Paolo Afiarta, mentre dall'altra il prossimo cambiamenío é giá nell'aria. Perció il papa paria sotiilmente di "perfídis et mallgnis aemulis vestrae Istrianum provinciae" evitando di nominare sia i Longobardi sia il loro re. Ma le sue parole" iam prope est Dominas, ut arroganñum feroeitaíem deiciat" nascondono appena il suo pensiero: la vittoria di Cario e la sconfitía dei Longobardi sono vicine. Perció la risposta del papa viene probabilmente scritta nel gennaio 772 (S.tefano III é morto il 3 febbraio 772) e la lettera del vescovo gradense risale probabilmente alia fine del dicembre 771 (cioé dopo la morte di Carlomanno) o all'inizio del gennaio. 3.1 Longobardi si ritirano daH'Istria presumibilmente nel 773, cioé quando giá si sa che Cario ha iniziato in grande stile i preparativi per la sua campagna in Italia. E' da notaTe che non esistono notizie dirctte su quando e come i Longobardi hanno occupato l'Istria, su quando e come l 'hanno abbandonata né su quando e come é stataconquistáis dai Franchi. Come interpretare questo totale silenzio? lnnanzi tutto abbiamo la leítera di papa Adriano al re franco Cario scritta nel 776 o un po' piü tardi (MGH, Ép. III, 590, nr. 63). U papa informa Cario che i Graeci qui in praedicto territorio residebantHistríense insieme agli Istriani hanno accecato il vescovo Maurizio che su ordine di Cario riscuo-teva in Istriapensiones beati Petri, accusandoío di progettare la consegtta (tradere) a Cario ádVipsum territorium Histriense. Da queste parole risulta che non si tratta di trasferimento di proprieta dibeni ccclesiastici, come sostiene, senza convincerci, Cessi. Dunque, ii papa si lamenta solo dei Greci istriani e degli Istriani. Egli in nessun modo non incolpa il potere centrale bizantino, cioé, per luí nell'Istria questo potere non esiste. E non solo questo. II papa chiede a Cario di ordinare al duca friulano Marcario di far ritornare il vescovo accecato nel suo veseovato istriano, come se non esistesse la sovranitábizantinasulTlstria. Daciórisultacheprobabilmente i "Greci istriani" e ilocali possidenti istriani godono di una completa indipendenza di fatto, cioé essi riconoscono soltanto formalmente la sovranitá bizantina. Nemmeno le lettere del vescovo gradense e del papa (a nostro parere scritte probabilmente nel gennaio 772) non menzionano il potere bizantino. E ancora qualcosa. L'imperatore Costantino V (741 -775) a causa delle lunghe e pesanti lotte con gli Arabi ed i Bulgari non puó seriamente intervenire militarmente in Italia (e specialmente in Istria). Come abbiamo giá accennato, il suo conflitto con ¡"'occidente s'inasprisce dopo che sotto la diretta influenza di Costantino il 20 ACTA HISTRIAE II. Lujo MARGET1C; SUI.PASSAGGIO l)PL POTE RE SULL'tSTRIA DA BiSANZiO Al FRANCHI, 15-24 sínodo di Ierea proibisce severamente la fabbricazione, il possesso e l'adorazione d'iminagini sacre. Se Costantino V avesse almeno un mínimo potere reale sulllstria, poíendo nominare p. es. il magister militum, costui dovrebbe gíustificare la fíducia in luí riposta perseguitando gli adoratori d'immagini. Ma nemmeno una fonte riguardante l'Istria ne fa meazíone. Da tutto questo risulta che molto probabiJmente i magistri militum istriani appartengono al tenue strato di quei "Greci che abitan« in Istria" e che vengono eletti dall'asseroblea provinciale e poi solo formalmente confermati dall'impera tore. Proprio a causa di questa indipendenza. la temporánea occupazione longobarda deiristria e la stabile presenza franca passano inosservati. Siccome la sovranítá bizantina era solo fórmale, Bisanzio non reagisce. II lócale potere istriano naturalmente non é in grado di opporre resistenza ai vicini piü forti. 4. Pero net Plácito del Risano si parla piü volte della presenza di Bisanzio in Istria in un modo che fa pensare che essa fosse piü consistente da quanto risulti dalle nostri precedenti analisi, perché oltre al magister militum si menzionano anche i messi imperial i (missi imperiales), inoltre I'obbligo degli Istriani di versare nella cassa statale 344 zecchini ed infine, la raccolta di doni (exenta) per l'imperatore. Per quanto riguarda i 344 zecchini riteniamo che essi sono destinati a coprire le spese dei magistri militum. Costantino Porfírogeneto (De cer. II, 50) c'informa che la remunerazíone dei governatori delle province occidentali non viene versata dalla cassa statale, bensi le loro spese sono a carico degli abitanli delle rispettive province. Non c'é alcun motivo per non credere che cosi non fosse anche in Istria. Per le spese dei messi imperiaü U Plácito del Risano riporta lanotiziasecondo laquale essi vengono alloggiati nellecurie vescovili e che meta dt queste spese e a carico della chiesa, In quanto agli obblighi degli abitanti per queste spese il Plácito si esprime cosi: de cantan capita rnium qui kahebat - unttm. Dunque, non una pécora su cento, il che significherebbe che i piü poveri dovrebbero contribuiré con una pécora dopo aver riunito piü famiglie che ¡nsieme hanno 100 pecore, ma solo "colui che ha 100 pecore deve dame una" - e ció soltanto si necesse erat. Di qualche prestazione basata su aitri beni, p. es. sul bestiame grosso, che potrebbe serviré per variare ¡ pasti dei messi, non si fa parola. Risulta quindi che soltanto i piü ricchi danno qualche pécora, soprattutto quelli che s'aspettano dai messi qualche favore come p. es. nel caso di ottenimento del titolo onorifico di consolé (hypatus). Tutto sommato il modo nel quale si rifomiscono i messi ímperiali indica che le loro visite non sono troppo frequenti e che come ospiti non erano eccessivameníe graditi. Probabilmente ncanche gli exenia destinati airimperatore non sono esageratamente abbondanti. 5. Per il "periodo dei Greci" il plácito tra i funzíonari locali menziona anche i tribuni, i domesticó i vicari e i "locoservator". Si potrebbe rifenere che questo rappresenti l'ordine d'importanza delle singóle funzioni. Ma nel documento dell'847 ("ü testamento" della religiosa Maru, Kandler, Cod. Dipl. Istr. 134, nr. 59) l'ordine é differente: tra i testimoni si trovano dapprima 2 tribuni, poi 2 hcosalvatores(l) e soltanto alia fine 2 vicari. I tribuni sono senz'altro le persone di maggior ríguardo. II Plácito menziona 21 ACTA H1STR1AE L¡. LujoMARGETIC: SUL PASSAGGIO DEL FOTERE SULL'ISTMIA DA BISANZiO Al FRANGI 1!, 15-24 V"actus tribunatus" che secondo Cavaliari (La costituzione tribunizia istriana, "Riv. di St. di dir. it." 23, 1950, 60) e un concetto generico del!'amministrazione, cosí che la laméntela dei 172 rappresentanti dei possidenti istriani: "tribunatus nobis abstulit" si deve interpretare nel senso che il (inca franco ha tolto ai possidenti istriani la completa amministrazione comunale, cioé che per tribunatus bisogna intendere "il potere in generale", dunque anche i locoservatores ed i vicari e non solo íribuni; í noli re, quando gli Istriani si lagnano che "ai tempi dei Greci" ogni tribuno aveva 5 e anche piü excusalí (persone esonerate da prestazioni e servizio militare) ció significa che i funzionari iníeriori avevano 5 excusad e queili superiOTi un numero maggiore. Soltanto per Cittanova si menziona un funzionari o speciale, il cancellarius. A Cittanova c'era un grande bene demaniale, dove, ai tempi dei Franchi abitava il dux. Tra tuüe le citt& e castelli, Cittanova, quando era ancora bizantina, versava il piü piccolo importo - solo 12 zecchini. Si potrcbbe con quesíi dafi su Cittanova creare un quadro coerente? Il cancellarius é un funzionario a capo anche della cancellería del magister militum bizantino. Siccome il mag'ister militum deve necessariaraente oltre alia sua amministrazione avere anche un determinato numero di militi senza i quali la sua autoritá sarebbe illusoria, significa che egli deve provvedere al maritenimento dei suoi funzionari. e dei militi, cosa che puo conseguiré soltanto abitando a Cittanova (come piü tardi fa anche il dux franco) sui beni dernaniali. D'altra parte, anche il numero limitato dei militi (p. es, soltanto 60) haperconseguenza il broesonero dall'obbligo di prestazioni o almeno una diminuzione delle stesse (cfr. le modeste prestazioni degli arimani, scorta del vescovo parentino, Kandler, Cod. Dip¡. Istr. 190, nr. S9). Questo spiega in modo soddisfacente perché Cittanova é oberata soltanto con 12 zecchini. Secondo il Plácito del Risano il domesíicus probabilmente slava a capo del reparto militare di Cittanova che protegge il magister militum, Cavaliari (op. cit., 60) contrariamente pensa che ii cancellarius e il domesíicus di Cittanova siano una sola persona. (5. Fino all'804, il governo franco in Istria é caratterizzato daH'implacabile iturodu-zione del sistema amministrativo franco. II duca franco Giovanni toglie ai possidenti istriani l'autogoverno lócale che era nelle loro mani durante la sovranitá bizantina, introduce i centenari (nel Plácito centarchi), tipico organo dell'amministrazione lócale con competenze giudiziarie (eccetto per vertenze maggiori e perseguimenti penali) e grava i possidenti istriani con vari tributi típicamente franchi e con lavoro gratuito. Pero il Plácito, in un tratto, menziona i 172 rappresentanti dei possidenti istriani come judices, giudici, il che ha suscitato molte difficoltá. Cosí Mayer (Díe dalmatisch-istrische Munizipaiverfassung ecc., "Zeitsch. der Savigny-Stiftung", Gerrn. Abt. 24, 1903, 262) sostiene la tesi che durante la dominazione bizantina in Istria 1'amministrazione civile é separata da quella militare e che i Franchi hanno tolto agli Istriani F amministrazione militare ma non quella civile, alia quale si riferiscono i testé nominati giudici. Pero il tentativo di Mayer non é riuscito, perché e noto che in Bísanzio sía F amministrazione militare sia quella civile sono nelle mani dello stesso funzionario. Percid de Vergottmi 22 ACTA HI STRIAE H. Lujo MARGETIÓ SULPASSAGGIO DEL POTERE SULL'ISTRIA DA BlSANZfO Ai FRANCHI, 15-24 (op. cit., 34-35) propone una diversa, anche se in sostanza affine tesi: i Franchi hanno tolto ai tribuni ed agli altri organi deü'autogovenio lócale la ftinzione militare, gli stessi pero, continuano ad esercitare le loro funzioni civüi. Pero, siccome i Franchi hanno introdotto i centenari, cioé il potere amministraíivo-giudiziario lócale del sistema franco, per i tribuni e per gli altri funzionari locali semplicemente non c'e piü posto, proprio perché i centenari, secondo il Plácito, sono la base del potere franco Cdux.— constitidt nobis centarchos"), Dunque, il terraine judices usato per i 172 "capitani" rimane insoluto. Bisogna perdí» prendere in considerazione che solo una volta per questi "capitani" si dice judices, e altre due iurati. In un plácito del 905 tenutosi in Lombardia te persone desígnate a testimoniare sugli obblighi dei sudditi di un bene regale si chiamano Índices ad¿«r<íft'(FumagaiH, Cod. Dipl. St. Ambrosiano, Milano 1805,172), Dunque, coloro che durante lo svolgimento di un plácito stabiliscono i diritti e i doveri sia del proprio ceto sociale (nel Plácito del Risano) sia di altre persone (nel Plácito del 905) hanno un ruoío tanto importante da esserc chiamati judices. Naturalmente essi vengono denominad anche iurati perché giurano di dichiarare soltanto la veritá. 7. Nel valutare il carattere della procedura adottata nel Plácito del Risano la cosa piü importante 5 stabilire il ruolo dei ripetutamente menzionati 172 "capitani", chiamati anche judices e iurati. La letteratura meno recente (p. es. Branner, Zeugen- und Inquisitionsbeweis dercarol Zeit, Wien 1864; Bethmann-Hollweg, Der Zivilprozess des gem. Rechts ecc. V, Bonn .1873,148-157) e quella moderna (p. es. Salvioli, Storia della procedura ecc., Milano 1925,227) sono d'avviso che la testimonianza di questi "capitani" é il mezzo probatorio per inquisiúonem usato frequenteinenle nel periodo carolingio in quelle vertenze civili, nelle quaii una parte é privilegiata, in primo luogo il re, poi gli enti ecclesiastici ed infine, le cosiddette "persone deboli" (personae miserabiles), cioc i poveri, le vedove e gli orfani. D vantaggio della procedura per inquisitionem consiste riel fatto che ¡'organo giudiziario convoca i testimoni ufficialmente. Le norme dei capitolari carolingi stabiliscono per le "persone deboli" che la procedura per inquisitionem venga applicata soltanto nel caso quando la "persona debole" non puo da sola trovare il testimonio. Giá Cavaliari osserva che i "capitani" del Plácito del Risano non sono semplici boni et veraces homines come nelle altre procedure per inquisitionem, bensl formano la delegazione di coloro i cui interessi rappresentano. Cavaliari con questo apre un grosso problema. Nella letteratura é stata accettaía ropinione che nel Plácito del Risano la procedura per inquisitionem viene applicata nel terzo caso, cioé per le miserabiles personae. Se é cosí, perché i messi imperiaü scelgono i "capitani"? I possidenti istríani sono davvero tanto "deboli" da non poter scegliere i "capitani" tra le persone presentí al plácito? Inoltre - cosa ancor piü importante - i "capitani" non si presentano come testimoni nella vertenza; essi sono i veri rappresentanti dei possidenti istriani, cioé non sono testimoni, ma parte interessata. Essi non si lamentano per l'atteggjamento deü'autoritá verso i poveri, orfani e vedove, essi insistono che al loro ceto sociale sia restituirá l'amministrazione lócale con i relativi privilegi patrimoníali che questo ceto godeva prima della conquista franca dell'Istria. I rappresentanti non rimprovano al duca Giovanni in primo luogo di aver ingiustamente applicato il sistema 23 ACTAHISTRIAEH. Lujo MARGETtÔ. SUL PASSAOGIO DEL POTER2 SULL'tSTRlA DA BISANZIO Ai FRANCHI, 15-24 giuridico franco (anche se cié fa parie delle loro lagnanze); il punto centrale délia loro richiesta è i'annullaraento del sistema franco e i! ripristino di quello esistente prima délia venuta dei Franchi, cioè di quello "dei Greci". Í messi imperiali franchi, volendo, potrebbero fácilmente respingere tali richieste con la motivazione che durante i 17 anni di dominazione franca in Istria si è creata una nuova consuetudo che è in armonía con il diritto franco. Ma ovviamente al vertice dello stato franco predomina il desiderio político di restituiré ai possidenti istriani i loro diritti. Questa è la ragione della venuta dei messi imperiali in Istria. Essi in apparenza veugono in Istria per proteggere gli ínteressi del fisco, délia chiesa, dei poveri, degli orfani e delle vedove. Cosí almeno risulta delle parole introduttive del Plácito (quasi alla lettera in armonía con il Capit. miss, dell'802, cap. 21). Ma subito dopo l'arrivo (!) i messi scelgono i 172 rappresentanti dei possidenti istriani. Questi rappiesentauti perô non parlano dei diritti delle chiese che in qualità di enti privilegiati avrebbero diritto all'aiuto, ma ai contrario, atîaccano il comportamento degli organi ecclesiastici inferiori e superiori verso i possidenti. Dei poveri, degli orfani e delle vedove non si parla, di diritti del fisco soltanto un po' e soltanto per íncidenza, denunciando il duca Giovanni di aver trattenuto per sé i 344 zecclimi. punque, i messi imperiali sono venuti scnza alcun dubbio con 1 'intenzione di restituiré ai possidenti i loro diritti. Percio la chiesa ed il duca accettano quasi totalmente quanto dichiarano i "capitani". Soltanto in riguardo alie "terre esteme" il duca non cede e in verità non pud cedere, perché queste terre appartengono ail'imperatore. I "capitani'1 insistono chequeste terre "sono nostre" {nostrae terrae, nostrae runcorae ecc.), mentre il duca nella sua risposta ripete con insistenza che si traita di "quelle" terre (ipsae terrae, ipsae aüvae) e, parlando degli Slavi da lui insediati, non promette di allontanarli dalle terre contéstate e propone solo di stabilire se gli Slavi fanno dei danni, e solo in questo caso promette di allontanarli, non come intrusi su terre altrui, ma soltanto come autori di danni. Perciô il duca fa notare: ego vobis contradicam, desiderando con ció trasferiie il problema della proprietà delle "terre esterne" ad una futura regolare procedura giudiziaria che stabilirà a chi appartengono. Probabilmente la verità si tiovava a meta strada: i possidenti istriani che durante la dominazione bizantina fbrmavano l'autorità locale hanno occupato anche quelle terre che appartenevano alio stato ed al comune, mentre nel periodo franco il duca ha probabilmente insediato gli Slavi anche stille terre che in precedenza erano di proprietà prívala. In poche parole, soltanto nella sua forma il Plácito ricoTda fino a un certo punto la proceduraper inquisitionem, specialmente nella scelta dei 172 "capitani" fatta d'ufficio dai messi imperiali. Tra il Plácito e la procedura per inquisitionem la differenza sta nel fatto che i "capitani" non sonó testimoni bensi rappresentano i propri ínteressi e quelií del loro ceto sociale. Si puô perianto definire il Plácito come la forma nella quale sono riportate le décisions di carattere pubblico tramite le quali in Istria s'ístaura un organizzazione della società e dell'autorità pubblicalocale diversa da quella esistente nell'Istria franca fino all'804. La traduzione: Aneliese Margetic 24