LINGÜISTICA XIV IJUBUANA 1974 LINGÜISTICA XIV LJUBLJANA 1974 Revijo sta ustanovila Stanko škerlj in Milan Grošelj Revue fondée par Stanko Škerlj et Milan Grošelj Uredniški odbor — Comité de rédaction Bojan čop — Anton Grad — Milan Grošelj — Mitja Skubic — Stanko škerlj Natis letnika je omogočila RAZISKOVALNA SKUPNOST SLOVENIJE, SKLAD BORISA KIDRIČA Avec le concours de la COMMUNAUTÉ DE RECHERCHES DE SLOVÉNIE, FONDS BORIS KIDRIČ LINGÜISTICA LETO XIV. 1974 CDU 805.99-316.32:808.63 Giovan Battista Pellegrini Padova COMMENTI A NOMI FRIULANI DI PIANTE RACCOLTI NELL'ASLEF XV. (*) 1. [ASLEF I, 597, carta 1200] Il Leontopodium Alpinum Cass., Stella alpina, è una composita alta 5/25 cm., lanosa, con foglie lineari-lanceolate grigio-verdastre di sopra e cenerino-tomentose di sotto. E'assai ricercata ed è venuta ad indicare il »simbolo dell'alpinismo«; ha il suo centro di diffusione nei grandi altipiani dell'Asia Centrale e sud-occidentale ed è un elemento delle steppe siberiane. Cresce sugli alti pascoli dei monti calcarei, ma non è rara su suolo siliceo, rupestre. In Friuli è frequente nella zona subalpina e alpina, da 1100 m. (cas. Palasecca) a 2000/2200 m. (cas. Bordaglia, M. Cretabianca, Pleros); più rara nella regione montana e submontana, Gortani II, 438 (che cita i nomi dial, simprivîv di mont e s tele alpine). 1. Manca una carta nell'AIS, mentre è considerata in ALI Q. 4829. Il nome Leontopodium è già in Plinio (NH 26.52.127.145) ed esso ricalca il gr. leontopódion comesinonimo di leontopétalon (Dioscoride),cioè'piedinodileo-ne', immagine derivata »nach den gelblichen Blütenköpfchen und den wolligüil-zigen Hochblättern«, Marzell II, 1239-41. Sono nomi antichi (scientifici) anche pes leoninus (Lebelius) e gnaphalium alpinum (Clusius). Secondo il Prati, VEI 949, Stella alpina in italiano sarebbe venuto dal bellunese o trentino (aggiungiamo forse anche dal friulano?) e vedi su ciö LN I, (1939), 171-2. Il nome è registrato - pare per la prima volta - dal Panzini ed. 1905 (cioè la prima), mentre in precedenza era comune il tede-schismo edelvais o fior nobile, pié di leone, bianeo di roecia, margherita vellutata delle Alpi e il dotto gnafalio. 2. Nei dialetti tedeschi (Marzell cit.) prevale il tipo »Edelweiss« penetrato soprattutto nei dialetti ladini e italiani settentrionali ecc., oltre che nel tráncese (dal Daudet 1885), vedi FEW XV 83, ove si citano le varianti dialettali (edelves, edelveis, enddlveis, endelvis, elves, elvaise); oppure Jägerbloama (nel Salisburghese) 'fiore dei cacciatori', oppure Wollblumen (Berna) 'fiori di lana' che trova riscontro preciso nel bresc. fior di lana ecc., oppure nel fr. cotonniere des Alpes, Rolland VII, 83. Dal Penzig I, 266, si puö constatare come la massima parte delle denominazioni si rifacciano a »Stella«: Liguria Stella d'Italia (Ponti di Nava), Veneto stella delle Alpi, accanto a edelvais e vais ecc. Anche nel lombardo alpino è assai diffuso il tedeschismo ad es. 3 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF Valle Anzasca eldelvais, andelvais (AR XIII, 163) e vedi Salvioni, RIL XLIX, 1019 (it. edelvajs). 3. Per il Trentino il Pedrotti-Bertoldi accanto a stele alpine pl. e edelvais di Trento e dintorni, Valsugana ecc., ricorda anche stele di mont di Tésero e del Primiero, stele di montagna a Sirór e a Predazzo fior di montagna, inoltre perpetúe (voce semidotta) per l'alta Val di Non di chiaro significato (cfr. »semprevivo«, vedi anche Quaresima 318 »perpetúe pl. Antennaria dioica... A Fondo portano il nome di perpetúe le Stelle alpine.« Anche per l'Agordino si ha soltanto stela alpina o edelbais specie nel Livinallongo, Rossi, FPA 111 e Tagliavini, DLiv. 127. Interessante é invece la denominazione ladina occid. riportata dal Bezzola-Tönjachen 304 alvetern(a), vedi DRG I, 222 alveterna da alv ctern 'ewig weis', ravvicinato a »Edelweiss«. »Von der auch in Bünden Entwicklung des Alpinismus wenig beachten Pflanze hat sich im Rätorom. ausser flur vaVi (Vrin) kein volkstümlichen Name erhalten...« e perianto penetra anche nel lad. occid. édelvais, edelvéis ecc. Ad esso si contrappone il neologismo alve-tern(a) e nel soprasilv. si usa anche steilalwa 'stella bianca' (da albus). Anche in romeno si ha albumeala o albumita, floare alba, oltre a steinte de munte 'stellette di monte', Borza 98. Per l'area ladina centrale atesina prevale il tedeschismo; vedi i materiali inediti dell'ALI: S. Vigilio di Marebbe édlbais, Bulla édlbais, Colfosco édelbais; ma giä in Cadore domina ormai stela alpina, tranne a Cortina d'Ampezzo ove si ha edelvais, ad Alba di Fassa edelbais ecc., vedi anche Olivo 157. 4. In Friuli la nomenclatura del nostro fiore non é molto ricca e si ripar-tisce secondo i tipi giä esaminati sopra, e cioé: 1) Predominante e il tipo divenuto italiano »Stella alpina« (v. sopra) dif-fuso in Carnia e anche hella Bassa friulana ove la pianta ovviamente non e indigena, ma assai conosciuta anche in rapporto alia sempre piü diffusa pratica deH'alpinismo. Dall'ampia testimonianza cito solo un campionario: 3 Palzz. štela alpina, 10a Lud. štelo alpino, 11 Comgl. st§la alpina, 15 Dogna štele alpine (anche Pellis), 24 Amp. Stélis alpinis pl... 108 Bud. štela alpina, 176 Varmo stele alpine, 187 Mans. stéa alpina, 214 Fium. stéla alpina, ecc. Anche il NPirona 1114 riporta stele-alpine 'stella alpina', 'pié di leone' Leon-iopodium alpinum'. 2) E'abbastanza frequente e forse piü popolare (?) il dimin. stelúte, ad es. 47 Clauz. stelútis alpinis pl. (ma il Pellis ha semprevivis pl.), 79a Aon. stelútes, 83a Feltt. stelúte, 87 Torr, stelútis alpinis pl., 109 Rover, stelútis alpinis pl., 112a S. Od. stelútis alpinis, 174 Cordv. stelútis alpinis pl., 176 Varmo stelútis di mont, 199 Cave S. stelúta. Non nutro alcun dubbio che la fortuna di stelúte, al di fuori del comune habitat, é dovuta alia nota canzone dello Zardini (... Al é un splaz plen di stelútis ...). Da stella + suffisso -üttus. 3) Non manca il semplice »stella«, ad es. 9 Pr. Crn. stela, 21a Raccl. stele, 189 a Versa stela, 196 Ruda stela, 215a Pier, stela. 4 Giovar. Battista Pellegrini 4) Forme analoghe sono ad es. 57a Navar. rofa alpina (ove roja equivale a 'fiore'), 75 Fanna ró/a alpina, 107a Mezz. flors da mont (anche Pellis). 5) Popolare sembra il termine »semprevivo«, ad es. 19a Lov. semprivívos pl. (anche Pellis), 26 Rav. semprevivo (anche Pellis), 31a Ilg. semprevivo, 36a Intss. semprevíf (menzionato anche dal Gortani), 47 Clauz. semprevivis. Vedi Rolland VII, 83 cfr. fr. reg. Immortelle des Alpes, ecc. 6) Una certa diffusione ha acquistato in Friuli e altrove (come abbiamo piü volte ripetuto) e di certo non da poco tempo, il tedeschismo »Edelweiss«, 'bianco nobile' secondo varianti dialettali: 2a Coli, elbáis (anche Pellis), 5 Paul, edelváis, 20a Bev. édelvais, 134a Brazz. edelváis. 5. Nei punti alloglotti tedeschi si ha a 1 Sapp. éidelbais cioé »Edelweiss« accanto al tipo spaikh che fu raccolto dalla Bruniera Tesi 367, corrispondente al ted. Speick (in realtä 'Prímula glutinosa') dal lat. spica 'Aehre, das zur Bez. verschiedener Pflanzen herausgezogen wird, im Oesterr.-Bair. aber vor allem für Valeriana céltica... Die Übertragung auf das Edelweiss ist aus dem Binnenland nicht bekannt«, Hornung 411 s. v. Speik: spaik; a 3a Tim. édelbais accanto a stélas alpinas e a 16 Saur. édelbais. Nelle stazioni slovenofone a 6a 7a Lagl. e Ug. circola il tedeschismo éd3l-vais, édelvais; a 34a Osee, canijnaua rofa allude a 'fiore del Monte Canin' (friul. k'anín)cioe rappresenta una denominazione assolutamente circoscritta (il Canin sovrasta la Valle di Resia), accanto a manf3staua roía (forse dal monte Mangart?). II Pellis aveva ivi raccolto il tipo piü popolare ta súknina roía che allude alle caratteristiche 'vellutate' del fiore, cfr. slov. suknen agg. 'aus Tuch, tuchen', Plet. II, 600. Al P. 34b Stolv. te santoue roje (il fiore dei santi'?); 46a Prad. il generico rófe alpine (raccolto anche dal Pellis) e pure a 67a Cergn. stéla alpina come a 88a Vern. L'Ostermann 181 a proposito della stele di mont o stele alpine osserva che il fiore é diventato di moda fra gli alpinisti e che il popolo dice »che é tanto ricercato perché porta fortuna«. 2. [ASLEF I, 598, carta 121] II Lilium bulbiferum L., giglio rosso, é una liliacea delle regioni temperate dell'Europa e dell'Asia con fiore assai vistoso di colore rosso arancione; puo raggiungere anche 1 m. di altezza e cresce su pendii soleggiati erbososassosi, sui pendii montani e nelle siepi (a volte si trova anche tra i cereali), e i suoi bulbi cotti nell'acqua sono ritenuti comme-stibili. In Friuli é diffuso nella regione submontana e montana, nei pascoli subalpini sino a 1600 m. (M. Cretabianca, Varmost), Gortani II, 109 (riporta i nomi dialettali jerbe di ton, rose di ton, giglio di S. Antoni, grasóla). Manca una carta nell'AIS, mentre il concetto é esplorato in ALI Q. 4830. 1. I nomi antichi (medievali) del giglio rosso sono martagón bulbiferum (Clusius), martagón rubeus, lilium rubeus, lilium aureum, lilium cruentum, lilium purpureum, lilium phoeniceum, vedi Marzell II, 1290-96. Le motivazioni onomasiologiche piü comuni, nei dominio tedesco e francese, si fondano sul colore giallo o rosso dei fiori maculati, sul fusto, su giochi fanciulleschi 5 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF in cui si utilizza il pulviscolo del fiore, sull'epoca della fioritura o su credenze popolari (tuono ecc.). Nell'Italia settentrionale prevale, secondo i materiali del Penzig I, 270, »giglio selvático« o »giglio giallo e rosso«, ad es. in Liguria e Piemonte gigliu sarvögu (Val Polcevera), gigliu gianu (Imperia), liri giaun ecc. Non mancano i richiami all'epoca della fioritura, ad es. »g. di S. Antonio« cioé sciü de S. Antonio russu (Chiavari) ove sciü viene da flöre, sciu de san zane 'Giovanni ' (Borzonasco), sciu de sant antoniu (S. Bernardo), san giuan (Val S. Martino) e cosi pure in Lombardia: sei ross (zei da jiliu per liliu), fiur de san gioan (Brescia), gil(i)ross (Como e Ticino). Anche nel Veneto: gilio zalo (Verona), zio d'oro (Venezia), fior de san zuan (Belluno.) 2. Nel ladino occidentale compare il tipo machöja (Bezzola-Tönjachen 393 s. Feuerlilie) che allude in origine al 'papavero', vedi anche Peer 264 machoa, machöja »Lilium bulbiferum« (engad.) e REW 5232, mago (francone) 'Mohn' (secondo A. Zamboni, art. in corso di stampa in VRom., verrebe dal lat. m e -c ó n e < greco) engad. maköya, gard. magueza, lad. magoia, comel. maguia... 'capsula del papavero'... E' noto anche fanzögna, DRG VI, 92—93 engad. fan-zogna, sopras. fanzegna con vari sensi, ma in origine 'Kinderheit', oppure 'schwaches Kind' da infanti-onia (PEW IV 664). Per un analogo traslato da 'fanciullino' a 'fiorellino' si veda ad es. l'ertano nina (friul. di Erto) 'bambino' e poi 'fiorellino'. 3. Per il Trentino e la Ladinia dolomitica disponiamo dei materiali riuniti dal Pedrotti-Bertoldi 220, ma i tipi non divergono sensibilmente da quelli sopra accennati. Oltre al banale zees (gigli) di Cortina d'Ampezzo, si noti ad es. fiori o gili di San Antonio a Trento, Rovereto, Lagarina, Nago e gilt di Sant Antonio pl. Campo Lomaso, analogamente fiori di San Gioan Valda, inoltre ghiai rossi a Rabbi 'galli rossi' che trova un'eco paraetimologica in gili di San Gal (»di San Gallo«) a Mezzalone e in gal di Val Vestino. Altre immagini si notano in dialetti agordini e bellunesi, vedi Rossi, FPA 112-13, ove, oltre a preve e moneghe di La Valle (»forse suggerita dallo sviluppo notevole del pistillo detto preve 'prete' che troneggia tra gli stami cioé le moneghe ...«), cfr. bad. e gard. preve o preve de monts (attribuito al giglio mar-tagone) e koke di Gosaldo (da coccum 'cosa rotonda, per la forma della corolla), anche ALI a Bulla (presso Ortisei) si ha preve e pretefrate a Ronco (Primiero); a Gosaldo kóka (v. sopra); é importante ed originale la forma atsola Ag. sett., Frassené, che corrisponde a gá&ola di Cencenighe e Taibön, ancora äßola nella val Biois ecc. Tali denominazioni erano giä segnalate dal Pedrotti-Bertoldi cit. per Predazzo äzzole e ßor d'azzola nello Zoldano, inoltre cfr. livin. átsole da mont 'giglio selvático', giudicato da tutti di etimo scono-sciuto. Anche l'ALI (inédito) registra per Alba di Fassa ázolo e a Selva di Cadore fiordá&ole, a La Valle di Agordo la fiora dá&ola. Si puo indicare ora un riscontro sicuro - cosi mi pare - nel ted. svizz. Azla San Gallo, vedi Marzell II, 1295 il quäle annota: »Das Wort bedeutet eigentlich Elster (cioé la 'gazza'), dann auch die Perücke (»Hatzle«). Das Schweiz. Id vermutet dass die zerstreut stehenden Blätter der Feuer-Lilie mit (struppigen) Haaren vergliechen 6 Giovar. Battista Pellegrini sein könnten (?) « e subito dopo, il Marzell menziona il trent. àzzole con punco interrogativo. Non sono ancora in grado di verificare a fondo tale ipotesi che non mi pare da buttar via e non so se sia lecito pensare a qualche tema di origine preromana. Se l'immagine è veramente suggerita dalla »gazza«, bi-sognerebbe fare ricorso ai derivati di g a j a (REW 3640) che peraltro incontra serie difficoltà di ordine fonético per la sonora interna (vedi AIS III, 504, ove le forme venete hanno sempre la sonora, ad es. gada o gaia, gaiola ecc.), Rossi, AlVen. CXXI, 1962-63, 577. Va pero tenuto presente che ad es. nel Livi-nallongo si ha gáca 'gazza' ed il Tagliavini, DLiv. 145 deriva correttamente tale forma dall'a.a. ted. a g a z a (REW 275) responsabile anche del soprasilv. hatzla, vedi Vieli-Decurtins 308 hazla 'Elster', egl — 'Hühnerauge', fig. ina stoda — 'ein schlimmes, kokettes Mädchen'. Sono da vedere alcune giuste osserva-zioni di Th. Gartner in ZRPh. XVI (1892), 321 nota 7 (con ampie attestazioni della famiglia di voci); cfr. anche bad. agacia 'gazza', Martini, VBad. 11 e gard. gada idem, Martini, VGard. 45. Derivati fitonimiei gallo-romanzi da a g a z z a (a. a. ted.) sono eitati anche in FEW XV, 6—9, cfr. Lens agachèta 'camomille' (»weil die blüte eine ähnlichkeit hat mit einem hühneraug...«). 4. L'ALI per Belluno registra fior de san g'ováni e per Laggio di Cadore il banale garofol de mont; la Olivo 160, per il Cadore elenca le forme seguenti: del: (pl. dei) Venas, zei pl. zées Cortina (da jilium per lilium 'giglio), turipani Valle (cfr. it. tullpano), prées Vodo,Vinigo, Borea S. Vito da pre(v)e 'prete', lat. praebyter (REW 6740, 2), già esaminato qui sopra; prédikas Cibiana (confermato da De Zordo, II dialetto di Cïbiana, Milano 1968, 225 prédica 'giglio rosso che cresce spontaneo nei prati') che pare un'eco sfuocata di preti e frati (da praedicare, REW 6718 per via dotta), fiora di S. Dua-ne (Giovanni) Auronzo, cfr. fior de San Zuane (bellun.) De Toni, dall'epoca della fioritura. 5. In Priuli la ricca nomenclatura puö esser suddivisa seeondo i seguenti tipi fondamentali che peraltro, nella massima parte, abbiamo già incontrato: 1) »giglio rosso«, o semplicemente »giglio«, che rappresenta un italianismo relativamente recente: 2a Coll. g'ílio (ma ilPellis ha opportunamente la croce), 28 Lauc. lilio, 31 Tolm. g'îlios pl., 40 Claut g'íl'o (Pellis ha la croce), 41a Chiev. g'ílio ros (ma anche g'ílio de sant antone), 49 Forg. g'íl'o ecc.; 121a Vig. g'ílio ros, 124a Post, g'íl (ma cresce coltivato nei giardiniü), 130a Lumgn. g'îlios po., 138 Gor. g'ílio, 172 Chns g'ílio roso, 175a S.Pao. g'íli, 195 Cerv. g'íl'o striât cioe 'striato' (dalle striature del fiore). II NPirona 384 riporta giglio bot. con le varie specificazioni e rinvia alia forma più popolare 'zi (p. 1308) che si equivale al Lilium candidum ecc. Per lilium e la variante jilium o lirium (voci di origine mediterrana forse dall' egiz. hrr-t in copto hrêri e hleli) mi basti rinviare a FEW V, 336-7 (gilium è attestato per la prima volta in glosse del 900 circa). 2) »giglio selvático«, denominazione generica: a 3 Palzz. g'il'o salvddi, 45 Venz, g'ílio salvddi, 48 Vt. d'As. g'il'o salvddi, 52 Montn. g'i salvádi, 65 Magn. g'i salvádi, 103a Cern., 105 Civ. g'ilío salvádi (ma il Rieppi 62 segnala invece 7 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF rosa di ton), 118a Ors., 199a Cave S. g'il'o salvddego, 215a Pier ... Si aggiunga qui l'isolato 100a Ceres. g'i di âge Cgiglio d'acqua') e 209a Corb. g'ilio delà kâr-nia (cioè la Carnia). 3) »giglio di monte« o simile (»fiore di —«): 9 Pr. Crn. g'ílios di mont pl., 15 Dogna g'il'o di montdûe (il Pellis ha invece roje del kuk), 17 Ovr. rój'a di mont (fiore di —), 18 Sutr. J¿ di mont, 19 Arta g'ílios di mont, anche 108 Bucl. 4) »fiore o giglio di San Giovanni«: 5 Paul, roje di sang'uán, 19a Lov. rojas di san g'uán (anche il Pellis), 24 Amp. g'il'o di san g'uán, 26 Rav. roje di san g'uán (anche Pellis) e forme analoghe a 30 Zugl., 35 Prn.,37 Cavzz.,49 Vt. d'As., 60 Pinz., 67 Nim., 68a Racch. 73a Grizzo, 110a Sedr. g'ilio de san Juan. Dall'epo-ca della fioritura. 5) »giglio o fiore di Sant'Antonio«: 20a Bev. g'il'o di santantoni, 31a Ilg. g'ilio di sant antóni, 36a Intss. rô'Jes di santantoni, 41 Trm. Sp. flor de sant antone (il Pellis ha la croce), 56a Poff. idem (anche Pellis), 64 Art. g'i di sant-antóni, 66a Ciser., 80a Mels 83a Feltt., 86 Faed., 87 Torr., 101a Modl., 107a Mezz. flor da santantoni, (anche Pellis) 112a S. Od. Zi di santantóni, 113 Mezz., 119a Lonz. g'ilio di sant antóni salvádi, 131 Manz., 134a Brazz., 144a Zomp. rofe de santantoni, 155 Farra, 161 S. Vt. T., 162a Str., 164a Flum. Zi di santantoni, 167a Ialm., 169a Versa, 174 Cordv., 176 Varmo, 189 Ronch., 201a Lug., 214 Fium. Dall'epoca della fioritura. 6) Meno comune è »giglio (fiore) di San Pietro«: 17 Ovr. sampiéri, 44a Intrn. g'il'o di san pieri; dall'epoca della fioritura. 7) Poco attestata è l'immagine »fiore del sole«, ad es. al P. 9 Pr. Crn. rója dal sorëli (soreli 'sole' da solicülu, REW 8059), 11 Comgl. rófas dal soreli (o dal tralúp, cioè dal 'lampo', cfr. il tipo seguente), 9a Pes. roja dal soríali (Pellis). 8) Assai popolare è l'espressione »fiore o giglio del tuono« o simili: Il Comgl. rófas dal ton (ton 'tuono'), 12 Ravs. roja di ton, 21a Raccl. ierba di ton ('erba —'), vedi anche qui sotto le risposte alloglotte. Da tonus, tonare, REW 8778. NPirona 900 rose-di-ton bot. = jarbe-di-ton e 486 bot. giglio rosso Lilium bulbiferum L. anche rose-di-ton, zi di sant Antoni e gràssala. Si veda il Marzell II, 1293-4, ove si citano le denominazioni ted. quali Donnerblume Lienz, Tirolo, Donnerrosen Valle di Zeglia in Carinzia, Tunderrosen, ivi. Secondo la credenza popolare non si dovrebbe portare a casa la nostra pianta poiché essa attirerebbe il tuono. Ma è da ricordare che il colore rosso del fiore richiama il fuoco e il lampo ed il M. cita appunto come confronto le nostre forme friul. ed inoltre il ted. Feuerlilie o Wetterkrone il giglio mar-tagone oppure Donnerrose il rododendro (che si puó interpretare diversamente). 9) Intéressante al P. 22a Vico (Forni di Sopra) la forma kràsala che corrisponde sicuramente a gràssala segnalato dal Gortani, loe. cit. Che tale forma venga da grassus, REW 2299,2, per i bulbi che cotti nell'acqua si mangiano — come sostiene la Zorzi 207 — è per me una ipotesi non del tutto 8 Giovar. Battista Pellegrini sicura; mi pare logico chiedersi se taie forma abbia in qualche modo rapporta con le forme sopra esaminate del tipo gátsola e simili (con incrocio??). 10) Alludono verosímilmente al pistillo troneggiante — come abbiamo visto — le espressioni quali: 23 Frn. St. prë'di (anche Pellis) 'prete', 38 Erto preve (anche Pellis) e porrei qui anche 176 Varmo rô'Je di frari (frati); vedi sopra. 11) Al P. 39 Cim. Jiór ka se manga è una espressione generica che ricorda come i pastorelli mangiassero i petali del fiore (vedi le note dell'ASLEF). 12) 54 Barc. g'alinón rappresenta un generico traslato, come tanti altri in cui si allude al »gallo« e derivati; vedi NPirona 377 gialinâzze = barbe-d.i-bec, cioè zei). 13) Curioso è il nome di 10a Lud. kagaóúto che pare, a prima vista, un derivato di cagbcie bot. (NPirona 91) 'zucca'. Forse dal colore del fiore rosso-arancione (?). 13) Il Pellis ha raccolto a 15 Dogna rófe dal kuk cioè 'fiore del cuculo', il noto uccello che entra in tante immagini délia flora popolare; vedi anche Marzell II, 1295 kockela 'rote Lilie', voce romanza nel cimbrico dei 7 Comuni vicentini (Schmeller, Cimbr. Wb. 194) da confrontare con it. cuculo »wegen der frühen Blüterzeit« (??). Taie nome cucù ricompare a Bondo, Pra di Bon-do, Pedrotti-Bertoldi 474 (Aggiunte). 5. Nei punti alloglotti ted. a 3a Tim. si ha tôndarràasn pl. (Pellis) 'fiori del tuono' (vedi sopra la spiegazione) ; la Bellati, Tesi 249 ha invece tóndarroaja per il 'Géranium pratense'; a 16 Saur, il generico g'ill vame sant antóni (già esaminato). Nei punti slovenofoni a 6a Lagl. il generico lïl'e, vedi Flet. I, 519 lilja 'die Lilie,' lilje 'Lilien', mentre a 34a Oscc. e 34b Stolv. non abbiamo avuto risposte; intéressante a 46a Prad. modrásave rd/e 'fiori del serpente', cfr. Plet. I, 596 (con allusione ad altre piante). A 67a Cergn. è attestato il generico italianismo g'ïl'o e a 88a Vern. g'ilio svétega ivána 'giglio di san Giovanni' (vedi sopra i nomi friulani). 3. [ASLEF I, 599, Tav. 148] Il Lilium Martagón L., giglio gentile (o giglio di monte, martagone, riccio di dama) è una lüiacea con fiori rosso-vino&i all'interno, con punteggiature scure, alto sino a 1. m., foglioso nel mezzo. Cresce nei boschi e nei prati délia regione montana e subalpina dell'Europa centrale e méridionale oltre che in Asia sino al Caucaso t.- al Giappone. In medicina era usato come emolliente, e la radice veniva impiegata contro le emorroidi (essa possiede anche qualità diuretiche). In Friuli è comune nei boschi submontani e moritani e nei pascoli subalpini e alpini sino a 1900 m. (Cima Val Pratis), Gortani II, 109 (il quale cita i nomi friul. zi di bosc e per la Carnia gràssala de l'or s, rizzbs). 1. L'ALI Q. riporta i nomi di: 34a Oscc. (slov.) ro/a ka smerdy 'fiore che puzza' e 38 prq've salvàrek, cfr. gard. preve de monts e cador. di Vodo prç'es salvarge, Pedrotti-Bertoldi 221 e ALI (materiali inediti); nell'Agordino si ha l'equivalente óapél del preve, Rossi, FPA 113, denominazione tratta dalla ter- 9 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF minologia áell'Evonymus europaeus L. poiché il fiore del martagone asso-miglia nella forma esteriore al frutto della fusaggine. Al P. 46a Prad. stría 'strega' (friul.), nome generico. Sicuramente piü genuine sono le denominazioni raccolte dal Gortani e passate al NPirona. II tipo zi di bosc, bot. bella montanara: Lilium Martagón L. NPirona 1309, si equivale a »giglio di bosco« (per lilium, jilium vedi sopra 2,1; REW 5040) e si allinea ad es. a tipi analoghi quali zei de mont (Brescia), gili de montagna (Cantón Ticino), giglio selvático (Pisa), gil sal-vádegh (Como), ecc. Penzig I, 271. Si noti anche per l'Agordino (Rossi cit.) átsola di mont, Livinallongo átsola mata ("non autentica') gala mata (Cen-cenighe) e ola de montaña (Voltago), cioé »gazzola« = 'giglio rosso' (vedi qui 2, 3) 'montana', ecc. (anche ALI per Gosaldo: ola de montaña). II carniello grássala de l'ors (NPirona 401) ricorda il gia studiato grassala nel senso di 'giglio rosso' (vedi la spiegazione 2, 4). Nomi analoghi sono ripor-tati del resto dal Pedrotti-Bertoldi 85, ad es. grássole Primiero per il Cheno-podium bonus Henricus L., cfr. erbe onte poiché sembrano unte, cfr. fr. dial. grasseline da »grasso« che richiama la nomenclatura del »nasturzio«. La forma rizzos pl. di rizzot (NPirona 889—90) corrisponde con precisione al toscano rizzo della Signora, ricci della s., riccio di dama, riccio madama, forme riportante dal Penzig, loe. cit. e riferite al Lilium chalcedonicum L. Da e r i c i u s (REW 2897, 2) col suffisso -ottu. 2. II ladino occidentale conosce turbáns 'turbanti' (voce di origine oriéntale), accanto a poms cotschens pl. cioé 'mele rosse' (dal lat. coccinus, REW 2008) e martagón (Bezzola-Tonjachen 917), nomi che si rifanno alia tradizione onomasiologica tedesca, cfr. Türken-band e vedi soprattutto Mar-zell II, 1300—1308. Essa risale forse a martagón dal turco martagan 'una specie di turbante', cfr. anche ungh. tórok turban liliom, cioé 'giglio dal turbante turco' [vedi anche Nemnich II, 413]. Nel medesimo concetto rientra verosímilmente anche pindoli cioé 'pendenti' di Tésero, cfr. romeno crin de pádure 'cappelli di bosco', ecc. Borza 99. Comune specie nei dialetti ted. é l'immagine pomo d'oro (con riferimento al bulbo) che risale al mediev. mates aureus dei botanici, cfr. ted. Goldwurzel ecc. Cfr. anche slov. dial, zlati klobuk, zlato jabolko ('cappello d'oro', 'mela d'orto'), Tuma 177. Dalla raccolta inédita dell'ALI a Bulla (Ortisei) sarebbe attestato rost che rappresenta una evidente confusione con la denominazione (di origine preromana) del 'veratro' (da gorost-, basco gorosti 'agrifoglio', Hubschmid, ZRPh. 74, 214). Per il Cadore la Olivo 161 documenta nomi in parte giá esaminati e che si collegano a quelli del »giglio rosso«: prq'dikes salvárege a Cibiana, pr§es da óaval (cioé »da cavallo«, di qualitá inferiore), móneges, pr§'es de óaval nell' Oltrechiusa, prq'es mate, zéi bastardo (giglio bastardo) a Cortina, preve del lof Clupo') a Zoppé. 4. [ASLEF 1,600, carta 122] La Myosotis silvatica Hoffen, Nontiscordardimé, é una borraginea tipica delle praterie umide di tutta Europa, con corolla a lembo piano del diámetro di 5—9mm. di color azzurro intenso. Cresce in 10 Giovar. Battista Pellegrini luoghi erbosi tra cespugli e lungo i ruscelli anche negli alti pascoli; è perenne ed a volte viene coltivata nei giardini. In Friuli è diffusa sino ai 1000 m., specie la M. palustris, mentre la M. pyrenaica, assai rara, sino ai 2300 (M. Cavallo, Canin, Crostis), la M. arvensis sino ai 1300 (Givigliana, Collina, Forni di Sopra), Gortani II, 334 (il quale segnala l'unico nome Non ti scordar di me). 1.Manca una carta in AIS mentre la pianta è considerata in ALI Q. 4836 e Q. 4986 dedieata a Myosotis palustris i cui nomi non divergono sostanzial-mente dalla M. silvatica (ne abbiamo tratto la lista di parole per ASLEP I, 625 che riproduciamo anche qui, alla fine). Myosotis (adottato da Linneo 1737) corrisponde al. gr. miös ota (hoi de miàs otida kalousin) cioè »orecchio di topo« dal gr. mis 'topo' e os-otós 'orec-chio' in Dioscoride. Tale pianta è soprannominata dal medesimo autore anclie alsine [propriamente la »Parietaria lusitanica«, anche in Teofrastc]; miös ota poiché le foglie assomigliano a orecchie di topo («hoi de miös ota tou hómoia éhein filia miös otios»). Plinio (NH 27.23) a proposito délia alsina ci dice »cum prorepit, musculorum aures imitatur foliis«, ved. Marzeil III, 240-51 e Frisk, GEWb I, 79: alsine 'Parietaria lusitanica' da álsos '(heiliger) Hein, geweihte Stätte', e vedi ivi le incerte proposte etimologiche. Altri nomi classici e degli erbari medievali sono ad es.: scorpioides (skorpioeidés già in Dioscoride), mûris aurícula, miosota (IV sec.), gemma, anagallis, oculus Christi, gracila, flos campi, flos agrestis, oculus consulis, alsina minor, pilosella, flore coeruleo, pilosella sylvestris, oculi Sanctae ma-riae, ecc. vedi Rolland VIII, 84. Tali nomi medievali sono chiaramente riflessi in tante denominazioni dialettali di varie regioni europee (e vedi anche qui sotto) ed in particolare è diffusa la motivazione che si fonda su »occhio«. 2. Come osserva il Pedrotti-Bertoldi 248, il nome tanto diffuso (mediante traduzioni e caichi) non-ti-scordar-di-mé è evidentemente di fattura non po-polare. Esso fu preceduto nelle nostre campagne e montagne dal tipo ted. ferghïs e forme analoghe. Secondo il Marzell cit. il nome ted. Vergissmeinnicht sarebbe attestato sin dal sec. XV senza che vi si possa riconoscere un chiaro riferimento botánico. Forse si alludeva, in un primo tempo, soltanto ad un fiore simbolico; l'A. cita a questo proposito il poema Pluemen der tu-gent del poeta sudtirolese Hans Vintler (morto nel 1419) in cui si dice (al v. 8554: »und mit frawen minnieleich sol man reden von claiden reich — und von pluemen vergissmeinnicht«. Nel ms. del sec. XV Bedeutung der Blumen und Blätter si legge: »ein blumelein heisst vergisse myn nit, dem der empohalen wirt, der magk woele frolichs muts sin, der iss von ime selber tregt der wiele (= wolle) sins liebs nit vergessen zu keiner Zeit«. Il M. osserva inoltre che il vergiss mein nit è spesso ricordato unitamente all 'Augentrost (eufrasia) e al Wolgemut (origano) nella poesia amorosa medievale. E'dunque la pianta tipica degli innamorati. Il nome è attestato in francese nella forma ne m'oubliez mye nel 1526 ora ne m'obliez pas, in sp. si ha nomeolvides, ecc. In italiano noniiscordardimé è forse una versione della citata forma tedesca che, 11 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF come Vergissmeinit, è citata dal noto botánico trentino P. A. Mattioli nel 1544. Essa si accompagna al tipo toscano ricordo d'amore oltre che a mio-sotide, centonchio salvatico, vaniglia salvatica, talco céleste, tutti citati dal Penzig I, 307 e vedi DEI IV, 2599 e Prati, VEI 692. Il Marzell cit. ricorda altre immagini poetiche del dominio dialettale te-desco (note del resto altrove) con riferimento al nostro fiore, quali Männer-trei (cioè -treu) del Palatinato (che allude alla fedeltà amorosa), o l'ingl. love-me, catal. perfel amor ecc., oppure je langer je lieber (Senckenberg 1740), Abschiedsblume (St. Wendel) 'fiore del congedo', ecc. Molte di queste immagini riaffiorano nel galloromanzo e sono riportate dal Rolland VIII, 85 quali: herbe du souvenir Orne, fleur du souvenir, oubliettes f. pl. Hollogne-aux-P. (Belgio), aymemoy (fr. ant.), plus-je-te-vois Doubs, Jura, pense à moi Nord. C.—d'Or, fleur d'amoureux P. de-C., amourédétes pl. Larbourt (H.-G), pensée sauvage Orne. Non mancano gli adattamenti délia forma ted. ad es. frëghissimi Doubs ecc., neuch. vergessminette, frb. vergismènit, PEW XVIII, 422. 3. Nell'Italia settentrionale il Penzig riporta ögi de la Madona per Como e öc de la M. per il Canton Ticino. Si tratta di un tipo lessicale che, come ab-biamo detto, riflette il nome degli erbari medievali (oculi Sanctae Mariae ecc.), denominazione ampiamente diffusa nel Trentino (per il Friuli vedi qui sotto) ad es. océti de la Madona Trento, Pergine, Val Lagarina, oci de la Madona Val Vestino, inoltre oceti del bambinelo in Primiero, oceti de Sioredio pl. Centa e fior de la Madona in Rendena. Nomi analoghi compaiono nel" Agordino, riuniti da Rossi, FPA 120-21 uog'e de la Madona a Rocca Pietore, oci de la Madona nell'Agordino centr. e merid.: »per il colore celeste délia corolla e la fauce gialla che puö ricordare l'iride dell'occhio«. Il Bertoldi (cit.), dopo aver elencato le corrispondenze francesi, ad es. uels del boun Dious Aveyr. o iués de l'enfant Jésus prov., zë de la Vardzo (Vergine), jëz de la chénté Vierge Cerr. (Rolland, 1. cit.), annota: »questa perfetta unità nell'idea dovrebbe rendere esitanti ad at tribuiré la denominazione alla fantasia po-polare, anche se mancasse ogni altro documento di indubbia provenienza dotta«. E' da ricordare che gli erbari medievali erano diffusi dai monaci tra i contadini di tante regioni cattoliche. Elenco dai materiali inediti dell'ALI alcune risposte ladine centrali e alto-venete: S. Vigilio Mar. fergís mainniht, Bulla idem, Alba di Fassa fergismainíkt (accanto al tipo italiano), a Mortisa di Cortina d'Ampezzo fior de santa katarina che si ripete a Vodo in kata-rinele (dall'epoca della fioritura: 29 aprile). La Olivo 176-77 per M. palustris e M. arvensis riporta i seguenti nomi, oltre al banale nontiskordardimé dell' Oltrechiusa: fior de S. Caterina a Cortina, katarinéles Vodo e Borca, katarino-les S. Vito, 66i de la Madona Valle e Lozzo, fiore turkine pl. a Zoppè. Anche a Cavalese si nota fiori di Santa Caterina (P. B.) che si accompagna a fiori de Sant'Antoni nella Val di Cembra e vedi Marzell cit. 247-8, § 4. Per il ladino occidentale il Bezzola-Tönjachen 983 riporta chalandrin e il DRG III (1963) sottolinea che essa è forma engad. 'Myosotis palustris' e altre specie ... (viene dal gr. c h a m a e d r y s 'Gamander') e che tale forma 12 Giovar. Battista Pellegrini (importata dall'Italia) calamandrina non indica in origine il nontiscordardimé ma, come in Francia (FEW II, 620 e DEI I, 666), il 'camedrio', 'erba auerciola'. Vedi anche Marzell 242 che cita l'engrad. del Bernina calamandrin (da cha-maedrys) »die ursprüngliche Bezeichnung für Verónica chamaedrys« poi »Mysotis«. 4. La terminología di questa pianta in Friuli puö esser ripartita secondo i seguenti tipi lessicali: 1) Ha preso ormai saldamente piede la denominazione italiana un po' ovun-que »nontiscordardimé« e precisamente, secondo il nostro rilevamento, nei seguenti punti: 2a Coll. nontiskodardimé (anche Pellis), 5 Paul., 9 Pr. Cm., 10a Lud., 11 Comgl., 12 Ravs. nontiskorddr, 22a Vico, 23 Frn. St. (il Pellis ha invece la croce), 24 Amp., 26 Rav. (anche Pellis), 26 Lauc., 31 Tolm., 31a Ilg., 35 Prn., 36a Ints., 37 Cavzz., 41 Trm. Sp. (ma il Pellis ha raccolto ûe de sifila), 41a Chiev., 44a Intrn., 49 Forg., 50 Ospp., 52 Monta., 57a Navar., 64 Art., 65 Magn., 66a Ciser. nontiskorddr, 67 Nim., 68a Racch., 73a Grizzo, 77 Arba, 78 Sequ., 70a Aon., 80a Mels, 86 Faed., 87 Torr., 92a Basld., 93 Spil., 97a Cic., 99 Mor., 100a Ceres., 103a Cern., 105 Civ., 110a Sedr., 113 Mer. (il NPirona 326 cita per Mereto anche floghïs, incrocio tra fergis + flôr, vedi qui sotto), 115 Ud., 118a Ors., 119a Lonz., 121 Vig., 124 Post., 127 Basil., 130a Lumgn., 131 Manz., 138 Gor., 140a Palse nontiskorddr, 146a Lav., 150 Ch. Vsc. nontiskorddr, 155 Farra, 161 S. Vt. T., 187 Mans., 194a Malis., 195 Cerv., 196 Ruda. Anche il NPirona 655 riporta nonti-scordar-di-me bot. Myosotis palustris ... anche florghis; Myosotis pyrenaica... Non rara nei pascoli e luoghi rupestri délia regione subalpina e alpina ... Esiste anche una traduzone friulana: ravuárdati di mè, rieuardate di mè, NPirona 856 e Zorzi 231. L'Ostermann 215, accenna ad una leggenda che spiegherebbe l'origine del nome: »ün giovane annegö nei tentativo di estrarre dalla corrente un fiore di miosotide per la sua donna e da allora il fiorellino fu detto non ti scordar di me«. Altre leggende simili sono del resto raccolte in Rolland VIII, 85—86. 2) Ancora abbastanza diffusa è la denominazione »occhi délia Madonna« o simili, ad es.: 38 Erto úag'e dela madona (anche Pellis), 40 Claut vues (pl.) de la madona (il Pellis ha la croce), 42 Trm. St. voi di madone, 45 Venz, vói di madóne, 48 Vt. d'As, vói de la madóne, oppure soltanto voglis a 60 Pinz.; 109 Rover, oči de madóna (e al P. 108 Bud. fióri de la madona), 112a S. Od. vói di madóne, 144a Zomp. vói di madona, 164a Flum. vói de la madóna, 167a Ialm. voi da madóna, 172 Chns oči de la madóna, 174 Cordv. oči de madona, 175a S. Pao. vói de la madóne, 193 S. Giorg. vói di madóne, 199a Cave S. océti de la madóna, 201a Lug. oči de la madona, 202a Gorgo oči (:océti) de la madona. Tale denominazione è soggetta a varie sostituzioni, ad es. vedi Rolland VIII, 84 oil de loup H.-Saô., èls dé perdi pl. Dord., oelhs d'aouzètt B. P., eûs de colon, eus de bô (qui 'rospo') Vosgi ecc. 3) Aile denominazioni precedenti si accompagna »occhi di rndine« al P. 54 Barc. vuole de sefila, 56a Poff. voli di čifila (anche Pellis), úe de sifila, 75 Fanna vói di sizila. Tale scambio pare típico del friulano (?). Vedi NPirona 13 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF 1047 sisile, cisile ecc. 'rondine' e per l'etimo v. ora A. Zamboni, Sul friul. 'civi-clôc', StMVg. XX (1972), pp. 227-39 in part. 238 nota 58. 4) Si ha pure »occhi di acqua« (forse con allusione alla M. palustris): 162a Str. vói di âge, 176 Varmo vói di âge, accanto a »ñorellini d'acqua«, ad es. 47 Clauz. roíútes di age (il Pellis ha la croce), 189 Ronch. rojútis di a'ge. 5) Si ha pure »occhi di gatto«: 15 Dogna voi di g'at (anche Pellis) tipo del resto toen noto altrove, ad es. cof (fiore) de gat (accanto al tedeschismo fergis) nel Livinallongo (Rossi cit.) e yeux de chat, yeux de chatte in varie parti dell'Est e del Nord-Est délia Francia (Rolland, l. cit.). 6) Più isolato appare 19a Lov. skordarïns pl. (anche Pellis). Rientra ovvia-mente nel tipo lessicale elencato sopra al 1) e cfr. il tosc. ricordo d'amore. 7) Al P. 3 Palzz. aves maries pl. (è il fiore délia Madonna!); cfr. fr. (Mayenne) fleur de la Vierge, fleur de Marie, Nièvre ecc. »on en fait des bouquets pour la chapelle de la Vierge«, Rolland VIII, 84. 8) Al P. 20a Bev. skuetútis da skuéte 'ricotta' (REW 2977 excocta, vedi NPirona 992 scuetútis, bot. garofanini Dianthus plumarius L., e v. specialmente R. De Agostini-L. Di Gallo, Agg. NPirona, zona di Moggio (Udine 1972), p. 27: scuetutis 'non-ti-scordar-di-mé; 51 Gem. skuetute. Vedi NPirona 1382. Tale denominazione è piuttosto generica. 9) 39 Cim. fióurs di santantóne 'fiori di Sant'Antonio', tipo lessicale noto anche in Val di Cembra, dall'epoca délia fioritura. 10) Al P. 67 Nim. peloSéte; denominazione isolata che trova peraltro un sicuro antecedente negli erbari medievali ove figura pilosella (citato). 11) Generico e applicato ad altri fiori è tipo »pensieri«, ad es. 83a Feltt. pinéï'rs, pl., 97a Cic. pinsï'rs pl., 101a Modl. pinsirins, 169a Versa pinsï'rs. Il NPirona 757 cita pinsir bot. 'margheritina doppia, Bellis perennis L. 12) Poética, ma certamente di ámbito assai ristretto, è l'immagine di 107a Mezz. tristésa del pitór 'tristezza del pittore'. 13) Al P. 122 Cordn. verónika non trova precisi riscontri; ma vedi Mar-zell, l. cit. § 4. 14) Al P. 134a Brazz. kukulúte è un derivato di eue, cucù, cucùc (NPirona 205) 'cuculo' e 'rimpiattino', fâ cucùc far capolino, con allusione allo spuntar del fiore(?). Si noti anche eues pl. 'i fiori degli ellebori' (NPirona, l. cit.). La Zorzi 23 ricorda anche grisulùte (NPirona 1382) che deriverebbe dal colore grigio-azzurro delle corolle; inoltre floghïs dal ted. vergiss, cfr. fer-ghïss a Trento e a Treviso ecc. (vedi sopra). 5. Nei punti alloglotti tedeschi a 1 Sapp. il noto vergismanixt e a 3a Tim. vergísminit o nontiskordardimé (cosi anche il Pellis). Anche nei punti sloveni riaffiora il noto tedeschismo: 6a Lagl. fergismainiht e a 7a Ug. fergimeníht o fergis; cosi pure nel Carso a 219 Sgon. feryist e a 223a Zaule fergis. Idéntica motivazione si nota a 34a Oscc. rofeze nejdbime (il Pellis roja ta nefâbime) 'fiorellini nontiscordardimé', ed a 46a Prad. mariene oči che ricalca il noto 14 Giovan Battista Pellegrini tipo »occhi délia Madona«, del resto noto altrove in sloveno, vedi Turna 180 (mačnice očke, mačje oči, očnica...). Per i nomi specifici délia Myosotis palustris (ASLEF I, 625) basti ricordare che il tipo »nontiscordardimé« figura a: 92a Basld., 105 Civ., 122 Cordn., 131 Manz., 162a Str., 164a Flum., 209a Corb. (nontiskordár) e 215 a Pier. A 138 Gor. prevale vergís. 5. [ASLEF I, 606, carta 124] La Pulmonaria officinalis, polmonaria, è una borraginea comune nelle località boscose dell'Europa centrale e boreale, ca-ratterizzata da lamine delle foglie cordate alla base, peloso-ispide nella pagina superiore, macúlate, con íiori di corolla rossa in boccio e poi azzuro-vio-lacea. Cresce in luoghi ombrosi al margine dei boschi, specie di latifoglie presso i ruscelli. Usata nella medicina popolare contro le malattie polmonari, oppure in infuso come emolliente sudorífero. In Friuli è comune nella regione submontana e montana fino a 1300—1500 m. (M. Dauda, Val Bordaglia, M. Talm), mentre è rara nella regione padana, Gortani II, 335-6 (il quale cita i nomi dialettali polmonárie e tabàc sálvadi). Manca una carta nell'AIS ed è considerata in ALI Q. 4846. 1. Secondo il Marzell, Heilpfi. 184-6 pare che la nostra pianta non sia mai ricordata negli scritti degli autori classici ed anche nei primi erbari medie-vali la denom. pulmonaria si riferirebbe in realtà a Stricta pulmonaria Ach. (ted. Lungenflechte) it. lichene polmonario, polmonaria, polmonaria quer-cina (Penzig I, 477). La prima attestazione risalirebbe nella forma ted. Lungenwurz a Hildegard (XII sec.) e nel complesso la P. officinais risulta quasi sconosciuta ai precur-sori délia botanica tedesca. Il Rolland VIII, 78—80, invece cita pulmonaria, palmonaria già nel lat. di Dioscoride ed in lat. mediev. pulmonaria aurea, laterina, pulmonaria, pepanum (Simone da Genova, 1486), lac Sanctae Mariae, pulmonaria maculosa ecc. II tipo lessicale polmonaria o simili ha avuto grande fortuna nelle paríate popolari e il Rolland cita un ampio campionario di testimonanze per il gallo-romanzo, ad es. pulmonnèro, poulmonaire, herbe aux poumons (fr. ant. e mod.), pulmonée, purmon-né Amboise, parmouno f. Var., inoltre fleur de poitrinaire I.-et-V., erbo dé la courado H.-Loire ('corata'), ecc. L'origine precisa del nome è discutibile, ma normalmente si ritiene che le foglie macúlate di chiaro della polmonaria abbiano richiamato nel popolo una somiglianza col polmone, e che codesto sarebbe un típico esempio di »Signatura rerum«, ossia — come osserva il Bertoldi, ap. Pedrotti-Bertoldi 316 — di quella dottrina che nella forma e nel colore dei vegetali vuol trovare un indice per le loro qualità medicinali e venefiche. In questo caso la forma e il colore delle foglie, somiglianti a un polmone, hanno dato origine all'epi-teto polmonaria già nella terminologia erudita, passata poi anche al dominio popolare« (ma il Marzell, op. cit 185,, non crede a tale opinione). Certamente fantastica è la spiegazione di altri botanici (menzionati dal Marzell) secondo la quale i fiori della polmonaria dapprima rossi, poi violetti 15 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF ed in fine blu, avrebbero suggerito un confronto col sangue che passando dal cuore ai polmoni e viceversa assume tali colorazioni. E'comunque assicu-rato che la pianta venne usata (se ne ha attestazione fin dal 1583 e prima) contro i mali di petto ecc. e che i nomi di moite lingue ripetono la motivazione citata, vedi Nemnich II, 1088-89. 2. In italiano il nome polmonaria compare in Mattioli (a. 1544) il quale osserva che tale pianta è »macchiata di alcuni punti che si rassembrano ad un polmone umano«, DEI IV, 3005, anche pulmonaria, voce tratta da pul monarius 'buono per i polmoni' (Vegezio). Il Penzig I, 39, riporta per la Toscana anche borraría selvatica (daburragine) e salvia de Jerusalemme (già all'a. 1660), cui fa riscontro il fr. sauge de Jérusalem o sauge de Bethlem, nomi che richiamano la motivazione délia »Vergine«. Al tipo fondamentale citato si uniformano ad es. in Liguria: erba pulmonaria, pulmonaria, in Pie-monte erba dij polmon, permonaria, in Lombardia polmonera (Brescia) [e aggiungi Arietti 298 erba pulmonera, alta val Trompia, polmonera, pulmo-nera, ivi], nel Veneto erba polmonera (Treviso); il Saccardo 217 ha pure bocalose, cfr. bocale ad es. valsug. bocaléto 'fiore di prato a campanella turchina', Prati, EV 18. In Emilia polmonaria (Reggio) e pulmoneria (Ro-magna); cfr., oltre aile forme francesi citate, il ted. Lungenkraut; romeno reg. pulminarea, plamlnarica, plaminara, plaminarita ecc., Borza' 140 (da plamin 'polmone'). In codesta categoría rientrano altri nomi che designano parti interne del corpo umano vicine ai polmoni (cfr. sopra erbo de la courado!); ad es. lig. fè-gata (San Bernardo), ed è da notare che in molti dialetti (ad es, veneti e ladini) »fegato bianco« si equivale a 'polmone'; forse cfr. anche milzera (Pavia) da milza. Risalgono invece a »latte« o a »Madonna« altre designazioni, non so3 tanto del dominio dialettale italiano. Secondo il Marzell cit. 185, le macchie delle loglie avrebbero suggerito (come indica un trattato di botanica del 1591 »De plantis a Divis Sanctisve nomen habentibus« del medico e botánico Johannes Bauhinus) il vecchio nome già citato di Sanctae Mariae lac; cfr. infatti l'ingl. reg. Lady's Milk Sile 'macchia di latte délia Madonna'. Si cita inoltre la credenza secondo la quale le macchie délia foglia sarebbero state prodotte dalle gocce di latte versate dalla Madonna. Si noti a questo proposito il veneto latarina (Belluno) già attestato nel lat. mediev., il lomb. erba macchiata oppure il lig. sciù (fiore) d'à Madona (Ponti di Nava), erba d'à Madonna (Bardineto), cui si accompagna, con chiara sosti-tuzione, il pan d'u Segnù (Porto Maurizio). Cfr. ad es. ted. dial. Mutterblatt, unser lieben Frauen mïlchkraut e qui si potrebbe sistemare anche il fr. erbo de lo Passiou ('Passione') Gras (Ardèche); vedi per la spiegazione demolo-gica Rolland cit. 80. 3. Una motivazione abbastanza diffusa è pure fornita dall'abitudine di suc-chiare il nettare (miele), staccando le corolle del fiore. Si noti ad es. il romeno reg. mierea ursului 'miele dell'orso' o il ted. Bienenblumen (fiori delle 16 Giovan Battista Pellegrini api), Honigblume (fiore del miele) ecc. Borza 140; cfr. fr. sucé L.-Inf., L.-et-Ch., sucërè m. Indre, suçon M.-et-L. Cher. A questo proposito conviene menzio-nare ad es. le denominazioni dei dialetti agordini quali Livinallongo eue o fior da la miel Colle, Alleghe fiór de miel, Rossi, FPA 138 e Pallabazzer 182, da eue 'succhio' < cucé, cucd 'succhiare' (REW 2452). 4. Altri nomi sono forniti dall'uso delle foglie délia pianta che venivano seccate, fatte fermentare e úsate come tabacco. Da tale consuetudine deriva ad es. il nome romeno reg. tutun de padure 'tabacco di bosco' Borza 140, oppure l'agordino erba regina (Ag. centrale e Taibon), cfr. it. erba délia regina (vecchio nome del tabacco, al pari di 'erba dell'Ambasciatore', ecc.) e vedi qui sotto i nomi friulani. Al ligure amè du cucco fa riscontro ad es. il fr. dial, coucou Borgogna, coucou bleu M.-et-L., Indre-et-L., H.-M., coucou rouge Vosgi, Sarthe, coucou de bois, coucou de loup, Vosgi ecc. oppure il ted. Kukukschuh ('scarpa di cuculo'), denominazioni generiche. Nei dialetti agordini è noto anche galú ros che proviene dalla nomenclatura della Prímula veris L. »alla quale la polmonaria puo somigliare per la struttura del fiore« (Rossi cit.). Per il Trentino il Pedrotti-Bertoldi 315 cita soltanto la voce dotta polmonaria Trento e dintorni, Ala, Rovereto. Anche nel ladino occidentale pare assai diffuso pulmonaria, Bezzola-Tôn-jachen 642. Dai materiali inediti dell'ALI per l'Alto Veneto si ha soltanto a Gosaldo erba de la taka (che allude evidentemente alie macchie) cfr. fr. dial, tachée Guilly, Indre e per Belluno: altea che propriamente sarebbe ¡'equivalente di altea (1415 B. Rinio) dal lat. althaea (Plinio), di origine greca, una specie di malva, DEI I, 144. 5. I nomi friulani della polmonaria si possono raggruppare secondo i se-guenti tipi lessicali fondamentali: 1) »polmonaria«, di origine dotta e cioè: 2a Coll. polmonario (con -a > -o), 3 Palzz. polmonárie, 15 Dogna polmondrie (anche Pellis), 18 Sutr. polmonárie, inoltre forme analoghe a 19 Arta, 26 Rav. (ma il Pellis ha la croce), 28 Lauc., 30 Zugl., 31 Tolm., 35 Prn., 37 Cavzz., 45 Venz., 49 Forg., 51 Gem., 52 Montn., 60 Pinz., 64 Art., 65 Magn., 66a Ciser., 67 Nim., 79a Aon., 101a Modl., 105 Civ. (anche Rieppi 44 ha polmonaria), 118a Ors. pálmondrie, 119a Lonz. polmonaria. II NPirona 792 registra »polmonárie bot. 'polmonaria' Polmonaria officinalis L... anche tabac salvadi e jarbe polmonárie polmonaria arbórea e quercina Stricta pulmonaria Ach... entrambe queste specie si usavano in decotto contro la tisi«. 2) »tabacco selvático« per l'uso succitato: 5 Paul, tabák salvddi, 9 Pr. Carn. tabák salvddi, 10a Lud., 11 Comgl., 12 Ravs., 19a Lov. tabák çalvddi (anche Pellis), 36a Intss., 122 Cordn. tabák salvádi (ivi equivale anche a 'stramonio' E. R. Appi, Agg. NPirona, zona Cordenons, Udine 1967, 19: »tabac salvari... Nella cura contro l'asma se ne fumvaano le foglie«). 2 — Lingüistica 17 Commenti a nomi friulani di piante raooolti nell'ASLEF 3) Al P. 20a Bev. zips pl. che sta di certo con 23 Frn. St. zups pl. (ma il Pellis ha la croce), 24 Amp. zups pl., 48 Vt. d'As. zupes pl., 73a Grizzo sips pl., 79a Cic. sups pl., 100a Ceres. sups pl., 127 Basil. supes pl., 131 Manz. cupélis, zupélis. Deriva certamente dal verbo zupá (deverbale) 'succhiare', anche ciada, ma »zupá indica aspirare un liquido con qualunque mezzo ..., a Barcis suzzá o supá«. Dall'abitudine dei fanciulli di succhiare il nettare (vedi sopra). 4) Sono generiche le seguenti denominazioni (con riscontri sopra segna-lati): 17 Ovr. skarpa da madona, 39 Cim. fiori de la madona, 56a Poff. rofa de la madona (anche Pellis) 'fiore della Madonna', 68a Racch. arbe de la madone, 87 Torr. skarputis de madona, 107 Mezz. flor de la madona (il Pellis ha la croce). 5) Al P. 38 Erto erba de moskón (il Pellis ha la croce), 54 Barc. flour dal mosk'ón; tale nome trova un parallelo ad es. nel ted. Bienenblumen 'fiore delle api' per il nettare delle corolle. 6) »urtica selvatica«: 45 Venz. urtíe salvadle, 83a Feltt. urtíe salvadle, 115 Ud. urtís salvádis pl., 130a Lumgn. urtíe salvádie (non é molto chiaro il ri-chiamo all'urtica). 7) Generico (o errato) é al P. 75 Fanna kampanélis pl. 'campanelle' 8) Forse denunucia una curiosa confusione con la miosotide la risposta del P. 86 Fard. voi di sijíle 'occhi di rondine'(?). 6. Nei punti alloglotti tedeschi a 1 Sapp. lúnglkhráut denuncia le ben nota motivazione e la Hornung 306 sotto Lungelkraut osserva che la pianta é usata specialmente per il bestiame. A 3a Tim. e a 16 Saur. si hanno nomi semasiológicamente identici a quelli carnici cioé bílder tóbak-tabdk salvddi (anche il Pellis) 'tabacco selvático'. Nei punti slovenofoni a 7a Ug. pliúóñak allude al 'polmone', Plet. II, 61 pljucnik 'das Lungenkraut'; a 46a Prad. pal-monária e 67a palmondrie dal friualno. A 34a Osee, il Pellis ha raccolto roja simblásta che non riesco a comprendere. Anche il Turna 185 cita plucnica, pljuónik, accanto a srcica (cfr. il citato corata!). L'Ostermann 174-5 informa sull'uso della Polmonaria contro le malattie polmonari e della Polmonaria arbórea aggiunge che »si raccomandava una volta dai medici nelle tossi, nell'emottisi ed in altre malattie...«. 6. [ASLEF I, 604, Tav. 148] II musco da spazzole, Poly(s)trichum commune, é la nota pianta delle embriofite che vive nei luoghi umidi, sui tronchi, sulle rocce; se ne conoscono varié specie. E'denominata anche borraccina ecc. L'AIS 620 dedica una carta al musco (muschio) = Moos, Mousse e cosi puré l'ALI Q. 4842. Si veda anche Q. 4834 Lyeopodium clavatum 'musco cla-vato' (musco terrestre), domanda abbandonata. 1. Le risposte dell'ALI e dell'AIS per il Friuli derivano indistintamente da müsculu 'Moos', REW 5771, ove sono sistemati rum. muschiu, it. muschio, friul. muskli, engad. müsel, gard. mustl e alban. musk; vedi anche DEI IV, 2534 muschio (.musco XVI sec.) e come lemma autónomo musco derivato dal lat. mus cus (attestato fin da Catone, mentre il REW 5774 da inoppor- 1.8 Giovan Battista PeUegrinx tunamente mu s cu s con l'asterisco e cita i derivati it. sp. musco, sp. pg. musgo, log. nusku, piem. nüsk con n- di nusnuskà, REW 6009, nux, nuce). Il lat. m u s c u s è affine all'a. a. ted. mos 'Moos', lit. musai... da m u s - k o s < m eu-s (cfr. mustus), derivati di* meu - 'umido', Walde-Hofmann II, 134. Ecco le attestazioni e le varianti friulane: 2 Frn. Av. múskli, 2a Coll. múskli, 3a Tim. múskli, e forme analoghe a 9a Pes., 15 Dogna, 19b Ced., 20 Mogg. 23 Frn. St. muškli, 38 Erto múskol, 40 Claut múskal, 42 Trm. St. múskli, 56a Poff. múskli, 83 Trie, muškli, 91 Avi. múskle, 112a S. Od. múskli, 189 Ronch. mušču, 196 Ruda muskli e músco (ove la prima forma è di elaborazione friulana e la seconda veneta), 209 S. St. músco. NPirona 634 cita »museli bot. muschio nome com. a un'intera classe di crittogame cellulari che nascono sulle pietre, sui tronchi degli alberi, sul terreno erboso, ombreggiato, nei paduli e simili... cosï chiamasi muscli la borraccina: Mnium undulatum L. che a Gorizia direbbesi anche stilàt. Pure nel goriziano sarebbe e sarebbe stata in uso la forma mussul = muscli. Come designazione del lichene si ha muscli zâl c'al sta sui arbui... anche rose di muscli, mus'do ... Inoltre a Barcis muscle e mus'çio bot. muschio de' sodi: Erodium moscatum coltivato negli orti e talvolta inselvatichito, fino alla bassa regione montana..anche ranuncolino muschiato: Adoxa Moschatellina L. abbastanza frequente nelle siepi e nei luoghi selvatici delle regioni submontana, montana e subalpina (Gortani)...«. 2. Nei punti alloglotti ted. a 3a Tim. míes si equivale al m. a. ted. mies 'Moos' (Kluge-Mitzka 486); in sloveno al P. 34a Oscc. ta rofa Smôhen è il fiore muschio, cfr. slov. zmehčati 'weich machen', Plet. II, 928 e slov. meh, mah 'das Moos', ivi I, 565. Análogamente al P. 46a Prad. max (slov. mehek 'weich'), mehen, mehenj 'das Moos' Plet. 565. La Zorzi 36 riporta solo mus'cio 'ranuncolino muschiato' e vedi Rolland VI, 215. 3. Anche nel ladino centrale e nell'Alto Veneto si continua quasi esclusiva-mente müsculus, ad es. nel Livinallongo muskle, Tagliavini, DLiv. 221, comel. musču, Tagliavini, NCCom. 165 e pure nei dial, agord. musée Colle, Laste, múskol Ag. centrale e Ag. méridionale musco, Rossi, FPA 120. Dalí' AIS e ALI (inédito) si ricavano le seguenti attestazioni: 305 San Vigilio Mar. müstl, 307 Padola al mušču, 311 Castelfondo muščo, 312 Selva Gardena l mustl, 313 Penia di Fassa el múskye, 314 Colfosco müstl, 315 Arabba el múskye, 316 Zuel di Cortina muščo, 317 Pozzale musco, 323 Predazzo musco, 325 Cence-nighe múskol, 334 Canal S. Bovo l musčo; Vodo di Cadore musco da spa tes ('da spazzole'), Ronco di Primiero musčo, Belluno musco da sas, Laggio di Cadore musčo ecc. Nel ladino occidentale secondo il Bezzola-Tônjachen 672 si ha pure müs-chel e dall'AIS si ricavano per tale dominio le seguenti varianti: 1 Brigels il mé-skél, 3 Pitasch il méskal, 3 Ems-Domat il méskal, 10 Camischolas al méskal ecc., ma non manca: 9 Remüs il múscal, 19 Zemez il mûsëal, 28 Zuoz al mú-sčal e vi figura anche il tipo prevalentemente piemontese la muffa (35 Bivio). 19 Comraenti a nomi íriulani di piante racoolti nell'ASLEF 4. Per l'Italia settentrionale cito una esemplificazione dall'AIS: 114 Cep-pomorelli NO mósc, 115 Antronapiana NO ul mise, 107 Trasquera NO ul mise, 118 Malesco NO le misce, 128 Nonio NO al muse; anche in Liguria 187 Zoagli GE u müsco e 179 Rovegno GE nüsku (con ñ-, vedi qui sopra). Cosi puré la Lombardia che si attiene fondamentalmente a müsculus: 216 Lanzada SO miisc, 218 Grosio SO m.usc, 229 Sonico BS müskul e vedi anche 238 Borno BS mískun (variante fonética) accanto a 347 Monasterolo BG móhkel. Dominante é il nostro tipo anche nel Trentino e nel Veneto ad es. 310 Piazzola Rabbi TN müsxyel, 320 Pejo TN musco, 330 Mortaso TN al musklo, 331 Stenico TN musco, 341 Tiarno di Sotto TN musco, 340 Roncone TN múskol, 343 Volano TN musco; 372 Raldon VR musco, 381 Cerea VR mosco ecc. (anche in Istria musco). 5. Non mancano peraltro nella Cisalpina altri tipi lessicali dei quali faccio qui breve menzione; ad es. »muffa« (REW 5713 muí f > sp. moho 'Schimmel', 'Moos') noto in Val d'Aosta e in Piemonte ad es.: 121 Rhémes-St. Georges la muffa, 122 Saint-Marcel la mofa, 123 Brusson a moffa, 133 Vico Canavese TO la muffa, 156 Castelnuovo d'Asti AT mufa, 152 Pramollo TO e in Liguria: 184 Calizzano SV a mufa, 190 Airóle IM a mufa con continuazioni anche in Lombardia: 222 Germasino CO la muho, 225 Mello SO la mufa ecc. Piü comune (ed in parte anche in Piemonte) in questa regione é il tipo »tappa«, »teppa«, ad es. 139 Galliate NO a topa, 149 Desana VC tapa e soprattutto 263 Rivolta d'Adda CR la tepa, 243 Canzo CO la tepa, 252 Monza MI la t$'pa, 273 Bere-guardo PV la tapa, 271 Vigevano PV ra tepa, 270 Cozzo PV la tappa ecc., si veda per la spiegazione REW 8731,2 tippa 'zolla' (onde il cal. tipa, corso teppa, abr. teppa, piem. crem., mant. tepa, pav. tepa 'muschio'); vedi DEI V 3756 teppa dial. bot. borracina, voce attestata soprattutto in Lomb. ed Emilia... da una base *t i p p a , relitto del sostrato con cui anche il corso teppa masso, balza, sic. tippu erta, poggetto, balza'. 6. Meno diffuso é cu tic a (REW 2429), ad es. 199 Castelnuovo di Magra a kódega, oppure burra (REW 1411,2): 193 Borgomanero IM a hura accanto al piü generico barba che domina nei dialetti emiliani specie attraverso derivati quali 443 Tizzano barbazéyna, 453 Sologno RE barbuza, 456 Bologna la barbis, 444 Albinea RE una barbiza. Al P. 254 Martinengo BG la ranina, 244 Sant'Omofaono BG u rrani che forse hanno un rapporto con 467 Dozza BO erba madreyna, 459 Ravenna erba madrenaC?). 7. Nel Veneto al P. 435 Vas (BL) figura lopa cfr. it. loppa (DEI III, 2269 da luppa di origine oscura, propriamente 'pula' 'lolla') e al P. 346 Tarzo TV senisco (piü propriamente con l'interdentale nel rustico!) che trova corri-spondenza al P. 336 Ponte nele Alpi BL funiskol (con /- da#-) forse da cini • sculum, der. di cinis (REW 1929 cinis), vedi Rossi, FPA 70 che cita tsinisco, Senisco nel senso di Chenopodium álbum L., farinello. Isolato é il P. 354 Romano VI peü o verosimilmente da pilu ('peluccio'?). Nel complesso si pu6 affermare che l'Italia Nord-orientale é solidale nella continuazione di musculu, voce che abbracia varié aree alpine e cisalpine e che domina in Friuli. 20 Giovar. Battista Pellegrini 7. [ASLEP I, 605, Tav. 148] L'occhio di civetta, Primula eíatior (o Prímula acaulis L.) é una primulacea con corolla color giallo-solfino e cálice verde. Frequente nei prati umidi e in luoghi erboso-sassosi e ombreggiati. Non é menzionata nel Gortani II, 317-20. I nomi friulani raccolti dal Pellis per l'ALI Q. 2845 (domanda abbando-nata) sono assai generici e limitati: 9a Pes. g'ilútis pl. cioé i noti »galletti« che indicano varié piante; 34a Osee, (slov.) dobie pyskaliza cioé slov. piskalica 'die Pfeife' e 'die Schlüsselblume' (Primula acaulis), Plet. II, 41 e slov. dobelj, doblja 'fähig, tauglich', Plet. I, 143: »la primula buona«. Al P. 38 Erto nine dale pl. 'fiorellini gialli'. Secondo il Penzig I, 381 i nomi friulani della Primula elatior Hill, si corri-spondonio a quelli della Primula acaulis L. e cioé pestelacch, pestelacie, pe-stelazz o primavere; vedi anche NPirona 738 s. v. pesteläc e per l'illustrazione oltre che alle note della Zorzi 283, rinvio soprattutto alla trattazione dello Zam-boni sotto »primavera«. Per la Lombardia il Penzig cit. riporta il generico primavera di montagna (Como) e per il Veneto aurícula (??) o primula (Verona); per la Liguria trombette (S. Olcese) e per la Toscana, oltre a »occhi di civetta«, primavera, primavera maggiore e primulevere (dotto!). 8. ASLEF I, 611, Tav. 148 La consolida tuberosa, Symphytum tuberosum, é una borraginacea frequente nei boschi, siepi e luoghi selvatici, ombrosi della regione submontana e montana ed anche nei pascoli subalpini e alpini sino a 1700—1850 m. (Cullar, Germula), Gortani II, 337 (il quäle non cita alcun nome friulano). Secondo i materiali raccolti dal Pellis per l'ALI Q. 4854 i nomi friulani sa-rebbero i seguenti: 19a Lov. tálpe di galine, cioé 'zampa di gallina', cfr. NPirona 1168 talpe 'zampa', cfr. DEI V 3705 talpa dial, 'ceppaia', v ven. e friul., comel. talpa 'zampa', triest. talpa 'piedaccio, ciotola' ecc. che si continua nel s. cr. talpa 'tavolone, pancone', rom. talpa 'suola' ecc. da una base (prerom.) talpa di origine sconosciuta. Vedi a questo proposito anche J. Hubschmid, Friaulische Wörter aus Collina, VRom. 12(1951-52), 239-41 (con ampia riunione di parole ritenute affini e di origine preromana). Al P. 34a Osee, ta tráva J'a to slömiano é forma slovena. Al P. 56a Poff. rofa da suc 'fiore da sugo'(?) o da 'succhiare' é di certo denominazione generica. La Zorzi commenta anche i nomi friul. del Symphytum officinale L. consolida maggiore: confiérvie, concuardie, confiarvie (Gortani, II, 337), derivati da confervia, REW 2131, cfr. conjerva in Dioscoride latino e in Plinio e vedi Rolland VIII, 73 confierge nel vallone del sec. XV (pare che vi si possa collegare anche kon erla raccolto dal Pellis per l'inetido ALI a Gosaldo BL per la 'consolida tuberisa'). Per concuardie, cfr. concordia (Lat. mediev.), REW 2117 (ma si tratterä di paraetimologia). Vedi FEW -i1 1030 conferva 'Schwarzwurz', cfr. a. fr. cumfirie 'consoude' (ca. 1250), confire (ca. 1320), alütt, confirie (XIV sec.) ecc. E' da notare che nel Trentino (Pedrotti-Bertoldi 393-4) si dice erba per i pioäi Trento e dintorni, oppure erba dei zimesi Villazzano; dalla credenza che 21 Giovan Battista Pellegrini »una íoglia di consolida maggiore in un letto infestato dalle cimici, queste corrano tutte sopra senza partirsene piü«. 9. Giunti al termine delle singóle illustrazioni di una breve sezione dell' ASLEF I, che comprende otto piante (ripartite in carte o in liste di parole), conviene esporre alcune considerazioni generali su alcuni problemi. Per quanto concerne l'etimologia e la storia delle parole é da sottolineare innanzi tutto la fortuna goduta da »stella alpina« (1), per Leontopodium Al pium, che dalle nostre regioni montuose del Trentino, del Bellunese e verosímilmente anche della Carnia, ha preso stabile cittadinanza nella lingua na-zionale a partiré dalla fine del secolo scorso; tale forma ha soppiantato (ma non interamente nei dialetti) il tedeschismo, di ampia circolazione, édelvais (o altri tipi ormai fuori dell'uso); pare che il lad. occid. alveterna sia una creazione relativamente recente al pari di steilalva da a 1 b u s. Gode di una certa popolarita in Friuli anche il tipo »semprevivo«, ormai oscurato da ste-lútis (alpinis) la cui fortuna é di certo connessa alia nota canzone dello Zar-dini. Tra i nomi del »giglio rosso« (2), oltre al lad. occid. fanzogna, fanzegna, cioé traslato vezzeggiativo da in f a n t i o n e (al pari del friul. nina 'bambina', poi anche 'fiorellino'), merita particolare attenzione gazzola, ázzola e varianti per il quale il Bertoldi non aveva indicata alcuna soluzione; é parso probabile, attraverso il confronto con analoghe forme dei dialetti tedeschi della Svizzera, una derivazione dall'a. t. ted agaz a 'gazza'. Piü discutibile é invece l'etimo del friul. grassala per il quale la spiegazione da 'grasso' non pare interamente plausibile. La fortuna di pulmonaria anche nei dialetti (per via semi-dotta) e degli equivalenti semantici (5) é sicuramente collegata ai nomi degli erbari medievali e alie credenze che sono circolate circa le virtii terapeutiche della pianta. Per la conservazione di forme antiche si noti, inoltre, a proposito della »consolida« (8), i nomi derivati dal prerom. talpa 'zampa' e dal lat. confervia (alterato, per paraetimologia, in vari modi). Quanto alia delimitazione di aree fitonimiche particolari, i nostri materiali non offrono molti spunti. Da rilevare l'enorme espansione di alcuni modelli, ad es. del tipo »nontiscordardimé« che pare nato in Germania ed in ambienti letterari o comunque di scrittori (4); ma a tale denominazione si accom-pagnano altre di diffusione europea quali »occhi della Madonna« che ha dato luogo ad ampie proliferazioni con varié sostituzioni (pare tipica del Friuli(?), ad es., — 'di rondine' o'di gatto', ecc.). Anche la »polmonaria« (5) offre una serie di immagini di amplissima diffusione europea, spesso banali (quali 'scar-pette della Madonna') o con reale aggancio all'uso della pianta, si veda ad es. il tipo »tabacco selvático«. Per il »musco da spazzole« (5) domina invece quasi sovrano nei Friuli e nella Cisalpina il lat. musculu da muscus (affine al ted. Moos); ma non mancano altri nomi che si rifanno a muffa o a zolla (*tippa), acutica,abarba ecc. Poco ci dice la nomenclatura fitonimica sopra esaminata circa i problemi lessicali del »retoromanzo«; nulla di particolare infatti abbiamo rilevato a proposito di tipiche convergenze delle tre aree, a meno che esse non concor- 22 Commenti a nomi friulani di piante raccolti nell'ASLEF diño con la Cisalpina. Non sto qui a rilevare le numeróse coincidenze (pre-stiti o caichi) con i nomi alloglotti tedeschi e sloveni poiché il problema non puó qui discutersi soltanto nell'ambito della regione friulana, dato che le note immagini si ripetono in domini linguistici assai lontani tra di loro. NOTE * Con ASLEF intendo Atlante storico-linguistico-etnografico, friulano da me di-retto (redattore capo Giovanni Prau) di cui sono usciti finora due columi cartografici (Padova-Udine 1972 e 1975) e la mia Introduzione alVASLEF (Padova-Udine 1975). Tale opera sará ampiamente commentata per mezzo di studi monografici gia in corso di elaborazione e di allestimento da parte mia e dei miei collaboratori (si prevedono sei volumi di Atlante e circa 25 volumi illustrativi). L'articolo qui pubbli-cato ía seguito ad altri analoghi usciti in varié sedi o in corso di pubblicazione; vedi intanto G. B. Pellegrini e A. Zamboni, Commenti a nomi friulani di piante raccolti nell'ASLEF I. apparso in »Studi linguistici friulani« (da me diretti), vol. IV (1974), pp. 9—56. Per i commenti giá editi o sotto stampa, v. ivi pp. 6—7. Le sigle e le abbre-viazioni qui utilizzate sono spiegate nella mia Introduzione cit. pp. 249—260, e vedi anche SLF IV (1974), pp. 9—10 (altre abbreviazioni sono inoltre fácilmente intelle-gibili alio specialista). Nei Commenti da me pubblicati, che saranno poi riuniti e perfezionati in un volume onomasiologico dedicato alie piante di monte del Friuli (e, da parte di A. Zamboni, alie piante di pianura), do sempre un abbozzo delle princi-pali denominazioni diffuse nell 'Italia settentrionale e nelle sezioni ladine, per soffer-marmi piü diffusamente su quelle friulane da noi raccolte, o ricavate áail'Altante lingüístico italiano (inédito), dall'AIS e da altre fonti. Si tenga presente che le parole sono citate, di norma, secondo la grafía delle fonti; per gli Atlanti abbiamo invece operato varié semplificazioni, resesi necessarie a causa delle difficoltá tipografiche. POVZETEK TOLMAČENJA IN PRIPOMBE K FURLANSKIM IMENOM ZA RASTLINE, ZBRANIM V FURLANSKEM JEZIKOVNO-ETNOGRAFSKEM ZGODOVINSKEM ATLASU Avtor pretresa podatke, ki jih je dalo nabiranje za ASLEF (Furlanski jezikoslovno-etnografski zgodovinski atlas), in sicer za tele rastline: LEONTOPODIUM ALPIUM planika LILIUM BULBIFERUM brstična lilija LILIUM MARTAGON zlati klobuk MYOSOTIS SILVATICA gozdna spominčica PULMONARIA OFFICINALIS navadni pljučnik POLYTRICHUM COMMUNE navadni lasasti kapičar PRIMULA ELATIOR, PRIMULA ACAULIS visoki jeglič, trobentica SYMPHYTUM TUBEROSUM gomozljasti gabez Najbolj je bogato izrazoslovje za planiko: italijanski izraz stella alpina, literarna skovanka, se zadnjih sto let vriva na mesto splošno razširjenega dialektalnega nem-cizma »Edelweiss« v raznih govornih variantah. Furlanija pozna tudi razne pomanj-ševalnice za 'zvezdo', tako stelutis; semprevivo 'vedno živ' pa predstavlja seveda manj specificirano oznako. Zanimivo sfero predstavljajo imena za zdravilna zelišča, kot na pr. lat. PULMONARIA, slov. pljučnik. Izrazi so gotovo iz srednjeveških latinskih herbarijev zaradi verovanj v čudodelno moč rastlin. Gotovo neljudsko po svojem izviru, a splošno znano in uporabljano je ime za 'spominčico': nontiscordardime, za katero je več ko 23 Giovan Battista Pellegrini verjetno, da je začelo svojo pot v (nemškem ali avstrijskem) literarnem ambientu, pri pisateljih. Za italijanščino je izraz seveda kalk iz nemščine. Avtor vsepovsodi navaja tudi slovenska imena za teh osem rastlin; ASLEF ima raziskave v slovenščini zapisane v Dipalji vasi, Ovčji vesi, Ukvah, žabniei, Osojanah, Solbici, Gornji Cerneji, Dolenjem Barnasu in v Zgoniku na Krasu. Avtorjev tokratni prispevek je nadaljevanje tistega, kar je bil začel v XII. letniku revije, kjer je ASLEF, katerega urednik je, predstavil in pojasnil osnovna izhodišča pri zbiranju gradiva. 24 Milan Grošelj Ljubljana CDU 808.63-316.31 DVE TRUBARJEVI BESEDI Ramovš, Zbrano delo I (1971), 10 s. omenja kot temni besedi pri Trubarju Iuog »vodnik« in baretica. Prva se dobi na naslednjih mestih: obtu ta postaua inu te Sapouidi bodo od S. Paula prou imenouane PAEDAGOGUS. Gal. 3. tuie en Otrocy Iuog, vodez oli Otrocy Schulmoister, Sakai te Sapuuidi nas vodio le HCristusu: Cat. iz 15551.: G 8a. — Pustite ie, oni so slepi, inu tih slepzou Iuogi, T 57: 44 pri Mat. XV, 14; v T 82 pa beremo istotam: Pustite ie, oni so slipi, inu teh slepzov vodci, str. 63. — Ve uom slepim Iuogom... T 57: 69 pri Mat. XXIII, 16. Z besedo Iuog tolmači Trubar gr.-lat. besedo paedagogus. To je bil suženj, ki je sam ali še z drugimi sužnji (Horac, Serm. I 6, 78 omenja servos sequen-tis) vodil otroka v šolo in domov. Bil je njegov vodnik in spremljevalec oz. spremstvo. Beseda se je pa rabila tudi v prenesenem pomenu o nekom, ki je drugemu vedno za petami. Tako imenuje Plutarh, Fabij 5, rimskega diktatorja Fabija Kunktatorja Hanibalovega pedagoga, »ker mu je vedno sledil, bil za petami« (Liddell-Scott, Greek-English Lex. s. v. paidagogos), ni se pa dal zaplesti v odločilni boj. Spremstvo se pa nemško imenuje Gefolge, iz česar je Iuog, t. j. ivog (s poudarkom na -o-): ge- (starejše gi-) > (j)i-, glede -folge prim. (u)bogati; -v- je bliže nemškemu -/- kot -b-. Pojma voditi in slediti sta zamenljiva tako kot voditi in gnati, gl. Buck, Diet. of Selected Synonyms 711. Besedo baretica rabi Trubar na sledečem mestu: Satu she sdai ty Nemci na nega gud (t. j. sv. Miklavž) tim otrokom na vezher, pod nih skledice oli baretice lizhkako Iegrazho polagaio, inu te Otroke pregouore, tu ie nim S. Niklaush dal, CII: 283. »Temna beseda«, ki jo Ramovš tolmači z vprašajem kot »skledica«: očividno je mislil, da gre za sinonim. Toda Trubar je po m. mn. mislil na drugo možnost, kam dati darilo: pod skledico ali čepico, it. berretta. ZUSAMMENFASSUNG ZWEI WÖRTER TRUBARS In den Schriften des slow. Reformators Trubar kommen zwei ungedeutete Wörter vor: Iuog »Paedagogus, Führer« und baretica, angeblich »Schale«. Das erste wird aus dem d. Gefolge abgeleitet, das andere als »Mütze« (it. berretta) gedeutet. 25 Bojan čop Ljubljana CDU 809.198.6-541.44 DAS TOCHARISCHE PERSONALPRONOMEN SUFFIXUM B -me, A -m UND SEIN URSPRUNG § 1. Da alle indogermanischen Sprachen enklitische Pronomina personalia kennen, ist es nicht verwunderlich, dass solche auch i m T o -charischen auftreten. Vgl. zu beiden Dialekten zugleich bei Krause-Thomas, Toch. El. I 162f. und für A bei Schulze-Sieg-Siegling 166 § 274. Aber einen seltsamen Eindruck macht die Tatsache, dass als einklitisches Personale für alle drei Personen des Plural ein einheitliches Elementdient,inB -me, i n A -m. a) für die 1. P. Plural: B yes... waste seyöer=me »ihr wart uns Schutz«; in A z. B. pas = 3m ¿wätsi »gib uns zu essen!«; b) für die 2. P. Plural: in B z B. post3n wes ynem—me »wir werden euch nachgehen«; in A z. B. kucne s3m wens—dm »was er euch sagen wird«; c) für die 3. P. Plural: in B z. B. panikte... kakä=me wenä=me& »Buddha... rief sie und sagte zu ihnen«; in A poncds kosa=m »er tötete sie alle«. Was die syntaktische Funktion angeht, können beide Formen entweder als Objekt (=Akk. PI.) oder in anderer Kasusfunktion (sehr oft = Dat. PI.) dienen, auch sekundäre Kasusaffixe können angefügt werden, so das Allati-vaffix in c) B -me-i. § 2. Man hat mehrere Versuche gemacht, um das Licht über den Ursprung dieses eigenartigen Pronominalenklitikons zu verbreiten. Van Windekens, Lex. 60 will unser -me, A -m in allen Personen gleichmassig auf ein idg. m-Pronomen zurückführen, das er in gr. md = Beteuerungspartikel »wahrlich« (vgl. Frisk, Gr. EW. II 154) und im Enklitikon ai. -am in ah-dm usw., id-äm wiederzufinden glaubt. Nach ihm kann es einst nur in öiner Person gedient haben, nachher aber durch Analogie in alle drei verbreitet worden sein. Jedenfalls ist solche Erklärung wenig annehmbar. Gäbe es keinen ganz mechanischen (= lautphysiologischen) Grund für den Zusammenfall aller drei Personen, wäre der Unterschied zwischen ihnen erhalten geblieben, da psychologisch zu wichtig. Auch kann man mit idg. Partikel *-e/öm (lat. id-em) kaum rechnen, da von vornherein undeklinierbar (vgl. zum Ursprung bei Cop, Indouralica I 23—25), während bei unseren Enklitika doch wohl einst Kasusendungen dastanden. 27 Das tocharische Personalpronomen Suffixum Die oben angezeigte Erklärung hat van Windekens, Morph. 188 wiederholt; für die vermutete Analogie führt er diesmal das reflexive Pronomen A sni, B San als Muster an, was jedenfalls wenig zutrifft, da das letztere schon indogermanisch für alle drei Personen diente, ferner es psychologisch etwas ganz anderes ist als die die Personen unterscheidenden Pronomina der 1., 2. und 3. Person. Pedersen, Toch. 138—139 vermutet in B -me = A -m ein Adverbium, das etwa »dazwischen, darunter, inmitten« bedeutet haben sollte. Er führt ein konkretes Element mit dieser Bedeutung zwar nicht an, man fragt sich jedoch, warum nicht idg. Adverbialstamm 'Tue- bei Pokorny 702f. (+ ' 77icd.fijos »mittlerer«, ibd. 706f.) dazu passen würde. Doch auch die Pedersenche Ansicht kann kaum gutgeheissen werden, trotz it. ci »uns«, vi »euch«, da, wie man sofort sieht, trotz der sekundären Entstehung der letztgenannten Pronomina aus Adverbien, ihre Distinktivität intakt geblieben ist. Das Problem des Ursprunges unseres Enklitikons ist also noch nicht gelöst. § 3. Da jede Zurückführung auf nichtpersonalpronominale indogermanische Elemente gescheitert ist, muss man zur natürlichsten Voraussetzug zurückkehren, d. h. versuchen, ob in B -me = A -m echte Personalpronomina nachgewiesen werden können. Mit den aus der Ursprache bekannten enklitischen Personalpronomina der 1. und 2. P. PI. kann man freilich nichts anfangen; nach Brugmann, Grdr? II 2, 408f. lauteten sie (für den Akk., Gen. und Dat.): a) 1. P. PI. *ne/es, "no/ös, ~n0s (mit silbischem Nasal, d. uns); b) 2. P. PI. "we/es, Hoo/ös, *us. Es ist sonnenklar, dass jede Verbindung dieser Formen mit unserem -me, -m lautlich unmöglich ist. Grundsätzlich darf man bei einer so späten Sprache wie das Tocharische auch mit anderer Kategorie der Personalpronomina als den enklitischen rechnen, d. h. auch mit vollbetonten Formen, die selbständig ausser Gebrauch geraten zu Enklitika herabgesunken sein können. Vgl. das parallele Verschwinden der enklitischen Personalpronomina im Russischen, Vondräk-Grü-nenthal, Vgl. sl. Gr.2 II 567 usw. Sogar notwendig ist diese Annahme für die 3. P. PI. der Personalpronomina, da hier nur noch einige enklitische Formen für den Singular vorhanden sind (vgl. Brugmann, Grdr.2 II 2, 390), sonst einfach vollentwickelte Kasusformen verschiedener Demonstrativa dafür eingesetzt worden sind (s. Brugmann 390L). Das B -me - A -m der 3. P. PI. kann also auf keiner schon ursprachlichen enklitischen Form beruhen. Das Zurückgreifen auf einstige vollbetonte Formen der idg. Personalpronomina erleichtert und erschwert uns zugleich die bekannte Eigenschaft der Enklitika, dass sie manchmal sehr starken phonetischen Veränderungen, vor allem Reduktionen ausgesetzt sind. Dieser Umstand erleichtert uns das Suchen nach ursprachlichen Quellen für das toch. -me/-m insofern, als sehr 28 Bojan Cop viele Grundformen für dies monotone -mej-m aufgestellt werden können, erschwert uns aber unsere Aufgabe, weil bei der Fülle der Möglichkeiten endgültige Entscheidung scheinbar nur äusserst hypothetisch bleiben sollte. Eins muss jedoch beim Etymologisieren des toch. -mei-m immer vor Augen gehalten werden: die eben genannten toch. Enklitika enthalten ein -m- und (im Dialekt B) ein -e, das sicher aus idg. *-o- hervorgegangen ist. Diese Tatsachen, zusammengehalten mit den früher dargelegten reinen Möglichkeiten, führen nun m. E. zu einer zwar sehr komplizierten, jedoch einwandfreien Lösung unseres Problems. § 4. Freilich kann man dabei nicht auf alle drei Personen die gleichen Mittel anwenden. Augenscheinlich müssen die 1. und 2. P. auf einem ähnlichen ursprachlichen Typus beruhen, da von vornherein wahrscheinlich ist, dass sie beide auf idg. betonte, demnach zweisilbige, ein altes -m- enthaltende echte pronominale Formen zurückgeführt werden müssen, die dazu auch formell parallel waren. Die 3. P. Pl. dagegen muss einem idg. Pronomen demonstra-tivum entsprechen, wo das -m- (da ein m- Demonstrativum nur sehr unsichere Grösse ist) ganz andere Funktion ausübte bzw. Bestandteil eines formalen Elementes mit einer ganz anderen Funktion als in den ersten zwei Personen war. § 5. Wenn man alle Voraussetzungen der §§ 3—4 in Betracht nimmt, kann man für das B -me = A -m als Pronominalenklitikon der 1. P. PI. nicht um den vollbetonten idg. Pronominalstamm *n0sme- »wir« umhin, der in den betonten Kasus obliqui der ältesten idg. Sprachen vorliegt: s. Brugmann, Grdr.2 II 2, 384; Schwyzer, Gr. Gr. I 600ff.; Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 467ff. Vgl.: ai. Akk. PI. asmä'n, älter av. 3hmä, jav. ahma, gr. lesb. hom. thess. ämmc, dor. usw. harne fjon. hemeas, att. hemäs durch -as, Akk. — Zeichen, verdeutlicht wie ai. asmä'n durch *-ns); idg. * nas-me; ai. Instr. PI. asmä'bhis, verdeutlicht aus ~asmä'; ai. Dat. PI. asmä-bhya(m), av. ahmai-byä; ai. Abi. PI. asmät = av. ahmat, idg. ~n0sme-d, vgl. auch gr. Adj. hemed-apös »der unsere, einheimisch« = »von uns Cahmed-) stammend«; ai. Gen. PI. asmä'kam, av. ahmakdm, apers. amäxam (Neutra des Possessivstammes indoiran. '-asmä'ka-); ai. Lok. PI. asmä'su, Neuerung, älter asme', das aber auch als Dat. und Gen. PI. fungiert und wohl auf idg. ~nasmei bzw. ~:inosmöi (Dat.-Lok. PI., wie im Sing, "mo-i Dat. und Lok. war) beruht; vergleichbar unmittelbar wohl Dat. PI. gr. lesb. hom. ämmi, ämmin, dor. hämin und h&ml'n, böot. hämin, ion. att. hemin (enkl. hemin), demnach eine Differenz in der Behandlung des Vorstückes (Stammes): im Ai. vokalisch, also ~nasm6-i (*n0smö-i?), im Gr. konsonantisch, also *n0sm-i (das lange einiger Formen kann viell. prosodisch das vorausgegangene *n0sme-i nachgeahmt haben), s. noch unten. Im Gr. noch Neuerungen im Nom. PI. lesb. hom. ämme-s, dor. böot. hämes (unmittelbar aus dem Akk. ~nasme nach pateres; da aber das ganze -es als 29 Das tocharische Personalpronomen Suffixum Endung gefühlt wurde, entstand nun im Dat.-Lok. ein *n0sm-i). Ferner Gen. PI. lesb. amme-ön, dor. häme-On, ion. hemeön = att. hemön. Es ist nun die grösste Wahrscheinlichkeit vorhanden, dass auch das toch. B -me = A -m «uns usw.« mit obigem idg?n0sme- etymologisch verwandt ist, d. h. eine Verstümmelung des letztgenannten (in gewissen Kasusformen) darstellt. § 6. Ganz Paralleles findet man in der 2. P. PI. (Lit. wie im § 5): hier sind die betonten Kasus obliqui im Uridg. (dann im Indoiran. und Gr.) auf Grund des vollbetonten Stammes *usme- gebildet worden; im Altindischen und teilweise im Avestischen hat man nach dem Nom. PL (idg. *jö-s) ein *jusme- gebildet (vgl. Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 467). Vgl.: ai. Akk. PI. yusmä'n, mit sekundärem Akk.-Pl.-Zeichen *-ns bereichert, statt *usmä — gr. lesb. hom. ymme, dor. hyme (erweitert ion. hom. hymeas, att. hym&s), idg. *us-me; ai. Instr. PI. yusmä'-bhis, verdeutlicht aus älterem ~yusmä', erhalten in Kompositis: yusmä'-datta- »von euch gegeben«, noch älter ~usmä' = gthav. xsmä, idg. wahrscheinlich "us-m-e'; ai. Dat. PI. yusmd-bhya(m), wie av. yüsrnai-byä, xsmai-byd, jav. yüSma-oyö, xsmä-vöya, urspr. -usrne-bhi; ai. Abi. PL yusmd-t = av. yüsma-t, gthav. xsma-t, aus idg. ~usme-d, das auch in gr. Adj. hymed-apös »ihr Landsmann« (spät!) stecken kann, obwohl eine analogische Neuerung nach hemed-apös (§5) viel wahrscheinlicher ist; ai. Gen. PI. yusmä'kam = jav. yüsmäkdm, gath. xsmäkdm, Neutrum des Possessivs; ai. Lok. PI. yusmä'su, späte Neuerung; älter yusme', das auch als Dat. und Gen. dient, in diesen Punktionen parallel mit singularischen Bildungen wie tve', enklit. te; idg. wahrscheinlich *usme-i, woneben im Gr. eine teilweise Neuerung "us-m-i, d. h. vom konsonantischen Stamm *us-m- aus, der aus dem Nom. PI. (s. unten) gefolgert wurde: Dat. PL lesb. hom. ijmmi, ■jjmmin, dor. hy.min, böot. houmvn, ion. att. hy:mln usw.; gr. Neuerungen: Nom. PI. lesb. hom. ymme-s (wie dmme-s im §5), dor. hy:mes, böot. oumes; noch jünger ion. att. hy.meis und Gen. PI. lesb. ymme--ön, dor. hy:meön, ebenso ion., kontrah. att. hy.mön. Wie in der 1. P. Pl. ist auch hier hoch wahrscheinlich, dass das toch. B -me = A -to »euch usw.« eine Verstümmelung des idg. vollbetonten, jedoch in Enklise geratenen "usme- od. ähnl. darstellt; jedenfalls ist das toch. -m-sicherer Fortsetzer des idg. *-m- in *usme-, § 7. Das in den §§ 5—6 Gesagte zeigt, dass prinzipiell nichts gegen die Annahme spricht, dass unser enklitisches Pluralpronomen in der 1. und 2. P. auf entsprechende indogermanische vollbetonte Pluralformen des Personalpronomens zurückgeht: 1. P. PI. toch. B -me = A -m ~ idg. *n0s-me- usw.; 2. P. PL toch. B -me = A -m ~ idg. *us-me- usw. 30 Bojan čop Grundsätzliche Bedingung für die nötige lautliche Reduktion und auf ihr beruhende lautliche Konvergenz der idg. Grundformen in einem einzigen toch. Pronomen ist die schon hervorgehobene Enklisestellung dieser Pronomina, die das Vorurtocharische vorgenommen hat, nachdem die in der Ursprache als enklitisch geltenden Formen (§3) verlorengegangen waren. Man darf hierbei an der sekundären Unbetontheit einstiger (idg.) vollbetonter Formen nicht Wunder nehmen, denn das Griechische hat ganz gleichen Vorgang aufzuzeigen: auch hier entstanden aus vollbetonten pluralischen Pronomina der 1. und 2. P. (zitiert in §§ 5—6) neue Enklitika, die sich teilweise durch Kürzung eines vokalischen Bestandteiles, teilweise durch Verschiebung des Akzentes von den vollbetonten Formen abheben: Akk. PI. 1. P. ion. he'meas, att. he'mäs, 2. P. att. hy:mäs, Dat. PI. 1. P. dor. hämin, ion. att. hemin, hom auch he'min, 2. P. dor. hymin, ion. att. hymin, hom. auch, hy:' min; Gen. PI. 1. P. att. he'mön. 2. P. hy.mön. Vgl. auch unten zum Hethiti-tischen. Die nachträgliche Enklitisierung ist damit als etwas ganz Wahrscheinliches erwiesen worden. Nun bleiben aber noch zwei Aufgaben übrig: a) man muss nachweisen, dass gerade derartige phonetische Veränderungen, wie sie von idg. *n0sme- bzw. *usme- zu toch. B -me usw. führen, im Tocharischen möglich sind, und b) man muss womöglich die morphologische Seite des Problems beleuchten: aus was für einer fertigen idg. Kasusform (auch mehrere zugleich sind vorstellbar) ist das toch. B -me erklärbar? Diese zwei Fragenkomplexe können nun erst dann angeschnitten werden, wenn auch die Urform der 3. P. PI. festgestellt ist. Denn nicht nur ist die letzte Person den ersten zwei gleich geworden, was auf eventuelle gegenseitige Beeinflussung schon in der Zeit vollerer Aussprache schliessen lässt, sondern auch die Antwort auf die Frage nach der morphologischen Struktur aller drei Urformen mag durch die Untersuchung der 3. P. unterstützt und beeinflusst werden. §8. Das als 3. P. PI. dienende toch. B -me = A -m stelle ich hingegen zu einem idg. pronominalen Stamm *so-, der auch ausserhalb des Tocharischen als Personalpronomen der 3. P. dient, vgl. idg. ^so-z »eius, ei« Gen.-Dat. Sg. = av. höi, he, se, apers. saiy, hom. hoi, vgl. Brugmann, Grdr.2 II 2, 390. 407f. (prakr. auch hierher: se); Schwyzer, Gr. Gr. I 600ff., bes. 603; Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 482ff.; Frisk, Gr. EW. I 431f. u. a. Zu beachten ist, dass dies anaphorische Pronomen keineswegs so einfach einerseits mit idg. ;:sö »der« (ai. sä, gr. ho, got. sa, toch. B se bei Pokorny 978f), andrerseits mit dem bekannten Reflexivum idg. *se- bzw. -°se-we- »sich« (Brugmann a. O. 395ff. usw.) zusammengeworfen werden darf, wie es in der Indogermanistik gewöhnlich geschieht und wie es auch im Sprachleben, z. B. im Griechischen (Frisk a.a.O.), teilweise geschehen ist. In Ermangelung phonetischer Kriterien konnte man zwar an etymologische Identität aller drei Stämme denken, da ja alle mit *s- seit der (Brugmannschen) Ursprache anlauten, heute jedoch, als das Hethitische bekannt geworden ist, darf man nicht mehr so vorsichtslos vor- 31; Das tocharische Personalpronomen Suffixum gehen: im Heth. lautet ja das Reflexivpronomen -za bzw. -z (vgl. Friedrich, Heth. Wb. 256) und die Pedersensche Herleitung dieser Partikel aus älterem "se- bzw. :iswe- (,Hitt. 76 mit Lit.) bereitet m. E. unüberwindliche lautliche Schwierigkeiten; dagegen steht für das Personale der 3. P. im Dat. -si, alt -Se (-sse), betonter Stamm aber se- (sije-?), vgl. Friedrich, Heth. El.2 I 63f. Diese Opposition: refl. änl. z- = /ts-/, 3. P.-Pronomen dagegen s- = /s-/ ist m. E. ausserordentlich wichtig, sicher alt, wie sonderbar es auch klingen mag (man hat sich ja daran gewöhnt, dass für das urindogermanische Lautsystem keine Affrikata anzusetzen ist; doch streitet Benveniste, BSL. L (1954), SS. 29— 38 dagegen und mit Recht; er hat die glückliche Idee gehabt, unser -za zu alten idg. is-Wörten zu gesellen). Interessanterweise bestätigen die Ergebnisse der indouralischen vergleichenden Grammatik diese nur auf Grund des He-thitischen wiedergewonnene ursprachliche Differenz: für das idg. Personalpronomen der 3. P. (heth. s-) stellt sich als Verwandter im Ural, ein Pronominalstamm mit anl. S:s- dar: finn. hän usw. »er, sie« usw., lapp. son, mordw. son usw. (s. Collinder, FUV. 80f.); s. zur Vergieichung idg. und ural. Materials Collinder, Indo-uralisches Sprachgut 55, schon wieder mit unzutreffender Heranziehung des idg. Reflexivums; für das idg. Reflexivum dagegen (heth. 2-) kommt ernsthaft nur der uralische Stamm Hcce »selbst« in Betracht (bei Toivonen, FUF. XIX (1928), S.137f. Nr. 216) = finn. itse »selbst, selber« usw., wo die Affrikata klarliegt. Mehr anderswo; hier nur soviel, dass das Hethi-tische mit seinem z- in diesem Enklitikon (-za, -z) eine hohe Altertümlichkeit besitzt, die m. E. im Verein mit noch anderen derartigen Zügen für eine Sonderstellung des Idg.-Anatolischen im Kreise der idg. Sprachen spricht (vgl. dazu meine Arbeit Zur Frage nach dem Lautwert der hethitischen Grapheme pp, tt, kk und nach dessen Verhältnis zu den indogermanischen Tenues p, t, k — erscheint Anfang 1976 — vor allem SS. 33ff. mit Skizze auf S. 43). Die Hauptfrage jedoch ist hier, wie man auf Grund des eben hergestellten Pronominalstammes der 3. P. mit reinem s-Anlaut der historischen tocha-rischen Form B -me = A -m »ihnen, sie usw.« zu Leibe rücken kann. Auch hier leistet uns das Hethitische eine grossartige Hilfe. Als. enklitischer Dat. PI. des Personale der 3. P. kommt im Heth. nämlich ein -SmaS »ihnen, sich« vor, vgl. Friedrich, Heth. El.2 I 63. Dazu habe ich Lingu. VII/2 (1965), S. 116 noch das luw. -mmas in gleicher Funktion (vgl. Laroche, Dict. louv. 22f. mit gleicher Zusammenstellung) gefügt, wobei ich auch fürs Luwische von uranatol. enklit. *-smas ausging. Dies uranatol. *-smas hatte die Ehre, verschiedene Deutungsversuche zu erfahren; bei Pedersen, Hitt. 58f. liest man, dass -smas eine Pluralisierung des Typus ai. asmä'i »dem, ihm« darstellt, was wenig wahrscheinlich ist, schon deswegen, weil alle Anzeichen dafür sprechen, dass die Ausbildung der sog. Pronominaldeklination nicht in die gemeinsame Zeit aller indogermanischen Sprachen (einschliesslich des Idg.-Anatolischen und des Tocharischen) zurückgeht, sondern sie nur den sog. Brugmannschen Sprachen gemeinsam ist, während das Idg.-Anatolische und das Tocharische hier eigene Wege einschlugen. 32 Bojan C op Ich sehe seit langem in uranatol. "-smas (nur Dat. PL!) einfach einen idg. Dat. PL mit der m-Endung ~-mos, die ansonsten im baltoslavischen Sprachbereich anzutreffen ist (vgl. Brugmann, Grdr.2 II 2, SS. 257—262, Dat.-Abl. PL; vgl. apreuss. noü-mas »uns«, ioü-mas »euch«, s. Trautmann, Apreuss. Sprdkm. 270). Mit grosser Freude sehe ich, dass schon Sommer, HuH. 50 (s. auch Friedrich, Heth. Wb. 195f.) in -smas dieselbe Endung gesehen hatte. Nach der Bildungsweise der alten idg. Sprachen erwartet man im Dat. (-Abi.) Pl. den speziellen Pronominalstamm auf o-i- fürs Mask. und Ntr. (vgl. apreuss. stei-mans, sl. te-md »den, diesen«), den Stamm auf -5- fürs Fem. (lit. tö-ms). Von unserem Personale der 3. P. erwartet man also einen Dat. Pl. ~soi-mos; doch spricht dagegen recht Vieles: erstens ist der Stamm des erwähnten Personale nicht notwendigerweise als *so- anzusetzen, wodurch es leichter in die Analogie der geschlechtigen Pronomina auf -o- geraten würde; zweitens ist unser *se/o- »er« wohl ursprünglich geschlechtslos (das Fem. *s-i ist wohl sekundär), wodurch es aus dem Rahmen der Pronominaldeklination der geschlechtigen Pronomina herausfallen musste, da ja dort das Mask. und Ntr. ihre Opposition gegen das Fem. (hier 5-Stamm) durch den diphthongischen Stamm betont hatten; und drittens kannten ja das Idg.-Anatolische und das Tocharische wohl niemals die pronominale Deklination des altindischen Typus, s. oben, so dass auf diesen zwei Gebieten ein *soi-mos ganz unerhört wäre. Wenn nun ein geschlechtsloses *se/o- »er, sie, es« im Idg.-Anatolischen (und Tocharischen) anzunehmen ist, wie schon der Dat. Sg. *so-z oben selber zeigt (im Av. z.B. für alle drei Geschlechter), konnte sein Dat. (-Abi.) Pl. also nur *se/o-mös lauten. Doch arbeiten Sommer und Friedrich a.a.O. mit noch einfacherem *s-mös als Urform der idg.-anatolischen Form *-s-mas; diese Form mit vokallosem Stamm kann nun entweder in der Enklise sehr früh den Stammvokal verloren haben oder aber geht sie aus von einem von vornherein konsonantischen Stamm; die zweite Möglichkeit hat ja viel mehr für sich, denn erstens ist das Fem. Sg. dieses Pronomens idg. *s-f »ea« in gr. hl', ir. si, got. si (Brugmann, Grdr2 II 2, 390) augenscheinlich auf Grund eines konsonantischen *s- entstanden, und zweitens hat man im Griechischen einen direkten Zeugen im anaphorischen (und reflexiven) Pl. s-phi Dat. PL, s-phe (lesb. hom. dor.) Akk. usw. (s. Schwyzer, Gr. Gr. I 603; Frisk, Gr. EW. II 829); wie nun im Vorurgr. ein "z-bhei, "z-bhi mit Pluralsinn möglich war, so auch im Voruranatol. ein *s-mös, beide mit nichtvokalischer Variante des Pronominalstammes *se/o- »er, sie, es«. In Anbetracht der spezifisch häufigen tocharisch-anatolischen Isoglossen kann man kaum in Abrede stellen, dass auch das Tocharische einst dieselbe Pronominalform *s-mös »ihnen« besessen haben kann. Da nun zwei Laute dieser Form, das -m- und das -e- = vorurtoch. :;:-o-, in toch. B -me = A -m »ihnen, sie« zum Vorschein kommen, ist ein weiteres Leugnen der Identität von -mel-m mit heth. -smas ganz unbegründet: auch im Toch. kommt also unser *s-mös vor, obwohl nur in der Enklise. Nur der Schwund von Anlaut, idg. *s-, könnte überraschen, doch wird man unten auch diese Schwierigkeit aus dem Wege schaffen, s. § 10. 3 — Lingulstioa 33 Das tocharische Personalpronomen Suffixum § 9. Da jetzt wenigstens das B -me = A -m der 3.P. PI. wohl mit ziemlich grosser Wahrscheinlichkeit ausserhalb des Tocharischen wiedergefunden wurde und somit seine endgültige Erklärung gefunden zu haben scheint, kann man nun zur l.P. und 2.P. PI. zurückkehren, wo man zwar schon einen Vorschlag für die Wurzelanalyse oben lesen konnte (§§ 5—6), jedoch die formale Seite zunächst vernachlässigt werden musste. Für die 2.P. PL toch. B -me, A -m kann man einen unmittelbaren Verwandten im heth. -smas »euch«, enklitischem Pronomen personale in Dativ-und Akkusativfunktion (Friedrich, Heth.Wb. 195; Heth.El.2 I 63) sehen; Pe-dersen, Hitt. 75 führt diese Form auf das oben im § 6 erwähnte idg. betonte Pronomen der 2.P. PL, nach ihm auf *jusme-, nach uns eher *usme- zu wählen. Hier muss man jedoch die betonte Form, heth. su-ma-a-as (ebenfalls Dat. und Akk. Pl.) bei Friedrich, Heth.El.2 I 62 heranziehen, wo scheinbar die Endung des Dat.Pl. der nominalen Deklination (-as) vorkommt. Doch ist das nicht eine notwendige Annahme, die Ähnlichkeit in der Endung zwischen Nomen und Pronomen kann sekundär entwickelt sein, weil die ererbte Form des Pronomen der 2.P. Pl. in derselben Richtung letzte Silbe sich entwickeln liess wie das Nomen seine Dativ-Plural-Endung; dass es sich um verchiede-ne Bildungen handelt, macht schon der Umstand wahrscheinlich, dass beim Nomen -as nur dem Dat.-Lok. dient (Akk. hatte ursprünglich -us beim Genus commune), -as bei unserem Pronomen dagegen dem Dat.-Lok. -und Akk. zugleich. Man kann mit Fug auch bei dieser 2.P. PI. eine vollständige Identität des heth. und toch. enklitischen Pronomen annehmen; man wird für beide Sprachen von idg. '•usme- ausgehen, das nach 3.P. PL5s-raös in der Dativfunktion zu *usmös umgeformt wurde; wie die Akkusativ-funktion dazu kam (sowohl im Anatolischen wie im Tocharischen), ist eine schwierige Frage, die aber durch Annahme einer Beeinflussung seitens des einstigen ursprachlichen Enklitikons *wos (wäre heth. "was, toch. *-we), das als Dat. und Akk. diente (s. § 3), beantwortet werden kann. Dass das Anatolische tatsächlich diese Art Enklitika auch in der 2.P. Pl. einst besass, macht die Erhaltung des idg. *reos (heth. -nas »uns«, Dat. und Akk.) sicher. Von diesem heth. -smas = toch. B -me, A -m »euch« konnte die Akkusativfunktion auch in der 3.P. Pl. (toch. -me usw.) ausgegangen sein; im Anatolischen bekanntlich dort nur Dativfunktion, was sich aber auch als Verlust (der Akkusativfunktion) erklären lässt, da ja dort das enklitische Pronomen (heth.) -a- die Akkusativ-Pl.-Form lieferte (comm. altheth. -us usw.). Wie in der 2.P. Pl. kann auch in der l.P. Pl. toch. B -me — A -m nun mit grosser Wahrscheinlichkeit als aus idg. *n0sme-, umgeformt (zunächst in der Dativ-, später — nach damals wohl noch danebenstehendem ®reos »uns«, s. oben — auch in der Akkusativfunktion) nach 3.P. Pl. *s-mös zu *n0sm6s, erklärt werden. Beiden vorurtoch. Formen, der l.P. *n0smös und der 2.P. "usmös, ist gemeinsam, dass sie nach Enklitischwerden den Vokal der ersten Silbe verloren, eine Erscheinung, woran auch das heth. -smas »euch« teilnimmt und die 34 Bojan Cop man fürs Anatolische unten auch in der l.P. PI., diesmal nur im enklitischen Pronomen possessivum des Hethitischen, wiederfinden wird. § 10. Wenn man nun sich die Ergebnisse der vorigen §§ kurz vergegenwärtigt, so erkennt man folgende Entwicklungen: »uns«: toch.B -me = A -m < vorurtoch. *n0smös; »euch«: toch.B -me = A -m < vorurtoch. "usmös; heth. -SmaS; »ihnen, sie«: toch.B -me = A -m < vorurtoch. *smös; heth. -SmaS. In allen Personen stand einst die Konsonantengruppe *-sm- da, die im Toch. jedoch ihr *-s- verlorengehen liess. Dies ist auf den ersten Blick überraschend, da ja das idg. "'s bei unserem heutigen Wissen zu den festesten Konsonanten des toch. Phoneminventars gehört. Auch besitzt man direkte Beweise für die Erhaltung des idg. *s gerade in der Konsonantengruppe *sm im toch. smi- (AB) »lächeln« = idg. *smei- ds. bei Pokorny 967f. Doch muss man in Betracht ziehen, dass das anlautende *sm- etwas Anderes ist als das inlautende; im Griechischen gibt es mehrere Fälle von anlaut. "sm-, wo auch das *s- erhalten ist, vgl. das Material bei Frisk, Gr.EW.II 747ff., während die intervokalische idg. Lautgruppe *-sm- im selben Griechisch ihr -s- immer verlor (vgl. Schwyzer, Gr.Gr.I 311 und 310 nebst 281f.). Auch in unseren Pronomina ist die inlautende Position — nicht nur in der 1. und 2.P. PL, sondern auch in der 3.P., weil ja diese sein *smös wohl schon vor dem Einsetzen des hier studierten Lautwandels immer enklitisch gebrauchte — sicher massgebend gewesen; zu beachten ist, dass es kein toch. Wort bzw. Morphem gibt, wo ein idg. intervokalisches *-sm- sein *-s- erhalten hätte. Auch in der Lautgruppe idg. *-sn- fiel m. E. auf der toch. Seite das *-s-, wie ich an anderer Stelle zeigen will. So sind wir der Pflicht enthoben, sich für den Schwund von *-s-in unserem Enklitikon gerade auf den enklitischen Charakter zu berufen; auch darf man luw. -mmaS (§ 8) trotz seiner s-Losigkeit hier nicht bemühen, denn hier schwand das *-s- ganz anderen phonetischen Wandel zufolge, s. Cop, Lingu.VII/2 (1965), S. 116. § 11. Für die idg. Dialektforschung ergibt sich aus dem Obigen jedenfalls ein weiteres Beispiel für die schon bekannte enge Verwandtschaft zwischen Idg.-Anatolisch und Tocharisch; unsere Isoglosse ist umso wichtiger, weil sie aus mehreren Gliedern besteht (wenigstens die Personalia der 2. und 3.P. PL, doch s. auch im § 12). Die erwähnte multiple Isoglosse besteht in folgenden Tatsachen: a) in der Enklitisierung der einst betonten idg. Pronomina in der 2. und 3.P. Pl. in beiden Sprachen, in der l.P. PL beim Personale nur im Toch., beim Possessiv auch im Heth. (s. § 12); b) in der Formung des Dat.Pl. *s-mös »ihnen« vom konsonantischen Stamm aus und unter Verwendung der m-Endung in beiden Sprachen; c) in der Nachahmung der Form ']:s-mös Pkt.b auch in der 2.P. PL, wo in beiden Sprachen ein "usmös entstand. Ein weiteres sprachgeographisch wichtiges Ergebnis enthält die Tatsache, dass man für das Idg.-Anatolische und das Tocharische (nach dem Vorgang 35 Das tocharische Personalpronomen Suffixum von Sommer, s. oben im § 8, wenigstens fürs Anatolische) mit voller Sicherheit Reste der Dat. Pl.-Endung mit m-Anlaut entdecken konnte; auch darin ist zunächst eine anatolisch-tocharische Isoglosse zu erblicken, darüber hinaus aber noch mehr: da die b/i-Endungen (s. Brugmann, Grdr.2 II 2, 119. 203—206. 257—262 und 262—267) in den südlich gelegenen Sprachen (Indo-Iranisch, Armenisch, Griechisch, Albanisch?, Italisch, Venetisch, Keltisch) vorkommen, die m- Endungen dagegen schon bei Brugmann in den nördlich davon gesprochenen Sprachen (Balto-Slavisch, Germanisch), muss man, wenn man diese wichtige Erscheinung nicht ganz vernachlässigen will, auch das Idg.-Anatolische und das Tocharische der nördlichen Dialektzone zuweisen. Diese Eingliederung beider Sprachgebiete stösst zwar auf einige Schwierigkeiten, z. B. in betreff der r-Endungen im Mediopassiv, doch wird sie sehr stark durch einen anderen Tatsachenkomplex befürwortet, nämlich durch die Auffindung spezieller Beziehungen der idg.-anatolischen Sprachen und des Tocharischen zu den einst nord-östlich vom Indogermanentum wohnenden uralischen Sprachen; ein kurzer Bericht über diese Frage wird unter dem in §8 erwähnten Titel erscheinen. § 12. Ganz kurz soll hier noch eine Frage berührt werden, nämlich die der hethitischen enklitischen Possessivpronomina; grösstenteils ist hier schon eine Klarheit über die Etymologie der bestehenden Pronominalstämme erzielt worden, doch ist die neueste Entdeckung des Possessivum der l.P. PI. im Althethitischen daran schuld, dass eine weitere hethitisch-tocharische Isoglosse herauskommt. Bekanntlich lauten die Possessiva enclitica der 2.P. und 3.P. PI. im Althethitischen: 2.P. Pl. -smi- »euer«; 3.P. PI. -Smi- (auch -sa/emi-, -Summi- geschrieben) »ihr, leur«. S. Friedrich, Heth.El.2 I 65; Kammenhuber, Altkleinas. Sprachen 211; usw. Für die erste P. PI. hat man in der letzten Zeit ein gleichlautendes -smi-entdeckt (Schreibungen auch -summi- usw.), vgl. zuletzt Otten, Stadt Zalpa 35 (ni-e-ku-§um-mu-us »unsere Schwestern«) und Neu, Anitta-Text 65f. 119f. 128f. (hauptsächl. Sius-summis »unsere Sonne«). Die Aussprache dieser Pronomina possessiva in allen Personen war sicher einfach /-smi-/, wodurch eine Erscheinung sichtbar wird, die ausserordentlich an die lautliche Konvergenz der Personalia aller drei Pluralpersonen im Tocharischen erinnert, die wir oben zu erklären versuchten. Natürlich ist diese phonetische Erscheinung auf beiden Seiten ganz unabhängig vor sich gegangen. Aber das allen heth. Possessiva der Pluralpersonen gemeinsame Element -sm- kommt als -m- auch im Tocharischen vor, wie man schon gesehen hat, und dieser Umstand kann nicht auf Zufall beruhen: wie in den toch. Enklitika (B -me = A -m) in jeder Person die idg. vollbetonte Form, ebenfalls mit altem "-sm- im Inlaut, bleibt, so muss man auch für das Hethitische für alle drei Personen idg. vollbetonte Formen mit der Lautgruppe "-sm- als Ausgang nehmen; für die 2P. wird man natürlich an -smas oben im § 9 denken müssen; da dies aus "usme- »euch« usw. entstanden ist, wird man auch für -smi- 36 Bojan Cop »euer« dieselbe Etymologie aufstellen müssen — wie es ja tatsächlich seit langem gilt; für -šmi- der 3.P. Pl. steht ebenfalls das Personale -šmaš zur Verfügung, vgl. oben §8. Und so wird man nun auch für die l.P. PL, heth. /-smi-/ »unser« an dasselbe idg. Pronomen, das auch im toch. B -me = A -m »uns« steckt, denken, demzufolge es zu idg. *n0sme- »uns« stellen. Auch hier — wie oben im Toch., s. § 9 — wird man Schwund des anlautenden Vokals in *usme- und ~n0sme- in der enklitischen Stellung annehmen. Aus was für einer Form die enklitischen Possessiva des Althethitischen eigentlich entstanden sind, kann hier übergangen werden (zu Gebote stehen z. B. der Dat.-Lok.-Gen. Pl. auf ~-ei, so "n0smei = ai. Ved. asme', "usmei = ai. Ved. yusme, s. §§ 5—6; oder direkt die idg. Possessiva, so idg. *n0smö-s »unser« = av. ahma- »noster«, gr. lesb. ämmos, dor. böot. hämös; Hismö-s »euer« = gr. lesb. $mmos, dor. hymös; vgl. Brugmann, Grdr.2 II 2, 404; Schwyzer, Gr. Gr. I 608 usw.). Für -šmi- »eorum, leur« (3.P.P1.) muss man jedoch an Analogie seitens der 1. und 2.P.P1. denken, da ja das -m- hier, wie im §8 ausgeführt, zur eigentlichen Endung des Dat.Pl. und nicht zum Stamm selbst gehörte. Für uns ist von Gewicht, dass die Konvergenz der drei einst verschiedenen Personalpronomina im PL auf dem tocharischen Gebiet durch die gleichartige Erscheinung in der Bildung der hethitischen Possessivpronomina als nicht nur sehr wahrscheinlich, sondern als eine Tatsache erwiesen worden ist. POVZETEK Toharski enklitični osebni zaimek B -me, A -m in njegov izvor Ena od posebnosti toharskega zaimkovnega sistema je, da poseduje ta jezik en-klitično rabljeni B -me, A -m za vse tri osebe množine enako: = »nam, nas«, »vam, vas«, »njim, nje«. Po mnenju pisca gre tu za prvotne polnopoudarjene osebne zaimke, ki so se deloma po redni glasovni poti, deloma po glasovni redukciji, značilni za en-klizo, v toharščini tako močno obrusili, da je od vsakega ostalo samo to, kar je bilo pravkar omenjeno: 1. os. mn. ievr. poudarjeno ~nnsme- = toh. -mel-m; 2. os. mn.: ievr. poudarjeno *usme- = toh. -me/-m; 3. os. mn.: ievr. poudarjeno *s-mös = toh. -me/-m. V 2. in 3. os. poseduje tudi hetitščina enklit. -šmaš, ki je vsakokrat istega izvora kot toh. -me/-m: v 2. os. < *wsme-, v 3. os. < * s-mös. Tretjeosebni *s-mös je toh.-het. izoglosa, nastala z m-ovsko končnico za dat. mn. ~-mos (podobno v bsl.) na osnovi konsonantno oblikovanega debla zaimka za 3. os. edn. in mn. (ievr. *se/o- in samo *s-). Po tem *sm6s se je očitno v het. tako kot toh. oblikovala tudi 2. os.: "usmös; enako za toh. tudi 1. os: "n smös. o Po odpadu začetnega vokala v ~nosmös in *usmös v obeh jezikih in po izpadu ievr. *-s- pred -m- v vseh treh osebah v toh. je prišlo čisto mehanično do sovpada vseh treh oseb. Ta pojav pa ni osamljen, saj je v hetitščini prišlo do podobnega sovpada vseh treh oseb množine pri navešenem svojilnem zaimku: 1. os. »naš« het. -š(um)mi-, 2. os. »vaš« het. -šmi-, 3. os. »njihov« het. -š(um)mi- itd., beri vsakokrat /-smi-/, prvo nastalo na osnovi ievr. *nsrne- »mi, nas«, drugo iz ievr. *usme-»vi, vas«, tretje pa pritvorjeno k zg. omenjenemu Ssroös »njim«. 37 Bojan čop Ljubljana CDU 809.10-473 LES CHANGEMENTS PARADIGMATIQUES D'ACCENTUATION CHEZ LES THÈMES NOMINAUX EN -e/o- INDO-EUROPÉENS § 1. Si le présent article est consacré aux problèmes que soulève la situation prosodique dans la déclinaison des thèmes dits thématiques (terminés par -e/o- brefs), ce n'est pas pour reprendre cette discussion du point de vue purement indo-européen; car il semble que tant de théories aient été émises sur ce phénomène que personne ne puisse ajouter d'explications essentiellement nouvelles. On doit changer le point de départ lui-même; et c'est bien possible dès le moment où les investigations linguistiques sur le domaine de la flexion indo-européenne se déplacent peu à peu du matériel purement indo-européen vers un territoire bien plus étendu, c.-à-d. vers la comparaison de l'indo-européen commun avec d'autres langues communes apparemment parentes du premier, avant tout del'indo-européen commun et l'ouralien (finno-ougrien) commun. C'est seulement ici que l'indo-européaniste trouve une base suffisante pour investi-guer le passé de la flexion de notre langue mère: aucun linguiste ne pourra contester le fait que la reconstruction de la préhistoire de la langue grecque p. ex. ne serait nullement possible sur la base de la reconstruction interne: seules les langues parentes apportent des moyens nécessaires pour illustrer le point de départ de la plupart des éléments linguistiques grecs et leur évolution pendant les deux millénaires avant l'époque historique. La méthode comparative est donc indispensable à toute investigation historique; et cela vaut aussi bien pour le grec que pour la langue indo-européenne commune. L'indo-européen commun est justement parent le plus proche de l'ouralien commun. Nous avons tenté de donner un aperçu général de la préhistoire de la déclinaison indo-européenne du point de vue de la grammaire comparée des deux langues mères mentionnées: Dans l'oeuvre intitulée Die indogermanische Deklination im Lichte der indouralischen vergleichenden Gram-raatïk nous avons présenté des solutions purement comparatives où la plupart des suffixes subsistant dans la déclinaison indo-européenne ont trouvé leurs correspondants dans la déclinaison ouralienne. Mais des problèmes presque innombrables restaient sans solution ou surgissent de nouveau; et parmi ceux-ci, le problème de la déclinaison indo-européenne des thèmes en -e/o- est un des plus compliqués. Dans l'oeuvre mentionnée nous n'avons touché ce problème qu'en passant (pp. 24, 81 et 85), et avec bon droit: tandis 39 Les changements paradigmatiques d'accentuation que presque tous les types de thèmes indo-européens obéissent à des règles généralement identiques des changements accentuels et apophoniques, les thèmes en -e/o- montrent une situation à part: dans les paradigmes que font reconstituer les faits des langues historiques, il n'y a ni de traces d'alternances régulières apophoniques ni du changement accentuel. Aucun essai d'explication de ces phénomènes particuliers des thèmes en -e/o- conduit exclusivement sur le domaine i.-eur. et avec les faits exclusivement i.-eur. ne peut donner des résultats convaincants: la constitution de la déclinaison en -e/o- date d'une époque précédant notre indo-européen commun tel que Brugmann le présente dans son Grundriss et même l'indo-européen commun (ou, si l'on veut, l'indo-hittite) tel que la comparaison de l'indo-européen de Brugmann et du hittite le font apparaître; il est donc impossible d'en reconnaître la préhistoire au moyen des théories structuralistes ou bien par la méthode de la reconstruction interne: tous ces traitements font usage des matériaux synchroniques (en parlant de l'indo-européen commun: exclusivement des faits que présente cette même langue) ce qui permet rarement à pénétrer dans la préhistoire de ces matériaux. § 2. Le but de la présente étude sera donc de montrer comment la méthode comparative, cette fois la grammaire comparée indo-ouralienne, peut donner des explications acceptables de la constitution des thèmes en -e/o-et de leur déclinaison tant aberrante. Il est naturel que cette brève étude ne peut nullement présenter la solution de tous les problèmes que laisse surgir la déclinaison en -e/o-: on traitera exclusivement la question comment expliquer quelques particularités d'accentuation dans la flexion de ces thèmes, avant tous dans les adverbes-cas qui tirent leur origine de cette déclinaison. §3. Les particularités des thèmes en -e/o- en face de tous les autres thèmes sont — l'aperçu est donné dans la forme la plus brève possible — comme il suit:" a) l'absence des alternances apophoniques dans le paradigme; b) l'absence des changements d'accentuation; l'accent est columnal, c'est à dire qu'il repose toujours sur la même syllabe du thème; c) l'emploi des désinences casuelles spéciales, en partie sûrement d'origine pronominale; d) l'alternance e ~ o dans la syllabe finale du thème; e) la voyelle finale du thème (-e/o-), même si elle est inaccentuée, n'est pas soumise à la réduction vocalique. Les autres particularités de ces thèmes, p. ex. l'emploi de la désinence *-m dans les neutres en -o-, sont peu importantes. Les particularités mentionnées peuvent en parti, sinon toutes, être expliquées par la confrontation des faits analogues des langues ouraliennes. A cause de la restriction de l'objet de notre recherche faite au § 2, nous touchons ces problèmes tout brèvement. 40 Bojan Čop § 3. 1. La particularité du pt. e) retient pour nous pour ainsi dire une position clef dans l'ensemble. Le fait que la finale vocalique -e/o- ne tombe pas, si elle est inaccentuée, montre qu'il s'agit d'un type vocalique différent de celui qui figure dans le système normal des alternances apophoniques des bases légères: ici, le ~e en tant que degré plein tombe, si la syllabe qui le renferme devient inaccentuée: 3e p. sing. *és-ii contre 3e p. pl. *es-énti > *s-énti.! En s'appuyant sur ce système, aucune forme telle que nom. sing. de *ék'wo-»cheval«: *ékwo-s, acc. sing. "ék'wo-m; etc. ne serait possible, parce qu'on attend, si le -o- final du thème serait du type normal de voyelles brèves (comme dans ®es- »être« ci-dessus), la réduction de cette finale dans toutes les formes du paradigme où elle est brève. Ici, aucun recours à l'analogie n'est admissible: si un thème *ek'wo- de l'époque pré-apophonique avait existé, on aurait à coup sûr des formes réduites (p. ex. ~ék'u-, *k'wo-; etc.) à l'époque de l'indo-européen tardif (= l'indo-européen de Brugmann, Grundriss). Il serait impossible de parvenir d'un tel système d'alternances apophoniques à un autre parfaitement équilibré et se basant sur un thème nouveau constitué sur deux formes différentes qui devraient se combinèr d'une manière inouie pour atteindre justement la même forme qui était à l'origine de ce système: *ék'wo-. Ici, la situation est la même que dans les thèmes thématiques barytons du système verbal tels que *bhére- »porter, apporter«: si Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III p. 84 et suiv. prétendent que la finale -e/o- des thèmes nominaux et celle des verbes thématiques sont étymologiquement identiques, cela ne vaux que pour une partie des exemples, à savoir pour les noms déverbaux du type *bhorô-s »qui porte« (= noms d'agent, v. Brugmann, Grdr.2 II 1, pp. 148 et suivv.) et du type parallèle *bhôro-s »le fait de porter« (= noms d'action, Brugmann l. cit.). Ici, le -o- finale du thème est justement identique à la voyelle thématique du verbe ~bhére/o-. Mais ce serait une faute fatale que d'étendre la même assertion à tous les noms en -e/o-: on sait bien que ceux-ci ne sont pas tous d'origine verbale. Tout de même, le parallélisme entre les thèmes nominaux et verbaux en -e/o- est frappant et mérite de servir de base à l'explication de cette voyelle: si cette voyelle, malgré le fait qu'elle est inaccentuée, ne se réduit pas, elle doit être ramenée dans les deux systèmes, le nominal et le verbal, à un type spécial de voyelle de l'époque pré-apophonique qui justement possédait un trait particulier pour pouvoir échapper à la réduction attendue et qui le distinguait, à cette époque-là, des voyelles brèves normales (c.-à-d. celles qui, en position inaccentuée, devaient plus tard se réduire à zéro). i Cette opposition est, on le sait, un des plus sûrs arguments de l'origine indoeuropéenne d'un système donné, cf. v. ind. asti : sânti, gr. ésti : (h)enti, eisi, lat. est : sunt, got. ist : sind, si. jestd : sôt8; le type hitt. eszi : asanzi montre par son degré as- que cette langue, malgré son caractère en général purement indo-européen, a parcouru un chemin un peu différent dès sa séparation des autres dialectes indoeuropéens. Pour *es- »être«, v. Pokorny 340 et suivv. 41 Les changements paradigmatiques d'accentuation Dans notre étude Laryng. 1970 (= Acad. slov. II, VII/5, Ljubljana), nous avons proposé une solution de la question entamée ci-dessus: si la syllabe inaccentuée enferme, en indo-européen commun, un -e- (ou -o-) bref non réduit, c'est à une suite du type "-e- + mi-consonne (laryngale ou sembl.) de l'époque pré-apophonique que remonte cette voyelle. Ainsi, le type thématique baryton "bhére- remonte selon nous (Laryng. 1970, p. 210 et suiv.) à une formation verbale au thème *bhére-H-qui répond exactement au type ouralien du thème de présent *mene-k- »aller« (1° p. sing. vog. minè-y-m »je vais« de *mene-k-mi) ,2 Au duel (nom.-acc.), on a en i.-eur. une désinence "-e chez les thèmes dits consonantiques: *péd-e »deux pieds«; elle remonte, selon Laryng. 1970, p. 206 et suiv., à un stade pré-apophonique *-e-H qui répond de nouveau au groupe oural. *-e-fc, où *-fc est le signe abrégé du duel (cf. vog. âmpy-y »deux chiens«). Selon notre théorie, le groupe tautosyllabique du type *-eH-ouàmi-consonne (germe de syllabe) quelconque (nous désignerons celle-ci par le signe -X-) (donc *-eX-) a été contracté en une voyelle semi-longue (signe -è-) à l'époque pré-apophonique; en syllabe atone, la réduction qui suivait un peu plus tard ne pouvait en causer la chute complète — c'était le cas des voyelles brèves dès le commencement — mais conduisait à un abrègement partiel, d'où un type de voyelle brève secondaire. On avait par là: époque pré-apophonique: *péde-H »deux pieds«; immédiatement après: contraction, donc > *pédè; après la réduction: *pédê (gr. pôde). Il s'ensuit que les thèmes nominaux en -e/o- barytons doivent être ramenés à des thèmes plus anciens terminés par le groupe *-eX-. Il ne peut nullement être précisé, dans ce bref mémoire, quelle est la nature réelle de la mi-consonne -X- de la finale mentionnée; sans aucun doute, on devrait minutieusement examiner chaque thème à part, ce qui nous est impossible pour le présent; le *-X-, en tout cas, peut représenter plusieurs sons divergents: la laryngale -H- (elle-même embrassant au moins six phonèmes différents), l'aspirée -h-, les mi-voyelles -y- et -w-, §3.2. Il y a dans la flexion des thèmes en -e/o- elle-même des preuves immédiates pour la durée semi-longue de leur finale; nous ne mentionnons que l'acc. pl.: En v. ind., dès les textes les plus anciens, la désinence de ce cas est exclusivement "-ans de i.-eur "-6-ns, v. Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 102 (ces auteurs nient tout de même l'existence d'un *-ons à l'époque indo-européenne); le baltique ajoute une preuve additionnelle pour la reconstitution de *-ôns: ici, on a p. ex. vilkùs »les loups« ne pouvant remonter qu'à *-ôns; 2 Pour ce type de présents, v. Szinnyei, F.-ugr. Sprachw.2 119 et suivv. et 126 et suiw. Nous reviendrons sur ces problèmes dans une oeuvre intitulée Sur l'origine de l'opposition entre les thèmes thématiques et athématiques de l'indo-européen commun, à paraître vers la fin de l'année 1976. 42 Bojan Cop cf. aussi, dans la déclinaison des adjectifs définis, lit. kietuos = ius »les durs«, et v. Otrgbski, Gram. III p. 15. Cette longueur de la finale du thème ne peut résulter que d'un état de chose que nous avons décrit au § 3.1 fin. §3.3. La finale -e/o- de nos thèmes remontant ainsi à un groupe de sons du type *-eX-, nous en pouvons retrouver des correspondants exacts dans les langues ouraliennes. L'ouralien ne possédait, en principe, à l'origine que des thèmes nominaux terminés par la voyelle brève -e- ou -a- (il y avait, à côté de ces deux voyelles, deux autres qui n'étaient que des variantes combinatoires, un -e- postérieur ( = ô) dans les thèmes à voyelle postérieure en première syllabe; et un -ci-dans les thèmes à voyelle antérieure en première syllabe). L'indo-européen commun qui avait laissé passer tout son matériel sonore à travers une époque de réduction vocalique, répond à ce type des thèmes ouraliens généralement par des thèmes consonantiques = terminés par une consonne, justement celle qui répond exactement à celle du correspondant ouralien qui précède immédiatement la voyelle finale: f.-ougr. *oiiééa »front, partie antérieure« (finn. otsa) = i.-eur. *Hant- »Vorderseite, Stirn« chez Pokorny 48sqq., parfaitement conservé en hitt. fiant-s »Vorderseite«. La voyelle *-a du thème f.-ougr. fait défaut en i.-eur. et c'est justement la réduction vocalique qui avait causé sa chute. Mais en ouralien, une autre série des thèmes nominaux apparaît qui possèdent en finnois des finales telles que -o, -u: p. ex. finn. hanko »fourche«; ou ïinn. jako »partage«; d'autre part, on a finn. suku »nation, race, parenté«. Ces types sont tous dérivés, hanko provient de hanka »anse, poignée« au moyen d'un suffixe *-j (cf. Hakulinen, Hb. d. finn. Spr. 1119sq.; Lehtisalo, Âbleit. 48 et suiw.), c.-à-d. il remonte à *hanka-j; jako est déverbal (finn. jaka- »partager«) et remonte à un proto-type *jaka-w (cf. Hakulinen op. cit. 153—155; Lehtisalo 33 et suiv.); le même vaut pour suku (de suke- »naître«) qui remonte à un prototype *suke-w (v. Hakulinen 158—160; etc.). Mais il y a aussi des tentatives de retrouver dans les types cités des prototypes en ay et ;;:-ey. Si nous comparons les prototypes des formations finnoises citées aux prototypes indo-européens du § 3.1, nous apercevons le parallélisme immédiat entre les deux groupes: partout on doit prendre départ des racines ou des mots primaires terminés par des voyelles simples; partout ces bases ont été élargies par des suffixes consistant en les mêmes (ou presque les mêmes) mi-consonnes: -y-, -w- et -H-/-y-; etc. Si nous appuyons sur cet état de choses, nous pouvons faire ça et là des comparaisons entre l'indo-européen et l'ouralien qui s'accordent jusqu'au moindre détail, c.-à-d. qui laissent apparaître un correspondant ouralien parfait d'un thème indo-européen en -e/o-; c'est justement le cas du nom de «cheval«: i.-eur. *ék'wo-s (Pokorny 301) = v. ind. âévas, gr. hippos, lat. equos, v. irl. ech; etc. est un nom en -o- dont aucune analyse n'était acceptable jusqu'ici: il n'est pas dérivé d'un thème verbal ni son origine nominale n'est démon- 43 Les changements paradigmatiques d'accentuation trable sur la base des faits purement indo-européens; mais, selon notre opinion, une bonne étymologie extra-indo-européenne est possible, si l'on compare le mot finnois suivant: finn. hepo fdial.) »cheval; jument«, élarg. finn. hevo-nen »cheval«, carél. hebo — finn. hepo, eston. hobu, hobo; etc. »cheval« (isolé dans l'ouralien, v. Toivonen, SKES. 69). Le prototype immédiat du mot finn. est *sepa- + X; si nous ramenons le *s- inital à un "ks- plus ancien, ce qui est bien possible, et si nous admettons que ce *ksepa- remonte plutôt à une forme trisyllabique *eksepa- la base du mot indo-européen réapparaît: en indo-européen, au groupe oural. *-k5- la consonne simple q- ou répond ordinairement (détails à paraître ailleurs), et le *-p- intervocalique du côté ouralien devient en indo-européen.3 La finale du thème i.-eur., -o-, réapparaît ainsi en finn.: -o ou -u; quelle que soit son origine exacte, elle nous semble parfaitement identique dans les deux groupes de langues; en tout cas, elle est un élément morphologique complexe. §3.4. Le paradigme des thèmes nominaux primaires était constitué tant bien en ouralien commun qu'en indo-oura-lien commun des cas formés au moyen de la méthode purement agglutinative. Les désinences casuelles s'ajoutaient au thème pur et simple; mais tandis que l'ouralien en général accentue la première syllabe de chaque forme, il semble que l'indo-ouralien organisait l'accentuation paradigmatique d'une façon tout différente: 3 Dans un exposé aussi bref que le présent mémoire, on ne peut nullement donner un aperçu total des correspondances phonétiques entre l'ouralien et l'indo-européen; nous renvoyons le lecteur à notre série Indouralica, déjà parue partiellement. Ici, il suffit de remarquer les faits suivants: a) le consonantisme: à l'intervocalique, l'ouralien possédait deux séries d'occlusives, à savoir une forte (ou gémineé): -pp-, -tt-, -kk-; et une faible (simple): -P-, -t-, -k-; l'indo-européen y répond également par deux séries différentes qui montrent les deux un affaiblissement de la pression des muscles nécessaire pour la production du son en question: les doubles ou fortes de l'ouralien deviennent ainsi des simples ou faibles, les faibles / simples de l'ouralien deviennent en indo-européen des spirantes: oural. -pp-, -tt-, -kk- = i. eur. -p-, -t-, -k-; oural. -p-, -t-, -k- = i. -eur. -lo-, -s-, -H- (laryngale!). b) 1 e vocalisme: en principe, chaque racine ouralienne est dissyllabique et terminée par une voyelle brève; en indo-européen, on s'est accoutumé à la théorie des racines monosyllabiques, ce qui est erroné du point de vue indo-ouralien: car le vocalisme de la première syllabe des racines indo-européennes (la seule qui est reconnue par les indo-européanistes modernes) dépend de la qualité de la voyelle de la deuxième syllabe en ouralien: si cette voyelle est -e-, on a -e- dans la première syllabe de la racine indo-européenne; et vice versa: cf. oural. sase-«habiter» (= finn. ase-, Collinder, FUV. 4) = i.-eur. *es- »être«. A l'époque pré-apophonique où les racines primaires indo-européennes étaient encore dissyllabiques (la deuxième voyelle de ces racines tomba plus tard, à cause de la réduction vocalique indo-européenne), toute voyelle de la deuxième syllabe (et des syllabes suivantes) devint, après avoir causé la métaphonie mentionnée de la première syllabe, un -e- simple en indo-européen; le -a- primaire de la deuxième syllabe reste -a- seulement en position devant un -H-. 44 Bojan Cop a) si la désinence casuelle n'était constituée que d'une simple consonne sans qu'une voyelle la suivît, la place du ton était justement sur la première syllabe du thème jadis dissyllabique: à l'acc. sing., on a en oural. *oiičča-m »front« ( = finn. otsan); en indooural., on avait 5:*H6nt't'a-m = i.-eur. (après la réduction de la voyelle finale inaccentuée) isHântm0 (-m syllabique); b) si la désinence casuelle consistait d'une ou de deux consonnes suivies d'une voyelle, l'accent se déplaça de la première syllabe du thème à la seconde: à l'abl. sing. (désinence oural. et indo-oural. *-ta), on avait en oural. *ončča--ta et en indo-oural. **Hont't'â-ta, d'où indo-eur. (abl.-gén. sing.) *Hanté/bs, cf. gr. kdt-antes »vers le bas le long de la face«. Tous les détails clairs et importants sont étudiés dans notre oeuvre sur l'origine de la déclinaison indo-européenne (v. au § 1). §3.5. Du § précédant il ressort que l'accentuation paradigma-tique tant de l'indo-ouralien commun que de l'indoeuropéen commun était mobile. V. encore chez Kuryiowicz, Accentuation i.-eur. (1958), pp. 13 et suivv. Il est évident que le règlement des mouvements accentuels dans le paradigme nominal était en principe complètement méchanique et que seulement à une époque tardive ces mouvements devinrent phonologiques (morphologiquement distinctifs), v. notre Deklination, p. 80 (avec le tableau). En tant qu'en principe tous les thèmes nominaux indo-ouraliens employaient dans les mêmes cas les mêmes désinences, le déplacement de l'accent décrit dans le § 3.4 devait avoir lieu, à une époque antérieure à celle de l'indo-européen commun de Brugmann, coïncidant avec l'époque dite pré-apophonique (Vorurindogermanisch ou Fruhurindogermanisch), dans les paradigmes de tous les thèmes nominaux existant à cette époque-là. Parce qu'il est bien vraisemblable, selon le § 3.3, que les prototypes des thèmes i.-eur. en -e/o-(type en *-eX-) existaient déjà en indo-ouralien commun, il s'ensuit qu'ils obéissaient à la même règle de déplacements d'accent dans certains cas. L'état de choses que présente l'indo-européen commun de Brugmann, c.-à-d. l'immobilité de l'accent dans le paradigme des thèmes en -c/o-, doit donc être secondaire. § 4. Une étude consciencieuse de la structure des thèmes nominaux en -e/o- (souvent faite sur le plan interdialectal) a toutefois montré que l'accentuation de ces thèmes doit avoir été jadis la même que dans les paradigmes des thèmes consonantiques, c.-à-d. mobile. Les faits purement indo-européens qui conduisent à cette conclusion, sont énu-mérés chez Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 86 et suivv.; Kuryiowicz, Accentuation passim; Hirt, Idg. Gr. V 262 et suivv. (avec une attitude négative, sans fond); en voici une choix: a) il y a des équations parfaites qui tout de même montrent des divergences du vocalisme de la première syllabe: ainsi dans le nom du »sommeil«: 45 Les changements paradigmatiques d'accentuation 1° degré -e- dans "swépno-s = v. norr. suefn, ags. swefn; tokh. B àpane, A spdn; 2° degré -o- dans *swôpno-s (d'où partiellement *sôpno-s) = arm. khun, sans -w- v. irl. süan, gall. bret. hun, lit. sâpnas; de 1° ou de 2°: v. ind. svâpnas, av. xvafna-, lat. somnus; 3° degré zéro: *sûpno-s = gr. hypnos, alb. gjumë, si. sdnd. Il est peu probable que ce thème en -o- serait né sur la base de *swépôr, gén. *supnés, comme le veut Pokorny 1048; d'abord, un thème (du nom.-acc. sing.) en -r- n'est nullement attesté, lat. sopor étant en vérité un thème sig-matique; hitt. suppar-iya- peut être expliqué par un type de dérivation verbale usitant un morphème -r-; enfin, le mot devrait être neutre, s'il reposait sur le type hétéroclitique mentionné. Il s'agit tout simplement d'un substantif abstrait né sur la base d'un nom verbal en -no-, avec le ton retiré sur la première syllabe. b) des oppositions du ton interdialectales, p. ex. entre v. ind. âjra-s »pâturage, campagne« et gr. agrôs »champ« (Pokorny 6). c) l'accentuation de la première syllabe, bien qu'elle soit au degré zéro, ainsi dans le mot pour »loup«: i.-eur. *wl0'quo-s = v. ind. vrc'kas, gr. lykos, got. wulfs (Pokorny 1178sq.). Tous ces exemples s'expliquent le mieux (d'autres possibilités n'étant toutefois pas excluses) par une simplification très ancienne des paradigmes à l'accentuation mobile et à des alternances vocaliques (produites par l'accentuation). On avait jadis p. ex. *swé/6pno-s contre *supnô-s(yo); *âgro-s contre *agrë'/ô't (abl. sing.); etc. En parti dans la langue commune, en parti seulement dans les langues séparées, un seul type d'accentuation et un seul degré d'apophonie ont été choisis, de sorte que le paradigme était désormais parfaitement équilibré. § 4.1. Outre les faits mentionnés dans le § précédant, ilya une preuve directe de l'ancienne mobilité du ton des thèmes en -e/o-: les adjectif barytons en -e/o- forment, dans les stades les plus archaïques de nos langues, leurs adverbes en usitant les désinences casuelles normales, au degré -e- de la finale du thème et en plaçant le ton sur cette finale (accentuation progressive); le degré -e- de la finale et le ton y placé supportent l'un l'autre, de façon qu'aucun doute ne subsiste que ce soit une règle conservée des temps les plus archaïques de notre langue mère; cf.: loc. sing, i.-eur. *-éi, ainsi v. ind. daksinë' »à droite« de dâkSina- »droit« (de même instr. sing, daksinâ' »à droite«, tous en RV.); gr. atheei »ohne Gott, ohne göttliche Fügung« zu dtheos »ohne Gott, gottlos« (cf. Schwyzer, Gr. Gr. I 623, pt. 9); instr. sing, i.-eur. *-ê' (ou ~-ê avec intonation douce? cf. ci-dessous), ainsi v. ind. daksinâ', v. plus haut, et uttarâ' »à gauche« de ûttara- »gauche«; gr. hamartë' »en même temps«, d'un adjectif composé *hâm-artos »joint«, cf. Frisk, Gr. EW. I 87; ou encore gr. hësykhê Pind. »tranquillenment« de hë'sykhos »tranquille«, v. chez Schwyzer, Gr. Gr. I 550 et note 3; 46 Bojan Čop abl. sing. i.-eur. *-ë't/d, ainsi v. ind. uttarâ't »de la gauche, du nord« (ûttara-, v. plus haut), sanâ't »dès les temps (les plus) vieux« de sâna- »vieux« (tous en RV.); gr. epizaphelôs de epizâphelos »violent« (Homère), cf. Frisk, Gr. EW. I 536; Schwyzer, Gr. Gr. I 618; cf. aussi le vocalisme -e- en lat.: adv. -ëd, -ë.4 Cf. en général Wackernagel, Altind. Gr. II 1, 21; Wackernagel-Debrunner, Altind. Gr. III 87; Brugmann, Grdr? II 1, 29; Hirt, Idg. Gr. V 264 et suiv. § 4.2. L'explication de ces déplacements d'accent dans certaines formes des adjectifs barytons fait défaut: Hirt 1. cit. veut les prendre pour l'accentuation normale, conservée sur les terminaisons des cas mentionnés en fonction adverbiale, tandis que dans le paradigme normal de l'adjectif appartenant l'accent serait déplacé secondairement vers le commencement du thème. Contre cette opinion, on pourrait alléguer le fait que rien ne prouve que la barytonaison p. ex. de ~séno- 'vieux' soit plus récente que l'oxytonaison de son abl. ~senë't/d (v. ind. sanâ't, v. § 4.1). Le degré plein, au contraire, démontre l'originalité de l'accentuation de la première syllabe de cet adjectif. D'autre part, notre théorie sur la génèse des thèmes nominaux indo-européens en -e/o- (v. ci-dessus, §3.3) montre que leur finale était constituée, à l'époque pré-apophonique, d'une diphthongue du type *-eX-; et selon le même §, les thèmes nominaux indo-européens dits consonantiques étaient terminés par une voyelle brève simple à la même époque pré-apophonique; d'où il ressort que les thèmes monosyllabiques en consonne remontent à des thèmes plus anciens dissyllabiques et sont par là en principe de la même structure que les thèmes dissyllabiques en -e/o- de l'indo-européen tardif, à une exception près: les premiers étaient terminés par une voyelle brève qui allait tomber à l'époque de la réduction vocalique, tandis que les derniers, à cause du caractère de diphthongue de leur finale, devaient rester dissyllabiques: i.-eur. *Hant- »front« = oural. "oncca, par là de i.-eur. pré-apoph. *Hdntte-; i.-eur. *séno- »vieux« (chez. Pokorny 907sq.), parent de f.-ougr. *sor/<5 m/sens (= tchér. so^go, sorjgo, hongr. agg, 6 m/sens, v. Collinder, FUV. 71; MNyTESz. I 102), selon Skalicka, UAJb. 41 (1969), p. 341, peut être complètement identifié avec le mot ouralien, en tant que sa forme pré-apophonique *séne-w/y (dissyllabique!) peut avoir pour correspondant une structure exactement la même en oural.: au lieu de 3:sO)?ô (-ô = e postérieur), on peut poser un *sorjô-w/y! On voit de ces deux exemples que seule la structure de la deuxième = dernière syllabe jouait le rôle décisif dans l'orientation vers le monosylla-bisme (identique au caractère consonantique) ou vers le dissyllabisme des thèmes nominaux dissyllabiques à l'époque pré-apophonique. Un type indo-oural. **sôrjeX-, accentué sur la syllabe avant-dernière, selon la règle de §3.4, devait donc rester, jusqu'à l'indo-européen commun de Brugmann, toujours dissyllabique; et il conservait sa barytonaison dans tou- 4 Cf. Sommer, Hb>3 p. 345. 47 Les changements paradigmatiques d'accentuation tes les formes flexionnelles où la désinence ne renfermait aucune voyelle, ainsi à l'acc. sing.: indo-oural. ®S:sôrjeX-m = i.eur. ~séno-m. La barytonaison peut par là être prise pour un fait ancien, de date indo-our alienne. Il y avait seulement cette restriction que la désinence devait consister en une seule consonne sans aucune voyelle. § 4.3. Selon la règle du pt. b) de § 3.4, l'accent se déplace, en indo-ouralien tant bien qu'en indo-européen pré-apophonique, sur la finale du thème (= la voyelle prédésinëntielle), si la désinence consiste en une syllabe complète (types: -CV, -CCV et -CjC2V). Parce que non seulement les thèmes nominaux en voyelle brève et simple (= thèmes consonantiques futurs de l'indo-européen de Brugmann), mais aussi les thèmes nominaux en *-eX- (= futurs thèmes i.-eur. en -e/o-) employaient jadis absolument les mêmes désinences ca-suelles, les futurs thèmes en-e/o- sub is s aient, à cette époque-là (précédant la réduction vocalique), les mêmes déplacements de l'accent que les futurs thèmes en consonnes. Dans le §4.1, nous avons rencontré ces déplacements dans trois cas en fonction d'adverbes: dans loc. sing., instr. sing. et abl. sing. Or l'étude de l'origine des désinences de l'instr. et- de l'abl. mentionnés, faite dans notre Deklination (v. ci-dessus, § 1) a montré que les deux désinences étaient justement constituées de syllabe complète. §4.4. D'après notre Deklination, pp. 62—65 (§5.2.8), l'ablatif sing. des thèmes nominaux en -e/o- serait constitué avant tout en coopération avec les thèmes pronominaux en -e/o- à trois gendres; en ouralien, on doit comparer la partie centrale du suffixe de l'abessif, *-kta- (ou bien *-pta-), p. ex. dans linn. kala-tta »sans poisson« = lap. S kuolë-hta m/sens, proto-finn. *kala-kta-k; le même élément suffixal réapparaît dans certains adverbes/conjonctions en *-kta(-k?), p. ex. finn. jo-tta »pour que«, lap. juktie »parce que; pour que«, de proto-finn. *jo-kta (v. Szinnyei, F.-ugr. Sprachw.2 91sq.; Posti, FUF. XXXI (1953-54), pp. 44 et suiv.; etc.). Le prototype *jokta que nous venons de poser répond lettre par lettre à i.-eur. pré-apophon. *yâ-Hte, d'où i.-eur. *yât (et "yët, *yôt, à cause des actions analogiques du paradigme ordinaire) = v. ind. yâ't adv. »insoweit als; so lange als« (Grassmann); cf. Brugmann, Grdr.2 II 2, 697. Il est bien naturel que les adverbes en "-et (= justement ablatif sing.) remontent par là à des prototypes en **-é-Hte (indo-oural. théorétiquement **-éX-kta), avec le déplacement nécessaire de l'accent sur la finale du thème (v. §3.4). On aurait de là *senë't à l'époque de l'indo-européen tardif. §4.5. Suivant les pp. 61—62 de notre Deklination, l'instrumental du sing. en *-ë' des thèmes consonantiques (v. ind. pad-â' »par le pied«, path-5' »par le chemin«), mais aussi celui à allongement de la voyelle finale du thème (i.eur. *wl0quô »par le loup« = lit. vilkù) remonte à un 48 Bojan C op type en *-He de l'époque pré-apophonique, identique à un cas spécial de l'ou-ralien, ditprolatif (ouprosécutif), terminé par la désinence *-Jca (cf. mordv. kia-va »par le chemin«, lap. deikë »ici, par ici« de *de-kki), cf. Collinder, Comp. Gr. 295sq. Ici encore, la règle de §3.4, pt. b), se réalise: i.-eur. *ped-ë' »par le pied« remonte à une forme pré-apophonique *peDé-He, avec le déplacement de l'accent. Mais le même. déplacement doit avoir eu lieu dans la déclinaison des thèmes en -e/o-: un adverbe tel que v. ind. daksinâ' remonte à i.-eur. *-në' et ceci à pré-apophon. :inè'-He, indo-oural. théorétiquement "-éX-ka. §4.6. Au locatif sing., le suffixe *-i, connu de la plupart des locatifs sing. de toutes sortes des thèmes, semble être un élément suffixal tardif (cf. v. ind. udân »dans l'eau« et udâni m/sens, où la première des deux formes est naturellement la plus ancienne). Mais en parlant des thèmes en -e/o-, on pourrait admettre que cet élément désinentiel y est très ancien, ajouté au thème nu en prim. *-eX-. Parce que ce thème était terminé, à cette époque-là, par une consonne (= -X-), la désinence *-i devait ajouter au thème une syllabe additionnelle, ce qui fit entrer en action notre règle de déplacement de l'accent: i.-eur. pré-apoph. -'-éX-i > i.eur. tardif *-éz. Mais ici, il y a une difficulté d'ordre phonétique: peut on attendre que le groupe de trois éléments phoniques (*-éXi) ait donner sans aucune action analogique tout simplement la diphthongue *-eî à intonation douce (cf. gr. dipleî, oïkoï, lit. namiê)? Il est vrai que nous ne savons presque rien des changements phonétiques embrassant le temps entre l'époque pré-apophonique et l'indo-européen commun de Brugmann; mais il serait acceptable que la consonne *-X- soit tombée entre deux voyelles, sans que la moindre trace en fût apercevable dans la désinence en cause.5 Si au contraire l'addition de la désinence *-i est de l'époque post-apopho-nique, le déplacement de l'accent sur la terminaison -eî serait analogique: parce que ce type des locatifs était réservé aux adverbes dénominaux, les deux autres types adverbiaux, celui de l'ablatif et celui de l'instrumental, pouvaient servir de modèles en question de l'accentuation; il y a d'autres phénomènes analogues dans la flexion des thèmes en -e/o- et dans leur système morphologique: en grec, l'acc. sing. en -on — i.-eur. *-om (où aucun déplacement de notre type ne serait possible), en fonction adverbiale a quelque fois pris l'oxytonaison, cf. authëmerôn »le jour même« (d'un adj. '-authë'meros, s La contraction des deux éléments vocaliques de cette terminaison (pré-apophon. *-è'-i de *-éX-i) a tout de même entraîné l'intonation douce, ce qui a lieu seulement quand la première des deux voyelles contractées avait le ton (ainsi en grec). Ainsi, la place de l'accent primitif peut être étajblie de façon sûre. Le fait que le -i du loc. sing., dans là déclinaison des thèmes en consonne, est en général accentué (v. ind. padi, gr. podi), ne peut nullement témoigner d'un état plus ancien qui est celui des thèmes en -e/o-. Cf. en outre v. ind. pitâri, râ'jani; etc. 4 — Linguistica 49 Les changements paradigmatiques d'accentuation baryton), cf. Schwyzer, Gr. Gr. I 618; etc. L'appartenance à la même catégorie de mots a eu pour conséquence le même type d'accentuation. § 5. Nous avons passé brèvement en revue la formation des trois cas en fonction adverbiale où aussi les thèmes en -e/o- ont connu jadis un déplacement de l'accent sur la finale du thème. Le parallélisme avec les thèmes en consonne y est évident. Et la cause en est de même bien claire: la structure des deux types de thèmes était jadis, à l'époque pré-apophonique, la même, à ceci près que la finale des futurs thèmes en -e/o- formait d'abord une sorte de diphthongue, puis, après la contraction des deux éléments constitutifs de la diphthongue, une voyelle semi-longue. On peut dès lors dresser un tableau des correspondances entre les thèmes en -e/o- et ceux en consonne: indo-oural. i.-eur. pré-apophonique i.-eur. de Brugmann langue historique 1° formes à l'accent primaire nom. sing, en -s: a) b) **H6nt't'a **sô rçeX *Hdntte+s *séné + s *Hânt-s *séno-s hitt. hanz(a) lit. sênas acc. sing, en -m a) b) **H6rit't'a-m **s6i\eX-m *Hântte-m *sénè-m *Hdnt-mn *séno-m gr. ânt-a lit. sênq nom. -acc. sing. ntr. a) b) **Bârte **sôneX *bhérre *séné *bhë'r *séno hitt. pir lit. sêna 2° formes à déplacement d'accent abl. sing. a) b) **HoM't'â-ta **soi\éX-kta '■'Hantté-Oe "senè'-Hte *Hanté/às *senë't gr. kdtantes v. ind. sanâ't instr. sing. a) b) **puôé-ka **-kkéX-ka *peDé-He '"-kkè'He *pedê' *-që' v. ind. padâ' v. ind. paécâ' ?loc. sing. a) b) **-kkéX-i? *-kkè'-i *-qeî v. ind. upâkë' Commentaire: F.-ougr. *oncca »front« = i.-eur. "Hant- (§ 3.3) remonte probablement à indo-oural. **H6nt't'a. — Le *-s du nom. sing. masc. et fém. est un élément additionnel que l'indo-ouralien n'a pas connu (là, ce cas était égal au thème nu, v. notre Deklination p. 39). — Gr. ânta »en face« est vraisemblablement l'acc. sing, en *-m0 (sonante) attendu, cf. Frisk, Gr. EW. I 113. — Le mot hitt. pir (connu d'ailleurs uniquement des langues i.-eur. de l'Anatolie ancienne) »Haus und Hof« remonte à indo-oural. **Bârte = oural. *parte »poteau, perche; poutre, solive; planche« (attesté dans voty. 50 Bojan čop bord »planche«, osty. pert; etc. m/sens, finn. parsi, thème parte- »tigillum transversale ...«, v. Wicbmann, FUF. XVI (1924), p. 186 et suiv.; Collinder, FUV. 106); le groupe i.-oural. **-rt- devient en i.-eur. (à travers -rr-) -r- simple; détails ailleurs. — Lit. sêna ne peut nullement remonter à un *-od (d'après *tod), contre Otrçbski, Gram. lit. III 125; on a simple *-o aussi dans d'autres langues i.-eur., v. notre Deklination, p. 41. — L'ablatif sing. des thèmes autres que ceux en -e/o- employait une terminaison plus simple, i.-oural. "-ta (notre **-kta en dérive par l'addition de -k-), sur quoi v. notre Deklination, pp. 50— 53. — Le mot *ped- »pied« remonte à un nom d'agent primaire identique au thème verbal *ped- »tomber; aller«; le dernier est issu d'i.-oural. **put.e-»tomber« = finn. pute- m/sens; détails à apparaître ailleurs.6 — Pour l'instr. sing. et loc. sing., on peut difficilement nommer un mot complet convenable, vu que sâna- »vieux« forme sdnâ (v. Macdonell, Ved. Gr. p. 429, §643 b a). Nous avons allégué simplement la flexion d'un type suffixal qui, en v. ind., montre à plusieurs reprises notre déplacement d'accent. — Le loc. sing. des thèmes consonantiques se formait au moyen d'autres éléments flexionnels, p. ex. *-é-n (v. ind. udân »dans l'eau«, v. Deklination, pp. 55—58). Ceux types ne sont pas de notre groupe.7 §6.1. On pourrait citer vraisemblablement aussi le gén. sing. des thèmes en -e/o- qui, en germ. et ailleurs, montre une désinence à voyelle i.-eur. *-e- (*-éso = got. wulfis »de loup«); or, cette voyelle réapparaît aussi dans les trois cas discutés plus haut (§§ 4.4—4.6) et témoigne de l'oxytonaison du thème en cause: i.-eur. serait donc *-é-so. Malheureusement, on peut expliquer cet -é- aussi par l'action analogique des thèmes pronominaux à trois genres, p. ex. got. this de *té-so (bien que celui-ci puisse, de sa part, être influencé par la flexion nominale). Si cet -é- de *-é-so pouvait être pris pour non analogique, on pourrait rappeler le gén.-abl. (ancien abl.) sing. des thèmes en consonne, v. notre tableau et le commentaire: il y aurait le même déplacement, causé par l'addition d'une syllabe complète (i.-oural. **-ia). §6.2. Au datif sing. des thèmes en -e/o-, on a toujours le degré -o- dans la finale, dans la plupart des langues *-ôi (gr. lijkôi »au loup«), en 6 Dans indo-oural. '■'■put.e et le verb ~put.e- »tomber«, nous avons employé, à cause des difficultés typographiques, le -t.- pour noter une dentale cérébralisée, connue de cette époque-là. L'ouralien connaît des palatales (-t'-, etc.) et des cérébrales (-c- pour -t- à point mis dessous) qui étaient réalisées comme des affriquées (-6-; etc.). En indo-ouralien, ces consonnes étaient encore des simples occlusives qui devaient donner, selon la rem. 3, ou bien des occlusives purement dentales (en cas des géminées) ou bien des spirantes (au cas des occlusives simples) en indo-européen commun. Mais il y a de nombreuses exceptions, entre autre le passage de la cérébrale simple de l'indo-oural. à un -d- indo-eur. i Quant à l'intonation du loc., v. la rem. 5. A l'abl. sing., l'intonation douce apparut en i.-eur., à cause de trois éléments prosodiques (v. notre Laryng. 1970, p. 213). Quant à l'instr., les langues compétentes ne s'accordent pas; on attendrait de même l'intonation douce, cf. gr. hesykhê; le tout était intoné sur la voyelle au commencement de la terminaison: *-éHe. Détails à paraître ailleurs. 51 Les changements paradigmatiques d'accentuation lit. aussi "-ou (cf. Otrçbski, Gram. lit. III 14): dial. -ua et -u, et le slave a uniquement "-ou (vl0ku »au loup«). Si nous envisageons encore le fait que l'accentuation de ce cas, en lituanien, est toujours récessive, on peut songer à un ancien cas i.-eur., conservé tel quel uniquement en hittite du vieux royaume: aruna »à la mer« (vrais, un thème en -o-j. Cette forme remonte à un type i.-eur. en *-ô dans le groupe des thèmes en -e/o-, nommé latif ou directif, v. notre Deklination, pp. 42—48; suivant l'exposition des données que nous avons fait là (v. encore, sur les faits hittites, Laroche, RHA. XXVIII (1970/1971) pp. 22 et suivv.), on doit poser, pour l'i.-eur. ancien, les formations suivantes: a) thèmes en consonne: lat.-direct. en "-a; h) thèmes en -e/o-: lat.-direct. en *-ô. Ce latif remonte à une formation casuelle indo-ouralienne usitant le for-matif **-k, cf. finn. dial. ala-k »vers le bas«; en i.-eur. pré-apophonique, on aurait dès lors a) "-a-H et b) *-è-H. La désinence n'enfermant qu'une consonne unique sans voyelle, l'accent devait rester sur la première syllabe des thèmes dissyllabiques, v. § 3.4. L'accentuation lit. est donc en ordre, de même la voyelle *-ô de nos terminaisons *-ôi et *-5u. Les éléments. *-i et *-u, réapparaissant ailleurs comme des formatifs du datif, devraient être ajoutés au latif nu en *-5 seulement à une époque tardive, vu que le domaine indo-européen est partagé, par l'opposition *-ôi : "-ou, en deux parties, v. ci-dessus. Le degré qualitatif -o- qu'on rencontre ici comme exclusif, témoigne en faveur de notre explication, car il est bien causé par la barytonaison de la forme. § 7. L'ensemble des phénomènes qui ont conduit à la constitution des cas obliques en fonction adverbiale des thèmes en -e/o- montre que le déplacement de l'accent sur la finale du thème était à l'origine purement méchanique, tout comme dans la déclinaison des thèmes consonantiques. Seulement plus tard, après la période de la réduction vocalique, ce déplacement fut phonémisé et devint une marque distinctive, quand les. thèmes en -e/o- substituèrent leur finale -e- généralement par le -o-; ainsi, le système des thèmes en -e/o- possédait, dans certains cas, deux séries de formes, une marquée par la voyelle finale -e- et destinée à l'usage adverbial, l'autre marquée par la finale -o- et servant de cas régulier. Il y a un grand nombre d'autres questions, sur la qualité de la voyelle finale de nos thèmes; entre autres, si le type oxyton, p. ex. v. ind. et gr. "rudh-ro- »rouge« (Pokorny 872 et suiv.) était un type ancien et si sa finale était jadis généralement un -é- accentué et non un -6- accentué (le dernier attesté en Europe et en Arménie; aussi en Anatolie et en tokharien). En v. ind,, la palatalisations des gutturales devant le -â- accentué (Wackernagel, Altind. Gr. I 149), p. ex. véd. rujâ- »cassant«, atteste l'existence du degré -e-dans la finale. Ce type était-il oxyton dès le commencement? Comment alors conformer notre résultat avec l'existence du type à -e'- accentué? Il y a plusieurs possibilités; aucune ne peut compromettre la règle de déplacement de l'accent dans les adverbes issus des thèmes barytons en -e/o-. Il peut être 52 Bojan čop prétendu dès aujourd'hui que les thèmes oxytons en -é(lb)- sont au moins en partie de différente origine et non pas identiques aux barytons. En tout cas, la théorie indo-ouralienne permet de pénétrer dans le monde mystérieux des phénomènes qui ont conduit peu à peu à la constitution de la grammaire et du lexique de l'indo-européen commun de Brugmann et qu'aucune pratique linguistique, ni même celle de la reconstruction interne, ne pouvait explorer avec vraisemblance, voire même avec certitude. POVZETEK Paradigmatični naglasni premiki v sklanjatvi indoevropskih imenskih debel na -ejo-. Splošno je znano, da v sti. in gr. tkim. o-jevska debla (pravzaprav debla na -e/o-) ne poznajo naglasnih premikov, s tem pa tudi ne prevojnih alternacij. Toda prislovne tvorbe, nastale iz lok. edn., instr. edn. in abl. edn. (tako sti. sanâ't »izdavna« od sâna- »star(odaven)«) kažejo tak naglasni premik in obenem e-jevski vokalizem konč-niškega zloga (prim. sti. pascâ't »(od)zadaj« s palataliziranim -c- iz -q- pred nekdanjim ~-ë't/d, lat. facilumëd »najlaže«). Ta naglasni premik je ostanek iz tistih časov, ko so o-jevska debla imela iste prozodične razmere kot tkim. konsonantna; med te spadata pa ravno premik naglasa in z njim vzročno povezani prevoj. Sledi obeh teh pojavov so ohranjene pri o-jevskih deblih tudi sicer, ne samo v zgoraj omenjenih prislovnih sklonih. Naglasni premik v omenjenih sklonih se razlaga po indouralski teoriji tako, da je že v indouralskem obdobju besedni naglas prešel s prvega korenskega zloga na de-belni končnik, ta pa je stal takrat tik pred sklonilom: instr. edn. torej ~-'e'-He = ievr. *-e', abl. edn. *-è-Hte = ievr. *-e't/d. 53 Domenico Cernecca Zagreb CDU 804-087.-541.45(497.13 Istra) MODI INFINITIVI DEL VERBO NELL'ISTRIOTO DI VALLE L'Istria dialettale è una regione molto complessa, risultando dall'incontro e accavallarsi su un territorio abbastanza ristretto di influssi diversi prove-nienti da zone vicine e lontane, come il friulano, il veneto, il serbo-croat'o, lo sloveno, l'albanese e altri ancora di minor consistenza. Essa puô interessare perciô molti linguisti, ma in particolare il romanista e lo slavista, sia per la consistenza e il contatto secolare che qui hanno trovato fin dal medioevo le paríate romanze e quelle slave, sia perché questa simbiosi romanzo-slava è ancor oggi viva e operante. Fra le varie paríate romanze storicamente susseguitesi nel teritorio della penisola, interesse particolare riveste il gruppo dei dialetti istroromanzio istrioti1, i quali costituiscono il ramo autoctono più antico, ma vivono oggi di una vita grama e precaria in sei località dell'Istria sud-occidentale, e cioè a Rovigno, Valle, Dignano, Gallesano, Fasana e Sissano, eposti alia pressione massiccia e cocentrica del veneto-giuliano, dell'italiano e del serbo-croato. All'inizio del secolo, secondo la valutazione del Vidossi, l'istrioto era par-lato da circa 20.000 persone,2 ma oggi si pub dire che appena poche migliaia di istriani conoscano e usino queste paríate prive di tradizione letteraria nei contatti familiari e entro le mura delle singóle località. Queste paríate furono individúate per la prima volta dall'Ascoli, il quale creo per esse il termine »istrioto«, ma l'interesse scientifico per esse potrebbe farsi risalire a Giovenale Vegezzi Ruscalla che nel 1835 raccolse la versione della Parabola del figliuol prodigo nei dialetti istriani.3 In seguito si occupa- i Gli studiosi oscillano fra i due termini e taluno usa pure il termine »istriano«, che è termine certamente troppo generico. 2 G. Vidossi, »Studi sul dialetto triestino«, in Archeografo Triestino N. S. vol. XXIII, fase. II, p. 9. s C. Salvioni e G. Vidossich »Versioni istriane della Parabola del figliuol prodigo«, Archeografo Triestino, Serie III. 8 (1919). Le versioni in »Veneziano italiano dell'Istria méridionale«, in »Volgare di Dignano«, in »Volgare di Valle«, in »Volgare di Rovigno«, in »Slavo méridionale dell' Istria (Barbana)« in »Albanese« furono raccolte nel 1935 dal can. Pietro Stancovicli di Barbana d'Istria e inviate a Bortolo Gamba, vice bibliotecario della Marciana di Venezia, il quale lo aveva interessato a questo lavoro per conto del Vegezzi Ruscalla con suggerimenti e incoraggiamenti a estendere questi lavori a tutta l'Italia, come risulta dalla lettera dello Stanovich al Gamba del 20 setiembre 1953: »Cosa-dicevo-a mió credere, della massima importanza per la storia e la filología«. La lettera si conserva nel tesoro della Biblioteca scientifica di Pola. 55 Modi infinitivi del verbo nell'istrioto di Valle roño dell'istrioto il lingüista A. Ive,4 che lo collego col ladino, in ció seguito da C. Merlo e da A. Trauzzi, M. Bartoli che lo mise in relazione coi dialetti dell'Italia costiera centro-meridionale, C. Battisti, G. Vidossi e C. Tagliavini che lo apparentano al veneto e gli ríconoscono caratteristiche arcaiche. Dell'istrioto si occuparono puré il lingüista croato P. Skok, il quale cre-dette di vedere in esso una parentela col dalmatico, e infine M. Deanovic e P. Tekavcic, i quali se ne sono occupati piü a fondo di tutti e credono di dover assegnare a questo dialetto una posizione autonoma quale risultato di un particolare sviluppo del latino medioevale sul territorio dell'Istria dopo l'arrivo delle popolazioni slave nella penisola. I dialetti istrioti delle sei localita, pur appartenendo alia stessa famiglia, presentano notevoli differenze fonetiche e morfologiche le quali un tempo, quando ogni borgata viveva isolata o con scarsi contatti con le localita vi-cine, dovevano rendere abbastanza laboriosa la comprensione reciproca;5 tant'é vero che ogni núcleo dialettale canzonava e disprezzava gli altri e i saltuari contatti venivano generalmente affidati a chi sapeva »favelá a la syóra«, cioé a chi era in grado di usare la koiné veneta. Essendo i dialetti di Rovigno e quello di Dignano stati illustrati ampia-mente dal Deanovic, rispettivamente dal Tekavcic,6 e dato che abbiamo dedi-cato qualche attenzione alia fonología e alia morfología del nome e dell'agget-tivo del dialetto di Valle d'Istria,7 vogliamo in questo nostro contributo anticipare alcuni risualti della nostra inchiesta sul verbo, trattando le forme infinitive. Nelle forme in cui puó presentarsi, il verbo valiese risulta costituito dai seguenti elementi: il lessema, il quale puo anche prendere la forma di due o piü allomorfi, il suffisso, la cui presenza é imprevedibile e modifica il valore semántico del verbo (alterazione e derivazione), il morfema modale * XI suo libro Dialetti ladino-veneti dell'Istria, Strasburgo, 1900 é il primo studio esauriente di queste paríate. 5 Ecco qualche esempio di divergenze fonetiche e morfologiche che possono rendere difficile la comprensione: Rovignese Dignanese Valiese soj] soy t) sér¡ (sono) zémo zor¡ zémo (andiamo) giry§mi yérondo yérundu (eravamo) d§ygo deygi digi (dico) kantivo kantavo kantévi (cantavo) kuguya čuka čoka (chiocciola) lumbr§ya ombri lumbr§la (ombrello) 6 Del Deanovic ricordiamo, fra gli altri, il saggio critico »Studi istrioti«, in Studia Romaniea et Anglica Zagrabiensia (sigla SRAZ), I, 1, 1956, p. 3—82 e 1'Avviamento alio studio del dialetto di Rovigno d'Istria, Zagabria, 1954, pp. 1—126. Dei numerosi lavori del Tekavčic oi limitiamo a ricordare la monografía sul dialetto di Dignano: »Današnji istroromanski dijalekt Vodnjana«, in Rad, 348, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti (Accademia Jugoslava Scienze ed Arti), Zagreb, e »II comune e lo specifico nel dominio istroromanzo« in SRAZ, 33—36, Zagreb, 1972-73, p. 639—678. 7 Del dialetto di Valle d'Istria ci siamo occupati in »Analisi fonematica del dialetto di Valle d'Istria« in SRAZ, 23, 1967, pp. 137—70 e in »Morfología del dialetto di Valle d'Istria -Nome e pronome«, SRAZ, 29—32, 1970—1971, pp. 99—120. 56 Domenico Cernecca temporale (che chiamiamo infisso), il quale caratterizza le singóle voci verbali e puô presentarsi sotto forma di due o più varianti oppure al grado »zéro«, e il formante che è l'elemento distintivo délia persona e del numero e puô assumere forme diverse o avere pure grado »zéro«. Talvolta il lessema è preceduto da un prefisso. I compomenti ricordati si dispongono sull'asse orizzontale nell'ordine seguente: prefisso: des- bâti8 (buttar giù, abbattere), lessema: bat-i, (battere), suffisso: bat-wc-à (battere leggermente e ripetutamente), infisso: bat-ew-i (battevo), formante: bat -i (batto). Ognuno degli elementi costitutivi porta la sua parte d'informazione, pur essendo il valore semántico affidato essenzialmente al lessema, che puô subiré variazioni multiple, ma non ridursi, ovviamente, a »zéro«. I tratti semantici del valiese sono legati a un certo numero di opposizioni che si rivelano col método délia commutazione. II dialetto valiese conosce tre forme infinitive, e cioè: l'infinito, il participio passato e il gerundio. Infinito L'infinito esprime l'idea verbale in modo indeterminato e generico, senza indicare il tempo, il numero e la persona dell'agente. Esso è formato dal lessema, a cui aggiunge il formante deU'infinito: kat-à (trovare). Talvolta il lessema è preceduto da un prefisso, come nel verbo des-karegà (scaricare) o seguito dal suffisso derivativo: kant-ws-à (canticchiare). L'infinito puô assumere la funzione del nome, ma non è mai in grado di esprimere l'opposizione del genere e del numero, per i quale il valiese, come gli altri dialetti romanzi, ricorre a marche particolari: dizna (pranzare), ma l diznà (il pranzo). II verbo valiese mostra la sua derivazione latina, della quale ha mantenuto tutte e quatro le coniugazioni, ma operando numerosi spostamenti dall'una all'altra. Nel passaggio dal latino al dialetto, l'infinito ha subito l'apocope del segmento -re, ma non ha cambiato la sede dell'accento, pur subendo talvolta profonde modificazioni lessematiche. L'infinito valiese puô essere perciô soltanto ossitono o parossitono: kantà (cantare), dové (dovere), méti (metiere), sparñ (spartire). Nello stadio attuale l'infinito valiese presenta quatro formanti diversi, i quali abbracciano la totalità dei verbi, meno la forma cô (prendere), da *tyor, tollere, la quale è isolata e si oppone a tutte le altre. Le coniugazioni latine si riflettono in quelle vallesi come segue: -ARE -à: kant-à (cantare); -ÉRE -é: dov-é (dovere); -ËRË -i: mét-i (mettere); -IRE -i: fin-i s Adottiamo i segni della Carta dei dialetti italiani, Barí, 1965, p. 28—29, ad ecce-zione della sibilante dentale sonora che indichiamo con z e per le semivocali che indichiamo con y e w. Indichiamo con l'accento acuto (') le vocali e, v, chiuse: é, ó, per motivi ternici. 57 Modi infinitivi del verbo nell'istrioto di Valle Ecco un elenco di verbi delle quattro coniugazioni: 1) -á: kata (trovare), sapa (zappare), mena (menare), maná (mangiare), pastená (dissodare), zbregá (stracciare), gusa (agguzzare, affilare), ara (arare), scopá (scoppiare), kroka (covare), mola (mollare), rozegá (rosicchiare), vardá (guardare), subya (fischiare), despuya (spogliare), nkalsa (incalzare), cama (chiamare), toza (tosare), sfalsá (falciare), sezolá (metere), romasa (rumoreggiare), morsegá (mordere), paskola (pascolare), susudá (singhioz-zare), da (daré), fa (fare), sta (stare), desfá (distare), grisolá (cigolare), rugumá (ruminare), spariúá (risparmiare), furiúá (forare, stuzzicare), la(v) ora (lavorare) ecc. 2) -é: voré (volere), podé (potere), dové (dovere), savé (sapere), paré (parare), vé (avere). 3) -'i: méti (metiere), védi (vedere), krédi (credere), véndi (vendere), rómpi (rompere), dormí (dormiré), bévi (bere), kólzi (cogliere), sórbi (sorbire), ónzl (ungere), pónzi (pungere), skóndi (nascondere), zmólzi (mun-gere), bati (battere), zbati (sbattere), ardí (ardere), kay (cadere), tray (trarre, durare), tazi (tacere), nvqrzi (aprire), téúi (tenere), viví (vivere), esi (essere) ecc. 4) -i: finí (finiré), kapi (capire), sparti (spartire), kulpl (colpire), padl (patire), muri (moriré), mbinidi (benedire), maladi (maledire), spari (sparire), deskompari (scomparire), vari (guariré), impl (riempire), kundi. (condire), serví (servire), bul (bollire), (v)uldi (udire), vira (venire), rustí (arto-sitre), kuzi (cucire), di (diré), zl (andaré) ecc. Come negli altri dialetti romanzi, la coniugazione piü numerosa é quella in -á, nella quale, giá di per sé consistente, sono confluiti parecchi verbi dalle altre coniugazioni, mentre la forma in -é é rimasta la piü povera e la meno vítale e produttiva. Vigorose sono anche le coniugazioni in -'i e in -i, a proposito delle quali va ricordato che la prima, nella quale sono confluiti generalmente i verbi in ÉRE, comprende anche voci provenienti dai verbi in IRE che seguono in parte la coniugazione istriota in -'i, come dbrmi (dormiré) che alia I e alia II pers. pl. del presente fa durm-imo, dur-mi(de), mentre la seconda, a sua volta, abbraccia verbi che in certe persone dei modi finiti ricor-rono all'infisso incoativo, come l'italiano letterario, e altri che non vi ricorro-no. Nella coniugazione in -i possiamo dunque incontrare forme come: fin-is-i (finisco), var-is-i (guarisco), spart-is-i (spartisco) e mur-i (muoio), vóld-i (odo). Va ricordato ancora che i verbi di, zi, vini, in certi tempi seguono il paradigma dei verbi in -'i, come per esempio: diz-év-i, z-év-i viúév-i. Anche il verbo 6b (prendere), che all'infinito ha formante 0, si coniuga come i verbi in - i: Participio presente Delle forme del participio latino, il participio presente ha perduto ogni valore verbale e aggettivale, meno che nella forma laorento (laborioso) e si 58 Domenico Cernecca é conservato solo in pochi casi con valore di nome: l kantante (il cantante), l kavalgante (il mago), Valgalante (toponimo), l jante (il banditore), l pon-zénto (il cardo pungente). Participio passato Indica azione giá compiuta e puó esprimere le opposizioni del genere e del numero servendosi delle marche dell'aggettivo, della natura del quale partecipa, ma non é in grado di indicare l'opposizione della persona. Unito alie forme del verbo §si o del verbo vé, il participio passato concorre alia formazione dei tempi composti della diatesi attiva e passiva. Símilmente agli altri dialetti romanzi, se nel tempo composto si usa il verbo §si, il participio passato é in grado di indicare con la sua struttura fórmale il numero e il genere dell'agente; se invece si usa il verbo vé, tale possibilitá viene a mancare. Notiamo ancora che l'uso dell'ausiliare vé é molto piü esteso che in molti altri dialetti romanzi, coincidendo con la tendenza del veneto e dei dialetti dell'Italia settentrionale in genere: l yo partí (e partito), l yo skampá (é fug-gito), yo pyovésto (é piovuto), ma l zé kayü', la zé kayuda (é caduto, é caduta) ecc. II participio passato é costituito dal lessema, che é generalmente uguale a quello dell'infinito: sap-á (zappare), participio passato: sap-á, ma puó avere anche forma diversa: rómp-i (rompere), participio passato: ró-to, dall' infisso: bat-i (battere), participio passato: bat-ud-a (battuta), e dal formante che esprime l'opposizione del genere e del numero: rómpi, participio passato: ró-to, -ta, -ti, -te o da formante invariabile: pod-é (potere), part. passato: pod-és-to. Mentre il lessema é sempre presente come elemento essenziale della struttura, l'infisso e il formante possono avere grado »zero«. Nella formazione del participio passato, infissi e formanti sono stretta-mente legati, per cui é necessario tráttare insieme questi due segmenti. Verbi in -a II participio passato presenta le seguenti variazioni: 1) infisso: -a, -ad e formante: 0/-a/-¿/-e II modello é seguito da tutto il gruppo dei verbi in -á, eccettuato il verbo Ja (fare); 2) infisso 0 e formante: -to[-ta/-ti/-te. Vi appartiene soltanto il verbo fá: fa-to/-ta/-ti/-te. Verbi in -é Questi verbi presentano le forme seguenti: 1) infisso: -es- e formante: -to invariabile. 59 Modi infinitivi del verbo nell'istrioto di Valle I due segmenti ricorrono solo nei verbi modali: savé (sapere), part. pass. sav-és-to; podé (potere) pod-és-to; dové (dovere): dov-és-to; voré (volere): vor-és-to. Dové e voré, accanto alia forma forte possono avere anche la forma: pusù e (v)usù. A questo gruppo appartengono anche i verbi paré (parere): par-és-to e vale (valere): val-és-to. Questi participi non esprimono l'opposizione del genere e del numero e usano come ausiliare il verbo vé. Verbi in -'i Questi verbi presentano le forme seguenti: 1) infisso: -u/-ud, formante 0/-a/-¿/-e Questo tipo s'incontra solo nei verbi véndi (venedere), téúi (tenere), bévi (bere), coúósi (conocsere) i quali presentano l'alternanza del lessema: e — i: viúd-ü, viúd-ud-a, viñd-ud-i, viñd-ud-e; tiú-ü, tiñ-ud-a, tiñ-ud-i, tiñ-ud-e; bi(v)-ù, bi(v)ud-a, bi(v)-ud-i, bi(v)ud-e; o — u: kuúus-ü, kuúus-ud-a, kuúus-ud-i, kimus-ud-e; In questo gruppo rientra pure Fausiliare vé il quale presenta l'alternanza consonantica v — b: b-ù, b-ud-a, b-ud-í, b-ud-e. 2) infisso: 0, formante: -o/-a/-¿/-e. Vi appartengono i verbi méti (mettere), dicidi (decidere), pçrdi (perdere), dividí (dividere), nei quali la dentale del lessema si assibila: més-o, -a, -i, -e; pçrs-o, -a, -i, -e; diciz-o, -a, -i, -e; diviz-o, -a, -i, -e. 3) infisso: 0, formante: -to/-ta/-ti/-te. A questo gruppo appartengono i verbi seguenti: lézi (leggere), pónzi (pungere), ónzi (ungere), spénzi (spingere), frizi (priggere), strénzi (stringere), nvçrzi (aprire), dezmçrzi (sprecare), koverzi (coprire), deskovçrzi (scoprire), destruzi (distruggere), nei quali ricorre l'alternanza consonantica: z/t: lé-to, -ta, -ti, -te; pón-to, -ta, -ti, -te ecc. II verbo skrivi presenta due forme: skri-to e skriv-és-to mentre il verbo rómpi ha l'alternanza mp-t: ró-to, -ta, -i, -e. 4) infisso: es- formante: -to. Vi appartengono i verbi vivi (vivere), tazi (tacere), kori (correre), pyovi (piovere), piü alcuni verbi i quali, pur essendo transitivi, non sono usati al passivo, come respondí (rispondere) e réndi (fruttare, vomitare): respon-és-to, rend-és-to: S ta pyantada yo rendésto tre kari de iia (questa vigna ha reso 60 Domenico Cernecca tre carri di uva). L yo, bi(v)ü duto l viñ e póy l yo rendésto (ha bevuto tutto il vino e poi ha vomitato). Verbi in -i Presentano grande varieta di infissi, con i soliti formanti: 1) infisso: -i/-id, formante: 0, -a/-i¡-e. Vi appartiene il folto gruppo dei verbi in -i, come vari (guariré), galanVi (garantiré), kuzi (cucire), ofri (offrire), kapi (capire), impí (riempire), nutrí (nutriré), mbuski (imboschire) tradi (tradire), spartl (spartire), mbinidi (benedire) mbasti (imbastire), bul (bollire), rustí (arrostire), zi (andaré) ecc. var-i. var-id-a, var-id-i, var-id-e kuz-i, kuz-id-a, kuz-id-i, kuz-id-e 2) infisso -is-, formante: -to Questo infisso ricorre nel verbo dull (dolere) dul-is-to; 3) infisso -u/-ud: formante: 0/-a/-¿/-e. Questo infisso ricorre solo nel verbo viñ i (venire): vin-ü viñ-ud-a, viñ-ud-i, viñ-ud-e. 4) infisso: 0, formante: -to/-ta,/-ti/-te. Vi appartiene il verbo (ñ (diré) di-to, -ta, -ti, -te e muri (moriré) che presenta l'alternanza del lessema: u/-o: mor-to, -ta, -ti, -e. 5) infisso: -l-, formante: -to/-ta/-ti/-te. Vi appartiene il vebo có il quale per fare il participio ricorre alia variante cól: cól-to, -ta, -ti, -te. ma presenta anche la forma forte: col-és-to invariabile. Da quanto si é esposto finora si vede che é estremamente difficile pre-vedere la forma del participio passato dei singoli verbi. Solo i verbi in -tí e i verbi in - i, i quali costituiscono pero la grande mag-gioranza dei monemi verbali seguono un sistema uniforme, vale a diré sono »regolari«, con un numero insignificante di eccezioni. Dei verbi in -a occupa un posto a sé il verbo fá, e dei verbi in -i solo quattro verbi si. sco-stano dalla regola, e cioé viñi, che fa viú-u, -ud-a, -ud-i, -ud-e e per questo ri-spetto si collega con certi verbi in -'i; di, muri, i quali, per l'infisso 0 e per il formante in -to, -ta, -ti, -te si avvicinano anch'essi al gruppo dei verbi in -'i, mentre un solo verbo duli, col suo infisso in -is- e il suo formante in -to improduttivo, si distacca da qualsiasi modello. La maggior varieta di infissi si riscontra nei verbi in -'i, i quali, su un gruppo di ventisei mostrano di seguire quattro modelli. Dodici verbi, cioé quasi la meta del gruppo, hanno infisso 0, come fá dei verbi in -a, e di e mwñ dei verbi in -i. Sei verbi con infisso -es- si collegano, per il. formante in -to, ai tinque verbi in -é. Un verbo con infisso -is- e isolato, mentre altri quattro hanno infisso -u, -ud, come viú-ü, caso único nei verbi in -i. 61 Modi infinitivi del verbo nell'istrioto di Valle La varietà di infissi e di formanti che ricorre nella formazione dei parti-cipi passati è dovuta al fatto che nella coniugazione in -'i sono confluite molte forme verbali dalle altre coniugazioni latine: véndi (vendo), téñi (teneo) ecc. La serie dei verbi in -é è la più povera di infissi ed è anche la meno numerosa. Infatti, di fronte a -es- che è l'infisso di tutti i pochi verbi della serie, si ha solo il caso di vé che è ridotto alla radice b + u, ma ha formante 0, probabilmente perché fungendo da ausiliare si è ridotto al ruolo di strumento grammaticale. Anche i formanti mostrano di seguire la stessa via. Infatti le dus classi di verbi più numeróse usano il formante 0, -a, -i, -e, mentre solo in pochi casi ricorrono al formante -ío, -ta, -ti, -te e solo sei verbi, cinque in -é e uno in -i usano il formante invariabile in -to. Notiamo ancora che alcuni verbi presentano varianti facoltative: vorésto e fvjusù, e che la formazione del participio passato è legata ad alternanze vocaliche e consonatiche del lessema, come per esempio: vendí ■— vindii; muri — màrto; vé — bu. Si rileva pure che vi è correlazione fra il grado dell'infisso e il tipo del formante. Infatti, dove l'infisso è 0, il formante è sempre -to, -ta, -ti, -te, mentre l'infisso -es- e -is- sono legati al formante invariabile. Seguono questo modello solo i verbi modali e il verbo dulï. Un solo verbo, cioè l'ausiliare vé ha rinunciato al formante per spirito di economía. Bisogna notare pero che, in perfetta sincronía con l'italiano lette-rario, il participio diventa variabile quando il complemento oggetto viene ripreso mediante il pronome personale átono. Esempio: L sà, miscér i lu yà bu. (il loro mestiere lo feanno avuto). La sô, paga i la yo buda (La loro paga l'hanno avuta). I sà, sàldi i li yà, budi. (I loro soldi li hanno avuti). Le sà, parte i le yà, bude. (Le loro parti le hanno avute). Come si vede, questo participio presenta la variante b, infisso -u-e formante 0 al maschile singolare, mentre ha infisso -ud- e formanti regolari al femmi-nile e al plurale. II formante in -o del maschile singolare si incontra soltanto nei quattro verbi con infisso -s- e pud considerarsi allomorfo del formante 0 che ricorre nei verbi »regolari« in -à, -'i, -i. Notiamo infine che alcuni verbi, come lézi e pónzi hanno due participi, uno variabile che copre tutti i generi e numeri, in -to, -ta, -ti, -te con infisso 0 e uno con formante invariabile, in -to e infisso -es-: lé-to, -ta, -ti, -te e lez-és-to. Da quanto esposto finora si vede che la distribuzione dei formanti e degli infissi è prevedibile soltanto nei verbi in -à (meno il verbo /à) e in quelli in -ï (meno pochissimi casi isolati, come vifñ, duñ, di, murl), mentre in tutti gli altri casi presenta grandissime difficoltà. 62 Domenico Cernecca Riassumendo, le forme possibili del participio passato sono: Lessema infisso formante variante del lessema 0 -to/-ta/-ti/-te -o/-a/-i/-e lessema o variante -is- -es--a/-ad -u/-ud -i/-id L'alterñanza -a/-ad, -i/ -id, -u/ud è legata all'allomorfo del formante e l'in-verso: quando il formante è 0, l'infisso è -a/-i/-e, quando il formante è -a/-i/-e l'affisso è 0 /-ad/-id/-ud. Gerundio Indica azione simultanea con altra azione di modo finito, délia quale riflette pure la persona, il genere e il numero che non è in grado di espri-mere con marche particolari. La struttura del gerundio valiese coincide con quella dell'italiano. E'for-mato dal lessema dell'infinito piü i suffissi, come segue: verbi in -à: suffisso -ando: kant-ando; verbi in -é: suffisso -endo: sav-éndo; verbi in -'i: suffisso -endo: vend-éndo; verbi in -i: suffisso -indo: fin-indo. Talora, ma i casi sono rari, la formazione del gerundio provoca variazioni nel lessema, come p. es. in dórmi: durmindo. I verbi ardi, ezisti, pçrdi, pur appartenendo alla serie dei verbi in -% for-mano il gerundio come i verbi délia classe in -i, aggiungendo -indo al posto di -endo, come dovrebbero: ardi: ard-indo ezisti: ezist-indo pçrdi: perd-indo. II gerundio non entra mai direttamente nella frase, ma è introdotto dal morfema a. Esempi: A durmindo l zé kayù dal Içto. (Dormendo è caduto dal letto). L yb parti a kantando. (é par tito cantando). SADRŽAJ Nakon kračeg uvoda u istriotske študije, autor proučava ne finitne oblike glagola u Balama, jednom od šest sela gdje se istroromanski dijalekt upotrebljava i danas u okviru obiteljskog i seoskog života. j -to [ (Ö /-a /-i/-e 63 Momcilo D. Savic Beograd CDU 801.559.13/.15(497) L'ESPRESSIONE DEL PASSATO NEI QUOTIDIANI DELLE LINGUE BALCANICHE* È inutile sottolineare che le lingue paríate dai popoli délia Penisola balea-nica vanno d'accordo in molti punti, pur non avendo la stessa origine. Le affinità in questione sono dovute tanto alla simbiosi quanto alla convivenza prolungatasi a un periodo plurisecolare. Perô se non è sempre possibile determinare i confini etnici di un popolo balcanico (cosa che trova riscontro anche altrove), non è neanche meno facile segnarne i rispettivi limiti linguistici. Senza dubbio, possi.amo supporre che la situazione in questo campo fosse molto più complicata nei secoli scorsá, essendosi costituite le nazioni vere e proprie appena con le rivoluzioni borghesi, e specialmente se ricordiamo che in certe zone dei Balcani continuano ad essere applicate più lingue e che vi incontriamo oggi stesso un numero non insignificante di persone bilingui owero plurilingui.1 E tenendo conto di questo momento vorremmo esaminare come venga espresso il tempo passato, una categoría temporale indispensabile dal punto di vista logico, nei linguaggi dei popoli balcanici.2 Siccome è difficile, perô, individuare i linguaggi vivi, essendo quasi sempre incoglibili ed indefinibili, dato che tutte le lingue balcaniche (il che vale anche parlando di lingua in generale) posseggono più dialetti (per non discúteme delle paríate di cui abbiamo a disposizione scarse descrizioni complete, il che — se anche non ci mancasse — esigerebbe, a sua volta, uno spazio che superasse di gran lunga le poche pagine di un contributo sintattico-stilistico come il nostro), abbiamo deciso di ravvisare il problema di cui ci interessiamo alla lingua dei quotidiani, consci délia quasi impossibilité di trovare un códice rappresentativo su cui esaminare le dette lingue e convinti che il linguaggio giornalistico, destinato ad informare i ceti più larghi délia popolazione, sia davvero un mezzo di comunicazione accessibile a tutti quelli che si servono délia lingua rispettiva ovvero dei suoi dialetti o delle paríate. Nello stesso tempo riteniamo che in questo modo abbiamo intavolato la discussione sulla comunicazione vera e propria, e non sull'espressione affeittiva qual'è per lo più il linguaggio quotidiano, il che vuol dire che le nostre ricerche si ristringono a determinate pagine dei giornali. Rileviamo subito che il nostro lavoro è limitato all'esame di quei tempi verbali dell'indicativo che rispecchiano la categoría del passato, quella cioè del preterito del presente, e non all'esame di quei mezzi temporali che servono ad esprimere il preterito del passato, cioè il piuccheperfetto.3 Sottolineiamo 5 — Lingüistica 65 L'espressione del passato neí íjuotidíani delle lingue Balcaniche ancora che non abbiamo compreso in queste pagine cosiddette forme plu-ricomposte (in francese «formes surcomposées» del tipo j'ai eu fait), le quali, sebbene di rado, fanno parte dei quotidiani pubblicati nelle lingue balcaniche, benché questi tempi spettino páuttosto alla categoria del passato che a quella del preterito del passato (il che resta discutibile).1 Passando al punto essenziale del presente lavoro dobbiamo mettere in rilievo che il nostro interesse è rivolto — in primo luogo — a esaminare come si comportino le lingue balcaniche riguardo al problema dell'espressione sintética ed analitica relativa al passato/ Trattandosi perô di un problema com-plesso, legato a lingue di varia origine slava, romanza ed altra), e non avendo la possibilité d'intavolare in questa sede una discussione approfondita, dovremo evitare una premessa a parer nostro importantissima: se cioè nelle forme verbali la funzione delle quali è argomento del nostro lavoro abbiamo da fare col «passato» o col «preterito» o con qualcosa d'altro, visto che, p. es., la Riaggior parte delle lingue balcaniche (non tutte) adopera, oltre al termine proprio, anche l'appellativo d'aoristo per indicare il perfetto (passato) semplice. Questo fatto, da un lato, nonché il tempo limitato a pochi minuti, daU'altro, ci hanno spinto a tralasciare l'uso dei termini adoperati da ciascuna delle lingue balcaniche per le forme temporali in parola, pur sapendo che la terminologia esistente non si riduce mai a etichetta ma segna qualche volta anche il valore funzionale.0 Il problema, perô, l'abbiamo risolto ricorrendo a una terminología abbastanza semplificata, formata in base ai termini messi in uso dalle grammatiche francesi (imparfait, passé simple, passé composé), con poche modifiche, sperando che le denominazioni, pur essendo artificiali, siano comprensibili a tutti. Applicheremo, dunque, i seguenti termini: l'imperfetto, il passato semplice e il passato analitico (e quest'ultimo sottolinea molto bene la sostanza délia nostra indagine). Volendo prendere in esame come si rispecchia il problema in questione sui quotidiani delle lingue balcaniche, abbiamo tentato di giovarci degli esempi di ciascuna delle dette lingue sfruttandone brani tipici dai giornali pubblicati nelle capitali dei rispettivi Paesi. Anche se, forse, sarebbe sitato più giusto cominciare l'esame col greco, la cui tradizione antichissima supera di gran lunga tutte le altre lingue dei Balcani, noi abbiamo preferito proseguire nel senso opposto e, andando da nord a sud, abbiamo cominciato col romeno ed il serbocroato per passare poi al búlgaro, al macedone e all'albanese per con-cludere, infine, col greco. Quanto all'ungherese e lo sloveno, non li abbiamo inclusi nelle nostre ricerche, ritenendo che si tratti delle lingue che difficil-mente si inquadrano fra quelle balcaniche, almeno dal punto di vista del problema di cui ci occupiamo.7 Ma ci siamo giovati del turco, pur avendo da fare con una lingua non indoeuropea, che possiede le forme verbali sintetiche, tanto differenti da quelle delle lingue europee.8 Questo fatto, perô, giusti-fichiamo col dire che il sistema verbale turco, che esprime il tempo passato ora con le forme terminanti in -di ora con quelle terminanti in -mi§, non è restato senza influenza su alcune lingue balcaniche, p. es., il búlgaro, il macedone, parzialmente l'albanese e, forse, anche qualche dialetto serbocroato." 66 MomÈilo D. Savic Trattando il problema di come viene espresso il passato nei quotidiani pubblicati nelle lingue balcaniche, dovremo occuparci del problema di ciascuna singóla lingua, e dire che non escludiamo che le conclusioni a cui perverremo non potranno essere che parzialmente inquadrate nelle norme e nelle rególe date dagli specialisti di ogni lingua balcanica, che anzi che appariranno sbagliate se non saranno esaminate nell'ambito di un comune quadro balcánico. In fine, siamo convinti che il nostro método sarà di qualche utilità a coloro che si assumono la fatica della compilazione delle grammatiche normative delle dette lingue, trascurando l'influenza delle lingue limitrofe. Passando ai testi diremo che per il romeno abbiamo sfruttaito la Scínteia,10 per il serbocroato abbiamo applicato la üojiHTHKa,11 per il búlgaro abbiamo avuto a disposizione il PaôoTHHnecKo fleao,12 per il macedone, la HoBa MaKe-ftOHHja,13 per l'albanese, lo Zëri i popullit,11 e per il greco ci siamo giovati tanto dell' 'EXeúSspos xóqio;15 di Atene quanto del? EXXrjvucos poppaç16 di Salonicco. Per il turco abbiamo spigolato gli esempi dal Cumhuriyet.17 Ma prima di porgere brani interi, pieni d'esempi significativi, offertici dai detti quotidiani, è necessario rilevare che quello che intenzionavamo convalidare risulta chiaro a prima vista gettando uno sguardo superficiale ai titoli che vi si riscontrano. Cosi, sulla Scínteia (p. 1) troviamo il titolo: «Judetul Bacâu a índeplinit planul pe primii trei ani ai cincinatului ['La provincia di pacau ha compiuto i primi tre anni del piano quinquennalè18]», e sulla tlojiHTHKa (p. 14) si legge: «CpefcaH iiito je ocTao skhb ['felice perché è restato vivo']», donde risulta che ambedue i quotidiani applicano il passato analitico. Un quadro dissimile ci offrono i quotidiani delle altre lingue balcaniche. Cosi, sul Pa6oTHHHecKo «ejio (p. 2), c'imbattiamo nel titolo: «KDrocjiaBCKHHx toct OTniiyBa ['L'ospite jugoslavo se ne parti']». La stessa forma verbale s'incontra sulla HoBa MaKeflOHHja (p. 1): «CaaaT ro npHMH jyrocjioBCHCKHOT aMÓacajiop Ja-BopcKH ['Sadat accolse l'ambasciatore jugoslavo Javorski']», nonché sullo Zëri i popullit (p. 1): «Rrethi i Shkodrës plotësoi planin e prodhimit të përgjithshëm industrial të 8-mujerit ['La provincia di Scutari compî il piano della pro-duzione generale di otto mesi']». Una forma corrispondente troviamo anche sul quotidiano greco 'EXsúSepoc; -xôa>ioç (p. 4): «5.000 vsot, eioY¡x$r¡aow £-î "à; oxóXaj ze^vM^í ¡iaOïj-ueiaç ['5.000 giovani entrarono nelle scuole d'istruzione técnica']». Xi giornale turco Cumhuriyet offre le forme che abbiamo aspettate (p. 1): «Erbakan, Kibris'ta yeni bir statii kurulacagint açtkladt ['Erkaban dichiarô che a Cipro sarebbe arrivato a una nuova situazione']». Comunque, in base ai titoli spigolati dai giornali menzionati, possiamo affer-mare che i quotidiani romeni e serbocroati vi applicano la forma analitica, quelli bulgari, macedoni, albanesi e greci, invece, ricorrono alla forma sintética. Quanto ai giornali turchi, in questa applicazione non vi incontriamo che le forme terminanti in -di. I Cominciando col romeno dimostreremo, citando un brano pubblicato sotto il titolo Vizitele delegatiei parlamentare engleze ['Le visite della delegazione 67 L'espressione del passato neí íjuotidíani delle lingue Balcaniche parlamentare inglese'] (p. 7), che la lingua giornalistica in questione si serve quasi esclusivamente del passato analitico:1" In continuarea vizitei pe care o interprinde in tara noastra, de-legatia de parlamentan. englezi, condusa de Sir Fitzroy Maclean, rnembru al Camerei Comunelor, a fost ['é stata'] vineri oaspetele judetului Bihor. Oaspetii englezi au vizitat ['hanno visitato'] Institutul judetean de proiectári al Consiliului popular Bihor. In cursul aceleia^i zile, parlamentarii englezi au vizitat ['hanno visitato'] spitalul de copii, fabrica de mobila «Alfa», fabrica de incñ'l't&niiirte «Solidaritatea», noul cartier de locuinte din zona de vest statiunea Baile Félix. In cinstea oaspetilor, pre§edintele consiüului popular judetean Petre Blajovici a oferit ['ha offerto'] un dineu in saloanele restau-rantului «Transilvania» din Oradea. Un altro articolo, intitolato Simbolurile noului de la Visonta ['I simboli del nuovo di Visonta'] (p. 7), ci fa evidente la possibilitá del romeno di applicare l'imperfetto nella lingua dei quotidiani per indicare un'azione iterativa, il che é una funzione tradizionale di questo tempo:20 Am vizitat ['ho visitato'] in ultima vreme mai multe localitati. Reveneam ['rivenivo'] in ele, dupa ani de zile, regasindulé... ín'ti-nerite. ... Una din asezarile recent vizitate este Visonta din apropiere de ora§ul Gyongyos. Visonta este un nume totodata, un simbol. Un simbol al dezvoltárii energeticii ungare. Aici, la inceputul anului, a intrat ['é entrata'] in functiune o termocentrala. A difíerenza del romeno che vi si serve del passato analitico ricorrendo di rado all'imperfetto, il serbocroato ha a disposizione esclusivamente il suo passato analitico tanto d'aspetto perfettivo quanto di quello imperfettivo,"1 come ce lo puó far vedere un articolo dato col titolo MarHeTotj)OH y cynHHUH ['II magnetofono nella corte d'assise'] (p. 4): Je^Hor ftaHa Lucelia] je caKpnjia ['ha nascosto', pf.,] MaraeTocitoH y KyxHHbH, a mhkpoe y cnem-ijajiHy cjiya<6y KOMame rjiaBHe MHjiimuje. Ilocjie hckojihko „nana cyji je «o6ho ['ha ricevuto', pf.] H3BeuiTaj Kojn je rjiacHO ['ha sonato', impf.]: Ha ocHOBy H3-upniene (J)0H0CK0ncKe eKcnepTH3e yTBpljeHO je24 ['é stato constatato', pf.] ,aa roBOp MyuiKapua, penicrpoBaH na MarHeTOoncKoj 'rpaun, mije rjiac Myaca TyaoiTejbKe.» Avendo perduto da tempo l'imperfetto che trova scarsissima applicazione anche nelle opere letterarie, il serbocroato sta per perdere anche il passato semplice (non rifuggendo nella letteratura che a quello d'aspetto perfettivo), che é completamente sparito nei dialetti cakavo e kajkavo e che sta in via di sparizione anche in certe zone del dialetto stokavo.25 Quanto ai quotidiani, questo tempo, diventato un mezzo affettivo dal principio del '900 e — dirémmo — specialmente in quest'ultimo dopoguerra, vi ricorre di rado, e cioé quando 68 MomÈilo D. Savic il giornalista, tralasciando la comunicazione vera e propria, passa all'espres-sione letteraria o, qualche volta, come segue dall'articolo intitolato Cbc, cBe — an« yMepeHo ['Tutto, tutto — ma modestamente'] (p. 4), sta completando la proposizione precedente (possibilità non estranea neanche délia lingua degli scienziati): Oh [Fa.ieH] je, 3annca ['notô'] HCTopmap, y Phm crarao ['è giunto', pf.] h3 AaeKcaHfipHje roiuine 64. OBe MOflepHe epe h y PHMy je OflMax HaByKao ['si è attirato', pf.] Ha ceôe Mp>Kihy ne;ie jieKapcKe ejriiTe «BeHHor rpaaa». II Passando aile altre lingue balcaniche, vediamo cambiare il sistema d'espres-sione del passato, eioè vi troviamo la proporzione tra forme analitiche e sin-tetiche opposta a quella che abbiamo constatata nel quotidiano romeno e quello serbocroato. Dunque, se nella stampa romena e in quella serbocroata l'imper-fetto rispettivamente il passato semplice sono di parca applicazione, nei quoti-diani delle altre lingue balcaniche questi due tempi funzionano come mezzi principali, specialmente il passato semplice, quell'analitico invece vi si adopera di rado. Un éditoriale del quotidiano búlgaro, intitolato Cte aaseTHie Ha BOHOia ['Col voti del duce'] (p. 1), già ne parla in proposito offrendoci a vicenda passati sempïici ed imperfetti: Hspac-bji cpea Hapojia. to8 [reop™ £[hmhtpob] nocuiera ['dedicó'] iiejihfl ch «hbot Ha HeroBHTe ocBo6o«HTejiHH 6op6n, Ha .aejioto Ha paôoTHHnecKaTa KJiaca, Ha couHaíiHCTHHecKiiTe meajra. rioa HeroBOTo H3niiTaHo h mt.flpo pTjKOBOflCTBo napTHHTH HanpaBH ['fece'] h ntpBHTe en cttnkh b paôoTaTa 3a H3rpa>kflaheto Ha hobhh hîhbot ... Ome b ntpbhte roflHHH Ha HaponHaia B.iacT tofi HanoMHHwe ['menzionava'], ie ce 3a6jiy>KflaBa b.cckh, kohto mhcjih, se mo>ke na HanpaBH HHKoe jo6po aejio Ha cBoa Hapoj b. 6op6a hjih HenpHH3T>H kt>m paôoTHHqecKaTa KJiaca h KoMyHHcrmecKaTa napTror, nonnepTa-Bauie ['sottolineava'], ne hobhh jkhbot MO>iK0B0acTB0T0 Ha naôoTHmeçKaTa KJiaca... Un altro articolo, relativo a una notizia politica, dato col titolo IIohpoShocth sa cpeiiiaia Ha JI. M. BpoKfteB e aMepHKaHCKH /KypHajiHCTH ['Particolarità del-l'incontro di L. I. Breznev con i gioraalisti americani'] (p. 6), ci offre an unico passato analítico, nel dialogo, riservando alla narrazione il passato semplice:35 66-rofleiiiHHHT reHepaneH ceKpeïap na IJ.K Ha Î1KCC BJie3e ['entrô'] b CTaîiTa c He3anajieHa ui-irapa b /(HCHaTa pT>Ka, piKyBa ce ['strinse la mano'] c bcotkh h cejma ['si pose a sedere'] ot apyrara cTpana Ha a*bJiraTa Maca, cpemy >KypHajiHCTHTe. «npeHnojiaraM, hhkoB ot Hac hh e 6hji b Tasn craa,» Ka3a ['disse'] Toft. Cjxea TOBa oôhchh ['spiegô'] HaKpaTKo Kan paôoTH IlojiHTÔiopo. In questo riguardo il sistema del giornale macedone va d'accordo con quello precedente. Citiamo i brani di un articolo BJionieHH JiHÔHCKo-erHneTCKH ohhoch ['Peggiorati i rapporti libico-egiziani'] (p. 1), in cui figura un unico passato analítico fra tanti tempi sintetici: 69 L'espressione del passato neí íjuotidíani delle lingue Balcaniche Jlo umec Ha njia^he, hhkskbo o<|>nmijajiHo oójacHyBaH>e he Momerne ['poteva'] aa. 6nae noSneHO 3a OBaa anunja Ha jih6hckhtc bjiscth, hhtv co 6hjio Koj ofl jihóhckhte ju-mjiomath 6euie ['era'] mojkho na ce pa3ro-Bapa... üpe« H3Becno BpeMe oji Tpimojin ce Bpara ['tornó'] bo Kanpo MHHHCTepoT ,n-p MypaT TajieS Koj ce Haofauie ['si trovava'] Ha aojdk-hoct bo jih6hockhot niaBeH rpaa oa 0<}>HUHjajiH0T0 npoKJiaMHpatt>e ha jBojHaxa yHHja bo noietkot Ha cenTeMBpn. 0(})Hi(iijajiHO 6euie ['era'] peieHo flena TajieS hoihoji ['é arrivato'] «Ha KpaTKH KOHcyjiTauHH» cnpoTH ojHyKaBaiteTO Ha aii>KHpcKHOT caMHT... Un altro articolo del giornale macedone, apparso sotto il titolo Bjia.na Ha cjiaBHH Heno3HaTH jihhhocth ['II governo delle celebri persone ignote'] (p. 3), va anche a conferma delle nostre affermazioni:27 MaBpoc hcto Tana H3jaBH ['dichiaró'] jiexa e 3aa0B0JieH o,a npo-MeHaia Ha peacHMOT h Hcrania ['mise in rilievo'] aena ce pa6oTejio ['si é trattato'] h 3a co6opyBan>e Ha jihihhot pe>khm na Feopre Fla-naaonyjioc, ÓH^ején ncKycTBO o^ MHHaTHTe mecT ro«HHH noKawa ['dimostró'] aeKa BoeHaia auMHHHCTpamija he mo>Ke hhiuto aa HanpaBH. MaBpoc noToa crana ['affrontó'] npoTHB cTonaHcnaTa nojiHTiíKa Ha ÓHBmaTa BJta.ua... Hcto Tana, toj" ra KpHTHKVBanie ['criticava'] hhbc-CTHHHHTe 6e3 KOHTpOJia bo flOMeHOT Ha TypH3M0T. Passando dai quotidiani búlgaro e macedone a quello albanese abbiamo l'impressione che non vi si sia cambiato che il fondo lessicale; il sistema d'espressione del passato vi é rimasto idéntico a quello esdstente sui due giornali precedenti. Un brano relativo alia situazione militare del Cambogia, (Fitore te patrioteve camboxhiane ['Vittorie dei patriotti cambogiani'], p. 4.), ce ne dá una valida conferma:" Agjensia kamboxhiane e informacionit, duke bere bilancin e sulmeve kundér armikut giate muajit korrik, njofton se forcat cli-rimtare giate kesaj periudhe asgjesuan ['annientarono'] 8600 ushtare te armikut, shkaterruan ['distrussero'l ose demtuan ['danneggia-rono'] 51 maqina ushtarake, rrezuan ['abbatterono'l ose goditen ['col-pirono'] 12 aeroplane, mbyten ['affogarono'] ose demtuan Pdanneg-giarono'] 9 mjete lundrimi. zuñe Foatturarono'l me se 1500 arme dhe materiale te tjera ushtarake. Njoftohet gíitashtu. se forcat e klikes se Lon Nolit kane pesuar ['hanno sofferto'] humbje té renda edhe né Angtasom, Kampong, Trabek. Le prime frasi di un altro articolo, intitolato Pse ky sentimentalizem? ['Perché questo sentimentalismo?'] (p. 2), di nuovo ci offrono l'alterarsi a vicenda i due tempi sintetici senza qualsiasi passato analítico: Nje vit me pare ne «Zerin e popullit» u botua Psi Dubblicó'] nie articull ku disa drejtues te Konlicut. té cilét i ishin kundervSne rinise se kooperatives, kritikohshin f'venivano criticati'] per disa cfaqje te tyre konservatore. Midis tvre ishte ['eral edhe krvetari i kooperatives Col Cufi. Ai, duke giykuar nga pozita te shtrembera bairaktarizmi, nuk pa.itohej Psi adattava'l me veDrimet dhe siellet, revolucionare te rinise. Mirepo edhe ñas dalies se articullit. orsn-nizata — baze e Dartise e sektorit te aendres as qe u nd.ie f'sí senti'1 fare e sialle. E mbytur nsa s^ritimentalizmi. ajo hesbti I'tacque'l para te metave te n.iohura te krvetarit. Neanche lo stile giornalistico greco cambia in questo riguardo, ricorrendo ora all'imperfetto ora al passato semplice (aoristo), come risulta da un edito- 70 MomÈilo D. Savic riale tratto dall' 'EXsô0epoç v.ôa\ioç e intitolato Ai Kpoypoimia.ziy.ai Sv)Xu>asiî ['Le di-chiarazioni programmatiche'] (p. I):28 Ilapà xàç S')0 cuvxa'yi-iaxiy.àç ïtspmsxsiaç v.al ty]V xaXairaopiav 56o Srjiio-'4)7¡(pia¡iá tffiv svxôç ¡uâ; îtsvxae-riaç, àvxt và á.Ttoy.zrltrt¡ rj Xiópa 2úvxay|j.a, ' ènspj.rjftï) ['fu imposta] in' aù-c^ç ¡i£a auppaçvi S'.arajscov. Tô tax'Jaav atmaY¡iaxty.óv y.aflsaxú>; ènépaXe ['impose'] xiv sXs^x0' xffiv jtávxv ègouatôiv sîg xàç aùxà; Xstpa? ànsxéXscs ['porto a compimento'] aùxiv xoùxov xèv ípipépv7]aiç; éxetvk¡ ÛTt^pïs ['diventô'] cxkôSï)j, ôixo 7tp(o9uTioopYiv — ay.táv, X7]Ç ónoíaj T)'-laxí>S, ai SivaxóxTjxss -/.ai -à soya yjaav ['erano'] àvxi-oxpccptflç àwAXoya. Tipo; xi]v 0opoP(í>37) sjiçaviatv y.al xàg svxtmtflaiató; èv.-SrjXéasiç t?¡c. Non abbiamo trovato nessun passato analítico neanche in un articolo relativo all'incontro calcistico, dato sotto il titolo 'H 'Ivxsrcsvxiévxs y.axs>m¡cs xô y.úíteXXo Y.óa io\> 1973 ['L'indipendiente conquistó la coppa del mondo 1973'], sull' EXXrjVMog poppaç (p. 4): 'H 'IvxeitsvTtsvxe xo'i Mti&usvîç "Aiipsç, xazéxzrjcs ['conquisto'] xô îi.7]-iistparaxi x;)7xeXXo 1973 èrapXYîÔstaa xyjj ixaXixï)ç riooPsvxouç as av.èp 1—0. T6 Tspjia aOx6 soi) x^p102 ['donó'] crxYjv 'ivxstcsvxisvxs zb 7toXóxt¡io y.û-TtsXXo éar¿|jiet(á9v¡ ['fu segnata'] ¿too x6v Mr.oy.ivi 10 Xsrcxà irpo zîJç X7)Sso)j xo'j àyS>vo;, Èvto 7ipo7¡YGU]ié\io; í¡ I'ioupe àirc&Xeas ['falli'] nivaXxu (46' Kou--/.oopévxov), y.ai oí îtatxxeç xijç iiT.é-.sy/.a. -/.ai 'AXxwpívi, etxav ['ebbero'] coùx oxi) ioxb. Tb |iixç syivs ['si svolse'] axo »'OXûjuuxo« xrjç Pá>¡Jt7¡g itapouaía 30.000 Bsaxíñv, ûko xijv 6tax7]a£a xoû BéXyou NxsXxoúp -/.ai x6 Se'ixEpo r¡[nxpovo 5i-e^Bïj ['si tenne'] ûixo zb çôjg xffiv rcpopoXéa>v Xóy(o xoû èîtsXSôvxoj axoTouç. Prendendo in esame lo stile giornalistico turco dobbiamo limitarci dalle ricerche fatte finora nel quadro delle altre lingue balcaniche d'origine indoeuropea. Qui, sottolineiamo, si tratta di una lingua uralo-altaica che non possiede forme verbali analitiche. Perciô il nostro interesse non è rivolto che al sistema d'espressione del passato di questa lingua, dato che il turco — come già dicemmo — irradiava sulle lingue balcaniche per secoli, del che, oltre all'in-fluenza lessicale, è evidente anche quella sintattico-stilistica in alcune lingue letterarie odierne. Giudicando in base ai testi giornalistici, il sistema turco d'espressione del passato è tanto chiaro quanto istruttivo per lo studio delle altre lingue balcaniche in cui ha lasciato qualche traccia. Citiamo, p. es., il titolo Orduya y apilan bagiçlar 1,5 milyara yaklaçtt ['Contribuzioni che si fanno all'armata s'avvicinarono a 1,5 milliardo'] (p. 1) soto cui segue il testo: Türk Silâhlt Kuvvetleri ile Donanma ve Hava Vakiflarma, Ktbris bariç karekâtin'.ni baçladigi günden beri sürdürülen yar-dimlann toplami tüm yurtta 1 milyar 420 bin lirayi bulmuijtur L'è ammontato']. Bu arada, Genelkurmay Baçkanltgi., Basm Yaytn ve Halkla Iliçkiler Çubesi bir açtklama yaparak, para bagislart için bankalartn «Silâhlt Kuvvetlere» bagt? hesab'. eçttgtn bildir-mistir ['ha comunicato']. 71 L'espressione del passato neí íjuotidíani delle lingue Balcaniche La differenza funzionale fra i due tempi (il primo abbiamo reso col passato semplice, il secondo con quello composto) si riduce a ció che il parlante, usando la forma terminante in -di (in turco gorülen gecmi§ zaman ['tempo passato visto'], ci fa sapere di essere stato testimone oculare delle azioni che espone, e che, al contrario, ricorrendo alia forma terminante in -mi§ (in turco ogrenilen ge«?mi§ zaman ['tempo passato udito'], ci comunica di esserne stato informato senza evidenza personale.80 Questa differenza funzionale non é mai casuale, al che é dovuto il fatto che dopo un titolo dato con la forma terminante in -di, p. es., ABD'de hava korsanlartna olfim cezast verilmesini ongoren kanun kabul cdildi ['Negli Stati Uniti Americani fu accettata la legge che prevede la pena di morte per i pirati aerei'], segue il testo in cui figurano le forme terminanti in -mif (p. 3): Amerikan Senatosu ozel durumlarda hava korsanlartna olüm cezast verilmesini ongoren bir kanun tasartsint kabul ettikten sonra, onaylanmak üzere Beyaz Saraya gondermi§ter ['ha inviato']. Senato, sozü gegen kanun tasartstnt oybirligiyle kabul etmistir l'ha accettato']. Alla fine, desiderando offrire un quadró riassuntivo dei mezzi in questione, tenendo conto soprattutto del rapporte esistente fra l'espressione sintética e quella analítica, possiamo pervenire alia seguente conclusione parlando in am-biti generali: sulla base dei tempi indicativi che figurano nei quotidiani contemporánea le lingue balcaniche possono esser raggrupate in due tipi: al primo appartengono il romeno e il serbocroato, che si giovano del passato analitico (astrazion fatta da scarsissima applicazione d'altri tempi), mentre del secondo fanno parte tutte le altre lingue (eccetto il turco), che ricorrono quasi esclusi-vamente al passato semplice rispettivamente all'imperfetto applicando eccezio-nalmente un passato analitico. II turco, invece, una lingua non indoeuropea e sintética, sta a parte awicinandosi al secondo tipo. Prescindendo da tanti stili delle dette lingue (p. es., quello strettamente letterario, quello scientifico, quello délia storiografia, ecc.), che si comportano differentemente a questo riguardo (e che vale la pena di prendere in esame). dovremo awalerci del detto — che non si riduce che a un'indagine parziale — per spiegare la situazione esistente in questo piano. Tutto quanto abbiamo finora esposto c'induce, perô, riportandoci a qualche nostra ricerca anteriormente effettuata in questo senso, a rawisare il problema fuori da confini meramente balcanici e ad esaminare tanto le influenze irradíate (ed agenti ancora oggi) dall'occidente, quanto quelle oriéntali che furono presentí per un tempo lunghissimo su un vasto territorio balcanico, non dimenti-cando I'influsso di un antichissimo sostrato balcánico, dunque, autóctono. Quest'ultimo elemento è il più efficiente. La forza del sostrato balcanico, riflesso nelle forme sintetiche dell'antichità e conservato nelle forme sintetiche del passato delle lingue greca ed albanese, è stata risentita anche dalle lingue slave dei Balcani. Se ci poniamo la domanda perché mai l'imperfetto e il passato 72 MomÈilo D. Savic semplice (aoristo) siano scomparsi da tutte le lingue slave orientali ed occiden-tali, la risposta è semplice: la presenza dell'aspetto verbale ha reso superfino l'uso dei due tempi sintetici. Senza dubbio, si tratta della situazione che s'in-contrerebbe oggi nei Balcani se non ci fosse stata l'influenza del sostrato, il cui effetto si rispecchia meglio al sudest che al nordovest; da ció deriva la con-servazione delle forme sintetiche nel búlgaro e nel macedone, il loro lento ma sicuro perdersi nel dialetto stokavo della lingua serbocroata e la totale spari-zione negli altri due dialetti, kajkavo e cakavo, e, finalmente, la loro assenza nello sloveno (única lingua slava méridionale che non conosce queste forme, pur essendovene qualche traccia nelle paríate slovene). Bisogna rilevare poi un'influenza che irradia da un centro europeo eliminando l'espressione sintética in vaste zone dell'Europa occidentale, centrale ed orientale. La Penisola balcanica non è restata immune da influenze esterne. L'espressione sintética primordiale vi è stata sostituita da quella analítica. Quanto all'influenza turca a questo riguardo, vi dobbiamo vedere — parlando grosso modo e individuándola in maniera che superi i limiti della lingua búlgara e quella macedone —, un fenomeno secondario, aggiuntovi relativamente tardi a daré un nuovo slancio alie forme sintetiche.31 Terminando diremo che la sostituzione delle forme verbali sintetiche con quelle analitiche è in corso anche nei Balcani. Paragonando la rioJiHTHKa odierna di Belgrado col primo numero di questo giornale, apparso nel lontano 1904, abbiamo constatato a prima vista che il passato semplice vi era indispensabile. E oso ripetere — in base a uri'indagine insufficiente — un 'affermazione simile parlando del romeno. Indagare pero questo fenomeno nel piano diacronico sarebbe inutile, essendo il giornalismo di data relativamente recente, specialmente nei Balcani i cui popoli avevano da risolvere per secoli altri problemi più irr\portanti.ss NOTE * Questo lavoro è stato presentato e discusso al 3o Congresso di Balcano-1 gia, tenuto a Bucarest nel setiembre 1974. 1 A proposito ci riferiamó alla Linguistique balkanique' di Kr. Sandfeld, riapparsa a Parigi nel 1968 (edizione dáñese è del 1927 e la prima francese del 1930), le cui pagine sono in parte relative al problema di cui ci occupiamo. 2 Cfr. i nostri lavori concernenti i problemi similar! delle lingue europee e balcani che, per lo più individuati dal punto di vista comparativo: Le principan funzioni deH'aoristo serbocroato e del passato remoto italiano (in Lingüistica VII/1, Ljubljana 1965, p. 65—71); Osnovne funkcije srpskohrvatskog aori-sta i rumunskog prostog perfektà u svetlosti romanskih i balkanskih jezika (in Anali Filoloskog fakulteta 9, Belgrado 1969, p. 145—211) con un riassunto in italiano intitolato Le principali funzioni dell'aoristo serbocroato e del perfetto semplice romeno alia luce delle lingue romanze e balcaniche (p. 207—211), nonché il testo aggiomato e riveduto, publicato in un volume in lingua romería sotto il titolo Funo^iile de baza ale aoristului sírbocroat §i ale perfectului simplu románese ín lumina limbilor romanice si balcanice, Panciova 1972; Iskazivanje proslosti u srpskohrvatskoj i rumunskoj publicistici ['L'espressione del passato nella pubblicistica serbocroata e quella romena'] (in Radovi Simpozijuma — Actele Simpozionului, Vrsac 1970, Pancevo 1971, p. 369—382); Contribu ie la eercetarea comparativa a aoristului sírbocroat çi a perfectului simplu román 73 L'espressione del passato neí íjuotidíani delle lingue Balcaniche în limba literarä ['Contributo alio studio comparativo dell'aoristo serbocroato e del perfetto semplice romeno nella lingua letteraria'] (in Anale aie Societalii de limba romana din PSA Voivodina 1, Zrenjanin 1970, p. 65—74); Sredstva za iskazivanje prošlosti u dnevnoj štampi nekih evropskih jezika (in Anali Filo-loškog fakulteta 10, Belgrado 1970, p. 295—334) con un riassunto in tedesco Mittel zur Auslegung der Vergangenheit in der Tagespresse einiger europäischen Sprachen (p. 333—334), nonché Modi di esprimere il passato nella lingua degli storici dei popoli balcanici (in Balcanica V, Belgrado 1974, p. 369—394). :> Cfr. Kr. Sandfeld et Hedvig Olsen, Syntaxe roumaine I, Parigi 1936, p. 341 ; Muxaiwo CieBanoBuS, CaBpeMeHH cpncKoxpBaicKH je3HK II — CiiHTaKca ['Mihailo Stevanovic, Lingua serbocroata contemporánea II — Sintassi'], Belgrado 1969, p. 643; Bjia>i') col futuro, solo quando l'azione é posteriore rispetto all'azione o stato o processo della reggente. II che vuol diré che, a rigor di consecutio temporum, ci si aspetterebbe un condizionale (o condizionale composto, piuttosto), ma che la necessita di esprimere la nozione dell'opinione personale so-praffá quella di concordare i tempi. Storicamente, il problema non si pone nemmeno, essendo il condizionale un composto con l'imperfetto nella maggior parte delle lingue romanze: l'impiego del congiuntivo dell'imperfetto é dunque da considerarsi regolare anche in una lingua, quale appunto l'italiano, che per la composizione ricorre al perfectum del verbo habere, giacché il congiuntivo del perfectum deve esser sparito da tempo. Lo sloveno conosce in questo caso il futuro, la consecutio temporum alia latina non vi. é, infatti, seguita. Cosí troviamo nelle traduzioni il futuro oppure anche il presente, sempre di un verbo perfettivo, col valore e in funzione di un futuro. gli dispiaceva sfuggisse dalle loro mani žal mu je bilo, da jim uide iz rok Tobmo Aveva il terrore che mi facessi prete Bal se je, da bom tudi jaz duhovnik Pavese tutti avevano firmato non credendo che venisse la guerra V prepričanju, da vojske ne bo, so vsi podpisali Tobino y) Nella sfera del giudizio personale o della partecipazione affettiva, nelle traduzioni non appare l'ottativo; é comprensibile, giacché l'ottativo é legato strettamente all'espressione della volontá, del desiderio. c) Nella sfera del giudizio personale, la congiunzione in sloveno puó essere kot da 'come se', la quale rispetto al semánticamente svuotato da 'che', esprime la nozione del pensato e non un'azione o stato reali. E' la stessa che serve nelle subordínate comparative irreali, anche li, ovviamente, per esprimere un paragone irreale. Pareva avesse preparato un discorso e ora gli venissero a mancare le parole Zdelo se je, kot da je pripravil cel govor Pratolini 84 Mitja Skubic era sembrato al tenente, mentre 1'arabo passava vicino, che questo fosse come spinoso" ko je šel Arabec mimo njega, se je poročniku zazdelo, kot da je trnov Tobino semforava che avesse in animo di frustrarli vse je kazalo, kot da jih bo pretepal Tobino Altro elemento lessicale che invalida la realta della dichiarazione pub essere anche un avverbio, quale verjetno 'probabilmente': La dove é da credere che l'intreccio si jacesse piü appassionato e piü pauroso, notai che ... In opazil sem, da se ji je na tistih mestih, kjer je bila zgodba verjetno najbolj napeta ... Moravia , Interessa soprattutto l'italiano la scelta del modo nella subordinata espri-mente un'opinione soggettiva con, nella reggente, un superlativo o un'espres-sione superlativa. E' raro trovare l'indicativo; cosi in Pratolini: »E' la prima fotografía che mi faccio ...«. In sloveno appare sempre l'indicativo e quasi sempre accompagnato da un elemento generalizzante: il piü grande parlatore che avesse mai incontrato največji govornik, kar jih je bil kdaj srečal Sciascia ed era quello l'unico luogo nel quartiere dove apparisse il cielo s katerega si lahko videl vsaj nekaj neba Berto Era ben raro che una bestia gli morisse dopo l'operazione prav redko se je primerilo, da mu je po operaciji kakšna žival poginila Levi 7. Sfera della potenzialita La sfera della potenzialita é quella piü ampia, e anche quella meno pal-pabile. Vogliamo diré che il congiuntivo italiano, nei suoi valori che crediamo poter riunire sotto il nome di »potenziali«, serve ad esprimere una grande varieta di nozioni; d'altra parte, non tutto cib che é potenziale viene espresso per mezzo del congiuntivo. E' pero senz'altro vero che la potenzialita viene rafforzata dall'impiego del congiuntivo, ad es. nella protasi del periodo ipotetico.8 E' legata strettamente alia potenzialita di un' azione la nozione della sua genericitá.9 Tale genericitá puó esser annunciata nella reggente da un antecedente, quale un pronome indefinito, un articolo indefinito (o la mancanza dell'articolo); tale elemento di genericitá, tuttavia, puo trovarsi nella dipendente stessa. Un gran numero di questa nozione della sfera potenziale sono i Significativo l'impiego di come nell'originale italiano. s Cfr. il profondo studio sul Congiuntivo potenziale nell'antico italiano di Franca Brambilla Ageno in II verbo nell'italiano antico, Milano-Napoli 1964, p. 334 ss. 9 Gili y Gaya, Curso superior de sintaxis española, Barcelona 1970, pag. 136, condensa il suo pensiero cosi: — En las oraciones de relativo se pone el verbo en indicativo cuando el antecedente es conocido; si es desconocido o dudoso, el verbo va en subjuntivo: Haré lo que usted manda (presente; el mandato es conocido) / Haré lo que usted mande (futuro; cumpliré la parte conocida y desconocida de su mandato). 85 Il congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee periodi che nella reggente contengono una negazione, del tipo »Ma non erano cose che avessero importanza« (Berto). Con una reggente negativa é difficile immaginare Vindicativo nella subor-dinata; vorremmo, tuttavia, asserire che l'importante é di avere un antecedente, un elemento generalizzante nella reggente; e una negazione lo é, giac-ché si oppone, in una data situazione, a vedere la realizzazione di un'unica azione. Tutte le grammatiche normative danno esempi analoghi al passo cerchiamo ... qualcosa che rompa o svari la giornata nekaj, da bi bil dan zanimivejši in pestrejši Pavese Del resto, non é solo la negazione elemento di genericitá; lo é anche l'in-terrogazione. Né in una negativa né in una interrogativa (pensiamo, certo, al periodo e non a una sola proposizione) l'azione, lo stato o il processo sono presentati come realmente accaduti o esistenti.10 Se é vero che é la reggente, vale a diré, formalmente la principale, che detta la scelta del modo verbale come in e non piú nessuno in particolare che gli occupi il cuore in ni nikogar več, ki bi imel prostor v tvojem srcu Vittorini e anche vero che il contenuto reale sta nella subordinata. L'impiego del modo condizionale nello sloveno é prezioso per constatare la potenzialitá. Trovia-mo, tuttavia, l'indicativo, benché il condizionale non stonasse per niente, in qualche subordinata interrogativa indiretta, ad es.: II mattino dopo mi alzai presto e, senza indagare dove fossero Battista ed Emilia, uscii Naslednje jutro sem vstal zgodaj in ne da bi poizvedoval, kje sta Battista in Emilija, odšel Moravia 7.1 Raggruppiamo come primi quei passi che potremmo chiamare formalmente »relativi« perché introdotti da una congiunzione o un avverbio relativi. Formalmente troviamo parecchi passi in cui la traduzione slovena non mostra per niente che abbiamo a che fare con un'azione potenziale; tuttavia, l'antecedente é di regola imprecisato: ora, mancando nello sloveno l'articolo (determinativo e, nella lingua letteraria, anche qüello indeterminativo), solo la situazione, vale a diré il contesto puó precisare l'azione. Per noi, tali casi sono da annoverare tra quelli in cui figura un elemento lessicale che colloca un passo nela sfera potenziale. La sola spartizione che s'imponga per il para-gone con la traduzione é quella tra l'impiego, nello sloveno, dell'indicativo o del condizionale. a) Troviamo spesse volte l'indicativo: I piú li credevano agenti di questura che stessero inseguendo un borsaiolo 10 per ricorrere ancora una volta all'opera dell'insigne lingüista spagnolo, ib.: — La afirmación Hay alguien que se atreve a saltar exige indicativo; si decimos Hay alguien que se atreva a saltar insinuamos una leve duda, la cual pasará a ser más completa si se trata de una pregunta: Hay alguien que se atreva a saltar? 86 Mitja Skubic Večina ljudi je mislila, da sta policijska agenta, ki zasledujeta kakega žeparja Sciascia ... bastava a farle fare smorfia; oppure un bambino che correndo lungo il fossato rischiasse di caderci ... spako pa je lahko izzval tudi kak otrok, ki je tekel ob nevarni, globoki grapi Moravia Feci questa scoperta nei primi giorni di matrimonio e per momento ebbi quasi il senso di essere stato ingannato, come chi, essendosi spo-sato per tornaconto, scopra dopo le nozze che la moglie é povera ... in po poroki ugotovi, da je žena pravzaprav revna Moravia ho soprattutto bisogno di articoli di guarnizione, cose minute, che vadano bene sui cappelli e sui vestiti drobnarije, ki jih lahko uporabljajo na klobukih in oiblekah Pratolini dando a tutto viso l'aspetto ripugnante di una maschera grottesca in cui a bella posta ... fossero stati appunto esagerati fino alia caricatura certi tratti smešne krinke, na kateri so bile ... nalašč še posebej poudarjene nekatere poteze Moravia Sembrava un bambino impaurito che stesse per piangere Podoben je bil prestrašenemu otroku, ki mu gre na jok Pavese Anche qui conviene sottolineare che un tale costrutto della frase é deci-samente letterario. Non sorprende il numero piuttosto alto delle proposi-zioni di questo tipo in Moravia. Da notare l'impiego dell'avverbio lahko: accompagnando il verbo esprime quello che in italiano il verbo potere piü infinito; é espressa, cioé, la potenzialitá dell'azione. La traduzione slovena é per ció impeccabile. b) II condizionale appare in sloveno ogni volta che abbiamo un elemento negativo, sia nella reggente sia nella dipendente. la burocrazia li indicava responsabili di tutto ció che non fosse prono, regolare birokracija je nalagala višjim častnikom izključno odgovornost za vse, kar bi bilo neurejenega, nepravilnega Tobino quella forza ... che la rendeva calma e sicura di sé e indifferente a ogni cosa, che non fosse l'adempimento del suo dovere postala je mirna in samozavestna do vsega, kar ne bi pomenilo izpolnitve njene dolžnosti Cassola Non ricordo che mai alcuna mia parola e alcun mio gesto provo-casse in lei quella strana transformazione ne spomnim se, da bi kadarkoli kaka moja beseda ali kretnja sprožila Moravia i fattori ... sanno che a Firenze non c'é maniscalco che lo valga upravniki posestev ... vsi vedo, da v Florenci ni kovača, ki bi ga prekosil Pratolini Non avevi nessuno che ti guidasse che ti stesse vicino Nikogar nisi imel, da bi te vodil, da bi ti stal ob strani Cassola 87 II congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee 7.2 La seconda categoría del congiuntivo potenziale e quella delle modali. II modo congiuntivo nell'imperfetto sottolinea l'irrealta del secondo termine del paragone. Una sottocategoria delle modali potrebbe essere quella in cui il paragone é quantitative (del tipo: .. piü di quanto non si creda, e sim.). Questo tipo viene tradotto in sloveno generalmente colFindicativo, mentre il primo conosce anche un cospicuo numero di condizionali. Certo e che giá l'introduzione per mezzo di una congiunzione modale, cosí l'italiano come se, come lo sloveno kot da, kakor da, kakor če semánticamente non e neutrale: annuncia un paragone immaginario, non corrispondente alia realtá. Sono parecchie le traduzioni contenenti l'indicativo. Cosí, ad es: Nella piazza comparve un frate, di maniere composte, come non fosse in quel posto Na trgu se je pokazal menih in se dostojanstveno držal, kot da ni na tem mestu Tobino II vecchio di nuovo con fatica, come avesse una pena disse Starec je rekel zopet s težavo, kakor da mu je mučno Tobino Era come se il sole e il peso della corrente mi avessero intriso Bilo je, kot da sta mi sonce in težki tok vcepila neko svojo vrlino Pavese Piü frequenti sono, tuttavia, i passi con il condizionale. Si trovano persino dei passi ibridi, senza che si possa constatare una sostanziale dif ferenza nel valore dell'una o dell'altra forma verbale. Cosí: Con Amelia era tutto piú facile, e ci si divertiva di gusto come se niente importasse e quella sera dovessero succedere le cose piú varié Z Amelijo je bilo vse laže, z njo se je človek lahko zabaval, kot da ni na svetu nič važnejšega, ko da bi se moralo ta večer zgoditi kdo ve kaj Pavese L'irrealta é, ovviamente, espressa con maggior rilievo per mezzo del condizionale. Da qui, la frequenza del suo impiego. Carla ... tentó di passare, come se non li avesse visti Karla je ... poskušala iti mimo, ko da ju ne bi videla Berto quasi che non fossero fatte per gli uomini skoraj tak, kakor da bi ne bil ustvarjen za ljudi Berto come se fossero cose da mangiare kakor če bi se dale pojesti Vittorini Anselmo senza voltarsi, si awió spedito come dovesse raggiungere in fretta chi 1'aspettava Ne da bi se ozrl, se je Anselmo hitro napotil kot bi moral brž priti do koga, ki ga pričakuje Tobino quasi si studiassero per sapere chi dei due ... kot bi ugibala, kateri od njiju Tobino come se si trattasse di due ritrovati comuni da acquistarsi in qual-siasi farmacia kot da bi šlo za najbolj navadni zdravili, ki bi ju lahko dobil Moravia Mitja Skubic ma i fatti del '79 li conosco, corne se ci fossi stato a dogodke 79. leta poznam, ko da bi bil zraven Pratolini Sono vere subordinate modali, e senza paragone, anche quelle di sottra-zione11: se nell'italiano la scelta del tempo non influisce sul grado della po-tenzialità, nelle traduzioni Slovene troviamo sempre il condizionale: E la sua mente andava, senza che egli la contrôlasse o la seguisse, nella sua strada Njegov duh je odhajal, ne da bi ga nadzoroval ali mu sledil po njegovi poti Berto e se l'operazione era riuscita senza che la busta si rompesse o ne restassero tracce ... in če se je operacija posrečila, ne da bi se raztrgal ovoj ali da bi ostali sledovi Levi II suo istinto originale riaffiorava — e senza ene ella se ne rendesse conto Njena resnična nrav se je spet zganila in — ne da bi se tega zavedala Pratolini 7.3 II congiuntivo appare in italiano nelle subordinate che esprimono un' azione o stato o processo potenziali che possiamo in qualche modo riunire nella stessa nozione del nesso causale. Rientrano in tale nozione le autentiche subordinate causali (per 1'impiego del congiuntivo interessano, ovviamente, solo quelle dove si nega l'effetto di una causa), condizionali e concessive. 7.3.1. E' negato l'effetto della causa (»cause brisée«) e l'italiano ricorre al congiuntivo »per caratterizzare una causa irreale«12. Lo sloveno accentua l'irrealtà, o meglio, la potenzialità che si dichiara negata con un elemento negativo nella reggente, servendosi del condizionale: e non perché quella gente sapesse di mitologia, ma per via del gruppo del Bandinelli a ne zato, ker bi se ljudje iz te četrti kaj spoznali na mitologijo Pratolini Non è che abbia proprio paura, sai Saj ne, da bi me bilo strah, veš Berto 7.3.2 Le subordinate condizionali possono formare il periodo ipotetico e conoscono, in italiano, il congiuntivo imperfetto o piuccheperfetto nella pro-tasi, a seconda che la condizione sia presentata come (formalmente) potenziale, vale a dire realizzabile, oppure come irreale; nell'apodosi, l'italiano ricorre al condizionale. Lo sloveno conosce il condizionale in ambedue le parti. Se si dovesse trattare cosi le canaglie, non resterebbe una sola persona al mondo Ko bi morali z lopovi tako ravnati, ne bi ostal na svetu niti en človek Piovene u E' l'espressione usata dal Tekavcic, Grammatica storica dell'italiano, II, Bologna 1972, par. 1276. Sembra piü riuscita di 'eccettuativa'. 12 Regula-Jernej, Grammatica italiana descrittiva, Bern 1965, pag. 282. 89 Il congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee Capirei se copiassero un uomo Razumela bi, ko bi risale moškega Pavese Se ci si mettesse d'accordo sarebbe bello Če hi se lahko pobotal z njim, bi bilo dobro Calvino pensa come sarebbe stata felice se lo avesse conosciuto prima ... kako bi bila srečna, če bi ga spoznala prej Pratolini del denaro che si sarebbe perso se l'R.T non avesse piú potuto comunicare con la radio denarja, ob katerega bi bili, če bi radiotelegrafist, ne mogel poročati po radiu Tobino E' ovvio che l'ipotesi puô anche non essere incatenata cosí rígidamente al fórmale periodo ipotetico. In un certo qual senso, anche una subordinata condizionale esprime un fatto generico, non punta su un'azione ben precisa; cosí possiamo giustificare l'impiego del congiuntivo sia come esprimente la genericità, sia come protasi di un periodo ipotetico in passi come »Uno che facesse tutti i giorni questa vita, diventerebbe animale« — »Tisti, ki bi ves dan takole živel, bi postal žival« (Pavese). Nelle subordinate condizionali isolate, non legate nel periodo ipotetico, lo sloveno ricorre per lo piú aU'indicativo accompagnato da un elemento lessi-cale che piú fortemente délia sola congiunzione condizionale če 'se' segna la sfera délia potenzialità. Cosí: un piccolo calcolo col quale cerco di affibiare un debito d'indul-genza, per il caso che esista, a Dio s skromnim računom skušam dobiti odpustek od boga, če še ravno obstaja Piovene Era disposto a prendere il bambino in sella, purché riuscissero a mettere in piedi la madre Pripravljen je bil vzeti otroka v sedlo, če se jim le posreči spraviti mater na noge Piovene 7.3.3 Le subordinate concessive richiedono in italiano quasi esclusivamente il congiuntivo. Lo sloveno conosce in casi analoghi l'indicativo, introdotto da una congiunizone o una locuzione concessiva, oppure un ottativo il quale, pero, di certo non esprime un desiderio; è stato trascinato nella nozione concessiva, cosí in italiano, come in sloveno, dalle proposizioni contenutistica-rnente indipendenti, del tipo vuoi ... vuoi, sia ... sia. ... ma anche da quella delle sue bruttezze, poche o moite che siano pa naj je tega veliko ali malo Moravia Tra loro non si danneggiano, si proteggono, qualsiasi cosa sia acca-duto naj se zgodi karkoli Tobino lo non ti abbandonerô mai Bube, qualunque cosa succéda ... a qualunque pena ti condannino Nikoli te ne bom zapustila, Bube, pa naj se zgodi karkoli, naj te obsodijo na kakršnokoli kazen Cassola nonostante il barista dicesse del piacere che aveva il bar ne glede na to, da je natakar govoril v kakšno čast. ... Sciascia 90 Mitja Skubic per bu j o che sia, non è piû notte čeprav je še tema, noči ni več Pratolini Per quanto sia oppressa, è un dovere Naj je še tako na tleh, je to vendarle dolžnost Pratolini sebbene spieghi in parte alcune contraddizioni di esso čeprav deloma pojasnjuje nekatera njegova protislovja Moravia Qualsiasi cosa faccia o dica sono tutto quanto in quello che dico o faccio Karkoli še rečem ali storim, vedno sem ves v tistem, kar sem rekel ali storil Moravia Pareva nato per strappare una ragazza a chiunque, sia che ridesse o le piantasse gli occhi addosso Zdelo se je, da je rojen za to, da komurkoli prevzame dekleta, pa naj si bo samo s svojim smehom ali, če se ozre za njo Pavese Quel nome, o ingiuria che fosse To ime ali žaljivka, kakorkoli je že bilo Sciascia gli scodellava i figlioli che poi, avesse il sangue guasto o che, non soprawivevano ... menda je imela zanič kri ali kaj Pratolini e Amelia rideva perché nuda o vestita che sia, la modella interessa agli uomini in Amelija se je smejala, ker ženski model, bodisi gol ali oblečen, zanima moške Pavese 8. Vanno inclusi nella sfera potenziale anche i passi in cui viene espressa la posteriorità di un'azione. Chi riporta, in italiano, un tale fatto si mette evidentemente a un punto nel passato, al punto dell'azione délia principale: nella subordinata l'azione che è posteriore è con questo già segnata come eventualmente realizzabile, potenziale, cioè. Nella concordanza dei tempi, la forma verbale usata è il condizionale, nelle subordinate temporali, invece, appare regolarmente il congiuntivo. In sloveno, il parlante non ha una tale visione dei fatti: puo concordare con una principale nel passato un futuro nella subordinata, non conosce, cioè, una rigida concordanza dei tempi, e analogamente ricorre al futuro, o al présente di un verbo momentaneo, per esprimere la posteriorità in una subordinata temporale. Le subordinate temporali hanno in sloveno, tutte, delle congiunzioni (dokler, dokler ne, preden) che per sé stesse indicano la posteriorità dell'azione, vale a dire, la non-realtà; tuttavia, il condizionale, forma verbale che di per sé esprime azioni poten-ziali, puo apparire. Con la scena al présente, il futuro è la forma verbale piû fréquenté (o il présente d'un verbo momentaneo): Non aspettate che vi anticipi ne pričakujte, da vam bom naprej izplačal Pratolini Speriamo che non torni in sé prima che abbia finito Upajmo, da se ne bo prej osvestil, preden končam Pratolini 91 Il congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee Le stesse due forme sono abituali, quando, per il parlante sloveno, la sub-ordinata esprime, sempre dal punto del parlante, un vero futuro: Avevo deciso di non parlare a mia moglie del racconto finché non avessi termínalo di copiarlo Odločil sem se bil, da ženi ne bom omenil zgodbe, dokler je ne pretipkam Moravia Decisi d'aspettare che in agosto i due tornassero Odločil sem se, da bom počakal, da se v avgustu onadva vrneta Pavese Non si trova, invece, il futuro in sloveno quando le due azioni, benché certamente in rapporto di posteriorita, sono considérate come appartenenti al passato. Cosí: Avevano ritirato i biglietti all'ingresso di via della Missione un'ora prima che la seduta cominciasse Vstopnice sta dvignila na začetku Misijonske ulice, uro preden se je začelo zasedanje Sciascia Prima che sinistra, centro e destra si rapprendessero ... ci volle un po' di tempo Precej časa je preteklo, preden sta lahko vskladila levico, center in desnico Sciascia Avevo preso 1'abitudine . . . di consegnare la posta in arrivo, prima che passasse censura ... se je bil navadil izročati ... došlo pošto naskrivaj, preden je šla v cenzuro Levi da un grido ... prima che la cinghia 1 'abbia toccato že preden ga je jermen dotaknil Calvino vuole essere di ritorno prima che lui si alzi Marija hiti, kajti hotela bi biti doma prej, preden vstane Pratolini Le proibirebbe di lasciare il letto finché Ugo non fosse uscito Ne dovoli ji namreč vstati, preden Ugo ne odide Pratolini II condizionale, certo, sottolinea la potenzialita dell'azione piú chiara-mente che non l'indicativo; cosí troviamo: Le propose di uscire appena avessero cenato Predlagal ji je, da bi takoj po večerji šla ven Pratolini Sono pero rari i passi col condizionale in sloveno; questa forma verbale é davvero un modo, non é un tempo. Perció é comprensibile che neanche in un apparente (per l'impiego delle forme verbali) periodo ipotetico dove in realtá troviamo una subordinata oggettiva, accompagnata da una temporale, lo sloveno ricorra al condizionale, ma piuttosto al futuro o al presente, cosí ad es.: Ci fu chi pensó che i signori superiori dopo che il pettegolezzo si fosse fatto carne, sarebbero stati costretti a provvedere Nekateri so mislili, da bodo morali višji gospodje kaj ukreniti, ko se je čenča utelesila Tobino 92 Mitja Skubic 9. La nostra indagine è stata rivolta al congiuntivo italiano e alla tradu-zione di questa forma verbale in sloveno. Interessava soprattutto constatare i mezzi linguistici di cui dispone lo sloveno per rendere le nozioni affidate in italiano a una spéciale forma verbale, sconosciuta allo sloveno. E' perô inevitabile che ogni classificazione dei valori tenda a giustificare l'uso délia forma neila prima lingua, nella lingua dalla quale si traduce. Rispondendo ai quesiti posti all'inzio délia nostra analisi s puô dire che 10 sloveno ricorre, soprattutto, all'indicativo per rendere quello che esprime 11 congiuntivo italiano, affidando il compito di esprimere il desiderio, l'inten-zione, il dubbio, lo stato d'animo, il giudizio, la potenzialità, ecc., a un elemento lessicale; al posto dell'indicativo possono comparire anche altre forme verbali quali il condizionale o l'ottativo. Nella sfera volitiva tale elemento lessicale è sempre nel verbo délia pro-posizione reggente; nella subordínala, invece, manca un qualsiasi elemento lessicale. Il condizionale e l'ottativo appaiono relativamente frequenti, nelle indipendenti troviamo anche l'imperativo. L'indicativo resta la forma, verbale predominante. Nella sfera del giudizio personale troviamo l'indicativo nella stragrande maggioranza. Se l'ottativo, ovviamente, non compare, è invece rilevante il numero dei casi con il condizionale; questa forma viene perô usata soprattutto quando si esprime uno stato d'animo. Il condizionale è molto più frequente nella sfera délia potenzialità. Lo sloveno usa anche l'indicativo; il condizionale, tuttavia, è l'unica forma possi-bile nelle proposizioni formalmente relative, per lo piú attributive, negative; lo è nelle modali comparative, in quelle di sottrazione e in una cospicua parte delle subordinate appartenenti al nesso causale: nelle subordinate causali negative e nelle potenziali e irreali del periodo ipotetico. Le concessive, di regola, non hanno il congiuntivo, la concessività viene espressa con l'ottativo. Quando l'italiano nel complesso délia concordanza dei tempi, a causa délia modalità, dà la precedenza al congiuntivo a danno del condizionale (semplice o composto che sia), lo sloveno, che non conosce la concordanza dei tempi alla latina, non cambia, vale a dire, non ricorre al condizionale per esprimere un'azione futura nel passato. Possiamo perciô constatare che l'impiego del condizionale è il piú frequente nella sfera délia potenzialità, e il piú debole nella sfera del giudizio personale — vale a dire nella sfera dove nell'italiano parlato comincia a predominare l'indicativo a spese del congiuntivo. La genericità è espressa bene nelle due lingue: se l'italiano usa il congiuntivo, lo sloveno ricorre soprattutto al condizionale, in piú, in ambedue le lingue appare un elemento generalizzante. La stessa nozione puô dunque essere espressa con mezzi diversi, ma in certe sfere la concordanza puô essere completa e costante. 93 Il congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee POVZETEK PREVAJANJE KONJUNKTIVA V SODOBNIH ITALIJANSKIH TEKSTIH V SLOVENŠČINO Kontrastivna gramatika si je zadala za cilj primerjati jezikovne pojave v dveh ali več jezikih, ne glede na njih sorodnost. Naša raziskava želi ugotoviti, kako in s kakšnimi jezikovnimi sredstvi izraža slovenščina v odvisnem stavku željo, namero, ukaz, dvom, osebno sodbo in splošno potencialnost, kar je v italijanščini, in v romanskih jezikih nasploh, izraženo s posebno glagolsko obliko, imenovano konjunktiv. Avtor predvsem ugotavlja, da je uporaba konjunktiva v teh literarnih tekstih skoraj docela skladna z normo, ki jo postavljajo normativne slovnice. Avtor misli, da je mogoče rabo konjuktiva v italijanščini zajeti v tri velike razdelke: v želelno sfero, v sfero osebne sodbe in v sfero potencialnosti. V želelni sferi (postavimo za primer Io leggevo subito... le cartoline..., perche le mandasse alla guestura Razglednice sem prebral takoj ... da jih pošlje na kvesturo, Carlo Levi) in v sferi osebne sodbe (Non metterti in testa che tutti 'gli sbirri siano tanto stupidi Ne vtepaj si v glavo, da so vsi biriči bedaki, Leonardo Sciascia) izraža italijanščina negotovost realizacije dvojno, namreč s semantičnim elementom v glagolu nadrednega stavka in z morfosmtaktičnim v odvisniku, se pravi s konjunktivom. S tega vidika je slovenščina za ta jezikovni pojav, za izražanje virtualnosti dejanja, v primerjavi z italijanščino revnejša, oziroma je italijanščina v primerjavi s slovenščino redundantna. Razlika med jezikoma je občutna. Manjša je razlika v potencialni sferi. Oblika, ki v slovenščini največkrat zavzame mesto italijanskega konjunktiva je pogojnik (cerchiamo... qualcosa che rompa o svari la giornata, nekaj, da bi bil dan zanimivejši in pestrejši, Cesare Pavese). Kadar se izraža splošnost ali pa je dejanje zanikano (e non piu nessuno in particolare che gli occupi il cuore in ni nikogar več, ki bi imel prostor v tvojem srcu, Elio Vittorini) se jezika skladata še v nečem: oba poznata odnosnico v glavnem stavku. Slovenščina ima različne možnosti, da virtualnost dejanja na kak način izrazi, in sicer z glagolsko obliko, ki ni indikativ, torej s kondicionalom, z imperativom ali z optativom (ta dva samo v želelni sferi, optativ tudi v dopustnih odvisnikih). Zdi se pomembna ugotovitev, da je kondicionala v sferi osebne sodbe malo, (seveda pa je virtualnost nakazana v glagolu glavnega,stavka), torej v tisti sferi, kjer v pogovorni italijanščini uporaba konjunktiva najbolj popušča, kjer govoreči nemara občuti konjunktiv kot nekaj redundantnega (Čredo che basta — iz pogovorne italijanščine — Mislim, da je dovolj). Seveda je mogoče v slovenščini izraziti virtualnost dejanja ali procesa ali stanja s kakim semantičnim elementom ob indikativu: morda, verjetno, lahko. Če torej izločimo primere z indikativom, je najbolj pogostno prevajanje italijanskega konjunktiva s kondicionalom, v nekaterih odvisnikih pa je kondicional sploh edino mogoče jezikovno sredstvo, tako v modalnih stavkih irealne vsebine, v vzročnih odvisnikih, kadar se izraža zanikan vzrok, v potencialnem in irrealnem tipu hipotetičnih period. Slovenščina ne pozna kondicionala v stavkih, kjer se izraža zadobnost ali pred-dobnost v časovnih stavkih tipa Aveva preso Vabitudine di consegnare la posta in arrivo, prima che passasse censura se je bil navadil izročati... došlo pošto na skrivaj, preden je šla v cenzuro, Carlo Levi: slovenščina ne izraža plastično dveh slojev v preteklosti (ali tudi v prihodnosti), to je pridržano vezniku. Kar zadeva prevode v slovenščino: priznavamo prevajalcu pravico, da strukturo v izvirniku obrne popolnoma po svoje, da le izrazi tisto, kar je avtor hotel povedati (gl. primer v par. 3). Vendar pa ugotavljamo pri vseh prevodih brez izjeme, da se prevajalci v poglavje o konjunktivu v italijanski morfosintaksi niso poglobili, saj so prevodi večkrat netočni, naj bo že vzrok malomarnost ali neznanje. Slab prevod pa seveda onemogoča primerjavo, in s tem tudi analizo. 94 CDU 800(048.1) Generative Grammar in Europe. Izdala F[erenc] Kiefer in N[icolas] Ru-wet. Izšlo v zbirki Foundations of Language. Supplementary Series. 13. zvezek. Založba: D. Reidel, Dordrecht, Nizozemska. 1973. VIII + 690 strani. V zborniku Generativna slovnica v Evropi je 27 člankov evropskih jezikoslovcev: dva zadevata oblikoslovje, po eden fonologijo in zgodovino univerzalne slovnice, ostali sintakso in semantiko. Preveva jih nazor transformacijske generativne slovnice, vendar izdajatelja opozarjata: »Pred nekaj leti je bilo [tehnični izraz .generativna slovnica'] lahko opredeliti, zdaj zgublja jasnost in natančnost. Raziskovanje v duhu generativne slovnice poteka po najrazličnejših metodoloških načelih; ne zahteva se metodologija, ki izvira iz pojmovanja Noama Chomskega o slovnici, temveč skoraj zadošča izpovedovanje pripadnosti šoli.« Zlasti je težko ugotavljati generativce med semantiki. Nekateri prispevki so v zborniku priobčeni prvič, drugi so ponatisnjeni in po potrebi prevedeni v angleščino. (Razen spodaj označenih s [članek v nemščini.] za naslovom so vsi v angleščini.) Sodelavci so v glavnem mlajši znanstveniki, tako jih Milka Ivič vsaj omenja v svojih Pravcih u lingvistici 1969-70 samo četrtino; to so Bierwisch, Brekle, Kiefer, Lang, Mel'čuk, Ruwet, Riižička. Večina člankov je nastala v 1965-70, med prvim razcvetom transformacijske generativne slovnice v Evropi. Sodeč po narodnosti piscev se je takrat šola razmahnila zlasti v ZRN, NDR, Franciji in Veliki Britaniji; od manjših jezikoslovnih skupnosti sta se uveljavljali estonska in holandska. Ni pa transformacijska generativna slovnica rojevala zrelih sadov v slovanskem svetu, v romanskem zunaj Francije in v Skandinaviji. Jugoslovanskih jezikoslovcev v zborniku ni, le da Riižička, ki edini obravnava, obrobno, tudi slovenščino in srbohrvaščino, našteva med svojimi informanti Jožeta Toporišiča. Spričo obilja načetih vprašanj, jezikovnega gradiva in bibliografij je knjiga koristna, kot branje pa zahtevna. Marsikateri prispevek skoči takoj in medias res. Zlasti semantičnih študij ne more razumeti, še manj soditi, kdor ne obvlada t. i. ELEMENTARNE MATEMATIČNE LOGIKE.1 i Logika se je nepreklicno zasidrala v jezikoslovju, zlasti v semantiki. Prihodnji rodovi naših jezikoslovcev bi se morali seznaniti s to stroko, da bi mogli vsaj presojati jezikoslovna dela, v katerih se uporabljajo logično izrazje in znamenja. Učenje logike lajša »matematična« nadarjenost. Usodno je, da se pri nas marsikak maturant odloča za študij jezikov, ker mu »ne gre« matematika; tak je bržkone zgubljen tudi za jezikoslovje. 95 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes Ker razsežnostim doneskov nisem kos, navajam namesto vrednostnih sodb nekaj podatkov o vsebini prispevkov. (V zborniku pogrešamo povzetke.) Iz praktičnih razlogov sem nekatere primere izvirnikov molče nadomestil s podobnimi slovenskimi primeri ali s prevodi. Werner Abraham: »Etični dajalnik v nemščini.« Primer: Du bist MIR ein Lehrer »ti si mi učitelj«. Etični dajalniki — članek govori samo o zaimenskih — so v stavku nepoudarjeni; ne morejo se okrepiti z auch, sogar ipd., saj je zaimek za temi redno poudarjen. Stavčni osebek in etični dajalnik stojita v različnih osebah Vieh bin mir/uns ein Lehrer; v starejši nemščini je bilo to mogoče) in etični dajalnik nikoli v tretji osebi ("Ich bin ihm ein Lehrer). Kjer ustreza v narečjih knjižnemu etični dajalnik nezaimenske narave (npr. v avstrijski nemščini členica da), omejitve glede različnosti glagolskih oseb ni, zato na takih področjih ne zavračajo knjižnih (v resnici: poknjiženih) stavkov kot Du bist dir ein Lehrer. Pisec delno razčlenjuje tudi pomen etičnega dajalnika. John M. Anderson: »Maximi Planudis in memoriam.«2 Z generativnimi se-mantiki verjame pisec v slovnični opis, v katerem se površinske sintaktične strukture izpeljujejo iz semantičnih: vezja, ki na pomenski ravni naznanjajo odvisnosti med enotami pomenske zgradbe, se s preklopi ipd. postopno spreminjajo v sintaktična drevesa, ki izražajo odvisnosti med enotami površinske sintaktične strukture. Avtor se pridružuje tezi, da izvirajo nekatere enote v površinski sintaktični strukturi iz raznih semantičnih mestnikov (prim, [poslati pismo] v Ljubljano ~ Micki — oboje iz iste semantične enote, alativa). Glagolski časi naj bi bili po pomenu časovni mestniki. Perfekt naj bi bil z vidika pomena sestavljen iz treh logičnih izjav: iz ene, v kateri je mestnik s pomenom »v sedanjosti« (»V sedanjosti je tako:«); v to izjavo je vložena druga, z mestnikom v pomenu »v preteklosti« (»V preteklosti je bilo tako:«); ta oklepa tretjo, namreč stavčni pomen »v perfektu«, brez navedbe glagol-skega časa. Tako bi bil formaliziran pomen perfekta: »stanje v sedanjosti, ki izvira iz preteklega dejanja«. Irena Bellert: »Množice implikacij kot interpretativna komponenta slovnice.« Interpretativna komponenta slovničnega opisa ugotavlja pomen sintaktičnih struktur. Iz pomena stavka izhajajo neki sklepi; nekaj je nejezi-kovnih (izvirajo iz sobesedila in poslušalčevega poznavanja nejezikovnega sveta) in se interpretativna komponenta zanje ne meni. Sklepi jezikovne narave so implikacije z antecedensom »Govoreči pravilno uporablja stavek S?< in konsekvensom »Govoreči verjame, trdi, zanika, dvomi, želi, domneva..., da S«. Pomen stavka S opišem, če navedem konsekvense implikacij, prirejenih pomenu S. Primer: stavek Odpri vrata! interpretiramo semantično tako, da. naštejemo konsekvense »Govoreči verjame, da je en sam predmet, na katerega se on sklicuje z vrata, in da poslušalec more dognati, za kateri predmet gre«, »Govoreči verjame, da vrata niso odprta«, »Govoreči želi (zahteva), 2 Maximus Planudes, bizantinski bogoslovec, 13. St., je prvi znani zagovornik mestniškega izvora osnovnih sintaktičnih enot. 96 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes da poslušalec ravna tako, da bodo vrata odprta« itd. Govor je tudi o izkustveni preveri tako pojmovane stavčne semantike.3 Manfred Bierwisch: »Generativna slovnica in evropsko jezikoslovje.« Pisec primerja nekatere osnovne postavke teoretično najbolj dodelane evropske jezikoslovne šole, Hjelmslevove glosematike, z osnovami transformacijske generativne slovnice. (Proti koncu dodaja nekaj opazk o praški fonološki šoli in o slovnici vsebine [»inhaltsbezogene Grammatik«].) Glosematika ne ustreza kot teorija naravnih jezikov predvsem iz naslednjih razlogov: 1. V glosematični slovnici ni prijemov z močjo transformacij. 2. Glosematika ne pozna pojma »slovnično pravilo«. 3. »Načelo preprostosti«, ki pomaga v glo-sematiki izbirati med alternativnimi slovničnimi opisi, je arbitrarno. 4. Razlogi za štiri ravni slovničnega opisa (»vsebina« — »izraz«, »substanca« — »oblika«) so arbitrarni. 5. Glosematika prenizko ceni empirično podlago jezikovnih univerzalij. Herbert E. Brekle: »O pojmu in utemeljitvi univerzalne slovnice. Nekaj pripomb k III. delu ,Poskusa obče slovnice' Johanna Severina Vatra (1801).«4 [članek v nemščini.] članek opozarja, da je načel Vater še zdaj žgoče vprašanje glede razmerja med jezikovnimi izrazi in njihovimi simbolnologičnimi zapisi. J. J. Christie: »Nekaj globinskih struktur jezika svahili.« V šestdesetih letih so v transformacijski generativni slovnici poskusno izrekli jezikovni univerzaliji: 1. imenske skupine se izpeljujejo iz vloženih stavkov, in 2. pomožni glagoli imajo enak sintaktični status kot nepomožni. Pisec navaja iz vzhodnoafriškega jezika svahili alternativne rešitve izbranih morfosintak-tičnih pojavov in dokazuje, da so najverjetnejše tiste, ki so v skladu z navedenima univerzalij ama. François Dell: »Dva primera izjemnega vrstnega reda pravil.« V fonološki komponenti francoske generativne slovnice sta m. dr. pravili NAZALIZACIJA (nazalizira samoglasnik v bon, ne pa v bon ami in bonne) in VEZANJE (prenaša končni soglasnik besede na začetek naslednje, če se le-ta začenja s samoglasnikom in če sta besedi sintaktično ozko povezani: mon ami izg. z n pred ami). Primeri kot bon ami, kjer samoglasnik v bon NI nosni, zahtevajo vrstni red pravil: VEZANJE, NAZALIZACIJA; VEZANJE pretvori /bon#ami/ v /bo#nami/, nato NAZALIZACIJA ne deluje, saj nima na kaj. Primeri kot mon ami, z nosnim samoglasnikom v mon, pa zahtevajo obrnjeni vrstni red: NAZALIZACIJA, VEZANJE: /mon#ami/ /m5n#ami/ ->/m5#nami/. Piscu taki primeri (navaja še enega s kitajskimi toni) dokazujejo, da pravila ne delujejo nujno v vseh izpeljavah iste fonološke komponente v istem vrstnem redu.5 3 Zanimiva podrobnost članka: t. i. UNIVERZALNOSTNI OPERATOR logike ni uporaben v jezikoslovni semantiki, ker zanj ni protislovja v stavku V tej sobi ni nobenih deklet in vsa dekleta v tej sobi so plavolasa. Treba je vzpostaviti jezikoslovni univerzalnostni operator z delno drugačnimi lastnostmi. — O operatorjih in implikaciji beri: Niko Prijatelj, Uvod v matematično logiko, ponatis 1969. 4 Johann Severin Vater (1771—1826): pomemben nemški filolog, eden utemeljiteljev slavistike na Nemškem. 7 — Linguistica 97 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes Monika Doherty: »'Noch' in 'schon' in njune presupozicije.« Prispevek ugotavlja stične točke v pomenih nemških besed še, ne več, že, še ne. Plodno razlikuje med PRESUPOZICIJAMI in TRDITVAMI kot deli pomenov. PRESUPOZICIJE so tisti del pomena stavka S, ki ostane nespremenjen, četudi trdilni S zanikamo ali zanikanega postavimo v trdilno obliko. Primer: Peter še spi. Tu je treba ločiti dve zaporedni obdobji Petrovega spanja, ob-dobje1 in obdobje2. Tedaj je presupozicija: »Peter ni spal v obdobju,«, in trditev: »Peter spi v obdobju2«. Avtorica opisuje predvsem že in še ob trajnih glagolih; ob netrajnih je njun pomen delno drugačen. Oswald Ducrot: »Francosko 'peu' in 'un peu'. Semantična študija.« Pisec razlaga pomenske razločke med francoskim peu in un peu. Primer: Il a bu (un) peu de vin hier. Pomaga si s presupozicijami in trditvami, z LANGUE in PAROLE. Pomen peu in un peu v langue: peu zatrjuje, da je količina, katere obstoj se presuponira, majhna; un peu zatrjuje obstoj količine (običajno majhne, a ne vedno). Nekatere rabe peu in un peu se pojasnijo s KONVER-ZACIJSKIMI ZAKONI, kot so ZAKON O UBLAŽITVI SPOROČILA (glasi se: da bi ublažili sporočilo stavka A, izrečemo stavek B, ki zatrjuje manj kot A. Npr. A: Ce livre n'est pas intéressant, B: Ce livre est peu intéressant) in ZAKON O KAR SE DA PIČLEM SPOROČANJU (pravi: v pogovoru navajamo samo podatke, ki jih poslušalec potrebuje. Zaradi tega zakona daje stavek Peter je predaval v angleščini često misliti, da zna Peter vsaj še en jezik mimo angleščine). Maurice Gross: »O referenčnosti v slovnici.« Kot jezikovna kategorija se kaže referenčnost v tem, da se imenska skupina lahko nanaša na (je ko referenčna z) drugo v istem stavku, v drugem stavku iste pogovorne celote ali na predmet v nejezikovnem svetu. Pisec obravnava štiri vrste referenčnosti: 1. John bought a book. I read it. Tu it zamenjuje book iste pogovorne celote. 2. John bought a book. I stole one. One pomeni »a book«, a se ne nanaša na imensko skupino a book v prejšnjem stavku. 3. John bought a book. I stole this one. Ko rečem this one, pokažem na neko knjigo v nejezikovnem svetu; this one ni koreferenčno z a book v prejšnjem stavku. 4. John bought various books. I read one. One se nanaša na eno od knjig iz množice, opisane z various books. Ferenc Kiefer: »O presupozicijah.« Pisec razlikuje tele glavne zvrsti pre-supozicij: a. EKSISTENCIALNE in NEEKSISTENCIALNE. S stavkom Lena se je branila priti je povezana eksistencialna presupozicija o Leninem obstoju in neeksistencialna »Lena je bila naprošena, da pride«, b. LEKSIKALNE in NELEKSIKALNE. Leksikalne so prirejene slovarskim enotam. Npr. pomen stavka Janez (ne) ve, da je zemlja okrogla vsebuje m. dr. presupozicijo »Zemlja je okrogla«; ta presupozicija je vezana na glagol vedeti, (če zamenjam vedeti s trditi, presupozicija zgine: Janez (ne) trdi, da je zemlja okrogla.) Primer neleksikalne presupozicije je že omenjena o Leninem obstoju, c. 5 Francoski primer daje piscu prav samo ob predpostavki, da v fonoloških zapisih sploh ni nosnih samoglasnikov, tako da je treba npr. v mon izhajati iz fonolo-škega /mon/, ne /mon/. 98 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes SPLOŠNE ali UNIVERZALNE in POSEBNE. Primer zelo splošne, mogoče univerzalne presupozicije: glagoli kot upati, pričakovati, bati se presuponi-rajo, da je njihov osebek človek. Posebna presupozicija: nemški pridevnik blond »plavolas« se more izreči samo o človeških laseh. W. G. Klooster: »Redukcija v holandskih stavkih, vsebujočih izraze za mero.« Gre za sintaktično obravnavo holandskih stavkov kot Janez tehta 80 kg, kjer je 80 kg izraz za mero. Pisec navaja sintaktične lastnosti, ki so skupne temu stavku in Janez je težak 80 kg, Janez ima težo 80 kg, Janez je 80 kg. Zadnji stavek je dobesedni prevod izvirnega, v slovenščini ni sprejemljiv; pisec ga izpelje z REDUKCIJO iz pomensko prozomejših struktur/ Ewald Lang: »O nekaterih težavah pri vzpostavljanju 'slovnice besedila'.« [Članek v nemščini.] SLOVNICO BESEDILA, jedro JEZIKOSLOVJA BESEDILA (TEKSTNE LINGVISTIKE ali LINGVISTIČNE TEKSTOLOGIJE), pojmujejo nekateri kot obogateno slovnico stavkov. Pisec to tezo zavrača in sodi, da bo slovnica besedila nova teorija, ki jo bo treba izdelati na podlagi najmanj treh teorij o raznih vidikih besedil. I. A. Mel'cuk: »O svojilnih oblikah madžarskega samostalnika.« Svojilni skloni madžarskih samostalnikov se končujejo na 59 obrazil, razvrščenih v dvanajst alomorfov. Primer: hdz »hiša« (množ. hdz-ak), hdz-am »moja hiša«, hdz-aim »moje hiše«. Pomen končnic: »pripadnost« + »slovnično število pripadajoče stvari« + »glagolska oseba tistega, ki mu stvar pripada« + »slovnično število tistega, ki mu stvar pripada«. Izražena je včasih samo »pripadnost« (v 3. os. edn.) ali »pripadnost« in »slovnično število pripadajoče stvari« (v 3. os. množ.). »Glagolska oseba tistega, ki mu stvar pripada« in »slovnično število tistega, ki mu stvar pripada« sta, kadar sta, izražena z enim morfom.7 6 Mimogrede se pisec sklicuje na ameriškega sintaktika in semantika Jeffreya S. Gruberja. Prim, njegovi deli: Studies in Lexical Relations, neobjavljena disertacija, MIT, 1965, in Functions of the Lexicon in Formal Descriptive Grammars, tehnično poročilo št. 3770/000/00 ameriške družbe System Development Corporation, 1967. Gruber predlaga naslednjo jezikovno univerzalijo o vrstnem redu morfemov v sintaktičnih enotah: če se večbesedna sintaktična enota pretvori v eno besedo, se vrstni red morfemov oferne takole: 1, 2, ..., n — 1, n-> n, n — 1, ..., 2, 1. Angleški primer of John John's. To se da — posplošeno — uporabiti v slovenščini. Prim, besedni red v stavku uradnik piše naglo in v imenski skupini -naglo pišoči uradnik: tu nimamo opraviti z večbesedno in enobesedno skupino morfemov, temveč z enoto višje ravni (s stavkom) in s sintaktično enoto nižje ravni (z imensko skupino). — Vendar nastajajo enote nižjih ravni iz enot višjih ravni tudi drugače; prim, nebodigatreba, ki ni treba--garbodi-ne, čeprav je iz stavka ne bodi ga treba (zadnji primer prispevala Birgitta Orešnik viva voce). Ne poznamo vzrokov za nastanek zapostavljenega člena v balkanskih, skandinavskih idr. jezikih: dansko den gode mand »dobri človek« (den je določni člen) proti manden »človek« (pripona -en je določni člen). če je Gruberjeva univerzalija resnična, ni razlaga toliko v odgovoru na vprašanje, zakaj se člen (včasih) pripenja ZA samostalnik, kolikor v tem, zakaj je včasih ob besedno naravo. 7 Pomenska razčlemba teh končnic prepričuje, cepitev na morfe ne. Zakaj ne bi šteli npr. hdz-aim za dva morfa? Resda omogoča piščeva delitev na štiri enote (häz-a-i-m) nekatere posplošitve, saj se tako pridobljene pripone delno ponavljajo v drugih svojilnih oblikah, prim, häz-a-i-d »tvoje hiše«. A pisec ni dokazal, da so te posplošitve signifikantne. Sklicevanje na pomen obrazil ne zadošča; v slovenščini izraža npr. sklonilo v hiš-e sklon, število in spol, delitev -e-ja na morfe pa ni mogoča. 99 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes J. Miller: »Generativna obdelava predikativa v ruščini.« Na način genera-tivnih semantikov in z lokalistično hipotezo (npr. dajalniki so v pomenski strukturi mestniki) dokazuje pisec, da zaradi ruskih stavkov, ki ustrezajo slovenskima V mestu je bilo toplo, Meni je bilo toplo (kjer se toplo v ruski znanstveni slovnici uvršča v besedno vrsto PREDIKATIV [rusko KATEGORIJA SOSTOJANIJA], različno od glagolov, pridevnikov in prislovov), ni treba privzemati besedne vrste predikativ, temveč gre le za posebno rabo pridevnikov. Haldur Oim: »O semantični obravnavi izrazov, ki vsebujejo logične pre-dikate.« Iz računalniške lingvistike in teorije obveščanja prenaša pisec v jezikoslovno semantiko nekatere prijeme za formalizacijo pomena. Semantični zapisi naj ne bi prikazovali vsebine stavkov samo s stališča govorečega, temveč tudi in predvsem s poslušalčevega, in navajali naj bi, kateri podatki so v sporočilu sveži (REMA) ter kak6 novo v sporočilu spreminja poslušal-čevo vednost.8 H. Ratsep: »Vrste vezav pri glagolih dicendi in akcijske situacije.« AKCIJSKA SITUACIJA so nejezikovne razmere, v katerih se stavek izreče; izrečeno opisuje dele take situacije in razmerje govorečega do nje. Med akcijske gredo tudi GOVORNE SITUACIJE. Pisec jih več delno formalizira in ob estonskem gradivu raziskuje vezavo glagolov dicendi v stavkih o govornih situacijah. Primer: v govorni situaciji SPOROČANJE so relevantne prvine: sporočevalec, sprejemnik, besedilo, predmet obveščanja, kod, sredstvo obveščanja, kraj, izhodišče, cilj. V stavkih o tej govorni situaciji se vežejo estonski glagoli dicendi takole: sporočevalec je izražen z imensko skupino v imenovalniku; sprejemnik je imenska skupina v alativu; besedilo je imenska skupina v imenovalniku, rodilniku ali partitivu, ali odvisni ali premi govor;"itd. C. Rohrer: »Nekaj problemov v zvezi s prevajanjem oziralnih odvisnikov v predikatni račun.« Ločimo OMEJEVALNE in NEOMEJEVALNE oziralne odvisnike. Omejevalni oziralnik: Oseba, ki mi je prodala ta dežnik, stanuje tam preko. Neomejevalni: Ljubljana, ki je bila nekoč čisto mesto, je zdaj umazana. Pisec prikazuje pomen takih odvisnikov s sredstvi predikatnega računa ter navaja dobre in slabe strani svoje formalizacije. Nicolas Ruwet: »Kako obravnavati sintaktične nepravilnosti — kot pogoje, navedene v transformacijskih pravilih, ali kot posledice tehnik razpoznavanja?« Ob francoskem gradivu raziskuje pisec, kaj vpliva na določanje stavč-nega člena (gre predvsem za osebek in predmet), kadar površinska struktura stavka zunaj sobesedila ne vsebuje potrebnih semantičnih ali morfoloških namigov. Slovenski primer: Mici Fini tepe, izgovorjen brez izrazitih poudarkov. Zakaj štejemo Mici navadno za osebek, Fini za predmet, ne mogoče narobe? Pisec sodi, da so v mentalni slovnici govorečih razne TEHNIKE RAZPOZNAVANJA. Zaradi ene ima prednost sintaktična razčlemba, pri kateri 8 Med drugim opozarja pisec na zanemarjen razloček v pomenu anaforičnih zaimkov: v stavku Janez je zaprl vrata, ker je skoznje pihalo pomeni -nje »odprta vrata«; v Janez je zaprl vrata in veter ni več pihal skoznje pa pomeni -nje »zaprta vrata«. Ne v prvem ne v drugem primeru ne pomeni -nje samo »vrata«. 100 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes obdrži vsaj eden od dveh dvoumnih stavčnih členov v površinski strukturi mesto, ki ga ima že v globinskem besednem redu. Tolmačenje Fini — osebek, Mici — predmet nima prednosti, ker v globinski sintaktični strukturi predmet ne stoji pred glavnim glagolom, temveč za njim. Rudolf Ružička: »Fronominalizacija s povratnimi in nepovratnimi zaimki v sodobni ruščini in drugih slovanskih jezikih.« V ruskih površinskih sintaktičnih strukturah se ena (najpogosteje druga) izmed dveh koreferenčnih imenskih skupin običajno izrazi z anaforienim zaimkom, in sicer včasih s povratnim, včasih z nepovratnim, včasih sta sprejemljiva oba. Primer: Oni poprosili isključit' sebja/jih iz spiska. Pisec izreka sintaktična transformacijska pravila ruske slovnice, ki izdelujejo anaforične zaimke. Na koncu pritegne druge slovanske jezike. Traugott Schiebe: »K problemu slovnično relevantne identitete.« [članek v nemščini.] Da bi se mogla sintaktična enota nadomestiti z anaforičnim zaimkom ali izbrisati, je treba vedeti, kako podobna mora biti drugi istega ranga v sobesedilu. Ob nemških primerih, v katerih zadevna podobnost ni popolna, ugotavlja avtor, kolika podobnost zadošča, da se sproži pronomi nalizacija, vštevši včasih izbris. Analogen slovenski stavek: Ne verjame samo Karel, da je bolan, temveč tudi Peter z mogočim pomenom »... temveč tudi Peter verjame o sebi, da je bolan«. V tem primeru je za Peter izpuščeno verjame, da je (on) bolan, kjer on = Peter. Izpuščeno je nepopolno podobno delu prvega prirednega stavka. Pieter A. M. Seuren: »Primernik.« V duhu generativne semantike konstruira pisec semantično strukturo, iz katere se z zaporednimi pravili izpeljejo sintaktične strukture s primerniki. Gradivo je večidel angleško. Podoben slovenski stavek: Janez je večji od Micke; tega bi pisec na pomenski ravni razčlenil približno v Janez je velik do mere m in Micka ni velika do mere m? Emanuel Vasiliu: »Nekaj semantičnih dvoumnosti, povezanih s kategorijo 'časa'.« Članek ponazarja, kako se da s prijemi formalne logike (glede teh se pisec naslanja na Rudolfa Carnapa, čigar spominu posveča svoje vrstice) izraziti razne semantično-logične podatke o parih stavkov kot Odhajam in Ostanem. Avtor formalizira m. dr. podatek, da bi si bila stavka v protislovju, če bi ju kdo izgovoril hkrati, v siceršnjih okoliščinah pa si nista v protislovju. H. J. Verkuyl: »časovni predlogi kot operatorji.« Pisec raziskuje semanti-ko holandskih prislovnih določil časa, zlasti predložnih skupin, ki jih uvajata tijdens »med« (= »v trenutku ali delu obdobja«, npr. rodil se je med vojno) in gedurende »med« (= »ves čas obdobja«, npr. med vojno je bil [ves čas] 9 Zanimivo je, kako utemeljuje pisec Jespersenovo misel, da vsebuje primerjalni odvisnik na pomenski ravni nikalnico (prim, zgoraj in Micka NI velika do mere m): a. v številnih angleških narečjih rabi namesto veznika than »kot« v površinski strukturi nor »niti« (tj. »in ne«): He is richer NOR you'll ever be »bogatejši je, kot boš ti kdaj koli«. b.V francoščini je v primerjalnih odvisnikih za primernikom obvezna nikalnica ne: Jean est plus grand que je NE pensais »Janez je večji, kot sem mislil«, c. Soznačni stavek v privzdignjeni italijanščini vsebuje non: Giovanni e piu alto che NON pensassi. Itd. 101 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes vojak). Pomena časovnih predlogov tijdens in gedurende se po piscu najlepše prikažeta z eksistencialnim in univerzalnostnim operatorjem. Anna Wierzbicka: »Iskanje sintaktičnega modela časa in prostora.« Z nedefiniranimi prvinami »postati«, »biti del od«, »svet« se da v naravnem jeziku plodno opisati razne časovne izraze. Avtorica parafrazira Platon je živel dolgo, X je igral za Y-om, X je začel igrati ob petih, dan, noč, ponedeljek, ura ipd. Primer: Sokrat je živel v 5. st. pr. n. š. = Svet, katerega del je bil živi Sokrat, je bil svet, imenovan »5. st. pr. n. š.«. Dan = Svet, del katerega je sonce, ki omogoča ljudem, da vidijo. Podobno je razloženih nekaj izrazov za prostorske odnose, npr, X se premika, X gre od A do B, dolžina. Dieter Wunderlich: »Primerjalni stavki.« [članek v nemščini.] Pisec obdeluje pomen, delno tudi skladnjo, nemških primerjalnih stavkov. Le-te pojmuje precej široko, kot kažejo primeri obravnavanih stavkov v slovenskem prevodu: Peter je skoraj tako len kot Pavel; Peter je večji, kot je postelja dolga; Peter ima bolj kot Pavel rad govedino; Peter mi je prelen; Peter je najbolj len; Peter ima predolge lase; Peter je vozil tako hitro, ker ga je lovila policija. W. U. Wurzel: »Glagolska spregatev in sistem prevoja.« [Članek v nemščini.] članek podaja pravila nemške spregatve s prijemi generativne fonologije in morfologije. Obdelane so končnice in prevojne stopnje šibkih, krepkih, preteritoprezentnih in nekaterih iztirjenih glagolov. 102 VSEBINA — SOMMAIRE Giovan Battista Pellegrini, Commenti a nomi friulani di piante raccolti nell'ASLEF — Tolmačenja in pripombe k furlanskim imenom za rastline, zbranim v furlanskem jezikovno-etnografskem zgodovinskem atlasu ...................... 3 Milan Grošelj, Dve Trubarjevi besedi — Zwei Wörter Trubars .................. 25 Bojan Cop, Das tocharisclie personalpronomen Suffixum B -me, A -m und sein Ursprung — Toharski enklitični osebni zaimek B -me, A -m in njegov izvor 27 Bojan čop, Les changements paradigmatiques d'accentuation chez les thèmes nominaux en -e/o- indoeuropéens — Paradigmatični naglasni premiki v sklanjatvi indoevropskih imenskih debel na -e/o- ................................ 39 Domenico Cernecca, Modi infinitivi del verbo nell'istrioto di Valle — Inlinitivne glagolske oblike v istriotskem govoru kraja Bale ............................ 55 Momčilo D. Savič, L'espressione del passato nei quotidiani delle lingue balcaniche — Iskazivanje prošlosti u dnevnoj štampi balkanskih jezika ................ 65 Mitja Skubic, II congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee nelle traduzioni in sloveno — Prevajanje konjunktiva v sodobnih italijanskih tekstih v slovenščino ............................................................ 77 Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, recensions, notes Generative Grammar in Europe. Foundation of Language. Supplementary Series, 13. D Reidel, Dordrecht 1973 (Janez Oresnik) ................................. 95