LINGÜISTICA XXII Ljubljana 1982 LINGÜISTICA XXII Ljubljana 1982 Revijo sta ustanovila t Stanko Škerlj in t Milan Grošelj Revue fondee par t Stanko Škerlj et t Milan Grošelj Uredniški odbor - Comité de rédaction Bojan Čop - Anton Grad - Janez Orešnik - Momčilo Savic Mitja Skubic - Pavao Tekavčic Natis zbornika je omogočila RAZISKOVALNA SKUPNOST SLOVENIJE Sous les auspices du CENTRE NATIONAL DE RECHERCHES DE SLOVÉNIE Giovan Battista Pellegrini CDU 805. 99 Padova ALCUNE OSSERVAZIONI SUL "RETOROMANZO" Non mi e affatto gradito di dover riscrivere su temí da me giä trattati piu o meno profondamente e ormai in varie sedi. Ciö che piu soddisfa lo studioso é infatti di scoprire e di comunicare delle novitä da sotto-porre alia discussione di colleghi competenti. Mi capita invece di dover ritornare su argomenti in gran parte giä esposti altrove: ma, d'altro canto, oltre a ribadire alcuni concetti o impostazioni scientifiche che, piu che osteggiate, paiono volutamente ignórate, ho qui 1'occasione di fare nuovamente il punto su alcuni problemi e di accennare anche ad alcune osservazioni nuove circa la presunta "unitä" delle paríate "reto-romanze". Me ne offre il destro un recente scritto di un Maestro di studi neolatini, quäle il sempre attivissimo Prof. Gerhard Rohlfs, la cui autorita ha indubbiamente una notevole influenza tra gli studiosi vecchi e giovani, e pertanto merita sempre attenzione. Si tratta in questo caso delle sue opinioni éspresse sul "retoromanzo" nella rielaborazione di un capitolo del suo manuale Romanische Philologie, 2. Teil, Heidelberg 1952, pp. 200 - 205 (tradotto anche in italiano ~ e interamente rifatto « col titolo La posizione lingüistica del ladino, nel suo volume miscellaneo Studi e ricerche su lingua e dialetti d' Italia, Firenze 1972, pp. 125 - 131), sempre col titolo Die Sonderstellung des Rätoromanischen, pubblicato nella rivista "Ladinia" V (1981) pp. 15 - 21.1 Avrei dovuto gia scrivere qualche osseivazione sulle sue precedenti redazioni, ma lo faccio ora, con mag-giori motivazioni, dato che la nuova rielaborazione, qua e lä ritoccata e ampliata, mi pare veramente poco felice. Ritenevo infatti che sulla 1 Tale rivista "Ladinia" col sottotitolo "Sföi cultural dies Dolomites" e pubblicata dall'"Istitut ladin 'Micura de RÜ', San Martin de Tor ed I diretta dal dottor Lois Craffonara. Nella redazione italiana del medesimo articolo, sopra citata, le argomentazioni del Rohlfs ap~ paiono qua e lä assai piu sfumate e pare che l'A. comprenda per lo meno vari argomenti che eollegano il retoromanzo all'italiano settentrionale, senza une netta demarcazione. 3 cosiddetta "questione ladina" - per me un falso problema dal lato lingüístico - non si dovesse vergare ormai nemmeno un rigo , mentre vedo, con vivo dispiacere, che in molti casi la scienza non fa alcun progresso e che si continuano a ripetere, senza alcuna valutazione critica, luoghi comuni. E premetto súbito che se in alcune questioni glottologiche mi trovo alli-neato, in punti fondamentali della discussione, su posizioni assai vicine a quello di un altro grande scienziato quale fu Cario Battisti (e per altri versi, specie per l'interpretazione lingüistica di "ladino", seguo sostan- zialmente le vedute del mió Maestro, recentemente scompaiso, Cario 3 Tagliavini ), divergo radicalmente dai contenuti, a volte pragmatici, ope-rativi a sfondo pratico, cioe político, del Maestro viennese-fiorentino. II Battisti infatti che dedicó agli studi sul ladino, o alpini, oltre settant' anni di ininterrotta attivitá, chiusa solo dalla sua scomparsa (awenuta 4 nel marzo del 1977, all'eta di quasi 95 anni) , ebbe l'illusione e forse commi.se l'ingenuitá di credere che i suoi importanti scritti (spesso densi e complessi volumi) potessero interessare anche alie autorita statali ed in particolare nel secondo dopoguerra. Con le sue "lettere aperte" (che 2 Cito come típico esempio di dilettantismo a proposito di "retoro-manzo" o "ladino" il volume di Giampaolo Sabbadini, I Ladini. Come e nato e come si estingue un popolo, Firenze 1976 (il quale tuttavia ha il mérito di indicare alcune cause reali dell'estinzione di detto "popolo"); si veda su tale volume anche A. Zamboni, Recenti dis-cussioni sul problema ladino, in "Rivista italiana di dialettologia" I (1977), pp. 99 - 115. 3 Sulla figura di studioso, ed in particolare dei dialetti ladini, si veda la mia commemorazione tenuta a Belluno il 15 ottobre 1982, ora pubblicata nella rivista bellunese "Dolomiti" anno V, (1982), pp. 7-16 (col titolo Cario Tagliavini e gli studi bellunesi). 4 Sulla attivita scientifica di C. Battisti si veda la sua Autobibliografia (con una mia presentazione), Firenze (Olschki) 1970 e il volumetto di "Atti del convegno commemorativo di Cario Battisti", Trento-Fondo 1978 (a cura della Provincia autonoma di Trento. Assessorato alie attivita culturali) con contributi di G. B. Pellegrini, G. Fran-cescato, C.A. Mastrelli, M.G. Tibiletti e G. Giacomelli. 4 83 in altri tempi avrebbero potuto avere qualche significato) si è addirittura attirata 1'antipatía - secondo noi gratuita - dei valligiani del Sella. E' comunque certo che in sede politica le sue affermazioni non hanno avuto il ben che minimo séguito6. E' infatti perfettamente inutile d'indicare oggigiorno quali dovrebbero essere gli indirizzi da seguire a chi sa be-nissimo quale è la strategia da adottare per raggiungere importanti tra-guardi pratici e per poter sostenere la vitalità di quelle paríate alpine. Chi scrive, invece, è convinto pienamente di rivolgersi, con i propri scritti, únicamente a dieci o quindici lettori che si augura competenti in materia e che conoscano la tematica trattata, senza alcuna mira di ordine pratico; né si rivolge agli uomini politici i quali conoscono bene i mezzi più efficaci per ottenere i risultati che essi desiderano, né intende interferire nella loro azione. I nostri ideali pratici sono quelli europeistici in senso pieno e ci auguriamo di aver indicato, a questo proposito, qualche 7 esempio concreto . Non credo di essermi mai ispirato nelle mie ricerche (buone o cattive) ai vecchi ideali di esasperato nazionalismo, pur non essendo insensibile a eventuali ingiustizie perpetrate ai danni di gruppi 5 Ricordo ad es. la Lettera aperta ai Ladini delle Dolomiti, "Archivio per l'Alto Adige" LX (1966), pp. 305 - 316, ricca di tante verità, ma viziata dal tono paternalistico che di questi tempi è assai poco efficace. Era infatti inutile rivolgere appelli a chi già da tempo ha scelto chiaramente una cultura (e tra breve anche una lingua) assai diversa da quella italiana che per vari motivi, forse plausibili, è quasi invisa e disprezzata (a differenza dal secolo passato). 6 L'attivita del ßattisti e addirittura definita, per quanto si riferisce agli indirizzi da lui indicati ("risanamento morale dei Ladini di fronte al problema nazionale") un "Gehirnwäsche", cioè un "lavaggio del cervello", secondo l'opinione di H. Kuen, v. "Ladinia" HI (1979), p. 57. 7 Mi riferisco in particolare ad una istituzione assai importante quale l'Università che in Italia continua ad essere sostanzialmente antieuropea (per non dire única al mondo); su di ció si veda il mió breve contributo (che ho dovuto restringere rispetto al testo primitivo, rifiutato da tutte le riviste italiane alie quali era stato offerto e pertanto edito a mie spese) Europe and the Italian University, Pa-dova 1981, di pagine 14. 5 alpini più deboli . Dopo questa premessa vorrei menzionare prima di tutto alcune informazioni che mi comunico, in varie occasioni, il Prof. Rohlfs a proposito di una sua inchiesta dialettologica che egli aveva ap-pena iniziata a Rocca Pietore (Belluno) nel setiembre del 1939. Era ap-pena scoppiata la seconda guerra mondiale e, se non mi inganno, era quella l'epoca delle "opzioni" (forse appena iniziate) con l'inclusione nel territorio degli "allogeni" del confinante Livinallongo. L'inchiesta dialettologica dello studioso tedesco deve avere insospettito stranamente la locale stazione dei carabinieri e l'illustre Professore tedesco fu consigliato a lasciare subito il paese. Di tali fatti ebbi notizie precise anche dall'allora informatore del Rohlfs che egli aveva scelto molto intelligentemente. Egli era infatti uno dei migliori conoscitori del dia-letto locale e si era tra l'altro dilettato a raccogliere e trascrivere, in un ottimo patuà locale, le antiche leggende o le vecchie cronache (ora parzialmente edite in giornali locali; esse meriterebbero di essere riunite in un volumetto). Questi era l'allora segretario comunale, Valerio 9 Troi (ex studente universitario), mio stretto parente il quale - come mi disse - rimase stupefato dalle straordinarie conoscenze dialettali dell'illustre intervistatore. Ora io mi chiedo, se il Rohlfs avesse potuto continuare 8 Mi pare sia questo anche il caso délia "Marmolada", che sembra ora assegnata dai massimi organi dello stato alla provincia di Trento ed in particolare alla valle di Fassa, mentre, per lo meno in parte, essa e appartenuta per secoli ai Bellunesi (ed in particolare al comune di Rocca Pietore); si veda su taie questione il mio scritto Rocca Pie-tore, La Marmolada e i Ladini nelle rivista "Dolomiti. Rivista di cultura ed attualita délia provincia di Belluno", II, 1 (1979), pp. 5-13. 9 La mia famiglia e originaria di Rocca Pietore nel cui cimitero ri-posano i miei avi; mio nonno paterno, mio perfetto omonimo, è stato l'informatore dell'Ascoli per quella parlata (definita nettamente ladina dal grande glottologo goriziano, v. Saggi ladini I, 1873, pp. 375 - 377), e traduttore délia novella boccacciana del Papanti (p. 123) col commento dell'Ascoli; v. anche la mia edizione del Carteggio Ascoli -Fr. Pellegrini, in Studi di filología romanza offerti a Silvio Pellegrini, Pa-dova 1971, pp. 421 - 455 (donde si pub capire come l'Ascoli abbia sistemato i dialetti délia provincia di Belluno nelle tre sezioni, variamente gradúate, di "ladini", "ladino-veneti" e "veneto-ladini"). 6 quella inchiesta a ridosso del territorio ex tirolese di Buchenstein (pro- babile traduzione del popolare Fod¿m/°. cioé del Livinallongo, estesa poi alie zone confinanti a Sud, forse che egli avrebbe riportato l'impres- sione di un "retoromanzo" nettamente segregato dall'"italiano" e autonomo, con confini ben netti nei confronti del "cisalpino", come essi figurano, ad es., in una certa dialettologica di Th. Gartner ed in altre?11 Non eseludo che egli avrebbe ugualmente consérvate le sue vecchie concezioni, poiché e sempre difficile mutare le opinioni tradizionali che corrono tra i linguisti, da tanti decenni di manualistica neolatina, salvo rare eccezioni. Egli aveva espresso, con qualche ritocco e con maggiore apertura nella redazione italiana del suo capitolo "retoromanzo" tali concezioni che ora invece ha ribadito, nel 1982, in una forma assai peggiorata nell'articolo che stiamo per commentare. II suo ex allievo, autentico specialista di ladino e brillante filologo e letterato, Theodor Elwert - che probabilmente dietro invito del medesimo Rohlfs si occupo, in una ottima monografía, 12 della Valle di Fassa (oltre aver dedicato un eccelente volume anche 10 Eodóm e denominazione popolare di cui mancano fino al secolo passato documentazioni scritte, come si puo vedere anche dal volume di B. Richter-Santifaller, Die Ortsnamen von Ladinien, Innsbruck 1937, p. 209; vedi soprattutto Vito Pallabazzer, I nomi di luogo di Pieve di Livinallongo del Col di Lana, Firenze 1974 {DTA III, Parte VI) pp. 313-14, nr. 1390 ed ivi la bibliografía precedente specie per le varié etimologie proposte. Mi pare verosimile che tale toponimo, derivato di fodus (lat. med. per fagus) 'faggio'; si ripeta nell' Oltrechiusa cadorina se esso corrisponda - per 1'étimo - a Faone (Riuuolo de Faone) all'anno 1239 in documento conservato a San Vito di Cadore, v. G. Richebuono, Le antiche pergamene di San Vito di Cadore, Belluno 1980, pp. 73 - 74. 11 V. ad es. la carta dialettologica allegata da Th. Gartner al suo volumetto Viaggi ladini, fatti e narrati dal dottor T. G. con un saggio statistico e una carta geográfica, Linz 1882; recentemente si veda il volume Südtirol. Eine Frage des europeischen Gewissens, Wien 1965, ed ivi la carta geográfica con i netti confini del ladino. 12 W. Theodor Elwert, Die Mundart des Fassa-Tals, Heidelberg 1943 (ristampata da qualche anno senza alcuna modifica di cui non aveva bisogno). 7 alia letteratura veneziana ) - non e di certo ancorato, per quanto concerne il ladino, a posizioni francamente preconcette ed antiquate o diremmo meglio superate, poiché egli sa benissimo qual e la vera posizione lin- 14 guistica del ladino centrale e la sua genesi , dato che di codesti problemi si e occupato a lungo e direttamente. Afferma dunque il R. (p. 15) che fin dai primissimi documenti letterari il retoromanzo (che io debbo ritenere equivalente al "ladino" tradizionale, con inclusione del Friuli) si presenta come una lingua autonoma. Per evitare equivoci riconosco súbito anch' io che, per motivi extralinguistici, ma anche in parte linguistici, il grigionese (cui solo si conviene eventual-mente la denominazione di "retoromanzo") offre una posizione particolare ed ha risentito di certo, oltre che di antiche correnti cisalpine - specie nel suo periodo di formazione , attraverso l'antichissima dipendenza dalla diócesi di Milano - , anche di influssi lessicali provenienti dal Nord-Ovest' e dalla Francia, ció che non si verifica per il ladino dolomi-tico e tanto meno per il friulano. Ma non si possono d'altro canto negare alcuni legami - anche qui di ordine lessicale, ma anche fonético - tra ladino grigionese e lombardo alpino; basterebbe a provarli una lettura, anche superficiale, del noto e ottimo volume di R. A. Stampa sul lessico 15 preromanzo . Non mi pare poi che debba impressionare molto se l'enga-dinese Ulrich Campell (sec. XVI) considera la Natio Raetica e la lingua retica come diverse e separate dall' Italia e dalla lingua romana o italica. Pensó che soltanto nel periodo fascista si siano manifestate delle mire 13 W. Th. Elwert, Studi di letteratura veneziana, Venezia - Roma 1958. 14 V. ad es. la sua relazione L'entita ladina dolomitica. La dimensione lingüistica nel volume L' entitä. ladina dolomitica: Convegno Ínter-disciplinare, Vigo di Fassa IO - 12 sett. 1976, Atti a cura di L. Heilmann, Vigo di Fassa 1977, pp. 99 - 118. 15 R. A. Stampa, Contributo al lessico preromanzo dei dialetti lombardo-alpini e romanci, Zürich - Leipzig 1937 ( = RH II); lo Stampa segue ed amplia un noto lavoro del suo maestro J. Jud, Dalla storia delle parole lombardo-ladine, in BDR III (1911), pp. 1 - 18 e 63 - 86. 8 16 politiche e culturali sui Grigioni . Quanto all'idioma, non sara difficile risuscitare parecchi esempi di vari testi scritti in quell'epoca in lingua 17 calabrese, abruzzese, lombarda, piemontese ecc. . E5 owio che "lingua retica" significa lingua parlata nella Raetia (ed ancora ai primi del secolo passato, tale lingua, secondo alcuni studiosi locali, sarebbe stata equiva— 18 lente ad un purissimo etrusco) . Ma cib che sorprende ancor di piu (e la dichiarazione é evidentemente rivolta alia grande maggioranza dei lettori della rivista, non di certo ai pochi specialisti) e 1'inciso, una tessera isolata del confuso mosaico, a proposito del poeta friulano Girolamo Sini, spesso citato da studiosi locali friulani, assai inesperti in problemi linguistic! e di storia della lingua. Tale letterato, gia nel secolo XVI, scrive 19 un sonetto "in laude de lenghe furlane" . Per elogiare l'eloquio friulano quale termine avrebbe dovuto impiegare, scrivendo nella sua parlata, tale poeta? Non aveva infatti molta scelta poiché denominazioni quali "dialetto", 16 Tali mire hanno portato, forse per reazione, alia proclamazione del romancio al livello e dignita di quarta lingua "nazionale" della Con-federazione elvetica in seguito al plebiscito del 20 febbraio 1938 (con il risultato di una maggioranza nettissima di oltre il 90 %); ma come e noto, il romancio (o meglio le 5 varieta del retoromanzo svizzero) non e considerato une "lingua ufficiale". 17 Mi basti rinviare alia ricca disamina sul termine "dialetto" (che sostituisce "lingua" in italiano in epoca piuttosto recente) in M. Cor-telazzo, Avviamento critico alio studio della dialettologia italiana. I. Problemi e metodi, Pisa 1969, pp. 9 - 16. 18 V, A. Decurtins, Das Rätoromanische und die Sprachforschung. Eine Uebersieht, "Vox Romanica" 23 - 2 (1964), pp. 256 - 303, in parti-colare p. 273, ove si cita l'opinione di un erudito grigionese, lo Spescha, che nel 1805 nel contributo, Die Rhäto-Hetruskische Sprache. Ein Beitrag zu deren Geschichte, definiva il soprasilvano "der reinste und echteste romanische Dialekt, das authentische Relikt der etrus-kischen Sprache". 19 Esso si puo leggere ad es. in G. D'Aronco, Nuova Antologia della letteratura friulana, Udine - Tolmezzo 1960, p. 99 "In laude de lenghe furlane": "Al par al mont che cui chu scrif in rime/ AI sei tignut a falu par toscan;/ Seij pur chui cu compogn napolitan, / Lombard o d'altre tiarre o d'altri clime.." Ove si notera che oltre all' acenno al "toscano" (non definito italiano) non manca il "napoletano" o "il lombardo", ecc. 9 pafaà, "idioma" ecc. non circolavano di certo ancora in Friuli in quell'e- poca, e di cio è stato scritto più volte e mi pare interamente superfluo litcrnare su codesto argomento, ampiamente sviscerato anche in articoli 20 recenti . E la citazione del Rohlfs, invece, inopportuna e non pertinente poiché non dice nulla relativamente alla materia trattata. Tra i precursori dell'Ascoli il R. - probabilmente dietro giustificato sug-gerimento del direttore délia rivista - dà grande spicco al sacerdote Nikolaus Bacher (cioè Micurà de RÜ cui e intitolato l'Istitut Ladin de San Martin de Tor) il quäle ebbe un acceso sentimento délia ladinità delle valli e scrisse un Versuch einer deutsch-ladinischen Sprachlehre, cioè una grammatica del "ladino", (ma sarebbe utile conoscere in quale senso ed estensione). Tale opera manoscritta (del 1833) dovrebbe essere pubblicata, eventualmente con un commento, proprio nella rivista "Ladinia", altrimenti non è dato di conoscere al lettore come intendesse il benemerito pioniere il concetto di "ladino". Finora io personalmente conosco di codesto autore soltanto qualehe frase isolata, edita dal Craffonara, e non posso rendermi conto délia sua cultura lingüistica (che, a dir vero, non mi immagino su- periore, in materia glottologica, a quella dei suoi contemporanei). Anche i sul sentimento della "nazionalita ladina", citato da "Tiroler Stimmen" del 1864, vorremmo avere maggiori ragguagli per conoscere su quali partico- larità. essa è fondata o se si tratti solo di vaghe impressioni, di modesta 21 o nulla portata scientifica . A dir vero, se si parla di autentica "nazio-nalità ladina", sarebbe una grossa novità per quell'época poiché non mi 20 Ed e codesto del sonetto del Sini un argomento troppo spesso messo avanti dagli eruditi locali friulani per dimostrare che il friulano era una "lingua", come lo sarebbe tuttora; ma opportunamente si precisa ora che tale parlata sarebbe una lingua minore o una lingua di cultura. Mettere il friulano oggigiorno alia parí dell'italiano costituirebbe, secondo noi, un gravissimo pericolo per la sua vitalita che per fortuna e ancora as sai buona. 21 Sono a questo proposito assai pertinenti alcune osservazioni del romanista tedesco J. Kramer esposte in varié occasioni e vedi ora anche il suo volume Deutsch und Italienisch in Siidtirol, Heidelberg 1981, pp. 137 - 162 ("Die sprachliche Situation der Ladiner"). 10 consta che essa sia mai stata riconosciuta ufficialmente dalla plurina-zionale monarchia asburgica, molto attenta ad accontentare i suoi sud-diti di lingua e cultura assai diversi tra di loro. L'affermazione del R. che il "retoromanzo", inteso, secondo la vecchia tradizione, sostanzialmente come un gruppo lingüístico único, sta a meta tra "dem italienischen Spraehtyp und. dem Galloromanischen" I una affermazione per me assai ambigua. Vorrei sapere innanzitutto quai è il "tipo lingüístico italiano" (prescindo ovviamente dall'italiano standard che, come tutti saniio, è sostanzialmente il toscano, anzi il florentino, tutt'altra cosa dal lucano, dal calabrese o dal piemontese e il R. lo sa benissimo). Una affermazione meno impegnativa sarebbe stata ad es. : una "posizione intermedia tra il gallo-italico e il gallo-roir.anzo", ma anche codesta de-finizione, a ben guardare, non sarebbe stata puntuale sul piano diacro-nico. Quanto egli afferma subito dopo, e cioe che ad un osservatore obiettivo risulta che il retoromanzo "stärker zum Französischen als zum Italienischen gravitiert" è invece - secondo noi - una osservazione ancor piu equivoca e forse volutamente tale poiche qui si mira di proposito ad ignorare la vastissima area dell'italiano settentrionale che disgraziata-mente non è divenuto, per i motivi che tutti conos cono, una lingua uffi-ciale, ma di cui conosciamo una amplissima testimonianza letteraria dei primi secoli con tentativi, subito abortiti, di una certa koiné. Se la caratteristica fondamentale del retoromanzo consiste soprattutto nella formazione dei plurali con -s, come nella Romanía occidentale, non ca- pisco dawero come il R., che pure ha scritto su codesto argomento re- 22 lativamente ai dialetti it. sett. arcaici , voglia qui ignorare la situazione originaria della Cisalpina e tutti i suoi relitti di formazioni sigmatiche che 22 Mi basterebbe citare del Rohlfs ad es. il contributo Zur Mundart von Livigno (Veltlin), ASNS 177 (1940), pp. 28 - 41, ove egli mette in luce, tra l'altro, plurali sigmatici nell'Alta Valtellina, ed altre conservazioni di -s finale latino. 11 non sto qui a ridire . Ma il R. considera forse ladini o veneziani (cioe italiani) i dialetti cadorini che ancora nella fase attuale hanno in maggioranza i plurali sigmatici (non soltanto Cortina d'Ampezzo o il Comelico!)? Di tali forme ho fornito io stesso, in varié occasioni, una 24 ampia documentazione e non voglio ripetermi . Ed i dialetti veneti non possedevano tracce abbondanti di tale formazione? Mi accontento qui di citare - come aggiunta - una campionatura dalla to~ 25 ponomastica di Revine Lago, in prov. di Treviso , quale Val dei fons 26 "valle dei funghi" , ancora percepito con tale significato dai vecchi del 27 paese, e vari altri esempi gik bene intuiti dall'Olivieri, TV , sistematicamente dimenticati, quale ad es. Rivalz (torrente a Tarzo, Treviso) 23 Tali relitti sono del resto illustrati anche da W. von Wartburg nel suo notissimo volume Pie Ausgliederung der romanischen Sprach-raume, Bern 1950, pp. 2o - 31 e ivi la carta nr. 3. 24 Si veda Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano. Bari 1972, pp. 37 - 40 e ora I dialetti ladino-cadorini, in Studi in memoria di Cario Battisti, Firenze 1979, pp. 245 - 265. 25 Come si vedrk chiaramente dal dizionario dialettale (ora in corso di stampa) dovuto al Dr. G. Tomasi, originario del luogo e ottimo conoscitore del dialetto di cui ha raccolto anche forme antiche tratte da documenti (esce tra breve a Belluno, presso l'Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali"). 26 La forma fons ('funghi') potrebbe venire da un precedente fonk-s (cfr. frl. pok, pl. pos); ma non voglio sottacere l'eventualita, piu probabile, di una trafila *fongi *fonzi fons (non ignota a dialetti arcaici it. sett.). II toponimo 'fe attestato all'a. 1532 Val da fonch, a. 1582 e ss. sempre Val da fons. 27 Si veda ora anche il contributo di A. Zamboni, Toponomástica e storia religiosa fino al X secolo, in un volume in corso di stampa sulla diócesi di Ceneda (Vittorio Veneto); ho potuto leggere tale contributo sulle bozze di stampa. Anche lo Zamboni sottolinea piu volte la con-servazione di -s in alcuni toponimi del Trevigiano (specie settentrio-nale) sui quali gia aveva richiamato l'attenzione degli studiosi D. Olivieri che conosceva assai bene il territorio avendovi dimorato per tanti anni (si noti I Pians, Campers, gia Campert, i Piáis ecc.). 12 che riflette assai verosímilmente un rivus altus, forse al pari di Calalzo 28 da callis altus, ecc. Il R. ricapitola poi i ben noti tratti ladini o retoromanzi per cui tali parlate stanno con 1'occidente romanzo. Ma non sono forse d'accordo tutti gli studiosi nell'assegnare l'Alta Italia alia Romanía occidentale, secondo la definizione di W. v. Wartburg e del Bartoli? E' proprio necessario ripetere qui gli esempi individuati dall'Ascoli e da tanti altri linguisti, (anche da chi scrive queste righe) che attestano tali fatti fonetici, morfo- 29 logici e lessicali nelle aree italiane settentrionali? Vorrei soltanto ri- chiamare qualche esempio individuato di recente a Vittorio Veneto' ( e sua 30 periferia), ad es. Haf per 'Piave' (lat. Plavis di origine prelatina) ; a Revine Lago: plat ' staggio con cui il muratore pareggia le piastrelle', planto 'impiantito su cui poggia il ponte dei muratori nel caso che il terreno non sia solido', Plan (?) comune nella toponomástica, florirse rifl. ' ammorbidirsi, detto di foglie o bucee' per non citare tante forme dei 28 V. Olivieri, TV 75 a proposito di Calalzo da un callis altus con alcuni dubbi; la forma antica Calaucio risulta da una latinizzazione del notaio, oggi si dice in loco calaufle con un -e, chiara aggiunta tipica dei dialetti cadorini; si noti ad es. infle 'dentro' da un intus ints + ~e e passaggio di ~ts_ ail'interdentale. Tale forma fe tipica anche del Comèlico infli, dinfle 'dentro' e figura anche nel bellun. ant. di Cavassico, ma non mi risulta che fosse stata spie-gata correttamente, v. invece i miei Studi di dialettologia e filología veneta, Pisa 1977, p. 329 s.v. ince 'entro'. 29 Anche in questa occasione non desidero ripetermi troppo, ma mi accontento di rinviare ancora una volta ai miei S aggi lad, friul. cit., ove piu vol te tocco di tali problemi. 30 Piaf è ancora la pronuncia arcaica di Revine Lago, ma si veda anche E. Zanette, Dizionario del dialetto di Vittorio Veneto, Vittorio Veneto 19802, p. 460 Plaf n.pr. pron. arcaica e rurale = Piave "... Piaf. Piaf, te sararo mi '1 pas"... 13 ol document! anche del secolo passato con xiferimento a toponimi, cognomi 32 e a eomuni appellativî . ■ I nessi corn del resto non sono stati superati soltanto nei dialetti cado- rini, ma anche del dialetto fondamentalmente ladino atesino délia Val di Fassa, con înnovazione "italiana" awemita già da oltre un secolo come 33 terminus a quo , mentre ad es. all'epoca délia raccolta dell'Ascoli, Laste ("veneta" secondo le considerazioni degli etno-politici) conservava ancora i nessi intatti stando ail' esempio citato nei Saggi ladini p. 377 klamé clamare. Quanto alla palatalizzazione di CA. GA, dovrei ri-aprire un lungo discorso. Comunque si vedano qui sotto alcune mie nuove osservazioni su di un articolo di "Ladinia" Œ, dedicato a codesto fenomeno. Ma sono intanto in grado di allegare qualche nuovo esempio, sempre da Revino Lago, in un'area che dovremmo giudicare veneta, e cioè Croda 31 Molte forme d'archivio con i nessi conservati per i nomi locali veneti si possono vedere in D. Olivieri, TV, passim; ma, come si sa, tali forme possono a volte dipendere dalla grafía latineggiante dei notai. Piu sicuri sono invece le indicazioni cronologice che ci vengono ad es. dai prestiti veneti (veronese e vicentino) passati per lo piü con i nessi con L iritatta (o con l'intacco klj, plj ecc.) nei dialetti "cimbri" (cioe bavaresi) dei Sette comuni vicentini e dei Tredici comuni veronesi; su ci?) mi basti rinviare ai miei Studi di dial, e fil. ven, cit., pp. 80 - 81, ove riporto la bibliografía precedente in párticolare dovuta a C. Battisti. Ma forme analoghe non mancano a testi veneti del XIV sec. (ad es. cliara, pliano che possono interpretarsi come fasi fonetiche reali e non soltanto come grafie, secondo M. Corti, Emiliano e veneto nella tradizione mano-scritta del 'Flore di virtu*, StFI XVII (1960), p. 20, nota. 32 Ü Tomasi mi comunica ad es. per i documenti, anche recenti, di Revine Lago: ampia (sec. XVIII), Piazola (sec. XVII), simpla (sec. XVHI), Santa Flor (a. 1364), ecc. 33 La storia della conservazione e risóluzione dei nessi nei dialetti della Val di Fassa e accüratamente indagata dall'EIwert, Die Mundart des Fassa-Tals cit. pp. 70 - 72. Tali nessi si sono conservati -sia pure intaccati, cioe con palatalizzata, fin verso la metí del secolo passato, ma all'época dei Saggi ladini essi erano ormai dissolti. L'ultima voce che serba tracce del nesso intatto sarebbe ivi klines ' Mähnen haare des Pferds', evidentemente da un *clinis per crinis; anche nei dialetti ladino-veneti agordini si ha cina (da clinis) ' zazzera'. 14 longia, in doc. del sec. XV, e come appellativi ad es. scat 'stoppie' 2 * (v. anche Zanette 558 s-ciat ' stoppia del granturco', ma piu comune s-ciat¿n...'). cui corrispondono nei dialetti veneti di norma la forma skat e skatón 'bastone' ('stoppie' ecc., v. Prati, Et. ven. 156 secondo il quale l'etimo non sarebbe noto, mentre quasi tutti i linguisti fanno risalire taie voce al gotico, riflesso in Isidoro nella forma scaptus (DEI V, 3380) o al long, skaft (Gamillscheg, RG II, 154, Battisti, VDA 232 < long, skaft 'asta'), v. anche qui sotto; e coldèl 'piccolo cassetto nella cassapanca' derivato del tipo "caito" ' cassetto' , cioe da *calathellus *caladèl ~> caudèl. > coldèl con jiu > olj cfr. ausare > olsá ecc. Per caito 'cassetto' e forme venete caito, coito e anche trev. cialto, v. Prati, Et. ven¿ 33, il quale pensa erróneamente ad un *caltlu da cui *claltu, forma che non si accorda con coldèl. Ci si puo chiedere se i toponomi del tipo Chiamp (anche a Revine) derivino veramente da un campulu > clampu o se non rappresentino, al pari di Chiampo (Vicenza), dei residui di forme palatalizzate. Quanto ail'estensione approssimativa attuale délia palatalizzazione di CA, GA nell'Alta Italia, mi bastí 34 rinviare all'isoglossa (isofona) 3 della mia Carta dei dialetti d' Italia . Secondo il R. anche la "delabializzazione" di QUA e GUA è un fenomeno "retoromanzo" che sta con le lingue romanze occidentali. Ma anche in eodesto caso non è difficile indicare ampie aree dell'Alta Italia in cui 35 \ si attua tale fenomeno . Debbo innanzitutto precisare che e típico del friulano il passaggio di qua in ko, come indicano ormai rare voci e la 36 y toponomástica, ad es. corésime 'quaresima' o Codroipo<Ç quadruviu. 34 Si veda anche le annotazioni bibliografiche nel volumetto di commento a p. 40. 35 Per tale evoluzione nei dialetti italiani settentrionali rinvio anche al medesimo Rohlfs, Gramm. storica I, § 163, p. 221. 36 Tale voce corésime 'quaresima' manca al NPirona, ma e re-gistrata ad es. da G. Marchetti, Aggiunte al NP, Udine (SFF) 1967, p. 12 e Lineamenti di grammatica friulana, Udine 19672, p. 66, ove si citano altri esempi. 15 Ma il frl. ha spesso reintegrate) il nesso con u per cui gli esempi dell' e-voluzione arcaica sono pochi, mentre e comune quand, quant, qual ecc., v. NPirona 832 - 833 ecc. Ritengo tuttavia che l'esito antico sia stato proprio qua 1> ko e non ka, come negli esempi attuali grigionesi e ladini atesini (surmir. catter ' quattro', dolom. cater, ma surm. curanta 'quaranta'). Per avere un'idea del fenomeno cisalpino che si collega a quello gallo-romanzo onde la spiegazione strutturale della palatallizzazione di ka e Ra, - v. qui sotto - cito dai dialetti agordini (BL) ad es. kal 'quale', kande 1 quando', kel 'quello', lénga 'lingua' ecc. e nella toponomástica feltrina Cart (presso Feltre) (ad)quartum (lapidem). La re-integrazione di ka in qua e di _ga in gua e fenomeno assai diffuso anche nell'Alto Veneto, per cui i dialetti piü rustici e appartati conservano le vecchie forme senza jj, mentre i dialetti piü cittadini hanno sempre kjja, gua. Quanto a dittonghi discendenti da e ed o stretti del lat. vg. il R. non insiste molto poiché ne conosce una ampia esemplificazione in quasi 37 tutta 1' Italia superiore . Ribadisco ancora una volta che tali dittonghi, 38 comuni nel bellunese antico , sono tuttora conservati nel dialetto di Lamón 39 (Feltre) e di La Valle presso Agordo ; ma anche nel bellun. attuale non vi mancano le tracce ad es. nei 'neve' (maschile! da nive), v. Nazari 114. 40 A questo punto il R. - come gli altri studiosi - per caratterizzare il retoromanzo invoca (l'Ascoli non vi aveva dato importanza) anche "i dittonghi induriti", ciol il passaggio, nei dittonghi discendenti, della semivocale a je (/g) e ne sottolinea la presenzá anche nel valiese (franco-provenzale): :nekf< neif, segra (< sera) < seira, flokr ( 'fiore') ^ flour 37 Basti una occhiata alia sua Grammatica storica I, pp. 78 - 79 o pp. 93 - 94. 38 V. Salviono-Cavassico § 11 e vedi i miei Saggi lad, e friul. pp. 30 - 32. 39 V. il mió Schizzo fonético dei dialetti agordini, Venezia 1955, pp. 35 - 37 e pp. 41 - 46. 40 V. oltre ai noti lavori del Gartner, anche B. E. Vidos, Manual de lingüística románica, Madrid 1963, pp. 313 - 14. 16 ecc. Egli ci dice inoltre che nelle Dolomiti il fenomeno sarebbe sporadico e cita il livin. siech /siek/< siei 'sei'. In effetti questo è l'unico esempio che io conosco per tale zona ed in genere per il ladino atesino; ma il R. non dimentica poi di rinviare ad un articolo di G. Francescato che cita esempi di "indurimento" per alcuni dialetti friulani di tipo occidentale (cioè concordiese)^. Tanto il collega e amico Francescato, quanto il Maestro tedesco, hanno qui interamente dimenticato di richiamare gli esempi analoghi del bellunese antico (e in parte anche moderno) e délia \ 42 toponomástica agordina, i primi gia segnalati dal Salvioni ed i secondi da me individuati con esempi assai chiari, quali ant. petrëtum divenuto *Perei > *Paréi ed oggi Parék (presso Agordo), oppure fraxinëtum pas- sato in *Frasenéi ed oggi Farsenék (onde gli abitanti di quel paese agor- - - 43 dino si denominano in loco farseneghi. farsenechi) . Anche le forme bellunesi vik 'vite' (piïi comune vi) e forse palúk 'palude' potrebbero essere interprétât e mediante il -k parassita. Con l'estensione del fenomeno in area veneta dovrebbe decadere l'importanza di codesto parametro per giudicare l'unità del ladino contraposta al cisalpino (ma forse è più facile spiegare tali convergenze mediante una comunanza di forme e fenomeni del ladino col veneto antico). Dice poi il R. che il retoromanzo ha in comune con 1'Italia superiore e la Galloromania alcuni fenomeni fonetici, quali la ü > ü, oppure ait > aut ed ancora -atu > -au >-o (quest'ultimo fenomeno e piuttosto típico del grigionese) e l'effetto metafonetico di -u onde ad es. sopras» niev dolom. coce e grig. cotschen. Bisogna solo aggiungere che, mentre il Friuli pare del tutto ignorare tale parti-colarità, nell'anfizona veneta, e cioè nell'Agordino, la toponomástica ci conserva il noto Valcozzena la cui etimología corretta figura gia nei Saggi ladini p. 402 ("valle rossa", dal terreno ferroso ivi affiorante). 10 ho indicato vari Sot Kuotsen a Rocca Pietore, ma l'esempio non avrebbe grande rilevanza, dato che io riconosco nel dialetto di Rocca una 66 varieta di ladino prevalentemente atesino . Quanto alla nota 9, ove l'A. accenna alla possibilité che alcune parole retoromanze si ritrovino in area veneta "zum Teil auch der Raetoromania submersa", se taie regione corrisponde ail'area tedeschizzata, l'osservazione è certamente pertinente. Se invece la Raetoromania submersa va intesa come un'area ora veneta, non possiamo mínimamente condividere l'opinione del R. poiché personalmente ritengo che tali convergenze denuncino soltanto l'intima e originaria connessione tra veneto arcaico e "ladino" (v. qui sotto). Se l'etimo, tanto discusso (v. anche Tagliavini, DLiv. 154 gan 'volentieri') del grig. gugiént 'gern' e bad. gian/ion, marebb. ienn< gaudiendo è esatto (è la proposta migliore anche se non vi mancano alcune difficoltà fonetiche), avremmo qui una connessione tra ladino occid. e atesino, mentre 11 Friuli ignora del tutto taie espressione, e bisognerebbe controllare 65 J. Jud, Zur Geschichte der biindnerromanischen Kirchensprache, ora nel volume miscellaneo Romanische Sprachgeschichte und Sprachgeographie, Atlantis 1973, pp. 161 - 211. 66 V. le giustificazioni nei miei Nomi. locali del Medio Cordevole, Firenze 1948 (DTA III, 4), Introduzione, pp. 1 - 10. 24 attentamente se essa non compaia anche in qualche dialetto lombardo al-67 pino . Ma gli altri esempi cita ti quali grig. aug 'Onkel' < *aucu avicus, antscheiver ' iniziare' < incipere, quescher ' tacere'<[ quiescere, incler 'capire' <[ intelligere nulla provano circa la predetta "unita" poiché sono espressioni ignote nelle altre due "sezioni", mentre esse 68 trovano a volte riscontri nel latino balcánico . Un discorso particolare merita invece 1'arcaísmo bapti(s)mus > baten 'battesimo', per il piu recente baptismus che sembrava confermare una concordanza specifica tra le tre sezioni, mentre, come ho mostrato in un articolo recente ("Ce fastu?" LVI (1980), pp. 97 - 113, in partic. pp. 103 - 105) baten, batem e notissimo nell'afizona ladina dell'Agordino, nel fiammazzo e anche nella Valle di Cembra nelle vicinanze di Trento (che gli studiosi odierni non considerano di certo di parlata ladina). Per curiosita aggiungo che dalla medesima voce, ma probabilmente direttamente dal greco, proviene anche l'alb. bagen < gr. pauxiaua, come ha bene chiarito E. 69 Cabej • Anche fiers 'kochend' (da fervere), gard. fiers, friul. ferbint 'cocente', trovano un corrispondente nel lat. balcanico (rum. fierbe), ma non bisogna dimenticare il cisalp. la fersa (ad es. milan.) 'rosolia', bresc. sferse 'morbillo' ecc. che indubbiamente derivano da fervere, fersus, v. ora REW-SF 3265. Quanto a quadrTga che ha assunto il senso di 'aratro', cudria (grig.), cadria (lad. dolom,) con una sopravvi- - 70 venza anche a Collina (Carnia), codreo , bisogna ora aggiungere alie mié 67 Cfr. eng. gugent 'gerne, mit Vergnügen' anche jent, Peer 208 e 213; surm. gugent 'gerne, willig' dacor g. 'sehr gerne'. Sonder-Grisch 110. 68 Cfr. ad es. rom. ihcepe, rom. intelege (alb. (n)degjoj) ecc. v. altri riscontri lessicali tra Italia nord-orientale e latino balcanico nel mio contributo Alcune osservazioni sull'elemento latino dell' albanese (in corso di pubblicazione a Tirana). 69 V. Eqrem Çabej, in "Revue de Linguistique" (di Bucarest) VII, 1 (1962), p. 183 e Studime Gjuhësore I, p. 48. 70 Su kodréo di Collina e karia nell'Alto Cordevole v. le mie osservazioni SLF I (1969), pp, 53 - 54; si tratterebbe forse di una innova-zione nell'area friulana che conosce únicamente *orgina ; essa è col-legata forse alla diffusione di un particolare "attacco". 25 osservazioni sulla presenza di karía nell'Agordino (tuttora vivo per lo meno fino ad Alleghe), forse un tempo piu diffuso (?), la testimonianza N 71 di Bormio e cioe nel lomb. alp. sottolineata giustamente da M. Pfister , kuadria 'grosso aratro con vomere tirato da 4 buoi' (Longa); si tratta in codesto caso di un relitto cisalpino. II tipo de avorsu (di contro a de retro), onde il grig. davo, davbus 'di dietro', lad. ates, do, clavo, frl. davóur, daur non e solo caratteristico per le tre sezioni, ma oltre ad essere comunissimo nei dialetti cadorini (v. anche Tagliavini, DCom. 107 e NCCom. 73), figura nel bellun. di Cavassico - come ho gia scritto in Saggi p. 203 - e cioe nella forma davuói: zon in davuoi 'andiamo in- dietro' e vedi anche Papanti, p. 125: indaos (nel dialetto di Vodo di Cadore). n R. poi, affidandosi all'esempio sopras. camba e engad. chamma 'gamba', osserva come il grig. conosca a volte fasi piu antiche del galloromanzo (fr. jambe con _c- ]> g-), come nel sardo camba (cioe con k- intatto e non sonorizzato). Ma anche codesto esempio non riveste alcuna importanza ai fini della suddetta "unita ladina" poiché tanto il lad. centr., quanto il frl. conoscono solo forme con (frl. g'ambe ecc.). Che il nesso -kl- (e non la fase successiva -gl- ) rappresenti una con-servazione (e non una restituzione) in casi quali sopras. urticla 'urtica', engad. veriicla 'porro', nonese rekla 'orecchio' (ma l'anaunico deve essere incluso nel "ladino"? Sarebbe una minoranza non riconosciuta!), dubito molto e rinvio al mió articolo Noterelle di sociolinguistica, in npQTÚunaiS' . Scritti in onore di V. Pisani, Lecce 1969, pp. 99 - 109. Quanto alia conservazione di -Id- > -gl- (anche muglis. oglo e vieglo), altra caratteristica ladina, e ben noto come -gl- abbia dato origine, da 71 V. M. Pfister, Origine, estensione e caratteristiche del neolatino della zona alpina centrale e orientale prima del secolo XII (che esce ora in "Studi medievali"), ove l'A. giustamente sottolinea la presenza di ka ría nel Bormino per cui la continuità della voce quadrlga nel retoromanzo va estesa anche al "cisalpino". 26 un lato a -di- , ma anche a g/j, come nella ladina Val di Fassa (consi-derata minoranza ladina), ma anche nei dialetti veneti arcaici e rustici, e l'ampiezza di tale fenomeno ha dato origine a varié discussioni e giu-dizi72. Anche il Rohlfs, Gramm. stor. I, § 248, ritiene erróneamente che nell' Italia sett. orientale (cioe nel veneto): "il grado fonético odierno risale direttamente a -el- ", per cui le forme del tipo večo 'vecchio' sarebbero originarie, mentre gli esempi di -gl- (da -el-), poi g/j, sono numerosissime nei testi antichi e nella toponomástica veneta meridio- Che l'area alpina (o ladina) ed anche il friulano - come tante altre re- gioni - conservino un certo numero di parole di origine prelatina, e fuori discussione; ma gli esempi del R. non sono tra i piu istruttivi. Cosí il grig. royen 'Ackerrand' trova paralleli perfetti nel lad. atesino rogn, frl. ruign (Carnia), ma l'area di tale voce e assai piu ampia di quanto 74 si crede . In ogni caso, anche prescindendo dall'étimo (ritenuto tedesco dal Tagliavini, DLiv. 272 e da altri), bisogna non dimenticare che tale 72 E' ovvio che la risoluzione veneta méridionale con ampiamente attestata (si pensi soltanto a Can(n)aregio di Venezia e di Adria, da canaliculu) non consente di vedere nel fenomeno una particolarita alpina. 73 V. su tale problema A. Sepulcri, Contributo alio studio degli esiti di CL intervocálico nei dialetti italiani settentrionali, nella Silloge lingüistica G.I. Ascoli, Torino 1929, pp. 445-64 e G. Devoto, Per la storia délia latinità euganea. 1: Il gruppo -kl-, ora in Scritti minori vol. I, Firenze 1958, pp. 356-66. 74 L'étimo preromano è sostenuto da J. Hubschmid, Friaulische Worter aus Collina, "Vax Romanica" XII (1951-52), pp. 242 - 343, ove si postula un prerom. rówino-; la forma agordina nell'Alto Cordevole e ruon. Raccolgo moite forme analoghe nel mió articolo Le denomi-nazioni della "confinazione tra campi e tra prati" nei dialetti friulani e alpini, in Festschrift O. Szemerényi, Amsterdam 1979, p. 642 (ove peraltro non faccio cenno alia spiegazione preromana dello Hubschmied ed accolgo quella tradizionale dal tedesco). 27 75 voce abbraccia per lo meno il Cadore e buona parte dell'Agordino . II lad. ates, sblaucjo, (s)blauch 'leichter Schneefall' (da un supposto *(ex)blawk- ?) trova un parallelo nel fr. sblaucjo (di Collina in Carnia), "" rjQ ma non e ignoto in altre regioni . L' ampia diffusione di krep/krepa nelle Prealpi toglie ogni validita alia equazione retoromanza: grig, crap 'Stein', 77 friul. clap, grig, grep ' roccia', lad. ates, crep idem , v. anche REW-SF 4759 s.v. *krag£- 'pietra' cfr. bellun. crep 'greppo', crepe 'cocci' (Nazari 76), lomb. crapa ecc. v. bibl. anche in Tagliavini, DLiv. 176 krap, krep e si noti anche nell'Agordino cépole (e cepátole) ' rocce miste a vegetazione arbórea', v. i miei Nomi locali del Medio Cordevole (Firenze 1948), p. 29, nr. 62 Cépole (roccette sopra Bricol a Cencenighe) e AlVen. CVI (1947-48), p. 261. Che il retoromanzo sia caratterizzato da un gran numero di germanismi e una affermazione indiscutibile. Bisogna anzi aggiugere che tanto il grigionese, quanto il lad. ates, della prov. di Bolzano ne assumono in progressione sempre maggiore, ma non soltanto nell'ámbito del lessico, 75 Nell' Oltrechiusa cadorina le forme sono ruoi e arguoi (ove -oi viene da precedente -oñ), v. Menegíis Tamburin^ p. 30 ' striscia erbosa che delimita la proprieta tra campo e l'altro; confine fon-diario; detto a San Vito anche rguoi; anche a Cibiana ruoi 'lista di prato che gira come cornice attorno ai campi, di consuetudine ad ogni campo compete il 'ruoi' interiore'; porta ruoi 'portare la térra dai piedi alia cima del campo che e sempre pendente, al al fine di evitare che, zappando, essa si raccolga tutta nella parte piu bassa', De Zordo 255. 76 L' étimo *(ex)blawk- si trova nell'articolo cit. di J. Hubschmid; mi chiedo ora se tale voce non abbia rapporto con "bioccare" 'nevicare' (v. anche AIS, Indice, diffusa soprattutto nella Toscana meridionale v. G. Gloria Alberti-Eschi, Vocab. di Roccalbegna, S. Caterina, Vallerona (Grosseto), Pisa 1971 p. 23 biokka v. impers. biokka 'fiocca (la neve), nevica', voce anche senese e amiatina; v. anche DEI I, 523 biocco/bioccolo anche 'fiocco di neve' con spiegazione etimológica incerta e con rawicinamento a 'fiocco'. 77 Tale voce e diffusa anche nelle Prealpi e nella pianura veneta (ma puo essere ivi importata); essa va tenuta distinta da krepa (con e aperta) 'fessura' che viene di certo da crepare, ma non e di tramite po-polare (ed in friulano vi corrisponde kréte). 28 tanto che la situazione dei dialetti e soprattutto del gardenese sta Tapidamente mutando. Direi anzi che l'azione del tedesco non si esercita -come sostiene giustamente il R. - "in der inneren Sprachform", ma assai di piu, in autentiche sostituzioni ad ogni livello^. Gli esempi riportati dal R. nel settore lessicale, e cioe páur 'contadino', pinter 'bottaio' (che nel trentino e spesso divenuto pinter per attrazione del romanzo -er da -arjuj análogamente il cognome tirolese Moser é ora pronunciato quasi sempre Moser che appare piu trentino), cramer 'merciaio ambulante' (anche kromer) sono assai comuni anche in dialetti trent. e bellu-79 nesi . Non credo invece che analoga diffusione abbia il grig. brastuoch n • 80 ' Weste' (cioe Brusttuch) , lad. centr. ates, perstoch . Come ho gia avanzato le mié riserve sul calco tedesco relativo ad al- 81 cuni esempi riferiti da H. Kuen , debbo ripetere i miei dubbi anche su alcuni esempi citati dal R. L' ampia area veneta del tipo manar su tut 'mangiare interamente', dir su 'recitare', tirar su 'allevare', ecc. non sono indizio di calco sul tedesco (ripeto, per il veneto). Tali frasi 78 E' ben noto - ed ho potuto verificarlo personalmente - che nel gardenese le parole tedesche sono ormai numéricamente superiori a quelle neolatine, per cui il comune locutore passa volentieri al tedesco che ora prevale nettamente nella valle. Esempi quali quello citato dal Kramer, Deutsch und Italienisch cit. p. 158: "la Gewerkschaft la é la Vertretung dl Arbeitsnehmer" ho potuto ascoltarli anch'io nella Val Gardena (ma riconosco che una minoranza sa ancora il dialetto lócale). 79 Nei dialetti agordini kromer 'merciaio ambulante' e ancora assai comune e non e del tutto sparita tale profes sione. Si veda anche Tagliavini, DLiv. 176 e Battisti, Storia.. Trentino p. 209. 80 Mi e invece totalmente ignota tale voce, sia per i dialetti agordini, sia per i cadorini (per Cortina il Majoni 92 registra prostuo 'seno molto sviluppato' forse Bruststück secondo il M.). 81 H. Kuen, Einheit und Mannigfaltigkeit des Rätoromanischen, in Festschrift W. von Wartburg, Tübingen 1969, pp. 47 - 69, in particolare 53-54 e vedi le mie osservazioni in Saggi lad, friul. pp. 205-6. • 29 passano a volte anche nell'italiano regionale non sorvegliato dei Veneti e tale parallelismo dovrä essere esplorato piu a fondo. Anche l'ipotesi che tali locuzioni o sintagmi pos sano spettare all'influsso germánico antico, e per me discutibile ed in ogni caso da verificare. Volevo intanto sottolineare codeste convergenze alpino/cisalpine. Non discuto invece sui modi di diré tedeschi o su altre particolarita passate dal tedesco alie paríate grigionesi e ladine atesine. Esse denunciano infatti l'inizio di una piu profonda tedeschizzazione che non si limita a modesti casi d'interferenza. Cfr. mesjamma 'Mittwoch'; per hebdoma 'settimana', tuttavia, bisogna riconoscere una certa diffusione anche nella Padana (v. DEI II, 1433 ecc.). Ma non e di certo necessario ricordare tali particolari ad un Rohlfs che Ii conosce benissimo e che ne ha piu volte 82 trattato con la ben nota competenza . Una chiosa soltanto merita "die selbständigen altgermanischen Entlehnungen, die dem Französischen und Italienischen fehlen". Si tratta in particolare del got. skei#o 'cucchiaio' che soprawive nel grig. tschadun, lad. ates. gard. sciadón, fr. sedán. Ma ricordo a questo proposito, ancora una volta, alcune osservazioni del Battisti ("Studi goriziani" XIV, 1953, p. 11) che mi sembrano perti-nenti: f,Non abbiamo nessuna prova che una base sceito sia peculiare o sia esistita nel Norico o nella Rezia, regioni alle quali si vorra concedere che il Friuli e assolutamente estraneo. E' molto piu economica un'altra spiegazione, cioe che questa voce abbia fatto parte del lessico gotico e si sia sviluppata nelle aree periferiche ed isolate, mentre essa fu sommersa da nuove ondate nelle piu evolute zone interne; il cucchiaio e un oggetto della moda e la sua nomenclatura dipende dalla forma e dal materiale..". Ma e da aggiungere anche qui l'esempio dell'ant. breg. sdun (sec. XVI, Stria Maurizio) e sedán anche a Monfalcone (ma ció e di minore rilevanza potendo provenire dal friulano), segnalati e sottolineati 82 Basterebbe un rinvio al suo volume Romanische Sprachgeographie, passim e v. anche REW 4090 hebdomas onde l'a. bologn. fedema il bresc. dema ecc. 30 83 da M. Pfister . E' intéressante la varia stratificazione del nome del "cucchiaio", ad es. lungo la Val Cordevole (Belluno), ove si passa, a valle, dalla forma kucáro, una specie di adattamento dialettale della voce italiana, all'ant. vene to skuliér e pure al ven. ant. katsuól che nel £i- vinallongo significa 'cucchiaio', mentre l'arcaico sedón (o simile) è ivi scomparso (v. anche Tagliavini, DLiv. 165). Le voci glufe 'Stecknadel', grig, gluve e gawuskjan 'wiinschen' > grig, giavuschar hanno scarsa S4 s rilevanza ed il primo è noto anche al ladino atesino , Si notera co-munque che il Friuli ben raramente partecipa ad una cosí ampia diffu-sione di tedeschismi dei dialetti grigionesi e atesini. Quanto ad altri germanismi, che il retoromanzo ha in comune con la Galloromama, non vedo quanta importanza abbia il grig, god 'bosco' (a. fr. gaut) che risale a un wald >• vaut, molto diffuso anche in area veneta ed in gene- 85 n rale cisalpina, specie nella toponomástica e si ricordera il medievale gualdarius equivalente di saltarius 'guardiaboschi', assai comune nei testi medievali anche cisalpini. II grig, brüt 'nuora' trova riscontro nel frl. brut (fr. bru) il quale ha una storia particolare e discende da forme già attestate nel latino locale ad Aquileia. In codesto caso la voce è forse di origine provinciale, come si puo vedere da uno studio di A. Zamhoni^. 83 V. Max Pfister, art, cit. (in corso di stampa in "Studi medievali"). 84 V. Tagliavini, DLiv. 147 glúe, le glúe 'spillo d'argento che si portava nel costume antico, cfr. gard. gluva, bad. dio e tlufe, fass. gluf idem. 85 Mi basti rinviare qui a Olivieri, TV 67, con vari esempi. 86 V. A. Zamboni, Contributo alio studio del latino epigráfico della X Regio Augustea (Venetia et Histria). Il lessico, in SLF I (1969), pp. 110 - 182, in particolare pp. 134-5 BRUTI Pais 255 Aquileia (III sec. d. C. ).. bruti pientissime. Come osserva lo Z. "trattandosi di un testo non molto tardo, e certamente sorprendente rinvenirvi un termine di chiara origine germanica, ma si veda CGL V, 314, 32 nurus : bruta ed una serie di attestazioni della voce in documenti epigrafici dell'area danubiana, CIL m, 4746, Teurnia (Norico), ecc. 31 L'A. passa poi a discutere molto concisamente délia storia délia "que-stione ladina". Secondo un cliché ben noto egli fa iniziare il primo at-tacco (o meglio "einen der ersten Angriffe") contro la concezione - che pare condivisa anche dal Rohlfs - "der Einheit und des selbständigen Sprachcharakters des Rätoromanischen", dal noto discorso di C. Salyioni, Ladinia e Italia del 1917 (in piena guerra mondiale), ove il dialettologo ticinese metteva in luce le varie convergenze tra "ladino" e "italiano settentrionale". Dato il tono patriottico del contributo (che in quell'época era più che doveroso; il S. aveva perso due figli nella prima guerra mondiale, combattenti per 1'Italia), non è mancato il motivo per il let-tori superficiali per definire il Salvioni non uno studioso obiettivo, ma un sentimentale, ispirato únicamente da motivi patriottici. In realtà -come sa bene anche il R. e lo ha anche scritto - il primo ridimensiona-mento alla teoria (che secondo noi è definita molto approssimativamente ascoliana; si rileggano attentamente i Saggi ladini !) dell'unità e dell'in-dipendenza del retoromanzo, è dovuto a Carlo Battisti e risale al 1910, quando lo scienziato trentino era già affermato e apprezzato insegnante all'Universita di Vienna, ove a soli 26 anni aveva conseguita la uenia legendi (o libera docenza). Non pare pertanto opportuno anche al R. che si accetti come inizio délia polémica contro il retoromanzo unitario pariendo dal primo studio del Battisti che, pur di sentimenti italiani, a Vienna non si era mai occupato di problemi politici. Quando poi il R. si richiama subito dopo agli studiosi italiani e soprattutto al Battisti che hanno posto in dubbio la "vertretene Einheit des rätoromanischen Sprachgebietes.." (da parte di Schneller, Ascoli e Gartner) con lo scopo "die Zentralladinischen Mundarten stärker an Italien zu ketten", io mi chiedo soltanto se non stia awenendo esattamente l'opposto (ma cio non mi im-pensierisce affàtto, come forse avrebbe profondamente addolorato Carlo Battisti). E' chiaramente il tedesco che avanza sempre più rápidamente in un'area ritenuta peí passato "velscica" (neolatina) e che con accéléra -zione progressiva finisce per spegnere in prov. di Bolzano, prima o poi, ogni traccia di ladini ta che non sia quella dei nomi locali e degli antichi 32 cognomi . Pensó si possa rassicurare il Rohlfs che il tedesco non è mai stato posto in dfff icoltà dal ladino e a maggior ragione dall'Italia democrática dopo la fine délia seconda guerra mondiale. Non negó che tra gli scritti scientifici del Battisti - per me sempre validi - si possano cogliere spunti nazionalistici - tipici di quella sventurata epoca - , ma non mi risulta che egli abbia mai falsato la verità dei dati linguistici (per quanto io so, ma potrei ingannarmi). A proposito del richiamo del 88 R. a Clemente Merlo che si fe schierato a favore dell'unita ladina, debbo notare che in codesta tematica il grande dialettologo dell'Ateneo pisano, non aveva mai compiuto esplorazioni dirette e a volte egii si esprimeva secondo motivazioni nazionalistiche che ora fanno quasi sorri-dere. Mi basti citare ancora una volta il passo dell'ID I, p. 18, ove egli ingenuamente afferma che se tali fossero stati i fenomeni fonetici délia Cisalpina (cioè i tre fenomeni fonetici fondamentali che ora caratte-rizzano l'area "ladina" nelle trattazioni manualistiche): "i parlari dell'I-talia settentrionale cesserebbero di appartenere ai dialetti neolatini di tipo orientale, per venire ad imbrancarsi con quelli di tipo occidentale". Ma non è forse stranoto che 1'Italia superiore appartiene alla Romanía occidentale, secondo la linea Spezia-Rimini (che io sposto leggermente e Sud; Carrara-Fano) ? 11 medesimo R. che pure conosce assai bene i 87 Come si sa, la massima parte dei cognomi gardenesi sono netta-mente di formazione tedesca, ma e facile dimostrare a quale de-cennio o anno subentrano ai cognomi locali le forme tedeschizzate poiché basta scorrere il buon volume di E. Lorenzi, Osservazioni etimologiche sui cognomi ladini, Trento 1908 (estratto da AAA II e ni), ove sono stati esplorati minuziosamente i registri parrocchiáli delle valli ladine con la registrazione attenta delle forme documenta-rie (in generale i cognomi della Gardena sono stati tedeschizzati ai primi del sec. XVIII). 88 II Merlo, oltre che nel primo volume dell'ID, si schiero - con ar-gomenti assai ingenui - a favore dell'unita ladina nell'articolo La questione ladina, in "Ce fastu?" XXIX (1949), pp. 69 - 80, poi ristampato in Saggi linguistici, Pisa 1959, pp. 219 - 230. 33 fenomeni fonetiei deli'Italia settentrionale - e anche quelli "ladini" che non mancano nelle aree periferiche e nei testi antichi - non ha forse incluso i dialetti cisalpini nella sua Grammatica storica italiana? H Maestro tedesco acceima, subito dopo, al giudizio scientifico di C. Tagliavini sul ladino che egli ritiene "viel objektiver und vorsichtiger", il quäle peraltro ha sempre posto in risalto nei suoi lavori le caratte- ristiche ladine soprattutto dell'anfizona ascoliana e che pertanto ha sotto- lineato a ragione "la profonda connessione che esiste tra il ladino e l'alto 89 italiano . A me sembra francamente che in un artieolo dedicato alla di-fesa dell'unita ladina e all'autonomía difesa senza limitazioni (e per di piu nel nuovo artieolo si afferma che il "retoromanzo" sarebbe piu vicino al francese che all'italiano, ma quäle italiano?), dare risalto al giudizio citato del Tagliavini, risulti quasi una autentica contraddizione all'interno del suo contributo, per di piu assai breve. L'A. ripete poi la tríade di "lessico" che sta a contraddistinguere il retoromanzo di fronte all'italiano (anche cisalpino) e cioe il citato solxcülus o il got. *skei # o (per i quali v. qui sopra) e il gallico *dragiu 'crivello' onde il grig. dratg, il lad. ates, dra/drei e il frl. draz. Sulla inconsistenza dell'esempio, ora citato, ho scritto in varié occasioni (v. ad es. Saggi, p. 203 n. 31 e 32) e ribadisco qui che tale voce e comunissima in tante aree trentine, venete e lombarde. Come osservazione finale l'A. accenna alla singolarita de lia terminología religiosa messa in luce da J. Jud (v. qui sopra); ma non si dovra scordare che tali particolarita lessicali - in alcuni casi in contrasto col lombardo -si riferiscono únicamente ai Grigioni e non vengono in sostegno della presunta jinita. Si rifa poi anche ad un lavoro di E. Gamillscheg90 sulla 89 V. C. Tagliavini, DLiv, p. 28. 90 E. Gamillscheg nella Festschrift zum 19. Neuphilologentag in Berlin, Berlin 1924, pp. 34 - 59, poi ristampato in Ausgewählte Aufsätzen, Jena 1937, pp. 277 - 310. 34 sulla toponomástica della zona intedescata del Meranese f ristudiata ben 91 -i piu a fondo dal Battisti ) J dal quäle risulterebbe che "zwischen Graubünden und dem Ladinischen des Dolomitengebietes keine entscheidenden Unterschiede bestanden haben". E' ovvio che non si possono riscontrare grandi differenze in seno a lessici assai circoscritti e ripetitivi quali quello toponomástico; ma si sa d'altro canto che la Val Venosta era piuttosto orientata verso il grigionese, anche per ragioni di ordine sto-rico. Ma ripeto ancora che l'affermazione del G. citata dal R. non è bene verificabile; mentre appare assai più chiaro che le caratteristiche della toponomástica ad es. del tratto tra Bolzano e Salomo - come ha 92 mostrato il Gerola - pur con grandi lacune, sta a testimoniare una antica latinità assai vicina a quella che sta alla base del ladino centrale atesino. Nel breve contributo del R. alla fine vi sono alcuni cenni circa lo status linguistico del retoromanzo come lingua o come un gruppo di dialetti: osservazione scontata e non approfondita. II rinvio inoltre al volumetto Rätoromanisch. Die Sonderstellung citato mi darebbe nuova-mente la noiosa occasione di ripetere ancora una vol ta che tale qperetta (pur utile per le varie comparazioni che permettono le frasi parallele ivi raccolte) non porta un solo argomento nuovo e sicuro per comprovare l'uni ta del retoromanzo^. Ma desidero ribadire ancora una volta che ho scritto queste noterelle a malincuore, con l'unica motivazione che gli interessi politici non soprav-vanzino sfacciatamente la verità e i risultati che ci provengono da una 91 In numerosi volumi del DTA, seconda serie, I normi del Burgra-viato di Merano 1968 e ségg. 92 B. M. Gerola, Sul neolatino medievale di Bolzano e del tratto atesino, in "L'Universo" a. XVI e XVII (1935-1936), estratto di pp. 69. 93 V. qui le recensioni citate aile note 55 e 56; assai laudativa è in-vece la recensione del volumetto di G. Rohlfs dovuta a L. Craffonara in "Der Schlern" 50 (1976), pp. 472 - 482. 35 ormai lunga attività di studio sul problemi qui appenà toccati. Mi pare assicurato - e lo aveva bene constatato anche l'Ascoli - che non esiste un confine méridionale preciso tra ladino atesino e alto bellunese. Se i politici - e per sino il Battisti che non era estraneo ad unâ problemática política - individuano tale confine a Sud del Livinallongo, e la grande maggioranza dei manuali lo segnano a Sud di Cortina d'Ampezzo (e di Moena), cío significa che essi operano con criteri storico-politici e non di certo (o in minima parte) con criteri lïnguistici (si ricordi che il termine "ladino" è in origine soltanto una etichetta lingüistica). E' fondamentale attribuire al ladino ció che e appartenuto ail'Austria prima del 1918, per lo meno nell'area dolomitica, e non v'ha dubbio che la tendenza a fissare detto confine è soprattutto codesta esigènza (è insomma un confine tra "tedesco" e "italiano"). Forse il Battisti si rammaricava di codesta situazione e nei suoi scritti, specie dël secondo dopoguerra, aveva la pretesa di ricordare ai Ladini la loro "ladinità" che per il Battisti doveva coincidere con "italianità", tanto che quai che collaboratore délia rivista "Ladinia" ha accennato ad una azione del Battisti, verso i Ladini, di 94 % "lavaggio del cervello" : cosi sono stati definiti i suoi richiami. Io in- vece utilizzo i lavori del Maestro viennese-florentino per quel che valgono peí profilo lingüístico, ma anche storico (il Battisti e stato infatti anche uno storico); né avro mai alcuna ambizione di indicare ai miei quasi conterranei le vie che essi debbono battere, poiché essi sanno benissimo perseguire ció che desiderano. E 1'Italia democrática sarà sempre a dispo- sizione per ascoltarli e accontentarli. Purtroppo in qualche caso nei miei scritterelli non mi sento di seguire le direttive politiche. Altrimënti dovrei 95 anch'io affer mare, come fa la TV italiana , che i "Ladini sono un.popolo che discende dai Reti e che questi sono un ramo délia grande famiglia dei popoli germanici...". 94 V. qui la nota 6. 95 In una trasmissione délia Rete 2 la sera del 19 agosto 1980. 36 Quanto alla posizione del friulano (o "retoromanzo orientale"), credo di poter già affermare con fiducia di non essere scivolato in un equivoco se ho ritenuto che tale parlata ha una sua particolare fisionomía in seno alla Cisalpina, tanto da presentare una discreta autonomia e un sistema particolare, sia nei confronti del veneto, sia del ladino (anche nella mia Carta dei dialetti ho indicato come il friulano costituisca un particolare gruppo di dialetti "italo-romanzi"). I rapporti col ladino atesino e grigionese sono secondari e sul piano lessicale essi sono di minimo rilievo poiché vi mancano le concordanze specifiche (tranne in due o tre casi). Se invece vi sono coincidenze, esse trovano sempre riscontro nell'italiano setten-trionale ed in particolare col veneto arcaico e perianto il loro significato ai fini di una "unità ladina" reale risulta inesistente. Ma sulla posizione del friulano ho gia scritto vari articoli e, recentemente, con la collabo- razione di A. Zamboni (che si è assunto la parte principale), ho allestito 96 una illustrazione assai ampia della Flora popolare friulana, Udine 1982 . Dalle conclusioni lessicali ed areali di tale opera risulta, con la massima chiarezza, che non esiste una qualsiasi concordanza specifica dd friulano col ladino, mentre è facile dimostrare che i fitonimi ladini si continuano sovente nell'Alto Veneto e che la Carnia si accorda assai più col Cadore che con la Iadinia atesina; il grigionese ladino inoltre trova corrispon-denze, assai indicative, nel lombardo alpino (ed in tal senso basta del resto daré una occhiata ai lemmi botanici inseriti nel noto volume dello Stampa). Se il R. accoglie veramente l'ipotesi di una unità del "retoromanzo" egli avrebbe dovuto additare anche i motivi etnici o storici che giustifichino la formazione di tale gruppo lingüístico. Come si sa, qualche studioso, a partiré dal Gartner, ha tentato di trovare una spiegazione generale dapprima ricorrendo al particolare latino provinciale della Rezia e successivamente 96 V. nota 62 37 ha fatto ricorso ai Reti: ipotesi alie quali non puo piu credere alcuno 97 studioso bene informato. . Si e poi accennato alia ipotesi della neoromanizzazione del Friuli dal Norico, evacuato verso il V secolo, prima da parte di K. von Ettmayer e poi soprattutto mediante ipotesi piu elaborata di E. Gamillscheg: suppo-sizioni fragili ed indimostrabili alie quali non si da di norma alcun crédito, critícate dal Battisti, da E. Kranzmayer, dallo scrivente ed anche 98 da G. Frau . E' poi insostenibile l'idea che il "retoromanzo" rappre-senti gli ultimi avanzi di un latino provinciale poiché le caratteristiche fonetiche fondamentali dei dialetti alpini e del friulano vengono a deter-minarsi, nei confronti del cisalpino, in un'época posteriore al 1000/1100, quando la romanita transalpina, di cui si hanno varié testimonianze soprattutto nella toponomástica e in pochi altri documenti, era di certo 99 \ \ al tramonto . II lessico, come ho gia piu volte osservato, non ci offre particolari incoraggiamenti nel ricercare innovazioni o conserva-zioni del tutto particolari e generali nel retoromanzo e soltanto in esso. Ma di ció mi auguro di poter daré una dimostrazione definitiva (o quasi), non appena avro ultimato - con la imprescindibile collaborazione di col-leghi ed amici - 1' illustrazione complessiva (fondata su 6000 concetti) del vocabolario friulano. L'única ipotesi che puo essere accolta senza 97 Ne ho discorso piu volte nei miei Saggi lad, friul., passim (ove cito vari studiosi). 98 Anche qui mi accpntento di rinviare ai miei Saggi lad, friul. pp. 335 - 359; aggiungo soltanto che anche E. Kranzmayer, il quale in un primo tempo aveva aderito all'ipotesi del Gamillscheg, vi rinuncio nel suo volume Ortsnamen von Kärnten I, Klagenfurt 1956, p. 34. 99 Sulla romanitä e sul romanzo prisco dell'area transalpina, austriaca, informa ad es. K. Finsterwalder, Romanische Vulgärsprache in Ratien und Norikum von der römischen Kaiserzeit bis zur Karolingerepoche, nella Festschrifg K. Pivec, Innsbruck 1966, pp. 33 - 63. Buona parte della nota e benemerita collana "Romanica Enipontana" (ora diretta da G. Plangg) e dedicata allo studio delle reliquie, specie toponomastiche, delle regioni a Nord delle Alpi. 38 difficoltá per spiegare le convergenze alpino-friulane e data dalla con- servativita delle aree periferiche ed isolate. Per il friulano, che concorda assai meno di quanto si creda col ladino, si puo invocare con prudenza anche una particolare latinita di Aquileia, una latinita che di certo non s'irradia nell'-Alto-Adige (o Südtirol) e tanto meno nei Grigioni. A co- desta ipotesi si possono aggiungere motivi di ordine storico, per cui il Friuli rimane per cosí diré segregato nella sua perdurante feudalita rispetto al resto dell'Italia superiore gia "comunale" ecc.^. E non si dimentichera che un motivo essenziale per una certa comunita lin- guistico-culturale tra le Dolomiti atesine e i Grigioni e offerta soprattutto dal comune adstrato tedesco, quasi millenario. Tale fenomeno invece manco del tutto al Friuli (assai limitati sono gli apporti tedeschi alie paríate friulane e di certo non superiori a quelli recepiti dall'Alto Veneto)^. E sarebbe - secondo me - quasi grottesco paragonare il ladino, per la sua formazione, all' inglese di fondo germánico, ma con un riechissimo apporto di elementi neolatini. L'equilibrio tra le due forze linguistiche e assolutamente disuguale. Da un lato abbiamo alcune paríate varié e circoscritte a pochissimi locutori che non si appoggiano di certo ad una vera lingua romanza e con la quale anzi rifiutano deci- saménte qualsiasi rapporto di parentela (quanto diversa la posizione so- ciolinguistica del ladino atesino attuale rispetto a quella del secolo pas-102. sato!) * Dall'altra una vera lingua egemonica di alto prestigio e di 100 Su tale argomento si veda anche C. Battisti, Veneto e friulano nel Medioevo, "Studi goriziani" XXVI (1959), pp. 9 - 36. 101 Si veda ad es. G. Faggin, Germanismi nel friulano (Giunte al Pi-rona), in "Ladinia" V (1981), pp. 257 - 269 (con ampia bibliografía); buona parte di tali germanismi, spesso effimeri e sorpassati, sono noti ad es. anche nel Bellunese. 102 Si veda su di ció il mío articolo Considerazioni sociolinguistiche sul ladino centrale, in Logos Semantikós. Studia lingüistica in honorem Eugenio Coseriu, Berlin-New York-Madrid 1981, vol. V, pp. 339 - 348. 39 pratica utilita, il tedesco che essi accolgono progressivamente come la loro vera lingua, anche se di ceppo assai diverso. Ho gia esposto le cause di codesto fenomeno, tutte comprensibili e pienamente giustifica-103 bili , anche sul piano socio-politico. E'codesto un argomento assai bene 104 approfondito anche da J. Kramer e sarebbe oggi ingenuo (Battisti lo era indubbiamente), anzi ridicolo, poter credere di mutare un movimento 105 che ha preso l'awio da vari secoli e che ora sta completandosi , addu-cendo motivi di ordine scientifico o sentimentale. 103 Si veda la mia correlazione all'articolo di M. Pfister (sopra citato) che esce ugualmente in "Studi medievali" (oltre che, in tedesco, in Germania). 104 Nel volume Deutsch und Italienisch sopra citato, specie nel capi-tolo dedicato ai Ladini (pp. 137 - 162). Secondo il mió modo di vedere, anche se in alcune valli bolzanine, il ladino, cioe un linguaggio neolatino, e ancora vítale, 1'ambiente, la cultura, gli interessi, oltre alie nostalgie asburgiche (in parte giustificate, specie oggi nei confronti dell'Italia attuale o di quella fascista o, piu indietro, dell' Italia dei poveri Lomberc da essi tristemente conosciuti) portano quelle popolazioni nettamente verso la totale germanizzazione; il processo iniziatosi forse gia prima del 1000, sia puré dapprima sporadico, ma poi. accelerato, si chiudera e tutto l'Alto Adige sara di una sola lingua materna. 105 Una osservazione a proposito della vitalita del gruppo ladino; dalle recente elezioni pare che tale gruppo abbia avuto qualche voto in piu e pertanto sembrerebbe che alcuni Ladini, germanizzatisi, siano ritornati a valor iz zar e la vec chía par lata (che, peraltro, anche secondo i giornali ladini locali e invece notevolmente in regresso). Tutto cib mi ri corda, ma in senso contrario, i pochi voti avuti nell'ultimo referendum dagli Sloveni in Carinzia, mentre e ben noto che essi sono di certo molti di piu di quanto non dicano le sta-tistiche ufficiali. 40 Nel volume terzo della rivista "Ladinia" (del 1979) il direttore dott. Lois Craffonara ha dedicato un contributo alia palatalizzazione ladina - un tema giä trattato da tanti studiosi - Zur Palatalisierung von CA und GA in den Sellatälern^^, con conclusioni - secondo alcuni linguisti che scrivono nella medesima rivista^' - tanto importanti da infirmare i risultati raggiunti 108 da tutti i ricercatori precedenti, specie negli Ultimi decenni . Che esca in Italia (o, per meglio precisare, nel Südtirol) una rivista dedicata al "retoromanzo" ed in particolare al ladino atesino, con un contorno di articoli storici, archeologici, etnografici, letterari, con la pubblicazione di prose e di versi ecc. redatti nelle varié paríate, e per me un fatto positivo. La lettura, qua e la assai attenta, di alcuni contributi, mi ha peraltro convinto che il giudizio generale stilato da un competente in materia, qual e il Prof. Til. Elwert, non e affatto campato in aria, ma e anzi assai indovinato (anche se esso si riferisce al primo volume della 109 collezione, la quale non ha cambiato indirizzo in quelli seguenti) L' Elwert osserva, tra l'altro che "in diesem Journal (cioe "Ladinia") ist die Polemik gegen die italienische Forschung anscheinend obligatorisch" (p. 634) e altrove egli afferma che "Die politisch orientierte und politisch beabsichtighte Betrachtung der Ladinerfrage ist überholt. Die 'Questione ladina' gehört in die Rumpelkammer" (p. 635). Dato che anch' io appartengo al sottile manipolo di linguisti italiani che si sono occupati spesso di ladino - e posso inoltre dimostraré che sono anch'io un ladino, originario di Rocca Pietore^ - ritengo utile di esprimere 106 Apparso nella rivista "Ladinia" III (1979), pp. 89 - 93. 107 V. "Ladinia" V (1981), pp. 16 (Rohlfs) o 271 (Tekavcié), ed altri ancora. 108 Anche qui mi permetto di rinviare ai miei Saggi lad, friul. passim. 109 V. W.Th. Elwert in ZRPh. 94 (1978), pp. 633 - 635. 110 Rinvio alla nota 10. 41 qualche osservazione sull'articolo del Craffonara, nella speranza di aver acquisito, dopo quasi 40 anni di operosità nel settore delle ricerche ladine e affini, una suffieiente esperienza per poter trattare, con qualche cognizione diretta, di codesti terni. Dovremmo intanto riconoscere subito al Craffonara che egli si orienta e si addentra nei problemi tecnici e specifici degli idiomi ladini con note-voie competenza. A ssolutamente sproporzionate sono invece le conclusioni finali che egli crede di poter trarre dal suo scritto. Esso ha principalmente il fine di retrodatare l'epoca délia palatalizzazione nelle Valli ladine atesine (o del Sella). Non si puo negare che l'A. porti qualche argomento valido alla sua tesi, per cui non ho difficoltà ad aderire all'ipotesi che, rispetto alla tarda datazione del Battisti (secolo XV), si debba pensare a qualche secolo prima. Quanto al Friuli, io ritengo tuttora valida la ricerca di A. Grad^ che colloca l'inizio délia palatalizzazione verso il secolo XII (ail'incirca). Dallo spoglio di documenti, ed in particolare delle attestazioni antiche dei nomi locali friulani, ho già posto in luce la forma antica di Carlino, nella Bassa friulana, ail'a. 1184 villam de Chiarlins (Di Prampero 30), mentre la forma più antica di Buia con palatalizzazione, e cioè a. 983 Bugia (e si noti a. 792 Boga ; ma anche circa 1000 Buga, 1097 Buga, 1140 Bugula, 1190 Bughe, e finalmente ail'a. 1247 Plebs de Buja, secondo il Di Prampero) % assoluta-mente sospetta. Come riconosce A. Prati (RLiR XII, 1936, pp. 58 - 59) -che ha individuato l'etimo del toponimo in "buca", buga 'buco' - , "Bugia del 983 documenta l'intacco del g, ma forme dialettali dello stesso documento, come Udene e Groang (oggi Gruàgn), sembrano provare che esso sia una copia tarda". 111 Si veda dapprima A. Grad, Remarques sur la chronologie de la palatalisation des occlusives velaires c et g devant a en frioulan, in "Slavistična Revija" XI (1958), pp. 40 - 48 e, con maggiori precisa-zioni, negli "Atti del congresso di lingüistica e tradizioni popolari" Udine (SFF) 1969, pp. 101-6. 42 Quanto alla portata generale délia retrodatazione proposta dal Cr. -fondata principalmente sui prestiti tedeschi in ladino - circa la forma-zione del "retoromanzo" e soprattutto a proposito délia costituzione di un rigido confine tra tale "lingua" e 1'"italiano", debbo subito esprimere il mio totale dissenso. L'A. nel suo contributo offre senza dubbio materiali per nuove discussioni e alcune sue annotazioni ci sembrano pertinente Egli ritiene di poter confutare soprattutto un noto articolo di H. Schmid, Ueber Randgebieten und Sprachgrenzen ("Vox Romanica" XV, 1956, pp. 55 - 80, in particolare pp 53 - 80 "Ueber die Palatalisierung von C, G vor A im Romanischen. Zur sprachlichen Stellung Oberita-112 lien") , un articolo per me ancora validissimo nel quale si dimostra 112 Altri cenni supplementari si trovano ora nel nuovo e importante contributo di H. Schmid, An den Westgrenze des Rätoromanischen, "Vax Romanica" 39 (1980), pp. 12o - 182, ed in particolare alle pp. 153154. Ivi l'A. osserva tra l'altro che: "In der Tat sind bei der Pala- et . •• talisierung von C_ zwischen den einzelnen Teilgebieten der nordlichen Romania (auf die sie im Prinzip beschränkt ist) erhebliche Gradunterschiede festzustellen. Der Schwerpunkt liegt heute, schon mit Rücksicht auf die geographische Verbreitung, eindeutig im Galloromanischen. Sofern vom Ausmass der artikulatorischen Verschiebung her Schlüsse gezogen werden dürfen, befindet sich das IntensitätsZentrum im franko-provenzalischen Gebiet, wo einstiges C^ nicht nur - wie normalerweise im Französischen - über je hinaus zu c(s), sondern weiter zu ts(s), zu # , ja vereinzelt bis zu _f gelangt ist. Im padanisch-alpinen Raum dagegen verharrt die Palatalisierung von cf fast überall auf Anfangsstufe 3 und ist heute auf gewisse Randzonen beschränkt, wo sie sich offenbar erst relativ spät und zum Teil nur sehr fragmentarisch ciob che io indico con la qualifica di "intermittente" J durchzusetzen vermochte. Gerade der westliche Flügel der Raetoromania -das bündnerische Rheingebiet, das der Innerschweiz am nächten liegt -hat die Verschiebung nur zögernd durchgeführt, cf. surselv. easa, caussa, vacca, bucca usw. So dürfte im früheren Mittelalter im alpinen Raum etwa östlich einer Linie Monte Rosa-Rigi noch generell mit unverschobenen kf zu rechnen sein. Ausserdem zeigen die Ergebnisse von SICCA, VACCA und BUCCA mit aller Deutlichkeit, dass die Palatalisierung sowohl im Alpinlombardischen (z.B. leventin. [] Osco J se%a gegenüber vaka, b5ka) als auch im RheinischRätoromanischen (z. B. sutselv. Q setga J , vatga gegenüber buca) von der Natur des vorausgehenden Vokals abhängig ist und nach _o, u (rocca!) fast überall gänzlich unterbleibt". Da tali constatazioni si puo avere una idea della complessitä ed incertezza sui problemi .... 43 quanto esteso e antico fosse il fenomeno dell'intacco palatale di CA, GA nella Cisalpina e come sia impossibile immaginare che esso provenga dall'area francese. Secondo lo studioso svizzero, tale fenomeno potrebbe esser píu antico nell'area pedemontana e padana rispetto alie zone alpine. Ho gia fatto ammenda di un mió errore a questo proposito, quando nello 113 Schizzo fonético dei dialetti agordini ho ritenuto che la palatalizzazione di alcuni dialetti del Medio Cordevole (cioe alto-bellunesi) sia una innova-zione proveniente dai passi dolomitici, cioe dal Nord. Riconosco invece che tali palatalizzazioni sono i resti di un'area assai piu vasta se ri- saliamo indietro nei secoli, attenendomi cosí ad opinioni gia espresse dal % 114 Battisti e ribadite piu chiaramente dallo Schmid . Come si sa, le reliquie dell'intacco nella Padania non mancano e, a bene osservare, esse sono piu numeróse di quanto si sapesse all'época dei Saggi ladini dell'Ascoli. Alcuni esempi nuovi sono stati menzionati qui sopra; debbo aggiungere che il dott. G. Tomasi mi segnala, sempre per Revine Lago (Treviso) anche altri casi che peraltro possono essere soggetti a qualche riserva, \ 115 contrariamente a quelli gia menzionati o a quelli riuniti dallo Schmid . ...112 ... della palatalizzazione anche per giudizi precisi sulla sua reale (generale o più probabilmente non generale) cronología. Tale comples-sità e del resto riconosciuta e dimostrata mediante varie tabelle anche da Silvia Prader-Schucany, Romanisch Bünden als Selbständige Sprachlandschaft, Bern 1970 (RH 60), pp. 62 - 67. E' da notare che 1'Autrice non affronta mínimamente il problema della cosiddetta "unità ladina", ma si limita a trattare problemi dei Grigioni romanci. 113 Estratto da AlVen. CXni (1954-55), pp. 281 - 424, vedi quanto scri-vevo a p. 352. 114 C. Battisti, Popoli e lingue neirAlto Adige, Firenze 1931, pp. 15o -155 e H. Schmid, art, cit. 115 Schmid, art, cit., specie pp. 55 - 56; sorprende ad es, il genov. ciantê, accanto a cante 'cantiere', oppure jazza 'gazza' nel Basso Monferrato ecc., gia l'Ascoli aveva attirato l'attenzione su parole piemontesi con la palatalizzazione che non erano prestiti dal francese, ecc. Il Dr. Tomasi mi segnala per Revine Lago anche le cáspe 'racchette che si attaccano alle scarpe per non sprofondare nella neve', che corrispondono altrove a káspe (ma non posso in codesto caso essere certo che si tratti di palatalizzazione locale, anche se non lo escludo). 44 Qui mi limito a fornire qualche chiosa all'articolo citato e, in qualche caso, ad esprimere qualche dubbio su sirgóle interpretazioni. Sono d'accordo che in aree più conservative si possono individuare alcunï casi in cui il risultato dell'intacco è fermo alla fase più arcaica e insta- 116 bile che anche l'A. ritiene postpalatale (o prevelare) , ma essa potrebbe essere anche prepalatale e nulla cambierebbe; tale fono è trascritto c, ma corrisponde al je' délia nostra notazione adottata ad es. nell5 ASLEF*^. Si tratta di realizzazioni diverse, ma fonematicamente pertinenti in alcuni casi rispetto a c, ciofe alla affricata palatale (ts), con la quale c (k') viene ormai piu spesso a confondersi nei dialetti dolomitici e puo anche e i 118 continuare C ' ecc. Anche nei dialetti cadorini e alto-agordini si ha ormai sempre CA, GA > ca, ga, mentre il Friuli - tranne nelle città e 119 nei borghi - conserva assai bene k' e _¿ . Quanto aile ipercaratteriz -zazioni (o in codesto caso alie "iperladinizzazioni"), conosco anch'io casi analoghi a quelli citati dal Craffonara in cui i prestiti veneti o italiani, di data anche recente, con ca-, ga- ecc. sono stati per cosí dire ladiniz-zati, con parziale o totale generalizzazione da parte dei locutori locali 116 Anch' io, in varié occasioni (v. per esempio Introduzione all' ASLEF, Padova IHine 1972, pp. 47 - 48) ritengo che la variante piu antica e tuttora piu diffusa in Friuli sia di tipo poslpalatale o prevelare, anche se non vi manca quella prepalatale; ma finora non ho potuto avvalermi di sicure prove sperimentali, nonostante vari tentativi. 117 Cioe Atlante storico-linguistico-etnografíco friulano da me diretto, di cui sono usciti i primi 4 volumi (Padova-Udine 1972 e sgg.), il quinto e in bozze, mentre il sesto - 1'ultimo - e in avanzata fase di redazione. 118 Codesta e naturalmente una mia impressione; in ogni caso tra postpalatale e prepalatale non esiste alcuna distinzione fonematica e le varianti sono forse molto numeróse. Anche in albanese g_ (k|) e pronunciato, ora come una postpalatale, ora come prepalatale (e in certe aree del Nord, ad es. a Scutari, da luogo all'affricata ts = c), 119 Si veda soprattutto G. Francescato, Dfr., passim. 45 che con tale procedimento ritengono, nel subconscio, di restare piu fe-120 deli al campanile . II Cr. (p. 71) cita esempi da poeti locali contempo-ranei che usano ad es. čandelier per kandelier o čiaorer per kaurer (non so se tali esagerazioni possano portare, nel futuro, anche alia pa-latalizzazione di caránta per karánta 'quaranta', ma forse sto qui esa-gerando). Anche codesta tendenza, accentuata negli ultimi tempi, ma gia abbastanza antica, e cioe di ladinizzare i prestiti, puo rappresentare un certo ostacolo per districare complessi problemi di cronología fonética nell'intacco che l'A. ricava soprattutto, come abbiamo detto, dai Lehnwörter dal tedesco in varié fasi. I conguagli sono assai comuni, come si vede anche dagli esempi addotti dal Craffonara ed io ritengo che il fenomeno della palatalizzazione si presentí a volte con casi di "inter-mittenza"^. L'A. crede di poter avanzare una spiegazione nuova nell'interpretazione . „ 122 di -CA- ,> -ga- intervocálico, noto a vari dialetti . Secondo tale studi oso, da secare, ligare, domenica, quadriga non si avrebbe avuto direttamente (le varianti locali sono regístrate nel suo articolo) sjé, lié (leer), dumenja, kadría e non vi sarebbe stata una fase intermedia con ga o ga; da ga invece si sarebbe avuta la spirantizzazione (generale nell' italiano settentrionale e sicuramente nel veneto) ga donde -ja-. E la prova di cib sarebbe fornita da prestiti relativamente recenti quali kaloña 'canónica' che proviene da *kalonja e cioe dal veneto kal onega (non vene- ziano!) attraverso kal onega )> kalonija. Perianto egli propone un passaggio 120 Non mancano esempi di prestiti recenti anche nel Livinallongo che hanno adattato 1'originario ka con ca- o ca-; v. attestazioni in Tagliavini, DLiv. passim. 121 In Saggi lad. -friul. p. 122, ho menzionato come parallelo il maior-chino (catalano) che presente salturiamente un kja per ka; per non citare il cabardo (Caucaso) ove k e c non creano opposizione fonologica, come si puo vedere dai noti esempi del Trubeckoj, Fonda-menti di fonología, p. 58» 122 Vedi ad es. i paradigmi del mió Schizzo fonético cit. p. 374. 46 diretto da -ga- -ga- > -¿a ; in codesti casi si tratta invece di un conguaglio automático, per cui le voci venete o trentine in -nega (e simili) sono adattate ipso facto al dialetto locale che risponde al lat. -ïca, non con -iga , ma con -ija (-ja~). La fase intermedia non puo essere assolu- tamenite -ga- (quella che precede -ja-). Per ottenere infatti una vocale palatale da una consonante velare è necessario che quest'ultima si realizzi in un punto più avanzato del palatoj in altre parole l'intacco palatale è 123 dovuto alio spostamento in avanti della chiusura (o semi-chiusura) . Da -ga- si ottiene pertanto, sia pure attraverso -ga-, un g*a o g^a che potremmo definire prevelare o postpalatale (ed a volte, lo abbiamo accen-nato sopra, è comune la variante prepalatale). Tale fase è mantenuta in alcuni dialetti ad es. friulani, ma è assai più facile che da un si arrivi rápidamente a ja, JLa il quale si confonde fácilmente con (o j[) e tale confusione si awerte ad es. nei dialetti veneti rustici e nei continuatori di gl- g' ófl a: a. Codesta filiera fonética mi pare bene accer- tata e pertanto le osservazioni del Cr. a proposito delle forme quali formiga, mániga, fadiga, da me citate ad es. per Caprile ( Alleghe, BL) e per San Tommaso (Agordo, BL), debbono essere rivedute e giudicate del tutto improbabili. Per me il problema è abbastanza semplice in codesti casi poiché nei dialetti che hanno sviluppato da ¿ la mediopalatale affri-cata g (cioe dz) - parallelamente a k' > c (ts) -, for se per una spihta della pronuncia italiana o veneta meno popolare, hanno rettificato g' in _g. In tal guisa si spiegano forme quali frug_a > frug'a onde fruja (poi frua) o fruga (ad es. in friulano). Ció, come si sa,- non eselude che possa dare origine a iniér/inger(i) 'ieri' (cosí nell'Agordino). E' peraltro fondamentale ed imprescindibile nell'evoluzione fonética dell'intacco che puo sfociare in j, riconoscere un avanzamento di articolazione come 123 In taie avanzamento dell'articolazione della posizione della velare (non interamente occlusiva, come è ben noto) si ottiene per lo piu un fono affricato, anche se la trascrizione più spesso utilizzata dai linguisti italiani è fondata su un unie o símbolo. 47 avviene in tanti domini linguistici, altre volte da me citati come perfetto parallelismo. Da non si puo giungere direttamente a altrimenti dovremmo attenderci idéntico esito anche davanti a vocale scura (!), ad es. da cucullu > frl. *cogól > cogól > kol (mai *kojol!). E da larga non si ha forse larga anche a Caprile, San Tommaso ecc. senza che si debba postulare una fase intermedia, impossibile, con g? La mutu- azione delle sibilanti italiane, o meglio veneto-trentine, e attuata con forme palatalizzate del tipo televiziún, seta < setta. Tali rapporti tra sibilanti nei dialetti fassani e stata studiata assai bene da L. Heilmann 124 fin dal suo primo lavoro d'indirizzo strutturalista del 1956 . Quanto a ts_(c) reso con nel gaderano con l'esempio tsentézim(o) 'centesimo' (moneta vecchia) o tserke -é ' cercare', bisogna osservare che non si tratta di certo di prestiti dall'italiano, ma dai vicini dialetti veneti e trentini che conoscevano C6'1 > ts (v. il mió Schizzo fonético cit. p. 349). Ma il Cr. tenta poi di risolvere un problema assai intrlcato ed incerto e cioe (pp. 77 e segg.): "Wann ist sie (la palatalizzazione) realisiert worden?". .Qui egli ha l'occasione per contrastare - come e sua abitudine - le opinioni di C. Battisti, di H. Schmid e di tanti altri. Egli scarta o tiene in poco conto l'ausilio che ci puo venire dallo spoglio dei documenti scritti (solo nomi locali) ed in queste sue riserve siamo in buona parte d'accordo nel dargli ragione. Riesce tuttavia ad allegare un esempio non menzionato dal Battisti (che aveva citato come quello piu antico all'a. 1471 un Fauchiada, DTA El, 2, 227; cfr. il tipo Fuchiade/ Falcade, cioe Falcade in Val Biois) e cioe a. 1320 Costa 1 ongye (Costa— lungia presso Riña nella Val Badia). L'A. poi mi chiama in causa poiché io ritengo la delabializzazione di qjja e gua piu antica della palatalizzazione, ció che secondo il Cr. sarebbe errato (dato che il ka da kwa sa~ rebbe stato puré soggetto a palatalizzazione secondo il nostro A.). A dir 124 V. L. Heilmann, Orientamenti strutturali nell'indagine lingüistica, "Rend. Accad. Lincei", S. VIII, vol. X (1955), pp. 136 - 156. 48 vero io ho accolto la spiegazione strutturalista applicata al francese (HaudricourWuilland , Essai, pp. 85 - 90) e l'ho estesa ai dialetti alpini e friulani, secondo la quale l'avanzamento dell'articolazione (per cui ka kja ecc. ) sarebbe stata favorita dall'invasione del campo di realizzazione di ka da parte di kwa > ka. Processi perfettamente ana- loghi non mancano in altri domini linguistici ed io ho già sottolineata la 125 convergenza del fenomeno nei dialetti arabi . Ma va pure detto - come mi sugerisce Paola Beninca - che il nuovo ka da kwa non avrà avuto un a perfettamente uguale all' originario ka (poi kja) e certamente a, che in alcuni casi diventa o (cfr. quadruvium > frl. Codroipo o quadragesima >■ frl. coresima ecc.) sark sta.to caratterizzato da una tinta fortement« velare per cui esso si distingueva e non era per cosí dire imbrancato da ka originario. Che gli esempi citati dal Cr. (p. 82) dalla toponomástica del Livinallongo quali a. 1566 Marchadant (oggi markadént), a 1316 Ronkato o a. 1296 Runcass "est incultum".(Badia), stiano a dimostrare che la palataliz-zazione era gia chiusa nel sec. XIII, fe secondo noi un errore metodologico che il Cr. ripete altre volte. Tali forme infatti - ma soprattutto Marcadent, -ante 'mercatante', cognome anche bellunese - possono es se re dei prestiti provenienti dal Bellunese. Egli si spinge poi piu in-dietro con i tentativi di indicare una cronología nella palatalizzazione che, francamente, a noi dà l'impressione, come abbiamo già accennato, di un fenomeno "intermittente" (cioe che si attua e-si spegne ecc.). Qui mi 125 Ripeto ancora una volta tale parallelismo che si puo vedere bene illustrato in J-Cantineau, Études de linguistique arabe, Paris 1960, pp. 64 - 67; ma nello spostamento diqakedikac non si ca-pisce bene se si tratti di un processo "per propulsione" o per "tra-zione" (secondo la nota terminología del Martinet)^ si pronuncia cafir per kafir (p. 69) "Enfin les parlers ayant un gâf prononcé postpalatal sont ceux qui ont également une altération inconditionnée du kâf : de même que le kaf postpalatal est devenu prépalatal, de meme par un processus tout à fait d'avancement du point d'articulation, le gaf vélaire est devenu un postpalatal..". 49 limito ad osservare soltanto di sfuggita che la mancata palatalizzazi one di (a)skat 5 Federkiel' non scat o cat, secondo 1' A. dall' a. a. ted. scaft, non é un elemento sicuro per la datazione dell'intacco poiché la voce puo in realta essere un accatto dal veneto-trentino, e cib non ci díi la sicurezza per una cronología alta anteriore al mille. Tale voce e comune nel veneto e verosímilmente deriva da un got. sbaft (si noti il bellun. scat 'bordone', scat de biava 'stoppie', Nazari 141), a. bellun. scat 'bastone' (Salvioni-Cavassico 390). Tanto il Gamillscheg, RG II, 154 (con varié forme cisalpine), quanto il Battisti, VDA 236, pensano qui al long. skaft 'asta', ma cib che piu interessa, ambedue riconoscono che nelle valli dolomitiche si tratterebbe di un accatto dal vene toaren-tino. II Cr. ritiene di aver apportato delle prove sicure che la palatalizzazione ladina risale ad un'época anteriore al 1000, ma si spinge poi ancora piu indietro mediante l'esempio loca 'callaia' che presuppone, secondo tale studioso, un a. a. ted. loccha. Perianto egli respinge l'ipotesi del Tagliavini, DLiv. 191, che pensava ad un *lukkja; una tale forma a Marebbe avrebbe dovuto daré lotsa, mentre si ha ivi loca con l'intacco arretrato. II ragionamente pare qui convincente per lo meno a prima vista; ma non ritengo che tale forma sia decisiva per riconoscere una cronología addirittura remotissima nell'intacco nell'area alpina e non mancano infatti vari argomenti gia citati da altri autori per farci dubi-tare sulla cronología stabilíta dal Graffonara. Del resto non so se nella discussione a proposito di loca si possano fare intervenire anche le analoghe forme agordine che, come ho gia indicato, oscillano tra loka e loca (AlVen. CVI, 1947-48, p. 278). Non ancora soddisfatto il Cr. tenta ulteriori retrodatazioni di qualche secolo prima del 1000 (con lo scopo evidente di ritornare ad una ipotesi di "innovazione trasversale", che poi si ricolleghi al francese??). Egli pensa che l'intacco fosse gia in atto al momento delle invasioni dei Bavaresi (600) nell'Alto Adige anche se non si hanno dati concreti per fissare l'inizio del fenomeno. 50 Ma non voglio qui criticare il tentativo generale di retrodatazione che puo avere una parte di verosimiglianza, specie se non portato ad epoche tanto prische, come pare accennare l'A. Ció che non convince minimamente nel suo saggio, come ho gia detto, sono le conclusioni. L'A. (v. "Schlussbetrachtung", pp. 90 - 99) passa dapprima in rassegna quattro "tesi" sull'origine della palatalizzazione ladina: a) ipotesi dell'in-flusso dell'astrato o superstrato germánico che non regge in alcun modo; b) diffusione dalla Francia che puré si dimostra, per varié ragioni indicate con precisione da H. Schmid, impossibilej c) diffusione dall'Italia superiore - anche qui secondo le persuasive indicazioni di H. Schmid ~ non accolta dal Cr.; d) tesi dell' indipendenza nei fenomeni di palatalizzazione tra Italia del Nord-Ovest e Italia del Nord-Est, sostenuta 126 soprattutto da R. Politzer .Da notare che il P. - come del resto anche chi scrive, in un articolo del 1967, anno di pubblicazione del volumetto di Politzer - fa intervenire unitamente la palatalizzazione di CA ca e l'analoga risoluzione di CLA per cui si otterebbe una fastidiosa colli- sione. Ma non mancano nella disamina del P. evidenti errori, del resto v 127 gia da me rilevati e confermati anche dal Craffonara . lo ribadisco ora che e as sai improbabile una palatalizzazione dell' ant. veneziano (chian, chiani, ben noti in Fra Paolino) come innovazione proveniente dal Friuli. Si tratta invece únicamente di reliquie di palatalizzazioni assai piu comuni nel parlato e in época antica, poi retrocesse. Le due tesi che possono esser tenute in considerazione sono soltanto la c) e d). Non e per me di grande rilievo generale l'eventualita - tutt'altro che dimostrata - che la palatalizzazione ladina atesina sia indipendente da 126 Nel noto volume Beitrag zur Phonologie der Nonsberger Mundart, Innsbruck 1967, pp. 68 e sgg. 127 Alcune impostazioni errate del Politzer sono State da me criticate nell'articolo Noterelle di sociolinguistica, in npoTiunoie. Scritti in onore di V. Pisani, Lecce 1969, pp. 99 - 109. 51 quella padana, giuntaci per cosí diré a brandelli, con attestazioni sal- tuarie, ma sicure. Dubito inoltre che tale intacco abbia qualche rapporto col sostrato céltico (non trovo alcun aggancio obiettivo per tale teoría) o che si sia diffusa da aree in cui il sostrato céltico ha avuto un molo nella creazione del nuovo fono, poi fonema. Per ora ritengo piu probabile che tale trasformazione, dapprima occasionale, sia effettivamente dovuta a motivi strutturali e alia spinta di kwa > ka ecc. Quanto alia differenza ~ che il Cr. ritiene fondamentale anche per sostenere il principio della "unita ladina" - tra una palatalizzazione della Cisalpina arcaica come variante fonética, di contro ad una fonematizzazione di tale intacco sol- tanto nell'area ladina atesina, dovrei obiettare che amplissime fasce (che un tempo erano ancor piu vaste) nelle zone alpine e subalpine presentano k' (c) come un fonema (cioe fono distintivo), specie nel registro lócale popolare che e quello autentico. Non negó che si notino qua e la cedi- menti di tale registro o códice anche in localita ove la palatale era stata segnalata dalle fonti del secolo passato. Anche H. Schmid indica casi in cui gia nel 1920 alcune localita della Svizzera lombarda avevano abbando- 128 nato 1'intacco segnalato invece dal Salvioni alia fine del secolo scorso . lo stesso ho potuto notare tali regressi anche nei dialetti agordini; ad es. nella Valle del Biois, ove nelle frazioni di Vallada alta discoste dal fondo- valle, si avevano tracce della palatalizzazione soltanto tra i vecchi (e spesso solo ricordate), limítate a poche parole, peraltro di uso molto co-129 muñe . E' noto che i dialetti non sono immobili ed in particolare in questi tempi di rapidi mutamenti socio-economici (del resto la Val Gardena ha forse conservato l'avito patrimonio velscico in misura analoga al secolo scorso??). Non si tratta quindi di mancata fonologizzazione di CA e GA nei dialetti pedemontani o alpini, non riconosciuti come "ladini uffi-ciali", ma únicamente di mutamenti di registro. Quanto ai rapporti tra 128 V. Schmid, art. cit. p. 69 (a proposito della Valle di Bienio). 129 Si veda il mió Schizzo fonético cit. pp. 352 - 355. 52 CLA > kja, ca e CA > kja, ca, k'a, ca che hanno dato origine a poco gradevoli collisioni, debbo osservare che se e in parte vero che i due fenomeni di palatalizzazione e di mancata soluzione dei nessi con L [jtale risoluzione non é di certo antichissima e anche nel Veneto centro-meridionale puo essere a volte collocata nel secolo XIV ] si sostengono a vicenda tanto da fornire sovente - non sempre! - ai dialetti una parti-colare fisionomía, e altrettanto vero che: a) i due fenomeni si ritrovano congiunti in dialetti di regioni non atesine o sudtirolesi di certo non giudi-cate ufficialmente "ladine", almeno per quanto io so (cito per tutte la Val di Non, Trento); y che i nessi con L sono risolti mentre si ha la palatalizzazione di CA > kia > ca anche in dialetti ufficialmente ladini (ad es. nella Val di Fassa e nei dialetti cadorini, compreso l'ampezzano e 130 il comelicese, spesso considerati "venezianisch") ; c) che una amplissima fascia di paríate cisalpine conosce CA )> kja ed ha risolto i nessi con L (ad es. l'area novarese sopra Domodossola, parte della Val Cannobina ecc. d) che, al contrario, in ampie zone alpine i nessi con L sono conservati mentre si e ivi avuta, fin dal secolo precedente, la depala-talizzazione di ca in_ka (ad es. Bormio, Sondrio, bresciano e bergamasco settentrionali ecc.). Per un orientamento, ancora approssimativo, sulle aree e isofone - in continuo movimento! - si puo vedere la mia Carta dei dialetti: isofona 2 (conservazione dei nessi con y e 3 (palatalizzazione di CA, GA ). Ció significa che alcuni sistemi linguistici - salvo rari 130 Molti studiosi, specie stranieri, non hanno familiarita con i vari registri utilizzati da un dialettofono che, ad es. in Cadore, alterna fácilmente il registro dialettale ladino con quello di una specie di koiné veneta (di stampo bellunese), ritenuta di maggior prestigio. Ma ho notato che tra i Cadorini fe piu facile cogliere ancora il dialetto lócale utilizzato senza complessi di inferiorita sociolinguistica anche tra le persone di rango sociale alto. 131 Forme palatalizzate di ka sono tuttora consérvate ad es. a Gurro nella valle Cannobina (Novara), come si deduce dalla monografía recente di R. Zeli, Terminología domestica e rurale della valle Cannobina (Novara), Bellinzona 1968, passim. (v. il Glossario). 53 aggiustamenti - possono reggere, almeno per qualche tempo, alla col-lisione di kja 6a _ca provenienti da CLA e da CA. Non condivido pertanto affermazioni del seg. tenore (p. 83): "Somit müssen wir unsere Palatalisierung als positive Neuerung gegenüber der phonetischen Variante in den padanischen Mundarten ansehen. Sie stellt "eine der ältesten 133 nachweisbaren Grenzen des romanischen Sprachraums dar" (ma la linea fondamentale per la suddivisione della Romania non e da tempo indicata nella linea Spezia-Rimini, o come ho precisato, Carrara-Fano? ?).. "Es ist also nicht richtig, wenn G. B. Pellegrini immer wieder daran erinnert, dass die im Ladinischen bestehende Palatalisierung früher in der Padania vorhanden war, denn von derselben Palatalisierung kann man nur so lange sprechen, als sie auch bei uns nur phonetische Variante war" (ma fino a che punto essa era una Variante nei dialetti di cui ci rimangono solo reliquie nella scripta ??). Tanto meno mi impressiona la critica al "Mythos der Archaizität, der auf battistianischen Behauptungen beruht, die Sellamundarten seien im Grunde nichts anderes als archaische Ausläufer eines norditalienischen Dialektes und weisen keine Neuerung auf, die sich nicht auch in den norditalienischen Dialekte fände". E' per 134 me bene assodato che tra i dialetti ladini atesini che riflettono in sostanza una antica velscicita bolzanina e la latinita dell' Alto Veneto, ed in generale della Cisalpina, non esistevano stacchi linguistici pröfondi, ed essi non esistono nemmeno ai nostri giorni in molti casi (prescindo qui dal potente influsso tedesco sul ladino atesino). Che uno stacco profondo si determini invece nel futuro, anche prossimo (anche se a me non gradito, 132 V. alcuni esempi nel mió articolo Fonética e fonematica, nel vol. Saggi di lingüistica italiana, Torino 1975, pp. 128-9. 133 Qui il Craffonara ripete e si associa ad un giudizio indubbiamente esagerato del Politzer, op. cit., p. 71. 134 Tra gli studiosi piu giovani si e espresso chiaramente in questo senso soprattutto J. Kramer, Posit ia ladinei dolomitice tfl cadrul limbilor romanice, "Studii fi cercetari lingvistice" XXVII (1976), pp. 601-07. 54 non tanto per essere di nazionalita italiana, quanto come studioso di dialetti) e invece. assai probabile. E qui potrei addurre per tale nuovo confine delle ragioni tutte comprensibili e che non debbono far gridare alio scandalo (quanto era ingenuo a questo proposito Cario Battisti!). Ma tale confine ben netto si determinera tra paríate di tipo germánico (tirolese, anzi di buon tedesco) e di tipo neolatino (veneto, italiano). Volevo infine aggiungere una osservazione a proposito di quegli studiosi - assolutamente inesperti di problemi sociolinguistici, con mancanza di qualsiasi sensibilita per essere lontani dai luoghi ove lingue e culture diverse vengono in conflitto - quali ritengono che i fenomeni linguistici, specie lessicali, "ladini" che si rilevano tanto frequentemente in testi veneti antichi (ed anche nei dialetti attuali, come abbiamo veduto) siano dovuti ad un antico influsso del "retoromanzo" sul cisalpino. Codesta e veramente una ipotesi priva di qualsiasi consistenza, per me insensata, alia quale pare accennare, sia pur vagamente, anche H. Lausberg, Lingüistica romanza I, Milano 1971, p. 83, quando egli cosí si esprime: "La romanita retica (?!) giungeva fino al margine della pianura. Qui e stata scacciata dagli antistanti dialetti lombardi e veneti delle citta...". La romanitk delle aree che conservano ampie tracce di "retoromanzo" nel Veneto, nel Trentino e in Lombardia e invece sicuramente "italica", vale a diré essa non trova di certo un punto di irradiazione o di prestigio innovatore in un latino provinciale, eventualmente anche transalpino. Caso mai e vero proprio il contrario. Sarebbe quindi superfluo o errato denominare tali fenomeni con l'etichetta di "retoromanzi" o "ladini", anche se la denominazione - compreso il vero significato - potrebbe ri-sultare comoda. Sono invece fenomeni che risálgono al latino cisalpino arcaico, poi alterato dal rinnovamento lingüístico, evidente e naturale (non essendosi formata, nel periodo delle origini, una lingua cisalpina unitaria) che provengono dal Sud. Altrimenti non saprei dawero come spiegare una grande quantita di parole "ladine" nei testi trevisani e bel-lunesi antichi. Non si pensera dawero - per citare un solo esempio, ma 55 potrei aggiungerne varie decine o centinaia - che una voce arcaica quale mes sal 'luglio' dell'Egloga pastorale trevisana di Morel o in quella analoga coneglianese (v. i miei Studi di dialettologia e filología veneta. Pisa 1977, p. 428 e Cl. Merlo, Stagioni p. 145) sia stata mutuata dell'a-rea ladina dolomitica, ove essa sopravvive (v. ora Kuen, "Ladinia" V, p. 68). E non mi si dirá che essa e stata importata a Treviso, nel 1500, da qualche villeggiante.. ».. Namesto povzetka RETOROMANŠČINA 1 Članek uglednega nemškega romanista, prof. Gerharda Rohlfsa, pb-javljen v reviji LADINIA, V, Die Sonderstellung des Rätoromanischen , je vzpodbudil Giambattisto Pellegrinija, profesorja na padovanski univerzi in znanega italijanskega jezikoslovca, avtorja številnih znanstvenih del zlasti iz italijanske diálektologije, pobudnika in vodjo raziskovalnih del za Furlanski zgodovinski etnološko-jezikovni atlas (ASLEF), da spet načne staro vprašanje o jezikovni enotnosti oziroma neenotnosti "retoromanskega" ozemlja ter o jezikovni povezanosti le-tega z drugimi romanskimi deželami. Pellegrinijev prispevek je nekaka Summa Ladiniae, saj je avtor tu strnil svoja dolgoletna jezikovna opazovanja in študije, pa tudi delo na terenu; tudi sam je pravzaprav "Ladin", saj je doma iz kraja Cencenighe, v italijanski provinci Bellunu, in zanimanje za jezik ima v rodu: njegov ded je bil informator znamenitemu italijanskemu jezikoslovcu Ascoliju. Lingüistica je že objavila nekaj njegovih razprav (letniki XII, XIV, XX), v katerih je zmeraj načenjal vprašanja, ki jih je sprožilo gradivo, nabrano za ta furlanski jezikovni atlas, kar je pomembno tudi za študij medsebojnih 1 LADINIA, Sföi cultural dai Ladins dies Dolomites, Isti tut ladin "Micurà de rü", San Martin de Tor 1978-; Prim. tudi recenzijo P. Tekavčica (za letnike I-IV), Lingüistica XXI. 135 Una buona raccolta di concordanze lessicali tra ladino e veneto (forse, qua e lct, presentata ancora in una forma non completamente elaborata, ma assai utile) si puo vedere nella monografía di E. Quaresima, Parentela Veneto-ladina. Saggio lessicale, Trento 1955 (in particolare si vedano, alia fine, le concordanze del ladino col bellunese). 56 furlansko-slovenskih vplivov. ASLEF namreč objavlja tudi gradivo nabrano v Kanalski dolini, v Reziji in na Krasu (Dipalja ves, Ovčja ves, Ukve, Žabnice, Osojane, Solbica, Gornja Černeja, Dolenji Barnas, Zgonik na Krasu). Slovenistika dolguje Pellegriniju tudi nekaj pomembnih študij, naj navedem posebej samo Contatti linguistici slavo-friulani, objavljeno v "Studi linguistici in onore di Vittore Pisani", Brescia 1969. Italijanskemu jezikoslovcu lahko štejemo v posebno zaslugo, da pozna in zmeraj upošteva dosežke ¿slovenskih jezikoslovcev, ki so se s problemi furlanščine neposredno ali posredno (zaradi vplivov na slovenske zahodne dialekte) posebej ukvarjali, tako Frana Šturma, Antona Grada, Franceta Bezlaja in Tineta Logarja, pa seveda tudi Franca Ramovša in Karla Streklja ter zgodovinarja Milka Kosa. 2 Staro vprašanje: za pojmovanje romanskih govorov v vzhodnih Alpah je bila velikega pomena objava prve retoromanske slovnice, delo Theodorja Gartnerja, Rätoromanische Grammatik, Heilbronn 1883, in od tedaj se je ta izraz, čeprav ne zelo natančen, uveljavil vsaj v nemško govorečih deželah, oziroma v nemških in avstrijskih univerzitetnih središčih. Ta pa so bila tudi vodilna univerzitetna mesta za romanistiko. Gotovo se je tudi pri nas preko del v nemščini uveljavil izraz "retoromanski jezik, retoroman-ščina" za govore vsega romanskega življa v vzhodnih Alpah in ga v tem pomenu uporabljam tudi na teh straneh. Nekako istočasno, natančneje celo deset let poprej pa se je v italijanskem jezikoslovju, vtelešenem tedaj v znamenitem jezikoslovcu Graziadiu Isaiji 2 Ascoliju (Gorica 1829 - Milano 1907) uveljavil izraz ladino : Ascoli je namreč v prvem letniku svoje jezikoslovne revije, Archivio Glottologico Italiano, ki na sploh za italijansko jezikoslovje pomeni rojstvo resnične znanstvene misli, leta 1873 objavil temeljno razpravo o retoromanskih govorih pod naslovom Saggi ladini. Oba, Ascoli in Gärtner pa imata retoromansko ozemlje za jezikovno enotno. 2 Izraz ladino ( LATINUM) je bil prvikrat uporabljen v nemško pisanem tekstu: J. Th. Haller, Versuch einer Parallele der ladi-nischen Mundarten in Enneberg und Groden in Tirol, dann in Enga-din und in den romaunschischen in Graubünden, Innsbruck 1832 (gl. Pellegrini, Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano, str. 160). 57 Geografsko to ozemlje seveda ni enotno: gre za tri večje predele, ki naj bi bili ostanki nekdaj enotnega ozemlja Retov, romaniziranih Retov, ti Reti pa, čisto drugače kot na pr. Galci v nekdanji Galiji, nikdar niso ustvarili nekakšne politične enotnosti, obenem pa jim je stalni pritisk germanskih plemen čedalje bolj krčil življenjski prostor in jih gnal v teže dostopne alpske doline (arhivski dokumenti govore o Romanih v okolici Bodenskega jezera še v 7. stoletju). Tako se je v Srednjem veku pretrgala povezava med posameznimi deli tega, dotlej enotnega ozemlja. In tako danes ločimo: a) retoromanske govore v švicarskem kantonu Graubundnu, ki jih v družini uporablja kakih 50.000 ljudi, vendar trdijo švicarski romanisti, da jih od tega števila skoro četrtina živi zunaj strnjenega romanskega ozemlja (predvsem v Zurichu in v Churu - glavnem mestu kantona). Graubunden pozna dve varianti retoromanščine, romanc, govor zgornje doline Rena, in ta je tudi deljen na dva govora, in sicer sursilvanščino (glavni kraj je Disentis) in sutsilvanščino (glavni kraj je Ilanz): meja je gozd Flims (Selva de Flims) in odtod imeni; in engadinsko. govor zgornje doline reke Inn (glavni kraji so Samaden v zgornjem toku reke ter Zernez in Schuls v spodnjem); b) romanske govore v Dolomitih in v dolinah pritokov reke Adiže (doline Fassa, Badia, Gardena, Marebbe; kraja Livinallongo in Ampezzo) in zunaj dolomitskega ozemlja v zgornji dolini reke Piave. Romansko govorečih 3 prebivalcev je okrog 70.000 ; c) furlanščino, ki jo govori kot materin jezik vsaj pol milijona ljudi v Furlaniji (torej administrativno v delu italijanske upravne dežele Furlanija-Julijska Benečija), in jo torej omejujejo na vzhodu slovenski dialekti, na zahodu beneški, na severu nemščina, na jugu pa sega furlanščina prav do 3 Republika Italija po sporazumu med Avstrijo in Italijo, znanem pod imenom podpisnikov sporazuma, tedanjih zunanjih ministrov De Gasperi - Gruber, zagotavlja jezikovne pravice tudi Ladinom (Statut dežele Trentino-Visoko Poadižje, par. 87 iz leta 1948); vendar se določila tega sporazuma uporabljajo samo v provinci Bolzano. (Gl. S. Salvi, Le lingue tagliate, Milano 1975, str. 131-440). 58 morja: Gradež in Tržič sta še. dokaj furlanska, Trst in Milje seveda že dolgo ne, čeprav pričajo o furlanskem karakterju tržaškega govora še na začetku preteklega stoletja Mainatijevi Dialoghi piacevoli nel dialetto tergestino. Že iz zemljepisne razprostranjenosti jè vidno, da je termin retski, kot ga uporablja Bourciez, Eléments de linguistique romane, neustrezen. Če s terminom retski razumemo romanski jezik, ki se je razvil na retskem substratu (in v tem jeziku ni ohranjenih nobenih napisov), potem bi bil termin morda ustrezen samo za kanton Graubiinden. Furlanija pa v rimskem času ni bila del province Raetiae, marveč Norika; in tako najbrž tudi Dolomiti. Ni ustrezen niti termin retoromansko, ker daje po svoji sestavi misliti na galoromansko, iberoromansko, italoromansko, ki pa predstavljajo prostrane tipološke skupnosti; tega pa govori v vzhodnih Alpah nimajo. Imenovati vso jezikovno skupnost v Alpah ladinsko, kot je to storil pred več ko sto leti Ascoli s svojimi Saggi ladini, spet ni najbolj srečno, ker uporablja veliko jezikoslovcev ta izraz v ožjem pomenu: italijansko jezikoslovje označuje tako dolomitske govore, nekateri drugi, kot Švicar De Curtins ali Okcitanec Bec, pa vidijo v tem izrazu dvojnico k engadinščini. Dodati je še, da uporablja iberoromansko jezikoslovje termin el ladtn za judovsko španščino na Balkanu. E. Gamillscheg predlaga v svojem delu Romania Germanica, II, str. 269 in si., termin alpska romanščina ("Alpenromanisch"), a izraz se ni uveljavil. Pierre Bec, Manuel pratique de philologie romane, Paris 1971, uvaja termin rhéto-frioulan, s čimer želi poudariti neko jezikovno skupnost, ki pa ima dva dela in je imela v rimski dobi dve žarišči: nekdanje ozemlje Retov in pa Forum Iulii. 3 Od Ascolija in Gartnerja dalje je torej veljalo, da gre za neko jezikovno kolikor toliko enotno ozemlje. Leta 1910 pa je Carlo Battisti, italijanski fi-lolog in lingvist, doma iz pred prvo vojno avstrijskega Tridenta, tedaj privatni docent na Dunaju, objavil v reviji "Pro Cultura", I, Trento, članek Lingua e dialetti nel Trentino . in potem svojo tezo ponovil v številnih člankih, 59 razpravah in knjigah, vse do svoje smrti (l. 1977) v visoki starosti preko devetdesetih let. Na kratko jo lahko strnemo takole: ni ne zgodovinskih dejstev, ne jezikovnih pojavov, ki bi upravičevali idejo o neki jezikovni enotnosti Ladinije; to ozemlje je jezikovno močno razcepljeno, in sicer gre enostavno za podaljške severnoitalijanskih narečij: furlanščina je torej skrajno severnobeneško narečje, dolomitska ladinščina je del lombardsko-beneških narečij (Verona, Trento), romanski govori v švicarskem Grau-bundnu pa so skrajni severni jezikovni kos Lombardije. Nekako tako, kot spada italijanščina švicarskega kantona Ticina nedvomno v lombardsko narečno skupino. Italijansko jezikoslovje je škoro v celoti prevzelo Battistijeve ideje, tako ravno padovanski jezikovni krog (Carlo Tagliavini in Giambattista Pellegrini), ki je bil že zaradi ugleda univerze v Padovi in pa zaradi lege tega starega univerzitetnega mesta najbolj poklican, da vprašanje pretresa. Univerzi v Trstu in Vidmu imata za seboj komaj nekaj desetletij znanstvenega delovanja. Zasluga Padove je, da je jezikoslovje deloma korigiralo nekatere zmotne Battistijeve ideje, predvsem pa, da se je kresanje duhov usmerilo na docela jezikovno raven: vprašanje retoromanščine je namreč že sredi prve vojne zadobilo nacionalistične in politične prvine, kar treznemu znanstvenemu pristopu gotovo ni koristilo. 4 Vprašanje enotnosti ali neenotnosti retoromanščine očitno vsebuje tudi problem povezanosti: to ozemlje, ali posamezni kosi tega ozemlja, so jezikovno vezani na galoromansko ali na italoromansko sfero? Jezikovna analiza sedanjega stanja kaže močno sličnost retoromanščine z galoromanščino, zlasti s Severom, torej z langue d'oil, s francoščino. Kot povsod in zmeraj je bila najbolj raziskovana glasovna podoba posameznih narečij in ta kaže nekaj skupnih črt za vse retoromanske govore, te črte pa predstavljajo obenem bitno razlikovanje od italijanščine pa tudi, kar je važneje, od severnoitalijanskih dialektov. Gre predvsem za a) ohranjanje končnega -_s 60 b) ohranjanje skupin zapornik + likvida 1_ c) palatalizacijo velarov k, £ pred samoglasnikom a d) različne stopnje palatalizacije a v e (ta fonetični pojav ni zaznaven v furlanščini). a) končni -s. se ohranja kot morfem za množino samostalnikov, frl. lis aulivis, i čanz proti it. ulive, cani; kot morfem za rodilnik v imparisi-labih latinske III. deklinacije samostalnikov frl. martes, istrskobeneško pa mar ti; kot morfem za 2. os. glagola frl. ses, das, seis, amais, jeris saras, sarès, sareis proti it. oblikam sei, dai, siete, amate, eri in era-vate, sarai, sarete; b) ohranjajo se začetne skupine PL-, BL-, FL-, KL-, GL- : frl. plume, blanc, flame, clar, glazze, romanc plonta/planta, blond, flur, clamar, glatsch proti it. piuma, bianco, biondo, fiamma, chiaro, chiamare, ghiaccio. Te soglasniške skupine sredi besede nimajo enotne glasovne podobe, prim, lat. *OCLU romanc egl/ogl, frl. voli; AURICULA *AURICLA: romanc ureglia/uraglia (torej palatalizacija) ; frl. orele/oreglžn, proti it. orecchia, c) velara k, £ doživita pred samoglasnikom a palatalizacijo: lat. CASA, CANTARE, PACARE, PRECARI ecc. je frl. čaze, čanta, pajâ, pre(i)a. Palatalizacija pa ni poznana sursilvanščini, ki ima torej casa, cantar, caura, sutsilvanščina pa vendar chasa/chesa, chantar, chavra/chevra. d) naglašeni a, zlasti v odprtem zlogu, po večini ostane, v furlanščini zme raj, vendar pozna zgornji Engadin palatalizacijo: clev, chanter, chevra; drugod je ta pojav sporadičen. Že Ascoli pa je imel prehod a e kot "spia della ladinita". Z vsemi temi pojavi, dokaj skupnimi retoromanskemu ozemlju v celoti, je ta del Romanije močno vezan na Galoromanijo in ne na Apeninski polotok; dovolj je pomisliti na reflekse v francoščini: tu es, étais, seras, vous êtes, étiez, serez; plume, blanc, claire, glace; chez, chanter, payer, prier. ' 61 Vendar, pravi Pellegrini, ti pojavi, ki najbolj razlikujejo furlanščino in tako zamišljeno retoromansko skupnost od italijanske jezikovne sfere, niso odločilni. Tudi Severno Italijo lahko štejemo h galoromanski sferi in isti pojavi, če že danes v Severni Italiji niso več zaznavni, so bili v preteklosti značilnosti teh narečij. Dokazuje jih po kakšen ostanek v krajevnih imenih, tako Val Clusa, ali pa je mogoče najti potrdila za njih bivanje v grafiji starih tekstov: stari beneški teksti poznajo končni -s_ kot glagolski morfem; palatalizacija velarov pred -a je v sicer zelo majhni meri poznana tudi v Benečiji in Lombardiji, predvsem pa ni sočasna s tako imenovano drugo palatalizacijo v francoščini^. 5 Kar zadeva morfosintakso, pozna retoromanščina nekaj posebnosti, vendar gre prej za posebnosti posameznih regij, predvsem za ohranjanje starega (latinskega ali protoromanskega) stanja kot za inovacijo. Še zmeraj velja, da konservativnost ni znak skupnih teženj in torej medsebojnih vplivanj; pač pa skupna inovacija lahko, pa ne nujno, nakazuje, da sta dve, sicer ločeni ozemlji, jezikovno sdrodni. Romanc (in stara doba engadinskega govora) pozna ostanke dvosklonske de-klinacije (kot stara francoščina): Deus/Dieu; včasih sta sklonski obliki izrabljeni kot samostojni semantični enoti: paster ( < PASTOR) 'pastir za govedo' proti pastur (<[ PASTOREM) 'pastir za drobnico'. Švicarska retoromanščina ne pozna romansko tvorjenega futura, pa tudi ne kondicionala. Za izražanje prihodnosti uporablja perifrazo VENIO (AD) CANTARE; namesto kondicionala pa seveda konjunktiv: eng. scha vess, schi dessa ustreza fr. 'si j'avais, je donnerais'. 4 Za to trditev so furlanske izposojenke v slovenskih zahodnih dialektih izrednega pomena; gl. Fran Šturm, Refleksi romanskih pala-taliziranih konzonantov v slovenskih izposojenkah v "Časopis za slov. jezik, književnost in zgodovino", VI, Ljubljana 1927, in Anton Grad, Remarques sur la Chronologie de la palatalisation des occlusives velaires £ et g devant a en frioulan, "Slavistična revija" XI, Ljubljana 1958. 62 6 Pellegrini zanika tudi vrednost leksikalnih prvin, ki so po mnenju večine romanistov posebnost retoromanskih govorov. Na specifičnost reto-romanskega besednjaka je opozarjal že Gartner. It. in fr. testa, tête se glasi frl. čaf, gard. čie, čief, romanc čiau, se pravi, lat. CA PUT je ohranjeno. Lat. SOL, it. sole pozna v Alpah pomanjševalnico, kot v fr. 'soleil', saj najdemo frl. soreli, gard. surèdl, eng. sulal'. Za lat. SOROR in FRATER pa pozna it. pomanjševalnici sorella in fratello, reto-romanski svet pa ne: frl. sour, sor, fradi; gard. sor, so, fra, frades; eng. sor, sora, frar, frer. Spet bije v oči podobnost s francoščino. Zares svojski in skupen vsem retoromanskim govorom pa je izraz za ' žlico' : frl. sedon, sidon, gard. sciadun, romanc ciadun, sdun (iz germ. skaito) proti it., fr. cucchiaio, cuillère iz kohlea. Posamezne regije poznajo kak izrazit leksikalni arhaizem, tako na pr. romanc entscheiver iz lat. INCIPERE, eng. pa cumanzar, ali cudisch/ cudesch (< CODICEM), frl. pa libri, a ti leksikalni elementi niso taki, da bi dokazovali svojskost romanskega alpskega sveta. Pellegrini misli, da so izoglose tako redke, da ne dokazùjejo ne nekdanje povezanosti alpskih govorov, pa tudi ne njihovega ostrega razločevanja od severnoitalijanskih dialektov. Pellegrini zaključuje s trditvijo, da je sporazumevanje med "retoromani" (vseskozi postavlja ta izraz etnije in jezika v navednice) vse prej kot lahko in da ni razlogov, da bi te govore odtrgali od italoromanske sfere, ne danes in še manj v prvih dobah književnosti v ljudskem jeziku. Prepričan je, da je za furlanščino nabiranje jezikovnega gradiva za ASLEF že dalo dovolj bogato bero, da je mogoče zanikati jezikovno sorodnost med furlanščino in ladinščino (= dolomitsko romanščino). Pellegrini ostaja dokaj veren Battistijevim pogledom o pravzaprav dialektalnem karakterju posameznih delov "Ladinije", saj zanj "retoromanščina" ne eksistira, vendar pa priznava furlanščini dokaj večjo samostojnost, kot je bil to pripravljen storiti Battisti. V tem pogledu je zanimivo tudi Pellegrinijevo stališče o poimenovanju romanskih alpskih govorov: če se mu zdi "retoromansko" popolnoma napačno, je pa zanj "ladinsko" tudi neustrezno in je zatorej 63 pripravljen sprejeti nomenklaturo furlansko - ladinsko - retoromansko za g govore vsakega od posameznih delov alpske romanščine . Te vrstice niso napisane kot veren povzetek prispevka prof. Pellegrinija, ampak le kot dodatno pojasnilo k vprašanju alpske romanščine, ki v slovenskem okolju morda ni zadosti dobro poznano. Ne glede na čisto ro-manistično vprašanje, namreč vprašanje klasifikacije teh romanskih govorov in njih statusa, pa je zanimanje za ta del romanskega sveta med slovenskimi jezikoslovci nujno, in ne le med romanisti: mislim predvsem na vprašanje medsebojnih vplivanj med furlanščino in zahodnimi slovenskimi narečji: slovenskemu dialektologu je važnejše kot poznavanje italijanščine (se pravi, literarne, toskanske italijanščine), poznavanje furlanščine in beneških dialektov. Ne nazadnje pa je dala slovenska romanistika (Šturm, Grad) ob dobrem poznavanju podobe slovenskih zahodnih narečij dragoceno gradivo k razlagi jezikovne situacije v furlanščini. Ta dodatni povzetek naj bi bil obenem vzpodbuda mladim romanistom za študij tistih romanskih jezikov, ki nimajo velike literarne tradicije, ki vsaj na manjših univerzah niso predmet študijskih programov, pa je njihovo poznavanje bitno za pravilno klasifikacijo romanskih jezikov in za vrednotenje jezikovnih pojavov, ki razdvajajo posamezne dele današnje Romanije. Mitja Skubic 5 Gl. Saggi ladini, cit., str. 119. 64 Roxana Iordache Université de Bucarest CDU 807.31 - 561.721.3 REMARQUES SUR LE "UT CONCESSIF" DU LATIN ET LES ORIGINES DE LA RELATIVE CONCESSIVE De nombreux problèmes se posent à propos de la nature du ut eoncessif, relativement à la date de sa première attestation, ses premiers sens, sa fréquence à diverses époques etc. , e Les discussions sur la nature du ut concessif ont mobilise, aux XIX et XXe siècles, un grand nombre de chercheurs. Parmi les opinions de vieille date citons d'abord celle du célèbre Professeur A. Draeger, qui considérait les propositions introduites par ut concessif comme "Bedingungssätze ohne Bedingungsform"1, les groupant, d'une maniéré bizarre, aux cotés des propositions "finales en sens 2 restreint" et aussi de dum, dum modo, modo, tantum ut signifiant "a la seule condition que". Pour ce qui est de la manière dont A. Draeger comprend la nature des propositions concessives, voir aussi la note 38. Une pareille opinion apparaît plus tard dans la Syntaxe d'O. Riemann, a cette différence près que ce dernier prend le ut concessif uniquement 3 avec dum, dum modo, modo . Parmi les ouvrages recents citons celui de J. Collart qui place ut dans le groupe des "Conditionnelles hypothétiques", aux cotés de si et ses composés et si, etiam si, tametsi^. 1 Voir Historische Syntax der lateinischen Sprache, II-4 (Leipzig, 1881, 2- éd.), p. 758. 2 du type: "quis est qui uelit, ut neque diligat quemquem nec ipse ab ullo diligatur, circumfluere omnibus copiis?" - Cicéron, Lael., 15. 3 Syntaxe latine d'après les principes de la grammaire historique. Paris, 1927, 7a éd., p. 405, par 21V la même opinion figure dans la 7Ê éd. revue par Al. Ernout, Paris, 1935, p. 405, par. 211. 4 Grammaire du latin, Paris, 1969, pp. 120-121. 65 D'autres chercheurs considèrent ces propositions comme "propositions dé 5 6 conséquence". .Rappelons J. R. Madvig et R. Kuhner, C. Stegmann . De grands chercheurs de la seconde moitié du siècle dernier et des premières décennies de ce siècle supposent devant le ut concessif l'ellipse 7 A d'impératifs comme fac ou esto (sans préciser quand même la nature du ut concessif). De la, toute une série de traductions compliquées et, au fond, inexactes du ut concessif, traductions présentes dans des grammaires, des dictionnaires importants, des commentaires de textes. Les traductions proposées sont celles-ci: "admettons que...", "en admettant que", "supposé que", "à supposer que"; "mag auch...", "angenommen da#", "zugegeben da#", "gesetzt da#" etc. Le savant anglais Ch. E. Bennett semble être en déroute quand il affirme: "quamuis, quantumuis et ut sont issues apparemment de la parataxe jussive. " - "These apparently have developed from a jussive parataxis,e. g g.: come as suddenly as you will." . Aucun autre commentaire dans la syntaxe de Ch. Bennett. 5 Grammaire latine, Paris, 1885, p. 481, par. 440, Rem. 4. 6 Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, II—2 (Hannover, 1914, 2-e éd.), p. 251, par. 188, Anm. 3; la même présentation des propositions dans l'édition de Hanovre, 1971. 7 Voir, entre autres, H. Goelzer, Commentaire grammaticale relatif à Dialogus de oratoribus (Tacite), Paris, 1905, p. 92, no. 120; B. Dahl, Die lateinische Partikel "ut", Kristiania, 1882, p. 296; N. Theil - W.Freund, Grand dictionnaire de la langue latine, III, (Paris, 1929), p. 530, point II, A, 2-, d ; K. E. Georges - H. Georges, Ausführliches Lateinisch-Deutsches Handwörterbuch. II (Leipzig, 1918, 8- éd.), p. 3329, point II, A, 22 , d; etc. Quant a R. Kühner et C. Stegmann, ceux-ci présument l'ellipse de "uel ita" = "selbst in dem Falle da#" (v. op. cit., II, p. 251, Anm. 3. ). 8 Syntax of earl.y Latin, I (Boston, 1910), p. 270. 66 9 Les grands grammairiens allemands Fried. Stolz et J.H. Schmalz , et plus tard J. B. Hoimann, M. Leumann et A. Szantyr*0 soutiennent que les propositions introduites par ut concessif tirent leur origine partiellement des propositions finales (voir le type rencontré chez Térence, Hec., 296), partiellement de la vieille parataxe désidérative ou optative (le type d'exemples - Ovide, Pont., 3, 4, 79). Le Professeur espagnol A. Tovar, dont la théorie ressemble en général à celle des savants allemands susmentionnés, insiste sur le fait que ut concessif proviendrait du ut désidératif de la parataxe: "Como desarrollo de ut final, o mejor aún, heredando la parataxis de ut desiderativo, se halla ut como concesivo. Dernièrement M. Bassols de Climent, reprenant des théories allemandes plus anciennes (notamment celles de J. B. Hofmann), présente ut concessif ^ 12 A comme dérivant du ut final . La meme opinion apparaît dans des ouvrages appartenant à des chercheurs roumains^. On rencontre également des explications déroutantes, des explications combinées du type: "Origo ut concessivi consecutiva-finalis,enuntiatorum autem concessivorum in parataxi iussiva aliquam optativam vim habente quaerenda est. 9 Lateinische Grammatik, n-2 (München, 1928, 5-e éd.), p. 764, par. 326. 10 Lateinische Grammatik, n-2 (München, 1963-65), p. 6321, par. 340, II, b. et 6473-4, par. 351. 11 Gramática histórica latina - Sintaxis, Madrid, 1946, p. 211, par. 366. 12 Sintaxis latina, H (Madrid, 1976, 5-e éd.), p. 291, par. 277. 13 R. Ochesanu, dans Istoria limbii romane, I (Bucuresti, 1965), p* 367 et 371, b. 14 N.L Niculita, De origine sententiarum quae "ut", "ne", "quin", "dum", "si" particulis finguntur deque modorum in iis usu, Bucuresti, 1942, p. 46. 67 Dans nombre de grammaires ut concessit n'est pas du tout abordé, ni au chapitre des "Propositions conditionnelles", ni dans celui des "Propositions consécutives" etc. Une tentative prudente d'explication apparaît dans la Syntaxe d'Al. Ernout et Fr. Thomas. Les propositions concernées sont nommées "construc- 15 tions en rapport de sens avec les propositions conditionnelles" . A ut concessif sont attachés, à juste raison, les exemples du type: "ut 16 plura non dicam" . Remarquons pourtant que dans le chapitre "Propositions concessives ou adversatives" ut concessif n'est nullement mentionné. Les grammairiens des langues modernes, eux aussi hésitent dans l'explication de la nature des propositions concessives et dans leur classification. Dans les grammaires das langues romanes, on place en général les Propositions concessives d ns on groupe plus large des "Propositions conditionnelles". Parfois les Propositions concessives sont subordonnées 17 aux "Propositions causales" ou aux "Propositions consécutives" . On y parle souvent de la nature causale, consécutive ou conditionnelle des propositions concessives. Origine du ut concessif: Parlant cette fois d'une théorie fréquente et, d'ailleurs assez proche de la vérité, nous tenons pour imprécis, voire inadéquat, le terme "conditionnelles", pour désigner les propositions 15 Syntaxe latine, Paris, 1964, 3-e éd., p. 391, par. 383. Cr., relativement à la largue espagnole, Real Academia Española, Esbozo . de una nueva gramática de la lengua española, Madrid, 1973, p. 557: "Las oraciones concesives tienen semejanza de sentido con las condicionales. " 16 Voir Al. Ernout - Fr. Thomas, op. cit., p. 392. 17 Voir Kr. Sandfeld, Syntaxe du français contemporain, II (Génève, 1965), par. 223, pp. 370-71; L. Guilbert - R. Lagans - G. Niobey, Grand Larousse de la langue française, II (Paris, 1972), p. 851; R. Seco, Manual de gramática española, Madrid, 1967, 9-e éd., p. 227; etc. etc. 68 introduites par ut concessif. Premièrement, ut concessif provient du ut relatif-comparatif. Il s'agit du conjonction comparative ut, qui, à partir de l'époque préclassique, remplace, dans le latin cultivé, la parataxe concessive. Deuxièmement, il existe le danger de confondre des catégories différentes de propositions. Or, les propositions introduites par ut concessif ne peuvent et ne doivent pas être identifiées aux conditionnelles proprement-dites, même si elles se rapprochent par le sens (v. l'opinion d'Al. Ernout et Fr. Thomas) et, tout d'abord, par l'origine. Tout comme on sépare ut concessif du si conditionnel proprement-dit, de même on doit différencier ut concessif et ut conditionnel. D'autre part, on doit distinguer ut concessif du ut causal, malgré leur origine commune. Il est vrai cependant que ces valeurs (causale, concessive, conditionnelle) forment un groupe opposé au groupe de valeurs (essentiellement subjonctives) que comporte ut: consécutive, finale, complétive, subjective. Les valeurs du premier groupe peuvent être unifiées dans la traduction par "si", mais nous précisons qu'il s'agit d'un "si" a sens général, un "si^_de J§_i^j^ara^son. Autrement dit, la forme de ces propositions est Çondijtonnelle_,_ ajors _gue_lis en_ e^J COTï^ratif. Ajoutons que le subjonctif de la parataxe concessive est lui aussi fondé sur la comparaison (la comparaison concessive). En faveur de l'origine et de la valeur comparative du ut concessif plaident le type de relation entre la subordonnée et la proposition régissante, le sens initial et principal du conjonctif ut (conjonction comparative), le mode, les corrélatifs employés, le type de négation et même la position de la subordonnée. Ajoutons que l'on ne saurait séparer l'histoire du ut concessif de l'histoire concernant utut et utcumque. Le sens principal de ut concessif c'est: "quoquo modo - sive multum, sive parum" - "dans quelque mesure que ce soit", "à quelque degré que", "si considérable que", "si peu considérable que", provenant du sens initial de 69 la particule indo-européenne interrogative-indéfinie: "dans quelle mesure?" 18 - "n'importe combien"; et plus tard - "dans quelque mesure que ce soit" . Le sens "dans quelque mesure que ce soit" du ut concessif est évident dans nombre d'exemples, surtout dans les premières attestations. Le premier exemple de ut concessif se trouve, selon toutes probabilités, dans Épidicus : "..... ille eam rem adeo sobrie et frugaliter 19 accurauit, ut..... ut ad alias res est inpense inprobus." 20 (Plaute, Epid.. 565-66) . On remarque la présence du même sujet dans la principale et la subordonnée; en même temps, la présence du verbe-copule esse complété par un adjectif - ce qui représente un des plus anciens types de subordonnée concessive. Suit l'exemple de Térence: "Iam in hac re, ut tac eam, quoiuis facile seitu est quam fuerim miser." (Hec., 296). Cf. Térence, Hec., 420. A l'époque classique, nombre d'exemples de ut concessif présentent le sens: "si ... que (beaucoup - peu)". Voir Cicerón: 18 La forme archaïque de l'adverbe ut c'était utei, provenant du *kwutai ou *kwutei. Sur l'origine et les valeurs de l'adverbe ut, voir R. Iordache, ¿"Cum" temporal o "cum" explicativo?, o Sobre la procedencia y principales valores de la conjunción "cum", dans "Helmantica", 92/93 (Salamanca, 1979), pp. 265-66; 267-68; 285; ibid., 247; 249-50. Cf. J. B. Hofmann - M. Leumann - A. Szantyr,, op. cit., II-2, pp. 630-32, par. 340. 19 Lacune dans le texte. 20 Exemple cité d'après l'édition de W.M. Lindsay, T. Macci Plauti Comoediae. I (Oxford, 1903); en accord avec l'édition de Al.Ernout, Plaute-Comédies, m (Paris, "Les Belles Lettres", 1935). 70 - "uerum ut esses durissimus, agi quidem usitato iure et cotidiana actione potuit." (Cicerón, Tull., 24, 54); - "Vt taceam, conclusio ipsa loquitur ...." (Cicerón, Acad., 2, 32, 101) - Cf. l'exemple cité de Terence, Hec., 296; - " .... quam (prudentiam), ut cetera auferat, adfert certe senectus." (Cicerón, Tuse., 1, 39, 94). Il faut dire dès l'abord que l'emploi du ut concessif devient un trait du 21 langage cultive (tout comme l'usage des cum causal et cumconcessif . L'emploi du subjonctif dans l'exemple de Terence n'est pas justifié par la métrique. On sait que plus tard le subjonctif devient obligatoire dans les propositions concessives introduites par ut. Dans le latin familier et vulgaire de l'époque préclassique c'était utut concessif qui était répandu, construit toujours avec l'indicatif. A l'époque préclassique apparaît aussi, mais rarement, utqomque , pour introduire des propositions concessives: 1 exemple chez Plaute, 2 chez Terence. Plus nouveau et en quelque sorte plus compliqué que utut, utquomque concessif est construit dans les trois cas avec le subjonctif (voir Plaute, Bacch., 662; les deux exemples de Terence, An., 736; H.T., 578), subjonctif qui ne s'explique guère par les nécessités métriques. Dans les autres exemples de l'époque préclassique, utquomque (ou utcumque) apparaît avec l'indicatif (il s'agit de utquomque purement comparatif - des exemples seulement dans Plaute - Amph., 343, Epid., 49 et Poen., 754.) 21 Pour le cum causal et le cum concessif (construits avec le subjonctif) - signes distinctifs du latin cultivé de l'époque classique, v. R. Iordache, Observaciones sobre la subordinada causal en las obras de Jordanes, dans "Helmantica", no. 82 (Salamanca, 1976), pp. 21-23 et 27. 71 Vt concessif est rarement attesté à l'époque préclassique. Particulière- 22 ment frequent chez Ciceron (Ciceron emploie fréquemment aussi le si concessif et le cum concessif), ut concessif est beaucoup répandu aussi à l'époque postclassique, surtout chez Tite Live, Ovide, Quinte Curce, Sénèque le Philosophe, Quintilien, Tacite. A l'époque tardive, l'usage du ut concessif devient toujours plus rare; il est employé surtout par des auteurs cultivant le classicisme comme Tertullien. Il est présent a v 23 meme au Vl-e siècle, chez Grégoire de Tours (avec l'indicatif) . L'emploi du ut concessif devient d'ailleurs un critère pour apprécier la latinité des écrivains des époques postclassique et tardive. Vtut apparaît rarement a l'époque classique et disparaît dans le latin post- 24 classique. Vtcumque , rare chez Cicéron , est fréquent a l'époque post- 25 classique et puis tardive . Les premiers exemples de ut concessif ne comportent pas de corrélatif dans la principale. La relation comparative-concessive est évidente. Vtut concessif du latin préclassique est souvent précisé par le corrélatif tamen, parfois certe. Pour la présence de tamen, voir Plaute, 22 Voir H. Merguet, Lexicon zu den Reden des Cicero, IV (Jena, 1884); pp. 1048-19; idem, Lexicon zu den philosophischen Schriften Cicero's, III (Jena, 1894), p. 896; idem, Handlexicon zu Cicero, Leipzig, 1905, p. 809; W.A. Oidfather - H. V. Canter - K. Morgan Abbott, Index uerborum Ciceronis epistularum, Urbana, 1938. 23 Voir M. Bonnet, Le latin de Grégoire de Tours, Paris, 1890, p.640. 24 Voir H. Merguet, Lexicon zu den Reden des Cicero, op. cit. -aucun exemple dans les discours; idem, Lexicon zu den philosophischen Schriften Cicero's, op. cit., III, p. 903 - 3 exemples; idem, Handlexicon zu Cicero, op. cit., p. 811 - 1 exemple dans Orator; W.A. Oidfather - H.V. Canter - K.M. Abbott, op. cit. - aucun exemple dans les lettres. 25 Pour la fréquence de utut et utcumque dans le latin postclassique et tardif, voir Ed. WÖlfflin, Ausgewählte Schriften, 7 (Leipzig, 1933), p. 308; voir aussi J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., n, p. 635, par. 344. 72 Amph., 397; Cist., 109; Merc., 558; Terence, H. T., 200; Jfo., 531; pour ce rte, voir Terence, Hi., 468. Vtquomque de la même période comporte dans un seul cas un corrélatif, en fait l'adverbe ita (Plaute, Bac ch., 662). Par rapport au nombre total de utquomque concessif, la proportion de l'emploi du corrélatif est assez élevée. Vtut de l'époque préclassique (écrit en général chez Térence séparément: ut ut) est employé d'habitude avec le verbe esse. Esse apparaît en général avec le sens d'"exister"; rarement non-prédicatif (esse = verbe copule), complété par un substantif (un seul exemple - Plaute, Poen., 833). Parfois utut est construit avec le prédicat se habere (voir Plaute, Most., 545: utut res sese habet - expression qui ressemble à la formule fréquente du latin préclassique: utut est signifiant "en tout état de cause", ou "quelle que soit la situation", "quoi qu'il en soit"). C'est assez rarement qu'apparaissent des verbes comme mereri, facere etc. Sur les 11 exemples de utut concessif qui existent dans les comédies de Piaute, 7 sont utilisés avec esse (voir Bacch., 403; ibid., 1191; Merc., 558; Poen., 833; Pseud., 268; ibid., 310; un esse sous-entendu - Truc., 189; parmi ces exemples on rencontre en général le syntagme: utut est, voir Bacch., 403, Mere., 558, Pseud., 268, ibid., 310, Truc., 189; une seule fois - utut eris, Bacch., 1191), dans un cas apparaît le prédicat se habere (l'exemple cité plus haut - Most., 545), deux exemples ont le prédicat mereri (Amph., 1101 et Cist., 109), un exemple avec facere (Amph., 397). Sur les 7 exemples de utut concessif présents chez Térence, 4 apparaissent avec esse, s'agissant en fait du syntagme : utut est, sous diverses formes: ut ut erat - H.T., 200; ut ut istaec sunt - H. T., 870; ut ut erant alia - Ph., 468; ut ut haec sunt - Ph., 531 (en réalité la formule est quelque peu compliquée chez Térence, par la variation du sujet, l'emploi du pluriel et surtout de l'imparfait, en dehors du présent indiqué).Un autre exemple contient le prédicat se habere (ut ut meae res 73 sese habent - Ph., 820). Les deux derniers exemples de Terence contiennent les verbes agi et geri, dans des expressions analogues à utut est, à savoir : at ut haec sunt acta (Ad., 248) et ut ut erat gesta (Ad., 630). L'unique exemple de utut concessif de Caecilius Statius est construit à la manière de Plaute, s'agissant de la formule avec le présent de l'indi- 26 catif: utut est (Caecilius, 171 ). Chez Plaute, tamen précise le ut construit avec des verbes variés: me-reri, facere et aussi esse. Chez Terence, tamen et certe renforcent le ut des expressions ut ut est (où la conjonction ut ut présente le sens: "de quelque manière que..." - quant à l'évolution du sens du utut, voir le paragraphe suivant). Vtquomque concessif de Plaute, quoique en expression analogue à utut est, est construit avec le subjonctif: utquomque res sit (Bacch., 662). Quand il s'agit de l'emploi comparatif, sans nuance concessive, du utquomque, Plaute le construit avec l'indicatif (voir Amph., 343; Epid., 49 et Poen., 754). L'exemple contenant le subjonctif-optatif sit comporte le corrélatif ita. Au cas du utquomque comparatif, 2 exemples ont pour corrélatif l'adverbe séparatif-modal exim. Terence n'emploie utquomque que dans un contexte comparatif-concessif. Les deux exemples, manquant de corrélatif, ont le prédicat: opus sit (voir An., 736 et H. T., 578). Le premier exemple de ut concessif a pour verbe est, complété par l'adjectif inprobus (voir l'exemple déjà cité - Plaute, Epid., 566). Chez Terence (l'exemple cité - Héc., 296), le prédicat est taceam. Le latin cultivé de l'époque classique emploie une grande diversité de verbes (af-ferre, efficere, quaerere, reddere etc. etc.), ce qui n'exclut pas la présence de esse, d'autant plus que la conjonction utut est rare à cette époque. 26 Cité d'après l'édition de O. Ribbeck, Comicorum Latinorum fragmenta, Leipzig, 1855. 74 Evolution des sens: Tout d'abord nous désirons préciser que le sens initial du ut comparatif (ainsi que de utut et utquomque): "dans quelque mesure que ce s< it" devient, dans les contextes, un peu moins indéfini. Autrement dit, ut, de même que utut et utquomque, signifient: "si considérable que" ou "si peu que", en fonction de la manière d'opposition entre le verbe de la subordonnée et celui de la régissante (Cf. l'emploi de quantuscumque et quantuluscumque chez Cicéron). 1. Pour le sens "si considérable que", voir: a) Les exemples cités de Térence, Hec., 296 et Cicéron, Tull, 24, 54. Voir aussi: - "Vt desint uires, tamen est laudanda uoluntas." (Ovide, Pont., 3, 4, 79); b) "Vt .... quaeras omnia, quomodo Graeci ineptum appellent, non reperies." (Cicéron, De orat., 2, 4, 18); 2. Pour le sens "si peu que" (plus rare), voir: - " ..... Qui habet quod det, utut homo est, Omnia généra recipiuntur. " (Plaute, Poen., 833-34) ; - " .... Iam istuc gaudeo, // utut erga me meritast." (Plaute, Amph., 1100-1101). Un exemple du même type chez Plaute, Cist., 109. Ajoutons que, dans bien des contextes, par l'opposition des prédicats des propositions régissantes, le ut concessif cumule les deux sens: "si considérable que" et "si peu que". Voir Cicéron: " ... ut potuerint (iudicare), potuerunt omnibus rébus auditis ... , iudicauerunt autem re semel audita ...." (Acad., 2, 3, 9). A l'époque préclassique tout le groupe de conjonctions passe déjà, dans certains contextes, au sens: "de quelque manière que" ("en quelque manière, comme") - "bien ou mal" (c'est-à-dire: quoquo modo, siue bene, siue maie). A cette occasion, nous tenons à préciser que le sens "de quelque manière que" est assumé plus fréquemment par utut et utquomque et moins par ut. 75 Voilà quelques exemples de l'époque préclassique: - " .... utut est .... non ibo tarnen. " (Plaute, Merc., 558); - " .id, utut est.....patiar ...." (Plaute, Bacch., 1191); - "Vtquomque res sit, ita animum habeat. " (Plaute, Bacch., 662). Dans le latin classique, ainsi que dans le latin postclassique et tardif, utcumque a d'habitude le sens "de quelque manière que", rarement "dans 27 quelque mesure que" . L'orientation de utcumque vers le sens "de quelque manière que" se produit, évidemment, aussi sous l'influence du processus d'extension de l'emploi de quamquam, quamuis, quantumuis, ainsi que de certaines formations nouvelles signifiant : "dans quelque mesure que ce soit", "si ... qu'il soit", "tout ... qu'il est", comme quantuscumque et quantumcumque (à partir de Cicéron), quamlibet (dès Lucrèce et Célius Rufus), quantuslibet (dès Ovide et Tite Live), quantuluscumque (dès Cicéron et Valère Maxime), quantuluslibet (dans Digesta) etc. etc. Précisons que ut, a la différence de utut et utcumque, passe petit à petit au sens: "même si", ou "si" (un "si" de la comparaison concessive). Voir Pétrone: "Vt quadraginta impendat, non sentiet Patrimonium illius ...." (Sat., 45, 6). Une preuve du fait que le sens du_ut passait, à l'époque classique, vers le sens "même si", est aussi la nécessité d'être précisé, pour le sens "dans quelque mesure que", en y ajoutant l'adverbe maxime: " .... quam (rationem) ut maxime inueneris, quod haud scio an non possis, .... non tu uerum te testem habere .... ostende - 28 ris." (Cicéron, Acad., 2, 25, 81). 27 Pour le mode de formation et les sens de l'adverbe utcumque, voir R. Iordache, ¿ "Cum" temporal o "cum" explicativo?, o Sobre la procedencia y principales valores de la conjunción "cum", op. cit., pp. 256-58. 28 Pour l'apposition du superlatif maxime près de l'adverbe ut dans des propositions exclamatives, à l'époque préclassique, voir R. Iordache, ¿ "Cum" temporal o "cum" explicativo?, o Sobre la procedencia y principales valores de la conjunción "cum", op.cit., pp. 249-50. 76 D'autre part, comme le sens "même si" n'était pas non plus assez clair pour les Romains à l'époque classique, ut concessif sera parfois accompagné de l'adverbe iam, formant la locution: iam ut, ou ut iam. L'un des peu nombreux exemples de ut concessif construit avec le subjonctif chez César, est précédé de iam: "ac iam ut omnia contra opinionem acciderent, tamen se plurimum nauibus posse. " (B. G., -3, 9, 6). Chez Cicéron et Tite Live on rencontre d'habitude ut iam (par ex. Cicerón, De fin., 4, 24, 66 ; Tite Live, 21, 47, 5). Cependant Sénèque le Rhéteur et Sénèque le Philosophe emploient seulement iam ut (voir. Contr., 29 - % 1, 2, 7; Epist., 88, 3 etc.) . Il est néanmoins important a préciser que l'adverbe iam accompagne rarement la conjonction concessive ut, aussi bien chez Cicéron que chez Tite Live, par rapport, naturellement, au nombre 30 total d'exemples. . Le placement de l'adverbe iam dans l'immédiat voisinage de la conjonction ut n'exclut pas l'emploi des adverbes corrélatifs dans la principale (voir César, B. G., 3, 9, 6: iam ut - tamen, exemple qu'on vient de citer; Ovice, Met., 9, 620: ut iam - tamen; Epigr. ante Am., 11, 4: ut iam -at; Quintilien, Inst. orat., 8, 3, 36 : ut iam - at; voir en plus le paragraphe sur les corrélatifs. ) Une anticipation de la formation de la locution iam ut ou ut iam pourrait être trouvée même dans l'exemple de Térence (Hec., 296), avec mise en 31 place de l'adverbe iam au début de la principale (voir aussi Plaute, Amph., 1100-01, pour la corrélation iam - utut. ) 29 Voir Thesaurus linguae Latinae, vol. 7 - 1 (Leipzig-Teubner, 1934), p. 128, point 4. 30 Voir Thesaurus lingua Latinae, op. cit., 7 - 1, p. 128, point 4. 31 Quant à l'origine et aux sens de l'adverbe iam, voir R. Iordache, ¿"Cum" temporal o "cum" explicativo?, op. cit., pp. 259-62 et p. 281; voir en plus R. Iordache, Observaciones sobre la subordinada causal en las obras de Jordanes, op. cit., notes 42, 58 et 123. 77 On rencontre rarement la juxtaposition de l'adverbe etiam au conjonctif ut: "nullum periculum est, etiam ut nulla euratio adhibeatur. " 32 (Celse, Med., 5, 28, 8) , probablement sous l'influence de et si et etiam si» Cf. Plaute, Capt., 255: quom etiam, ou Cicéron, Areh., 8, 17: etiam cum. Comme on le voit, la locution quom etiam est plus ancienne que iam ut, ou ut iam. L'évolution du sens de là conjonction ut vers "même si" contribue a une plus étroite liaison entre la subordonnée et la régissante et à la stricte utilisation des règles de la "Consecutio temporum". Cette évolution de sens conduit, dans une certaine mesure, au changement de position de la subordonnée. La proposition comparative-concessive, placée généralement avant la principale, occupe parfois la seconde place, c'est-à-dire après la principale. Voir César: "(Postulabat Caesar) nihilo minus tamen agi posse de compositione, ut haec non remitterentur." (B. c., 3, 17, 4); voir aussi l'exemple de Celsus, cité plus haut. Distinction entre quamquam, quamuis et ut, itut: Tout d'abord on constate une différence sur le plan de la fréquence. A l'époque préclassique, le plus fréquent adverbe indéfini introduisant des propositions concessives est de loin le quamquam. Suivent, dans l'ordre de diminution de la fréquence: quamuis, utut et ut. A l'époque classique, quamuis, quoique beaucoup plus fréquent qu'à l'époque précédente, ne l'emporte guère, du ( point de vue de la fréquence, sur l'adverbe quamquam. Quant à ut de l'époque classique, il enregistre quand même moins d'exemples que quamuis. A part cela, quamquam - en qualité de conjonction - introduit et précise fréquemment (et en est lui-même précisé, des adjectifs, tant à l'époque 32 Exemple cité dans J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., n, p. C474. 78 préclassique qu'aux époques suivantes. Quamuis est employé bien souvent pour introduire dans la comparaison des adjectifs et des adverbes, aussi bien à l'époque préclassique qu'aux époques classique, postclassique et tardive. Quant à utut et ut, de même que utcumque, ils sont liés en général aux verbes (prédicâtifs ou verbes-copule). A l'epoque classique, tout comme chez les écrivains des siècles suivants cultivant le classicisme, le choix du ut est une question de niveau de langage et de mode littéraire. Rappelons que César emploie rarement le ut concessif, tandis que Salluste ne l'utilise guere. Mode et Type d'actions dans les propositions introduites par ut concessif: Dans l'exemple cité de Térence (Héc., 296) apparaît déjà le subjonctif, sans qu'il soit imposé par des raisons de métrique. Pendant les siècles suivants le subjonctif se généralise dans ces propositions. Le subjonctif est exigé assez souvent par la nature des actions de la subordonnée: des actions possibles. L'idée de comparaison concessive contribue d'ailleurs pleinement à fixer le subjonctif dans les subordonnées concessives - Cf. l'emploi du subjonctif dans le cadre de la parataxe concessive: "Suit sane superbi; quid id ad nos attinet?", Caton apud Gellius, 6, 3, 50. Pour la parataxe concessive, voir la discussion à la page 86.). 33 A l'idée de possibilité s'ajoute le sens indéterminé de la particule ut . Le subjonctif employé dans les propositions introduites par ut est par conséquent un subjonctif - optatif, intimement lié au subjonctif d'éventualité de la parataxe. D'ailleurs il y a abondance de formes d'optatif véritables, comme sim, possim, uelim. Quintilien choisit la forme ausim (Inst., 6, 3, 11). Dans d'autres cas le subjonctif est exigé par des actions irréelles (voir Cicéron: neminem alium rogasset, Mil., 17, 46; etc.) 33 Voir O. Riemann, op. cit., p. 405, note 1. 79 Souvent l'action ou l'état en soi-même sont réels . De tels actions ou états sont indiqués surtout par les temps passés du subjonctif. Comme, par exemple, chez Tite Live: " .... suspectaque ei gens erat cum ob infida multa facinora, tum, ut alia uetustate obsoleuissent, ob recentem Boiorum perfidiam." (21, 52, 7). Dans de telles dituations, l'emploi du subjonctif est du à l'idée d'indétermination existante dans le conjonctif ut (= "si ... que", "même si") et aussi à l'opposition concessive entre le prédicat de la principale et celui de la subordonnée. Les auteurs moins cultivés de l'époque postclassique ou tardive, qui ignoraient ou étaient incapables de comprendre les raffinements du latin "d'or", employaient le subjonctif dans ces types de propositions, imitant en cela les écrivains classiques. D'autre part, la tendance à éviter la confusion avec ut comparatif proprement-dit. ut temporel et ut causal, construits avec l'indicatif, a eu un certain rôle pour maintenir le subjonctif dans les propositions de ut concessif. Ajoutons que dans le latin préclassique, puis dans, le latin impérial et tardif, on rencontre, quoique rarement, l'indicatif. Il s'agit, naturellement, des textes influencés par le langage familier. L'opposition des prédicats, ainsi que le sens non-déterminé de ut, parfois la présence aussi des corrélatifs (pour les corrélatifs, v. notre propos dans les pages suivantes) sont suffisants pour définir la nature de la subordonnée. Temps utilisés dans ces propositions: Dans les premiers exemples on rencontre le présent de l'indicatif et le présent du subjonctif. Dans les oeuvres de César et de Cicéron on trouve les premières attestations de l'imparfait du subjonctif (les rares exemples de ut concessif 34 Notons que la grande majorité des grammaires latines ou des langues romanes excluent le caractere réel des actions ou des états des propositions concessives. 80 construit avec le subjonctif qu'on trouve chez César , apparaissent seulement avec l'imparfait - voir B. G., 3, 9, 6 et B. c., 3, 17, 4. En ce qui concerne le ut concessif suivi de l'indicatif chez César, voir notre propos à la page 85 . Le temps de l'indicatif employé par César, c'est le présent. ) Chez Cicerón apparaissent pour la première fois le parfait et le plus-36 que-parfait du subjonctif . Les historiens de l'époque postclassique (surtout Tite Live et Tacite) en font large usage. Signalons que le parfait et le plus-que-parfait du subjonctif, à part leur valeur modale, ont aussi valeur temporelle: ce sont des temps du passé. Parmi les temps du subjonctif, les plus fréquents, à diverses époques et chez les écrivains importants, sont le présent et l'imparfait. Cela-indique, une fois de plus, le caractère prétentieux du ut concessif. Soulignons que l'imparfait et le plus-que-parfait du subjonctif sont d'habitude employés pour des actions irréelles; dans d'autres cas ces temps du subjonctif sont imposés par les lois de la "Consecutio temporum". Mode d'emploi du "ut concessif chez Cicerón: Non seulement ut concessif est fréquent chez Cicéron (en plus il se trouve dans tous les types d'ouvrage, mais encore il apparaît pour des effets stylistiques particuliers. Voir: - "Vt enim non efficias quod uis, tamen .... efficies." (Tusc., (1, 8, 16). 35 Du reste César préfère les conjonctifs vulgaires etsi et tametsi -voir H. Merguet, Lexicon zu den Schriften Caesars, Jena, 188é, pp. 350-51 et pp. 1049-50. 36 Pour l'emploi du parfait du subjonctif dans la principale concessive, voir R. Kiihner - C. Stegmann, op. cit., II—1, p. 190, b. Quant à l'imparfait et le plus-que-parfait du subjonctif de la principale concessive, voir R. Kiihner - C. Stegmann, op. cit., II-1, p. 190. Anm. 4 et J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II-2, p. 332 . 81 - " .... sed, ut iam nos hoc fallat. de Buthroto te non fallet." (Att., 15, 2, 2). On remarque la présence du même sujet dans la subordonnée et la principale, l'emploi du même mode pour les verbes, voire du même verbe. Quelquefois on rencontre des propositions ayant le même verbe (souvent esse), mais où le mode diffère. - "Qui jit sint, quod fieri posse uideo, pudici, solliciti tamen et aradi sunt." (Tusc., 4, 33, 70). Voir encore Tusc., 1, 39, 94; De fin., 1, 4, 12, etc. Voir aussi la discussion sur la corrélation "ut - sic" et l'emploi de l'indicatif chez Cicé-ron - page 84. On peut donc parler d'une vraie prédilection de Cicéron pour cette conjonction, non seulement à cause du grand nombre d'exemples, mais encore du contexte spécial que le grand orateur lui réserve. Corrélatifs: Le corrélatif le plus fréquent c'est tamen, dérivé de l'adverbe 37 tam, ce dernier étant une vieille forme d'Instrumental . Par exemple: - " .... ut iam omnes insipientes sint miseri. quod profecto sunt, non est tamen aeque miser, qui patriae consulit, et is qui illam exstinctam cupit. " (Cicéron, De fin., 4, 24, 66). Voir aussi l'exemple cité - Ovide, Pont., 3, 4, 79 etc. Avec une fréquence relative apparaît comme corrélatif l'adverbe certe, lui aussi une forme d'Instrumental. Par exemple: "Nam, _ut sint illa uendibiliora, haec uberiora certe sunt. " (Cicéron, De fin., 1, 4, 12) Voir aussi l'exemple cité - Cicéron, Tusc., 1, 39, 94. 37 Pour l'origine et les valeurs de l'adverbe tam, voir R. Iordache, l "Cum" temporal o "cum" explicativo?. op. cit., pp. 280-81 et pp. 269-70. 82 On rencontre parfois le corrélatif nihilo minus: "quae (res) nihilo minus, ut ego absim, confici poterunt...." (Cicerón, Epist. ad Fam., 10, 2, 2). C'est rarement qu'apparaît le corrélatif at, adverbe, selon toutes probabilités, apparenté à ut. Par exemple: "ut i am nobis ponere alia ..... fas non sit, at deriuare, flectere, coniungere ... guando desiit licere?" (Quintilien, 8, 3, 36). Voir aussi Ovide, Epigr. ante Am., 1, 1, 4. Chez Lucrèce le corrélatif at renforce tarnen, placé à distance: 2, 919-20 et 4, 473-74. Le corrélatif at semble avoir la préférence des poètes et de Quintilien. Particulièrement importants pour illustrer l'origine comparative de la proposition introduite par ut concessit sont les corrélatifs ita et sic, passés généralement sous silence^. Ce qui est important c'est que ces corrélatifs sont utilisés surtout par Quintilien. Celui-ci construit ut concessif en corrélation avec les adverbes cités, non seulement avec le subjonctif, mais encore avec l'indicatif. Tacite emploie lui aussi le corrélatif ita, avec le subjonctif et l'indicatif. Voici des exemples de corrélation: "ut + subjonctif - ita" chez Quintilien et Tacite: - " .... ut non ausim dicere ...., ita plane adfirmo .... " (Quintilien, 6, 3, 11); - "Ego ut concesserim, ita .... reor _____" (Tacite, Hist., 2,37,2); - "____ ut semel (id) récépissé ueniam habuerit, ita .... effigie numinum sacrari ambitiosum, superbum." (Tacite, Ann., 4,37,4). 38 Voir, pourtant, J. B. Hofmann - A.Szantyr, op. cit., II-2, pp. 633 -634*; voir aussi B. Dahl, op. cit., pp. 50-51. A. Draeger considère les propositions à corrélatif ita des propositions modeles: "Aber1 Sätze mit ita im Nachsatze, wie Tacitus, Hist., 2, 37, sind Modalsätze.", op. cit., n-4, p. 7611. 83 Cf. la corrélation "utquomque concessif + subjonctif - ita" chez Plaute, Bacch., 662. Également fréquente c'est la corrélation "ut + indicatif - ita" chez les deux prosateurs, ce qui est, sans doute, un raffinement de leur art: - ego, ut in oratione syllogismo quidem aliquando uti esse fas dueo, ita constare totam aut certe confertam esse agressionum et enthymematum stipatione minime uelim." (Quintilien, 5,14,27); - "Finis Neronis ut laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut populum aut urbanum militem, sed omnes legiones ducesque conciuerat... " (Tacite, Hist., 1, 4, 5). Parfois l'opposition entre la subordonnée et la principale est soulignée chez Quintilien par le recours à l'adverbe tamen dans la principale. Par exemple : - "ut non durât ultra poenam abdicationis, ita abdicat tamen." (Inst., 9, 2, 88). 39 Voir en plus Institutio oratoria, 10, 1, 72 . 40 La corrélation "ut - sic" est plus rare . Elle est présente chez Cicéron dans divers types d'ouvrage. Vt est construit avec l'indicatif: -".... ut nihil boni est in morte, sic certe nihil mali." (Cicéron, Lael., 4, 14) On remarque que sic est précisé par l'adverbe certe.Dans un autre passage de Cicéron, sic est renforcé par tamen - Pis., 40. Voir d'autres exemples pour la corrélation "ut - sic" dans Cicéron, Plane., 23 et aussi dans les lettres: Fam., 10, 20, 2. 39 Voir d'autres exemples de la corrélation "ut concessif - ita" chez Tite Live, 21, 8, 1; 21, 11, 5; 23, 12, 4; etc. 40 La corrélation "Cum concessif - sic" est plus ancienne (voir R. Iordache, Relatives causales ou Relatives consécutives?, dans "Helmantica", no. 85-87 (Salamanque, 1977), pp. 264-65; voir aussi R. Iordache, ¿"Cum" temporal o "cum" explicativo?, op. cit., p. 269.). 84 On rencontre cette corrélation chez César également, voir B.G., 7,30,3: " .... ut reliquorum imperatorum res aduersae auctoritatem minuunt, sic huius ex contrario dignitas, incommodo accepto, in dies augebatur." A remarquer qu'on souligne l'opposition par ex contrario. Voir en plus César, B. G., 3, 19, 6; Népos, Paus., 1, 1 etc. Quintilien reprend ce type de corrélation: "Nam ut initia clausulaeque plurimum momenti habent ...., sic in mediis quoque sunt quidam conatus iique leuiter insistant." (Inst., 9, 4, 67)41. Négation: "non", placé d'habitude devant le verbe. La négation est la même dans le cas des propositions introduites par utut, utcumque, quam-quam, quamuis; c'est toujours non qui apparaît pour les propositions introduites par si_ et ses composés; aussi dans le cas du cum concessit. Par exemple: "Verum ut hoc non sit, tamen .... praeclarum spectaculum mihi propono ...." (Cicéron, Att., 2, 15, 2). Voir aussi les exemples cités de César, B. c., 3, 17, 4; Cicéron, Tusc., 1, 8, 16; voir encore Ovide, Trist., 5, 10, 31-32 etc. La négation apparaît aussi sous la forme ut nullus, ut nemo, etc.: - "Vt enim rationem Plato nullam afferret ...... ipsa aucteritate me frangeret." (Cicéron, Tusc., 1, 21, 49); Voir aussi l'exemple cité de Celsus (page 78). - "Vt enim neminem alium .... rogasset, scire potuit...." (Cicéron, Mil., 17, 46); - " .... ut nihil a domesticis uulneris factum sit, illud quidem, quod erat, eos certe sanare potuisse." (Cicéron, Att., 1, 17, 3) 41 Cf., iLllégogue^lassiguej la corrélation "cum concessit + l'indicatif - Tamen" chez CTicéron, De orat., 2, 192; Salluste, Con. Cat., 20, 12; puis, à l'époque postclassique, Séneque, Epist., 62, 2 etc. 85 Relation entre les propositions du "ut concessif' et les principales appelées "de supposition", ou "concessives": Les principales concessives représentent une première étape, celle de la parataxe. Le subjonctif employé dans de telles propositions c'est le sub-»42 jonctif d'éventualité , combiné avec le subjonctif de souhait; parfois il s'agit du subjonctif d'irréalité. Les propositions introduites par ut concessif représentent l'étape de la hypo taxe, ut, cum et_si, et tout d'abord ut. étant, parmi les conjonctions latines, les plus propres à rendre l'idée présente dans la principale concessive, dans le cadre de la subordination. Les phases de formation des principales et subordonnées concessives ont été, paraît-il, les suivantes: - phase zéro: "Sunt superbi (Rhodienses)". - phase 1-e: "Sunt superbi; quid id ad nos attinet?" - phase 2-e: "Sint sane superbi; quid id ad nos attinet?" (l'exemple bien connu de Catan - apud A. Gellius, 6, 3, 50, ou l'Edition Jordan, Orig., V, fr. 7). - phase 3-e: "Vt sint superbi, nihil id ad nos attinet.", ou: "Si sunt superbi, nihil id ad nos attinet.". La variante avec l'indicatif dans le cas de ut est aussi possible: "ut sunt superbi". Les principales concessives restent tout le long dé la latinité une modalité surtout familière et vulgaire d'expression. Quant à ut concessif. quoique présent tant dans le latin familier que dans le latin vulgaire, il était bien compris et bien utilisé seulement par les grands écrivains. Continuation de "ut concessif': Imprécis et incommode à cause de ses nombreuses valeurs et du volume phonétique réduit, ut commence, pour ses diverses valeurs, à être remplacé, dès la période classique, par multitude de conjonctions et locutions. Pour ce qui est du ut concessif. 42 Voir J. Collart, op. cit., p. 104. 86 celui-ci est concurrencé, dans la période classique et aux siècles suivants, tout d'abord par utcumque (construit avec le subjonctif). A part utcumque. il y a aussi quamquam, quamuis et quantumuis qui font concurrence, dès les temps les plus anciens, à ut concessif. De nombreux autres adverbes et pronoms-adjectifs indéfinis, apparus soit à l'époque classique, soit à l'époque postclassique ou tardive, contribuent à l'élimination du ut concessif, tels quantumcumque et quantuscumque, quamlibet, quantuslibet, le très vulgaire quammagnuscumque etc. Il faut y ajouter, naturellement, si. dum, quando, quod, construits tant avec l'indicatif, qu'avec le subjonctif. Les langues romanes héritent du latin vulgaire de la basse époque tout d'abord la parataxe concessive. Les langues romanes reprennent aussi le si concessif et la locution si bene; le quando concessif et la locution quando bene; le dum concessif, le quod et les locutions. Pour résumer, ut concessif provient du ut comparatif. Le sens initial a été "dans quelque mesure que ce soit - beaucoup ou peu", qui évolue vers "même si". Au moment où la conjonction ut acquiert le sens "meffie si", on peut parler d'une plus étroite liaison entre la subordonnée et sa régissante, et d'une stricte application des règles de la Concordance des temps. Les subordonnées introduites par ut sont de nature comparative, à forme conditionnelle. Les principales concessives reposent elles aussi sur l'idée de comparaison. Le mode employé d'habitude dans les propositions de _ut c'est le subjonctif, celui de l'éventualité et de l'irréalité, intimement lié au subjonctif de la parataxe concessive. Parfois apparaît aussi l'indicatif dans les propositions introduites par ut -a l'époque préclassique, de même que dans le latin postclassique et tardif. L'opposition des prédicats (de la subordonnée et de la principale), ainsi 87 que le sens non-déterminé de ut ("si .... que", "même si"), parfois les corrélatifs aussi, tout cela suffit pour la compréhension de la relation concessive. Chez les grands écrivains, tels Cicéron, Quintilien et Tacite, l'emploi de l'indicatif est un raffinement stylistique. Les corrélatifs sont bien divers, rappelant tous l'origine comparative de la subordonnée. Citons surtout tamen et certe. De grands prosateurs comme Cicéron, Tite Live, Quintilien, Tacite utilisent fréquemment ita et sic. Rare a l'époque préclassique, ut concessif atteint un épanouissement maximum à l'époque classique. Il est employé tout d'abord par Cicéron, dans tous les types d'écrits, mais aussi par Lucrèce, César, Népos. Devenu un trait distinctif du latin "d'or", l'usage du ut concessif aide à l'appréciation de la latinité des écrivains des siècles suivants. Employé par de grands écrivains comme Tite Live et Ovide, puis Sénèque le Phi- losophe, Juvénal, Quintilien et Tacite, ut concessif se retrouve aussi chez les historiens Velléius Paterculus et Quinte Curce (assez fréquemment même, chez ce dernier). De plus en plus rare a l'époque tardive, ut concessif apparaît, sous l'influence des auteurs classiques, même au Vl-e siècle, chez Grégoire de Tours (mais construit avec l'indicatif). Surchargé de valeurs et incommode a cause du volume phonétique réduit, ut commence à être remplacé, dès l'époque classique, par multitude de conjonctions et locutions. Les langues romanes héritent du latin vulgaire de la basse époque _si_, dum, quando, quod à sens concessif et leurs locutions. En ce qui concerne le traitement du ut concessif dans les grammaires et les dictionnaires, nous sommes contre l'exclusion de cette conjonction de la "Subordonnée concessive"; en même temps nous nous opposons à son inclusion dans le cadre de la Proposition conditionnelle, ou consécutive, causale etc. Vt concessif doit être présenté dans la "Subordonnée concessive" (rappelons que nombre de grammaires n'en traitent aucunement), 88 associé tout d'abord avec utut et utquomque. puis avec quamquam, gnamnis, quantumuis et d'autres adverbes indéfinis signifiant: "si... que (beaucoup -peu)", ou "de quelque manière que (bien - mal)". Dans le même paragraphe il faut mentionner les pronoms-adjectifs indéfinis à rôle comparatif-concessif (quisquis, quilibet, quantusquantus. quantusuis etc.). A tout cela il faut ajouter si concessif et ses composés et, enfin, cum concessif. Séparément, mais toujours dans le cadre de la Subordonnée concessive, seront présentées les "conjonctions" licet et esto. Povzetek PRIPOMBE K RABI LAT. "UT CONCESSIVUM" IN IZVOR RELATIVNO-KONCESIVNEGA ODVISNIKA Avtorica izvaja koncesivni ut iz relativno-komparativnega ut z osnovnim pomenom 'kakorkoli že, kolikor že, kakor že'. Plavt je ta veznik konstruiral še z indikativom. Ko se je koncesivni pomen okrepil in se je ut-stavek tesneje povezal z nadrednim stavkom, pa se je uveljavil eventualni oz. ire-alni konjunktiv. Cicero in nekateri drugi klasiki sicer včasih uporabljajo tudi indikativ, vendar le kot izbrano stilistično sredstvo. Cicero je koncesivni ut sploh veliko uporabljal, prav tako drugi avtorji klasične literature, tako da je ta veznik, ki je v poklasični dobi postajal vedno redkejši, pomenil znak kultivirane latinščine posameznega avtorja. Avtorica ugotavlja tudi frekvenco rabe koncesivnega ut in nekaterih sestavljenih variantnih oblik. Podaja tudi pregled glagolov, ki nastopajo v teh odvisnikih, in korelativov veznika ut v nadrednih stavkih. Med korelativi sta zlasti pomembna ita in sic, ki dobro ponazarjata prvotno komparativno vrednost ut-stavkov. Zaradi številnih vrednosti je bila raba veznika ut večkrat nejasna in ker je bil tudi glasovno šibkejši, se je v pozni latinščini umaknil drugim konce-sivnim veznikom. 89 Pavao Tekavčič Pola - Università di Rijeka CDU 805.99(497.13 ISTRA) INDIRIZZI LINGUISTICI ATTUALI NEL DOMINIO ISTROROMANZO Applicazione délia pragmatica, délia sociolinguistica e délia linguistica testuale al dominio istroromanzo: rassegna delle catégorie morfosintat-tiche; espressione del concetto di 'dovere' deontico e presuntivo; frasi causali performative; varie manifestazioni dell'affettività; topicalizzazio-ne; sintassi délia frase e del periodo: collegamento di periodi nel testo; funzionalità pragmalinguistica di elementi alloglotti. Differenze tra due o più versioni di certi testi istroromanzi. 1 Quella che oggi si denomina pragmatica o pragmalinguistica è una disciplina giovane, che sta cercando ancora la sua definizione e la deli-mitazione del-suo campo d'indagine; eppure, la sua importanza nello studio delle lingue è ovvia. Aile volte si è tentati di identificare la pragmatica con ció che rimane quando dalla lingua tout court si detrae tutto quello che appartiene alla "grammatica" tradizionale, ma è un punto di vista certamente troppo semplificato, perché la pragmatica non è un' a gg i u n t a alla grammatica bensï un angolo visuale che si applica a t u -t t o il linguaggio^. Alla pragmatica si aggiunge la sociolinguistica, che studia come uno dei temi principali l'interferenza tra due o più sistemi. I due indirizzi sono intimamente collegati e spesso addirittura inseparabilï. Un terzo indirizzo moderno è la linguistica testuale: strettamente collegata 1 Secondo B. Schlieben - Lange la pragmatica non é qualcosa di "ag-giunto" alia linguistica, bensi tutto il linguaggio viene studiato come "attivitk" (Tätigkeit) (Schlieben - Lange 1979, p. 22); non esiste la pragmatica bensi la linguistica tutta quanta viene pragmatizzata nel senso di una nuova strategia di ricerca (idee di J. Schmidt, citats in Schlieben - Lange 1979, p. 107, nota 3). Anche U.Engel constata che "die Konstitution einer eigenen Disziplin ' Pragmalinguistik' erweist sich als nicht nur überflü#ig, sondern geradezu irreführend" (Engel 1977, p. 14). 91 con i primi due, essa studia il linguaggio nella sua vita reale, cioe1 negli enunciati.(testi). Questi trascendono il limite di frase della lingüistica chomskyana, donde anche il nome di lingüistica transfrastica. Anche gli idiomi minoritari e secondari offrono parecchio materiale a questi studi. I dialetti istroromanzi, sociolinguisticamente inferiori e típicamente minoritari, non sono stati finora neppure toccati da queste correnti moderne, perciô il nostro presente contributo è il primo tentativo di studio dei nostri dialetti da questi angoli visuali. Come tale esso sarà certamente incompleto e in gran parte ripeterà certi fatti già noti. Ma, come in tanti casi, anche qui repetita iuvant. 2 Uno dei parametri centrali è il locutore, per cui la pragmatica deve tenere conto di tutto ció che serve ad esprimere i possibili atteggiamenti, intenzioni ecc. di colui che parla. Sarà dunque utile una breve rassegna delle catégorie morfosintattiche dell'istroromanzo. 2.1 Non dissimilmente dagli altri idiomi vicini, l'istroromanzo esprime le singóle persone. Alla presentazione tradizionale (la triade della prima, seconda e terza persona, sdqppiata dalla distinzione dei due numeri) si oppone oggi sempre piu quella che si basa sulla non-pluralizza-bilita della prima e della seconda persona. Infatti, siccome 'noi' non è il plurale di 'io' né 'voi' lo è di 'tu', risulta che un'qpposizione tradizionale dei due numeri si ha soltanto tra la terza e la sesta persona, per cui è preferibile numerare le persone in continuazione, dalla prima alia sesta. 2.2 Come detto, il numero funziona nel verbo istroromanzo únicamente nelle persone per i non-interlocutori (la terza e la sesta), e anche qui non è espresso dalle forme verbali ma soltanto con l'aiuto dei sosti-tuenti personali. Questi diventano cosí vere e proprie desinenze (naturalmente, anteposte al verbo): 92 al ven, la ven '(egli, essa) viene' i ven., le ven '(essi, esse) vengono'. L'omofonia tra la terza e la sesta persona e ineccepibile in tutto il dominio istroromanzo. 2.3 La categoría piu cospicua del verbo e quella del tempo, piu 2 precisamente quelli che altrove abbiamo denominato livelli temporali : il passato - il presente - il futuro. Questa categoría si incrocia con quella del rapporto di due (o piu) fatti sull'asse temporale, sintetizza-bile nella formula £ a anteriorita terminata J . Le forme per l'ante-riorita, tutte composte, si oppongono alie forme per la non-anteriorita, tutte semplici, dando un fascio di correlazioni simmetrico e bene in- tégrate : Passato: £ -anter. terminata] : manàvi ' mangiavo' £ +anter.terminata]: vívi maná 'avevo mangiato' Presente: \ u. mam mangio ye mana 'ho mangiato' Futuro: manaré ' mangero' varfe maña 'avro mangiato' Per il concetto ed il termine di livello temporale v. Tekavčič 1970, p. 14; Tekavčic 1980, § 584. II sistema di trase rizione e quello usato nei nostri studi anteriori, qui tuttavia semplificato perché il presente contributo non si occupa di livello fonético né fonematico. Ci limitiamo percio alie seguenti indicazioni: 1) y, w trascrivono le semivocali (risp. anteriore e posteriore), 2) č, S trascrivono le affricate palatali ( risp. sorda e sonora), 3) s, z trascrivono le sibilanti (risp. sorda e sonora); 4) l'accento, sempre fónico (mai soltanto gráfico), viene indicato sempre con l'accento grave, e soltanto su parole suscettibili di creare dubbi o difficolta; 5) la medesima trascrizione e stata estesa anche agli esempi desunti da fonti scritte. Qualora non specificato diversamente, vengono dati esempi dignanesi. 93 Siccome manca qualsiasi resto dei paradigmi "remoti" (mangiai, ebbi mangiato ), il presente è assai frequente in funzione di presente narrativo ("storico"), specialmente negli enunciati e nei testi colorati di af-fettività, mentre il perfetto è riservato di preferenza ail'anteriôrità di fronte al presente e agli enunciati meno affettivi. Insomma, il presente narrativo si oppone al perfetto constativo. 2.4 La categoría del modo distingue 1'indicativo (termine non mar-cato) dal congiuntivo e dal condizionale, due modi délia non-realtà che nell'istroromanzo sono difficili da separare, data la spiccata deficienza fórmale del congiuntivo e la intercambiabililà dei due modi in certe strutture nelle quali in italiano, ad esempio, essi vengono distinti (periodo ipotetico e ipotetico-modale). 2.5 Nulla di particolare offre la categoría délia diatesi: il passivo è tutto composto, il che significa che le forme per la anteriôrità passiva sono doppiamente composte. Le quattro forme-base sono dunque, teóricamente, queste: 4 Nei dialetti attuali il congiuntivo presente e formalmente distinto dall' indicativo in pochi casi: 1) Nei verbi es i 'essere', avi ' ave re' e savi 5 sapere' ci sono forme particolari nelle persone Ia, 2a e 3a (= 6a) (rovign. seyo, seyi, seyo; .yebyo, yebiy, yebyo; syepyo, syepiy, syepyo; dign. seyi, -i, seya; abyi, -4,abya; sapyi, -i, sapya); 2) nei verbi cu (rovign.), co (dign.) 'prendere', dey 'diré', da 'daré', fa 'fare', sta 'stare', ze£ 'andaré' e formalmente distinta soltanto la 3a (= 6a) persona (risp. cuga, coga. deyga, daga, faga, staga, vaga). Negli altri verbi il cong. presente non e caratte-rizzato da forme particolari. Per un'analisi piu dettagliata v. Te-kavcic 1975, pp. 83-105 ( § § 33-39). Attivo: £ - anteriôrità terminata J : vidi 'vedo' £ + anteriôrità terminata : ye veysto 'ho visto' soyn sta veysto ' sono stato visto: Passivo: soyn veysto sono visto' 94 Le forme per l'anteriorità passiva sono rare nella lingua spontanea. 2.6 A differenza di quanto avviene neU'italiano standard, la categoría dell' asseveramento (affermazione/negazione) incide non soltanto sulla forma del singolare del proibitivo ma anche sul plurale, essendo il segnale fórmale délia negazione al singolare il segmento nostà o nustà, al plurale nosti o nusti (in altre varietà nostè). L'es-pressione dell'asseveramento negativo concorda dunque con quella veneta: nostà favelà 'non parlare!' - nosti favelà 'non paríate!' ecc. Il proibitivo sintético (= infinito) non esiste. Sulla negazione con i verbi deontici v. § 4; per le domande retoriche esprimenti la proibizione v. § 11.3. 2.7 Quanto alla morfosintassi nominale, le catégorie del genere e del numero non presentano particolari problemi, cos\ come non ne presenta nemmeno la categoría dell' intensità (valevole soltanto per gli aggettivi graduabili: positivo/comparativo/superlativo). Ri-chiede invece qualche commente la categoría délia d e i s s i nei dimostrativi, che in istroromanzo oppone solo due possibilità: 'vicino al locutore' (kwisto 'questo'; ja o kwa 'qui, qua')/-v^ 'lontano dal locutore' (kwil 'quello'; _Ia 'là.'). Ci sono anche le forme composte (aggettivi e sostituenti): kwisto sa (- kwa) 'questo qua' e kwil la 'quello 11'. Dal punto di vista psicologico e pragmático e dunque notevole la netta op-posizione délia sfera dell'"io" a tutto quello che fe il "non-io", senza un grado intermedio (sfera del "tu"). Quest' atteggiamento "io-centric.o" contrasta curiosamente con la chiara prevalenza délia non-concordanza dei tempi sulla concordanza (approssimativamente 78 % contro 22 % nei ma-5 - teriali da noi esaminati ). Poiche la concordanza dei tempi si ha quando 5 Cf. Tekavčič 1967, pp. 282-288. Tutti gli esempi di concordanza sono desunti dai testi ottenuti da Giuseppe Moscheni, informatore più coito degli al tri; ma anche nei suoi testi la prqporzione è di 71 % di casi di non-concordanza contro 29 % di casi di concordanza dei tempi. Nei testi rovignesi letterari la concordanza prevale tuttavia netta-mente. (v. Tekavčič, Espressioni, § 9.5) 95 il momento del fatto riferito viene portato a coincidere con quello del locutore (Mario mi disse che Pietro era malato: dal punto temporale in cui lo dieo Pietro era malato), mentre la non-concordanza si ha se il fatto riferito viene visto dal momento in cui effettivamente avviene (Mario mi disse che Pietro e malato: nel momento in cui Mario lo disse Pietro e malato), e lógica la conclusione che per quanto riguarda la con- cordanza dei tempi 1'istroromanzo non e affatto "io-centrico." Come ab- biamo stabilito in precedenza, la prevalenza della non-concordanza non 6 trova altra spiegazione che un influsso dell'adstrato slavo . 3 I verbi deontici sono i tre verbi tradizionalmente definiti e denominati come verbi modali: 'dovere' (duvi, dovb), 'potere' (pudi, pode), 'volere' ^ 17 (vuli, volé) . La loro sintassi e la loro semantica offrono solo una particolarita degna di rilievo, e cioe una certa duplicita nell'espressione del concetto di 'dovere' (obbligo, nella terminología della semantica generativa contemporánea anche vincolo), a seconda che si tratti del significato deon-tico (Mario deve studiare molto perché ha da sostenere diversi esami) o di quello presuntivo (Mario deve studiare molto perché da un pezzo non esce piu di casa)« Per il primo significato prevalgono i verbi unipersonali v 8 a tuka ('toccare') e a bena ('bisogna') , che si distinguono sintatticamente 6 Tekavčic 1977b, pp. 117-118. 7 Nei dialetti rovignese e dignanese, nonché nel fasanese (dialetto del porticciolo di Fasana) ai fonemi romanzi /e, o/ corrispondono /i, u/, e ai fonemi /i, u/ romanzi corrispondono i dittongi /ey, ow/ (non realizzati ovunque nello stesso modo); nei rimanenti tre dialetti (dei centri di Valle, Gallesano e Sissano) non si ha nessuno dei due fenomeni, sicché gli esiti concordano con quelli veneti .e italiani (risp. /e, o/, /i, u/). Cf. per cio Tekavčic 1977a, pp. 46-48. 8 L'infinito di bena non é documentato in nessun testo, sicché é dubbio addirittura se esista (cf. anche in it. l'esistenza praticamente sol-tanto teórica dell'inf. bisognare). Percio diamo la 3 pers. presente. 96 in quanto il primo regge únicamente 1'infinito della frase incastrata (a me tuka lavura 'mi.tocca lavorare', non *a tuka k'i lavuri, anche in it. *tocca che io lavori), il secondo ammette invece tanto 1'infinito quanto una forma personale (a beña zey vi 'bisogna andaré via', a bfeña k'i zoyn vi 'bisogna che andiamo via'). A questi due verbi si aggiunge anche il verbo 'avere da' (a vi da). Ad esprimere il significato presuntivo serve invece soltanto il verbo duvx, accanto al quale si usa beninteso anche il v 9 futuro di probabilita . Scelta di esempi per ambedue i significati del verbo duvi: Significato deontico: 1) Visi da zey a kaza, a nd'o tukisto sta la par vídi ki k'a yo stu manzo. (FF 1957) 2) 10 A me tuka da lesyone de mow- zika, par ritonda al growsulo. Invece di andaré a casa abbiamo dovuto stare li per vedere che cosa avesse (lett.: ha) questo manzo. Mi tocca daré lezioni di música, per arrotondare il gruzzolo. (GM 1963) 9 Si veda su cib Tekavčič ' Espressioni'. 10 Gli esempi sono accompagnati dall'anno della trascrizione e/o re-gistrazione e dalla sigla del rispettivo informatore. Le sigle sono: GM « Giuseppe Moscheni, 1'informatore principale, a cui dobbiamo la maggioranza dei testi (racconti, aneddoti, ricordi, biografía ecc.); NP = Nicola Palin, 1'informatore dalla lingua meno modificata da influssi letterari e colti, autore di strofe popolari (basi, botonade), aneddoti, biografía; GZ = Giovanni Zuccarich, un po' piu giovane degli altri, che ci ha raccontato la biografía; AG = Antonia Giaco-metti, a cui dobbiamo i ricordi della sua vita, della Dignano di un tempo, degli usi ecc. ;FF = Francesco Forlani, che ci ha raccontato degli aneddoti; LM = Lorenzo Malusa, dal quale non abbiamo avuto testi ma soltanto conversazioni, frasi isolate ecc. Per il rovignese ci siamo serviti esclusivamente dei testi riprodotti in Deanovič 1954, pp. 47-105. 97 3) ... a ge tukava anke, se yera kwalke fimena, a zey baza kwil k'a ge tukava '1 nowme-ro del piño. (AG 1957) 4) Al mure...a g'o tukisto capase sown e zey vi. (GM 1957) Significato presuntivo: 5) Kwisto devi esi un kan de low-so, sto sa viñaro bravo. (GM 1963) 12 6) La besca la duba sta poko ben; a zi mayo k'i la las i a repoza. (GM 1961) 7) In sta tica a ga dyevo yesi la sena. (Aw. p. 90) 8) . ..nu la zi viñowda, e dyevo da yesi ura bwona, la sta-rwo pwoko ben. (Aw. p. 92) ... le toceava anche, se c'era qualche donna, andaré a baciare colui a cui toccava il numero del pegno. Il ragazzo ... dovette mettersi • 11 m cammino e andaré via. Questo deve essere un cane di lus-so, questo riuscirà bravo. L'animale deve stare poco bene; è meglio ch' io lo lasci riposare. In questo tegame ci deve essere la cena. ...non e venuta, e deve essere l'ora buona, starà poco bene. 11 La locuzione capase sown (ven. ciaparse su) non e facile da tra-durre; a seconda dei contestó vale approssimativamente 'raccogliere le forze', ' mettersi in moto', ' decidersi (energicamente) a partiré' e sim. 12 Come constatato gia in Tekavcic 1969, p. 297, la forma duba (per cui l'informatore ha esitato parecchio) non puo essere autentica (im~ possibile DEBET > duba). Nell'elenco delle forme dei verbi anomali, che nel 1957 abbiamo avuto dal medesimo informatore, non figura duba ma soltanto devo (e anche divo). La forma duba sara percio un'invenzione ("iperdignanizzazione") ad hoc dell' informatore stesso. Non b escluso nemmeno il valore di condizionale (ma il condiz. ef-fettivo e sempre soltanto duvaravo), o quello di congiuntivo (ma il congiuntivo in tali frasi indipendenti non e possibile). o 98 4 Nel dominio deontico c'é un esempio (rovignese) che necessita di un commento. Nel brano Owna zurnada d'ista a fora si legge la seguente frase: 9) Ti nu pudivi fame rompí li Potevi non farmi rompere (lett.: brente, e i duy fyureyni i Non potevi farmi rompere) le bren- ta li varavi lagadi. (Avv. te, e i due fiorini te li avrei p. 79) lasciati. La frase e detta dal padre, infuriato contro il figlio il quale, secondo il padre, il giorno prima non aveva fissato bene le brente sull'asino sicché si sono slegate, cadute e rotte. La negazione incide evidentemente sul verbo fame rompí, mentre il deontico pudi e affermato; anzi, si dice addirittura che la possibilita +potere ) di non fare rompere (Q-fare rompere^]) le brente sarebbe stata preferibile. Eppure la negazione e collocata immediatamente prima del verbo deontico, sicché sembra risultare un altro senso, quello di capacita (non potevi farmi rompere = 'non eri capace di farmi rompere') o anche il senso proibitivo ('non ti era permesso di...'). Percio il senso sarebbe piu chiaramente espresso se la negazione fosse collocata davanti al verbo cui e incidente (ti pudivi nu fame rompí ecc.), oppure se al posto di pudi venisse usato duvi (ti nu duvivi fame rompí ecc.). II contesto assicura comunque l'interpreta-zione esatta, malgrado questa collocazione insólita e del tutto isolata in tutti i materiali da noi esaminati. 5 L'elemento performativo o illocutivo si riconosce in diverse strutture; infatti, esso permea tutta la lingua. Nell'ámbito del presente studio non ci interessano i verbi performativi (nel senso ormai classico, dell'Austin), i quali nell'istroromanzo non offrono niente di particolare. Ci concentreremo invece sulle frasi (o meglio su enunciati completi). Esamineremo dapprima le frasi causali, che si possono dividere in due gruppi a seconda che la causale motivi il fatto riferito nella frase matrice (causali comuni) o 1'elemento performativo (causale performativa). In certi esempi si puo esitare fra entrambe le interpretazioni. 99 Scelta di esempi: 10) Kwila volta le traversade yera longe, parki le barke ke pyown kaminava le fava oto-nove meyl'a l'ura.(GM 1963) 11) Mey me sekava deyge de no a me maro, parki in kwila volta i ginituri yera ankura kwi k' a komandava. (GZ 1963) 12) ... i ye fato s upe in bru, e la karno i la ye lagada, ka la gira dowra kume own saso! In quei tempi le traversate erano lunghe, perché le navi che meglio andavano facevano otto-nove miglia all' ora. A me mi seccava dirle di no a mia madre, perché in quei tempi i genitori erano ancora quelli che co-mandavano. ... ho fatto zuppa in brodo, e la carne l'ho lasciata, perché era dura come un sasso! (Aw. p. 90) Mentre negli esempi 10 - 12 si hanno frasi causali comuni, il seguente esempio ammette tutt'e due le interpretazioni: 13) Owna fimana veča...la ge deys: Una donna vecchia...gli dice: "Kwista zi la kaza de Bara Burtolo Tina." Low al ge deys: "Keysa s'a g' okuraravo un "Questa è la casa di Barba Bor-tolo il Tirchio." Egli le dice: "Chissa se gli occorrerebbe un servo." Essa gli risponde di si, perché quello che c'era prima è andato via. servo." Gila ge respondo ke sey, parki kwil k'a yera prey-ma, al zi zey vi. (GM 1957) La frase causale (da parki a yeri) pub funzionare come motivazione del fatto che a B. B. occorra un servo, ma pub essere anche la motivazione della risposta della vecchia. A differenza dei precedenti, sono nettamente performative le causali in questi altri esempi: 14) E turna sto samèr povero dow-to al dey sulo, ëapà pake e manà poko, parki ay sameri i ge dava sempro poko da mana. (GM 1963) E torna questo povero asino tut-to il giorno solo, (a) prendere legnate e a mangiare poco, perché agli asini davano sempre poco da mangiare. 100 La caúsale non motiva una conseguenza diretta del fatto che agli asini dessero poco da mangiare, bensí spiega perché si dice che.questo parti-colare asino quel giorno mangiava poco. Anche l'imperfetto e l'avverbio sempro esprimono la abitualita, non la causa di uno speciale fatto singolo. 15) "E per dove i 'nde?" Parki "E per dove andate?" Perché loi pudiva zey, luri, in kwa- ro potevano andaré in qualsiasi lbwnke banda... (NP 1963) parte... 16) "Sa Menaga... livive, ka par "Sa Menaga...alzatevi, -ché per li syete i syemo pronti!" le sette siamo pronti!" (Aw. p. 92) 17) "..,. stowdya e movate, k'i "... sbrigati e muoviti, ché non n'ye tempo da pyerdi." ho tempo da perdere." (Aw. p. 80) Nell'esempio 15) la caúsale performativa motiva la domanda precedente, negli altri due esempi motiva 1' ordine impartito. 6 Fanno parte del dominio performativo anche i cosiddetti avverbiali per-13 formativi , quelli cioe che non determinano il verbo ma tutto 1'elemento performativo. Esempi classici sono le parole per l'espressione dei gradi d'asseveramento intermedi (' forse5, 'probabilmente', 'certamente' ecc.) e di atteggiamenti pragmalinguistici affini ('naturalmente'), cosí come puré il futuro di probabilita. Tali avverbiali, a differenza degli avverbi qualita- tivi classici (gentilmente ecc.), possono essere trasformati in parte nomiN nale del predicato (Mario arriva probabilmente domani=^> E probabile che Mario arrivi domani) e il verbo essere puo anche mancare. Tutto cib si trova nell' istroromanzo; ad esempio: 18) Natural ke in kwela volta le Naturale che (=Naturalmente) in besce favelava. (GM 1963) quei tempi gli animali parlavano. 13 V. specialm. Puglielli - Parisi 1974-75, e v. anche Parisi - Anti-nucci 1977, capitolo II performativo. 101 19) "Vardí lasown, k'a nde zi own "Guardate lassu, che ce n'e uno peyco. Sigowro kwil al yol piccolo. Sicuro (=Certamente) zey in paradeys." (GM 1957) quello vuol andaré in paradiso." 20)"Vula zi to feya?" "Eh, la "Dove fe tua figlia?" "Eh, sara saro sa, a viseyn." (GM 1961) qui, vicino." 21) A ven a kaza al marey e al ka- Viene a casa il marito e trova ta* •«al peyco, k'al varo bow ... il piccolo, che avra avuto un ano e mezo polda, k'al zu- forse un anno e mezzo, che gio- gava... (GM 1961) cava... 22) "Al mure varo veysto kwalko- "II ragazzo avra visto qualcosa?" za?" (GZ 1963) 23) "Ki dyavo a zi kwa: a zi na- "Che diavolo c'e qui: c'e soltanto ma ka bru! A sarwo bru da brodo! Sara brodo di carne?" karno?" (Avv. p. 90) Gli ultimi due esempi sono in un certo senso tautologici, perché il futuro di probabilita vi si combina con una frase interrogativa, che di per sé e non-reale, giacché sollecita soltanto un'informazione. 7 Passiamo adesso al grande dominio di quello che la lingüistica amava una volta denominare affettivita, e che fa parte importante della pragmatica lingüistica. Anche 1'affettivita nell'istroromanzo e un dominio ancora pres-14 soche vergine , malgrado la lunga tradizione di questi studi proprio nella lingüistica romanza. In questa sede ci proponiamo anzitutto di esaminare la dislocazione affettiva delle parole, dunque quello che oggi si definisce topicalizzazione o anche enfatizzazione. 7.1 Partiamo dall'ordine romanzo neutro (non marcato): S(oggetto) -P(redicato) - O(ggetto). Lo troviamo nel seguente esempio: 14 Se non andiamo errati, il solo studio dedicato ex professo all'affettivita nell'ordine delle parole in istroromanzo è Tekavcic 1978. 102 24) E un dey el fava la puleynta E un giorno egli faceva la polen... e la muyïr friziva i pisi. ta... e la moglie friggeva i pesci. (FF 1957) 7.2 Per topicalizzare il soggetto abbiamo due mezzi: 1) la formula a zi ... ke, analoga a quella francese (c'est ... que), italiana (è ... che) ecc. ; 2) la posposizione del soggetto, ossia la sua posizione finale, nel quai caso esso è anticipato dal morfema a (il quale funziona anche da soggetto grammaticale dei verbi unipersonali). Esempi: 25) A ge par k'i zi lori kwi k'a Pare loro che sono loro (quelli) komandaro. (FF 1957) che comanderanno. 26) "I soyn meyo kwil k'a yo da "Sono io quello che ha da arrab-rabyàse !" (GM 1957) biarsi!" 27) A ven a kaza al marey... (v. l'es. 21) 28) A se meto a maña anke Bara Si mette a mangiare anche Barba Burtolo... (GM 1957) Bortolo... In qualche caso la topicalizzazione del soggetto si effettua mediante la sola prolessi, ma che si tratti di dislocazione affettiva lo mostra il morfema anticipatore a, che si conserva malgrado la prolessi. Nella lingua parlata vi si aggiunge senz'altro un forte accento d'insistenza sul SN soggetto. Un caso si trova nel seguente esempio rovignese (il quale senza a sarebbe addirittura agrammaticale, o per lo meno avrebbe un tutt'altro significato) : V 29) "Ma ki karno da Gito! Pulen- "Ma che carne d'Egitto! Polenta ta e brudito a gira!" e brodetto c'era!" (Aw. p. 90) Pronunciata senza a e senza l'accento sul SN, la frase potrebbe semmai essere intesa come una risposta affermativa ad una precedente frase ne-gata ('Polenta e brodetto non c'era!'). 7.3 I medesimi due mezzi servono alla topicalizzazione dell' oggetto, con la differenza che alla inversione del soggetto corrisponde la prolessi 103 deli' oggetto: in ambedue i casi si tratta dello scarto dalla posizione nórmale. Esempi per la tqpicalizzazione deli'oggetto: 30) "A zi kwisti i zugatuli ke "Sono questi i giocattoli che ti ge dagi a to feyo?" dai a tuo figlio?" (GM 1961) 31) "Kwista karno i voy, meyo!" "Questa carne voglio io!" (GM 1957) 32) "La kukera i vuli kava?" "H noce volete cavare?" (GM 1963) 7.4 Anche il predicato nomínale si puo topicalizzare in uno di questi due modi: 33) "Fi la perkwizisyon, fi kwil "Fate la perquisizione, fate k'i vulí; sa, ščopi de kasa, cío che volete; qui, fucili da may stadi, may stadi!" caccia, mai stati, mai stati!" (GM 1961) 34) "Eh, okuro domandž. kumo zi! "Eh, occorre domandare come va! Strako i soyn!" (GM 1963) Stanco sono!" 35) "A zi owna vargwona a fase "E una vergogna farsi sentire a sintey a sta ura d'i fitway." quest'ora dagli inquilini." (Aw. p. 78) 7.5 Infine, gli stessi due mezzi di i complementi: 36) "Ti vidi, sa, sa i pasavi mey de duy-tri de noto..." (GM 1963) 37) "Va la, va la, k*i te kuñusi! A nu zi la preyma volta k'i te vidi!" (GM 1963) topicalizzazione servono anche per "Vedi, di qua, di qua passavo io alie due-tre di notte..." "Va la, va la, che ti conosco! Non é la prima volta che ti vedo!" 104 8 E nota l'importanza che nell'italiano puo avere la ripetizione quale mezzo di intensificazione. 11 procedimento esiste anche nell'istroromanzo, ma tutti gli esempi che citeremo non sono pur sempre dello stesso tipo: 38) La me muruza yera kara kara, la yera sul kazal ke la kagava... (1957) 39) A! zi zey Sulo, sul, sul, sulito sul Monto Mayur... (GM 1963) 40) "Eh, Tryeste! Bela sita, ze vero, Andrea?" "Bela, bela, ma speti, syur pariko..." (GM 1963) 41) "Oh, maestri, kwando ande fora de Brioni?" "Eh, presto, presto." (NP 1963) (inizio di una poesiola satírica, del tipo delle co-siddette botonade) Ando solo, solo, solo, soletto sul Monte Maggiore... "Eh, Trieste! Bella citó, e vero, Andrea?" "Bella, bella, ma spettate, signor párroco..." "Oh, maestri, quando andate via dai Brioni?" "Eh, presto, presto." Mentre negli esempi 38) e 39) la ripetizione intensifica la predicazione, negli altri due esempi ha la funzione di rafforzare il performativo, cioe la risposta affermativa (cf. l'it. bene, bene, che non sempre equivale a molto bene ecc.). Per intensificare il verbo si ricorre alia ripetizione dell'imperativo (di netta funzione affettiva), le cui forme ripetute sono collegate con la con- giunzione ke, e vi puo apparire anche un sostituente átono in funzione di 15 dativo etico. Queste strutture sono ben note nei dialetti italiani , sicche anche per 1'istroromanzo bastera un solo esempio: 42) A pasa poki minowti e al mu- Passano pochi minuti e il gio- ruz al salta in mezo dal leto vane salta nel mezzo del let- e la dage ke te dage! (GM 1961) to e la dage ke te dage! 15 V. Rohlfs 1968, § 412. 105 9 Di fronte alia ripetizione 1'istroromanzo non conosce quási l'ela-tivizzazione mediante il suffisso -issimo: abbiamo raceolto un solo esempio, tanteysimo 'tantissimo' (il quale prova la sua origine non popolare anche con il dittongo ipercorretto). In altri materiali istroromanzi ricorre anche qua e la biliteysimo 'bellissimo'. Giacché parliamo dell'intensificazione, aggiungiamo che 1'istroromanzo non conosce il quantitativo molto ma solo tanto. Di conseguenza, essendo l'elativo sintético praticamente sconosciuto, tanto serve anche all'elati-vizzazione analítica: al zi tanto reyko 'e ricchissimo' ecc. 10 All'intensificazione sintattica sono affini i svariati tipi di similitudini, soprattutto similitudini iperboliche, che svolgono la medesima funzione. Esse non mancano neppure nell'istroromanzo: 43) Ke Deyo ge perdona, al yera browto kumo la fan. (GM 1963) 44) Alura i fabri i s'o miso a bati kumo i mati. (GM 1961) 45) I kuntadeyni... lavurava dowto 1' ano kumo i danadi. (GM 1961) 46) A yera una mureda povera, magra kum'un manigo de skuva. (GM 1961) 47) A kaza nu se va, parke yera ' 1 nono, k' al yera... kateyvo kumo la peste... (GZ 1963) 48) Ti ye tanta fowrya, nanke el dyavo ta kuriso dreyo. (Aw. p. 80) Che Dio gli perdoni, era brutto come la fame. Allora i fabbri si misero a batiere come matti. I contadini... lavoravano tutto l'aiuio come (i) dannati. Era una ragazza povera, magra come un manico di scopa. A casa non si va, perché c'era il nonno, che era... cattivo come la peste... Hai tanta furia (che) nemmeno il diavolo ti correrebbe dietro. 11 L'affettivita pragmalinguistica si manifesta anche in diversi altri fenomeni, di cui passiamo qui in una breve rassegna i principali. 106 11.1 Nei dialoghi sono frequenti le particelle pragmatiche èo (corri -sp. all'it. toh, to' ) e vara o ara, nel parlare molto rápido ridotto al solo j^a (equivalente dell'it. guarda, ven. yarda). Ad esempio: 49) "Sta seyto, vara ke sa zuta a zi briganti..." (GM 1957) 50) "Co, vara, i soyn stowfo, sey, da porta la porta." (GM 1957) 51) "Mure, vara vara ki k'a me tu-ka sintèy!" (GM 1963) 52) "Ra k'i soy'n leto!" (GM 1963)16 "Sta zitto, guarda che quaggiu ci sono briganti..." "Eh, guarda, sono stufo, sí, di portare la porta." "Oiovanotto, guarda guarda che cosa mi tocca sentire!" "Guarda che sono in letto!" 11.2 Gli imperativi, oltre alla loro funzione comune che non abbisogna di esemplificazioni, assumono anche la funzione affettivo-narrativa. All'e-sempio 42), che illustra in sostanza proprio questa funzione, ne aggiun-giamo qui altri due: 53) "Pensa tey a sta povera be-sëa k'i soyn meyo da duvi lavurà dowto al dey par duy!" (GM 1961) 54) Stowdya, pensa, ma kwosa k'a 17 seyo? (Aw. p. 91) "Pensa tu a questa povera bestia che sono io, da dover lavorare tutto il giorno per due!" Studia, pensa, ma che cosa sarà? 11.3 Espressione dell'affettivita sono anche le domande retoriche, o co-munque domande che non sollecitano una risposta informativa ma svolgono 16 La frase e stata raccontata con un ritmo assai veloce e alquanto "mangiato", sicché si presenta come una típica Allegro-form. In Lento-form suonerebbe: Vara k'i soyn in leto. 17 In questo esempio troviamo la combinazione di una domanda nucle-are (secondo L. Tesniere) con il congiuntivo dubitativo, proprio peraltro delle domande che lo stesso lingüista denomina eonnessionali (es. che sia questa la causa del disastro? e sim.). 107 altre funzioni pragmalinguistiche. Eecone alcuni esempi: 55) "Ma kí i vuli k'a no se ra-bya in sta manera!" (GM 1957) 56) "Ma kl te par ke ti me daré da intèndi a mey ke tu muyîr zi kwila skatola la!" (GM 1963) 57) "Da kwando in kwa sti veysii? Ti son fworsi feyo d'un syur, teyo?" (Aw. p. 78) 58) "Ki va par da yesi: i fywoy da syur Matèyo Bismondo, o k' a zi roba rambada?" (Aw. p. 93) "Ma chi volete che non si arrab-bi in questa maniera!" "Ma che ti pare che mi darai da intendere che tua moglie è quel-la scatola la!" "Da quando in qua questi vizi? Sei forse figlio di un signore, tu?" "Che vi pare di essere : figli del signor Matteo Rismondo, o che è roba rubata?" Nel primo esempio la domanda retorica equivale ad un' affermazione raf-forzata ('Chiunque deve arrabbiarsi...'), negli altri tre esprime una ne-gazione. 11.4 In diversi testi si trova la formula kumo ke la zi, che corrisponde a due equivalenti italiani: nel primo dei due esempi in seguito citati vale 'comunque sia' (concessivo-generalizzante), nel secondo invece vale 'come e', 'come stanno le cose' ecc. ed ha dunque un valore constativo. In questo secondo esempio il contenuto informazionale di tutta la prima frase e praticamente nullo: essa ha la funzione di una specie di Auftakt narrativo, dunque una funzione pragmatica di awiare il discorso. Esempi: 59) "Ti se, kumo ke la zi, zoyn zu e s par tende kwil k'i yo lasa." (GM 1957) 60) "I savi kumo ke la zi: zoyn a ka va la kukèra." (GM 1961) "Sai, comunque sia, scendiamo e spartiamoci quello che hanno la-lasciato. " "Sapete com'è: andiamo a cavare il noce." 11.5 Nel parlare affettivo e frequente l'ellissi del verbo, particolarmente con il morfema vi (anche veya, via) parte integrante del verbo composto 108 ze.y vi 'andaré via'. In posizione interna prevale veya, in posizione finale di enunciato vi (mentre via e un evidente venetismo). Esempi: 61) E veya low par un altro vi-layo! (GM 1962) 62) E via mey! I ye skampa! (GZ 1963) 63) A kavo dal miz al barba ge da aturna i soldi, e low aturna vi, aturna vi! (GM 1963) 64) May vi de Diñan, mey! (LM 1957) E via lui per (=ad) un altro vil-laggio! E via io! Sono scappato! Alia fine del mese lo zio gli da di nuovo soldi, e lui di nuovo via, di nuovo via! Mai via da Dignano, io! 11.6 Infine, in certi rari casi l'affettivita incide anche sulla forma delle parole: le forme brevi (ridotte in vari modi) tradiscono l'affettivita, le forme lunghe ("piene") sono proprie del parlare affettivamente neutro. Nel possessivo, ad esempio, le forme brevi (me, to, so) sono prevalentemente attributive, le forme lunghe (mey o, toy o, soy o) sono predicative o anche attributive enfatiche: kwista zi la me kaza./ kwista kaza zi meya./ kwista zi kaza meya! Le forme brevi possono pero essere anche predicative, ma in tal caso e chiara la componente affettiva. Ad illustrarlo diamo un aneddoto intero, necessario per la corretta comprensione della frase finale: 65) A yera duy veci, marey e muyir. C'erano due vecchi, marito e mo- I ye ra rabyadi ke nanke i no se favelava. E un dey el fava la pulenta sul fuguler, e la muyir friziva i pisi. Al yera senta sun dun skaño, e zuta yera '1 gato, e low, sto orno, al viva le brage rute e ge pindulava fora '1 kaso. E '1 gato se zugava kun low. E la glie. Erano arrabbiati che nemme-no si parlavano. E un giorno lui faceva la polenta sul focolare, e la moglie friggeva i pesci. E-gli era seduto su di uno scanno, e disotto c'era il gatto, e lui, quest'uomo, aveva i calzoni rotti e gli penzolava fuori il c.... E il gatto giocava con esso. E la 109 muyir ge dey: "Towzd vi!" la moglie gli dice: "Va via!" E E l'omo ge dey: "Lasa k*al ma- l'uomo le dice: "Lascia che man- ña! Ki, zi roba to?" E yila gi! Che e roba tua?". E lei gli ge dey: "Anka ben!" (FF 1957) dice: "Anche bene!" All'infuori del possessivo la stessa alternanza si ritrova in un solo caso ancora, e precisamente nelle due forme del sostantivo ' orologio' : reloyo/ \ 18 relo. II sostantivo ricorre in un aneddoto da noi pubblicato nel 1969 , Nelle parti narrative troviamo la forma reloyo; nelle frasi pronuncíate dal protagonista, un vecchio avaro che non volle prender parte alia col- letta per un orologio sul palazzo del comune, ricorre la forma breve: 66) "Ah, relo! Ki i me faveli de "Ah, orologio! Che, mi paríate relo? Mey ye otanta seynkwe dell'orologio? lo ho ottanta ani e i no nd'e veysto may cinque anni, e non ne ho visto owno!...El relo tiînvelo mai uno!... L'orologio teneteve- vuyaltri! " (GM 1961) lo voialtri!" 12 Sia la pragmatica che la lingüistica testuale si interessano alla sin- tassi del periodo (essendo i periodi attualizzati nei rispettivi enunciati). La frase matrice precede di regola l'incastrata tranne in alcuni tipi di periodi nei quali l'incastrata esprime un fatto che lógicamente precede quello che dice la matrice (ad es. certi periodi temporali, causali, il 19 periodo ipotetico) . Nei testi istroromanzi si trovano molti esempi di ambedue gli ordini; ad esempio: 67) ... oni tanto... al impirava ... ognitanto... infilzava la tripla treypakulpirownj_paTsyb pa con la forchetta, acciocché ke la ge mowya al gowsto. lasciasse il gusto. (GM 1957) 18 V. Tekavčič 1969, pp. 285 e 297-298. 19 Cf. considerazioni analoghe per il latino in Durante 1981, pp. 53-61. 110 68) AI dumàn de sira. ..la yo fato e la y o deyto tanto k'a no s' o durmèy ñente. (GM 1961) 69) ... me maro yera kuntenta de sta mureda parla la yera bona e brava e rispetuza. (GZ 1963) 70) Kwando k'al yo kapey, al ge 20 deys... (GM 1961) 71) Sikume ka la kaza la ga bali-va, al nu s'wo fidà da impisà la lowmo a pitrwolgo... (Avv. p. 90) 72) "Veysto ka nu zi radensyo kun vuy, i ga dizaryè bon." (Avv. p. 91) 73) Se ti varè pyetà dal me dulùr, ti pyurarè kuy oci e anke kul kur. (NP 1961) L' indomani sera... essa fece tanto e disse tanto che non si dormí niente. ... mia madre era contenta di que-sta ragazza perché era buona e brava e rispettosa. Quando ebbe capito, disse loro... Siccome la casa gli traballava, non si fido di accendere la lampada a petrolio... "Visto che non c'e rimedio con voi, le diro senz'altro*" Se avrai pieta del mió dolore, piangerai con gli occhi e anche con il cuore. II confronto degli esempi 69), 71) e 72) mostra la differenza tra i due tipi di periodo causale, a seconda che sia comunicata come informazione nuova, topicalizzata, la causa, mentre l'effetto è presupposto (es. 69)), 0 che viceversa sia comunicato l'effetto mentre la causa è presupposta (ess. 71) e 72)). La differenza e quella medesima che intercorre fra i periodi causali italiani introdotti da perché da una parte, poiché, visto 21 che, siccome ecc. dall'altra . 1 due ordini (matrice - incastrata; incastrata - matrice) sono tuttavia soltanto delle tendenze, non norme fisse, come risulta da diversi casi di 20 La continuazione di questa frase e l'esempio 66). 21 Cf. Gruppo di Padova 1979, pp. 331-336. 111 coesistenza senza implicazioni semantiche; ad esempio: 74) "...no ti me kati ku ti turni." (GM 1961) 75) Ku'l yo fato dowto stu la-vur, al se meto a kuri in-vre kaza... (GM 1957) 76) I dyavi... zi spareydi sensa k'al solda vido de vula k'i zi zeydi. (GM 1961) 77) Senza varda kwil k'a yera preymo o bwltimo, i stava la a čakola. (GM 1961) "...non mi trovi quando torni." Quando ebbe fatto tutto questo lavoro, corse a casa... I diavoli... sono spariti, senza che il soldato avesse visto dove fossero andati. Senza guardare chi fosse il primo o 1'ultimo, stavano la a chiacchierare. 13 II collegamento degli enunciati nel testo é nella grande maggioranza dei casi molto semplice, piano, per cosí diré unidimensionale, soprat-tutto nei brani raccontati da informatori 'con meno cultura e, conseguente-mente, di lingua piu popolaresca. Come e da aspettarsi, la coordinazione e quasi generale. Típico al riguardo e il seguente aneddoto, raccontatoci nel 1963 da Nicola Palin: quasi tutte le frasi e i periodi iniziano con alura ' allora', che diventa addirittura una specie di Auftakt narrativo c 22 (cf. § 11.4, e per un uso analogo di e 'e* es. 65)) : 78) Al stava in famia e al ge diziva ai so nevudi k'a saravo da fa kwatro freytule. Alura i nu viva la fresura par fale, e g'u tuka zey a cola in prgsto. Alura kwista fa-mia gu l'u dada kul pato da esi paga kun kwatro freytu- Egli stava in famiglia e diceva ai suoi nipoti che sarebbero da fare quattro frittelle. Allora non avevano il tegame per farle, e fu necessario andaré a prenderlo in prestito. Allora questa famiglia gliel'ha dato col patto di avere per paga quattro frit- 22 L® informatore deve aver confuso le parti, perché il barba Zuccone dapprima propone di andaré a chiedere in prestito il tegame, poi a sua volta lo da in prestito lui stesso. 112 le. Atura par fa la bartulada i g'u purta kwatro mu roñe de samer. Alura i ge dey: "Capí, barba Sukown, sa i vi la vostra fresura e la paga." Alura low...al se meto a maña ste murone e al dey: "Browta futowda, ti me la ye ben petada, e par paga ti me la pagare la preyma sira ke ti zare a durmey." Alura la va in leto e poy el va low ala sira. "I te vinare a čapa ku ti sare in leto." Alura el va in kuzeyna... al reyv'in kamera e al ge dey: "Ara ke adeso*i te veñi a čapa!" ...e poy l'u capada e g'u fato pagowra. telle. Allora per fare lo scherzo gli portarono quattro pezzi di sterco d'asino. Allora gli dicono: "Prendete, barba Zuccone, qui ave-te il vostro tegame e la paga." Allora egli... si mette a mangiare questo sterco e dice: "Brut-ta fottuta, me l'hai fatta bella, e per paga me la paghe-rai la prima sera che andrai a dormiré." Allora essa va a letto, e poi ci va lui alla sera. "Verro a prenderti quando sarai in letto." Allora egli va in cucina... arriva in camera e le dice: "Guarda che adesso vengo a prenderti!"... e poi l'ha acchiappata e le ha fatto paura. 14 II collegamento cosí piatto non e naturalmente un fatto di langue, ma della parole dei singoli informatori: infatti, nei brani avuti ad esempio da Giuseppe Moscheni, il principale ed il più coito di tutti i nostri informatori, la struttura del periodo e del testo puo essere ben altrimenti com-plessa. In essa intervengono più elementi: i segnali formali di collegamento (congiunzioni), l'ordine lineare delle frasi costitutive del periodo, l'anafora e la catafora (che si servono dei soliti mezzi, cioè dei sosti-tuenti personali e dimostrativi) ecc. A scopo di illustrazione diamo alcuni esempi accompagnati dai rispettivi in-dicatori sintagmatici (in forma semplificata). 79) Ankura ankuy a zi veci k'i Ancora oggi ci sono vecchi che no se yo ankura kustumà ku- non si sono ancora abituati al- la veyta de ankùy, kun dowto la vita di oggi, benché dicano 113 k' i deys ke adeso se sta mayo de preyma. (GM 1961) Analisi: frase matrice: ankura ... veci frase incas trata^ (relativa): k'i no..♦ de ankuy frase incastrata2 (concessiva): kun dowto k'i deys frase incastrata (oggettiva): ke adeso.. .preyma. Indicatore sintagmático: „afferm che adesso si sta meglio di prima. matrice SV SPrep a zi ankura ankuy incastr. 1 afferm_____________incastr.. incastr., V Det se mayo de sta preyma 114 80) "Maesta, se vuy me di la parola da no fa ñente s'i ve "Maesta, se mi date la parola di non fare niente se vi facció vedere una cosa, vi mostrero questa cosa." fagi vldi owna roba, i ve mostrare sta roba." (GM 1961) Analisi: frase matrice (apodosij): i ve mostrare sta roba (T) frase incas t ra ta^ (protasi^): se vuy me di la parola (2) frase incastrata2 (oggettiva): da no fa ñente (apodos^) (3) frase incastrata„ (protasi„) 1 ,. r . , 3 2 - S: s 1 ve fagi vidi owna roba frase incastrata^ (oggettiva2) J Indicatore sintagmático: -ke _ afferm SN SV vuy V SÑ vedi owna roba 115 Dalla struttura esemplificata in questo indicatore sintagmático fino a quella effettiva intervengono ancora certe rególe: 1) sostituzione di ke con da e quella di farl con fa (infinito); 2) la negazione nella frase 3 esige la sostituzione di kwalko con ñente; 3) la trasformazione causativa unisce le frasi 4 e 5, con la conseguente eliminazione di ke e la sostituzione di vedi con vidi (infinito). 81) "A me par ke se ti vagi vi, "Mi pare che, se te ne vai, non no ti me ka ti ku ti turni." mi trovi quando torni." (GM 1961) Analisi: frase matrice: a me par (T) frase incastrata^ (soggettiva): ke...no ti me kati (2) frase incastrata^ (protasi): se ti vagi vi (3) frase incastratag (dipendente dalla incastrata^): ku ti turni. (T) Indicatore sintagmático: © afferm Je 116 La frase soggettiva incastrata viene introduita dal morfema a, anticipa-tore del soggetto. 15 Gli indirizzi linguistici attuali s'inte res sano anche alla funzionalità degli elementi alloglotti nella comunicazione lingüistica e nella struttura del testo. Tali elementi servono a caratterizzare i singoli personaggi e/o le situazioni, e possono avere beninteso anche altre funzioni. In una co-munita lingüistica come e quella dei parlanti 1'istrorom,anzo, in un'area mistilingue da secoli esposta a diversi influssi, gli elementi alloglotti acquistano un'importanza particolare. Ecco alcuni esempi: 15.1 Nella storiella Al gabinito ('Il gabinetto'), raccontataci da G. Moscheni nel 1963, una giovane coppia bumbara va a sposarsi a Trieste e poi, su consiglio del loro párroco, va a farsi fare una bella fotografía a gabinito, in ricordo del giorno solenne. Come è prevedibile, i due bumbaretti fi-niscono si nel gabinetto ma - in quello délia stazione centrale di Trieste, da dove poi le situazioni corniche e la pointe finale. Ecco la parte finale délia scena: 82) "I pudemo far kwa?" "Eh, a "Possiamo fare qui?" "Eh, è per zi par kwisto!" "E dove?" questo!" "E dove?" "Lei va di "Lei la va di li e Lei la va lï e Lei va di qua." "Ma noial- di kwa." "Ma nuyaltri i su- tri (ci) siamo sposati oggi; vor- neyn spuzadi ankuy; i vurà- remmo fare insieme." "Andate vono fa insembro." "Andè in- insieme ! " syeme!" la ge dey da triesti-na. Dopo aver sostato davanti alio specchio credono di essere "fatti" e tirano la catena ma, vedendo scorrere l'acqua, scappano temendo di annegare. La .scena finisce cosï: "E kwando i pudeyn turnà?" "E quando possiamo tornare?" 117 "Kwando k'i volé, fyoy" "No, "Quando volete, figlioli!" "No, no, par vídela." "I gave ti- no, per vederla." "Avete tirato ra la kadena?" "Sey." "A- la catena?" "Sí." "Allora non la lora i no la vedé piu!" vedete piú!" Nel dialogo interviene la eoppia che parla dignanese e la guardiana che parla triestino; solo all' inizio 1' informatore ha confuso un po' i codici, perché i bumbari domandano in un triestino colorato di dignanese (pudemo per podemo), il che puo riflettere l'uso effettivo (adeguamento al códice di prestigio superiore); la guardiana rísponde (la prima frase) in dignanese, il che dovrebbe essere sociolinguisticamente poco verosimile, ad-dirittura escluso. 15.2 In un'altra storiella, intitolata La kukéra ('II noce'), e precisamente nella seconda versione, raccontataci dallo stesso informatore nel 1963 e 23 registrata anche su nastro , intervengono il párroco Mitton (che naturalmente parla il veneto istriano) e il barba Andrea Masukéyn (che parla il dignanese). II passo bilingüe é questo: 83) Par kombinasyon a pasa al pa- Per combinazione passa il párroco riko Mitown de la. "Bon gorno, Mitton di la. "Buon giorno, barba barba Andrea!" "Oh, bon gorno, Andrea!" "Oh, buon giorno, signor syur pariko!" "Kosa fe?" párroco!" "Che cosa fate?" "Eh, "Eh, al varda, k'i kaveyn la guardi, (che) caviamo il noce." kukéra." "Peka!" "Eh, ku no "Peccato!" "Eh, se non rende!" la rendo!" "Ma. a se podaría "Ma si potrebbe fare un bel Cri- far un bel Kristo kon kwel le- sto con quel legno di noce." "Beño de noce." "Ben, i ge da- ne, Le daremo, che faccia (fare) reyn, ge daremo, k'al faga '1 il Cristo." Kreysto." 23 Per i brani presentí in piu d'una versione v. § 16. 118 I corrispondenti dignanesi delle frasi pronuncíate dal párroco sarebbero rispettivamente Bunjdey ('Buon giorno'), Ki i fi? ('Che cosa fate?'; la parola kosa non esiste nel dialetto) e A se pudaravo fa own bel Kreysto kon kwil lino de kuka ('Si potrebbe fare un bel Cristo con quel legno di noce'). Nell'ultima frase del barba Masukeyn la forma dignanese dareyn viene súbito "corretta" con quella veneta: anche in questo dettaglio si ha un esempio di adeguamento al códice sociolinguisticamente superiore. 15.3 Nell' aneddoto rovignese Un bon bru ka gira kwil il protagonista torna a casa ubriaco fradicio cantando in un idioma che risulta essere un miscuglio di rovignese (in cui e scritto il brano), di veneto istriano e di italiano letterario. 11 versetto, adattamento di una vecchia canzone popo-lare, suona: 84) "Gera di note, la lowna loče- "Era di notte, la luna luceva va e mi pareva ke fose diiii." e mi pareva che fosse di." (Avv. p. 90) Appartengono all'italiano letterario la preposizione ^Ji (di notte: ven. de note, rov. da nwoto), l'esito /č/ in loče va (di fronte a /z/ nel veneto o nel rovignese) e il sostituente átono _mi (ven. me, rov. ma). Al veneto e all'istroromanzo e comune la mancanZa totale delle gemínate (cons. lunghe); all'italiano e al veneto sono invece comuni la congiunzione ke (rov. ka) e il congiuntivo fos(s)e (rov. fwoso). Sono caratteristiche ro-vignesi il dittongo /ow/ in lowna e la /o/ in loče va. probabilmente una restituzione ipercorretta in base alia frequente corrispondenza tra la /u/ protonica in rovignese di fronte alia /o/ negli altri due idiomi (rov. duvi, pudi, vuñ. durmey. Tuneyn, furnyel - ven, dover, poder,- voler, dormir, Tonin. fornel - it. dovere ecc.). V In rovignese schietto 1'esempio 84) suonerebbe: Gira da nwoto, la lowna luziva e a ma pariva ka fwoso dey. 24 Deanovič 1954, pp. 90. 119 15.4 Nella prosa narrativa e nei bozzetti degli autori rovignesi attuali (G.Curto, G.Santin, A. e G. Pellizzer) compaiono parole o brevi frasi alloglotte, con evidente funzione pragmatica, stilistica ecc. : elementi tedeschi (nei bozzetti ambientati nel periodo austríaco) come fasteinzi? (= verstehen Sie?), rui! (= Ruhe!) ecc.; elementi croati, ad es. ma vraga ! 'macché!' (= croato ma vraga! negazione affettiva), ruzumi guospa 'la signora capisce?' (= razumije [] li J gospa?); latinismi ec-clesiastici deformati dal popolo: riequienatierna (= requiem aeternam), daparfoundi (= de profundis) ecc. 16 Un certo numero di brani è stato raccolto in due versioni: la prima versione e stata da noi trascritta a mano (nel corso delle ricerche a Dignano nel 1957, 1961, 1962), la seconda invece (nel 1963) è stata re- gistrata su nastro. Talvolta la seconda versione è più breve della prima e contiene anche, in diversa misura, un maggiore numero di venetismi. 25 Come abbiamo già rilevato in precedenza , questa e la conseguenza di-retta del diverso modo di registrazione: mentre il fonoregistratore consente ail' informatore di parlare con un ritmo spontaneo e di non badare a "come parla" (per cui gli sfuggono in maggior misura elementi del veneto istriano, che parla quotidianamente), il dettato esige un ritmo lento e lascia all' informatore il tempo di riflettere sulla sua lingua e di scegliere ció che gli pare più schietto. Ecco a proposito le due versioni dell' anneddoto Al manzo e al samèr 'II bue e l'asino', raccontateci dal Moscheni risp. nel 1961 e nel 1963. Data la semplicita della lingua e dello stile, possiamo rinunciare ormai alia traduzione italiana. 25 Tekavcic 1969, p. 280. 120 Versione del 1961: 85) Un kuntadèyn povero, no pudendo kumprase un per de manzi, al viva un manzo e un samèr k'al inzugava insembro. Una sira al manzo ge dey al samèr: "Vara k'i soyn stowfo da lavura, se. Duman i farè feynta da esi mala." E al samèr, pbvero, al no ge dey nente. Al indornan de miteyna a ven al buèr e '1 vido al manzo k'al zas. Al ge da owna pedada indal korpo, ma '1 manzo nu se liva. Alura dey al buèr: "La besča la duba sta po-ko ben. A zi mayo k'i la lasi a repoza." E kusey al taka al samèr sul e al va a fora. Ala sira ku turna indreyo al samèr, al manzo ge dumanda: "Komo va, fra?" "No ti se kumo k'a pol zey! S'i suîièyn in duy, i nde strakèyn dowti i duy. Pensa tey a sta povera besča k'i soyn meyo, da duvi lavura dow-to al dey par duy." "Bon" -a ge dey al manzo - "anke duman i starè in stala." "Bon -a ge dey al samèr - "fa kumo ke ti kridi. " Ala sira ku sto samèr turna, al manzo a turna Versione del 1963: Ind'una stala a se katava un manzo e un samèr. Natural ke in kwe-la volta le besče favelava. Al manzo ge dey al samèr: "Ti se k' i ye pensa: ke duman i no veni a lavura. No i véñi a lavura pyown meyo, parki i soyn strako." "Bon, bon, fa kwil ke ti voy" -a ge dey al samèr. Al indumàn a ven al buèr in stala e al vido stu manzo a zazi. Al dey: "Stu manzo ' 1 varo kwalko." Donka, low, ki el yo da fa, povero? Al čo al samèr sul e al va kul samèr fora. Al samèr ye ra strako ku'l lavurava in duy, e in kwil dey al yera pyown strako ankura. Ku'l ven a kaza la sira, al manzo ge dey: "Ben, kumo zi?" "Eh, oku-ro dumanda kumo zi! Strako i soyn." "Ah, me, mey, ti vidi ke rJ \ ben k'i stagi. Nanke duman i nu veni." "Fa kumo ke ti voy" -al turna a deyge. Al induman al manzo sta a zazi kumu yeri, e al kuntadèyn non lo čo, al no lo čo. E turna sto samèr povero dowto al dey sulo, čapa pake e mana po-ko, parkí ay sameri i ge dava sempro poko da mana. Ku'l turna 121 kumo ridendo a ge dumanda: "Ben, kumu zi anlàiy?" "Kumo yeri, fra, sulo k'i ye veysto al par on k'al favelava kol be-kèr." "Alura" - a ge dey al manzo - "duman a beña k'i ven' a la vu ra anke meyu!" it a kaza la sira, al manzo ge dey: "Ti vidi ke bela vita i fagi mey; kusèy, kusèy!" "Ma" - al ge dey - "ank' a mey me pyazaràvo kwila veyta, ma varda k'al paron favelava kol beker stasira." "Alura bizona k'i veni a lavu-ra anke mey," ti Nella versione del 1963 leggiamo kwela volta (anziché kwila volta). vita (al posto di veyta), non lo co (ma subito dopo no lo co). bizona (di fronte a beña nella prima versione) ecc. Il confronto delle versioni permette interessanti studi non solo di lingüistica testuale e di pragmatica, ma anche di folklore (esame dei motivi), dei procedimenti letterari ecc. Questo e, tuttavia, un argomento a sé, che esorbita dal limite del presente contributo; percio dobbiamo contentarci di constatare che certi fatti, ricordi, motivi ecc. ritornano in tutte le versioni e che di conseguenza costituiscono il patrimonio comune délia vita e delle tradizioni dei parlanti dei dialetti istroromanzi. 17 Come anticipato all'inizio, il nostro studio che qui presentiamo alla romanistica internazionale, è il primo tentativo di richiamare l'attenzione a tutto un complesso di problemi in un dominio lingüístico ricco di strati-ficazioni (sia storiche che sociolinguistiche) e di interferenze plurisecolari. Speriamo di aver inaugurato con questo un nuovo approccio ai nostri dialetti e di aver contribuito alla loro descrizione ed alla loro conoscenza. Se l'applicazione degli indirizzi contemporanei al dominio istroromanzo potra riuscire utile anche a questi indirizzi stessi e con cío alla lingüistica generale, il nostro scopo sara pienamente raggiunto. 122 BIBLIOGRAFIA: Deanovič 1954: M. Deanovič, Avviamento alio studio del dialetto di Rovigno d'Istria, Zagreb Durante 1981: M. Durante, Dal latino all'italiano moderno, saggio di storia lingüistica e culturale, Bologna Engel 1977: U. Engel, Syntax der deutschen Gegenwartssprache, Berlin Gruppo di Padova 1979: Gruppo di Padova, Aspetti dell'espressione délia causalità in italiano, in: Società di Lingüistica Italiana 13/11: La grammatica, aspetti teorici e didattici, Roma, pp. 325-365 Parisi-Antinucci 1977: D. Parisi - F. Antinucci, Elementi di grammatica. Torino Puglielli-Parisi 1974/75: A. Puglielli - D. Parisi, Awerbiali performa- tivi, "Studi di grammatica italiana" IV, pp. 157-172 Rohlfs 1968: G. 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Sažetak SUVREMENI LINGVISTIČKI PRAVCI I ISTROROMANSKI DIJALEKTI U današnje su vrijeme sve više u središtu pažnje one lingvističke discipline koje se mjesto sistemskih pitanja (langue) zanimaju za funkciju jezika u društvenoj komunikaciji (parole): pragmatika, sociolingvistika, tekstovna lingvistika. Za te su študije iz više razloga pogodno područje i sekundarni, sociolingvistički inferiorni idiomi, a takvi su upravo istroromanski govori. Spamenuti suvremeni lingvistički smjerovi nisu ih gotovo ni dotakli, pa je ovaj rad prvi pokušaj u tam smislu. Nakon pregleda morfosintaktičkih kategorija (što je nužna prethodna etapa) prelazi se na neka pragmalingvistička pitanja; to su deontički glagoli (na-ročito glagol 'morati', jer se u istroromanskim dijalektima prilično jasno 124 razlikuju izražajna sredstva za deontičko značenje u užem smislu /Petar mora mnogo raditi/ od sredstava za presumptivno značenje /Mora da je več kasno/); uzročne rečenice (unutar kojih se razlikuju "obične" uzročne rečenice, koje izriču uzrok onoga što kazuje glavna reč., i performativne uzročne rečenice, koje opravdavaju samo izricanje glavne reč.); tzv. performativni priloži (kojima je funkcionalno srodan i vjerojatnosni futur); različiti načini isticanja (topikalizacije) pojedinih rečeničnih konstituenata (u zavisnosti od afektivnih i/ili pragmatičkih faktora); struktura rečenica u periodu i perioda u tekstu; funkcija aloglotskih (tj. venetskih i/ili knjiž. talijanskih) elemenata u istroromanskim tekstovima; napokon, razlike koje se opažaju izmedu dvije ili više verzija nekih tekstova (prva verzija, ranija i pisana rukom, pokazuje čišči istroromanski dijalekt, jer ispitanik, diktirajuči tekst, govori polaganije i ima vremena razmišljati i birati; druga verzija, kasnija i snimljena na magnetofonsku vrpcu, sadrži katkada više venetizama, jer u magnetofon ispitanik može govoriti normalnim, spontanim tempom, pa mu promakne veči broj elemenata svakodnevna, tj. venetskoga istarskog dijalekta). 125 Breda Cigoj-Leben Ljubljana CDU 840.081 : 804.0 - 24 RENDEMENT STYLISTIQUE DE L'ELLIPSE DU PRONOM SUJET DANS LE "THESEE" D'ANDRE GIDE Répétition et non-répétition du pronom sujet dans la coordination en français moderne. Coordinations copulatives dans le Thésée de Gide. Juxtaposition. Ellipse du sujet et de l'auxiliaire. Propositions affirmatives et négatives coordonnées. Propositions a des temps et modes différents. Thésée, le dernier récit de Gide, projeté depuis 1931, ne fut achevé qu'en 1944. Il n'est pas vaste, une quarantaine de pages dans l'édition de la Pléiade. Mais la verve avec laquelle Gide, à l'âge de 75 ans, a su traiter et renouveler le vieux mythe est surprenante, surprenante aussi son habileté à utiliser des moyens stylistiques très variés pour accentuer des tons très divers qu'exigeait son sujet. Un de ces moyens stylistiques est l'ellipse du sujet dans des propositions coordonnées, quand ce sujet est commun à deux ou plusieurs verbes. D'après les règles de bon usage du français moderne, le sujet est répété au moyen du pronom personnel quand il y a, dans une phrase, plusieurs verbes qui ont un sujet commun et qui sont juxtaposés ou coordonnés par des conjonctions et, ou, ni, mais, etc. ; mais le sujet peut être exprimé une seule fois quand les propositions sont du même type. La répétition est donc obligatoire avec deux présentations différentes de l'idée: quand les verbes de la coordination sont à des temps ou modes différents, quand une proposition affirmative juxtaposée suit une proposition négative: J'allais sortir et je me suis aperçu ... ; Je vais m'en aller, mais je voudrais d'abord ... ; Je ne sors pas, je rentre1. La répétition est 1 Les exemples cités sont pris dans l'ouvrage d'Albert Dauzat, Grammaire raisonnée de la langue française, Lyon, IAC, 1947. p. 265. 127 obligatoire aussi quand il y a l'inversion du sujet. Elle n'est que facultative quand les verbes sont aux mêmes temps ou modes et quand une proposition négative suit une proposition affirmative: Il ouvrit la porte et il sortit ou II ouvrit la porte et sortit; Il était en colère, mais il ne répondait pas ou II était en colère, mais ne répondait pas; ^ 2 Elle écoute, elle entend, elle espère ou Elle écoute, entend, espère . Nous ajouterons que, dans les trois exemples cités qui concernent le sujet non-répété, la distance entre les verbes est brève, ils sont séparés tout au plus par un complément. Dans les cas ou les deux usages sont permis - la répétition et l'omission du sujet - le choix de l'un ou de l'autre confère à la phrase une nuance stylistique particulière. Quand on répète le sujet, l'on insiste sur la personne qui fait les actions; quand on omet la répétition, l'accent est sur les verbes et ce qui est mis en relief, c'est le lien étroit entre les actions; le second verbe exprime alors une action qui complète la ^ 3 première ou en est la suite naturelle, ou bien s'oppose à elle . Ferdinand Brunot dit excellemment: "Dans notre langue actuelle, il faut, pour ne point donner un sujet à un verbe, qu'il soit intimement lié â un autre, de telle façon que les diverses actions soient pour ainsi dire les 4 portions, les phases d'une action d'ensemble." * * * Dans une première série d'exemples tirés du Thésée de Gide, deux propositions sont coordonnées au moyen des conjonctions ou adverbes jst, 2 Exemples cités par A. Dauzat, op. cit., p. 266. 3 Cf. Grammaire Larousse du XX siecle, Paris, Larousse, 1936, pp. 181-182. 4 Ferdinand Brunot, La pensée et la langue, Paris, Masson et Cie, 1953, p. 279. 128 et même, puis, ou. Les deux verbes sont placés parfois assez près l'un de l'autre, dans d'autres cas ils sont séparés par plusieurs compléments ou propositions. Le temps et le mode sont les mêmes dans les deux propositions, leur forme est affirmative. Le rapprochement des deux verbes par l'ellipse du pronom sujet met en relief le lien logique ou affectif entre eux: le second renforce ou explique la signification de l'action qu'exprime le premier ou indique une action qui en est la conséquence: Minos sourit derechef et donna des ordres, en sorte qge les gardes n'emmenassent que mes compagnons. (1421) Ici, le premier verbe n'est suivi que d'un adverbe, la distance entre les deux verbes coordonnés est donc brève, l'ellipse du pronom sujet devant le second verbe le rapproche davantage du premier et montre qu'il est lié a lui par son sens: Minos, qui avait aperçu l'intérêt de sa fille pour Thésée, sourit avec bienveillance et par conséquent donna l'ordre de ne pas emmener Thésée. Voilà un exemple semblable où le premier verbe de la coordination n'est suivi que d'un complément d'objet, les deux verbes rapprochés au moyen g de l'ellipse du sujet sont apparentés par leur sens : Mais, dès qu'Ariane paraissait, je détournais les yeux et dissimulais de mon mieux ... (1440) 5 Les chiffres accompagnant chaque citation de Thésée correspondent aux pages du volume: André Gide, Romans, Récits et Soties. Oeuvres lyriques, Paris, Gallimard, "Bibliothèque de la Pléiade", 1969. 6 Pour saisir le sens complet des verbes de la coordination, il faut prendre en considération - dans le cas présent et ailleurs -non seulement ces verbes, mais aussi les compléments qui les accompagnent. 129 Dans le cas qui suit, la distance entre les deux verbes est un peu plus prononcée: Des brigands de tout poil recommençaient d'infester le pays et s'en donnaient à joie ... (1418-9) Le premier verbe est suivi d'un infinitif et de son complément d'objet direct. Le second verbe, devant lequel le sujet n'est pas répété, en complète le sens, indiquant l'atmosphère dans laquelle l'action s'accomplit. Il y a une pareille distance entre les verbes dans la phrase ou Thésée dit à Oedipe: Je reste enfant de cette terre et crois que l'homme ... doit faire jeu des cartes qu'il a. (1453) Dans ce cas-là le premier verbe est suivi d'un attribut accompagné d'un complément déterminatif. La distance entre les verbes n'est pas excessive et la sensation qu'ils sont unis par leur sens reste complète. Dans le cas qui suit, la distance est produite par un groupe adverbial qui précède le second verbe et fait l'effet d'une coupe. Il s'agit d'Oedipe qui parle à Thésée: Il se tut et, durant quelques instants, resta plongé dans une méditation profonde. (1451) Maigre cette coupe, le second verbe reste lié par son sens au premier, il accompagne son action, il en indique la fin immédiate: Oedipe se tut pour pouvoir méditer. Dans d'autres cas la distance entre les deux verbes est considérable, p. ex. : Pourtant Pirithoïïs se montra bientôt fort confus de cette dépravation passagère et promit de se racheter à ses propres yeux et aux miens par un excès de zèle. (1440) 130 Le premier verbe est suivi de trois groupes grammaticaux qui le séparent du second: un adverbe de temps (bientôt), un attribut du sujet (fort confus) et un complément de cet attribut (de cette dépravation passagère). Mais le second verbe est suivi, lui aussi, d'une série de compléments, ce qui garantit à la phrase un équilibre harmonieux. Un tel équilibre n'a pas seulement une valeur acoustique, mais aussi une valeur logique et affective. Il permet aux deux verbes, dont le second exprime une conséquence de l'action du premier, de rester liés malgré la distance. Le lien logique entre les verbes, quand il est renforcé par un tel parallélisme, est encore mieux visible dans le passage où Pasiphaë parle de son mari Minos: Il soutient qu'il faut d'abord avoir compris pour bien juger et pense qu'il ne sera bon juge qu'après qu'il aura tout éprouvé ... (1427) Chaque verbe de la coordination: H soutient ... et pense est suivi d'une proposition substantive (qu'il faut d'abord avoir compris ... qu'il ne sera bon juge que) qui englobe une proposition subordonnée du second degré, la première une proposition infinitive à valeur finale (pour bien juger), la seconde une proposition temporelle (après qu'il aura tout éprouvé). Il y a donc un parallélisme presque complet dans la construction des deux parties de la phrase. Les deux verbes des propositions principales ont un sens très proche et les deux propositions substantives expriment la même idée, la première d'une manière générale et impersonnelle, la seconde comme une conclusion appliquée à Minos. Une construction parallèle, on la rencontre aussi dans les deux propositions coordonnées d'une phrase qui décrit la scène entre Thésée et Ariane à l'entrée du labyrinthe. Il s'agit des pelotons que Dédale a remis à Thésée. C'est à propos de ces pelotons qu'entre Ariane et Thésée s'élève leur première dispute. Et Thésée explique: 131 Elle voulut que je lui remette, et prétendit garder en son giron lesdits pelotons ... (1438) Les deux verbes voulut ... et prétendit au sens très proche sont suivis chacun d'une proposition - complément d'objet dont la deuxieme est une proposition infinitive. Les verbes des deux propositions subordonnées ont le même objet (les pelotons) qui pourtant n'est pas exprimé dans la premiere. Il se produit ainsi, avant la conjonction qui lie les deux parties de la coordination, une espèce d'hiatus, une attente qui n'est satisfaite qu'à la fin de la seconde proposition qui amène finalement l'objet en question - les pelotons, cause de la discorde. La distance entre les verbes de la coordination est remarquable dans une phrase au début du récit; Thésée y explique comment Hippolyte, tout en étant fils du roi, s'en souciait peu: Mais Hippolyte s'en souciait peu; moins encore que je ne faisais à son âge et, comme moi dans ce temps, se passait fort commodément de le savoir. (1415) Les deux propositions principales: Hippolyte s'en souciait peu ... et ... se passait fort commodément de le savoir, sont séparées par une proposition subordonnée comparative qui dépend de la première principale (moins encore que je ne faisais à son âge) et une subordonnée où le verbe est omis, qui marque aussi un rapport de comparaison et qui dépend de la seconde proposition principale (comme moi dans son temps). Pour rendre cette distance plus visible, Gide a recours au point-virgule après la première principale. L'ellipse du sujet à une telle distance, après deux propositions subordonnées qui tendent à établir un rapport de comparaison entre deux sujets différents: je (Thésée) et il (Hippolyte), cet jl qui précisément n'est pas répété, invite le lecteur à faire un effort s'il veut saisir le fil du récit, et à revenir au début de la phrase pour retrouver le sujet. Si dans une construction où la succession des verbes est immédiate, cette proximité elle-même rappelle le lien logique ou affectif entre 132 eux, dans le cas présent, où la distance est considérable, cette distance sollicite le lecteur de chercher ce lien. La conjonction et peut être renforcée par même. Thésée parle de la légende qui s'est formée autour d'Ariane abandonnée à Naxos: Je me gardais de démentir ces bruits d'où je tirais un surcroît de prestige; et même renchérissais sur les racontars afin d'ancrer le peuple en des croyances ... (1445) La conjonction composée et même indique que l'action exprimée dans la première proposition (je me gardais de démentir) devient plus intense dans la seconde (renchérissais sur les racontars). La distance entre les deux verbes produite par l'intercalation d'une proposition infinitive de laquelle dépend une subordonnée locative est accentuée par l'emploi du point-virgule entre les deux groupes de propositions. Mais l'harmonie y est rétablie par un complément circonstanciel et une proposition infinitive à valeur finale qui complètent la seconde proposition coordonnée. La coupe entre les deux parties de la phrase et la construction équilibrée de ces deux parties servent à accentuer la gradation de l'action. Une impression semblable se dégage d'une coordination dont la seconde proposition est introduite par l'adverbe puis qui met en relief la distance temporelle entre les deux actions dont la première prépare la seconde: A mon retour en Crète, je m'entretins avec Minos de mes études et de mes voyages; puis lui fis part d'un projet que j'avais nourri ... (1432) Les coordinations traitées jusqu'ici sont copulatives. Mais voilà deux exemples intéressants où deux propositions subordonnées sont coordonnées entre elles au moyen de la conjonction disjonctive ou après laquelle le sujet n'est pas répété: Mais où que j'allasse ou demeurasse, je restais Grec. (1432) 133 ... je compris que la constance d'une amitié nous retient ou nous tire arrière. (1448) Dans les deux cas les verbes sont tres rapprochés, forment corps et indiquent deux altérnatives, deux possibilités dont l'une exclut l'autre. Dans le premier cas il s'agit de deux possibilités opposées, dans le deuxième de deux possibilités qui représentent deux degrés d'intensité de la même action. * * # A côté des propositions coordonnées qui sont liées au moyen de conjonctions, nous trouvons dans le récit sitions et, quand il y a plus de deux propositions coordonnées, des combinaisons des propositions juxtaposées avec celles liées à l'aide de conjonctions. La juxtaposition où le sujet n'est pas répété donne l'impression que les actions se succèdent avec un rythme serré. Voilà deux propositions principales juxtaposées dans une phrase où Thésée parle des vapeurs qui s'exhalent dans le labyrinthe: Elles procurent une ivresse pleine de charme et prodigue de flatteuses erreurs, invitent à certaine activité vaine le cerveau ... (1433) Après le très long et compliqué complément d'objet (une ivresse pleine de charme et prodigue de flatteuses humeurs) qui sépare les deux verbes, il y a une pause qui invite le lecteur à revenir à la signification de l'action qui précède et qui est reprise et précisée dans la seconde proposition de la coordination. Dans un autre passage trois propositions coordonnées, dont deux juxtaposées et la troisième introduite par et, expriment trois actions qui se suivent à brève distance: 134 ... je ceignis autour de mes reins cette écharpe, la passai entre mes cuisses et, la ramenant par devant, l'assujettis. (1424) Dans l'exemple qui suit, il y a trois propositions juxtaposées et une quatrième introduite par l'adverbe puis: Au débarqué, des gardes armés nous entourèrent, s'emparèrent de mon glaive et de celui de Pirithoïïs, s'assurèrent que nous ne portions point sur nous d'autres armes, puis nous emmenèrent pour comparaître devant le roi ... (1420) Les trois actions exprimées par les premiers trois verbes se succèdent rapidement, ce qui est souligné soit par l'emploi du passé simple soit par la non-répétition du sujet soit par l'absence de la conjonction; la dernière proposition introduite par l'adverbe puis qui indique une brève distance temporelle exprime une action en vue de laquelle toutes les précédentes ont été accomplies. Dans les coordinations examinées les verbes sont dans un temps simple. Mais dans le récit sont fréquents aussi des exemples où les verbes de la coordination sont dans un temps composé. Gide pratique alors, avec l'ellipse du sujet, l'ellipse de l'auxiliaire. Elle est possible, d'après le bon usage actuel, quand les verbes sont au même temps, au même mode et à la même forme (affirmative ou négative) ou quand le deuxième 7 est dans la forme negative construite au moyen de non . Voilà l'ellipse du pronom sujet et de l'auxiliaire dans une juxtaposition où Thésée parle de son ami Pirithoïïs: Il m'avait, au temps de ma jeunesse, accompagné partout, beaucoup aidé. (1448) 7 Cf. Maurice Grevisse, Le Bon usage, Gembloux-Paris, Duculot-Geuthner, 7e éd., 1961, p. 578. 135 Les deux verbes au plus-que-parfait sont proches par leur sens, leurs participes passés sont séparés par deux adverbes - partout, beaucoup -qui produisent une impression acoustique semblable, ce qui contribue à souligner le lien entre eux. Le pronom sujet et l'auxiliaire qui appartiennent à l'un et à l'autre participe sont placés au début de la phrase et séparés des participes par un complément circonstanciel assez long (au temps de ma jeunesse) qui se rapporte aux deux verbes. Tout cela sert à accentuer la parenté des deux actions et leur coïncidence dans le temps. Dans une autre juxtaposition où les verbes sont encore au plus-que-parfait, le premier verbe se trouve répété comme infinitif - complément du second verbe coordonné. Par ce jeu de mots l'action, exprimée dans la première proposition, est rectifiée, voire intensifiée dans la seconde: Jusqu'alors j'avais tout incliné, vu tous s'incliner devant moi. (1450) Dans une coordination de trois propositions dont les verbes sont au plus-que-parfait, deux sont juxtaposées et la troisième liée au moyen de la conjonction et: Il avait tenu tête au Sphinx; dressé l'Homme en face de l'énigme et osé l'opposer aux dieux. (1451) Il s'agit d'Oedipe et les trois verbes indiquent trois de ses actions méritoires qui sont de la même valeur. Nous trouvons une combinaison des propositions coordonnées où le sujet est répété et de celles où il ne l'est pas dans la longue phrase qui suit: ... je crois avoir rendu quelques notoires services; j'ai définitivement purgé la terre de maints tyrans, bandits et monstres; balayé certaines pistes aventureuses ... ; clarifié le ciel de manière que l'homme, au front moins courbé, appréhendât moins la surprise. (1417) 136 La première proposition dont le verbe est au présent est détachée des trois autres dont les verbes sont au passé composé. Cette coupure est produite par la répétition du pronom sujet devant le deuxième verbe, tandis que dans la troisième et la quatrième proposition il y a l'ellipse du sujet et de l'auxiliaire, ce qui les lie étroitement à la deuxième proposition. L'effet produit par cette construction est bien clair: dans la première proposition Thésée affirme ses mérites, les trois qui suivent servent à appuyer cette affirmation. Très intéressante est une phrase où deux propositions temporelles juxtaposées dépendent de trois propositions principales, elles aussi juxtaposées. Dans les trois propositions principales le verbe est au passé simple, le sujet n'est pas répété, dans les deux subordonnées le verbe est au passé antérieur, le sujet et l'auxiliaire ne sont pas répétés: Quand elle eut éventé ma ruse, découvert sa soeur sous le revêtement de Glaucos, elle mena grand raffut, poussa force cris rythmés, me traita de perfide ... (1444) Dans chacune des deux coordinations l'ellipse rapproche les actions des verbes voisins par leur sens: eut éventé - découvert; mena - me traita -poussa. * * * Toutes les coordinations traitées dans les paragraphes précédents sont affirmatives. Mais les exemples où les propositions à la forme affirmative et celles à la forme négative voisinent dans la même coordination, sans que le sujet soit répété, sont fréquents. Dans les cas où une proposition affirmative est suivie d'une négative dans laquelle il y a l'ellipse du sujet, la proposition négative complète le verbe de la proposition affirmative parce qu'elle nie l'existence d'un fait qui serait opposé à cette affirmation. Thésée parle de Pirithoüs: 137 Il m'engageait à me soucier de Phedre davantage et, sur ce point du moins, n'avait pas tort. (1448) Ici aussi, comme Gide aime le faire, les deux propositions sont séparées par plusieurs compléments. Dans une autre coordination avec et - ... je m'en fus visiter des pays lointains, me mettre à l'école de savants étrangers, et ne les quittai point qu'ils eussent encore à m'apprendre. (1432) - le verbe de la premiere proposition (je m'en fus) est complété par deux propositions infinitives juxtaposées. La seconde proposition de la coordination qui est négative (ne les quittai point) ne complète la première que par rapport à sa deuxième proposition infinitive (me mettre à l'école des savants étrangers). Voilà une construction assez compliquée où nous rencontrons la conjonction adversative mais : Puis, joignant l'exemple aux paroles, je me démis aussitôt de toute autorité royale, rentrai dans le rang, ne craignis pas de me montrer sans escorte aux yeux de tous et comme un simple citoyen; mais m'occupai sans relâche de la chose publique, assurant la concorde, veillant à l'ordre de l'Etat. (1446) Les verbes des trois propositions juxtaposées dont la troisième est négative expriment trois actions successives, presque contemporaines. Le sens de ces verbes est assez proche, car le troisième nie l'existence d'une action qui pourrait anéantir les deux précédentes. La quatrième proposition introduite par mais indique une action qui d'habitude ne va pas de pair avec les trois précédentes. Voilà encore une phrase de Thésée où il décrit l'aspect physique de Dédale: Il est de très haute stature, non courbé malgré son grand âge; porte une barbe plus longue encore que celle de Minos ... (1430) 138 Le sujet et le verbe copule de la première proposition (il est de très haute stature) ne peuvent pas être répétés devant la négation non dans non courbé malgré son âge. Deux particularités qui concernent la stature de Dédale sont ainsi énumérées dans une succession très étroite. L'indication de la troisième particularité physique de Dédale, sa longue barbe, se trouve un peu détachée des deux précédentes: il y a bien dans la troisième proposition juxtaposée l'ellipse du sujet, tandis que le verbe est exprimé. Dans les coordinations où la premiere proposition est négative, la seconde, qui est affirmative indique une conséquence logique provenant de la négation de la première action. Phèdre dit à Thésée: Je n'ignore pas ce qui vous amène ici et tiens à prévenir une erreur. (1426) Plus compliquée est la phrase suivante prononcée par Thésée: Mais, bien que Grec, je ne me sens aucunement porté vers ceux de mon sexe, si jeunes et charmants qu'ils puissent être, et diffère en cela d'Hercule ... (1441) Dans cette phrase les deux verbes (je ne me sens aucunement - diffère) sont séparés l'un de l'autre par un long attribut (porté vers ceux de mon sexe) et par une assez vaste proposition concessive (si jeunes et charmants qu'ils puissent être). Après la coupure produite par cette intercalation, le verbe diffère met en relief la particularité de Thésée, indiquée en forme négative déjà dans la première proposition. Dans une autre longue phrase l'équilibre est établi entre les deux parties. Thésée parle de sa conviction que les cendres d'Oedipe porteront la bénédiction au sol où il reposera: Je n'ajoutai point que ce qui m'importait c'est que ce sol fut celui de l'Attique, et me félicitai que les dieux aient su faire aboutir Thèbes a moi. (1453) 139 Chacune des deux propositions coordonnées, l'une négative, l'autre positive (Je n'ajoutai point - et me félicitai) est suivie d'une subordonnée substantive qui est, à son tour, complétée par une proposition substantive du second degré - dans la dernière subordination c'est une proposition infinitive. Le rapport entre les verbes des propositions principales exprime moins la conséquence que l'opposition, on remplacerait aisément la conjonction et par mais. Plusieurs fois on rencontre dans le récit de Gide la locution restrictive ne.. .que, soit dans la première soit dans la seconde proposition de la coordination où le sujet n'est pas répété. Elle porte sur un complément de la respective proposition. Je plongeai, dûment entraîné, profondément, et ne reparus à la surface qu'après avoir sorti de l'escarcelle une agate onyx et deux chrysoprases. (1424) Je sais bien que tout passe; mais ne m'occupe que du présent. (1429) Dans les deux exemples cités, les conjonctions de la coordination sont une fois et, l'autre fois mais. La locution de restriction porte dans les deux cas sur un complément de la seconde proposition, dans notre premier cas sur une proposition infinitive temporelle, dans le second sur un complément d'objet. Dans les deux cas, il y a entre les verbes coordonnés une distance prononcée, produite par plusieurs compléments du verbe de la première proposition. Dans une autre coordination avec mais, la locution restrictive se trouve dans la première proposition. Thésée parle du peu de poids que ses amours ont eu dans sa vie: Celles-ci n'ont du reste eu d'importance que dans la première partie de ma vie; mais m'ont appris du moins à me connaître ... (1415) 140 L'ellipse du sujet après la conjonction adversative renforce l'impression que malgré la restriction exprimée dans la première proposition quelque chose subsiste. * * * Dans les exemples examinés jusqu'ici les verbes des propositions coordonnées sont à des temps et modes identiques, ce qui est, selon les règles du français contemporain, une condition fondamentale de la non-répétition du pronom sujet. Mais Gide omet parfois le pronom sujet dans la deuxième proposition quand le temps de son verbe est différent de celui qui précède: Nous abordâmes, un matin de mars, à Amnisos, petite bourgade qui sert de port à la proche Cnossos, ville capitale de l'île où Minos réside et a fait édifier son palais. (1420) C'est la dernière partie de la phrase qui nous intéresse: ... ou Minos réside et a fait édifier son palais. Il s'agit de deux propositions locatives mais coordonnées entre elles. Les deux verbes sont à deux temps différents, le présent et le passé composé Ces deux temps ont pourtant entre eux un lien, le passé composé indique une action passée dont l'effet se prolonge au présent. Contrairement à la plupart des coordinations citées dans les paragraphes précédents où l'auteur a eu la tendance à intercaler entre les verbes des compléments ou des propositions entières, il rapproche ici les deux verbes, car il renonce à l'inversion simple, normale dans les propositions locatives, rejetant ainsi le premier verbe à la fin de la proposition. Grâce à ce procédé, les deux verbes se trouvent immédiatement avant et après la conjonction_et, ce qui met en relief leur lien intime. La même combinaison du passé composé et du présent se trouve dans une coordination dont la première proposition est négative et la seconde contient 141 la location de restriction ne... que. Je n'ai jamais aimé la demeure ... et ne songe qu'a passer outre dès que ternit la nouveauté. (1429) La proposition à valeur restrictive complète le sens de l'action négative indiquée dans la premiere proposition; naturellement, l'ellipse du sujet renforce ce lien. Le rapport temporel: passé composé - présent indique que l'attitude du personnage demeure dans le présent telle qu'elle était dans le passé. La distance temporelle est encore plus accentuée dans la phrase suivante où nous rencontrons le plus-que-parfait et le présent et ou une proposition négative est suivie d'une proposition affirmative. Ariane affirme que Thésée lui a fait des promesses, mais lui commente: Je n'avais rien promis du tout et tiens surtout à rester libre. (1429) Malgré la distance temporelle, il y a un lien entre les deux actions qui est accentué par l'ellipse du second sujet: l'action du verbe au plus-que-parfait est motivée par le verbe au présent qui exprime une attitude constante de Thésée - s'il n'avait rien promis, c'est qu'il tenait, qu'il tient depuis toujours à rester libre. Voilà une autre phrase où le premier verbe est à l'imparfait, voix passive, le second au présent: J'étais surpris par tous les sens et ne puis dire combien les Crétois me paraissaient étrangers. (1422) Le rapport causal entre les deux verbes est bien visible, celui au présent ^ v 8 étant la conséquence de celui à l'imparfait . e 8 Cf. Ferdinand Brunot: "Le rapport de cause est, dans le langage, intimement lié au rapport de suite dans le temps. Un fait qui s'est développé après un autre apparaît comme le résultat de cet autre" (op. cit., p. 812). 142 Plus problématique est une phrase où le premier verbe est au futur, le second, après l'ellipse du sujet, au présent: Je saurai faire respecter les lois; me faire respecter, sinon craindre, et prétends que l'on puisse dire ... (1446) On peut justifier l'emploi de ces deux temps par le fait que le verbe prétendre exprime un acte de volonté, qu'il est donc orienté vers le futur. La distance temporelle entre les deux verbes est adoucie par trois propositions infinitives qui dépendent du premier verbe et le séparent du second. Deux temps différents sont employés aussi dans une coordination adversative: Quant à moi je le suivais à peine, déconcerté par trop de nouveauté; mais ne laissai pas d'être surpris par la souplesse ... des acrobates ... (1423) Le verbe à l'imparfait exprime une action prolongée (je le suivais à peine) , qui est partiellement niée dans la seconde proposition (mais ne laissai d'être surpris) dont le verbe au passé simple indique une réaction qui n'est que de brève durée. Il faut noter le parallélisme des compléments qui suivent chaque verbe: déconcerté par trop de nouveauté - surpris par la souplesse des acrobates. Deux modes différents sont employés dans une coordination adversative où la conjonction employée est toutefois : ... on devrait savoir ... que Minos ne tient à l'ordinaire aucun compte des rangs sociaux, grades ou hiérarchies; toutefois se sentirait, certes, flatté lorsqu'un prince éminent comme toi voudrait bien s'intéresser à son fils. (1441) Il s'agit de deux propositions substantives mais coordonnées et qui sont en forte opposition. Cette opposition est mise en valeur par plusieurs procédés: emploi de la conjonction toutefois, plus rare et plus expressive 143 que la conjonction mais; contraste dans la forme des deux propositions: la seconde affirme ce que la première nie; omission du pronom sujet qui rapproche les deux verbes; emploi de deux modes différents dont le second, le conditionnel, admet le doute sur la réalité de l'action qui est opposée à celle exprimée par le premier verbe, mais ce doute est aussitôt effacé par l'adverbe certes; emploi du point-virgule qui marque l'opposition d'une manière plus nette que la simple virgule. * # * Ordinairement l'ellipse du pronom sujet produit ses effets au sein d'une phrase. Mais il arrive aussi que ces effets se répetènt d'une phrase à l'autre, à travers un passage entier. Prenons comme exemple le passage où Pasiphaë essaie de séduire Thésée et de le faire désister de son projet de tuer Minotaure. Dans cette double intention elle prononce, séparées par un discours narratif de Thésée, deux phrases, l'une se rapportant à elle-même, l'autre à Minotaure. Leur construction est strictement parallèle: deux fois nous avons la coordination copulative avec et; deux fois les deux propositions coordonnées sont négatives, deux fois la seconde proposition renforce le sens de la première: Je ne suis pas ce que vous croyez et n'en veux nullement à votre personne ... (1426) Je ne sais ce qu'on a pu vous raconter de lui et ne tiens pas à le savoir. (1427) Voilà encore l'alinéa ou Thésée raconte combien il a peiné avant de faire sortir ses compagnons du labyrinthe. L'ellipse du sujet dans les coordinations y apparaît non moins de sept fois: Lorsque je fis mine de les emmener, ils protestèrent qu'ils étaient fort bien là et ne songeaient nullement a partir. J'insistai, dis que je leur apportais la délivrance. "La délivrance de quoi?" s'écrièrent-ils; et, ligués soudain 144 contre moi, m'injurièrent. Je m'attristais grandement, à cause de Pirithoïïs. Il me reconnaissait à peine, reniait la vertu, se rigolait de sa propre valeur et proclamait sans vergogne qu'il ne consentirait a quitter le bien-etrë présent pour toute la gloire du monde. Je ne pouvais cependant lui en vouloir, sachant trop que, sans la précaution de Dédale, j'aurais sombré de même, fait "chorus avec lui, avec eux. (1440) Nous y rencontrons d'abord trois coordinations dont chacune comprend deux propositions. Dans la prèmiere de ces coordinations deux propositions subordonnées substantives sont coordonnées: qu'ils étaient fort bien là et ne songeaient nullement à partir. La seconde proposition qui est négative indique une conséquence de la première. Dans la deuxième coordination (J'insistai, dis ... ), la deuxième action suit immédiatement la première ou plutôt s'insère en elle. Dans la troisième coordination (s'écrièrent-ils; et ... m'injurièrent) il y a l'inversion du sujet dans la première proposition; une telle différence dans la construction des deux propositions exige normalement la répétition du sujet. Omettant la répétition, Gide souligne la parenté entre les deux actions. L'effet de cet écart grammatical est adouci par l'insertion d'un long complément participial entre les deux verbes (ligués soudain contre moi). Suit la description du comportement de Pirithoiis, quatre propositions coordonnées exprimant quatre actions qui se suivent immédiatement ou s'entremêlent:. Il me reconnaissait à peine, reniait la vertu, se rigolait de sa propre valeur et proclamait sans vergogne ... Le sujet commun n'est exprimé que dans la première proposition. L'identité logique de deux actions est exprimée dans la dernière phrase où Thésée fait des suppositions sur son propre comportement probable et où il y a la non-répétition du pronom sujet et de l'auxiliaire dans le conditionnel passé: ... j'aurais sombré de même, fait chorus avec lui, avec eux. * •#■ * 145 Le très grand nombre de coordinations où le pronom sujet n'est pas répété montre la, tendance de l'auteur de Thésée de mettre l'accent sur le verbe, sur l'action. Il en résulte un style dynamique, mais aussi un style serré, car l'ellipse du pronom sujet met en relief d'une manière synthétique les liens logiques ou affectifs entre les verbes, insistant souvent sur des nuances très subtiles de l'action. Cette union entre les verbes est produite par deux procédés très différents, voire opposés: l'abolition, au moyen de l'ellipse du sujet, de la distance entre les verbes, proches déjà par leur position dans la phrase - l'établissement de la distance entre les verbes au moyen des compléments ou des phrases intercalés, l'ellipse du sujet produisant ainsi un arrêt, une pause de réfléxion qui invite le lecteur a revenir au premier verbe et à chercher son lien avec les suivants. Les effets stylistiques sont encore plus forts lorsque le pronom sujet est omis dans des situations grammaticales où le bon usage du français moderne demande sa répétition, notamment avec des verbes à des temps ou modes différents ou quand il y a l'inversion du sujet. la liberté que Gide se permet dans de tels cas a ses racines dans sa bonne connaissance du français classique, dans son admiration des auteurs classiques. Le pronom sujet était très souvent absent en ancien français où les terminaisons verbales, étant sonores, indiquaient suffisamment les 9 e personnes grammaticales . Il était encore fréquémment omis au XV et G \ 6 , * ^ XVI siecles.Le XVII siècle conservait la facilité de ne pas repéter le sujet dans certains cas où aujourd'hui la répétition est normale, p. ex. quand il s'agit des temps différents dans la coordination10. Ferdinand 9 Cf. Maurice Grevisse, op. cit., pp. 164 et 402, et Lucien Foulet, Petite syntaxe de l'ancien français, Paris, Honoré Champion, 1930, pp. 196-198. Foulet montre que l'absence du pronom sujet dans les propositions principales est très fréquénte en ancien français parce que l'inversion du sujet qui entraîne facilement son omission est "le grand fait qui domine la construction médiévale" (op. cit., p. 307, pp. 313-314). 10 Maurice Grevisse, op. cit., p. 164, allègue l'exemple suivant: J'ignore tout le reste. Et venais vous conter ce désordre funeste (Racine, Athalie, II, 2). 146 Brunot dit à propos des auteurs modernes qui omettent la répétition du sujet dans de tels cas: "Ces cas, assez rares d'ailleurs, ne sont que des archaïsmes ou des fantaisies"^. On peut parler, à propos de Thésée, des archaïsmes, sans doute, peut-être aussi des fantaisies, mais fantaisies heureuses qui lui confèrent un style mouvementé, aisé et riche en nuances; ce style qui a permis au Gide vieillissant de faire jaillir dans son dernier récit son intarissable humour, son immense amour de la vie et aussi sa résignation aux approches de la mort. Povzetek STILISTIČNA UČINKOVITOST IZPUSTA PRONOMINALNEGA SUBJEKTA V GIDOVI PRIPOVEDI "TEZEJ" V svoji zadnji pripovedi Teze j (1944) uporablja André Gide poleg drugih stilističnih sredstev tudi izpust pronominalnega subjekta v priredjih, kjer je ta skupen več glagolom. Subjekt je tedaj izražen v obliki samostalnika ali osebnega zaimka v prvem stavku priredja, v ostalih pa se ne ponavlja kot osebni zaimek. Gide pogosto izpušča subjekt v skladu z normirano rabo moderne francoščine, včasih pa tudi na zelo samosvoj način, zlasti kadar so glagoli priredja v različnih časih in naklonih, ali kadar sta povezana nikalni in trdilni stavek, ali kadar je v prvem stavku besedni red osebka in glagola obrnjen. Pogosten in celo nenavaden izpust subjekta v priredjih daje poseben poudarek glagolom in njihovi medsebojni povezavi. Zato se Gidov slog v pripovedi Tezej odlikuje po razgibanosti, zgoščenosti in bogastvu logičnih in čustvenih odtenkov. 11 Ferdinand Brunot, op. cit., p. 280. Brunot y cite une phrase de Flaubert: Son père ... écrivit, en fournissant les explications les plus précises, et terminait sa lettre par une badinerie. 147 Irena Lipovec Izola CDU 805.0 - 282 APPROCCIO AI LEGA MI PREPOSIZIONALI TRA IL VERBO E IL SOSTANTIVO IN ITALIANO 1. INTRODUZIONE 1.1 Uno dei problemi principali nell'apprendimento della lingua italiana e uso delle preposizioni nei diversi legami tra il verbo e il sostantivo. I grammatici hanno cercato di mettervi ordine classificandoli nei vari sistemi e in vari modi, sia dal punto di vista fórmale sia semántico; pariendo dall'elemento verbale (inserendo questi legami nell'ámbito della reggenza o della valenza verbale), o nomínale (creando un ampio sistema di complementi), o dalla preposizione. Sarebbe, pero, poco ragionévole aspettarsi che ci si possa ricordare di tutto un elenco di singoli verbi e delle preposizioni con cui formano dei legami; oppure che si possa tenere nella mente un catalogo di vari complementi di cui ciascuno puo formare dei legami diversi mediante le preposizioni; o che qualcuno sia capace di ricordarsi di tutti gli esempi dell'uso di una singóla preposizione^. Ai fini dell'apprendimento si dovrebbe dunque tentare di trovare una spie-gazione e una classificazione dei legami preposizionali entro un numero 1 Dice a questo proposito Bernard Pottier nella sua Lingüistica moderna y filología hispánica (Madrid, 1968): "El lingüista no debe perderse en el laberinto de las sutilezas semánticas; ha de remontar de la diversidad aparentemente irracional de los empleos del discurso hasta la unidad de las condiciones mínimas que permiten esta diferenciación consecutiva. Poco razonable es pensar que cada uno de nosotros disponga, en su mente, de un catálogo de cuarenta o cincuenta ejemplos del empleo de la preposición a." (pp. 22-23) 149 limitato e semplicé di categorie linguistiche, che permetterebbero di 2 comprendere un massimo numero di casi con il mínimo sforzo . 1.2 Anche dopo anni di studio uno degli sbagli piu frequenti che i discenti di lingua madre slovena commettono parlando italiano rimane 3 proprio la scelta delle preposizioni . I discenti non hanno problemi nell'imparare l'uso logico-sintattico o semántico di una parola come per es. casa o albero. Prima di tutto perché tali parole sono iconicamente evocative per il discente. Questi non avra problemi con altre parole o legami sematicamente pieni, anche se piu astratti, basta che richiamino alia mente una serie di esperienze in gran parte comuni nelle due lingue. La funzione di queste parole o legami e chiara, esse hanno una certa autonomía non solo semantica ma anche sintattica e di solito non hanno bisogno di ulteriori determinazioni. Quando invece si tratta di apprendere l'uso delle preposizioni nei' legami di dipendenza, il discente si imbatte in numeróse difficolta. Qui non si tratta piu di entita autonome, ma di parole che da solé non hanno un' au~ 4 tonomia sintattica o semantica . 2 Cf. B. Pottier, ' op. cit., p. 143. 3 Cf, Katerin Katerinov: L'analisi contrastiva e l'analisi degli error i di lingua applicate all'insegnamento dell' italiano a stra-nieri, Rassegna Italiana di Lingüistica applicata (RILA), VII/2-3, 1975, p. 44. 4 Cf. Jacques Wittwer: Contribution a une psychopédagogie de l'analyse grammaticale. Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, 1964, trad. it. Psicopedagogia dell'analisi grammaticale, Roma, Armando A., 1971. 150 2. TEORIE SULL'USO DELLE PREPOSIZIONI 2.1 Intorno al problema dell'uso delle preposizioni si sono sviluppate diverse teorie piu o meno adottabili nella pratica dell' insegnamento. Nonostante le diversita, tutte potrebbero essere classificate in tre gruppi fondamentali. 2.1.1 La maggioranza degli studi sui legami preposizionali parte dal presupposto che sia 1'elemento nomínale quello che stabilisce la scelta della preposizione. Basta esaminare alcune grammatiche per rendersi conto dell'ampio spazio che viene dedicato ai cosiddetti complementi. Gli autori ne esaminano un'infinita e vi indicano i legami con diverse preposizioni. Quest'approccio, comunque, ha una validita pratica mínima per il discente, perche vi manca un filo logico. Di coseguenza al di-scente non resta che imparare i diversi legami a memoria, considerando tutte le possibilita dei 30 o piu complementi, ciascuno dei quali puo essere combinato con varié preposizioni^. Dall'altra parte quest'approccio non e rigorosamente fondato sulla realtá lingüistica. Esaminando i vari legami preposizionali ci si accorge che solo in alcuni casi 1'elemento nomínale veramente regge la preposizione. Questo tipo di legame potrebbe essere gráficamente rappreg sentato cosí: SV-Prep ■*— SN per es.: studio a scuola / nel giardino / con un amico / a memoria. 2.1.2 Nella maggioranza dei casi la scelta delle preposizioni e dovuta sia all' elemento verbale che a quello nomínale e si potrebbe gráficamente 5 Cf. il capitolo sui complementi nella grammatica di Battaglia e Pernicone: La grammatica italiana. Torino, Loescher, 1951; ed. del 1971. 6 SV = sintagma verbale, SN = sintagma nomínale, Prep = preposizione, -- legame tra, -► regge. 151 rappresentare cosí: SV —► Prep <— SN, per es.: vado al cinema/ sulla collina /.per il prato / dalla nonna / a piedi; pero: vengo dal cinema / dalla collina. 2.1.3 Nel terzo tipo di legami preposizionali tra il verbo e il sostantivo la preposizione e strettamente legata al verbo. Questo rapporto potrebbe essere rappresentato cosí: SV —Prep-SN, per es.: pensó sempre a questa cosa, ma: che cosa pensi di questa facenda? La scelta della preposizione dipende in questi casi esclusivamente dal verbo, del quale essa e una parte integrante e di cui spesso modifica il significato. 7 In base a questo tipo di legame preposizionale molti studi partono dal valore semántico del verbo. Comunque anche il loro valore pratico per il discente e piuttosto limitato all'uso referenziale, in quanto il numero dei verbi I quasi illimitato e ci si trova in questo modo davanti ad una 8 lista interminabile di verbi e di rapporti . 2.2 Un5 attenzione sempre maggiore viene rivolta alie preposizioni, che sono 1'único elemento del legame, il cui numero e limitato. In base ad esse si cerca di stabilire una classificazione lógica e sistemática dei legami preposizionali. Di solito vengono tratte in considerazione solo preposizioni proprie e non quelle che potrebbero essere úsate anche in- 9 dipendentemente come awerbi . 7 Cosi per es. : M. Gross: Grammaire transformationeile du français. Syntaxe du verbe, Paris, 1968; G. Heibig, W. Schenkel: Wörterbuch zur Vàlenz und Distribution deutscher Verben. Leipzig, 1969; G. Guillaume: Temps et verbe in Langage et science du langage. Paris, 1929; C. Boer: Essai sur la Syntaxe Moderne de la Préposition en Francais et en Italien, Paris, 1926. 8 Come per es. il Wörterbuch zur Valenz und Distribution deutscher Verben, citato sopra. 9 Cf. Giacomo Devoto: Preposizioni in Lingua Nostra II, 1940-XVIII, pp. 104-111. 152 2.2.1 Anche sulle preposizioni le opinioni sono divise. Sulla scia di Ullmann10 alcuni studiosi affermano che le preposizioni non hanno alcun valore semántico autonomo. Per quanto riguarda il significato esse sa-rebbero completamente o in gran parte vuote. Fungono sol tanto da colle-gamento o indicatore di funzione sintattica tra gli elementi. Una variante modificata di questa teoria ritiene che le preposizioni acquistano un certo valore semántico dalla parola reggente o dall'intero legame^. 12 2.2.2 Altri credono che le preposizioni abbiano un qualche valore semántico, oppure che ne abbiano piu di uno, a volte addirittura diametralmente opposti, come per es. la preposizione da: vengo da Roma, vado dall'amico. Le apparenti illogicitk vengono spiegate dalla diacronia. 13 2.2.3 I linguisti italiani intorno a Castelfranchi, Parisi e Crisari cercano di dimostrare che le preposizioni hanno un solo significato di 10 S. Ullmann: Principies of semantics, Glásgow, 1957, trad. it. La semantica. Bologna, 1962. 11 Cf. Emidio De Felice: La preposizione italiana 'a' in Studi di filología italiana, XII, 1954, pp. 245-296, id.: Contributo alia storia della preposizione'da' in Studi di filología italiana XVI e XVIII, 1958, 1960, pp. 169-317. 12 Cf. Karl Ettmayer: Analytische Syntax der Französischer Sprache, Halle (Saale), Max Niemeyer Vlg., 1930, pp. 673, 968-969, 679, 965, 977-978; Moritz Regula: Grundlegungen und Grundprobleme der Syntax, Heidelberg, Carl Winters Universitätsbuchhandlung 1931, p. 102. 13 C. Castelfranchi, D. Parisi, M. Crisari: Le preposizioni semplici italiane: un approccio semántico in Grammatica trasformazionale italiana. Roma, Bulzoni, 1971; D. Parisi, C. Castelfranchi: Un 'di': analisi di una preposizione italiana in RILA, 1973. 153 base e che sono dunque semánticamente piene. Inoltre cercano ci classi- ficare i legami preposizionali in base a questi significati fondamentali. 14 Il valore pratico di tali tentativi va ancora verificato . 3. LE CARATTERE3TICHE IMMANENTI DEGLI ELEMENTI DEL LEGAME PREPOSIZ ION ALE E LA LORO INTERAZIONE 3.1 A nostro awiso nei legami preposizionali si tratta di un'inter-azione reciproca degli elementi tale da formare un valore semántico nuovo, che non è soltanto la somma dei singoli significati. Ciascun elemento, il verbo, il sostantivo e la preposizione, conferisce a questo nuovo valore semántico una qualità propria, ciascuno a modo proprio. 3.2.1 La caratteristica immanente del verbo, essenziale per il legame - a parte la transitività, che non esige un legame preposizionale - è il movimento. Come la transitività anche questa caratteristica è definita positivamente o negativamente, eioè come movimento o non-movimento. Con movimento non intendiamo soltanto lo spostamento locale (per es.: E' tornato in albergo) o temporale (Il dibattito è stato rinviato al 26 dicembre) del soggetto, ma il movimento impliciti nell'a-zione stessa. Per es. nella frase Una serie di rapporti è stata inviata ai magistrati è il verbo inviare stesso, quello che implica un movimento esterno dalla parte del soggetto verso l'oggetto, mentre nella frase La donna si e completamente dedicata alla professione il verbo implica un movimento interno, non físico ma mentale. 14 Questa tesi è sostenuta in parte anche da Pottier nell' opera citata, secondo il quale tutte le preposizioni non possono avere che tre significati fondamentali: il significato spaziale e temporale, che rientrerebbero nel cosidetto "universo dimensionale" (p. 145), e il significato figurato o nozionale. Cosí i due valori semantici fondamentali délia preposizione a, per es., sarebbero "il movimento verso" e "la coincidenza" (p. 23). Secondo Pottier tutti gli altri valori non sono che variazioni combinatorie risultanti dal contesto (p. 147). 154 3.2.2 II sostantivo stabilisce all'azione del verbo il limite dal quale, fino al quale o entro il quale essa si svolge. Esso indica di quali relazioni si tratta: oggettive (Vengo da mia zia), 1 o -cali (E' scappato dal carcere), temporali (Abita in quell'albergo dal dicembre scorso), o m o d a 1 i (Egli usci, soffo-cando dall'ira). A nostro awiso tutti i tipi di legami preposizionali possono essere definiti con queste quattro catégorie. Ogni categoria comprende inoltre diversi sottovalori, definiti soprattutto dall'uso delle pre-posizioni. Nella frase Do il libro a Marco per es., il limite è rap-presentato come raggiunto con un sottovalore di interesse dalla parte del soggetto, nella frase Li hanno accompagnati in questura la scelta di preposizione _in sottolinea il valore di "dentro" e viene dunque richiesta da sostantivi che indicano un luogo chiuso, circondato, mentre nella frase Qualcosa è caduto sul pavimento si sottolinea la superficie. II sostantivo, dunque, limita l'azione del verbo ad un campo definito. 3.2.3 La preposizione indica il tipo del rapporto: la tendenza verso un limite (Devo andaré da Cario), la provenienza da un limite (Era un problema perfino scendere dal treno), o il movimento o non-movimento senza riguardo al punto di partenza o al punto di arrivo dell'azione, cioe la coincidenza dell'azione con il limite, in quanto questa non sia già indicata dal valore semántico del verbo stesso (per es. : Si poteva entrare dalla finestra). La scelta della preposizione, dunque, non dipende esclusivamente dal valore semántico del verbo o del sostantivo, ma dal valore semántico e sintattico dell'intero legame. 4. I TIPI FONDAMENTALI DEI LEGAMI PREPOSIZIONALI 4.1 Quanto al verbo possiamo dividere i legami preposizionali in due tipi fondamentali, a seconda che il verbo implichi movimento o non- 155 movimento. Nel primo caso possiamo distinguere tra tre ulteriori tipi di rapporti: tendenza, proven ienza o coincide n z a dell'azione rispetto al limite. Quando si tratta di non-movimento, 1'único rapporta tra il verbo e il sostantivo puo essere quello di c oincidenza. Questo tipo di rapporta è stabilito soprattutto dalla preposizione oltre che dal valore semántico dell'elemento verbale o nominale. 4.2 Ü limite viene espresso mediante 1'elemento nominale. Questo puo essere oggettivo quando il limite è l'oggetto (diretto o indi-retto, d'argomento, partitivo, ecc.) dell'azione; locale quando 1'elemento nominale indica il punto, la linea, o lo spazio verso il quale, dal quale, o nei limiti del quale si svolge 1' azione; temporale quando il limite rappresenta il margine del tempo fino al quale, dal quale o entro il quale si svolge l'azione; modale quando 1'elemento nominale esprime il modo in cui viene limitata l'azione. Modale qui viene inteso nel senso più largo, sia come il modo vero e proprio, sia come strumento, causa, fine, qualità, quantità, circostanza ecc. 4.3 In un determinato tipo di rapporta si nota l'uso di preposizioni diverse. E' evidente che il loro uso non è arbitrario, nemmeno l'uso delle preposizioni che sono semánticamente molto simili, per esempio di_e da nei rapporti di provenienza da un limite locale. Le preposizioni indicano, oltre ai rapporti fondamentali come la tendenza, provenienza e coincidenza, anche ulteriori sfumature di significato. Se non fosse cosí, basterebbero. tre sole preposizioni per indicare questi tre tipi di rapporta, e queste sostituirebbero a poco a poco tutte le altre. 5. LA DISTRIBUZIONE DELLE PKEPOSIZIONI 5.1 Nei legami preposizionali tra il verbo e 1'elemento nominale tro-viamo a seconda dei rapporti diversi la seguente distribuzione delle preposizioni: 156 tipo di • rapporto oggettivo locale temporale modale a a a O EH Z H S COINCIDENZA di da di da di da P> o con con £ o ¡5 su in su in su in a a a da TENDENZA per su in per su per di di o da da da da H PROVENIENZA per 55 H § HH da > COINCIDENZA in O per § 157 5.2 Per esempio 5.2.1 La preposizione a figura nei seguenti rapporti: - non-tnovimento - coincidenza locale : Si sono radunati a Chiaromonte. temporale: Lo spettacolo inizia alie 16.30. modale: E' fuggito a piedi. In questo tipo di rapporti la preposizione a viene usata nel senso piu genérico, dove è escluso il sottovalore di "dentro" o "entro". L'uso della preposizione a è escluso anche nei casi quando il sostantivo indica una superficie - tale rapporto richiede la preposizione su. D'altro canto a definisce il limite esattamente nello spazio e nel tempo. - movimento - tendenza oggettivo: Mario dà la lettera a Pietro. locale: Si è trasferita a Ottana. temporale: Tornera a maggio. La preposizione a non opera distinzione tra persone e cose. II limite viene indicato come raggiunto o raggiungibile con il sottovalore di intéresse da parte del soggetto, opposto in questo modo alia preposizione verso che indica soltanto la direzione approssimativa (Getto la palla a Pietro : Getto la palla verso Pietro; Arrivo alie sette : Arrivo verso le serte). 15 Gli esempi sono tratti (a volte semplificati o abbreviati, come per es. : H pregiudicato, evaso dal carcere mercoledi scorso, è fuggito a piedi è stato abbreviato in E' fuggito a piedi, per mettere in ri-salto l'uso della preposizione a) da: L'Espresso, 2. ott. 1979, H Corriere della Sera, 12.ott.1979, La Nazione, 27.ott.i979, e inoltre dall'Uso delle preposizioni in italiano e in spagnolo a c. di Katerin Kateri-nov, C.LL.A. (Centro Italiano di Lingüistica applicata), Perugia, Guerra, 1980 e Battaglia, Pernicone: La grammatica italiana, op. cit. 158 5.2.2 La preposizione di figura nei seguenti rapporti: - non-movimento - coincidenza oggettivo: Si rifornï di droga. temporale: E' esploso di notte. modale: Mi alzo di scatto. La preposizione di^ indica un rapporto di coincidenza con il limite oggettivo definito più specificatamente - indica infatti i sottovalori partitivi (Ho comprato del pane), dichiarativi o di argomento (Hanno discusso di spécificité meridionali). - movimento - provenienza locale: E'uscito di pista. modale: Muoiono di famé. La preposizione che di solito denota la provenienza e da. Spesso le prepo- sizioni di_ e_da in questo rapporto sono sostituibili, ma è da notare l'as- senza dell'articolo nei legami preposizionali con ^i. Taie differenza for- 16 maie ha indotto per es. il Devoto a distinguere l'uso stesso delle due preposizioni. Cosï jïï introdurrebbe semplicemente il limite modale causale, mentre da_ implicherebbe oltre la causa anche l'origine. A nostro av-viso le due preposizioni esprimono nei rapporti modali soltanto due sottovalori diversi. Moriré di morte naturale risponde alla domanda come? ed e dunque puramente modale. Moriré dalla sete risponde invece alla domanda perché ? ed ha oltre al valore modale anche il valore causale. 5.2.3 La preposizione da si trova nei seguenti rapporti: - non-TOQvimento - coincidenza oggettivo : Abito da mia zia. modale : Parla da sapiente. 16 Giacomo Devoto: Introduzione alla grammatica, Firenze, La Nuova Italia, 1941, 3a ed. 1964, pp. 75-78; id., Preposizioni, op. cit. 159 La preposizione da indica che il limite è rappresentato da una persona o che è personalizzato. - movimento - tendenza oggettivo: Devo andaré da Cario. - provenienza oggettivo: Bisogna passare dalle parole ai fatti. locale: Scappo dal carcere. temporale : Abita nell'albergo dal dicembre scorso. modale: Qui si muore dal caldo. - coincidenza locale: Ci potete entrare dalla finestra. La preposizione da e la preposizione che indica la provenienza per eccel-lenza e figura quindi tanto nel rapporto oggettivo quanto in quello locale, temporale e modale. Nei casi di tendenza, invece, la sua funzione è ri-servata ad un limite personalizzato e nei casi di coincidenza ad un limite locale. 5.2.4 La preposizione con si trova nei seguenti rapporti: - non-movimento - coincidenza oggettivo: Abita con la madre. modale: Ha battuto il capo con violenza. La preposizione con lega l'oggetto al verbo indicando i sottovalori comi-tativo o reciproco quando si tratta di un limite oggettivo, oppure limita l'azione introducendo un limite strumentale o circostanziale. 5.2.5 La preposizione in figura nei seguenti rapporti: - non-movimento - coincidenza locale: E' nato in Francia. temporale: Nel 1968 Paolo VI dichiaro... modale: E' ancora awolta nel mistero la scomparsa di C.B. 160 - movimiento - tendenza . locale : Sono rientrati in Basilicata. - coincidenza locale: Passeggiava nel giardino. La preposizione in indica la coincidenza o la tendenza sia con verbi di movimento che con verbi di non-movimento quando il limite in qualche modo implica il sottovalore di "dentro" o "entro". 5.2.6 La preposizione per si trova nei seguenti rapporti: - movimento - coincidenza oggettivo: Per tale risultato si era battuto il PCI. locale: La corruzione passa per la cassa integrazione. temporale: Ha passeggiato per tre ore. - tendenza locale: Potra proseguiré per Ravenna. temporale: E' programmato per meta aprile. - provenienza modale: Sono stati arrestati per detenzione di armi. La preposizione per è in opposizione con altre preposizioni che figurano nei rapporti indicati sopra, perche implica il sottovalore di finalità nei casi di tendenza, dove il limite non e ancora raggiunto (cf. la preposizione a), o di causa nei casi di provenienza. 5.2.7 La preposizione su si trova nei seguenti rapporti: - non -movimento - coincidenza oggettivo: Non riflettere adeguatamente su questa esperienza... locale: E' sdraiato sulla panca. temporale : Partiamo sul far del giorno. 161 oggettivo: Indagano sul traffico di droga. locale: Seggo sulla valigia. La preposizione su indica la coincidenza o la tendenza quando il limite e una superficie o un tempo approssimativo, oppure quando introduce l'og-getto o l'argomento di conversazione. 6. LE FUNZIONI DETINTIVE DELLE PREPOSIZIONI 6.1 Rapporti di non-movimento (sempre di coincidenza con il limite, che pub essere oggettivo, locale, temporale o modale) 6.1.1 Limite oggettivo In questo tipo di rapporto troviamo l'opposizione tra la preposizione di (Ho comprato del pane) la cui funzione distintiva: e di indicare la p a r -titivita, eil legame non-preposizionale (Ho comprato il pane) che introduce il limite oggettivo in un modo generico. Quando il limite oggettivo esprime un argomento, troviamo in opposizione le preposizioni jh (Che cosa pensa il sindaco della situazione?) e _su (Bi-sogna riflettere adeguatamente su questa esperienza), le cui funzioni distintive sono rispettivamente quella dell'oggetto del discorso e quella deH'oggetto della discussione o indagine. Inoltre troviamo in questi rapporti la preposizione da. La sua funzione distintiva e quella di introdurre un limite oggettivo personale o persona-lizzáto (Vivo da mia madre). La funzione distintiva della preposizione con e di reciprocita o di comitativita (Vivo con mia madre. Vai un poco a tentoni con il tráncese?). - movimento - tendenza 162 6.1.2 Limite locale La preposizione che maggiormente figura in questo tipo di rapporto e a (Si sono radunati a Chiaromonte). Accanto a questa preposizione troviamo _in (Era ricoverata nel reparto ehirurgia), la cui funzione distintiva e quella di "dentro", indicando cosi un luogo chiuso, e su (Sul sedile è stata trovata una siringa), la cui funzione distintiva è quella di "sopra", sottolineando cosï il concetto di superficie, 6.1.3 Limite temporale In questo rapporto figurano le seguenti preposizioni (ciascuna con una funzione distintiva ben definita): - a (L'ombra scompare a mezzogiorno) che indica un punto definito nel tempo; - in (Lo giudicano guaribile in cingue anni) che indica un periodo definito nel tempo; - di (L'ordigno è esploso di notte) che indica un punto o un periodo di tempo non definito; - per (E' stata una dipendente modello per otto anni) che indica un arco di tempo definito entro il quale si svolge l'azione; - su (Partiamo sul far del giorno) che indica un punto nel tempo definito approssimativamente. 6.1.4 Limite modale In questo tipo di rapporto figurano tutte le preposizioni fuorche su (trqppo legata alla sua origine di awerbio di luogo per poter introdurre un limite modale) e per (che per la sua natura non puo figurare nei rapporti di non-movimento). Le altre hanno le seguenti funzioni distintive: - a (Ha agito a viso scoperto) indica sia il modo che lo strumento; 163 - di_ (Va di gran corsa. Sono fatti di ghiaccio) non ha funzioni distintive nettamente definite. Infatti puo introdurre un sottovalore modale, strumentale, materiale o quantitativo; - da (Si e comportato da persona poco corretta) indica il confronto con una persona; - con (Si opposero con durezza) indica lo strumento o la circostanza; - in (E' ancora avvolta nel mistero la sua scomparsa) indica una circostanza. 6.2 Rapporto di movimento 6.2.1 Téndenza 6.2.1.1 Limite oggéttivo La preposizione che viene maggiormente usata in questo tipo di rapporti e a. La sua funzione distintiva e di indicare l'interesse dalla parte del soggetto (Penderecki dedico il concerto al violinista I.S.). Le preposizioni cta e _su hanno funzioni ancora piu specifiche. La prima indica ancora una volta che il limite e una persona o personalizzato (Devo andaré da Cario), e la seconda che il limite é un oggetto di discorso o di indagine (E' meglio che rivolga le sue attenzioni su un avan-spettacolo di periferia). La preposizione jser, dall'altro canto, indica oltre all' interesse anche la finalita (Per informazioni rivolgersi al 245.682). 6.2.1.2 Limite lócale Vi troviamo le stesse preposizioni che nel rapporto di non-movimento lócale: a, in e su; la preposizione da rientra nei rapporti oggettivi. La funzione di a e di presentare il limite lócale come raggiunto (E' stata accompagnata all'ospedale di San Giovanni). La funzione distintiva di in é sempre quella di sottolineare il valore di "dentro" (Molta acqua si disperde nel sottosuolo), mentre su sottolinea la superficie (Seggo sulla 164 valigia). In questi rapporti troviamo anche la preposizione per, che pero non indica il limite come raggiunto, ma soltanto la direzione e la finalita (Disse che sarebbe partito per Parigi). 6.2.1,3 Limite temporale La preposizione che in questo tipo di rapporto viene usata prevalente-mente e di nuovo a, che indica un punto definito cronológicamente (L'esa-me e stato rinviato al 30 gennaio). Lo stesso concetto puo essere espresso con la preposizione per che pero vi aggiunge un sottovalore di finalita o scopo (E' tornato per le feste di Natale). 6. 2.2 Provenienza 6.2.2.1 Limite oggettivo Questo tipo di rapporto viene espresso soltanto con la preposizione da che pure in questo caso sottolinea il fatto che il limite e una persona o che b personalizzato (Vengo da mia madre). 6.2.2.2 Limite locale La preposizione per eccellenza che esprime questo rapporto e da (Molti emigrant! stanno tornando dall'estero e dal settentrione). Vi figura inoltre la preposizione di_ (Si levo di tasca il portafoglio accanto a Si levo dalla tasca il portafoglio) che pero secondo G. Devoto e altri sarebbe un uso antiquato. 6.2.2.3 Limite temporale La preposizione da domina anche questo tipo di rapporto di provenienza (Da allora si sono perse le sue tracce). 165 6.2.2.4 Limite modaíe Vi troviamo le preposizioni di, da e per. La funzione della prima (Muoio di fame) e la modalita pura, quella della preposizione (Muoio dalla fame) e oltre alia modalita anche la causa, mentre la preposizione per (E' morto per un investimento) indica la causa effettiva dell'azione. 6.2.3 Coincidenza I rapporti di coincidenza dove 1'elemento verbale implica movimento, possono essere soltanto locali. Vi figurano le preposizioni da, m, per e su, preposizioni tipiche per introdurre un limite lócale, con funzioni identiche o simili a quelle che hanno ricoperto nei rapporti locali analizzati finora. La preposizione in introduce cosí un limite lócale rappresentato da un luogo chiuso o circoscritto (Passeggiava nel giardino); la preposizione su un limite lócale di superficie (Camminava sull'erba). La preposizione da, invece, indica un punto nello spazio, per il quale si svolge l'azione (Si puo entrare dalla porta accanto). La preposizione non marcata da funzioni distintive specifiche e per (Un uomo passava per il viottolo di campagna) che indica semplicemente la coincidenza dell'azione con un limite lócale per cui questa si svolge. 7. CONCLUSIONE Per apprendere l'uso delle preposizioni in un modo piu semplice e ra-gionato si dovrebbe dunque far prendere coscienza delle opposizioni e-sistenti tra le preposizioni nei singoli rapporti e della loro funzione distintiva. Questa, come si e visto, non e un fattore immanente delle preposizioni, ma si verifica soltanto quando esse fanno parte di un legame pre-posizionale. Una volta individúate le opposizioni e le funzioni distintive, maggiore cura si potra rivolgere alia pratica di quei casi che rappresen-tano difficolta dal punto di vista dell'apprendimento. 166 8. BIBLIOGRAFIA Bernard Pottier: Lingüistica moderna y filología hispanica, Madrid, 1968. Katerin Katerinov: L'analisi contrastiva e l'analisi degli errori di lingua applicate all'insegnamento dell'italiano a stranieri in RILA VII/2-3, 1975. Katerin Katerinov: (a.c. di): Uso delle preposizioni in italiano e in spagnolo. C.LL.A., Perugia, Guerra, 1980. Jacques Wittwer: Contribution a une psychopédagogie de l'analyse grammaticale, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, 1964; trad. it. : Psicopedagogia dell ' analisi grammaticale, Roma, Armando A., 1971. Battaglia, Pernicone: La grammatica italiana, Torino, Loescher 1951, ed. del 1971. M. Gross: Grammaire transformationeile du français. Syntaxe du verbe, Paris, 1968. G. Helbig, W. 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Taki razvejanosti se ne morejo izogniti niti tiste slovnice, ki odnose med elementi predložne zveze analizirajo z vidika skladenjske odvisnosti glagola in samostalniške besede. Lingvistične šole, ki raziskujejo vezljivost, pa so si za izhodišče izbrale glagol. Uporabnost vseh tako nastalih slovarjev, slovnic in učbenikov je omejena, saj se učeči vedno znova znajde pred vrsto glagolov oziroma dopolnil. Zato posvečajo jezikoslovci, posebno v Italiji, vse več pozornosti predlogom kot tistim elementom predložne zveze, katerih število je omejeno. Pri tem izhajajo iz treh različnih gledišč. Privrženci furikcionalistične šole so mnenja, da so predlogi popolnoma pomensko izpraznjeni in da je njihova vloga le v formalni vezavi med glagolom in samostalniško besedo. Rimska šola (okrog Castelfranchija, Parisija in Crisarija) pa skuša dokazati, da so predlogi pomensko polne besede in da ima vsak predlog en sam osnovni pomen. Večina jezikoslovcev je mnenja, da so predlogi predvsem funkcijske besede, ki niso izgubile semantične vrednosti. Ta pa je odvisna od sobese-dila. Mnenja smo, da gre pri predložnih zvezah za medsebojno vplivanje med vsemi tremi elementi, tako da ti tvorijo novo semantično vrednost, ki ni 169 le zbir posameznih pomenov. Osnovna lastnost glagola, pomembna za predložno zvezo, je gibanje oziroma ne-gibanje. Samostalniška beseda določa glagolskemu dejanju mejo oziroma limito, ta pa je lahko izražena kot predmet, prostor, čas ali način (okoliščina). Naloga predloga je predvsem določiti vrsto razmerja, ali gre za smer, težnjo proti limiti, ali za odmik od nje, ali pa za sovpadanje glagolskega dejanja in limite. Na osnovi takšne analize lahko ugotovimo razvrstitev (distribucijo) predlogov, določimo predloge, ki so tipični za neko vrsto razmerja in ugotovimo, kateri predlogi se ne morejo pojaviti v njih. Na osnovi razvrstitve pa postanejo jasne opozicije med predlogi in njihove razločevalne funkcije, zlasti tam, kjer se v eni in isti vrsti razmerja uporablja več predlogov. 170 Fedora Ferluga-Petronio Trieste CDU 808.63 - 561.3 : 805.0 PROBLEM DI INTERFBRETTZ& LINGÜISTICA: SU UN ERRORE DI SINTASSI SLOVENA DEGLI STUDENTI SLOVENI BILINGUI II presente articolo trae snunto dall'analisi quotidiana degli errori di student! bilingui delle scuole com lingua d' insegnamento slovena di Trieste.A questo proposito si b con dotta un'analisi sulle interference linguistieñe in una clas se del biennio delle superior! (di ragazzi fra i quattordi-ci e i sedici anni).Nell'articolo si discute in modo detta-gliato di uno degli errori piii frequenti cite si riscontrano negli scritti in sloveno e ciofe I'uso scorretto,sotto l'in-flusso dell'italiano,delle proelitieñe ed enclitiehe nelle proposizioni semplici,coordinate e subordinate. Con il presente lavoro mi sono proposta di esemplificare e,per quanto mi è stato possibile,di codificare uno deglier rori di sintassi più frequenti nel quale incorrono gli stu-denti "bilingui della minoranza slovena in Italia, scrivendo in sloveno.Sebbene mi sia limitata in questa ricerca all'a nalisi degli scritti (in prevalenza compiti di casa) di una sola classe e precisamente della V ginnasio del Liceo Scien tifico Statale "F.PreSeren" con lingua d'insegnamento slove na di Trieste1^, ho potuto ricavare ugualmente dei dati 1) Desidero ringraziare qui i miei ex-allievi della suirnnen-zionata V ginnasio che mi hanno offerto la loro collabora zione in questo tipo di ricerca durante tutto l'anno sco-lastico 1981/82. 171 piuttosto interessanti.Per questo primo esperimento fto pre ferito analizzare gli scritti degli allievi,anzichè ricor-rere alia traduzione di frasi-tipo dall*italiano in slove-no, che avrebbero potuto insospettirli e magari indurli a scrivere correttamente. Se da un lato in questo modo ne ha sofferto la precisione dei dati statistici,dall'altro ne è risultata una maggiore spontanéité,che mi ha anzi permesso di scoprire ulteriori impropriété grammaticali, lessicali, sintattiche e stilistiche,dovute alia costante presenza nel parlante bilingue,a livello subconscio,del modello lingüístico italiano.Una volta per5 raggiunta una sufficiente do vizia di dati per questo genere di errori,e soprattutto a-vendo ormai a disposizione una casistica completa di simili impropriété di linguaggio,1'elemento statistico potreb-be rivelarsi quanto mai utile e quasi necessario. Tuttavia vorrei aggiungere alcune considerazioni di ca-rattere sociologico.Questo tipo di carenze linguistiche si riscontra in primo luogo fra i ragazzi che provengono dama trimoni misti.Fu soprattutto questo il motivo che mi indus se à svolgere questo tipo di ricerca nella summenzionata cías se,dove su dieci allievi ben quattro provenivano da matrimoni misti.I ragazzi,abituati a parlare in famiglia quasi esclusivamente in italiano,trovavano difficoltà ad espri-mersi ed a scrivere correttamente in sloveno.C•era anche il caso raro di un ragazzo che aveva frequentato la scuola ma terna italiana ed aveva incominciato ad imparare lo sloveno appena aile elementari. Se in questi ragazzi si pu6 dire"che gli sbagli si sono ormai profondamente radicati,bisogna perb anche confessare 172 bhe difficoltà espressive si riscontrano,sebbene in minore misura,anche frai ragazzi provenienti da famiglie slovene. In pratica nel loro caso l'uso vero e proprio dello Slovène si riduce ail'ambiente familiare e scolastico nonchè al la stampa e all'ascolto délia radio locale (in misura as-sai minore alla stampa,alla radio e televisione délia vici na repubblica slovena),oppure a livello individúale aile at tività extrascolastiche in circoli sportivi e cultural! slo veni.In verità per6 essi sono continuamente esposti ail'in flusso dei mass-media e dell'ambiente linguistico italiani. I1elenco degli errori dovuti alla costante presenza del modello linguistico italiano,è alquanto copioso.Potremo ci tame alcuni molto comuni,qualiîla confusione tra il pron¿ me possessivo per la 3a persona sing.,duale e plur.(njegov, njen,njun,njihov) ed il pronome riflessivo (svoj ) sotto 1' influsso del pronome italiano suo,sua,suoi;l'uso scorretto dei casi obliqui del pronome relativo (ki invece di ki ga, ki mu,ki jo ecc. sotto 1'influenza deli'italiano che);l'u-so del numerale en,ena.eno al posto del pronome indefinito neki«neka,neko per 1'interferenza dell'articolo indeterminativo italiano un,una,uno;la posposizione deli': aggettivo qualificative (državljan- rimski anzichè rimski državljan , per 1 * interferenza del modello italiano cittadino romano); l'uso stilisticamente scorretto delle forme verbali impersonal! (se dela,se govori,se piše,si cf. il modello italia no si lavora.si parla,si serive) ed impersonali passive(p. es.išče se hišna pomočnica,cf. 1'italiano cercasi collaboratrice domestica); caichi sintattici di vario tipo. Era questi ultimi il più frequente ë quello che riguar- 173 da 1*errata distribuzione delle proclitiche e delle encliti che in proposizioni di qualsiasi tipo:sia semplici,sia coor dinate,sia subordínate.Mentre la distribuzione di questimar femi non incide mínimamente sulla struttura della proposi-zione italiana,nello sloveno invece la posizioné delle proclitiche e delle enclitiche deve seguire Tin ordine be m pre-stabilito e costituisce uno dei problemi piü complessi della sintassi slovena creando gravi difficoltá agli stranleri e,come avremo modo di esemplificare nel corso del presente articolo,anche a parlanti bilingui che si esprimono e seriad von© pensando moltissime volte nell'altra lingua. ' Per maggiore chiarezza presentiamo la serie di proeliti-che e di enclitiche in italiano ed in sloveno. Si parla di proclitiche in italiano nel caso: 1) degli articoli il,lo,la,i,gli,le,un ; 2) delle particelle pronominal!:mi,t i,si,ci,vi,me,te,se,ce, ve,ne,lo,la,li,gli ; 3) delle ureposizioni di,a,da,in,con,su,per.tra,fra. Si intendono invece per enclitiche: 1) gli awerbi ci,vi,ne ; 2) le stesse particelle pronominali elencate sopra fra le proclitiche,pa±ché in questo caso la loro • deneminazione dipende únicamente dal fatto che si appoggiano alia par£ 2) II problema dell'esatta collocazione delle proclitiche e delle enclitiche b stato affrontato da vari studiosi:da M. Murko,Enklitike v slovenščini,Letopis Matice slovensBe£L09g, 71-86;A.Kacin-M.Jevnikar,Slovenska slovnica za strokovne šole,Trst 1948,152-157;Bajec-Kolarič-Rupel,Slovenska slov nica,Ljubijana 1964,348-349;J.Toporišič,Slovenski knjižni jezik 4,1979|l76j 179-182;J.Toporišič,Slovenska slovnica, Maribor 1976,538-540. 174 la che le segue (proclitiche tp.es.me lo compro) oppure che le precede (enclitiche:p.es♦compramelo ed in questo casosa r& da osservare che si fond ono con la parola,per lo piii for ma verbale,alla quale si anpoggiano) A sua volta lo sloveno conosee le seguenti proclitiche: 1) le propoaizioni;brez,cez,do,iz,med,izpod,zaradi, zavoljo, za ; 2) la negazione ne ; e le seguenti enclitiche che a seconda della loro posizio-ne possono assumere anehe la funzione di proclitiche: 1) il presente e il futuro dell'ausiliare biti 'essere': sem,si. Je,sva,sta, sta,smo,ste,so;bom,boa,'bo,'bova,'teosta, bosta,bomo,boste,bodo ; 2) la particella condizionale bi ; 3) le forme atone dei pronomi personaližme^itte.ti.ga.nm, je, ji, jo, ju, Jih, .iima, jih, jim; inioltre anehe le forme naju , nama, vaju, vama e nas, nam, vas ,vam, quartdo n on s on o accentuate. 4) le forme atone del pronome riflessivo: S£,sji ; 5) la particella se sia nella -funzione passivante sia in quella impersonale sia quale particella dei verbi riflsg 4) sivi veri e propri che di quelli iintransitivi : Sull'ordine delle parole in qualsiasi tipo di proposi -zione incidono in effetti soltanto le forme degli ultimi cin que gruppi,indipendentemente dal fatto se trattasi di enclitiche o proclitiche.Siccome sarebbe oltremodo gravosoed 3) Cf.A.Ghiselli-C.Casalgrande,Lingua e parola,Grrammatica sintassi e ¡pwiamento alio studio della 1 e 11 e ratura, Bol£ gna 1971,57-58. 4) J.Toporišič,Slovenska slovnica,Maribor 1976,57-58. 175 inutile doverie distinguere per ogni esempio che citerb i» seguito,mi sono servita,parlando del materiale lingüístico analizzato,per motivi di maggior scorrev©lezza,del termine clitico indicante sia le proclitiche che le enclitiche.5^ Vediamo ora quali sono le principal! rególe sintattiche sulla distribuzione dei clitici in sloveno e in che modo se ne discostano gli študenti bilingui. Secondo le rególe della sintassi slovena i clitici devo-no essere collocati sempre al secondo posto nella proposi -zione,o meglio,dopo il primo concetto. Esempio di proposizione principale: Oče Je imel pet sinov e non Oče imel .je pet sinov. Prendiamo in considerazione un'altra proposizione princi. pale,tratta que sta volta da Ivan Cankar: Sivo težko živi jen je, polno truda,bridkoBti,boja in trpljenja,brez veselja in sreče ,fe šlo mimo kakor velika,mraz in grozo dihajoča senca. Nella frase in questione il clitico jje si trova al quat-tordicesimo posto,ma anche in questo caso si è osservata la regola sintattica strettamente,poichè i termini che precedo no il clitico non sono nient'altro che attributi del sogget to življenje,il che dimostra come il clitico non debba esse re necessariamente il secondo termine nella proposizione,ma si colloea non appena è stato pienamente espresso il primo concetto. In contrasto soltanto apparente con questa regola sintat tica fondamentale viene a trovarsi il clitico posto all*ini 5)Si confronti a questo proposito A.L. e G.Iepschy, La lira gua italiana. Storia, variété, deli 'uso, grammatica.MüanoBSL p.l8l. 176 zio délia proposizione principale,se preceduta da ira qual-siasi tipo di subordinata.Ma in questo caso l'eccezione è soltanto apparente,poichè la proposizione subordinata sosti tuisce un complémento,nella maggior parte dei casi un complemento avverbiale délia proposizione principale. P.es. nel periodo: Ko .je postalo mrzlo,smo zakurili nec. la subordinata temporale potrebbe essere sostituita con il complemento temporale : Ob nastopu mraza smo zakurili pee. ed il clitico si troverebbe cosi collocato dopo il primo concetto,nel pieno rispetto délia regola sintattica. Ancfte nel caso delle proposizioni interrogativa la de -vlazione dalla regola è soltanto apparente.La frase del ti pos Me poznate ? S del tutto regolare,poicftè in questo caso è stata sempli-cemente omessa la particella interrogativa ali: Ali me poznate ? Passiamo ora all'analisi délia collocazione errata dei singoli clitici (secondo l'ordine elencato sopra) nei tipi di proposizione più frequenti. DPQRMg VERBALI BELL' AUSTLIARE BITI A)Forme del presente: l)Nelle subordínate oggettive introdotte dalla congiun -zione da. E• il tipo di errore più frequente in assoluto. Vediamo una proposizione-tipo,scritta dall'allievo A (pro- 6)Gli esempi sono tratti dalla grammatica A.Kacin-M.Jevni-kar,Slovenska slovnica za strokovne sole,Trst 194-8,153e 15. 177 veniente da un matrimonio misto) -dar v takih trenutkih bi bil moral nekoliko počakati.Modello italiano:Tuttavia in momenti simili avrebbe dovuto aspet-tare im w'. Proposizione corretta:Vendar bi bil moral v takih trenutkih nekoliko počakati. Proponiamo iniine una semplice proposizione principale(c) che rappresenta un errore abbastanza raro e un modello sin-tattico alquanto lontano dalla struttura dello sloveno.Ne S autore nuovamente 1'alunno A:Po tem koncertu me bi čakali na-daljn.ji uspehi. Modello italiano:Dopo guesto concerto mi a-spetterebbero ulteriori successi.Proposizione corretta: Po tem koncertu bi me čakali nadal.jn.ji uspehi. Per la veritš. in questo caso ci troviamo di fronte ad un gruppo di clitici:bi+me che esige 1'assoluta prioritš. della particella condizionale bi. III) LE FORME ATCm DE I PRONOMI PKRSONALI IV ) IJS FORME ATONE DEL PROtTOMS RIFLBSSIVO k In diversi tini di nroposizione,ma snecialmente neHe pro-posizioni principali introdotte da vendar. 182 Gli errori di questo tipo sono abbastanza frequenti, co-munque in misura assai minore rispetto alie forme del presente dell'ausiliare biti.Sono sparse un po' dovunque:in su bordinate di vario tipo,nelle proposizioni principali pre-cedute dalle subordinate,ma con maggior frequenza nelle prin cipali introdotte da vendar.Di questo ultimo tipo vediamoui eserapio,offertoci dall•allieva E,proveniente da famiglia slo vena,ma dedita in maggior misura alie letture italiane. Nel compito di storia,parlando di Attilio Regolo,propone una fra se del genere: Vendar Regul .jih (Rimljanov) ni pomiril, še ščuval ,1ih .fe. Mode lio italiano :Ci5 nonostante Regolo non li calmo«arazi li sobillfr. Proposizione corretta;Vendar jift; Regul ni pomiril,še ščuval .jih je. Prendiamo ora in considerazione ancora un caso isolato di prottosizione principale scritta nuovamen-te dall'allievo A : V prvi varianti svoje povesti nam pisatelj nakaže precej problemov. Modello italiano:Wella prima variante del sao rao-conto lo scrittore ci espone parecchi problemi.Proposizione corretta: V prvi varianti svoje povesti nam pisatelj nakaže precej problemov. V) LA PARTICELI.A SE 1)come particella de i riflessivi intransitivi 2)come partioella dei riflessivi transitivi 3)nella funzione impersonale 4-)nella funzione passivante 1) E* il caso piü frequente che si riscontra soprattutto : a)nelle coordinazioni copulative 183 b)nelle nropoadzioni principali introdotte da vendar c)nelle coordinazioni dichiarative introdotte da saj a)Esempio di coordinazione copulativa offertoci dall'allieva C: Sama sem doma in nimam s kom se pogovarjati.Model-lo italiano:Sono 3ola a casa e non ho con chi parlare. Pro-posizione corretta:Sama sem doma in se nimam s kom pogovarjati. b)Esempio di proposizione principale introdotta da vendar, fornitaci dall'allieva E: Vendar to se dogaja samo v naprednejšem okolju. Modello italiano: Ma cib succede soltando in ambiente uiíi progredito. Proposizione corretta:Veit-dar se to dogaja samo v naprednejšem okolju. c)Esempio di coordinazione dichiarativa introdotta dalla congiunzione saj,scritta dall'allieva F,proveniente fra l'al tro da famiglia slovena,ma con scarsissima predisposizione per le lingue e con al suo attivo un bagaglio molto modesto di letture sia slovene che italiane: Ne čudim se, da se je starec zaljubil v lepo mlado dekle,saj to se dogaja precej pogosto. Modello italiano: Non mi meraviglio che un vecchio si sia innamorato di xana bella giovane fanciulla,difatti cib succede abbastanza spesso. Proposizione corretta: Ne čudim se,da se je starec zaljubil v leno mlado dekle,saj se to dogaja urecej pogosto. 2) Non ci sono casi di frequenza specifici. Rispetto la categoria precedente la frequenza di error! b assai minore.e questi ultimi sono sparsi un po' dappertut to.Facciamo qui un esempio a caso di una proposizione principale ,scritta dall'alunno G,proveniente da matrimonio misto, con un'esnerienza di cinque anni di scuola elementare i 184 taliana (il padre era stato trasferito per motivi di lavo-ro),che dimostra particolare difficoltá per questo problema sintattiooiOb koncu oktobra niso niti zaceli se učiti druge deklinaci.je. Modello italiano:Alia fine di ottobrencai avevano nemmeno incominciato a studiare la seconda decllna-zione. Proposizione corretta:Ob koncu oktobra se niso niti zaceli učiti druge deklinaci.fe. 3) Atache qui non ci sono casi di frequenza specifici. Si tratta comunque di casi abbastanza rari,poiché l'uso della particella sje per la forma verbale impersonale rap-presenta una scorrettezza stilistica che le grammatiche con sigliano di evitare. Diamone un esempio riportando il pe-: riodo dell'alunna E che proviene da famiglia slovena,ma ri sente comunque in modo notevole dell'influsso lingüístico italiano: To se mi zdi pretirano,ker na tak način se živi kot zasanjani.Modello italiano: Gib mi sembra esageratoypai-chfe to questo modo si vive come trasognati.Proposizione cor retta:To se mi zdi pretirano,ker se na tak način živi kot zasanjani. 4) B' il caso meno frequente e con frequenza specifica non "ben deflnlta. L'uso del passivo con la particella S£ h estraneo alia struttura lingüistica dello sloveno e rappresenta un grave errore stilistico.Vediamone un raro esempio dell'allieva E: Vedno bol.j se zavedam,da z vojno se ne doseže ničesar. Modello italiano:Ml rendo sempre pifo conto che con la guerra non si ottiene nulla. Proposizione corretta:Vedno bol.j se zavedam,da se z vojno ne doseže ničesar. 185 Affrontiamo infine imo dei problemi niù complessi che ri guardano la distribuzione dei clitici,e cioè la loro collo-cazione esa+ta,quando non conma.iono isolati,ma bensi a gru.£ pi di due,tre o addirittura quattro.Ia loro distribuzione aL 1'interno del raggruppanento risulta a volte molto complica ta. I ragírrunti argent i di clitici nossono as sume re le conforma zioni più disparate :for"ie del presente dell'ausiliare + una o due forme atone dei pronomi personali (p.es.sem ga oppure sem mu ga);una o due forme atone dei pronomi personali + le forme del futuro dell'ausilisre (p.es. ga bom oppure mu ga bom);la particella condizionale bi + la narticella dei riflessivi intransitivi,legata magari anche ad una forma atona del pronome personale (p.es.bi se_ ga).Ho esposto naturalmente qui soltanto i raggruppamenti più comuni. Per- gli študenti bilingui si tratta comunque di un problema abbastanza complesso.Gli errori sono sparsi in quasi tutti i tipi di pronosizione senza preferenze specifiche,men tre le sequenze più úsate sono le formedel presente dell'au siliare + le forme atone dei pronomi personali e la parti -celia condizionale bi i la particella dei pronomi rifles sivi intransitivi oppure le forme atone del pronome rifles-sivo. ■Rcco qui l'esempio classico dell'allieva B in una propo™ sizione principale preoeduta da una subordinata temporale: Ko sem končala gimnazijo,večkrat so me klicali,da bi poučevala. Modello italiano:Quando finii il ginnasio, spesso mi chiamarono per delle supplenze.Proposizione corretta:Ko sem končala gimnazijo,so me večkrat klicali,da bi poučevala. Comunque gli esempi più interessanti riguardano 1. 'inver- 186 sione dei clitici ali'in-terno del raggruppamento stesso. Ne abbiamo dato un esempio sopra,parlando deli1errata colloca-zione della particella condizionale toi nelle proposizioni principali e citando un errore piuttosto raro,scritto dali* allievo A: Po tem koncertu me bi čakali nadal.1n.1i uspehi. Errori d'inversione dei clitici si riscontrano piii fre-quentemente nella sequenza particella del riflessivo intran> sitivo se + forma presente dell'ausiliare e soprattutto nel raggruppamento particella condizionale bi + particella se dei verbi riflessivi transitivi ed intransitivi oppure le forme atone del pronome riflessivo. Vediamo un esempio del primo tipo,proposto dali1 allieva C: Hamilkar ,1e šel se bojevat v Španijo. Modello italiano: Amilcare ando a combattere in Spagna. Proposizione corretta: ffamllkar se je šel bojevat v Španijo. Analizziamo ora un esempio del secondo tipo e precisamen te la sequenza:particella condizionale bi + forma atona del pronome riflessivo.Si tratta di trn esempio molto interessan te,che rispecchia in parte il problema dell'interferenzalm guistica italiana,in parte invece l'influsso del dialetto sloveno lócale. La proposizione principale Rad se bi kupil avto,prot>osta dali'allievo G,proveniente,come abbiamo visto,da matrimonio misto,nresenta due errori.II urimo,1'errata collocazione del gruppo clitico se bi anziché bi se,e un errore sintattico , dovuto all'influsso del modello italiano Volentieri mi com-prei-ei l'auto,il secondo invece,l'uso errato di se al posto di si per la forma atona del dativo del pronome riflessivo, e di carattere fonético,dovuto all'influenza del modello dia- 187 lettale sloveno: Rat sa bs kupou âuto. in. . wm' * Psssando ora alie conclusion! cercheremo di precisare qua li sono i tipi di clitico che vanno maggiormente soggetti'ad un'errata collocazione ne IT p proposizione e quai i sono le pro posizioni che presentano il maggior numero di simili errori. Indubbiamente sono da collocare al primo posto le forme verbali del presente del!'ausiliare biti,il cui numero supera di gran lunga tutti gli altri casi.Il motivo di una tale fre -quenza deve addebitarsi anche al fatto che le forme del presente di biti servono pure alla formazione del passato in u nione con il participio in -l,-la,-lo (-p.es.sem delal,-la,-lo) Seguono al secondo posto le forme con la particella se,il che ë abbastanza logico,poichè detto morfema puí> assumere, come abbiamo visto,diverse funzioniída particella dei riflessivi transitivi ed intransitivî a quella impersonale e passivante. Seguono al terzo posto per la molteplicità delle combinazio-ni i raggruppamenti di clitici ,benchè nel corso della pre -sente ricerca il fatto non sia stato abbastanza evidenziato, poichè ci siamo limitati alie sequenze più importanti.Abba -stanza frequenti sono anche i casi dell'errata distribuzione delle forme atone dei pronomi personali,mentre vengono eolio cati agli ultimi posti l'errato uso della particella condi -zionale bi (assai più intéressante nelle sequenze di clitici) e delle forme del futuro di biti. Per quanto concerne i tipi di proposizione più frequenti, il primo posto è riservato alie proposizioni oggettive intro dotte dalla congiunzione da,seguono le proposizioni principa li comuni,quelle precedute da un qualsie,si tipo di subordina 188 ta,le coordinazioni dichiarative introdotte dalla congiunzio ne saj,ed infine le coordinazioni copulative. Povzetek PROBLEMI JEZIKOVNE IliTERFERENCE: NAPAKA IZ SLOVENSKE SKLABRJE ZNAČILNA ZA SLOVENSKE DVOJEZIČNE DIJAKE. Članek obravnava eno izmed najpogostne jših napak, značilno za Slovence na tržaškem ozemlju, napačno mesto naslonk pod vplivom italijanščine v glavnih, stavkih,v priredjih in podre d jili.Na podlggi raziskave,ki jo je izvedla v šolskem letu 1981/ 82 v 5. razredu gimnazije "Franceta Prešerna", torej šole s slovenskim učnim jezikom v Trstu,avtorica ugotavlja,da se to vrstna napaka pojavlja predvsem pri učencih,ki izhajajo iz me šanih zakonov,čeprav je precej pogostna tudi pri drugih. Napačno postavljene naslonke ali niz naslonk je zaslediti zlasti v predmetnih odvisnikih (z veznikom da),v glavnih stavkih, ki jih uvaja veznik vendar,v vzročnem priredju (z veznikom saj) in v vezalnem priredju. 189 Momčilo D. Savič Beograd CDU 808.1 - 561.32 : 804 ASPEKTUiALNOST I TEMPORALNOST U ISKAZIVANJU PROŠLOSTI I PRETPROŠLOSTI U SLOVENSKIM I NESLOVENSKIM JEZICIMA Autor razmatra iskazivanje aspektaalnosti i temporalnosti u slovenskim i neslovenskim jezicima zadržavajuči se prvenstveno na srpskohrvatskom kao slovenskom i italijanskom kao romanskom i navodeči konkretne primere iz originala i prevoda, pri čemu ima u vidu samo sredstva koja služe za iskazivanje anteriornosti. Zaključak je da italijanski, kao i ostali romanski jezici, ne poznaje aspektualnost u slovenskom smislu, dok se slučajevi sintaksičkog iska-zivanja ove pojave u romanskim jezicima mogu pripisati jedino indo-evropskom pravidu. Ako se savremeni slovenski jezici uporede sa savremenim romanskim jezicima, pada u oči (uz najmanje izuzetke) da prvi od njih raspolažu vrlo ograničenim brojem glagolskih vremena, dok ih drugi imaju napretek. O čemu se radi? Reč je o aspektualnom iskazivanju vremenskog odnosa u slovenskim jezicima. Drugim rečima, svaka od pomenutih jezičkih grupa služi se vlastitim sredstvima za iskazivanje odredjenog odnosa. Dva raz-ličita glagolska sistema najbolje dolaze do izražaja kada se prevodilac sa slovenskog na romanski nadje u nedoumici, s jedne strane, kakav od silnih romanskih oblika upotrebiti za prevodjenje slovenskog prošlog vremena ili, s druge strane, čime nadoknaditi, pri prenošenju sa romanskog na slovenski, vremenski oblik koji u slovenskom ne postoji. Razume se, u najvecem broju slučajeva prevodiocu stoji na raspolaganju jezičko ose-čanje koje, kao takvo, lingvisti nije dovoljno. Pa da bismo se pozabavili pitanjem aspektualnosti i temporalnosti, odnosno samo jednim delom problema, pri čemu imamo pred očima isključivo razlike koje se ispoljavaju u ovakvim slučajevima u iskazivanju prošlosti i pretprošlosti, zadržačemo se na nekim primerima. Njih cemo proanalizi-rati na osnovu onih rezultata do kojih se danas stiglo na planu proučavanja aspektualnosti i temporalnosti. 191 A pre nego što ovo učiriimo, reci cemo da, i pored sveg nastojanja da se u romanskim jezicima sagleda glagolski vid kao i pored brojnih radova do kojih je došlo na toj oblasti na osnovu postavki francuske škole,^ njega tu nema, ni morfološki (kako se očuvao u grčkom) ni leksematski (kakav je u slovenskim jezicima), te su, prema tome, sasvim opravdana 2 tvrdjenja onih koji su ga još pre više decenija demantovali . O njemu može da bude govora u romanskim jezicima najviše na sintaksičkom planu, koji je takav na osnovu konteksta, te je pogrešno tražiti izvesnu vidsku suprotnost na bilo kome drugom planu. Cinjenica je da glagolskog vida (u slovenskom smislu) nije bilo ni u latinskom, iz koga su nastali današnji romanski jezici. O tome nam nedvosmisleno govori jedna nedavno objavljena študija, koja je delimično poslužila kao osnova našeg sadašnjeg 3 rada . A u njoj se kaže doslovno: "Vidska i vremenska značenja u latinskom su povezana, ukoliko čak i prva od njih postoje. A suprotnost koja se na ovom planu najbolje odražava u razlici izmedju imperfekta i perfekta vredi kao pravi vidski odnos na odredjenom mestu sistema. I tek primenom leksičkih značenja glagola koja pokazuju njegovu radnju i gramatičke vrednosti glagolskih oblika mogu u latinskom da se pokriju (ako ne i da se izraze) one suprotnosti koje u drugim jezicima imaju značenje vida"'*. 1 Pomenučemo samo dva rada koja smo imali u rukama: Heinrich Stobitzer, Aspekt und Aktionsart im Vergleich des Französischen mit dem Deutschen, Englischen und Italienischen, Tübingen 1968, koji se zaustavlja isključivo na odnosu imparfait/passé simple, o čemu smo izrekli svoje mišljenje (cf. "Filološki pregled" I-H, Beograd 1970, str. 190-194), kao i Robert Martin, Temps et aspect, essai sur l'emploi des temps narratifs en moyen français, Pariz 1971, koji se uglavnom vezuje za teorije G. Guillaume-a. 2 Poznati jugoslovenski lingvista Aleksandar Belic našao je svojevre-meno da su teorije G. Guillaume-a nezasnovane sa gledišta sloven-skog glagolskog vida. Cf. O jezičkoj prirodi i jezičkom razvoju, Beograd 1941, napomena na strani 330. 3 Miroslav Kravar, Pitanja glagolskog vida u latinskom jeziku, Skoplje 1980. 4 ib., str. 160. 192 To objašnjava zašto smo se zadržali isključivo na sredstvima za iskazi-vanje anteriornosti, koja su u romanskim jezicima dosta bogatija nego u latinskom (govoreči grosso modo), s obzirom na pojavu novih, analitičkih vremena. A što se tiče postojanja glagolskog vida u romanskim jezicima, skloni smo da ga u njima dopustimo toliko koliko ga je prethodno pomenuta študija našla u latinskom, u čemu je autor i naveo nekoliko primera iz g italijanskog jezika na koji se pozivamo . Nije nam, inače, poznato da je u romanskim jezicima, sem rumunskog, ispitivano postojanje glagolskog g vida. Za rumunski je, medjutim, dokazano, da nema glagolskog vida . Utoliko je čudnije što izvesni slovenski romanisti, i pored svoj osečanja glagolskog vida, govore kompetentno i pišu čitave študije o ovoj kategoriji u romanskim jezicima, iako nje tamo nema, jer se radi najviše o vrsti radnje (Aktionsart). Slovenski jezici su fenomen temporalnosti podredili fenomenu aspektual-nosti, što dolazi do izražaja na skoro čitavom slovenskom prostoru. Istina, tu se više ne radi o indoevropskom pravidu, čiji se tragovi nalaze u bugarskom i makedonskom (a koji se morfološki može naslutiti i u 7 latinskom i u romanskim jezicima) , več o novom slovenskom glagolskom vidu, koji je doveo do nestajanja sintetičnih glagolskih oblika za iskazi-vanje prošlosti, tako da su se oni, van Balkana, danas sačuvali jedino u lužičkosrpskom. Na ovom mestu treba podvuči da se slovenski glagolski vid retko javlja u čistom obliku, več je najčešče opterečen leksičkom 5 ib., str. 32-33. 6 Cf. Andrei Mi^an, Categoría gramaticala a aspectului verbal. I Aspectul in limbile slave (u "Cercetari de lingvisticä" XIV, 2, Bukurešt 1969, str. 265-278) i Categoría gramaticala a aspectului verbal, n Exista aspectul verbal m limba romana? (ib., XV, 1, 1970, str. 131-143). 7 Cf. M. Kravar, Imperfekt i aorist u hrvatskosrpskom jeziku (u "Naučni sastanak slavista u Vukove dane" 7, Beograd 1977, str. 123-137. 193 semantikom, koja stavlja težište na učinak, a ne na tok radnje kao u la~ tinskom: u našem slučaju je reč o slovenskom vidu akcionalnog porekla, g a u latinskom o indoevropskom pravidu . Gledano, medjutim, šire, u evropskim razmerama, reč je o procesu zamene sintetičnih oblika anali- tičnimj procesu koji je u istorijski doglednom periodu zahvatio mnoge 9 evropske jezike, eliminišuči tradicionalne sintetičke oblike . Ta situacija dolazi do punog izražaja u govornom jeziku, dok se u književnim jezicima čuva, više-manje, stanje nasledjeno iz prošlosti. Počeci toga procesa gube se u pragermanskom u kome su se sintetični perfekti i imperfekti sveli na isti oblik. Prelazeči na suštinu našeg rada, odnosno na kontrastivno razmatranje ovog problema u srpskohrvatskom i italijanskom jeziku, objasničemo zašto smo se zaustavili baš na ova dva jezika. Ako je jedan od njih slovenski, te svoj glagolski sistem zasniva na vidu, a drugi kao romanski raspolaže pre-vashodno temporalnim sredstvima, medju njima postoji i nešto zajedničko: u istorijski doglednom periodu oba jezika nastoje da se oslobode sintetičnih oblika za iskazivanje prošlosti i da ih zamene analitičnim, što se, opet, teš-ko može konstatovati ako se podje isključivo od sredstava kojima pribe-gavaju književna dela koja se drže tradicionalnog izraza. Za razliku od 8 M. Kravar, op. cit., str. 8. 9 Cf. Antoine Meillet, Sur la disparition des formes simples du prétérit (u Linguistique historique et linguistique générale I, Pariz 1948^, str. 149 i dalje) kao i M. Kravar, Imperfekt i aorist..., str. 127. Na ovom mestu uputičemo i na neke naše radove koji se bave sličnom problematikom: Sredstava za iskazivanje prošlosti u dnevnoj štampi nekih evropskih jezika (u "Anali" Filološkog fakulteta u Beogradu 10, 1970, str. 295-334); L'espressione del passato nei quotidiani delle lingue balcaniche (u "Lingüistica" XIV, Ljubljana 1974, str. 65-76); Modi di esprimere il passato nella lingua degli storici nei popoli balcanici (u "Balcanica" V, Beograd 1974, str. 369-394); Quelques interrelations des langues des Pays du Sud-Est Européen concernant le système verbal (u "Zeitschrift fiir Balkanologie" XVI, Zapadni Berlin 1980, str. 139-147). 194 bugarskog i makedonskog u kojima su imperfekti (mogučni čak i od glagola svršenog vida) i, aoristi sastavni deo svakodnevnog jezika, a što do-lazi do izražaja i u raznim stilovima (pri čemu vodimo računa i o nara-tivu kao direktnom uticaju sintakse turskog jezika), u srpskohrvatskom su imperfekti i aorist nestali iz čakavskog i kajkavskog dijalekta još početkom prošlog stoleča, dok se u štokavskom dijalektu proces nalazi u razvoju, i to - reklo bi se - tako što se ubrzano približava završnoj fazi: imperfekat se sačuvao sporadično i u nekim perifernim govorima, dok ga u književnom jeziku skoro i nema; ali i tu ga nestaje, i pored toga što neka književna dela još i danas mogu da pruže nešto drugojačiju sliku'°. S druge strane, činjenica je da se aorist nesvršenih glagola nalazio i u književnom jeziku sve do kraja prošlog veka, dok ga danas srečemo je-dino u nekim govorima. Ali je zato aorist svršenih glagola daleko češci, svakodnevna pojava u nekim govorima u kojima predstavlja izraz pro-življenog jezika. On se sreče i u čisto književnim delima, mada je i tu poslednjih decenija prestao da bude neophodno sredstvo. Postoje i čitava književna dela u kojima ga uopšte nema'l Ne nalazi se ni u jeziku kojim se služi naučna literatura (u kojoj ga je u ranijim decenijama bilo), a vrlo je redak i u jeziku dnevne štampe (gde ga je povremeno bilo i u periodu izmedju dva svetska rata), odnosno tu se ne nalazi sve dok autor ne predje sa jednostavne komunikacije na književni jezik ukazujuči istovremeno i na svoj subjektivni stav*2. Za razliku od ostalih romanskih jezika koji su ili sasvim potisnuli sintetične oblike ili ih u celosti pretpostavili analitičnim, italijanski se u ovom 10 Cf. M. Kravar, Imperfekt i aorist ..., str. 129-432. 11 Napomenimo samo da beogradski pisac Dragoslav Nikolic-Micki, u romanu Pravedni Jov, Beograd 1971, upotrebio je aorist samo nekoliko puta na 359 strana. 12 Cf. Petar Sladojevič, O osnovnim vremenskim kategorijama upotrebe glagolskih oblika u srpskohrvatskom jeziku, Beograd 1966, passim. 195 pogledu nalazi na sredokrači, otprilike iduci istim putem kojim ide i srpskohrvatski: samo dok je u italijanskom, kao i u največem broju romanskih jezika, imperfekat sačuvan kao neophodnost, dotle je prosti per-fekat izgubio tlo pod nogama u čitavoj Severnoj Italiji, a postepeno je u povlačenju i u središnim oblastima Poluostrva, mada se i tu može druga-čije suditi na osnovu književnih dela (ukoliko se ne uzme u obzir i živa reč). Pre nego što se upustimo u direktne analize primera dužni smo da damo još jedno objašnjenje: italijanski jezik kao romanski vodi računa daleko više o temporalnoj razliei izmedju oblika za iskazivanje prošlosti i pret- prošlosti, koja je u srpskohrvatskom, kao i u slovenskim jezicima uopšte, od drugorazrednog značaja. Pored toga, tu su i zahtevi "slaganja vremena", te nameču drugojačiju sliku temporalnih oblika nego što je ona u slovenskim 13 jezicima koji na tom mestu poznaju tzv. "relativ" . Pa to je dobrim delom i razlog što je u italijanskom jeziku daleko više imperfekata i davnoprošlih vremena nego što bi ih bilo u srpskohrvatskom i kad bi ih i sam uzus na-lagao. Imajuči u vidu sve izloženo, nastojali smo da postavljeni problem razmotri-mo na savremenom srpskohrvatskom i italijanskom književnom jeziku. U tom smislu zaustavili smo se na Ivu Andriču, uzev u obzir iskustva kakva 14 smo ranije imali sa njegovim tekstovima i njihovim italijanskim prevodima . Ovom prilikom imali smo u vidu jedno od dela iz poslednjeg perioda njegovog 13 Cf. M. D. Savič, Relativ i consecutio temporum (u' "Priloži za književnost, jezik, istoriju i folklor", knj. XLIII, sv. 3-t, Beograd 1977, str. 201-211). 14 M. D. Savič, Le principali funzioni deli'aoristo serbocroato e del passato remoto italiano (u "Lingüistica" VII/1, Ljubljana 1965, str. 65-76). Isti rad je preštampan i u svesei Študije iz kontrastivne analize italijanskog i srpskohrvatskoh jezika I, Beograd 1980, str. 62-82. 196 15 stvaralaštva, Prokletu avliju, odnosno treče poglavlje ove proze . Nece biti naodmet napomenuti kako se u čitavom ovom delu - kad je reč o preteritima - autorovo pripovedanje zasniva na složenim perfektima, jer na 131 strani susrečemo samo jedan imperfekat (koji se nalazi u navodu), 25 aorista (i to samo svršenih glagola) i tri pluskvamperfekta tipa "bio sam došao", što če reči da se u poslednjem slučaju radi o višesložnom obliku. Da bismo upotpunili sliku o ovom problemu poslužili smo se i obrnutim postupkom, tj. analizom treceg poglavlja prvog dela romana La ragazza 16 di Bube Karla Kasole , koji sadrži, po našem mišljenju, izvesne pojedi- nosti - ako posmatramo sa gledišta srpskohrvatskog i italijanskog knji- ževnog i govornog jezika - slične pojedinostima na koje smo naišli u 17 Andričevim delima . Što se tiče trečeg poglavlja analiziranog Andričevog dela, u njemu smo našli samo jedan aorist i jedan pluskvamperfekat, dok se u svim ostalim slučajevima prošla radnja (ukoliko nije reč o istorijskom prezentu koji nismo uzimali u obzir) iskazuje - kako smo več pomenuli - složenim perfektima. Od ukupno upotrebljena 222 složena prošla vremena, 107 (48,20 %) je nesvršenog vida, a 115 (51,80 %) svršenog vida: odnos izmedju nesvrše-nih i svršenih perfekata je - kako vidimo - uglavnom ujednačen, što vredi i za pojedine vrste nezavisnih i zavisnih rečenica, izuzimajuči temporalne i subjektno-objektne u kojima je dosta više perfekata svršenog vida. 15 Koristili smo srpskohrvatski original u izdanju "Prosvete", Beograd 1967, treče poglavlje, str. 59-71, kao i italijanski prevod: Jolanda Marchiori, II cortile maledetto, Bompiani, Milano 1963, terzo capi-tolo, str. 61-73. 16 Imali smo na raspolaganju izdanje Einaudi, Torino 196o, str. 34-44, kao i srpskohrvatski prevod: Antonije Filipič, Bubina devojka, Matica hrvatska, Zagreb 1961, str. 4o-49. 17 Jezikom Garla Cassole pozabavili smo se i ranije prilikom nekih drugih lingvističkih študija. 197 Ako sada razmotrimo prevod pomenutog poglavlja na italijanski jezik, konstatovacemo da se slika primenjenih sredstava korenito menja. Izo-stavljajuči 16 slučajeva koji izlaze iz okvira našeg interesovanja, u ko-jima je prevodilac upotrebio neka druga (netemporalna) sredstva koje do-pušta italijanska sintaksa i prevodilačka sloboda, videčemo da je ostalih 206 prošlih vremena nesvršenih i svršenih glagola prevedeno na sledeči način: imperfetto 55 pas sato remoto 111 passato prossimo 11 trapassato prossimo 29 Dakle, samo u 11 slučajeva prevodilac je ostao verán obliku koji je našao 18 u originalu . Medjutim, do'oicemo jasniju s liku o raspodeli srpskohrvatskih složenih perfekata u italijanskom prevodu ako istaknemo kojim su sredstvi-ma ti oblici prevedeni s obzirom na slovenski glagolski vid: imperfetto zamenjuje 48 puta nesvršeni i 7 puta svršeni vid; passato remoto zamenjuje 41 put nesvršeni i 70 puta svršeni vid; passato prossimo zamenjuje 4 puta nesvršeni i 3 puta svršeni vid; trapassato prossimo zamenjuje 8 puta nesvršeni i 21 put svršeni vid. Drugim rečima, na osnovu poredjenja originala i prevoda možemo konstato-vati da imperfetto zamenjuje • skoro isključivo prošla vremena nesvršenog vida, da su passato remoto i passato prossimo uglavnom neobeleženi sa 18 Napominjemo da je rumunski prevodilac ostao verniji sredstvima koja je našao u srpskohrvatskom originalu, jer je srpskohrvatsko prošlo vreme preneo istim rumunskim oblikom 147 puta. Cf. M. D. Savič, Cum se reflecta aspectul verbal sirbocroat in limba rom&na (u Ana-lele Societajii de limba romana din Voivodina 2, Zrenjanin 1971, str. 25-39 i posebno str. 29). 198 gledišta slovenskog glagolskog vida kao i da trapassato prossimo ističe pretprošle radnje bez, obzira na njihovu slovensku vidsku obeleženost. Dakle, italijanski način iskazivanja prošlosti zasniva se, kao romanski, na opoziciji imperfetto/passato remoto, odnosno na opoziciji opisivanje/ pripovedanje. što se - reklo bi se - prilično nejasnije postiže sredstvima kojima raspolaže srpskohrvatski jezik kao književni. Ali u naizmeničnom nizanju srpskohrvatskih perfekata nesvršenog i svršenog vida, s jedne, i italijanskih imperfekata i passata remota, s druge strane, ima izvesne analogije: ako zapostavimo ostala prošla i pretprošla vremena kojima se poslužio italijanski prevod, pa se zaustavimo u pomenutom poglavlju is-ključivo na oblicima imperfetta i passata remota, ne vodeči računa o onome što oni supstituiraju u originalu, videčemo da je prvih od njih 45,19 %, a drugih 54,81 %, što znači da stoje u približno istom odnosu kao prošla vremena nesvršenog i svršenog vida u srpskohrvatskom originalu. Podjimo sada obrnutim putem, tj. razmotrimo sredstva za iskazivanje pre-teritalnosti u pomenutom italijanskom originalu zadržavajuči se isključivo na oblicima imperfetta i passata remota da bismo potom videli kako su prevedeni na srpskohrvatski. A u pomenutom originalu - da se ponovo po-služimo statističkim podacima - nailazimo na 103 imperfetta (53,92 %) prema 88 passata remota (46,08 %), tj. srecemo otprilike isti odnos koji smo konstatovali i u prethodnom srpskohrvatskom originalu i u njegovom italijanskom prevodu. Izvesna disproporcija na koju se nailazi u primeni dvaju vremena u nekim vrstama rečenica vezana je - kao što smo i ranije pominjali - za posebne zahteve italijanske sintakse. Što se tiče srpskohrvatskog prevodioca, on je skoro bez izuzetka prevodio imperfetto prošlim vremenom nesvršenih glagola (pribegavajuči i nekim drugim mogucnostima za koje mu pruža mogučnost srpskohrvatska konjuga-cija), dok je passato remoto povremeno prevodio, ne samo prošlim vremenom svršenih glagola - kako bi neupiičeni eventualno očekivali - , več po-nekad i prošlim vremenom nesvršenih glagola. Učestalost u kojoj se po~ javljuje srpskohrvatsko prošlo vreme nesvršenog vida kao zamena za oblike 199 italijanskog passata remota umnogome prevazilazi učestalost kojom prošlo vreme svršenih glagola dolazi umesto italijanskog imperfetta. Naglasimo još da je retko passato remoto preveden aoristom, uzev da ovaj oblik srpskohrvatske konjugacije postepeno sužava svoju primenu. A sve to ukazuje kako je prevodilac - držeči se svoj jezičkog osečanja - uspeo da romanski temporalni sistem (u ovom slučaju italijanski) zameni slovenskim (u ovom slučaju srpskohrvatskim) vidskim sistemom. Ukažimo sada na broj prošlih vremena na koja smo naišli u odgovarajučem srpskohrvatskom prevodu, ne vodeči računa ni o italijanskom originalu ni o glagolskim sredstvima koja su u njemu upotrebljena. A takav pregled, opet statistički, moči če da nam potvrdi ono što smo i rani je istakli: postoji izvesna ujednačenost u upotrebi prošlih vremena nesvršenog i svršenog vida i u ukupnom broju i u pojednim vrstama rečenica. Ako smo u analiziranom originalu Kasolinog dela našli 103 imperfetta i 88 passata remota (ukupno 191 oblik), srpskohrvatski prevod pokazuje 136 prošlih vremena nesvršenog vida i 162 svršenog vida, dakle ukupno 298, što treba opet pripisati razlici izmedju italijanske i srpskohrvatske sintakse, jer prva od njih iskazuje temporalne odnose putem velikog broja raznolikih glagolskih vremena i drugih konstrukcija, dok druga ima na raspolaganju uglavnom prošlo vreme u dva različita vida. Disproporcija je povečana i izvesnim brojem trapassata prossima koji su prevedeni na srpskohrvatski prošlim vremenom kao i jednim brojem trapassata prossima koje nismo uzimali u obzir pri analizi originala. Kako se u poglavlju iz Kasole koje smo analizirali nalazi i dobar broj passata prossima, s obzirom da se javljaju u dijalogu, to je red da se i na njih osvrnemo. Njih je ukupno 45. A srpskohrvatski prevodilac preveo ih je samo 14 puta prošlim vremenom nesvršenih glagola, a 31 put prošlim vremenom svršenih glagola, te je proporcija približno 1 : 3. Pre nego što završimo izlaganje smatramo za potrebno da navedemo po' jedan odlomak iz analiziranih poglavlja zajedno sa odgovarajučim prevodima, 200 i to bez upuštanja u dalju anaíizu, ali ističuči oblike na kojima se zadrža-vamo, kako u originalima tako i u prevodima. Čamil je čovek "mešane krvi", pričao je Haim, od oca Turčina i majke Grkinje. Majka mu je bila čuvena grčka lepotica. Smir-na, grad lepih Grkinja, nije videla takav stas, takvo držanje i takve plave oči. Udali su je u sedamnaestoj godini za Grka, teškog bogataša. (Haim pomenu neko ludačko grčko ime, izgo-varajuči ga kao što se izgovara ime neke poznate dinastije). Imali su svega jedno. dete, žensko. Kad je_devojčici bilo osam godina, Grk je naprasno umro. (str. 59) Čamil e un uomo di "sangue misto", raccontava Haim, di padre turco e di madre greca. La madre fu una nota bellezza. Smirna, la cittk delle belle greche, non aveva mai visto un simile corpo, un tale comportamento e degli occhi cosí azzurri. La sposarono a diciasette anni con un greco, ricchissimo. (Haim menziono un lungo cognome greco, pronunciándolo nella stessa maniera come si pronuncia il nome di una dinastía assai nota). Ebbero una sola figlioletta. Quando la bambina aveva otto anni, il ricco greco morí improwisamente. (str. 61) Era ormai il crepuscolo. Gia nella vallata la pioppeta non si distingueva piu bene, era solo una macchia chiara tra lo scuro dei campi. Al di la vista spaziava su successive ondulazioni del terreno, quali nude, quali coperte di bosco; qualche lume brillava ñoco. A quell'ora Mara aveva sempre avuto l'abitudine di trattenersi fuori; solo quando era proprio notte sentiva 1' impulso a rientrare in casa. Sul piazzale incontro Mauro che spingeva a mano la bicicletta. - Che ti e successo? - H o bucato la ruota di dietro, - rispóse Mauro. - E perche non l'hai accomodata? - Ma si, mica metteva conto. Ci vedevo poco, e poi, non mi faceva voglia. - lo ero andata al forno a cercare la gatta; sai, va sempre a nascondersi li sotto, quando b vicino a partorire. Mi sono messa a spostare le casse, ma non m'e riuscito mica di trovarla, (str. 40) Več je padao mrak. Dolje se u dolini topolik nije više dobro razaznavao i nazirao se samo kao svijetla mrlja na tamnim livadama. S one se strane pogled širio po susjednim talasima terena od kojih su neki bili goli, a neki pošumljeni; poneka svjetlost 201 sumorno treperila. U te se sate Mara uvijek voljela zadrža- vati izvan kuce, ali kad bi zaista zanocilo, zaželjela bi se vra- titi kiiči. Na trgu je srela Maura koji je_ rukom vukao bicikl. - Šta ti se desilo? - Probušio mi se stražnji točak - odgovorio je Mauro. - A zašto ga nisi popravio? - Ah, daj nije imalo smisla. Bio je sumrak a, potom, nišam ni imao volje. - Ja sam bila otišla do peči da potražim mačku, znaš, uvijek se onde dolje skriva kad treba da se omaci. Bila sam počela pomicati sanduke, ali je nišam mogla pronači. (str. 44-45) Završavajuči izlaganje možemo ponoviti neka zapažanja do kojih smo došli empiričkim putem. Sistem opozicije za iskazivanje prošlosti koji postoji u italijanskom (i u romanskim jezicima), a koji je zasnovan na dihotomiji imperfekat/prosti (složeni) perfekat (u italijanskom imperfetto/passato remoto (passato pros-simo), upotrebljava prvi oblik za opisivanje radnje a drugi za pripovedanje. Izmedju pomenutog sistema i sistema opozicije koji postoji u srpskohrvat-skom (i u večini slovenskih jezika), zasnovanog na dihotomiji prošlo vreme nesvršenog vida/prošlo vreme svršenog vida, nemogučno je uspostaviti vezu u pravom smislu reči. Cinjenica je, medjutim, da se večina srpsko-hrvatskih prošlih vremena nesvršenog vida prevodi italijanskim imperfettom,, A što se tiče srpskohrvatskih prošlih vremena svršenog vida, ona se prevode pretežno italijanskim passatom remotom: ova pretežnost stoji - ako govorimo uopšteno - u obrnutom odnosu sa stanjem koje smo konstatovali poredjujuči funkcije srpskohrvatskih prošlih vremena nesvršenog vida i italijanskih imperfetta. Ako se osvrnemo na passato prossimo, taj oblik se, poput passata remota, češče poklapa sa srpskohrvatksim prošlim vremenom svršenog vida nego s istim vremenom nesvršenog vida. Pa kako nismo u stanju da utvrdimo bilo kakvu dalju analogiju izmedju gla-golskih vremena na kojima smo se zaustavili u dva jezika a da pri tome ne zaobidjemo različite sisteme koji u njima postoje, podvuči čemo: 202 zapostavljajuči temporalnost, srpskohrvatski pribegava glagolskom vidu pri upotrebi jedinog vremena za iskazivanje prošlosti i pretprošlosti (ne vodimo računa o ostalim glagolskim vremenima koja mogu da posluže u ovu svrhu, ali koja su periferna), dok ne ističe posebno razliku izmedju opisivanja i pripovedanja (odnosno, za to ima na raspolaganju i vankonju-gaciona sredstva); italijanski, koji ima na raspolaganju više glagolskih vremena za tačno iskazivanje stepena temporalnosti (različite prelive za prošlost i pretprošlost), stavlja težište na opisivanje i pripovedanje, iz-lažuči postepeno radnje kako za prošlost tako i za pretprošlost, pri čemu ne poznaje glagolski vid (i ne oseča potrebe za njim). Razlike koje postoje na ovom mestu izmedju dva jezika jesu očite: iako postoji vidska suprotnost izmedju radnje iskazane imperfettom i radnje iskazane passatom remotom (passatom prossimom) u italijanskom jeziku, ona se nikad ne podvlači jasno i rigorozno kao suprotnost koja postoji izmedju radnje iskazane prošlim vremenom nesvršenog i radnje iskazane prošlim vremenom svršenog vida u srpskohrvatskom jeziku; prva se zasniva na temporalnosti i ne poznaje aspektualnost, dok druga ističe as-pektualnost zapostavljajuči temporalnost. Podsetimo još da osobenost koju poseduje talijanski (i romanski) imperfe- kat - buduči da je ponekad perfektivan sa gledišta aspektualnosti slovenskih jezika - omogučuje izvesnu plastičnost izražavanja koja reaktualizuje prošlu radnju, dok srpskohrvatsko (i slovensko) prošlo vreme nesvršenog vida nije u stanju da pruži istu nijansu bez morfološko-semantičkih promena, 19 što otvara prostor za dalja istraživanja u ovom pravcu . 19 Gerhard Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten II, Bern 1948, str. 474: "Nicht ungewöhnlich ist das Imperfektum zum Ausdruck eines historischen Geschehens im Sinne eines 'passato remoto', besonders wenn der Erzähler die Ansicht verfolgt, das Geschehen vor den Augen des Lesers noch einmal abrollen zu lassen ..." Ista mogucnost srece se i u ostalim romanskim jezicima. 203 Ne radi li se, naposletku, o odsustvu novog glagolskog vida u romanskim jezicima, odnosno o postojanju necega sto bismo mogli da nazovemo ostatkom indoevropskog pravida a sto je sasvim potisnuto temporalnolcu, kako je to dokazano i za latinski jezik?! Résumé L'ASPECTUALITÉ ET LA TEMPORALITE SERVANT À EXPRIMER LA CATÉGORIE D'ANTÉRIORITÉ DANS LES LANGUES SLAVES ET NON SLAVES L'auteur examine la relation existant sur ce point entre les deux systèmes après avoir exposé que la plupart des langues slaves ont remplacé, à une époque relativement récente, le système temporel par celui qui exprime l'aspectualité et que les langues romanes ont fortement conservé et consolidé la conjugaison fondée sur les formes temporelles. Dans le développement de sa thèse, il renonce au terme "aspectualité" appliqué aussi par quelques linguistes aux phénomènes des langues non slaves. Il met ensuite en évidence la divergence et la convergence des deux systèmes en recourant aux exemples qu'offrent les langues serbocroate et italienne. Ce procédé résulte du fait suivant: l'italien dispose d'une riche conjugaison, dépassant toutes les autres langues romanes, tandis que le serbocroate, en se développant a la périphérie du monde slave, a fait disparaître relativement tard la plupart des formes verbales; en outre, les dialectes des deux langues manifestent certaines analogies. L'étude ne se restreint qu'à la catégorie temporelle indiquant l'antériorité (c'est-à-dire le passé et le prétérit du passé) et n'aborde pas la contempo-ranéité (c'est-à-dire le présent) car cette première catégorie permet de mieux distinguer la différence essentielle entre les deux systèmes. 204 Anton Grad Ljubljana CDU 808.63 - 312.4 K ETIMOLOGIJI SLOVENSKEGA ORONIMA NANOS Izvor slovenskega gorskega iména NANOS, notranjske planote, raztezajoče se med Vipavo in Razdrtim, je še vedno nepojasnjen. Tako piše Fr. Bezlaj, Eseji o slovenskem jeziku, str. 93, da "si še ne znamo razložiti imen kot Caven in Nanos"; dostavlja še, da je v Srbiji ob Drini gora PANOS, da pa verjetno oboje, t. j. Nanos in Panos, nima nič skupnega s slovenskim nos niti z nositi. Tudi ugledni tržaški lingvist M. Doria v svoji zanimivi razpravi "Toponomástica Langobarda a Trieste e sul Carso* ob italijanskem imenu naše 2 gore, t. j. MONTE RE (= Kraljeva gora) omenja, da je slovensko ime NANOS "di origine molto oscura" (= zelo nejasnega izvora). Ime NANOS, oziroma točneje povedano njegov nemški zastopnik, je zabeleženo že razmeroma zgodaj v zgodovinskih virih; kot omenja slovenski 3 geograf VI. Leban v svoji razpravi "NANOS" , ga zasledimo v urbarju vipavske graščine iz 16. stoletja (v urbarju iste graščine s konca 15. stoletja ga še ne najdemo); urbar iz leta 1572 namreč beleži nemško ime 1 Lingüistica XI (1979), str. 94 ss. 2 Latinsko ime M O N S REGIS (Kraljeva gora) kot prvi navaja benediktinec Paolo Diácono, po rodu Langobard, v svojem delu Historia I angobard., II 8, ker naj bi se bil langobardski kralj Alboin pred vstopom v Italijo povzpel na vrh Nanosa, da bi se prepričal o razsežnosti in rodovitnosti njenih tal. Poleg imena Monte Re pa nekateri poznejši avtorji navajajo tudi ime Monte Reggio, Monte Regio. M. Doria, 1. c., tudi omenja, da je pred-latinsko ime naše gore bilo (Mons) Ocra, t. j. i.-é. ok'r "koničast, ošiljen, štrleč". 3 Geografski Vestnik XXII, str. 100 ss. 205 ANASPERG (= ANASBERG), ki je istovetno s slovenskim imenom NANOS. Valvazor, Die Ehre, knj. II 268, pa nudi obliko NANAS, ki jo srečamo tudi v Florjančičevi karti Kranjske iz leta 1744. Mislimo, da ne sklepamo napačno, če tako za zgoraj omenjeno obliko ANASPERG iz vipavskega urbarja kot za Valvazorjevo obliko NANAS domnevamo kar precej zanesljivo možnost nastanka iz nekoliko popačene slo- 4 venske oblike NANOS , ki bi potemtakem bila starejša kot oba nemška refleksa našega imena. Kot že uvodoma omenjeno, pa je doslej etimologija slovenskega NANOS še nepojasnjena; moremo se le vprašati in ugibati, ali je to ime slovenskega izvora, ali prihaja iz romanščine, mogoče tudi iz langobardščine, ali pa je morda celo predrimsko. Ker nimamo zapisov, ki bi bili starejši od zgoraj navedenih, smo pač prisiljeni izraziti le gole domneve glede njegovega nastanka. V naslednjih vrsticah bi predložili hipotezo o morebitnem romanskem izvoru našega imena. Na južnem delu nanoške planote se dviga kvišku nosu podoben vrh, ki ga italijanska špecialka ( 1 : 25.000), prirejena po nemški vojaški karti, dejansko označuje z imenom Naso di Monte Re (= Nos Kraljeve gore). Ta oznaka, nastala po metafori zaradi podobnosti iz planote štrlečega vrha s človeškim nosom, molečim iz obraza, nas ne more presenečati, saj vemo, da so metaforični nazivi v gorskem imenoslovju pogostni, prim. slov. Triglav ( = gora s tremi glavami = vrhovi), Stol, Babji zob, Konj, Kepa, Kopa, Sedlo, Dolgi hrbet, Štruca, nem. Matterhorn itd. 4 Nanas bi bilo nastalo iz Nanos po progresivni samoglasniški asimilaciji a - o ]> a - a; Anas (berg, gora) bi bilo nastalo po di-similacijskem izpadu začetnega n: n - n O - n, ter progresivni asimilaciji a - o ]> a - a. Glej tudi opombo 6ai 206 Morda smemo domnevati, da je že v stari, rimski dobi romanske prebivalce v bližini naše-gore iz planote štrleči vrh spominjal na človeški nos ter je tako v ljudski govorici po metafori gora dobila (romansko) ime N A S O , oziroma, ker gre za velik nos, avgmentativno obliko N A S O N E , ljudsko N A S O N (izg. nason, velik nos), stvorjeno iz latinskega samostalnika n a s o (= nos) z dodatkom romanske povečevalne pripone -one, ljudsko -on (z ozkim, zaprtim 9 ). Slovanski priseljenci - začetek njihovega naseljevanja na tem področju sega v drugo polovico šestega stoletja - bi morda bili, po naši domnevi, privzeli romansko ljudsko ime naše gorske planote, t.j. NASON, ki pa bi bilo v slovenski izreki doživelo važno glasovno spremembo v svoji strukturi, namreč premeno (metatezo) soglasnikov s_ in končnega n: g s - n ]> n - s: Nason Nanos ; ni izključeno, da bi bila pri tej spremembi igrala pobudno ali celo vzročno vlogo pomensko odgovarjajoča g slovenska beseda nos (ljudska etimologija, attraction paronymique!) ; če je spočetka slovanska beseda imela poudarek na končnem zlogu (Nanos), 5 Podobno metatezo navaja Skok P„, Etimologijski rječnik hrvatskoga ili srpskoga jezila (1971), I 210, s. v. brijeg za Zagreb: "Zabreg za obalom Medveščaka, danas Zagreb", torej metateza b - g > g - b. 6 a) Ker je bil psi. o odprt glas - glej Ramovš, Kratka zgodovina slovenskega jezika, str. 39 - so ga Germani (in Romani) v najstarejši dobi, nekako do 10. stoletja, v besedah oziroma imenih, privzetih od Slovanov, substituirali s svojim a, npr. slov. vodomot* nem. (u)adamunta, Adamunta 1. 1005, (danes Admont), slov. oralo (preprost plug) nem. arala, (danes Ari); tako bi tudi slov. Nanos v nemškem izgovoru bil lahko dobil obliko Nanas, če bi se bila izposoditev izvršila v tako zgodnji dobi, t. j. pred 10. stoletjem, kar pa se nam za naše področje zdi zelo malo verjetno; b) Mogoče so tudi Langobardi, neposredni predhodniki Slovanov -a za kratko dobo - na našem ozemlju, za oznako naše gore podobno metaforično uporabljali svojo besedo napp(j)a "nos, štrlina", ki jo navaja E. Gamillschegg, Romania Germanica, II 152. 207 bi se bil le-ta pozneje prenesel na prvi zlog, verjetno zaradi pogosto rabljene besedne zveze na Nanos, v kateri bi bil predlog na pritegnil 7 poudarek na prvi zlog ; pojav prenosa s končnega na začetni oziroma 8 predstoječi zlog v toponomastiki pa omenja tudi Skok , navajajoč Skedenj (pri Trstu) za Skedenj, Kaberd za Kobarid. Naj dodamo še naslednjo pripombo: ko bi bili priseljeni Slovani sprejeli našo domnevano romansko besedo N a s o n nespremenjeno, t. j. da se ne bi bila izvedla zgoraj navedena metateza, in to že jako zgodaj, bi bila le-ta doživela pri Slovanih spremembo v N a s i n ali Nosfn, ker so poudarjeni romanski zaprti (ozki) o Slovani slišali kot u, ki je 9 preko £ prešel v _i ; če pa bi se bila izposoditev izvedla nekako go 9. stoletju, pa bi zelo verjetno bili dobili obliko Nasun ali Nosu Glede starosti izposoditve našega imena bi se nagibali k mnenju, da bi se bila naša domnevana izposoditev - in istočasna premena besede - verjetno bila izvršila pred 9. stoletjem. 7 Primerjaj: primer, toda na primer; večer, toda na večer. 8 P. Skok, Toponomastički problemi, Istoriski časopis Istoriskog instituta SAN, knj. III, 24, Beograd 1952. 9 Primerjaj: Roma Rim, Ancona > Jakin, Scardona Skradin, Albona > Labin, Salona Solin, furl. Cormon(s) > slov. Krmin, Glemona > Gumin, cruce croce, furl. crože > slov., hrv. križ itd.; za prehod ozkega, zaprtega o > u > y > i glej Grad, K etimologiji slovenske besede križ, Lingüistica XII (1972), str. 97. 10 Prim. Mašun, Mošun (pri Snežniku) < rom. ma(n)sion(e). 208 Résumé CONTRIBUTION À V ETYMOLOGIE DE L'ORONYME SLOVENE NANOS Pour l'origine de l'oronyme Slovène NANOS (à l'est de Trieste), obscure jusqu'ici, l'auteur propose, en se basant sur le nom italien de la montagne, à savoir Naso (= nez ) di Monte Re, la base romane JST a s o n (= gros nez), désignation populaire - supposée par l'auteur - de la montagne, d'où par metathèse s - n n - s, en Slovène NANOS. 209 Jože Toporišič, Ljubljana CDU 808.63 -01 STRUKTURALISMUS IN DER SLOVENISTIK (AM BEISPIEL DER WORTARTENTHEORIE)* 0 Dieser Aufsatz ist so konzipiert, daJ3 ich am Anfang die strukturalistische Linguistik in der Slovenistik ganz kurz vorstelle, dann aber über die strukturelle Theorie der Wortarten im Slovenischen berichte. 1 Strukturalistische Ansätze der Sprachbetrachtung haben wir etwa schon im 18. Jahrhundert, ausgeprägter vornämlich bei M. Pohlin (Grammatik1 1783), der sich bemüht eine Liste minimaler phonologischen Paare aufzustellen, so z. B. beim Konsonantismus (stimmhafte - stimmlose Nichtsonanten wie etwa piti -biti) , aber auch beim Vokalismus (etwa piti - peti) . - Eigentlich im Sinne der spontanen strukturalistischen Sprachbetrachtung ist auch unsere erste wissenschaftliche Grammatik der slo- 2 venischen Sprache von B. Kopitar (1808/09) entstanden, die jedoch nur die phonetische und schriftliche, hauptsächlich aber morphologische Ebene unserer Schriftsprache erfaßt. Später, in den letzten Jahrzehnten dieses, 19. Jahrhunderts, hatten wir noch einen Vorläufer des Strukturalismus: es ist Pater Stanislaus Skrabec (seine Veröffentlichungen fallen in die Jah- 3 re 1870-1915). Er stand auch bereits in Verbindung mit J. Baudouin de Courtenay, der in den 70-er Jahren (und später, von Dorpat und anderen russischen Universitäten aus) slovenische Dialektologie betrieben hatte (z. B. Veröffentlichungen über den resianischen Dialekt, über die slovenisch-venezianischen Dialekte, über den Dialekt von Cerkno und Bohinj-Posavje, und anderes 4 mehr). Besonders interessant ist die letztgenannte Arbeit Baudouin de Courtenay's, weil er in ihr die strukturelle Auffassung der Entwicklung des slovenischen Vokalismus vorgezeichnet hat. Der echte, zeitgenössische Strukturalismus meldete sich dann bei uns erst in den 30-er Jahren unseres Jahrhunderts, und zwar unter dem direkten Einfluß von Fürst Trubeckoj, der wohl einige * Gelesen an der Universität in Helsinki3 November 1982. 211 Arbeiten seines Schülers, Alexander Isačenko, angeregt hat. Das wichtigste strukturalistische Werk aus dieser Zeit ist Isacenko's Buch über eine slovenische Mundart in Kärnten"* (im Österreich). Es ist interessant festzustellen, daJ3 der slovenische junggramma- g tische Linguist, Fran Ramovš, dieses Buch gefördert hat; irgendwie wieder anregend stand er in den ersten Nachkriegsjähren auch mit einem anderen Strukturalisten in Verbindung, mit Radivoj Franciscus Mikuš, der zwar nur französisch schrieb, der aber unter anderem Alexander Belič's Syntagmatiklehre einer scharfen 7 Kritik unterzogen hat, und zwar in einem Buch, das bei der Slovenischen Akademie der Wissenschaften (deren Präsident Ramovš damals war) erschienen ist. Die neueste Phase des Strukturalismus haben wir seit den 60-er Jahren. Da müsste ich zeitlich wohl mich selbst an die erg ste Stelle setzen (Probleme der slovenischen Schriftsprache), 9 etwas spater begann Jakob Rigler strukturalistisch zu schreiben (auf nichtslovenischem Gebiet noch ein wenig später Janez Oreš-nik ). In letzter Zeit haben wir auch eine jüngere strukturalistisch orientierte Generation, hauptsächlich auf dem Gebiet der Problematik der slovenischen Schriftsprache. 2 Und jetzt zum eigentlichen Thema. 2. 1 Eine Theorie der Wortarten im Slovenischen gibt es seit dem 16. Jahrhundert: damals, 1584, erschien nämlich unsere erste Grammatik, Adam Bohorič's Arcticae horulae,1 verfaßt also in lateinischer Sprache. Die Theorie (nicht nur der Wortarten) wurde vom Latein übernommen (Melanchton). Danach hätten wir im Slovenischen Nomina (Substantiva und Adjektiva zugleich), Nume-ralia, Pronomina, Verba, Partizipia, Adverbien, Präpositionen, Konjunktionen und Interjektionen zu unterscheiden (in der Schriftsprache möglicherweise auch noch den Artikel). Diese Wortarten wurden hauptsächlich nich besonders definiert: für diese Probleme wurde man einfach auf die betreffenden Stellen der lateinischen Grammatik verwiesen (wie z. B. auch in der Grammatik von B. Kopitar). Wenn man später die Wortarten dennoch definierte, dann nach (hauptsächlich) semantischen oder etymologischen Blickpunkten, wie z. B. in der sogenannten traditionellen, d. h. 212 vorstrukturalistischen, Grammatik (die letztere erschien bei uns 1956, Autorenkollektiv12). 2.2 Nach dieser Grammatik gibt es im Slovenischen folgende Wortarten: Substantiva, Adjektiva, Pronomina, Zahlwörter, Verba, Adverbien, Präpositionen, Konjunktionen und Interjektionen (in der angegebenen Reihefolge). Definiert werden diese Wortarten, wie folgt: (1) Substantiva: "Wörter, die wir den Gegenständen und Begriffen auferlegen, sind Substantiva."13 Später im Text werden "Wörter" auch "Namen" genannt. -(2) Adjektiva: "Die kursiv gedruckten Wörter werden den Substantiven beigelegt, deswegen nennen wir sie Adjektiva /slov. pridevati 'beilegen', pridevnik 'Adjektiv, d. h. das Beigelegte/. /.../ Sie bezeichnen die Qualität, die Posessivi-tät oder die Art /.../."14 - (3) Pronomina: "Um /Nomina/ in unmittelbarer Nähe nicht wiederholen zu müssen, setzen wir an ihrer Stelle Pronomina ein." - (4) Zahlwörter: "Flektierte Wörter, die die Zahl, Reihenfolge, Zahldis-tinktion oder Vielfältigkeit von Sachen verzeichnen, nennen wir Zahlwörter. Der Form nach sind Zahlwörter: 1. Kardinalia, 2. 16 Ordinalia, 3. Distinktiva, 4. Multiplikativa." - (5) V e r-b a : "Verba sind Wörter, die besagen, was jemand tut oder was mit ihm geschieht.1,17 - (6) Adverbien: "Adverbien sind unflektierte Wörter, die einen Ort, eine Zeit, eine Ursache und eine Art oder ein MajS bestimmen, /oder/ sie legen einen Nachdruck auf die Wörter im Satz oder aber bestimmen das 18 Verhältnis gegenüber dem Ganzen Gedanken." Demnach sind sie als lokale, temporale, kausale, modale, quantitative, hervorhebende oder gedankliche Bestimmungen aufzufassen. - (7) Präpositionen: "Sie werden so genannt, weil wir sie vor die Nomina setzen. /Nomina sind laut S. 132 Substantiva oder Adjektiva./ Sie sind flektionslos und mit ihnen werden Verhältnisse zwischen zwei Gegenständen ausgedrückt. Sie verbinden 19 sich mit allen Kasus, nur mit dem Nominativ nicht." - (8) Konj unktionen: "Konjunktionen verbinden Wörter und Sätze." -(9) Interjektionen: "/Mit Interjektionen/ versucht die Sprache die natürlichen Laute der Ausrufe, 213 Schreie, Geräusche, Tierstimmen usw. unmittelbar nachzuahmen/;/ mit ihnen werden unmittelbare Schreie und Aufrufe /nachgeahmt/, /bzw./ versucht die Sprache lautlich verschiedene Geräusche, Poltern, Krächen in der Natur, die Stimmen der Tiere nachzuah- 21 men. /.../ die Interjektionen sind keine echten Satzglieder." Nach der Funktion im Satze werden z. T. hauptsächlich sogenannte grammatische Wortarten bestimmt; an zweiter Stelle stehen die Wortartenbestimmungen nach der Flektierbarkeit. So erfährt man aus unserer traditionellen Grammatik, zwar nicht immer an den gehörigen Stellen, z. B. daiJ die Nomina flektiert (6 Kasus) , die Verba konjugiert (3 Personen) werden in drei Numeri, Adjektiva auch gesteigert werden, bei den Verben aber auBerdem auch die Zeit, der Modus und das Genus ausgedrückt werden können. Beim Substantiv unterscheide man auch das Geschlecht, und danach dann auch bei den "syntaktisch verbundenen Formen (der 22 Adjektiva und Partizipia)". Dazu noch: "Die Morphologie muß 23 uns die ganze bunte Menge der Wortformen zeigen", denn "die 24 Morphologie zeigt uns die Flexion der Worter". Und so - verstreut - noch dies und jenes. Systematisch werden am Ende der betreffenden Abschnitte noch "der Gebrauch" bzw "die Bedeutung" 25 der Wortarten angegeben. 2.2.1 Die Unzulänglichkeiten solcher Bestimmungen sind offensichtlich und den Linguisten zum Teil auch schon bewußt. Als Beispiel möchte ich die Kurze deutsche Grammatik von H„ Paul und H. Stolte (2. Aufl., 1951) anführen, die sich z. B. bewu-St ist, daJ3 Pronomina substantivisch, adjektivisch und ad-verbiell sind und dennoch als eine selbständige Wortart in den Grammatiken behandelt werden. Ab und zu muite man auch verschiedene Wortarten (z. 3. Adjektiva, adjektivische Pronomina, Zahlwörter und Partizipia) angesichts derselben syntaktischen (oder auch morphologischen) Funktionsaufgabe (und Stelle) mit einem gemeinsamen Nenner versehen, etwa bei der Behandlung der Satz- 2 6 glieder (attributive Funktion), und so gelang man z. B. zu einem Ausdruck wie "adjektivisches Wort". Vergleiche z. B. noch die Feststellung, daß "koordinierte Attribute regelrecht vor 27 ihrem Namen stehen", oder Verweisungen auf die adjektivische 214 Deklination der Pronomina: "Die possesiven Pronomina sind gemäjS 2 8 ihrer Form Adjektiva", oder: "Demonstrative Pronomina haben Endungen für das Maskulinum, Femininum und Neutrum wie Adjekti-29 va", oder: "/Außer kdo und kaj/ werden alle übrigen interrogativen Pronomina als Adjektiva dekliniert".30 Ähnlich dann noch 31 32 für die Relativa, Indefinita und Numeralia (jedoch nur für die Ordinalia): "Der Form nach sind die Ordinalia bestimmte Adjektiva ohne unbestimmte Form"33 (ähnlich für die Disjunkti- 34 35 va und Multiplikativa ). Auch für Partizipien wird gesagt, da.fi "sie adjektivisch oder adverbiell gebraucht werden können, 36 so die auf -c, während bei dem periphrastischen Partizipium 37 auf -l und beim Partizip auf -t oder -n nur auf die Genus-und Numerusmotion verwiesen wird. Am Ende dieser Übersicht der Bestimmungen der Wortarten in der traditionellen Grammatik soll noch darauf aufmerksam gemacht werden, da bei den Verbformen meistens nicht die Frage gestellt wird, was z. B. der Infinitiv oder das periphrastische Partizipium oder das Gerundium als Wortarten wären. (Sind sie etwa Unterwortarten vom Verbum?) In der Slovenska slovnica 1956 liest man darüber folgendes: "Der Infinitiv- ist eine nicht flektierte Verbform, die die Natur eines Substantivums 3 8 und Verbums hat", also beides zugleich. Das Supinum "kann 39 nicht flektiert werden und ist unpersönlich". Das Partizipium auf -5: "Im Grunde und der Herkunft nach ist es eine Verbform, nach den Endungen und dem Satzgebrauch aber ein Adjekti-vum"; "im Satz werden sie als Attribute oder substantivische Adjektiva gebraucht und werden formell als andere Adjektiva abge- 40 ändert, nur Steigerung kennen sie nicht". Das Partizipium auf -si: "/Es dient/ als Attribut. /.../ Einige von ihnen sind 41 schon ganz zu Adjektiven geworden." Das Partizipium auf -£/-rc: "Mit diesen Partizipien wird der Zustand, der nach vollbrachter Tat eintritt, ausgedrückt" (soweit sie von perfektiven transitiven Verben gebildet werden), bzw. "eine ausgesprochen adjektivische Bedeutung haben und mit ihnen wird ein Zustand, der nach Vollstreckung der Tat eintritt, ausgedrückt" (soweit sie von imperfektiven Verben gebildet werden, und in diesem Falle "kön- 215 nen sie nicht zur Bildung des Passivums der imperfektiven Verben 42 gebraucht werden"). Cf. auch noch: "Mit dem passiven Partizipium /.../ wird der Passiv nur von jenen perfektiven Verba, die „43 über ein Partizipium auf -n oder -t verfugen, gebildet." Das periphrastische Partizipium auf -l: "Ohne das könnten wir keine Tempora und Modi bilden" bzw "/Es hat auch/ passive Bedeutung 44 und mit ihm wird der Zustand ausgedruckt", was auf Falle wie gnilo sadje oder Osirotetih otrok so se usmilili odrasli bezogen wird. Möglicherweise ist die Behandlung der Wortarten in unserer, slövenischen, traditionellen Grammatik noch besonders unzulänglich (manchmal geradezu hilfslos) und bedarf einer gründlichen theoretischen Überprüfung, die ich nun im Folgenden vorzulegen versuche. 45 2.3 Nach meiner Theorie gibt es in der slövenischen Schriftsprache (Hochsprache) folgende 9 Wortarten (10, wenn man auch die allgemeine Umgangssprache berücksichtigt wird): 1. das Substantival/substantivische Wort (kurz auch einfach Substanti-vum), 2. das Adjektival/adjektivische Wort (Adjektiv), 3. das Adverbium, 4. das Verbum, 5. das Prädikativum, 6. die Präposition, 7. die Konjunktion, 8. die Partikel, 9. die Interjektion, (10. der Artikel). Gegenstandsbezogene Wortarten sind 1. bis 5., grammatische 6. bis 8. (und 10.), die Interjektion ist aber als ein Satz-Wort aufzufassen. 2.3.1 Das Substantivum ist jedes Wort, das als ein Parti-zipant (sei es Aktant oder Zirkumstant) im Satz gebraucht werden kann: also nicht nur traditionelles Substantivum, sondern auch das substantivische Pronomen {jaz ..., kdo/kaj ...) und substan- 46 tivisiertes Adjektivale. Als Substantiva sind demnach aufzufassen auch kleinere Einheiten vom Wort (Bestandteile), z. B. Affixe, Silben, Laute (oder Schriftzeichen), sobald sie eine aktantielle Funktion ausüben, wie z. B. in den Aussagen -ee ist ein Suffix, oder aber # verzeichnet ein langes offnes e, oder e~ ist /'e:/. Es versteht sich also von selbst, da auch die Verbalsubstantiva in der Menge der Substantiva aufgehen. Für das Substantivale relevante Positionen im Satz sind die des Subjektes und Objektes (dann aber auch alle anderen Funktionen). 216 Grundlegende Bestimmung einer Wortart ist nach unsrerer Theorie immer nur die syntaktische. In diesem Sinne ist das Adjektivale also das linke Attribut (lepa hiša, tvoj obraz, ves dan, cvetoče drevo, osvobojen narod, ubiti vojaki, uvele rože, trije delavci, pet šol, mnogo narodov, prvi razred, troje otrok, dvojna leta, troji delavci usw.), natürlich in allen Kasus und in 47 allen Numeri; das Verbum ist das Prädikat (oder der die Person .. 48 49 ausdruckende Teil des Pradikats), das Prädikativum die Prädikationsbestimmung des Hilfsverbs {biti, začeti, morati ...), das Adverbium eine Adverbialbestimmung des Prädikats50 (oder des prädikativen Syntagmas ...). Andere Wortarten sind, da sie im Dienste der Syntax stehen, schon bisher hauptsächlich syntaktisch aufgefasst worden, und zwar: die Präposition als diejenige Wortart, die das Nebenordnungsverhältnis in der Wortgruppe ..51 ausdruckt (most na Drzm) auf der Satzebene entspricht der Wortgruppe die nebenordnende Satzverbindung und der Präposition eine nebenordnende Konjunktion (po prihodu domov je ... = Ko je 52 prišel domov, je ...), also stehen diese beiden Mittel in 53 einem komplementaren Verhältnis zueinender; und die Konjunktion ist entweder das Mittel, das die Gleichwertigkeit/Ebenbürtigkeit verschiedener zusätzlichen Verhältnisse zum Ausdruck bringt (oče in mati, Sedeli so pri ognju in peli pesmi), das sind sogenannte Beiordnungskonjunktionen; von den unterordnen- 54 den haben wir bereits gesprochen und auch schon über die Interjektionen) . Der Artikel (ta mlada, ta mladih) - schon bei Bohorič erwähnt und als unnötigerweise aus dem Deutschen übernommen - wird nicht flektiert, drückt aber die Bestimmtheit einer nominalen Wortgruppe mit einem Adjektivum an erster Stelle aus, oder hilft vielleicht auch nur ein primär adjektivisches Wort zu substantivieren (nach dem Muster ta stara ženska —> 5 5 ta stara). (Der Artikel vor einem Substantivum anderer Art (wie er bei unseren Protestanten im 16. Jh. und zum Teil auch später, vorkommt, z. B. bei Trubar 1555: "peljati To uero inu ta leben pouuki tih Prerokou inu Iogrou" ist ein reiner Germanismus und wurde in der Volkssprache niemals gebraucht. 2.3.2 Natürlich gibt es für die Unterscheidung der Wortarten neben dem syntaktischen Kriterium auch ein 217 morphologisches, das aber geradeso unzureichend ist wie das eingangs von uns schon besprochene semantische Kriterium. 2.3.3 Morphologisch gesehen unterscheidet sich das Substantivum von dem Adjektivum durch den Typus der Deklinationsendungen, was recht augenfällig zu Tage tritt z. B. im Genitiv Sg. der Maskulina und Neutra: dobr-ega clovek-a bzw. lep-ega mest-a und ähnlich mehr. Jedoch ist dieses Kriterium sehr unzulänglich, da wir doch auch Substantiva (und noch besonders substantivische Wörter) haben, die sich nach den Deklinationsendingen nicht unterscheiden, wie z. B. mlad-e^a Kosesk-ega, star-ega KrSk-ega (Koseski ist ein Dichter, Krsko eine Stadt) . Allgemein bewußt ist auch die adjektivische Natur einiger Pronomina, die sonst nur substantivisch auftreten, z. B. k-oga, c-esa, aber auch nj-ega usw. gegenüber men-e/teb-e/seb-e, die die substantivischen Endungen aufweisen. Allein das Verbum ist durch die Endungen genügend kennengezeichnet, wie z. B. in der Form für die 2. Person Sg. -s usw. 2.3.3.1 Es gibt aber noch einige Schwierigkeiten beim Definieren der Wortarten durch morphologische Eigenschaften: in allen gegenstandsbezogenen (d. h. nichtgrammatikalischen) Wortarten können auch Fälle auftreten, in denen Wörter, oberflächlich betrachtet, nicht dekliniert werden (nach unserer Auffassung werden sie mit Nullendungen dekliniert); zum Teil gilt das sogar fürs Konjugieren, so daß man auch generell über die Nichtflektierbarkeit bzw. Nullflektierbarkeit sprechen kann. Auf diese Weise kommt es zu einer (oberflächlichen) Flexionsneutralisation der Wortarten, wo wir doch gegenüber der ordinären, "flektionsnormalen" und also morphologisch unterscheidbaren Reihe (z. B. für den Genitivus clovek-a/mater-e, mlad-ega/mlad-e, sonst aber dela-s, lep-o) eine zweite Reihe haben, in der es diese Unterschiede nicht gibt: ZIS-# (ein Akronym), mami-^, po-ceni-^ 'billig', bi-^. Scharf gegenübergestellt: 1. Sübst.: clovek-a vojvod-e Kosesk-ega - ZIS-0 mam-ig ljubeznivost-i dezurn-e - mami-# mest-a ------Krsk-ega - dcma-^ 218 Adj.: mlad-ega - poceni-^ mlad-e - poceni-^ mlad-e^a - poceni-^ 2. Adv.: lep-o - - poceni-^ Verb.: dela-š - hl-0 Prädik.: delal-^ - tiho delal-a - tiho delal-o - tiho Woraus man also morphologisch klar geprägte, und zum Teil ganz ungeprägte Wortverbindungen und Sätze bilden kann, wie etwa: A B C 1. lepo mesto/lep-# grad-^ poceni mesto/poceni grad-0 mini-^ species-^ 2. lepo delaš poceni delaš poceni bi-^ 3. delal-# si tiho si tiho hl-0 bzw. A: Tako lepega mesta ne najdeš pogosto. B: Takega mini-^ krila ne dobiš poceni. C: Mini species bi bil-^ komaj kos. Wie man daraus ersieht, ist nur das syntaktische Kriterium immer ganz klar, d. h. nur mit ihm kann immer einwandfrei entschieden werden, um welche Wortart es sich im gegebenen Falle in einem Textabschnitt handelt. Die Homonimien sind natürlich ein Problem, das auch im Rahmen dieser Theorie besonders zu lösen gilt. 2.4 Es soll noch auf wenige Zweifelsfragen eingegangen werden. 2.4.1 Die erste von diesen ist wohl, ob es denn auch erlaubt oder klug sei, die Pronomina in den betreffenden Wortarten aufgehen zu lassen, also on mit človek/Janez gleichzusetzen, und dann weiter: njegov = človekov/Janezov, tu = doma wo man doch auch andere Gleichungen aufstellen kann, etwa on - ta človek/kranjski Janez, njegov - od dobrega človeka/od vsakega človeka, tu = na tem mestu, und ähnliches, oder sogar mit einer Satzform: on = kdor dela, ta = .kateri je dober, tu = kjer narcise cveto. Pronomina wären also doch was anderes als Nomina und verdienten demnach als eine besondere Wortart betrachtet zu werden. 219 Dieser Fragestellung können folgende Tatsachen gegenübergestellt werden. Pronomina sind nur eine besondere Gruppe in jedweder Wortart, aber solcher Gruppen gibt es in jeder Wortart eine "unendliche" Reihe, und zwar auf der Axe der Hypero- oder Hyponymik. Diese Behauptung soll auf folgende Art verstanden werden. Die Menge der Substantiva moški, žena, otrok - jelen, mačka, tele - drevo, solata - hiša, ladja - aluminij, žveplo können durch Hypernymen človek - žival - rastlina - objekt -element ersetzt werden, diese weiter durch živo, neživo (im biologischen Sinn), beides wieder durch človeško bzw. neclbveško, was bereits ihre Entsprechungen in den Pronomina kdo und kaj hat (kdo umfasst auch Personalpronomina). Ahnlich auch bei den Adjektiven und Adverbien. Was die Verschiedenheit A das Wort - B die Wortgruppe - C der abhängige Satz - das Pronomen betrifft, sieh etwa: AB C delavec dober delavec kdor dela - ta dober zelo dober ki je dober - tak doma na domu kjer je dom - tam, kann man nur sagen, da sie im gewissen Rahmen wechselseitig gebraucht werden können, und zwar eben aufgrund ihrer syntaktischen Verwendbarkeit, obwohl sie natürlich die betreffenden Wirklichkeitsausschnitte verschiedentlich ausgeprägt vor die Augen führen, zum Teil sind sie aber auch nur kontextbedingt verwendbar: A Delavec zasluži plačilo. B Dober delavec zasluži večje plačilo. 56 C Kdor (dobro) dela, zasluži (večje) plačilo. Ta [(dober) delavec/kdor (dobro) dela] zasluži (večje) plačilo. Gegenüber dem delavec sind dober delavec oder kdor (dobro) dela nur Wortgruppen- bzw. Satzäguivalente für eine besondere Wortart, während ta ein text- bzw. kombinationsbedingtes Wort ist. Pronomina sind demnach nur eine Art der Nomina, gekennzeichnet z. B. dadurch, da.ß sie Gegenstände sehr allgemein bezeichnen und deswegen auch zahlenmäJ&ig sehr beschränkt sind (sie bilden eine endliche Menge), während gewöhnliche Nomina sich auf zahlenmäßig 220 stärkere Mengen beziehen, die um so stärker sind, je weiter sie sich vom Allgemeinen zum Besonderen hin bewegen (z. B. Pflanzen, Tiere, chemische Substanzen, Handgemachtes). 2.4.2 Wie gesagt, gilt das auch für die Numeralia, die nach dieser Theorie in den adjektivischen Wörtern aufgehen, obwohl gewisse Arten, die Kardinalia (und Distributiva) zum Teil ihre Eigenständigkeit bewahren, wie übrigens auch einige andere Teilmengen von adjektivischen Wörtern. Adjektiva gliedern sich 57 nach dieser Theorie auf in vier Gruppen, und zwar schon aufgrund ihrer pronominalen Entsprechungen, namentlich so: 1. kakšen 'was für ein' mlad. mladim ljudem mladi ljudje 2. kateri 'welcher' slovenski slovenskim ljudem slovenski ljudje 3. oigav 'wessen' bratov bratovim ljudem bratovi ljudje 4. koliko 'wieviel' trije/pet trem/petim ljudem trije ljudje/pet ljudi Vereinzelte Gruppen unterschieden sich untereinander z. T. schon morphologisch im Nom. Sg.: 1. -0/-i, 2. -i, 3. -0, 4. -je/0 PI., sie haben also verschiedene Flexionsendungen; im Numerus gehen 1.-3. zusammen gegenüber 4., und zwar im Sinne 3 Zahlen - nur 5 8 eine Zahl, einige der ersten Gruppe können dazu auch suffixal gesteigert werden (star - starejši), die ersten 3 Gruppen auch adverbial (bolj mlad/slovenski/bratov), obwohl 2. und 3. in diesem Falle als gualifikativ verstanden Verden (bolj slovenski = 59 'značilnejši za Slovence', bolj bratov = 'bratu ljubši' usw.). Was wirklich alle diese Gruppe verbindet, ist eben nur ihre syntaktische Aufgabe, d. h. ein Substantivum näher zu bestimmen, und das entweder so, daü sie ihm direkt beigefügt werden (sie stehen im Slovenischen gewöhnlich/fast ausnahmlos links von ihm, bei den Pronomina rechts - nur stilistisch und in festen Wortverbindungen auch umgekehrt (vsi mi, strela gromska)), oder aber als Prädikatszeichen gebraucht werden: also lepa hiša bzw. Hiša je lepa (das erste wohl über den Weg hiša, ki je lepa) . - Adjektivische Wörter könnten auch durch die Kongruenzpflicht gegenüber den substantivischen definiert werden (lepa Nom. Sg. Fem vor hiša mit denselben grammatischen Charakteristiken), oder durch den sogenannten Beziehungsgenitiv (Kateri kruh hočete, belega ali ornega} Koliko hlebov boste vzeli, enega?), jedoch ent- 221 fällt das erste Merkmal bei den nullflektierten adjektivischen Wörtern, das zweite tritt aber nur in maskulinen singularen Verbindungen auf. 2.4.3 Und am Ende über die strukturale Aufteilung der traditionellen Adverbien auf die eigentlichen Adverbien, und auf Prädikativa und Partikeln: doma, včeraj, lepo, zato -všeč, tiho - komaj, samo, tudi, baje. Auch diese Aufteilung erfolgte aufgrund der syntaktischen Eigenschaften, denn morphologisch sind alle diese "Adverbien" unausgeprägt, nur eine kleine Gruppe von ihnen (heute würden wir sagen, diejenige Adverbien, die die Eigenschaften bezeichnen) kann gesteigert werden (vielleicht könnte man auch sagen, da sie immer nur aus der betreffenden Stufe des gesteigerten Adjektivs abgleitet werden, also lep -a -o. Adv. lep-o, lepši -a -e Adv. lepše usw. Das würde auch für Fälle wie daleč - dalje gelten, nur daß sie jetzt lediglich memoriert, nicht aber nach bekannten Grundsätzen gebildet werden können (so noch bolj, manj, več, prej, die ihre erststufigen Entsprechungen in dobro/zelo, malo, veliko, predhodno usw. (semantisch) haben, wie daleč in daljen) . Auf diese Weise wären alle Adverbien miteinander ... 61 gleich. Eigentliche Adverbien sind nach diese Theorie also nur jene Lexeme aus der traditionellen Adverbienmenge, die eine pronominale Entsprechung haben (nach denen man sich, wie man sich gewöhnlich ausdrückt, fragen kann). So mit Fragepronomina verschiedener Art: lokal (wohin, wo, woher), temporal (wann, bis wann, seit wann), modal (wie, wie sehr, wieviel) und kausal (warum, wozu), natürlich mit noch näher detaillierten Gruppierungen/Klassifikationen (so könnte man z. B. unter den modalen genau die Gruppe der Beziehungsadverbien hervorheben, z. B. moralno neoporečen 'moralisch/in Bezug auf die Moral einwandfrei'. Natürlich haben auch die Adverbien ihre Wortgruppen- und Nebensatzäquivalente . ^ ^ 2.4.3.1 Adverbien besonderer Art sind meiner Meinung nach einige indefinite Verbformen, nämlich das Supinum (delat), und die Gerundien (delaje/delajoo/hoteo/hote/ 222 stopivši): Grem spat/orat (lat. eo aratum), Sedeč za mizo, je bral časopis, Stopivši v sobo, je vse lepo pozdravil. Da£ diese Verbformen Adverbien sind, wird vielleicht auch dadurch bekräftigt, da.ß einige von ihnen gewöhnliche Adverbien geworden sind, d. h. sie können nur solche Phrasen eingehen, die für Adverbien typisch sind (etwa mit Gradbestimmungen, wie z. B. čisto vede/ vedoma). Sonst wären das Adverbien, die auch mit Objekten determiniert v/erden könnten, was bei den meisten der traditionellen Arten der Adverbien, wie bekannt, nicht der Fall ist: cf. zeljen kruha = želim si kruha - *željno kruha, želeč si kruha. Eine andere Lösung für diese Fälle wäre die, da>8 solche Verbformen als Prädikativa verstanden wären, allerdings einer besonderen Art, nämlich der, daß bei ihnen das Hilfsverb obligatorisch nicht vorkommt: Sedeč za mizo, bere (je bral/bo bral/ bi bral/beri) časopis, und zwar wäre da die Regel der Elysion angewendet, wie z. B. Janez je sedel za mizo in Janez je bral časopis —» Janez ¿e sedel za mizo in bral časopis —» Janez j'e sedel za mizo beroč časopis (das Gerundium wäre demnach ein Mittel zur Überführung eines Nebensatzes in eine abhängige elyp- tische Struktur - cf. noch Ko je sedel za mizo, je bral časo- . , 63 pis) . 2.4.3.2 Ein besonderes Problem bei den Adverbien stellt sich noch bei ihrem Ubertritt zu den sogenannten unechten Präpositionen, aber darüber soll an betreffender Stelle die Rede sein. 2.4.3.3 Aus der traditionellen Menge der Adverbien werden sogenannte Prädikativa dadurch ausgesondert, da sie, wie übrigens auch die Partikeln, über keine ihnen entsprechenden Frageworte als Paralelle verfügen, sich jedoch von diesen durch eine besondere syntaktische Bedingtheit ihres Auftretens auszeichnen, nämlich, sie können, wie gesagt, nur in Verbindung mit sogenannten Hilfsverben gebraucht werden, also z. B. Janez j'e tiho/j'e postal tiho/je začel (nehal) biti tiho; Janez mi je všeč, Meni j'e tega žal usw." 2.4.3.3.1 Aufgrund dieser Eigenschaft der Prädikative werden in dieser Theorie periphrastische Partizipia 223 auch als Prädikativa aufgefasst, also z. B. Janež ¿e delali nur ist dieses Prädikativum temporell bestimmt (temporell bestimmte Wörter gibt es auch sonst, z. B. bei den Pronomina, wie nekdanji, das sich nur mit Vergangenheit verbinden kann) , und zwar bezieht es sich auf die Vergangenheit (die aber durch die futurische oder konditionelle Form des Hilfsverbs dieser ihrer temporalen Bestimmtheit enthoben werden kann, und dann kann es auch in Präsens- und Futurformen gebraucht werden: bi šel, bom Sel). 2.4.4.1 Neben Prädikativen bereits behandelter Art gibt es noch eine Verbform, die als Prädikativum funktionieren kann, nämlich der Infinitiv. Er tritt auf in Verbindung mit 64 Hilfsverben anderer Art, nämlich der Modal- und Phasenverben. An modalen Verben (und ihnen entsprechenden Mitteln) gibt es einige Klassen, Phasenverben aber sind zahlenmäßig sehr beschränkt (es handelt sich lediglich um Verben wie začeti, nehati (mit den entsprechenden Synonymen und Aspekt-Paaren, z. B. jenjati, začenjati, nehavati, jenjevati). Also: Modal: Moram oditi/odhajati {smem, hočem, želim). Phasisch: Začnem delati (neham ...). Verbindungen mit dem Verbum biti 'sein' (Ni mi več živeti 'Ich kann nicht mehr leben') sind elyptische Bildungen (die Bedeutung ist 'Ni mi več mogoče živeti'). Es können lange Ketten mit modalen Verben zusammengesetzt werden (etwa zehnstellige), von denen jedoch nur das erste in einem Satz als definites Hilfsverb auftreten kann, alle anderen aber in Infinitivprädikativa umgewandelt werden müssen, wenn sie nicht einen besonderen Satz bilden sollten. Zum Beispiel: Ni mogoče^, da bi se moralo2 splačati^, če se hoče4 pomagatig želetig, da se sme^ brez sramUg začetig navajati1Q z veseljem^ poskušati^ učiti se13 slišati^ ptičko peti (auf deutsch etwa: Es ist nicht möglich^ daß es sich loh-nen^ müsste2, wenn man zu wünscheng hilfen^ will^, daß man ohne Schartig mit Freude^ versuchen^ darf^ anzufangeng sich daran gewöhnen1Q zu versuchen^ zu lernen^ ein Vögelchen singen zu hören14). - Die Zahl der Stellungswerte der modalen Prädikativa gibt auch die Zahl der Prädikativklasen an, z. B. Moral si bom začeti želeti manj delati (deutsch etwa: Ich werde anfangen 224 müssen mir zu wünschen weniger zu arbeiten). 2.4.4.2 Eine weitere Gruppe Prädikativa ist von anderer Wortartenprovenienz: es gibt Prädikativa aus den Substantiva, wie Mraz je bilo/Zima je bilo ('Es war kalt/Es war winter') und aus Adjektiven wie Bilo je temno/prijetno/davno ('Es war dunkel/angenehm/vor langer Zeit'). 2.4.4.3 Prädikativa können wie Verba flektiert oder nicht flektiert werden, erstes natürlich nicht in Bezug auf ihre Person, wie die Verba (dela-m -s -0), also konjugiert, sondern nur in Bezug auf die Zahl und das Genus, also moviert. Am Beispiel: delal -a -o (PI. -i -e -a, Du. -a -i -i) gegenüber tiho: Jaz sem molčal, vi pa niste molčali f Jaz sem bil tiho, vi pa niste bili tiho. Es gibt auch ein modales moviertes Prädikativum, nämlich rad -a -o. 2.4.4.4 Es stellt sich nun die Frage, ob nicht alle Wortarten, die in die Position "rechts vom Hilfsverb" kommen, Prädikativa sind, wie meiner Meinung nach im Deutschen die Adjekti-va (cf. ein schönes Haus, ein schöner Garten usw., aber Das Haus/ Der Garten ist schön (Die Häuser/Die Garten sind schön), also wie im Slovenischen tih človek, tihi ljudje ^ Človek je tiho, Ljudje so tiho (neben človek je tih, nicht tihi). Dasselbe würde dann auch für die Substantiva gelten, obwohl es da keine Anzeichen formeller Verschiedenheit gegenüber den Substantiven gibt (On je tih človek) , es sei denn, das Substantivum wurde zum Prädikativum umgewandelt (Janez je zelo človek gegenüber Janez je velika dobvi-cina). 2.4.5 Die dritte Gruppe, die sich aus der Masse der traditionellen Adverbien herausbildet, sind die Partike In, die, wie wir schon sagten, in einem Satz einen anderen, unterdrückten Satz vertreten. Sie sind also ein Mittel der Kondensierung der verzweigten Aussagen. An einigen Beispielen gezeigt: Samo štirje smo prišli 'Wir sind nur zu viert gekommen' Prišli smo štirje, ne več 'Zu vier von uns sind wir gekommen, nicht mehr". - Sag sem vedela, kaj boš rekel 'Ich wußte ¿a, was du sagen wirst: <— ich kenne dich gut'. - Tudi on mi ne bo verjel 'Auch er wird es mir nicht glauben' <— On mi ne bo verjel, kot mi ne 225 verjameS ti 'Er wird mir nicht glauben, wie du mir nicht glaubst'. - Ne bom odšel 'Ich werde nicht weggehen' ■*— Zanikam, da bom odšel 'Ich leugne ab, daß ich weggehen werde'. - Resnično si ne želim tega 'Ich wünsche mir das wirklich nicht' *— Tega si ne želim, 6 6 to je resnično 'Ich wünsche mir das nicht, das ist wahr'. Manchmal ist man unsicher, ob man mit einer Partikel oder mit einem Prädikativum zu tun hat« Das gilt z. B. für die sog. Modalwörter, wie z. B. menda, pač usw.: To je menda res 'Das ist wohl wahr', To bo pač drugače 'Das wird wohl anders sein'. Unsere Identifizierungsverwandlungen zeigen uns, um was es sich handelt: To je res, tako menimo 'Das ist wahr, so meinen wir', To bo drugače, se nam zdi 'Das wird anders sein, scheint es uns' (mit Umwandlung: Menimo, da je to res 'Wir meinen, daß das wahr ist'), Zdi se nam, da bo to drugače 'Es scheint uns, daß das anders ist'. Also sind es Partikeln, nicht Prädikativa. 2.5 Als noch ungelöst stellt sich bei einigen Präpositionen die Frage ihrer Echtheit, d. h. ob sie tat- 6 7 sächlich Präpositionen oder aber Adverbien sind. Im Sloveni- schen besteht ein schönes minimales Paar, nämlich čez und čez, das erste eine echte Präposition (über) mit Akkusativrektion {čez reko iti), das zweite ein Adverb, aber ohne Rektion {iti 6 8- čez 'gehen auf die andere Seite'). Der Unterschied wird in diesem Beispiel auch phonologisch ausgedrückt /čez *re:ko/ gegenüber /'če:s *re:či/. Dieses Kriterium kann allerdings nur bei Wörtern angevendet werden, die auf einen stimmhaften Nichtsonan-ten ausgehen.^ So zeigt sich z. B. ein Wort wie vzdolz 'entlang' als ein Adverb, nicht als eine Präposition (/wz'dD:yš 're:- ke/) ; genau so poleg /po:lak 're:ke/, aber auch kljub /kl'ju:p 7 X te :ki/, was aber auch wegen der Dativ-Rektion ein besonderer Fall ist. Die Funktion, in der diese Wörter hier auftreten, ist also keine präpositionale, sondern eine adverbiale. Das wären also Adverbien mit einer partitiven Rektion, womit dann auch der Einspruch gegen die Adverbien mit Rektionsbestimmungen als unrecht erwiesen wäre. Demnach können auch Adverbien mit aller Art syntaktischen Bestimmungen verbunden werden: včeraj zjutraj 'gestern früh', doli pri potoku 'unten am Bach', zelo zgodaj 226 'sehr früh', vzdolž aeste 'die Strasse entlang', beroč časopis 'die Zeitung lesend', hiteč na delo 'an die Arbeit eilend', de- 72 lat na njivo 'auf den Acker arbeiten gehen'. Wenn also in solchen Fällen traditionsgemäß von unechten .. 73 Präpositionen gesprochen wird, ist das falsch, denn in Wirklichkeit handelt es sich um Adverbien dieser besonderen Art, zugleich aber gibt es auch dazu entsprechende Präpositionen: poleg, vzdolž (Adverbien) - ob (Präposition). Ein Merkmal der Präposition ist zudem ihre Unbetontheit gegenüber einem Adverb, das regelrecht betont ist. In dieser Hinsicht bleibt es so manches zu wünschen im neuen großen Wörterbuch der slovenischen Schriftsprache (cf. poleg, blizu, die auch als Präpositionen aufgefaßt werden unter alleiniger Bedingung, daJB sie vor einem Substantivum stehen, d. h. da sie es regieren; für die "Präposition" blizu 74 wird sogar behauptet (zwar nach Breznik), da sie gesteigert wird: blizu bližje/bliže). Genau unrichtig ist zu behaupten, daß neben Adverbien auch Substantiva als Präpositionen dienen können, wo doch Beispiele wie Dno jezera leži zvon 'Auf dem Grund des Sees liegt eine Glocke' zweifelslos ein Adverb ist (cf. Na dnu jezera ..., was im Deutschen allein möglich ist). - Man muß allerdings noch bemerken, daß manche solcher "Adverbien" ursprünglich (oder durch Umstellung) prädikativisch gebraucht werden können, d. h. zu Prädikativen werden: Konec je z njim 'Mit ihm ist es fertig/Er ist fertig', Praznik je bil blizu 'Das Fest war nahe' (cf. Praznik se ¿e bližal 'Der Festtag näherte sich'), Bil sem vpričo 75 'Ich war anwesend', On je zoper/za 'Er ist dagegen/dafür'). Adverbien können von den Präpositionen dadurch unterschieden werden, daJJ sie keine konjunktionalen Äquivalente haben: ko de- 7 6 žuje 'wenn es regnet' = ob dežju 'beim Regnen'; če bi deževalo 'wenn es regnen würde' = ob eventualnem dežju 'bei eventuellem Regnen'; ko je prišel 'als er gekommen ist' = ob prihodu 'bei der Ankunft'; čeprav ni verjel 'obwohl er nicht glaubte' = 77 kljub neveri 'trotz seines Unglaubens'. 2.6 Es bleiben uns noch die Konj unktionen übrig. Neben den einfachen, klaren Fällen, wie sie in oder da, 227 ae darstellen, gibt es auch einige, bei denen es nicht klar ist, ob sie wirklich Konjunktionen sind oder aber Adverbien. So werden unter den Konjunktionen, die das wirklich sind, auch solche 78 Worter angeführt, die das eben nicht sind, etwa in der SS 1956 neben ali, a, ko, da, ker, toda auch dokler, kjer, preden, komaj, potem, zakaj, zato, koder, kadar, kar. Für solche "Konjunktionen" wird behauptet, da.ß "die Grenze zwischen Adverbien und Konjunktionen unbeständig und stark verwischt wäre". Ist das tatsächlich so? Nach unserer Theorie haben wir es nicht mit Konjunktionen, sondern mit Adverbien zu tun, sobald eine potentielle Konjunktion eine Satzgliedfunktion ausübt. Demnach hat es also keinen Sinn in zato einmal ein Adverb (Zato sam veš 'Darum weißt du selbst') und ein anderes mal eine Konjunktion (Prijatelj se je vrnil, zato sem vesel 'Der Freund kehrte zurück, deswegen bin ich froh') zu sehen. Das Wort zato ist in beiden Fällen ein Satz-78 glied: deswegen kann es nicht eine Konjunktion sein, sondern 80 eben nur ein Adverb. Dasselbe gilt auch für alle relativen Pro-81 nomina. Demnach wären die Konjunktionen nur jene Wörter, die nur die Funktion des Verbindens ausfüllen. Sie werden durch Ton-losigkeit charakterisiert, aber auch dadurch, äad sie der kli-tischen Reihe immer vorangehen (Prišel sem k sosedu in ga povabil na kosilo 'Ich bin zum Nachbarn gegangen und habe ihn zum Mittagessen eingeladen' ^ Najprej sem ga pozdravil, nato pa sem ga povabil na kosilo 'Zuerst habe ich ihn gegrüßt, dann aber habe ich ihn zum Mittagessen eingeladen') und nicht nach rechts versetzt werden können, wie eben die'Adverbien. Einige sogenannte Konjunktionen sind ursprünglich Partikeln: Govori dosti, vendar misli malo — Dosti govori, misli pa vendar ('kljub temu') malo (vendar auch 'po moji misli'). Man wird sich also daran gewöhnen müssen, daß Satzverbindungen in einem höheren Maße konjunktionslos miteinander verbunden werden können, als wir bisher zu glauben pflegten. 2.7 Ganz am Ende werfen wir noch einen Blick auf die Interjektionen. Schon in der traditionellen Grammatik werden sie mit dem Vokativ und den "selbständigen Gedankenadverbien" in Verbin- 228 düng gebracht, sofern sie "keine richtigen Satzglieder sind" (gemeint sind damit nur die Partikeln, also nicht auch sogenannte "zvalnice" (Rufworte) und auch nicht die vprašalnice (Fragewor-82 te). Unserer Theorie zufolge sind Interjektionen ausschließlich jene Wörter, die nur als Sätze gebraucht werden können (also eigentlich auch Vokative), nicht aber zugleich auch jene, die konjugiert werden und für welche (behandelt werden sie unter den Adverbien) in der SS 1956 bemerkt wird, daß wenigstens jene, die konjugiert werden, z. B. na nate nata "in dieser Form und in diesem Gebrauch auch den Interjektionen gleich sind, zu welchen der größte Teil aller Gedankenadverbien zugerechnet werden könnte", und wozu also auch sogenannte "Zustimmungsadverbien: a) da, seveda, b) saj, ze , tudi, c) paS, torej, č) menda, najbrž und das Negationswort ne (in allen, auch Wortbildungsfunktionen) zu rechnen sind. Ein schönes Durcheinander. Nach Unserer Theorie, gehen Wörter, die konjugiert werden, weder unter die Adverbien noch unter die Interjektionen: das sind unvollständiege Verba mit Valenzcharakteristiken, wie sie auch vollständige Verba haben können: Na kruha, Bali noter, Dajte ga kronat, Jetite. Alle anderen Gedankenadverbien sind einfach Partikeln. 3 Diese Wortartentheorie ist mutatis mutandis auch für andere Sprachen relevant. 1 Kraynska Grammatika, das ist: Die kraynerische Grammatik oder die Kunst die kraynerische Sprache regelrichtig zu reden, und zu schreiben ..., Laybach 1783, 253 S. Einige minimale Paare: sad - zad, salu - zalu, šala - žal a, 6 čem (hočem) - 8čem (očim). 2 Grammatik der Slavischen Sprache in Krain, Kärnten und Steyer-mark, Laibach 1808 (1809). 3 Cvetje z vertov sv. Frančiška (Umschlagblätter), 1880-1915; Jezikoslovni spisi, I. zvezek, Ljubljana 1916, 606 S. + II, II. zvezek, 80 S. 4 Die slowenische Dialektforschung, ZslPh XXX, 2, 1962, 383416. 5 Narečje vasi Sele na Rožu, Razprave Znanstvenega društva v Ljubljani, Filološko-lingvistični odsek 4, Ljubljana 1939, 229 149 S. Cf. J. Toporišič, Die slowenische Dialektforschung, ZslPh XXX, 2, 1962, 412-413. Über Baudouin ebenda, 391-397. 6 Ramovš, Fran: SBL (= Slovenski biografski leksikon), 9. zvezek, 1960, 22-24, Autor R. Kolarič. Bibliographie (und über Leben) in SR III, 1950, 3-4, 446-458. 7 A propos de la Syntagmatique du Professeur A. Belič (K sin-tagmatiki prof. A. Beliča), Ljubljana 1952, 197 S. 8 SBL, 12. zvezek, 1980, 143-146; Univerza v Ljubljani, Druga knjiga, 1956-1966, Ljubljana 1969, 85-87; Univerza Edvarda Kardelja v Ljubljani, Tretja knjiga, 1966-1976, Ljubljana 1979, 53-55. 9 Biografije in bibliografije znanstvenih in strokovnih sodelavcev Slovenske akademije znanosti in umetnosti, Ljubljana 1976, 92-95. 10 Univerza v Ljubljani, 1969, 98; Univerza Edvarda Kardelja v Ljubljani, 1979, 99-100. 11 Arcticae horulae succisivae de Latinocarniolana literatura, Witebergae, Anno M. D. LXXXIIII, 279 S. Cf. auch Rudolf Kolarič, Adam Bohorič, Arcticae horulae, Die erste Grammatik der slowenischen Sprache, II. Teil: Untersuchungen, München 1971, 207 S. 12 Slovenska slovnica, Sestavili dr. A. Bajec, dr. R. Kolarič, dr. M. Rupel, (J. Šolar), DZS, Ljubljana 1956, 331 S. 13 SS 1 9 •56 , 85. 14 L. c. / 117. 15 L . c. / 132. 16 L. c. / 154. 1 7 L. c. / 167. 18 L. c. / 24 3. 19 L. c. / 265. 20 L. c. r 278. 21 L . C . / 280-2 81. 2 2 L . C . t 82-84. 23 L. C . r 82 . 24 Ebenda. 25 Substantivum au 135-136, 137-138, 140, 142-143, 144, 148, 149-153, Zahlwörter S. 157-159, 160-162, 163-164, Verbum: Tempora S. 205-214, Modi S. 214-220, Genera S. 220-228, Infinitiv S. 228-229, Supi-num S. 230-232, Partizipia S. 232-236, Substantivum verbale S. 239-240, Präpositionen S. 266. SS 1956, 291: "adjektivisches Attribut". Als adjektivisch werden Adjektiva, adj. Pronomina, Zahlwörter und Partizipien 230 aufgefaßt. Auf S. 292 als etwas besonderes. dann dennoch auch Numeraliattributivä 27 L. c. 330. 28 L. c. 136. 29 L. c. 138. 30 L. c. 142 . 31 L. c. 144. 32 L. c. 149. 33 L. c. 159. 34 L. c. 163. 35 L. c. 165. 36 L. C . 1 78. 37 L. c. 1 78, 38 L. C . 228. 39 L. C . 230. 40 L. C . 2 33. 41 L. C. 235. 42 L. C . 236. 43 L. C . 224 . 44 L . C . 235. 45 Diese Theori zuerst hauptsächlich in Slovenski knjižni jezik 1-4, 19651967, 1970. Als einheitliche Theorie wurde sie dann zuerst in meinem Artikel Kratko oblikoslovj e slovenskega knj ižnega jezika, Informativni zbornik, Lj ubi j ana 1974, 29-50, herausgebildet; ausgebaut aber in einem diesem Problem gewidmeten Artikel: Esej o slovenskih besednih vrstah, jiS 1974/75, 295-305, später erschienen auch im Sammelband der Internationalen Komission für slawische Literatursprachen (für den er auch geschrieben wurde). - Cf. noch Besednovrstna vprašanja slovenskega knj ižnega jezika, JiS 1974/75, 33-39. 46 Diese Auffassung ist bei mir zuerst vertreten in Kratko oblikoslovje ... In meinem Slovenski knjižni jezik 1, Ljubljana 1965, z. B. auf S. 146, werden noch "Substantiva, Ad-jektiva, Numeralia und Pronomina", S. 148 auch noch "Parti-zipia" angeführt. 47 Die Auffassung "adjektivisches Wort" tritt bereits in Slovenski knjižni jezik 1, 1965, auf, z. B. S. 186-187: als adjektivisch werden angeführt die eigentlichen Adjektiva, Partizipia, adj. Pronomina und Zahlwörter aller Arten. 48 In Slovenski knjižni jezik 3, 1967, werden alle traditionellen Verbformen zum Verbum gezählt, also auch das Verbalsub- 231 stantivum und die Partizipien. Neben diesen "regelmäßigen" Verbformen gäbe es noch andere "verbale Wörter", wie z. B. Adjektiva (občuti j i v), Substantiva (molitev, skok). So ist es auch in der kurzen Morphologie ... (1974), 43-44, nur ist das Verbalsubstantivum auf - je von den Verbformen weggefallen. In Slovenska slovnica 19 76 werden 15 Verbformen angeführt: neben den zwei definiten (Präsens und Imperativum) vom Präsensstamm noch 2 Gerundien (delajoč, delaje) und 1 Partizipium (delajoč -a -e); vom Infinitivstamm (das eine Hoch-und eine Umgangssprachform erweist) noch 2 periphrastische Partizipien (delal, delan/ubi t), das Supinum, 1 Gerundium auf -(v)ši, und 3 Partizipien (delan -ega, uspel -ega, vstopi vši -ega), am Ende noch das Verbalsubstantiv auf -je. 49 Als besondere Wortart schon in Kratko oblikoslovje ..., 1974, aus den Adverbien ausgesondert, cf. 1. c., 347: "Prädikativa sind Wörter, die nur als Prädikatsbestimmung gebraucht werden." 50 Aus der traditionellen Menge der Adverbien sind also die Prädikativa ausgesondert, und dann auch noch die Partikeln. Bei mir erfolgte das indirekt zuerst in Slovenski knjižni jezik 2, 1966, 165: "Außer den echten Adverbien gibt es noch Partikeln: nach diesen kann man sich nicht fragen." 51 In der SS 1956, wie wir bereits gesehen haben, wird allerdings nur von einem "Verhältnis zwischen zwei Gegenständen gesprochen". Ähnlich in Slovenski knjižni jezik 3, 170: "Mit den Präpositionen werden Verhältnisse zwischen den Wörtern des Satzes am allgemeinsten ausgedrückt." In Kratko oblikoslovje ...: "Adverbien sind grammatikalische Wörter /.../, ihre charakteristische Eigenschaft ist die Rektion." Erst in der SS 1976, 348: "Präpositionen sind eine unflektierte Wortart; sie haben keine Gegenstandsbedeutung, sondern nur grammatikalische, d. h. mit ihnen werden unterordnende syntaktische Beziehungen zwischen Worten bzw. Phrasen ausgedrückt. /.../Sie werden nie zwischen zwei Sätzen gebraucht." 52 Cf. Slovenski knjižni jezik 4, 1970, Vezniška beseda, 77-78. 53 Wohl nach L. Tesnière, bei uns von C. Vincenot in seinem Essay de Grammaire Slovène, Ljubljana 1975, eingeführt. Cf. J. Toporišič, Poskus slovenske slovnice C. Vincenota, SR 1979. 54 In der SS 1956, 278 werden Wortkonjunktionen ( in_, pa_, ter, ne - ne, niti - niti, kakor, ko) und Satzkonjunktionen unterschieden. Letztere können bei- oder unterordnend sein. 55 Über den Artikel als Wortart schrieb bei uns schoh B. Kopitar in seiner Grammatik (1808/1809) als einer aus dem Slovenischen selbst entwickelten Wortart; später auch R. Kolarič, Določni in nedoločni spolnik v slovenščini, J iS 1961/62, 40-41 . 56 Gleichsetzungen dieser Art gibt es auch in der traditionellen Grammatik, cf. SS 1956, 305 für den Subj ektnebensatz, und ähnlich auch bei anderen Nebensätzen. 57 Diese Teilung finden wir bereits in meinem Aufsatz Kratko oblikoslovje ..., 1974, 37. Schon in Slovenski knjižni jezik 2, 232 1966, 159, lesen wir: "Weil die Numeralia im Grunde genommen Ädjektiva sind (wir könnten sie quantitativ nennen) ..." 58 In der traditionellen Grammatik (und auch in Slovenski knjižni jezik 1) wird eigentlich supponiert, daß alle Ädjektiva, die nicht als Ausnahmen angeführt werden, gesteigert werden können (cf. SS 1956, 125; Slovenski knjižni jezik 1, 1965, 194). Im ersten Werk werden als Ausnahmen betreffs der Suffixsteigerung angeführt: 1. Ädjektiva für Farben, 2. der Form nach Partizipien, 3. jene mit bestimmter Form, 4. "viele auf -en, -an, -av, -ast, -a t und /5./ jene, bei denen beide /d. h. gemäß der Bestimmtheit/ Formen nicht unterschieden werden"; bei allen diesen wäre aber eine Steigerung mit bolj möglich. Die Gruppe der Ädjektiva mit nur bestimmter Form wird in diesen Regeln zweimal erfaßt. 59 Uber die Steigerung nur der qualitativen Ädjektiva cf. meinen Aufsatz Pridevniki, ki se stopnjujejo z obrazili, jiS 1969/70, 1/3-1/4. 60 Und also nicht lepo - lepše. 61 In der SS 1956 werden nur deadjektivische Adverbien gesteigert (S. 246), es wird sogar behauptet, daß deadjektive Adverbien "keine selbständige Wörter sind, sondern Formen des Adjektivs" (S. 245). Wohl deswegen werden in Slovar slovenskega knjižnega jezika unserer Akademie solche Adverbien im allgemeinen nicht als selbständige Wörter geführt. Allerdings gibt es unter diesen Adverbien welche, die nach dem durchschnittlichen Sprachbewußtsein keine adjektivischen Äquivalente haben, z. B. daleč, blizu (dennoch: daljni, blizek). 62 Uber die Bemühungen der Klassifizierung der Adverbien eine feste, sprachlich objektive (d. h. syntaktische, nich semantische) Grundlage zu geben, cf. in meinem Buch Nova slovenska skladnja, DZS, Ljubljana 1982, 64-81. 63 Cf. ko je sedel = sedeč = med sedenjem, was alles adverbielle Bedeutung hat. 64 Uber diese Verben mehr in meiner Nova slovenska skladnja, 1982, 100-110. 65 Keine richtigen Entsprechungen in anderen Wortarten haben Prädikativa wie etwa všeč, res, k vi t (umgangssprachlich), bot, mar, treba, rad -a -o), und einige andere werden wohl noch kaum als von anderen Wortarten motiviert empfunden, etwa blagor, gorje, prav, žal, kazno, s ve s t si, kos. 66 In der traditionellen Grammatik werden mit dem Ausdruck Partikel Wörter wie le-/-le, Ii, si, ga, jo bezeichnet, aber auch Morpheme -r, -j, -da, -kaj, -ti, koli, also "unflektierte Wörter , wenn sie nicht als selbständige Wortbedeutungen leben, sondern nur Bestandteil von Wortverwendungen oder Wörtern sind, denen sie manchmal einen Nachdruck oder eine Bedeutungsnuance verleihen", 1. c., 256. - Nach unserer Auffassung sind die Morpheme, einige allerdings von dem sogenannten freien, also nichtwortstellungsgebundenen Typ (si, ga, jo, koli). Die 233 einzigen richtigen Partikeln unter den oben angeführten sind Ii (veraltet) (mit der man Fragesätze verzeichnet) und koli mit welchem Beliebigkeit ausgedrückt wird). Dem SSKJ ist TT ein Adverb, koli eine Partikel, ga, j o einfach Akkusative (bzw. Genitiv ga) der entsprechenden Pronomina on, ona (in Verbindungen wie Gorje si ga človeku allerdings auch eine Partikel). Cf. J. Šolar, Vloga in mesto členka tudi, JiS 1957/58, 158-161. Bei diesem Wort handelt es sich tatsächlich um eine Partikel. 67 Cf. SS 1956, 265-266, wo neben den Präpositionen (z. B. z) auch unechte Präpositionen auftreten; für letztere wird festgestellt: "Als Präpositionen dienen auch Substantiva und Adverbien. " Als Beispiel unter anderem: Tukaj je konec vasi -Konec vasi sameva s i romašna koča bzw. Nevihta je blizu - blizu Triglava.' 68 In der SS 1956, 266: Komaj sem bil čez : čez plot. In SSKJ: čdz - čez. 69 Cf. SS 1976, 349: "Die Präpositionen sind zweierlei: echte und unechte. /.../ Die echten sind immer unbetont." Im SSKJ werden auch die unechten Präpositionen (z. B. mimo) nur als Präpositionen verzeichnet, allerdings einige mit zwei Betonungsmöglichkeiten (mimo, mimo). Dazu sieh meinen Artikel Naglasnost predlogov, veznikov in prislovov, JiS 1966, 184190 - jetzt auch im Band Glasovna in naglasna podoba slovenskega jezika, 1978, 204-205 -, den ich für die Kommission, die an den orthoepischen Vorbereitungen für das SSKJ arbeitete, vorbereitet hatte: "Es scheint, daß die unechten Präpositionen nicht betont werden, wenn sie völlig präpositional gebraucht werden können, d. h. wenn sie gegen eine Präposition ausgewächselt werden können. " 70 Diese Beobachtung, daß echte Präpositionen eine andere Aussprache der stimmhaften Auslautnichtsonanten haben als andere Wörter, wurde von mir im Aufsatz Sistemske premene soglas-nikov v knjižnem govoru, JiS 1957/58, 70-76 gemacht. - Vor mir machte S. Škrabec dieselbe Beobachtung, allerdings mit der irreführenden Bemerkung, daA "unbetonte Wörtchen ■/.../ sogar stumme Laute in stimmhafte verwandeln". - Im SSKJ wird der Unterschied in der Aussprache vom Typus céz čez nicht verzeichnet. 71 Im SSKJ wird kl jub nur betont angeführt. a> 72 Die "gewöhnlichen" Adverbien verfügen über keine Rektionsmacht . 73 Auch in meinen bisherigen Arbeiten, wie z. B. Slovenski knjižni jezik oder SS 1976. 74 Slovenska slovnica 1934, 149 (unter Nepristni predlogi 'unechte Präpositionen', worunter blizu, dno, glede, konec /.../; kraj, mimo, (na)mes to, okoli, (o)krog, poleg, prek(o), razen, (na)sredi, to/onkraj, onstran, tik, v/spričo, vštric, za - rad(i), zastran, zbog, zraven angeführt werden. "Unechte" Präpositionen werden hier allerdings nur bei genitivregierenden unterschieden. 234 75 Auch za? 76 Im gewissen Sinne za dežja. 77 Konzessive Konjunktion und "Präpositionen" sind irgendwie etwas Besonderes: cf. čeprav je res - če je prav res, in SSKJ: čeprav; če: če je še tako neumen, če bi tudi hotel. 78 S. 278-279. 79 Traditionsgemäß cf. Breznik, SS 1934, 209-210: Als kopulative Konjunktionen werden angeführt: in, pa, ter, aber auch tudi, potem, nato , vrh tega, neben den so auch genannten Adverbien včasi - včasi, zdaj - zdaj und Partikeln takisto, namreč, zlasti usw. In der SS 1956, 299, bereits nur in, pa, ter mit der ausgesprochenen Verweisung, daA es sich bei tudi , potiej, nato, ali (Ali se že odpravi j aš, al i res ne misliš ostati) nicht um Konjunktionen, sondern um Adverbien (nach der herkömmlichen Auffassung natürlich) handelt; bei den konsekutiven Konjunktionen aber werden immer noch zato, torej, zatorej, tako, tedaj, pa (bei Breznik, 210: torej, tedaj, zato, tak(o) angeführt. 80 Etwas anderes ist es natürlich, wenn die vermeintliche Konjunktion keine Satzgliedfunktion ausübt, wie etwa kajti in der kausalen Beiordnung. 81 Das einzige Problem ist hier wohl nur ki[_: človek, ki_ smo o_ njem .govorili = človek, o katerem smo govorili; das ki scheint also wirklich eine relative Konjunktion zu sein, oder aber es ist ein freies Morphem des relativisierten personalen Pronomens. Povzetek STRUKTURALNA TEORIJA BESEDNIH VRST V SLOVENŠČINI Sledi slovenskega intuitivnega strukturalizma opažamo že v 18. stol. (opozarjanja na t. i. minimalna nasprotja v glasoslov-ju), izraziteje v nekaterih obravnavah jezikoslovnih problemov pri p. S. Škrabcu, zlasti pa v oznaki splošnega razvoja slovenskega vokalizma, ki ga najdemo pri J. Baudouinu de Courtenagju. Pravi strukturalizem se nato pojavi v 30-ih letih v delih dveh tujcev, A. Isačenka in L. Tesniirja. Po 2. svetovni vojni pa najprej v delih R. F. Mikuša (skladnja, besedo tvorje), nato pa avtorja te razprave (glasoslovj e, oblikoslovje, postopoma pa tudi vse druge ravnine jezikovne zgradbe), malo pozneje še v delih J. Riglerj a (zgodovinsko glasoslovj e v na j širšem pomenu) in (na germanističnem področju) pri J. Orešniku. Strukturalističen je pretežno tudi mlajši slovenistični rod, kolikor je zares tvoren. Posebno očitne sledi je strukturalizem med drugim zapustil v teoriji besednih vrst. Kakor znßno, je besedne vrste mogoče določati ali pomensko, ali oblikoslovno, ali skladenjsko. Pomensko so samostalniki imena oseb, stvari in reči; pridevniki lastnostne oznake (samostalnikov); števniki prvine neskončne verige izrazov, ki zaznamujejo veličine enakomernih 235 razdalj, bodisi da jih označujej o kolikostno, vrstilno, ločilno ali množilno; prislovi besedna vrsta za oznako umeščenosti v prostor, čas, vzročnost in način, razen tega pa še za izražanje raznih miselnih odtenkov. - Težave pri pomenskem definiranju besednih vrst pa so že tu v tem, da se npr. lastnostnost lahko izraža ali s pridevnikom ali samostalnikom, v bistvu pa tudi s prislovom (in povedkovnikom) .- lep, lepota, lepo (lepo). Še bolj je to zapleteno pri glagolu ("ki nam pove, kaj kdo dela ali kaj z njim je"), vse to pa se da razen z osebno obliko izraziti tudi s samostalniškimi, pridevniškimi in prislovnimi oblikami (delam, delaj - delajoč -a -e - delanje -a - delal -a -o - delaj e ipd.). Pri zaimkih pa je tradicionalno pomensko določanje sploh odpovedalo, saj so morali biti definirani v. glavnem skladenjsko, preostale besedne vrste pa v glavnem oblikoslovno (kot nepregibne). Po oblikoslovnih merilih so samostalnik, pridevnik, štev-nik in zaimek besedne vrste, ki se sklanjajo, vendar le deloma na različne načine (prim. korak -a proti slovenski -ega, a tudi en -ega, tvoj -ega itd.), tako da se po tem samem med seboj ne ločijo zmeraj. Glagol se v sedanjiku in velelniku (ter prihod-njiku bom) sicer sprega, vendar se nekatere njegove oblike tudi sklanjajo (deležniki razen opisnega, glagolnik) ali pregibajo po spolu in številu (deležniki sploh, torej tudi opisni na -1), druge pa so sploh nepregibne (deležja, nedoločnik, namenilnik). Vse druge besedne vrste (prislov, predlog, veznik, členek, medmet) pa so po tradicionalni oblikoslovni teoriji nepregibne (in tudi res so, kolikor pa se vendarle pregiba j o kot npr. na_ nate ali lepo lepše, jih je treba prerazdeliti (prvi gre med okrnjene glagole) ali pa pojmovati drugače (prislovni primerniki, tvor jeni iz pridevniških primernikov), tako da so potem prislovi res samo nepregibne besede, primeri kot rad -a -o pa se uvrščajo med povedkovnike), in ker so vse nepregibne, se torej oblikoslovno med seboj ne morejo ločiti. K temu pride še dejstvo, da se po tradicionalni teoriji tudi nekateri samostalniki, pridevniki, števniki, pri glagolu pa bi_ ne pregibajo, in so torej tudi ti nepregibne besedne vrste, izenačeni z "navadnimi" ne-pregibnimi besedami, ki pa seveda res nimajo končnic. Vseh teh težav in nedoslednosti ter nepopolnosti pa je rešena teorija besednih vrst, ki se opira na skladenjska merila. Taka teorija besedne vrste določa izključno in enotno le po skladenjskih načelih (saj besedne vrste po njej niso drugega kot s redstva za utelešenj e skladenjskih odnosov). Po tej teoriji imamo naslednjih 9 besednih vrst (v pogovornem jeziku še 10.): samostalniško, pridevniško, prislovno in povedkovnikovo besedo ter glagol med predmetnopomenskimi, predlog, veznik in členek ter medmet pa med t. i. slovničnimi besednimi vrstami (medmet ima izključno vrednost besede stavka). Samostalniš-k a beseda je v stavku primarno delovalnik, tj. osebek ali predmet, v sklonskih oblikah, tudi predložnih, pa opravi j a tudi drugotne vloge. Pridevniška beseda je levi pri lastek, pri samostalniških zaimkih desni, torej razvija samostalnik v vseh njegovih primarnih in drugotnih vlogah. Pri si o v n a beseda izraža okolnosti in je v stavku primarno prislovno določilo. Povedkovnik je skladenj sko povedkovo določilo 236 glagolov, ki sami ne morejo biti povedek, ampak le njegova vez. Vse te štiri besedne vrste so načeloma nekončne množice, urejene nekako v obliki stožčaste piramide v tem smislu, da se od spodaj navzgor razporejajo enote z vse splošnejšim pomenom v smislu nekakih nadpomenk, pri vrhu pa je praktično končno število vrst in razredov zaimkov (ter enot v njih), in sicer sa-mostalniških, pridevniških, prislovnih (te že tradicionalna teorija obravnava kot navadne prislove) in povedkovniških. Glagol je v pomenski podstavi povedje, v osebni glagolski obliki povedek (oz. njegova vez, gl. zgoraj), medtem ko so neosebne glagolske oblike delne množice prvih štirih besednih vrst: deležniki na -č_, 1, -ši in stanja pridevniške besede, de-ležja in namenilnik prislovne besede, opisni deležnik na -1 po-vedkovnik, kar je tudi nedoločnik ob pomožnem glagolu, sicer pa lahko tudi samostalnik (prim. dobrega jesti in piti ali pojdi po piti) ali še kaj drugega. Tradicionalni števniki so pridevniške besede, in sicer količinske (družljive s štetim v čisto določenem številu), vrstilne, vrstne in množilnet lahko se tudi konverzno posamostaljujejo (kakor druge pridevniške besede): Tri je/Prvi ,so že pod streho - Pet in pet je bilo zmeraj deset ipd. Po tej teoriji je tradicionalni prislov družil pod svojo streho tri različne stvari: pravi prislov, povedkovnik in členek . Od preostalih besednih vrst so predlogi tisti, ki zahtevajo ob sebi samostalniško besedo v neimenovalniškem sklonu (od besed iz drugih besednih vrst, ki tudi lahko prestavljajo samostalnik ob sebi v odvisni sklon, pa se ločijo po tem, da niso stavčni členi - zato nepravi predlogi niso predlogi, ampak ostajajo prislovi). Stavčni členi seveda tudi niso vezni-k i , od predloga pa se ločijo po tem, da ne vplivajo na sklon-skost svojega okolja, sicer pa so podredni nekako medstavčni ustrezniki znotraj stavčnih predlogov. Členki se od obojih ločijo po tem, da so kot nečleni stavka zgostitev drugega stavka, v katerega jih tudi zmeraj lahko razvijemo, hkrati pa lahko nastopajo tudi kot besede stavki, vendar vezani sobese-dilno. Medmet je le beseda stavek, če prevzame stavčno-člensko vlogo (Miška pa smuk v luknjo), preneha biti medmet, tj. se sprevrže v drugo besedno vrsto (v navedenem primeru v povedkovnik, ki se lahko razbije tudi z ničto vezjo). V pogovornem jeziku je člen (ta) sredstvo za izražanj e določnosti oz. za posamostaljen je. Na ta način so vse besede (pri glagolu pa tudi vse njegove neosebne oblike) zajete le enkrat, tj. v po eno besedno vrsto, na podlagi enega samega skladenjskega merila, odpravljena pa so vsa t. i. prekrivanja, saj se po tej teoriji vsaka beseda enoumno uvršča v to ali ono besedno vrsto. - Vse besedne vrste imajo ustreznike tudi na frazeološki ravni. 237 Vaclav BLAZEK Pribram, ÖSSR CDU 801.54 Some Nostratian Etymologies (First part) 1. Nostr. *Jam§ "be ill, dying" ? kusit.: somali ¿imaso "be dying", ¿.intey "dead, deceased" (som. £-< kus. < nostr. *3- or *c, *c-) / ural. *jama: "die" (FUV 17) lap. ¿abme; ¿äme-) "die", mordv. joma-, ¿uma- "vergehen, zugrunde gehen, etc.", nenets. Castr. jama; "be ill", Leht. ¿Jä^mä- "nicht können", nganas. jamajua- "nicht können", enets. je2oa- id. / yukg. *jama- .: N ¿jaba-, jobe-"die", S. ¿joboj cf. (Sjögren) jäm-bon "tot" / dravid. *camai: "die" (DED 1934) tarn, camai "kill", telug. samayu "die" / ?? türk.: alt. ¿jobo "be sickly" / ? kor. samang "death". Lit.; Collinder 1940, p. 77, n. 159; 1965, n. 157, n. 9 (ural.-yukg.)• Tyler, Lg 1968, p. 806, n. 39 (ur.-yukg. dr.);Krejnovic 1958, p. 239 (yukg.-alt.). Note: About the correspondence of kus. ural., yukg., türk. drav. s; < n. *j see Dolgo- polskij, Etimologija 1972, p. 163-175.- Extra-nostratian maybe sumer. samag "Hunger, Kot" (Delitsch 1969, /1914/, p. 234). 2. Nostr. *gämä "be strong" ural. *kämä "strong, firm" (FUV 87, OMJJ 408) fin. kämeä "stout", kämä "constant" (mordv. kerne "hart, fest"), hung. kem|nj id. / selk. köm, küma könPa "hart", kamas. komde- "hart machen" / yukg. S. kimdes-, kim^es; "all seine Kraft entwickeln, sich anstrengen", kim^e- "fight" / dravid. *kfm- : malayal. keman "strength", kann, kema "callosity" (DED n. 1666) 239 / čuk.-kamč.: gjm_"hart, schwer", kory. gym id., gJHPgyjg "Mühe, Arbeit" / ? čad.: hausa gamza "strong man". Lit.: Burrow 1943, n. 66,» Tyler, Lg 1968, p. 808 (ural.-drav.); Collinder 1940, p. 135 (ural.-yukg.); Bouda 1965, p. 170, n. 58 (ural.-čuk.). Note: nilo-sahar. *kAmA "be strong" O.sudan.: dongola, kenuzi £ombo "thick, hard, strong", didinga kom "be strong", nandi kim/maban:mabe kqmolo/k/ "hard"/ songhai : gao kom "be thick" (Greenb.LA 1963, p. 106, 146). 3. Nostr. *5irA "stem of tree" semit. *dr > hebr. ezfraji "eingewurzelter Baum", aram. edfräf "Baum";kušit. "wood, forest" (Dolg., Jazyki Afriki, 1966, p. 72) bed. dala "thicket", xamta dur id., "forest", somali dir "bush, jungle", kuš. > amhar. dur, dir "forest" / čad.: logone deli, sokoro dari "forest" (Greenb., LA 1963, p. 57) / ? hatti zihar "wood" (Georgiev 1958) / hurr. zirte "olive tree" / urart. zari, zare "fructiferous plantation", §§?i" > arm. jaj "tree" (Djakonov 1967, p. 135) / daghest.: agul. dar "forest", agul., kryz., darg., buduch. dafcr "tree", lezg. tar, ttar id., etc. (Chajdakov 1973, 53, 54) / ide. *"stem, beam" gr. steira "beams on the ship stern", lat. stirps "stem", lith. strampas "pruned stem", ch.-sl. strant "stalk, straw"; or *deru- : *dreu^ "wood" ? / ?? fin. hirs_i_< *cirtA (bait.?) / ? N.drav. *carA "the tree with thorns" (DED 2036). Lit.: Brunner 1969, p. 88, n. 484 (semit.-ide. *deru-);• Džaukjan, 1967, p. 166 (hurr.ur.-dagh.). Note: Extra-nostratian parallels suppose older form *dirA ( ? kuš., čad., dagh., ide.) songhai: ¿¿jerma, gao turi_ "stick" maban: maba _dqlo;šari-nilot.: bagirmi tila, bari ture, coman: koma (buldiit) ¿ila (Greenb., LA 1963, p. 145, n.130), / sumer. tir "Wald" (Delitsch 1969 /1914/ p. 157) (austrian parallels see Hivet 1929 "foret"). 4. Nostr. *mg.sk§/*e§}c§& "bone morrow and liver ?" kušit.: somali ©askax "brain" / čad.: hausa maski "žirnostb" 240 (cf. tabas., udin. mab "fat; brain") / daghest.: aguí» masx "brain", lezg. masvt, mef£, darg. 5a?(?)a, cahur. mab£ (Chajdakov 1973> p. 38) / ide. *mezg- "marrow, brain" o. ind. ma¿jan-, avest. mazga- "brain", o. isl. mergr, o. pruss. muzgeno "morrow", lith. smegenjs, latv. smadzens, ch.-sl. mozgi"brain", tokhar. A maááunt "medulla" (Poucha 1.955, 227) / ural. *maksa "liver" (SKES 329) fin. maksa, est. maks, lap. R muokse etc., erz. makso, moks. maksa, mari moks, udm. mus, komi mus, musk-, osty. müja3f, müjat, vog. ma¿t, hung, maj / nenets. muí", m^íngan. mita, enets. muro, mudo, selk. mjd, mit, mite, kamas. mjt "liver". Lit.: Dolgopolskij, Znanie-sila 1975» 6, p. 16 (only nostr. reconstruction). 5. Hostr. *Tu1a "dust" kusit. * t^w/vl/l/- "earth" (Dolg. SEKJ, p. 57) saho duul "land", somali duul "Erde, world", mogogodo tirri "earth", jámma tulo "dust", iraqw teeri "dust", etc., kus.>ge°ez dawal "territorium" / khartwel. *m£wel- "dust" (Klimov 1964, p. 138) georg. mtwer- id., megr. ^wer-, can. m^wer- "dust, ashes", swan. £wi- "earth" / ?? daghest.: lak. £un, arc. £em "atom of dust" (ibid.) / ? ide. *dheul- "dust" (Pole. 262) o. ind. dhüli- f. "dust, dusty soil", pa55», lahnda, W. pahari dhür, sindhi dhüri, hindi dhül, dhür, oriya dhüli, gujar., marath. dhül,? lat. fuligo "to soot", lith. dulkés "dust", dúlk "particle of dust", dúlka, dulketi "to rise in spray or dust, to smoke" / ? dravid.: tamil. tü\ "dust" (? indoar.) (Menges, Turkic languages an$ people, 1968, p. 98 compares with türk. t5z, mong. toro "dust", cf. tokhar. A tor, B taur "pulvis" (Poucha 1955» 130), japan, ciri, ainu tor- "impurity" (Van Windekens, Orbis 1964, p. 593, $ 19 (tolch.-türk.-mong.-jap.-ainu). This Central-asiatic word probably has Westnostratian equivalents: semit.: arab. tariba "become dusty*! turba "dusty earth", kusit. * "earth" (Dolg., SEKJ, 56-7) bilin darak^a "earth", xamir ro£ ji id., somali <¿oqq "dry mud",.. ? berb. Sus idsk&i "earth" (Cohen n. 253) / ide. *ters- "be dry" >. gr. térsomai, lat. terra etc. (Bomhard, Orbis 1975, P» 361 arab.-ide.). 241 Kote: A remarkable extra-nostratian parallel is in sino-tibetan languages: o.tibet. rdul "dust atoms", west: mantsati d^ur "dust", bari: tipura ha_d_'uloi "dust" (ha "land"), bodo ha-duri "dust", ha-drl "dusty, dimasa hard.uri "dust"; chin.. din_<*dul "dust, dirt". West and Baric maybe from indoar. (Shafer, Orbis 1963, P-33A, n. 38 ide.-s.t.). 6. Nostr. *TaL\ "skin, scales" daghest.: udin. tol "Haut" / fi.-ug. *talja "Haut", fin. tal ¿a "die Haut", lap. duoll^e "pellis", ? vog. tawel®, tful°, toul® "Leder, Pelz" / čuk.-kamč.: itelmen tjlg^tch, gen. tjiin "das Leder, der Hiemen", čuk. tjrlgjr "scale", kory. tnlgav, rect.prob. tuigay "scales" / nivch. Sach. tulac "voile faite en peaux de saumon lago-cephale" / dravid. tol "Haut". Lit.: G. Hiising, Die Elamische Sprachforschung, Memnon 1910, p. 39 (udin.-drav.); Ankeria 1951, P«55, n. 34- (fi.ug.-itelm.)/Tailleur, Lingua I960, p. 136, n. 164 (čuk.-kamč.-nivkh.). 7. Nostr. *dAlA "be ill, weak (by hunger"?)" semit. *dll "be weak" (Gesenius 161) / kušit. *dAl/vL-: somali dal "be tired", kaffa dal "be tired, weak, poor", moča dal1o "hunger" (Dolg., Jazyki Afriki 1966, p. 74-, n. 5.26) / ide. *d|l-:. lat. doletS, dolor, lett. delit, tokhar. A talo "miser", B tallawo (Poucha 1955, 119) / ?? ug.: vogul. t|l "illness" / čuk.-kamč.: čuk. tal "ill", at»lka "healthy", kory. ta^ "ill". Lit.: Bouda, AKM 1938, P. 35, n. 24 (vogul.-čuk.kory.). 8. Nostr. *SunE "ghost" fi.ug. *|ugo "ghost" fin. huu id., zyry. son, osty. ¿ug^ "deceased" / dravid. *conk- "ghost" (DED 2346) tam. coku "goblin, vampire", tulu sonkuni "infect (by spirits)", telug. soku "possessed by evil spirits" / mong. siine, sunesiin "the soul", kalm. sumsij < sunsun, mong.> tiirk.: alt.teleut. suna "the soul", oirot. siino "Bild", hakas. siine "the soul of man", "phantom", etc. (Has. 1969, 436) / sinokor. sin "the soul, the spirit" (Ramstedt, SKE 1949, 234). 242 Lit.; Tyler, Lg 1968, p. 8O7, n. 68 Cfi.ug.-drav. ). Hote: Similar roots are in yeniss. and sino-tibetan languages: ket. _sjmeji_ "magician", otibet. gšen "ghost", chin. Skia "ghost" (Bouda, Anthr. 1957, p. 92). 9. Hostr. *Haka "be evil, bad"; ide. * heg-> gr. agos "Frevel", o. eng. acan "schmerzen" (WP I, 115) / ? fin. akS "anger, wrath, malice" / čuk.-kamč.: itelm.W. haq'e, xaq^e "mauvais", 0. xakslu "méchant, cruel, irrité" kory, čuk. eqe-^aqa.- "mauvais, méchant, mal", etc. / nivkh. ^ki "mauvais" (Sach.) , aki = yki "mal, misérable, etc." (Amur.) / kor. akhata "böse sein". Lit.: Koppelmann 1935, P« 196, n. 232 (ide.-nivkh.-kor.); Tailleur, Lingua I960, p. 121 (nivkh.-čuk.kamč.); Bouda, Anthr. I960, p. 379, n. 263 (fin.-čuk.-nivkh.). Note: o.chin. *ak "evil, wicked, wrong" (Karlgren 1940, 805h). 10. Hostr. *£orA "young" semit.:arab. fcaruwa "frisch, zart sein", tarïj "frisch, neu, zart", hebr. tari "feucht, frisch" / ide. *ter/H/- "young, frish" (Pok. 1070) o.ind. târufta-, dial, tàlina "jung, zart", tarûa- "Tierjunges", avest. tauruna-"jung", osset. tärin "Knabe", arm. t^arm "¿jung, frisch, grün", gr. terên "zart", alb. trim "tapfer, mutig; m. ¿junger Mann", sabin. terenum "molle", lat. tener "zart, weich", lit. tarnaš "Diener" / fi.-ug.: fin. tuore' "frish", est. tores "roh, unreif, frisch" / čuk.-kamč.: čuk. tur-, tor- "frisch, neu, jung", kory. tuj-/toj- id. / nivkh. €ir "neu" (Sach.), eus-, čuz- id. (Amur.), Lit.: Brunner 1969, p. 82, n. 443 (sem.-ide.); Bouda, Anthr. I960, p. 376, n. 221 (fin.-čuk.-nivkh.); Tailleur, Lingua I960, p. 138, n. 171 (čuk.kory.-nivkh.)» Note: Extra-nostratian parallels: sumer. tur "klein, jung, wenig, leise " (Delitsch 1969 /1914/, p. 162);polynes. tori-riki "petit" (Rivet 1929), santal, tura "petit", o.chin. t'_jer, m.chin, d'j^ei^ mandar. ti "der Jüngere" (Ulenbrook, Anthr. 1967, p. 5^5,' 1970, p. 594..)- 243 11. Nostr. _/wu/rHa "1)6 good, true" cad.: hausa warai "wise man";"well, perfectly" warkam id. / hurr. urhi, urha "sure, faithful" / ide. *werH- "be faithful, true" avest. var- "believe", lat. verus "right", germ, wahr "true, rights si. vSra "truth" / elam. uri- "believe" / dravid. *ugu~ "pass in one's mind, think, heed" (DED 610) / tgm.: manj. uru "truth", nanay., ulc. ulen id. / nivkh. urnd (Sach.), urd (Amur.) "good, true"» Lit.: Dzaukjan 1967, p. 48 (hurr.-ide.)• Krejnovic, GJP, p. 159 (tgm.-nivkh. );Mc Alpin, Lg 1974-, p. 97, n. 8 (elam.-drav.). 12. Kostr. *raHA "be happy" semit.: hebr. rf^äh "gern haben", re^eh "Freund, Genosse", akk. ru'u, ru "Genosse", arab. ra°i "Freund" / ? kusit.:somali raho "joy, relaxation", raaxo "comfort" / daghest.: gunzib. roxel "joy", avar. roxxarab "joyful", andi yo;/jo-/bo-rgam id., ? metathesis arci xwarut-tuw, lak. xxwari etc. (Chajdakov 1973, P- 109) / ide.: o. eng. rot "freudig, froh, gut," eng. rather, lith. roils "gern, willig", ch.sl. radj, ?heth. ara- "Freund";; ? o.ind. raja-"possession", avest. ray- id.,"joy"> slav. raj«» "paradise", lat. res "possession, thing" / ural. *rakka "lieb" (SKES 322-3) fin. rakas, gen. rakkaan "lieb", vog. rcjöngt "Verwandter", rak "kommen zu", osty. r§£- "nahekommen", etc., rv£äm_ "Verwandter", r*£i< "lieb", hung, rokon "naher, Verwandter", nenets. lak, rak "naher", selk. l'aga "friend". Lit.: Brunner 1969, p. 187, n. 1004 (sem.-ide.). 13« Nostr.*£Er "be dear, pleasent" semit.: arab. fara£. "luck, fortune, joy" / egypt. nfr "be good, beautiful" (Djakonov 1965, p. 4-6) / berb.: tamaseq i;frar / kusit.: bed. nefir "be pleasent, rejoice" / ide. *£reiH- "like, love", etc. (Pok. 844) o.ind. priyate "erfreut, liebt", prlta- "pleased, gratified", ßrlgati "erfreut", priya- "lieb", avest. frya^ id., gr. präys "mild, sanft", n.fryg. griei/s/ "lieb", dak. priadila "girl root" (Weroznak 1978, p. 129, 61), got. fri-¿on "love", frijonds "friend", o.isl. freya "goddess of love", let. prieks "joy", slav. pre^jg, pr^jati "wish", prbjjaznb 244 "favour", pr%¿ja:telb "friend" (Machek 490-1, 494) / türk. */h/ar/|/ (Ras. 1969, 486) *erke~*arka "favourite" (Sevort-jan 1974, 297), cf. Harka "wife of Attila, gr. Herfka, germ. Herkja"rvJ*eris "fun" (Sevortjan 293),*ermek "entertainment" Note; B.Cop in Lingüistica 1973» P« 133-4 compared with fi.-ug. *para "good", but vocalism of the first syllabe gives evidence for Illic-Svityc's etymology. The same connection is stated by Koppelmann 1933» p. 141, in addition ainu pirika "gut". Lit.; Brunner 1969, p. 187, n. 997 (arab.-ide.). 14. Nostr. *j?inA "feel tenderness for", "love" semit.: hebr. ^anan "to incline towards, be gracious to", arab. jjanna "feel tenderness, affection, sympathy, etc." / ide.: got. ansts "favor, grace" / ural. *intA "be joyful, enthusiastic" (SKES p. 108) fin. into "taste, favour, enthusiasm", innokas "zealous, passionate", lap. K 64Ja "taste", udm. gdj "strength, health, energy", zyry. gd "vapour of sauna","energy", enets. ed.de "joy, pleasure, merriment", selk. ántalnag "come joyfully" / türk. *en^/*in- > tatar. init- "Strongly desire, to long" (Sevortjan 1974, p. 283, by Radlov) / ? mong. inak "dear, lovely" / elam. hani- "to love" / drav. *in- (north, dr. *enO_ "pleasent", cf. brahui hanfn "sweet, pleasent". Lit.: Bomhard, Orbis 1975, p. 368 (semit.-ide.)j Bjako-nov 1967, p. 112 (elam.-drav.)• 15. Nostr. *wonA "love" kusit.: somali wanaag "goodness, mercy", wanaagsan "good", cad.: hausa wangala f. "enjoyment, relish, delight" / ide. * wen- "love" a.ind. váiiati "he loves", lat. Venus, ;eris » o.isl. Vanr (myth.) lat. venia "grace, favor", germ. Wonne "sweetness, delight", vmnschen "to long" etc., o.h. germ, wini "friend", swed. van id., tokhar. A wañi "arbitrium, libido, voluntas" B wína id. (Poucha 1955, P- 285), kypr. gr. Vanassa "title of Aphrodite", myken. wa-na^so^i "goddess lady", gr. vánax > anax "lord", myken. wa^na-ka "lord, king, god", (cf. fryg. yanaktei), o.eng. wine "protector", cf. tokhar. A nkat, B nakte (m.chin. nj£&-jfcsio_ "the title of king of "Little Jüe-Se", who submit to Chineses in 108 B.C.)", also tokhar. 245 nätäk "lord", nasi "lady" (V.V.Ivanov, Balkan.lingv. sb., Moskva 1977, P« 165-171) / ? bait.-fin.: onni "luck", Onne-tar "Fortune" (myth.), est. onn_"luck", lap. swed. wuodna id. (SKES 432) / türk. on~un "the good, felicity", tur.dial, on, saryg-yugur un, uj etc., tatar. dial, ünä- "to love" (Sevortjan 1974, p. 596-7). Rote: This root is probably represented in Slavonic languages: proto-slav.*went- vgt- > ch.sl. yjftii "greater", V£Šte "more", pol. wi^kszy, wigc, etc. The stock names Veneti, Ouénetoi, Enetoí, Viatici belong to the same semantic field. Also czech own name Václav + latin. Venceslaus. 16. Nostr. *muni "stomach" kušit. *5An/n/- "entrails" (Dolg., SFKJ, p. 182) bed. mana "entrails, intestine", dahalo mani "breast, stomach", iraqw muna "heart", gorowa-alagwa mona id., burunge muuna "chest", asa menana "belly-worm", ngomwia muna-ko "heart" / ?egypt. mnf "chest" (by Illic-Svityc from nostr. *malgE) / samoyed. *muni "stomach" nen. (Castr.) my', (acus.sg. menm) "Magen", (Leht.) myj "Bauch", muníá id., muá "Fischmagen1,1, munny^oi "satt, bauchig", nganas. mina, minaiku "Fischmagen", minada "Magen", enets. munori, munedi "Magen", muáabo "F^schmagen" / yukg. N. monii "belly, abdomen (anim.) moninei "pregnant, with child", čuvan, manjalo "ventre" (Tailleur, Lingua I960, p. 305) / kor. *manha "the pancreas". Lit.: Collinder 1940, p. 83 (samoyed.-yukg.);Songmoo Kho, Congressus Tertius Intern. Fenno-Ugristarum 1970, Tallin 1975, p. 108, n. 48 (kor.-ural. maksa "liver"). 17. Nostr. *šilA "be silent" semit.: hebr. §®ll "silence", sälew "silent, quiet, still", šalah "be silent", ugarit. §lw, etc. / ide. *seilH- "be silent", "schweigen", latin, silere "ruhen, schweigen", got. anasilan "verstummen", o.eng. saines "Schweigen" / fi.-ug. * šil^ ~ *šalKA "be silent" (Budenz 1966, p. 131, n. 157) fin. hiljja- "silent", lap. suolga id., zyry. col "schweigsam, ruhig", hung, halk "silent, slow, calm" mong. sili "ruhig", sila-¿ji "nichts tun, faul da liegen" (KWb 346), türk.: koman. syly "ruhig", krym. tatar. sylag "Ruhe" (Räsänen 1969, p. 416), Lit.: Brunner 1969, P- 112, n. 157 (sem.-ide.). 246 18. Nostr. "the time of sleeping" daghest. ""nak^a "yesterday" (Chajdakqv 1973, P- 96), lezg., tabas., agul., kryz. nakj, buduch. nak^a "yesterday", lak. k^unnu "yesterday evening" (metathesis), rutul. natejra, udin. nafcjne "yesterday" / ide. *nek*- "night", etc. ved. n|k "night", gr. nuks, -t6s etc. (Machek 401), heth. nekuzzi "it is growing dusky", nekuz "night", tokhar. B nekciye "evening"; lith. nakvdti "pass the night", nakvyne "place to sleep" / ? fi.-ug. *nukk/\ : fin. nukku- "obdormiscere, dormire", est. nukku- "schlummern", lap. nokke- "obdormiscere, finiri, consumi", lap. F. nokka- "einschlafen", mordv. nuva- "schlummern", etc., vog. L. nuntlaxt-"ruhen", hung, nyugod "quiescere" (Budenz 1966, p.422) / čuk.-kamč.: čuk. naki "night", itelm. nukulu "dark" / eskimo unuk "evening", unuak "night" / ?? tiirk.: yakut. nukaryj "fall asleep". Lit.i Thalbitzer, Travaux du cercle linguistique de Copenhague 1944, (critic of ide.-esk. )j Swadesh, AA 1962, p. 1281 (čuk.-itelm.-esk. )/Bouda, Abh. p. 27, n. 23 (čuk.-esk.); Rasa-nen 1969, p.355 (fin.-yakut.). 19. Nostr. *gUc/j "be hungry" semit. *g§f > arab. "be seized by longing" / kušit. *"be hungry" (Dolg. SFKJ, p. 305)/ somali gaa|o "hunger", galla jfačo "hlad", kačod^/t/-"be hungry", ometo kašaj- "venir fame", haruro gaawaaci "hungry", kafičo kug- "wretched" / ? čad.: hausa ga|i "drain, tire" / daghest. *g^aš- "hunger" : darg. guš "hungry", gasi "hunger", tabas. agul. gas "hunger", rutul. gaš, lak. kkaši, lezg. kkaš id. / ide. *g/h/es- "be hungry" tokhar. A kas-, B kes- "be hungry"? *g/h/os=t- "hunger" heth. kast, tokhar.A kagt, B kest "hunger" (Poucha, Inst. Ling. Tocharicae I, 1955, p. 55); ? o.ind. kgudlx-, avest. su^a "hunger" < *lcs- (Burrow 1976, p. 88) / ? čuk. gyt "hunger, hungry", gytle "desirous". Lit.: Džaukjan 1967, p. 152 (dagh.-ide. )j Bouda, Lingua 1955, p. 48 (čuk.-bask.). Note; bask, gose "hunger, hungry". 20. Nostr. *CUsrA "long hair" semit. *!°xl "hair" (Gesenius, p. 789-90) / kušit. *cAg^Ar- "hair" (Dolg. SKEJ p. 119)> 247 "bilin sag_er "have hair", somali dagur "hair", boni do^gra "hair", geleba zurr, bworo ciira, maji saaru, iraqw gaga id. kus. > gecez gag*ir, tigray 2iSUii» amh. "hair" etc. / cad.: karekare saku, gulfei susigi "hair", hausa cagijja "horsehair" / daghest. "c^^r- "hair" lak. c^ara, arc. c^ari, agul., rutul. c^ar, cahur. c^er "hair" / fi.ug.*SAkiA "hair of animals" mari sar "(horse)hair", mansi sajrir, soar "horsehair", hung, szor "hair (of animals)" (OFUJ, p. 411) / 5ufc.-kamc.: itelm. c/e/ro "hair" (Worth, Paleosih. Etym. II, IJAL 1959, p. 109) - Lit.: Dolgopolskij, SFKJ 119 (only reconstruction)* Bouda, Orbis 1970, p. 135, n.61 (itelm.-dagh.). Note: Interesting parallels are in Amerindian languages: cipaya (maya) cara "hair", proto-tacana *caro id. (E.Matson, Comp. Studies in Amerind, lg., 1972, p.65) . /Note of the Editor: The present Text was received in July 1980. The Second part of it will be published in the following Volume (= XXIII) of this Review .J 248 Pierre Swiggers CDU 809.1 - 54 Leuven NOTE COMPARATIVE SUR L' EMPLOI TEMPOREL DE isk En arménien, l'adverbe isk ("vraiment, en réalité"), dont la syntaxe a été décrite par Antoine Meillet (Altarmenisches Elementarbuch, 1912, § 166), peut s'employer dans des locutions temporelles. L'adverbe prend alors la forme élargie isk ev isk et signifie alors "immédiatement, et soudain, et tout à coup". Comment faut-il expliquer maintenant cette transition de la valeur sémantique de véracité (ou de véridicité) à celle de consécutivité immédiate? Nous croyons que cette transition d'une fonction adverbiale modale, indiquant la véracité, soit du contenu de l'énoncé, soit de l'énonciation même , à une fonction adverbiale temporelle peut s'expliquer a la lumière de certaines données d'ordre comparatif. Dans cette note nous voudrions discuter ces données, tirées du latin et des langues germaniques. - 4 En latin, le mot rectus et ses dérivés adverbiaux attestent une transition sémantique analogue, à laquelle s'ajoute encore l'expression d'un rapport 1 Bien sûr, la forme isk a également valeur de substantif ("essence, réalité") et d'adjectif ("vrai, réel") en arménien ; ici, nous nous occuperons de son emploi adverbial. 2 Voir l'exemple donné par Meillet o.e. p. 133: ev isk ev isk etes i tesleann "und sofort sah er im Traum". 3 Pour la distinction, linguistiquement fondamentale, entre le contenu de l'énoncé et (l'acte de) l'énonciation, voir E. Benveniste, "L'appareil formel de l'énonciation", Langages 17, 1970, p. 12 - 18 (repris dans Problèmes de linguistique générale II. p. 79 - 88); voir également mes remarques dans "Emile Benveniste", Romaneske VI:1, 1981, p. 33 - 37. 4 La racine indo-européenne de ces mots est reg^, dont le champ sémantique est décrit dans J. Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch , p. 854 - 857. Voir également, pour l'adjectif rëctus, les remarques comparatives dans A. Walde - J. B. Hofmann, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Bd. II, p. 424. 249 spatial. Ainsi l'adjectif rëctus5 a plusieurs dérivés adverbiaux6 (recta, recto, reetë), qui peuvent tous signifier "directement, par voie directe", rj et "correctement, proprement" . Ce rapport apparaît d'autant plus nettement que les traductions allemandes ont toujours l'élément -recht (Recht), commun aux différentes formes correspondant aux adverbes latins: aufrecht (sincère), mit Recht (k bon droit, avec raison), et regelrecht (directement, g ^ ^ tout droit, carrément) . Le rapport est matériellement (phonétiquement) moins clair dans les traductions françaises, où il y a un écart entre le morphème droit (cf. à bon droit, droitement) et le morphème direct g (cf. par voie directe, directement), les deux remontant au latin directu(m) . Le rapport entre le sémème de la véracité et celui de l'immédiateté temporelle (et spatiale/*"*, incorporé par l'élément rect-, se manifeste donc nettement au niveau synchronique en latin, et se laisse reconnaître également dans les résultats que cet élément a donnés dans les différentes langues romanes^. 5 L'évolution diachronique du mot rëctus est décrite par F. Stolz, Historische Grammatik der lateinischen Sprache, Bd. I, 1894, p. 531. 6 Pour une description phonologique et morphologique de ces dérivés, voir F. Neue, Formenlehre der lateinischen Sprache (neubearbeitet von C. Wagener), Bd. II, 1892, p. 567 (rectim), p. 635 (rectä), p. 757 (reetë); pour une brève note syntaxique voir C.F. W. Müller, Historische Grammatik der lateinischen Sprache. Syntax des Nominativs und Akkusativs im Lateinischen, 1908, p. 84. 7 Ch. T. Lewis - Ch. Short, A Latin Dictionary, Oxford, 1879 (s.v. rego), p. 1552 - 1553. 8 Voir H. Menge, Repetitorium der lateinischen Syntax und Stilistik (neubearbeitet von A. Thierfelder), 1961, p. 313; Walde-Hofmann, o.e. p. 424. 9 Voir W. von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bd. m, 1934, p. 87 - 91 (s.v. directus) et Bd. X, 1962, p. 163 -164 (s.v. rëctus). 10 Dans via rectä, rectö itinere, in rectum par exemple. 11 Voir les données comparatives rassemblées dans von Wartburg, FEW, o. c., Bd. HI, 1934, p. 87 - 91. 250 Un parallèle sémantique nous est également fourni par quelques langues 12 , , , germaniques . En vieux-saxon (dialecte médiéval parle au-dessus de Brème), l'adjectif reht ("droit, vrai, bon") s'emploie comme adverbe dans la locution temporelle reht so (suivi de l'indicatif), signifiant "et juste après avoir, et immédiatement après". Un exemple très intéressant de l'emploi de cette locution nous est fourni par le Héliand, vers 204S • 2053 (passage sur les noces de Cana), où l'on rencontre-la conjonction à corrélation reht s5 ... so: Reht so hT thes uulnes gedranc, so ni mahte hë bemTctan, ne hï far theru menigi sprac, te themu brudigumon, quaff that simbla that bezte li£t alloro erlo gehuuillc êrist scoldi geïïan 13 N. at is gômun "Et voilà qu' il avait goûté du vin, qu' il ne pouvait se retenir de parler devant la foule, et il dit au nouveau marié que tout le monde devait toujours servir d'abord le meilleur vin à son banquet." Dans quelques langues germaniques vivantes le même rapport entre le sémème de la droiture (ou rectitude) et celui de la consécutivité immédiate, se laisse encore reconnaître à travers l'emploi d'un même morphème: en anglais, les expressions ri&t so, right away (cf. straight away) ont un sens adverbial temporel, et en islandais l'adverbe rétt s 14 (correspondant a l'adjectif réttur "droit, correct, juste") sert à former la locution rétt brachim "immédiatement, directement". Ces exemples montrent que dans certaines langues indo- européennes il 15 existe un rapport sémantique de transitivite entre l'emploi d'un 12 Mais non en gothique, où les adverbes rafhtaba (correspondant à l'adjectif raihts, classe en -a) et sunjaba (correspondant aux ad-jectifs sunjeins "vrai, véridique et sunjins "véridique", le premier étant un adjectif de la classe en -a, le second appartenant à la classe des adjectifs en -ja) n'ont que le sens d'adverbe de qualité. 13 Cité d'après l'édition dans F. Holthausen, Altsachsisches Elementarbuch, 1921, p. 208. 14 Notons qu'en islandais le substantif réttur signifie "la loi, le droit, l'arrogation". 15 Par contre, dans les langues sémitiques il n'y a aucun exemple d'un rapport transitif analogue. 251 morphème comme adveibium qualitatis de véracité et son emploi comme adverbium temporis indiquant la consécutivité immédiate ou l'imminence subsécutive. Povzetek PRIMERJALNA OPAZKA O ČASOVNI RABI ARMENSKEGA isk Armensko isk "resnično, v resnici" pomeni v razširjeni obliki isk ev isk "takoj, in nenadoma". Pisec opozarja na podoben pomenski razvoj pri nekaterih latinskih (tudi romanskih) in germanskih besedah. 252 Darja Globevnik CDU 808.63 - 01 - 56 SYNTAXE FONCTIONNELLE ET SYNTAXE GENERATIVE UN RAPPROCHEMENT DANS LES ANNÉES '70?* En essayant de répondre à la question posée, on analyse les points suivants: a) le nombre des niveaux descriptifs dans le modèle syntaxique et leur distance réciproque, b) les procédés décrivant les relations syntaxiques de la phrase, c) les traits lexicaux mis en relation avec la structure syntaxique, d) les traits sémantiques mis en relation avec la structure syntaxique. La réponse est positive. Au cours des années '70, les tenants des deux écoles se sont rapprochés dans une certaine mesure (la syntaxe générative se rapproche de la syntaxe fonctionnelle en ce qui concerne les points a) et d), la syntaxe fonctionnelle se rapproche de la syntaxe générative en ce qui concerne les points b) et c), du reste probablement sans rien se devoir directement. Il semble que le degré du rapprochement soit relativement plus grand du coté de la syntaxe générative que du coté de la syntaxe fonctionnelle. Divers courants linguistiques approchent le langage des points de vue différents. Leurs descriptions reflètent cette divergence des points de départ, toutefois vu qu'elles se réfèrent pour la plupart au même domaine des faits empiriques, on peut procéder à la comparaison de leurs procédés descriptifs jusqu'à un certain dégré. Nous allons nous limiter ici à la linguistique fonctionnelle et à la grammaire générative et, sur la base de la comparaison de leurs descriptions Une présentation de ce texte a été effectuée dans un des trois ateliers de la 7eme conférence dè linguistique fonctionnelle, qui a eu lieu au commencement de septembre 1980 a Saint-Andrews (en Ecosse). Ce texte n'a pas pu paraître dans sa forme intégrale dans les Actes de cette conférence à cause de la réduction, à quelques pages seulement, de chaque contribution. Ce qui a paru dans les Actes est un résumé des positions prises ici (Proceedings, 7^ International Colloquium of Functional Linguistics, St. Andrews, 1981, p. 170-171). 253 syntaxiques, nous essayerons de répondre à la question s'il y a eu quelque rapprochement entre elles dans les années ' 70. Soulignons d'abord les points de départ qui séparent les deux écoles. La linguistique fonctionnelle approche le langage du point de vue sociologique: le langage est surtout un moyen de transmission des messages parmi les gens, un systeme de communication*. La grammaire générative approche le langage au contraire du point de vue psychologique: le langage est surtout un instrument de la pensée, une faculté intellectuelle qui trans- 2 pose l'experience en grammaire . Les deux écoles ne divergent pas seulement en ce qui concerne l'interprétation de la nature du langage, mais aussi à propos du modèle de son apprentissage. La linguistique fonctionnelle présente ce procès comme une imitation systématique de 3 l'activité linguistique de l'entourage . La grammaire générative par contre assigne à cette influence de l'entourage seulement le rôle d'impulsion qui active la faculté du langage innée à l'homme^. Les deux courants diffèrent aussi dans leur choix de la méthode d'analyse. Tandis que la linguistique fonctionnelle combine la méthode inductive et la méthode déductive, la grammaire générative reste essentiellement une théorie 1 A. Martinet, "Studies in Functional Syntax", 1975 (Fink, Miinchen), p. 12: "human language ... those communication systems that have a vocal character and are in general use among all human communities." 2 N. Chomsky, "Essays on Form and Interpretation", 1977 (North Hoi -land), p. 63: "the genetically determined human language faculty ... one component of human mind, a function which maps experience into grammar." 3 A. Martinet, "Grammaire fonctionnelle du français", 1979 (Didier), p. 4:"Au cours de son enfance, (l'homme) a, par imitation de son entourage, appris a établir un rapport entre, d'une part, certaines situations, certains objets, certaines personnes et, d'autre part, certains sons produits par les lèvres, la langue et le larynx." 4 "An Interview with Noam Chomsky" (Sol Saporta), Linguistic Analysis, 4/4, 1978, p. 308: "the human mind, and it is unique in this respect, develops this mental organ (= language), much as birds develop wings." 254 déductive . La différence apparaît d'ailleurs dans le mode de présenter les faits. La grammaire générative tend à les formaliser autant que possible, la linguistique fonctionnelle par coiïtre ne se propose pas d'apporter une description très formalisée dès lé début. La linguistique fonctionnelle et la grammaire générative se distinguent nettement en ce qui concerne leurs points de départ ainsi que la méthode employée6, et par ce fait aussi en ce qui concerne le cadre dans lequel sont effectuées leurs descriptions concrètes. Toutefois, malgré cette différence du cadre, on peut dans une certaine mesure comparer ces descriptions., au moins à propos des concepts qu'elles introduisent pour décrire le domaine commun des faits empiriques. Notre comparaison sera faite sur la base des livres suivants: à propos de la syntaxe fonctionnelle d'une part "Pour enseigner le français" (1976) paru sous la diréction de Mortéza Mahmoudian (PUF) - ce livre est représentatif pour les procédés descriptifs établis depuis quelque temps en syntaxe fonctionnelle -, et d'autre part "Grammaire fonctionnelle du français" (1979) parue sous la direction d'André Martinet (Didier); à propos de la 5 A. Martinet décrit cette différence comme la distinction entre r"empirico-déductif" et l'"hypothético-déductif" ("André Martinet", dans Herman Parret, "Discussing Language", 1974 (Mouton), p. 235). 6 Les représentants de la linguistique fonctionnelle et de la grammaire générative discutent d'ailleurs les positions de l'autre école, p.ex. A.Martinet dans "Discussing Language", ibid.: "I refuse to identify an object as a language if it is not, in essence, instrumental for communication. An instrument that would serve only to help people think would never be a language."; N. Chomsky, "Discussing Language", ibid. p. 52-53: "it has been suggested that it is a commonsense view that the purpose of language is communication.. As far as I can make it out., (it is) at best unsubstantiated, when it is given any clear form.. I can see no substance in the proposals., with regard to the alleged interpénétration of the study of form and the study of function." 255 syntaxe générative d'une part "Aspects of the Theory of Syntax" (1965) de Noam Chomsky (MIT Press) (en partie aussi ses "Syntactic Structures" (1957), et d'autre part "X-bar Syntax: A Study of Phrase Structure" (1977) de Ray Jackendoff (MIT Press) et "Base Generated Syntax" (1978) de Michael Brame (Noit Amrofer). A propos de la question posée nous allons discuter les points suivants: 1) le nombre des niveaux descriptifs dans le modèle syntaxique 2) les relations syntaxiques dans la structure de la phrase 3) les facteurs lexicaux et la structuration du système syntaxique 4) les facteurs sémantiques et la structuration du système syntaxique 1. LE NOMBRE DES NIVEAUX DESCRIPTIFS La réponse à la question, combien de niveaux descriptifs il faut introduire dans le modele pour que les rapports syntaxiques soient décrits d'une maniere optimale, varie selon les écoles. La syntaxe fonctionnelle procède à sa description des rapports syntaxiques sur un seul niveau descriptif qui est très proche a la'structure syntaxique des phrases concrètes. P. ex. la phrase complexe: Jean lit quand il mange est décrite dès le début comme une structure complexe, un certain type des structures syntaxiques de base, et non pas comme une structure dérivée de quelques autres structures plus élémentaires, p. ex. des phrases simples (Jean lit, Jean mange). De même en syntaxe fonctionnelle on n'analyse pas les phrases simples, p.ex. : Jean a faim en structures plus élémentaires (Jean l'a, Jean faim). En somme, la syntaxe fonctionnelle ne procède pas à réduire considérablement les structures syntaxiques établies dans les phrases réalisées et, par conséquent, elle ne pose pas un autre niveau descriptif que celui qui analyse ces structures relativement concrètes. La syntaxe générativë par contre procède à des réductions plus considérables et elle effectue son analyse sur deux niveaux descriptifs, 256 ce sont le niveau de la structure profonde qui est assez éloignée des structures syntaxiques concrètes et le niveau de surface qui en est plus proche. Les deux structures sont reliées à l'aide des règles transfor-mationnelles qui modifient de différentes façons les structures profondes pour les amener aux structures de surface. Pendant la première étape du développement de la syntaxe générative ("Syntactic Structures"), on réduit toutes les phrases complexes à des phrases profondes simples, ce qui a amené une grande différenciation de la structure profonde et de la structure de surface. Dans le modèle des "Aspects..." ces deux structures se rapprochent déjà dans une certaine mesure: les phrases complexes sont réduites à des types des phrases profondes complexes qui restent pourtant encore bien éloignées des structures concrètes auxquelles les amènent les transformations. La distance entre la structure profonde et la structure de surface, c'est-à-dire le degré d'abstraction des procédés de réduction, varie dans les descriptions au cours du développement de la syntaxe générative et c'est sur cette base qu' on identifie divers courants qui ont apparu après les "Aspects..". Dans la seconde moitié des années '60 paraît d'une part la tendance à augmenter la distance entre deux structures. On dérive les phrases simples de plusieurs structures élémentaires. P. ex. : Jean est content serait dé- 7 rive de deux structures (Jean l'est, Jean content) . On avance de plus en plus dans la voie de la réduction. On présente la phrase anglaise: Floyd broke the glass déjà comme dérivée des huit structures élémentaires (I_ déclaré you, it past, it happen, Floyd do it, Floyd cause it, it came about. 7 Selon John Ross, "Adjectives as Noun Phrases", dans Reibel et Schane, "Modern Studies in English", 1969, Englewood Cliffs, p. 352-360. 257 8 it be. the glass broken) , ce qui augmente énormément la distance entre les deux niveaux descriptifs. Dans ce courant des syntacticiens abstraits les renseignements qui sont présents dans la structure profonde deviennent de moins en moins directement pertinents pour la structure syntaxique concrète et de plus en plus importants pour la structure sémantique de la phrase. Sur un certain point, ils n'en viennent plus à assigner à ces structures profondes un statut syntaxique, mais au contraire ils leur assignent le statut sémantique. On passe alors à la sémantique générative. Ses adhérents présenteraient la structure profonde de la phrase: Jean bat Pierre a l'aide de la notation logique comme X. bat X ; X. : Jean; 9 x _!-± _L--— X2 : Pierre , ou l'information sur la structure syntaxique réalisée diminue de beaucoup. D'autre part, le développement s'engage dans la direction opposée, c'est-à-dire vers le rapprochement de la structure profonde à la structure de surface et vers la limitation des procédés de réduction. Ce courant appelé interprétiviste commence à se développer au commencement des années '70^ et l'importe sur la sémantique générative qui disparaît pour ainsi dire au milieu de la décennie. Dans ce cadre inteprétiviste c'est X-bar syntax qui marque le détour décisif vers la concrétisation des structures profondes, cellés-ci devenant maintenant beaucoup plus proches des structures de surface qu'auparavant. 8 Selon John Ross et George Lakoff; cité selon Frederick Newmeyer, "Modern Linguistic Theory: The first quarter century of Transformational-generative grammar in America" (manuscript), ch. 4 9 Selon James McCawley, "Where do Noun Phrases Come From", Jacobs et Rosenbaum (éd. ), "Readings in English Transformational Grammar", 1970, Waltham, Mass., p. 166-183. 10 Après l'article de N. Chomsky, "Remarks on Nominalization", Jacobs and Rosenbaum (éd.), "Readings in English Transformational Grammar", 1970, p. 184-221. 258 En général, dans les cas où il faut décider si un élément ou une position de la structure de surface est dérivé par des transformations (ils n'existent pas en structure profonde) ou au contraire ils sont déjà présents dans la structure profonde, X-bar syntax choisit beaucoup plus souvent que les "Aspects.." la seconde possibilité en rapprochant de ce fait les structures profondes des structures de surface considérablement. En même temps elle diminue le nombre nécessaire des trans -formations qui doivent s'appliquer au cours du passage du niveau profond au niveau de surface. Citons deux exemples: le substantif le refus serait dérivé dans le modèle des "Aspects.." du verbe refuser à l'aide de la transformation de nominalisation, c'est-à-dire dans le lexique en structure profonde on a seulement le verbe tandis que le substantif correspondant n'y figure pas. X-bar syntax au contraire prévoit la présence des deux en lexique (ce qui est motivé par ailleurs par le fait qu'il n'y a pas toujours de correspondence sémantique exacte entre le verbe et le substantif que présuppose le traitement transformationnel), par conséquent dans la dérivation de la phrase ou apparaît le refus il ne faut pas dériver cet élément à l'aide d'une transformation puisqu'il est déjà présent dans la structure profonde; le fait qu'un type d'adverbe peut apparaître dans la phrase sur divers points est présenté dans le modèle des "Aspects.." de façon transformationnelle: en structure profonde on a une seule position fixée et la transposition d'adverbe aux autres positions se fait par une transformation correspondante. X-bar syntax par contre prévoit la possibilité de différentes positions d'adverbe déjà dans la structure profonde en assignant à sa position le trait /+Transportable/ qui assure sa mobilité dans les configurations profondes, approchant celles-ci des phrases concrètes. Les courants génératifs qui procèdent à leurs descriptions en observant au moins en général'les lignes tracées par les "Aspects..", analysent les faits syntaxiques sur deux plans descriptifs qui sont reliés entre eux par 259 le composant transformationnel. Dans la seconde moitié des années '70 apparaît pourtant un courant qui se détourne de ce modele de la manière plus radicale. Il s'agit de base generated syntax qui soutient qu'un seul niveau descriptif de nature assez concrète suffit pour décrire les rapports syntaxiques d'une façon optimale. Le chemin amenant cette conclusion est le suivant: en analysant de plus près les transformations proposées en syntaxe générative, on s'aperçoit qu'il y a toujours des cas où les conditions requises pour leur application, spécifiées en termes des catégories syntaxiques, sont remplies, mais que leur application toutefois conduit à des résultats inacceptables. A titre d'exemple prenons la transformation passive et citons deux exemples en français. Dans les phrases: (te) Jean bat Pierre (lb) Jean a un livre on a la structure catégorielle NP - VP - NP que présuppose la transformation passive. Son application mene dans le premier cas seulement a une phrase acceptable (+Un livre est eu par Jean). On a la meme structure dans le cas suivant: (2a) Jean pèse la valise (2b) Jean pèse cinquante kilos ou de même l'application de la transformation passive amène un résultat acceptable dans le premier cas seulement ( Cinquante kilossont pesés par Jean). La différence des résultats dans l'application de la transformation passive à une même structure syntaxique peut etre assignée ici uniquement d'une part aux faits lexicaux (le verbe avoir ne permet pas de passif) et d'autre part aux faits fonctionnels (la différence du rapport des deux compléments: objet, complément du sujet). A propos de tels exemples on peut conclure que pour être en mesure de prévoir correctement les cas où la modification passive peut avoir lieu, il est plus essentiel de connaître la structure lexicale et fonctionnelle que la structure syntaxique en termes de catégories. Puisqu'on peut établir les "exceptions" du genre mentionné a propos de toutes les transformations proposées (les syntacticiens travaillant 260 dans l'esprit des "Aspects,." essaient de les éliminer à l'aide de différentes contraintes sur le mode d'application des transformations), il est légitime de se demander si ce n'est pas par sa nature que le concept de transformation est inadéquat pour décrire les rapports syntaxiques pour lesquels il a été proposé en tant que moyen descriptif. Base generated syntax donne la réponse affirmative à cette question et propose d'éliminer les transformations en tant que concept syntaxique. En éliminant les transformations, on élimine automatiquement aussi la distinction entre la structure profonde et la structure de surface qui se distinguent dans les "Aspects.." précisément à l'aide du composant transformationnel. H ne reste qu'un niveau descriptif qui doit être selon base generated syntax - qui insiste sur la pertinence des facteurs lexico-fonctionnels pour les procès syntaxiques de la phrase - d'une nature très concrète. Le modèle syntaxique qu'elle propose est le suivant: les réglés de réécriture spécifient les structures syntaxiques de base (approximativement de même que les décrivent les fonctionalistes, bien qu'avec moins de formalisation) où se trouvent déjà p. ex. divers types de phrases complexes; en lexique les lexèmes sont décrits en termes de leurs latitudes syntaxiques et lexico-fonctionnelles. L'insertion lexicale dans les cadres syntaxiques générés par les règles de réécriture se fait sans suivre un ordre préétabli et c'est aux règles de l'interprétation fonctionnelle que revient le rôle d'indiquer si telle insertion dans un certain cadre syntaxique aboutit ou non a une phrase acceptable (telle règle indiquerait p. ex. que l'insertion du verbe mettre présupposant un complément local dans la structure NP - VP - NP amène un résultat déviant). A propos de la question du nombre des niveaux descriptifs qui rendent possible une description optimale des rapports syntaxiques, on peut résumer: La syntaxe fonctionnelle décrit ces rapports à l'aide d'un seul 261 niveau descriptif qui est très proche à la structure des phrases concrètes. La syntaxe générative les décrit sur deux niveaux, le niveau de surface et le niveau profond, le premier proche à la structure syntaxique réalisée, le second plutôt éloigné d'elle. Dans les années '70 on peut constater une tendance permanente au rapprochement du niveau profond du niveau de surface (X-bar syntax) et dans la seconde moitié des années '70 apparaît même un courant.qui soutient qu'il faut décrire les rapports syntaxiques sur un seul niveau descriptif de nature assez concrète (base generated syntax), prenant sur ce point au fond la même position que les syntacti-tiens fonctionalistes. 2. LES RELATIONS SYNTAXIQUES La description syntaxique traite des éléments syntaxiques (les signes et leurs projections en termes de catégories, p.ex., Pierre, le substantif..) et des rapports qu'ils entretiennent entre eux. Lorsqu'elles procèdent à leur analyse syntaxique, diverses écoles centrent leur intérêt sur des points différents. La syntaxe générative ne traite pas à part les questions d'identification des éléments susceptibles d'entrer dans les rapports syntaxiques (en général, elle opère avec des éléments et des catégories qu'a proposés déjà la grammaire traditionnelle). Elle centre pourtant tous ses efforts sur l'analyse des rapports entre ces éléments. Elle les décrit par deux types de règles: les rapports les plus fréquents (p.ex. la cooccurrence d'adverbe et d'adjectif..) par les règles de réécriture, d'autres rapports importants mais relativement moins fréquents (p. ex. 1 ' extraposition, le passif, le sujet de la subordonnée en tant qu'objet de la principale etc.) par les règles transformationnelles. Les deux types de règles sont de nature plutôt abstraite. 262 La syntaxe fonctionnelle - c'est "Pour enseigner.." qui constitue ici le point de départ - traite au contraire les questions d'identification des éléments et des catégories syntaxiques (p. ex. la classe nominale rassemble les monèmes plurirelationnels et plurinucléaires) et par conséquent elle ne consacre pas toute son attention aux rapports dans lesquels ils peuvent entrer. En décrivant ces rapports, elle se concentre sur les rapports les plus fréquents (p.ex. la cooccurrence du nom et du verbe..). Sur la base d'observation de tels rapports, elle postule certaines fonctions syntaxiques (p.ex. objet, attribut..), en spécifiant les classes monématiques qui peuvent les assumer. Les rapports relativement moins fréquents ne retiennent pas autant son attention et ils n'entrent pas dans la description syntaxique en tant que facteurs décisifs dans l'identification des fonctions syntaxiques. "Pour enseigner.." soutient d'avantage que les fonctions doivent remplir la condition du signe linguistique, c'est-à-dire qu'elles doivent comme tout monème lier un contenu spécifique à une expression spécifique. Cette conception monématique de fonction syntaxique selon laquelle toute fonction reste indissolublement liée à son expression spécifique ne permet pas de poser deux fonctions correspondant à une même expression (p. ex. on ne peut assigner deux fonctions différentes aux compléments à Paris, à Marie puisqu'ils sont introduits (formellement au moins) par une même préposition; il n'y a la qu'une fonction ). La vue monématique fait de la fonction syntaxique un concept descriptif très concret, toujours identifiable en termes d'expression spécifique (celle-ci étant nécessairement présente dans toute phrase où une telle fonction se réalise). "Grammaire.." apporte certaines innovations. D'une part elle élargit le domaine des rapports syntaxiques examinés à propos de -l'identification des fonctions syntaxiques. On accorde l'attention non plus seulement aux rapports les plus fréquents, mais aussi aux rapports relativement moins fréquents (paraphrases spécifiques, diverses espèces de pronominalisation 263 etc.), et ce qui est important, on présente certains de ces rapports comme facteurs pertinents dans l'identification des fonctions. D'autre part, on relâche la condition du statut monématique de la fonction syntaxique: désormais la fonction peut mais ne doit nécessairement prendre forme du monème particulier dans toute phrase où elle apparaît. On peut maintenant poser une fonction aussi dans les cas où elle se manifeste le plus souvent par une expression non spécifique si dans certains cas au moins elle peut être associée à une expression spécifique, cette relation entre deux expressions correspondant d'ailleurs à un rapport syntaxique pertinent, p.ex. un certain type de pronominalisation (on différencie maintenant deux fonctions dans à Paris, à Marie sur la base de deux relations différentes: à - y (fonction spatiale), à - lui (fonction dative), reflétant d'ailleurs leur latitude de pronominalisation: à Paris - y,+ lui; à Marie - lui). Ce nouveau concept de fonction syntaxique est plus abstrait que celui monématique puisqu'il ne se base pas exclusivement sur la présence matérielle d'une expression spécifique dans la chaîne, mais sur l'existence d'un rapport formel et combinatoire pertinent qui ne se manifeste dans la chaîne qu'indirectement, c'est-à-dire par la commutation ou par la comparaison de divers énoncés. "Grammaire.." cite huit critères qu'elle retient comme pertinents dans son identification des fonctions en français. La moitié de ces criteres prend en considération les faits formels pertinents selon le concept de fonction monématique, c'est-à-dire ceux qui sont directement identifiables dans la chaîne (l'expression spécifique du rapport syntaxique par a) une préposition, b) une position pertinente, c) une forme spécifique implicite, d) un "accord"). La seconde moitié prend en considération les faits combinatoires pertinents auxquels correspondent d'ailleurs les faits formels identifiables seulement indirectement dans la chaîne a) l'espèce de pronominalisation, b) la cooccurrence des compléments sans marque de coordination, c) le remplacement d'une préposition par une autre préposition, d) les paraphrases. "Grammaire.." n'approfondit pas le 264 rapport entre ces deux types de critères, il semble toutefois qu'elle attribue parfois plus de poids aux seconds critères qu'aux critères mo-nématiques (p.ex. dans la phrase Cela s'accorde bien au paysage la présence de la préposition à parle en faveur des fonctions dative, spatiale... qui sont d'habitude caractérisées par cette préposition dans la phrase, mais vu que au paysage ne peut commuter avec les pronoms correspondants à ces fonctions (lui, jr), on ne lui assigne pas le statut de l'une d'entre elles, mais plutôt le statut de la fonction comitative, celle-ci étant d'habitude caractérisée par la préposition avec, sur la base du fait qu'il peut y avoir le remplacement entre les prépositions à et avec: Cela s'accorde bien avec le paysage). En ce qui concerne la description des relations syntaxiques dans la structure phrasique, nous pouvons résumer; les'' syntacticiens génératifs prennent en considération un domaine des rapports syntaxiques assez vaste et ils les décrivent a l'aide de deux types de règles: les rapports les plus fréquents par les règles de réécriture, ceux relativement moins fréquents par les règles transformationnelles. Les deux types de règles sont assez abstraits. Les syntacticiens fonctionalistes prennent en considération d'abord ("Pour enseigner..") un domaine restreint aux rapports les plus fréquents (approximativement le domaine des règles de réécriture) qu'ils systématisent par leurs fonctions syntaxiques (en spécifiant les classes monématiques pouvant figurer dans chacune de ces fonctions), exigeant d'avantage que ces fonc-t ions aient le statut du monème (et que leur expression spécifique soit présente par conséquent dans toute phrase où elles apparaissent), ce qui amène un concept de fonction plutôt restreint et concret. Plus tard ("Grammaire..") on élargit le domaine des rapports pertinents dans l'identification des fonctions aussi aux rapports relativement moins fréquents (englobant en partie le domaine que décrivent les règles transformationnelles). En même temps on élimine la condition que toute fonction doit prendre forme du monème, ce qui fait de la fonction syntaxique un concept plus 265 abstrait et une partie des fonctions établies sur cette base modifiée, en ce qui concerne lçs faits empiriques pris en considération dans leur identification, des procédés descriptifs rapprochés dans une certaine mesure aux transformations. 3. LES FACTEURS LEXICAUX ET LA STRUCTURATION DU SYSTÈME SYNTAXIQUE Les descriptions linguistiques suivent d'habitude la division traditionnelle des faits en grammaire et en lexique. Appartient à la grammaire le général et au lexique le particulier. La grammaire générative se propose de définir de plus près le rapport entre la syntaxe et le lexique. Le lexique est présenté dans les "Aspects.." comme la partie de la structure profonde du composant syntaxique. Les syntacticiens génératifs ne se contentent pas d'ailleurs de constater que les éléments lexicaux s'insèrent dans les cadres syntaxiques, mais ils essaient d'élaborer les règles d'après lesquelles cette insèrtion a lieu. A ce propos ils introduisent les règles contextuelles qui spécifient d'avantage les structures générées par les règles de réécriture du point de vue syntaxique et lexical. Ce sont les règles de la sous-catégorisation stricte qui analysent un symbole sur la base de son contexte catégoriel (p. ex. au lieu du verbe V introduire un lexème verbal qui peut être suivi du syntagme nominal) et les règles sélectionnelles qui l'analysent sur la base des traits syntaxiques des constructions où il apparaît (p. ex. au lieu du verbe V introduire un lexème verbal qui peut être précédé d'un sujet /+Animé/ et suivi d'un objet /-Animé/. Dans le lexique les lexèmes sont analysés du point de vue des cadres dans lesquels il peuvent apparaître (p. ex. le verbe refuser est décrit comme un verbe qui doit être suivi d'un substantif, celui-ci étant marqué comme /- Animé/). Les règles lexicales insèrent les lexèmes dans les cadres appropriés. 266 Au commencement des années '70 apparaît en syntaxe generative le courant interprétiviste qui se propose de rapprocher la structure syntaxique de la structure lexicale et de structurer le système syntaxique de telle façon qu'il sera susceptible de refléter plus directement les régularités lexicales de plus large portée, p. ex. deux types des substantifs ( animé, inanimé) qui sont compatibles avec un certain lexème verbal en tant que son sujet et son objet, peuvent d'habitude se combiner de même aussi avec le substantif de la même base lexicale: John refused the offer. +The box refused the offer. John's refusal of the offer. +The box's refusal of the offer. On commence à prendre en considération de tels facteurs lexicaux lorsqu'on établit la structure syntaxique. Par analogie avec construction verbale, on parle désormais du sujet et de l'objet aussi a propos de la construction nominale. X-bar syntax qui met l'accent sur les interdépendances des faits syntaxiques et lexicaux élabore son modèle syntaxique avec le systeme de notation propre à refléter plus directement de tels parallélismes. Les deux exemples cités en haut sont présentés de la manière suivante: où les éléments de la même base lexicale apparaissent au même niveau syntaxique (p. ex. John au niveau X'" (=■ N'"), refus - au niveau X (= N, V) etc.). 267 Base generated syntax traite de plus près la question de savoir comment spécifier les lexèmes dans le lexique, p. ex. comment décrire les compléments que présuppose dans la phrase un lexème verbal. Elle présenterait le verbe mettre de la façon suivante: mettre, FV; _ (An^, A^r). Cette description dit que le lexème mettre assume la fonction verbale et qu'il présuppose dans la phrase trois espèces des compléments, ce sont le sujet, l'objet et le complément de direction. Le lexème jouer serait décrit comme: jouer, FV; _ (An^S\ An^) ou _(An^), cette spécification correspondant à deux types des structures possibles (On joue une comédie. L'enfant joue). La syntaxe fonctionnelle ne traite pas à part la question du rapport entre la syntaxe et le lexique. "Pour enseigner.." n'aborde pas cette question et n'accorde pas d'attention aux faits liés à ce propos. Dans "Grammaire.." il y a quelque changement sur ce point, dans le sens qu' on y touche au moins certaines questions. On discute p.ex. de l'influence potentielle du parallélisme lexical sur la structuration syntaxique à propos du lexème penser. Quel statut assigner aux compléments dans II pense à et II pense que? Est-ce qu'il s'agit là de l'objet indirect et de l'objet direct respectivement ou plutôt, vu le parallélisme de la relation lexicale, dans les deux cas de l'objet direct (dans ce cas on assignerait le même statut aux compléments H pense à son avenir et II envisage son avenir), en faisant abstraction de la différence formelle? "Grammaire..", après avoir discuté sur ce point, se décide en faveur de la première possibilité qui est établie sur les considérations formelles, tandis que X-bar syntax dans un tel cas préfère la seconde possibilité qui est fondée sur les considérations du parallélisme lexical. D'ailleurs dans "Grammaire.." on souligne explicitement à propos de l'infinitif français les parallélisme s lexicaux liés aux structures syntaxiques parallèles et non parallèles en dérivant les structures nominales des structures verbales correspondantes: 268 Il est lent à comprendre sa lenteur à comprendre Il tend a tout dénigrer sa tendance à tout dénigrer Il espière guérir son espoir de guérir "Grammaire.." touche aussi l'analyse des lexèmes. Elle analyse les compléments des lexèmes verbaux en compléments spécifiques et compléments non spécifiques auxquels correspondent deux types des fonctions syntaxiques, les fonctions spécifiques qui sont susceptibles d'apparaître seulement avec un nombre de verbes limité (p. ex. les compléments spécifiques du verbe donner sont l'objet direct et l'objet indirect), les fonctions non spécifiques susceptibles d'apparaître avec presque n'importe quel verbe (p.ex. les compléments du temps etc.). On lie de cette façon la structure lexicale du verbe avec la structure syntaxique de la phrase. La fonction spécifique n'est pas nécessairement une fonction obligatoire (p. ex. le verbe donner peut apparaître aussi dans les phrases II donne aux pauvres, D donne volontiers - avec une modification de sens du lexème liée à la différence de la structure). A propos de la question du rapport entre la syntaxe et le lexique nous pouvons résumer: La syntaxe générative essaie de définir ce rapport de plus près dans le modele des "Aspects..". Dans les années '70 on constate chez les interprétivistes une tendance permanente de rapprocher la structure syntaxique de la structure lexicale (et la structure profonde de la structure de surface); les syntacticiens génératifs commencent à analyser plus en détail l'influence potentielle des faits lexicaux sur la structuration du systeme syntaxique, en essayant d'élaborer un système syntaxique tel qu'il refléterait dans une certaine mesure les parallélismes lexicaux importants (X-bar syntax). D'autre part ils abordent le système de la décomposition lexicale et l'interdépendance des traits lexicaux et des structures syntaxiques acceptables (base generated syntax). 269 La syntaxe fonctionnelle ne traite pas à part les questions mentionnées. Il y a toutefois quelque changement dans les dernières années. "Grammaire. . " touche au moins, bien que seulement marginalement, la possibilité de l'influence lexicale sur la structuration du système syntaxique et elle porte certaine attention à l'analyse du domaine lexical verbal en rapport avec la structure syntaxique de la phrase (le concept de fonction spécifique). 4. LES FACTEURS SEMANTIQUES ET LA STRUCTURATION DU SYSTÈME SYNTAXIQUE Le fait que les facteurs sémantiques peuvent avoir de l'influence sur les réalisations syntaxiques a été toujours pris en considération dans les courants linguistiques européens. La syntaxe fonctionnelle ne se dégage pas de ce cadre et souligne la complémentarité de deux systèmes. Dans sa description syntaxique elle n'hésite pas à invoquer les raisons sémantiques pour expliquer p.ex. l'absence de certaines tournures syntaxiques. "Grammaire.." explique le fait que tous ne peut se combiner avec le partitif ^n, contrairement à la plupart d'autres quantitatifs, parce que cette combinaison reste "simplement empechée par le fait que la totalité qu'il implique exclut le partitif' (p. 71). Le rapport entre la sémantique et la syntaxe est défini en grammaire géné-rative d'abord de la manière négative, c'est-à-dire la sémantique ne fait pas partie du modèle linguistique ("Syntactic Structures"). Dans les "Aspects.." on introduit le composant sémantique dans le modèle linguistique, le rôle qu'on lui assigne est le rôle interprétif. Les traits sémantiques des éléments du lexique (qui fait partie du composant syntaxique) sont définis de manière négative, en tant que non-syntaxiques et non-phonologiques. P. ex. le trait /Animé/ y est présenté comme un trait syntaxique. Quant aux interrelations sémantico-syntaxiques N. Chomsky tend a souligner son 270 agnosticisme . Plus tard, dès le commencement des années '70', les interprétivistes accordent plus d'attention à de telles interrelations. X-bar syntax est importante sur ce point puisqu'elle met en relief l'existence de corrélations entre les faits sémantiques et les faits syntaxiques en essayant de les expliciter dans sa structuration du système syntaxique. Elle pose trois niveaux syntaxiques auxquels elle attribue en même temps aussi certains traits sémantiques. Ce sont: 1) le niveau des arguments fonctionnels X': ce niveau encadre les compléments des structures syntaxiques élémentaires (p. ex. le livre dans il prend le livre, malade dans il parait malade etc. ) qui sont en meme temps indispensables du point de vue du sens: John hit the bail. 2) le niveau des déterminants restrictifs X'': il inclut les expansions des structures élémentaires, ces expansions apportant d'ailleurs quelque renseignement ultérieur: John hit the bail quickly. 3) le niveau des déterminants non restrictifs X" ' : les éléments de ce niveau sont les expansions additionnelles qui n'apportent pas de nouveaux renseignements au message: John hit the bail quickly, I think. Lorsqu'elle décrit ces trois niveaux a propos de l'anglais, X-bar syntax observe d'ailleurs certaine règle de la syntaxe générative qui interdit d'introduire les distinctions sémantiques si elles ne s'appuient pas sur 11 N. Chomsky, dans "Discussing Language" (voir ci-haut), p. 49: "As for the relation between syntax and semantics, my view has always been and remains agnostic. The notions seem to me too unclear to permit a satisfactory answer to the question how or whether syntactic and semantic rules are distinguished." 271 les corrélations syntaxiques de quelque importance (les syntacticiens européens ne prennent pas d'habitude, au moins non pas systématiquement, en considération ce moyen de contrôle indirect de l'analyse sémantique). En analysant les cas particuliers où une combinaison syntaxique ne parait pas acceptable, X-bar syntax n'hésite pas à. introduire l'explication sémantique. P. ex. l'inacceptabilité de la structure many of men (par contre many of the men, many of Fred's men) pourrait être expliquée par le fait que le partitif présuppose quelque chose d'identifié, n'étant pas par conséquent compatible avec des entités non spécifiées (men). A propos du rapport entre les facteurs sémantiques et la structuration du système syntaxique nous pouvons résumer: La syntaxe fonctionnelle définit ce rapport de façon positive: il s'agit de deux systèmes complémentaires. Les faits sémantiques peuvent expliquer l'inacceptabilité de certaines constructions syntaxiques. La syntaxe générative établit ce rapport d'abord de manière négative, la sémantique ne fait pas partie du modèle linguistique. Les "Aspects.." introduisent le composant sémantique dans son modèle. L'analyse plus systématique des corrélations des faits sémantiques et syntaxiques commence dans le cadre interprétiviste dans les années ' 70. X-bar syntax est importante à ce propos puisqu'elle se propose d'élaborer tel système syntaxique qui refléterait ces corrélations plus directement. Quand besoin est, elle introduit l'explication sémantique pour rendre compte des particularités dans les latitudes combinatoires. CONCLUSION En examinant quelques procédés descriptifs, l'article essaie de répondre à la question de savoir s'il y a eu quelque rapprochement entre la syntaxe fonctionnelle et la syntaxe générative au cours des années '70. La réponse est positive. Les tenants des deux écoles, en dépit des critiques adressées 272 réciproquement, se sont rapprochés dans une certaine mesure, du reste probablement sans rien se devoir directement. Il semble que le degré du rapprochement soit relativement plus grand du côté de la syntaxe généra-tive que du côté de la syntaxe fonctionnelle. On a examiné quatre points et on a noté un rapprochement relatif dans le sens indiqué: 1) le nombre des niveaux descriptifs dans le modèle syntaxique (syntaxe générative m syntaxe fonctionnelle) 2) les procédés décrivant les relations syntaxiques dans la phrase (syntaxe générative * syntaxe fonctionnelle) 3) les traits lexicaux mis en relation avec la structure syntaxique (syntaxe générative * syntaxe fonctionnelle) 4) les traits sémantiques mis en relation avec la structure syntaxique (syntaxe générative » syntaxe fonctionnelle). les conclusions tirées réposent sur les analyses suivantes: 1) le nombre des niveaux descriptifs dans le modèle syntaxique: on constate un certain rapprochement de la syntaxe générative vers la syntaxe fonctionnelle. La seconde effectue son analyse sur un niveau descriptif qui est proche de la structure des phrases réalisées. La syntaxe générative par contre décrit les rapports syntaxiques sur deux niveaux descriptifs, le niveau de surface, proche de la structure syntaxique concrète, et le niveau profond, plutôt éloigné de cette structure. Dans les années '70, il y a en syntaxe générative une tendance prononcée à rapprocher la structure profonde de la structure de surface (X-bar syntax); dans la seconde moitié de ces années apparaît même un courant qui soutient qu'il suffit d'un seul niveau descriptif proche des structures syntaxiques concrètes pour décrire les rapports syntaxiques de la manière optimale (base generated syntax). 2) les relations syntaxiques dans la structure de la phrase: on constate un petit rapprochement de la syntaxe fonctionnelle vers la syntaxe générative. 273 La syntaxe générative décrit les relations pertinentes par deux espèces de règles: les règles de réécriture spécifient les rapports syntaxiques les plus fréquents, les règles transformationnelles décrivent les rapports relativement moins fréquents. Les deux types de règles sont de nature assez abstraite. La syntaxe fonctionnelle décrit les relations phrasiques par ses fonctions syntaxiques (en spécifiant les catégories syntaxiques qui peuvent les assumer). Au commencement on établit ces fonctions dans le domaine des rapports les plus fréquents (correspondant approximativement au domaine des règles de réécriture) ("Pour enseigner.."). On exige davantage que chaque fonction ait le statut du signe linguistique, soit donc identifiable à l'aide de l'expression spécifique dans toute phrase où elle apparaît, ce qui fait de la fonction syntaxique un concept descriptif assez concret. Plus tard ("Grammaire..") on élargit le domaine des rapports syntaxiques examinés en tant que pertinents dans l'établissement des fonctions syntaxiques aussi aux rapports relativement moins fréquents (englobant en partie le domaine que décrivent les transformations), et en même temps on élimine la condition que toute fonction soit un signe linguistique, ce qui fait de la fonction syntaxique un concept plus abstrait qu'auparavant. Une partie des fonctions syntaxiques établies sur cette base modifiée se rapproche dans une certaine mesure, c'est-à-dire en ce qui concerne les faits empiriques pris en considération dans leur identification, des règles transformationnelles. 3) les facteurs lexicaux et la structuration du système syntaxique: il y a quelque rapprochement de la syntaxe fonctionnelle vers la syntaxe générative. La syntaxe générative analyse de plus près la nature du rapport entre le lexique et la syntaxe ("Aspects.."). Dans les années '70 on étudie dans son cadre l'influence potentielle des facteurs lexicaux sur la structuration du système syntaxique et le parallélisme des structures lexicales et celles syntaxiques (X-bar s.yntax), ainsi que les questions concernant l'analyse des lexèmes dans le lexique et le lien de leurs traits lexicaux avec les structures syntaxiques (base generated syntax). La syntaxe fonctionnelle 274 ne traite pas à part la nature du rapport entre la syntaxe et le lexique et les questions liées à ,ce propos. Dernièrement ("Grammaire..") toutefois on touche au moins certains de ces points, p. ex. on discute la possibilité de l'influence des facteurs lexicaux sur le mode d'analyser les faits syntaxiques. On procédé d'ailleurs à l'analyse sommaire des compléments des lexèmes verbaux, en fondant sur la diversité de ces compléments une distinction syntaxique (fonction spécifique vs. fonction non spécifique). 4) les facteurs sémantiques et la structuration du systeme syntaxique: on constate le rapprochement de la syntaxe générative vers la s3mtaxe fonctionnelle. La linguistique fonctionnelle présente la sémantique et la syntaxe comme deux systèmes complémentaires. La syntaxe fonctionnelle invoque aussi des faits sémantiques pour rendre compte des latitudes syntaxiques particulières. La grammaire générative au contraire exclut d'abord la sémantique du modèle linguistique ("Syntactic Structures"). On l'y incorpore plus tard comme un composant interprétif ("Aspects.."). Dans les années '70, les interprétivistes commencent à étudier plus systématiquement les corrélations des faits sémantiques et des faits syntaxyques. X-bar syntax est importante sur ce point puisqu'elle élabore un système syntaxique qui reflète directement certaines de ces corrélations (trois niveaux des compléments); d'ailleurs, s'il y a nécessité, elle explique aussi par les faits sémantiques les particularités syntaxiques. Povzetek FUNKCIONALNA SINTAKSA IN GENERATIVNA SINTAKSA - ZBLIŽANJE V SEDEMDESETIH LETIH? Pri iskanju odgovora na zastavljeno vprašanje članek analizira naslednje vidike sintaktičnega opisa: 1) število opisnih ravni v sintaktičnem modelu in njihovo medsebojno oddaljenost 275 2) uporabljena sredstva za opis sintaktičnih odnosov v stavku 3) povezovanje leksičnih značilnosti z oblikovanjem sintaktične strukture 4) povezovanje semantičnih značilnosti z oblikovanjem sintaktične strukture. Analiza je opravljena na osnovi naslednjih knjig: a) za funkcionalno sintakso: - Mortéza Mahmoudian (izd.), "Pour enseigner le français", 1976, Presses Universitaires de France - André Martinet (izd.), "Grammaire fonctionnelle du français", 1979, Didier b) za generativno sintakso: - Noam Chomsky, "Aspects of the Theory of Syntax", 1965, MIT Press - Ray Jackendoff, "X-bar Syntax: A Study of Phrase Structure", 1977, MIT Press - Michael Brame, "Base Generated Syntax", 1978, Noit Amrofer. Odgovor na zastavljeno vprašanje je pritrdilen. V sedemdesetih letih so se pripadniki obeh šol v določeni meri medsebojno zbližali: generativna sintaksa se je približala funkcionalni sintaksi v točkah 1 in 4, funkcionalna sintaksa pa generativni sintaksi v točkah 2 in 3. Kot vse kaže, je do navedenega relativnega zbližanja prišlo neodvisno, to je brez neposrednega medsebojnega vplivanja. V grobem je mogoče izreči oceno, da se je generativna sintaksa bolj približala funkcionalni kot obratno. Za generativno sintakso sedemdesetih let je značilna na eni strani težnja po zmanjševanju opisne abstraktnosti, to je razdalje med globinsko in površinsko strukturo, in na drugi strani priznanje važnosti semantičnih dejavnikov tudi za sintaktično strukturo in njeno oblikovanje. Funkcionalno sintakso v zadnjem času označuje na eni strani večja stopnja abstraktnosti osnovnega opisnega orodja, to je sintaktične funkcije, in na drugi strani novo zanimanje za medsebojno povezavo leksičnih in sintaktičnih dejavnikov, oz. za vpliv prvih na oblikovanje sintaktične strukture. 276 CDU 804 -07(049) Ernst Pulgram, ITALIC, LATIN, ITALIAN 600 B.C. TG A.D. 1260, Texts and commentaries; Indogermanische Bibliothek, Erste Reihe: Lehr-und Handbücher; Carl Winter Universitätsverlag, Heidelberg 1978, 400 pp. 1 II nome di Ernst Pulgram non abbisogna certamente di presentazioni: a documentare la sua ricca attivita e produzione scientifica, che si situa nel dominio della filologia classica e romanza, basti ricordare il noto volume The Tongues of Italy: prehistory and history (Cambridge, Mass., 1958 j ristampa New York 1969), i titoli piu recenti come Syllable, word, nexus, cursus (L'Aia 1970), Latin - Romance phonology: prosodies and metrics (Monaco d. B. 1975), nonche i numerosi studi, fra cui ci inte-resseranno soprattutto quelli che si occupano di latino volgare e dei problemi connessi (Spoken and Written Latin, "Language" 26), e della ricostruzione delle cosiddette protolingue (A Proto-Indo-european reality and reconstruction, "Language" 35; Proto-languages as proto-dias.ystems, "Word" 20) e di altri problemi attinenti alia storia latino-romanza (ad es. Synthetic and analytic morphological constructs, in: Festschrift Kuhn, "Innsbrucker Beiträge zur Kulturwissenschaft" 9-10). 277 U volume qui recensito è nato dall'esigenza di completare con testi e commenti (cqme dice il sottotitolo) il libro The Tongues of Italy: mentre quest'ultimo era una specie di panorama della storia dell'Uomo in Italia raccontata da un lingüista storico, o uno storico lingüista (p. 7), il volume Italic, Latin, Italian si propone una illustrazione più specifi-camente lingüistica. Dato il nostro dominio scientifico, la presente recensione si concentrera sul secondo e terzo membro del trinomio che figura nel titolo del libro. 2 L'articolazione del volume rivela l'idea direttrice, il filo rosso di tutta l'esposizione: la continuita lingüistica dalla preistoria del latino (e degli altri idiomi in Italia) fino alia data approssimativa in cui 1'italiano puo dirsi ormai costituito come idioma non soltanto parlato ma anche scritto. Lo spazio abbracciato nel libro copre dunque poco meno di due mila anni (v. i due limiti citati nel titolo). Il volume è diviso cosí: - Prefazione, bibliografía, sigle ecc. : pp. 7-23, - Introduzione: pp. 25-34, - Prima parte: idiomi prelatini; capitolo primo: lingue preitaliche (ligure, lepontino, retico, paleoveneto, messapico, siculo, itálico orientale): pp. 35-77; capitolo secondo: lingue italiche (oseo, umbro, peligno, marsico, marrucino, vestico, volseo): pp. 78-157, - Seconda parte: il latino; capitolo terzo: dall'anno 600 alla fine della repubblica: pp. 161-213; capitolo quarto: 1'Impero dal I al V secolo: pp. 214-283; capitolo quinto: l'Alto Medioevo dal V al IX secolo, pp. 284-309, - Terza parte: 1'italiano: pp. 310-371, - Quarta parte: indici; concordanze al CIL: pp. 372-374; indice delle parole: pp. 375-400. 278 Manca purtroppo 1'índice degli argomenti, che sarebbe utilissimo data la quantita dei fatti linguistici trattati. 3 A documentare la continuita della lingua parlata, viva, si analizzano e si commentano determinati testi (lato sensu) per ogni idioma o gruppo di idiomi. La prima parte analizza ventinove iscrizioni italiche; la seconda parte tratta ben settantaquattro testi latini, dai piu antichi (fíbula praenestina; iscrizione di DUEÑOS; quella sotto al lapis niger; l'iscri-zione FOIED VINO PIPAFO ecc., dall'Autore inclusa fra le iscrizioni latine) attraverso quelli dell'época classica (iscrizioni, Cena Trimalchio-nis, tabellae defixionum [[purtroppo una sola] ) e posteriori (Apicio, Mulomedicina, Peregrinatio Egeriae) fino all'ultimo latino (Vulgata, An-timo, Fredegario, codici germanici, documenti longobardi, Indovinello Veronese); la terza parte analizza diciannove testi italiani (Iscrizione nella catacomba di Commodilla, Glossario di Monza, Placiti campani, Formula di confessione umbra, Postilla amiatina, Iscrizione di S. Clemente, Documento pisano di Filadelfia, Testimonianze di Travale, Memo-ratorio del Monte Capraro nel Molise, Carta Fabrianese, Carta Picena, Ritmi Bellunese, Laurenziano e su S. Alessio, Cántico di Frate Solé, una poesia di Jacopone e la Lettera ai Fiorentini di Guittone d'Arezzo). I testi analizzati sono preceduti da apposite sigle (P £ =prelatino ] 1-29; L Q = latino 3 1-74; I £ = italiano ] 1-49), il che consente rinvii chiari e brevi. Malgrado l'esplicita intenzione dell'Autore di illustrare il continuum itálico - latino - italiano, il materiale pre-italiano (itálico + latino) prevale nettamente su quello italiano (108 testi contro soli 19), fatto che con-ferma il pur preponderante orientamento e interesse per la filología classica del Nostro. Anche dalla lettura della materia si ricava una certa impressione che non di rado i fatti vengano osservati dal punto di vista e con gli occhi di un filologo classico piuttosto che di un romanista. 279 4 La scelta dei testi ci induce a fare alcune osservazioni. Innanzittutto, volendo andaré alia ricerca del latino come idioma vivo, parlato, ricerca che b uno dei cardini del volume, siamo del parere che Plauto, il quale tanto bene riflette il latino popolare, avrebbe potuto e dovuto trovare posto fra i testi latini commentati. E vero che Plauto manca nelle anto-logie tradizionali del latino volgare, ma Unicamente perché - a torto -la nascita del cosiddetto "latino volgare" si pone di sólito nei primi se-coli dell'era cristiana. Nel volume del Pulgram, il quale al contrario risale ben addietro nel tempo, l'inclusione di Plauto sarebbe del tutto giustificata. L'argomento che le commedie di Plauto sono opere d'arte, dunque "fíltrate" attraverso il genio artístico del loro autore e non il riflesso dell'idioma parlato genuino, non pub valere perché si potrebbe applicare con uguale diritto anche alia Cena Trimalchionis di Petronio, eppure questa e stata inclusa fra i testi analizzati. Non sono pochi i testi di solito considerati come "vulgarlateinisch" che mancano nel volume del Nostro: Gregorio di Tours, i medici Dioscoride e Oribasio, i documenti tardolatini pubblicati ad es. nella raccolta di J.O. Tjader (Lund 1955), e manca anche uno dei piu interessanti testi altomedievali, pieno di volgarismi e uno dei primi che si possono loca-lizzare, e precisamente nell'Italia settentrionale: le Compositiones ad tingenda musiva (o Compositiones Lucenses). Fra i testi scritti su materiale durevole (che per cib hanno una ben comprensibile importanza particolare) le iscrizioni e i graffiti pompeiani sono rappresentati assai bene, le tabellae defixionum, come detto, da un solo esempio, mentre mancano del tutto le lettere del soldato di Traiano scoperte in Egitto: netto squilibrio, a cui si potrebbe rimediare riducendo - senza danno -il numero delle iscrizioni a vantaggio degli altri due gruppi di testi. Quanto ai testi italiani, e assente il vetusto ed interessantissimo Ritmo Cassinese, importante per la storia dei dialetti della regione cassinese (e, piu generalmente, laziale e campana) e pieno di problemi linguistici 280 e filologici; manca anche del tutto la produzione didattica nell' Italia set-tentrionale, la quale, almeno in parte, si situa nel periodo abbracciato dell' Au tore; sono assenti anche i primi monumenti del siciliano (frammenti del Rs Enzo, Stefano Protonotaro, Cielo d'Alcamo) nonché gli scongiuri cassinesi. Tutti questi testi avrebbero potuto e dovuto trovare posto nella terza parte del volume, magari - come detto - a costo di abbreviare gli altri. 5 Come pochi altri libri che conosciamo, il volume del Pulgram espone nella prefazione e nell'introduzione le idee direttrici che sottendono tutta la materia. Si è già constatato all'inizio che il presente volume è stato concepito come un complemento pratico, applicato, al volume The Tongues of Italy; di conseguenza, a differenza di quest'ultimo, destinato ad un pubblico cólto più largo, il libro che qui recensiamo si rivolge piuttosto agli specialisti ("scholars and students") desiderosi di informazioni sul linguaggio parlato su suolo italiano dei primi documenti fino ad oggi. I principi dell'Autore sono: scelta di esempi caratteristici; il loro collega-mento costante con la lingüistica sincrónica e diacronica; 1'interrelazione della teoría lingüistica generale e dei fatti concreti speciali in un rapporto di mutuo completamento; infine, l'uni one della lingüistica e della filología (infatti, lo scopo non ultimo del presente volume, secondo le parole dell'Autore stesso, è quello di incoraggiare i linguisti e i filologi a diventare "linguist-philologists" e a credere che una tale convergenza sia necessaria e utile; p. 8). Il fine principale, come gia detto, è quello di seguire l'evoluzione del continuum del linguaggio parlato in Italia nei diciotto secoli approssima-tivamente che intercorrono fra i primi documenti di latino e degli altri idiomi antichi ed il periodo immediatamente prima di Dante. L'Autore ha ben ragione quando afferma che una tale sintesi panoramica puo essere un utile complemento alie grammatiche, alie collezioni di testi e in genere 281 ai "reference works" (loco ult.cit.). In tal modo questo volume e nel contempo un compendio sugli idiomi dell'Italia e ¡una "declaration of some general principles" (loco ult.cit.). II método dell'Autore - analisi e commento degli esempi (testi) - permette di prevedere che ci saranno varié ripetizioni e ridondanze. Da un lato molti processi, fenomeni, fatti ecc. ritornano in diversi testi (la continuity dell' evoluzione, ricordiamoci, e una delle principali tesi del Nostro); dall'altro, le singóle parti del volume, i testi ecc. possono essere consul ~ tati anche parzialmente e indipendentemente gli uni dagli altri. Le ripetizioni sono dunque giustificate; del resto, il volume é destinato agli specialisti di lingüistica, dunque ipso facto anche all'insegnamento, e nell' insegnamento repetita iuvant, sempre e dovunque. 6 Con l'idea del continuum lingüístico su suolo italiano e collegata la concezione del latino classico, cioe scritto, standardizzato, come "an arrested standard for three or four centuries" (p. 240), di cui molti par-lanti nelle province, e persino a Roma, non si sono mai impadroniti completamente (p. 210). Sono questi parlanti del latino non standardizzato che hanno assicurato la continuita dei dialetti latini parlati che sfocia diretta-mente nel romanzo (loco cit.; preferiremmo parlare di idiomi romanzi, al plurale). Percio, come 1'Autore afferma gia nell'introduzione (p. 31), "the true history of Latin, then, is to be told in terms of the continuously evolving spoken dialects" Non c'e probabilmente romanista al mondo che non sottoscriva oggi a queste parole, pur essendo cosciente (come lo e senz'altro anche l'Autore stesso) che le ricerche sull'evoluzione del latino p a r 1 a t o comportano difficolta ben note e insormontabili, data la mancanza di testimonianze dirette. Se la vera storia del latino risiede nell' evoluzione del linguaggio parlato, e nórmale che "written (Classical) Latin is not the ancestor of any later Romance speech; it is, rather, the kind of dialect which, once elevated 282 to serve as standard idiom, must needs become arrested, unnaturally petrified, and which eventually, if deprived by social and historical events of sufficiently schooled speakers and of its raison d'etre, must die." (loco ult.cit.). II latino classico non era la lingua nativa di nessuno, mentre "the spoken dialects of Latin, however, have remained alive, and are alive today in the Romance dialects." (ib.). Queste giustissime idee sono oggi condivise praticamente da tutti i romanisti, sicché non occorre-rebbe neanche insistervi, se non ci fossero tesi opposte, del tutto in-sostenibili, che fanno risalire le lingue romanze al latino classico (W. Mafic zak). Studiando il continuum dell'evoluzione lingüistica, e naturale che non si possa porre nemmeno un limite; infatti, "determining the dates at which the former £ = i dialetti latini J end and the latter [[ = gli idiomi ro-manzi ]] begin does not constitute a problem of fact but of definition", perché se si definisce a quale tappa si preferirá denominare 1'idioma romanzo anziché latino, non si sono dati i limiti ma soltanto le definí -zioni dei termini. "Linguists may legitimately disagree on the choice of linguistic criteria for such definitions; hence it is surely more reasonable not to propose any such firm dates" (p. 31). Infine, l'Autore non accoglie nemmeno il termine stesso di latino volgare [[ che é biasimato da tutti, eppure continua ad essere usato J : molti studiosi hanno riunito parecchi secoli di evoluzione lingüistica sotto il titolo comune di "latino volgare", "as if this were an idiom of common currency without social or local dialects" (p. 214). Non si tratta dunque di un "latino volgare" postclassico (cf. p. 202), ma dell'idioma parlato in continua evoluzione, e con differenze orizzontali (geografiche) e vertical! (sociali). 7 In un libro concepito come quello del Nostro, abbondano naturalmente i diversi problemi piu specificamente linguistici (fonetici e fonologici, 283 morfosintattici, lessicaíi, semantici ecc. ), per cui vale la pena di passare in rassegna quelli che sono i più importante (data la ricchezza dei fatti linguistici trattati, una scelta è indispensabile). 7.1 Di fronte all'importante problema dell'influsso del sostrato itálico per quel che riguarda 1* assimilazione /nd > nn/, il giudizio del Nostro e piuttosto negativo, e sembra cambiato dal suo precedente volume fino al presente: infatti, mentre in Tongues of Italy ammetteva implícitamente la soprawivenza dell'influsso del sostrato ("Italie linguistic substratum, which in writing though not in speech £ spaz. P. T. 3 was wholly overwhelmed by the Latin of Rome...", p. 281), in Italic, Latin, Italian (a p. 9o, a proposito délia nota forma osea úpsannam). constata che la sostituzione di /nd/ con /nn/ non è regolare né si verifica dappertutto e che avviene anche là dove l'influsso oseo è poco pro-babile (Sardegna, Dolomiti). Aggiunge infine che / nd > nn/ è fonéticamente tanto plausibile che puo verificarsi e infatti si verifica dovunque (vengono citati esempi tedeschi ed inglesi). Questo è anche l'argomento del Rohlfs (Gramm. stor. delta lingua it., § 253); eppure, proprio nel caso di quest'assimilazione sono soddisfatte tutte le condizioni per at-tribuirla al sostrato itálico: concordanza areale, contatto bilingue latino-italico, presenza del fatto in ambedue gli idiomi, testimonianze scritte (cf. per alcune di queste condizioni R.A. Hall jr., Comparative Romance Grammar: External History of the Romance Languages, New York 1974, p. 63). 7.2 Un altro problema cruciale, molto noto e discusso, è l'origine dei plurali romanzi, soprattutto italiani (e romeni) nella I e III classe (case, denti). Nel presente volume esso resta alquanto abbozzato: a proposito délia forma LAETITIAS (nel noto esempio QUOT LAETITIAS INSPERATAS ecc.), aile pp. 233-235, si discute l'origine del plurale francese (filles) e italiano (amiche), mentre la III classe è trattata molto sommariamente a proposito del plurale fini nei Placiti (p. 320: "...the 3rd declension 284 words ended up with a singular in -e, plural in -4 - like fine, fini above"). Il Nostro menziona (senza citare i nomi) che i plurali francesi e provenzali antichi sono stati spiegati come succedanei delle antiehe forme in -as, anziché con 1'analogía, e che persino i plurali italiani (rose) vengono fatti risalire a tali plurali latini. In seguito, a sostegno délia discendenza da -as, cita in italiano anche la velare conservata (in ami che, cioè [[ amike^ , non Q amice ^ )> ma conclude che non si spiega come la /a/, o anche l'intera desinenza -as, diventi /e/ in italiano (p. 234). Come si sa, la spiegazione genetica dei plurali italiani oppone quelli che vi vedono determínate analogie (Rohlfs, Hall) a coloro che partono dall'accusativo in -AS risp. dalla desinenza latina -ES, in evoluzione ulteriore organica (Aebischer, Politzer, Reichenkron), ma nessuno di essi viene citato. Come accade nella lingüistica statunitense, le acquisizioni délia scienza lingüistica europea sono talvolta un po' trascurate. 7.3 Cio è visibile anche nella trattazione dei fonemi bilabiali Q b J e [[ u ] (parentesi quadre usate dall'Autore) a pp. 258-260, a proposito degli esempi nell' Appendix Probi BACULUS NON VACLUS, VAPULO NON BAPLO, PLEBES NON PLEVIS, ALVEUS NON ALBEUS (le maiuscole e la V sono nostre). La spiegazione proposta è la seguente: in ogni coppia il primo membro è scritto correttamente, mentre nel secondo il compila-tore ha tentato di trascrivere un suono nuovo, per cui 1'alfabeto latino non offriva un grafema, cioè Q 0 ] . Di conseguenza, la prima e la terza coppia si riducono alla formula f b "] nonft , la seconda e la quarta alla formula Q y ] nonQ g . Segue una breve ma incompleta rassegna dei principali esiti romanzi: a) la [] b ] iniziale, tranne che nella maggior parte del Sud italiano, diventa £ v ^ (con certi altri esiti locali ); b) la Q u ] iniziale, attraverso Q 0 ^ > diventa Q v ] dappertutto nella Romanía Qnon in castigliano! P.T. ] , anche qui con alcuni riflessi ul-teriori; c) la Q b ]] e la Q u mediane, sempre attraverso £ j? ] , diventano ovunque [] v 3 • Alla tappa £ j3 j] la grafía puo essere bou. 285 La presentazione e troppo semplificata e in alcune interpreta zioni non corrisponde, percio non puo convincere. Rimandando, per tutto l'intri-cato complesso di problemi, alia presentazione magistrale di H. Weinrich, nei suoi Phonologische Studien zur romanischen Sprachgeschichte, Münster Westf. 1969, capitolo IV, che il Pulgram non cita e sembra non conoscere,, ci limitiamo a rilevare che nei quattro esempi dell'Appendix si tratta di ben t r e fenomeni diversi: la comune spirantizzazione di /b/ in posi-zione intervocálica, nella t e r z a coppia; il betacismo, dunque resti-tuzione di /b/, non £ /} ] , nella secón da e quarta coppia (NB in posizione mediana va distinta la posizione postconsonantica da quella postvocalica, comunemente detta intervocálica); restituzione ipercorretta in posizione iniziale, in base al betacismo, nella prima coppia. Dunque, in formule: b ]] non ft ] nella'prima e terza coppia, |~ g non b ~| nelle altre due. 7.4 A proposito del tuttora insoluto problema dello status delle cosiddette gemínate (interpretazione mono-/bifonematica) l'Autore propende piuttosto per la prima soluzione, come sembra risultare dalla nota 154 a p. 168, ma accentua nei contempo che puo essere veramente lunga solo una continua; percio piu avanti (p. 327) dichiara fonéticamente falsi ambedue i termini (doubling, length). Per conto nostro, pur riconoscendo che certi argo-menti (il limite sillabico) parlano a favore dell'interpretazione bifonemati-ca, ci associamo piuttosto alia tesi opposta: infatti, anche nelle non-continue la lunghezza si puo realizzare mediante l'occlusione prolungata. 8 Per quanto riguarda i problemi filologici in senso stretto, cioe lo studio e la critica dei testi, anche qui si possono fare alcune osserva-zioni. Leggendo i commenti, soprattutto delle iscrizioni latine, non ci si riesce a liberare dall'impressione che troppo si mette sul conto degli sbagli fatti dagli scalpellini o comunque dagli autori. Cosí, per prendere solo alcuni esempi a caso, in una delle iscrizioni (L 39; pp. 226-228) l'Autore ritiene la forma MESERO come "merely misspelled for MESORU 286 or MESORO" Q le maiuscole sono nostrej , mentre è evidente che do-vrebbe trattarsi di una forma analogica di DIERO (= DIERUM), essendo i due sostantivi innumerevoli volte accoppiati appunto sulle iscrizioni fune-rarie. Poco più avanti (L 42; spec. p. 230) su un'altra iscrizione ri~ corre due volte scritto il nome del marito (DOMITIO DOMITIO), e 1'Autore conclude che "seems to have been written twice by mistake"; e cosi anche più avanti, a p. 266 (esempio L 56; iscrizione dell'anno 338, rinvenuta a Roma), dice che "some items contain just spelling errors" (ad es. DECESIT per DECESSIT, IRUS per IDUS ecc.). Cf. anche § 9, osservazione a p. 366. Anche se in certi casi puo trattarsi dawero di sbagli, noi siamo piuttosto inclini a ridurre questa possibilità. Le iscrizioni, infatti, non sono testi spontanei, scritti d'un fiato (come ad e-sempio i graffiti pompeiani, o anche le tabellae defixionum), ma testi preparati dapprima da un ordinator e solo dopo, in un secondo tempo, scolpiti in pietra (cf. M. C. Diaz y Diaz, Antologia del Latin Vulgar, Madrid 1962, p. 118); di conseguenza, dovrebbero essere esclusi sbagli, sviste ecc. L'Autore situa 1'Appendix Probi nel III o IV secolo (p. 250), pur men-zionando che uno studio recente (non si dà il nome dell'autore, ma è pro-babile che si alluda a C.A. Robson) lo attribuisce al VI secolo. Mentre questa data avanzata viene accettata da V. Vaânanen ("Du même coup, la date de 1' Appendix Probi, qui a passé pour un traité des m6 - IVe siècles, sera avancée "aux siècles chrétiens, sous les Lombards", donc après 568!"; Introduction au latin vulgaire, 3 éd., Parigi 1981, p. 200), il Pulgram è piuttosto riservato e osserva: "even if this date is correct, the linguistic features the Appendix concerns itself with were prevalent at an earlier period" (p. 250). Siamo senz'altro d'accordo con quests parole; infatti, molti fenomeni verificatisi certamente fino al VI sec. non sembrano confermati dall'Appendix. 287 A proposito dei testi italiani, soffermiamoci un attimo sul Ritmo Lau-renziano. L'Autore (p. 358) accoglie la lettura di Dionisotti e Grayson Lornano e conseguentemente interpreta marchisciano come 'marchi-giano', senza diré pero che quest'interpretazione non e affatto generalmente accettata (Monaci e Contini, ad es., leggono lor mano intenden-dolo come 'loro mano' o '-mani' o anche 'direzione' e riferendolo ai due santi Benedetto e Germano). Niente di tutto cib si discute nel com-mento, e a proposito del passo piu difficile, il verso sten e ttietti nu-tiaresco, si conclude (dopo la citazione del solo primo emistichio) che nessuna delle interpretazioni proposte convince e percio non si tenta neppure una spiegazione. Quanto alie forme verbali in - esco, -escono. -isco, -iscono piacerebbe vedere citato lo studio di H. Lüdtke ("Ab-ruzzo" 9 /1971/, num. 1-2, pp. 122-124) in cui il LÜdtke (in base a questa coesistenza) vede nel Ritmo Laurenziano la toscanizzazione di un testo anteriore, di tipo meridionale. 9 Ed ecco ancora una scelta di osservazioni minori. A p. 45: le fricative sonore spagnole continuano anche le occlusive sorde latine: SAPERE > saber (£]?[])> NATA > nada ( £<5 ]] ), FOCU > fuego A p. 119: per trascrivere la nasale del paleoslavo, bisognerebbe adoperare ^ o o (dunque: krpgir o krogu). A p. 151: l'esito metafonico di porto nell'Italia meridionale non e, o non e soltanto, £ purtuj] , come dice l'Autore, ma anche e soprattutto pwortu [] (metafonia di tipo campano) o Q portu [] metafonia di tipo arpíñate o ciociaresco). A p. 180, nota 168: non possiamo accettare il commento dell'Autore a proposito della testimonianza di Velio Longo secondo cui Cicerone diceva volentieri foresia, Megalesia, hortesia (invece di forensia, Megalensia, hortensia). II Pulgram dice che o Cicerone non sbagliava proprio del tutto, oppure Velio Longo aveva scelto male i suoi esempi, perché 288 FORENSES, derivato da FORUM, si è confuso in seguito con FORAS e FORIS, da dove il significato 'forense, pubblico', per cui aveva perduto la /n/ per cause non fonologiche; MEGALESIA, derivato da MEGALE, è "quite defensible etymologically", e lo stesso vale a proposito di HORTENSIA, il quale, derivato da HORTUS, ha esso pure una /n/ non giusti-ficata etimológicamente. Non ci pare che l'immistione di queste parole possa giustificare la perdita di /n/ nel suffiso -ENSIS, e soprattutto non vediamo come e perché MEGALESIA potrebbe essere "etimologically defensible": finché il suffisso -ENSIS si pronuncia davvero /ensis/, la contaminazione con altre parole, abbiano esse una /n/ o no, una /s/ o no ecc., non puo provocare la semplificazione /ns > s/, che è un pro-cesso fonologico. A p. 212: per spiegare il lat. CULINA, si suppone una dissimilazione in COQUINA (da dove COLINA, poi CULINA) come una "reasonable expia-nation", che pero è impossibile: la dissimilazione non awiene a casaccio bensí coinvolge soltanto determinati tratti distintivi e il fonema risultante resta, per cosí dire, possibilmente vicino a quello precedente- Cosí in PEREGRINU > pellegrino si dissimila la sola articolazione vibrante mentre il fonema rimane liquido, in COLUCULA > conocchia viene dissimilata la liquidità ma il fonema risultante rimane sonante, in QUINQUE > CINQUE la dissimilazione elimina l'appendice labiale ma rimane la /k/, in NU-MERU > *N03ER0 (> novero) è la nasalita che si perde, mentre la localizzazione labiale rimane ecc. Non ci constano casi di una dissimilazione /k - kw./ > /k - 1/. A p. 235: il lat. FACUNT (per FACUJNT), documentato sull'iscrizione HIC QUESCUNT DUAS MATRES DUAS FILIAS NUMERO TRES FACUNT (L 4'7) si continua anche nel romeno fac 'fanno'. A p. 243: non è esatto affermare tout court che "In Modern French, only the non-subject case is continued"; pâtre, chantre, soeur, ad esempio, risalgono ai "cas-sujets" PASTOR, CANTOR, SOROR. A p. 242: dalla formulazione sembra risultare che nel paradigma del lat. 289 NEPOS l'accento si sposta perché il sostantivo e imparisillabo ("therefore"). Ci sona pero imparisillabi con l'accento fisso: HOMO - HOMINIS, MONS - MONTIS e tanti altri. A p. 248: a proposito della forma SIMUS per SUMUS, su un'iscrizione proveniente dall'Abruzzo, si discute 1'origine della desinenza única italiana -iamo, ma in modo decisamente troppo superficiale per un manuale dedicato ex professo alia storia del linguaggio in Italia: non si citano né il Meyer-LÜbke, né il Rohlfs, né lo Skerlj, né il Wanner, e si conclude che "no satisfactory answer to the puzzle has been givenj^...J ". A p. 249: le grafie come MENBRA (per MEMBRA) non devono, secondo noi, essere tutte semplicemente ipercorrette, ma possono tradire anche una nasalizzazione, per cui la trascrizione - approssimativa! - si limita a rendere semplicemente la sola nasalita, mediante il grafema corri-spondente, cioe N. Inoltre, di ipercorrettismo si puo trattare principalmente a contatto di parole (ad es. CUN PRIMUM invece di CUM PRI-MUM sul modello di IN PRIMO o sim.), non nel corpo di parola. A p. 256: 1'Autore conclude che in italiano moto e latinismo, perché as no, dovrebbe suonare muoto, il che non e esatto, essendo la base latina MOTU, con la /ó/ che non dittonga in /wo/. Nel latinismo moto si ha beninteso la /g/, ma essa naturalmente non dittonga piu in /wo/. A p. 261: la b nel francese chambre ("an inserted glide £ b ] ") non e diventata soltanto parte dell'ortografía standardizzata, come risulta dalle parole dell'Autore, ma anche della pronuncia, cioe e parte della struttura fonológica della parola. A p. 263: non siamo d'accordo con 1'Autore sul fatto che "in QUAERIS and in QUE [[ le maiuscole sono anche qui nostrej the different spellings no doubt mean [] E I] both" (si tratta di un'iscrizione dalle catacombe di S. Calisto). Gli esiti italiani provano che nella prima parola si aveva veramente /g/, da dove oggi il dittongo /ye/, mentre in QUE (> che) nessun dittongo /ye/ si e mai creato. I "different spellings" riflettono certamente anche realta foniche diverse. 290 A p. 275: secondo l'Autore, il tardolatino QUAM 'quando' e stato es-tratto da POSTQUAM, "where quam did indeed have a temporal sense". Noi preferiremmo vedervi un semplice senso comparativo, riservando il significato temporale alia prima parte, POST- (cf. ANTEQUAM, PRIUS-QUAM). A p. 277: si tratta del seguente passo dalla Peregrinatio Egeriae: SI VULTIS VIDERE AQUAM QUAE FLUIT DE PETRA, Q... J , POTESTIS VIDERE; SI TAMEN VOLUERITIS LABOREM VOBIS IMPONERE UT DE VIA CAMPSEMUS FORSITAN MILIARIO SEXTO. La traduzione italiana che l'Autore da suona 'Se volete vedere l'acqua che scorre dalla pietra, > Potete vedere; se pero voleste imporvi il lavoro, bisogna che dalla strada deviamo forse alia sesta pietra miliare'; quella inglese suona: 'If you want to see the water which flows from the stone, J , you can see (it); if, however, you should want to take upon yourselves the trouble, we'll have to turn off the road perhaps at the sixth milestone'. hmanzitutto, LABOR non e 'lavoro' ma 'fatica', e FORSITAN varra 'approssimativamente' piuttosto che il puro 'forse'. Ma il punto principale e la frase dipendente da LABOREM IMPONERE: siccome nell'o-riginale latino manca un verbo deontico, che corrisponderebbe all'it. bisogna o all'ingl. to have to, la frase introdotta da UT puo essere una finale (ciok: LABOREM VOBIS IMPONERE IDEO, UT...), o - il che ci sembra piu probabile - una frase specificativa, da tradursi 5 se voleste imporri la fatica di deviare dalla strada ...' E cosi, infatti, che il passo e stato tradotto in spagnolo da V.J. Herrero Llórente: '... podéis verla con solo tomaros la molestia de desviaros del camino...' (Peregrinación de Egeria, Introducción, traducción y notas de Victor José Herrero Llórente; Madrid, Aguilar, 1963, p. 50). In relazione al noto problema dell'origine di Egeria, ci vorrebbe (nell'in-troduzione all'analisi dei frammenti, a pp. 276-277) almeno qualche cenno agli elementi ispanici nella sua lingua (FUI nel senso di 'andai', SINGULOS MONTES, diversi casi di -ENT per -UNT). A p. 283, dove si commenta 291 appunto il perfetto FUI AD ECCLESIAM, tradotto dall'Autore 'I went to the church', neanche una parola si dice sulla continuazione délia medesima particolarità semantica nel castigliano odierno. Non riusciamo a spiegarci quest'assenza. A p. 284: Non possiamo assolutamente condividere l'opinione del Nostro che nei te s ti dei secoli V-IX ci sono solo poche informazioni sulla lingua parlata che non siano note già da testi anteriori. L'Autore afferma che in questo periodo, paradossalmente, l'influsso della cultura sulla lingua si indebolisce, eppure diminuisce anche il numero delle testimonianze sul linguaggio parlato e la sua evoluzione resta per cosí dire invisibile, più \ che nelle epoche precedenti. E risaputo invece che proprio nei documenti di questi secoli appaiono molti elementi nettamente romanzi: l'articolo, persino in forma romanza, nella Parodia della Lex Salica ET ILLA CUPPA... ; il futuro, esso pure nella sua forma romanza, in Fredegario (DARAS); molti elementi italiani nelle Compositiones ad tingenda musiva (uno dei primi testi sicuramente localizzabili, e precisamente nell'Alta Italia, secondo E. Lofstedt, Late Latin, Oslo 1959, p. 50). Non di rado i testi altomedievali latini provenienti dall'Italia (ad es. nelle raccolte di Tjâder e di Schiaparelli) danno l'impressione di non essere altro che testi in italiano ormai costituito, mascherati solo superficialmente in forme latine. A p. 301: non riusciamo a capire come, nel latino di Fredegario, il sostantivo [[ sic DISC ORS, della III classe, si sia spostato alla I diventando DISCORDIA, se quest'ultima è una forma del tutto classica. A p. 303: nel passo commentato di un documento del Códice diplomático longobardo l'imperfetto e il perfetto non son o "employed in free variation" sans plus, perché, a parte le forme AMBULABANT e FUERUNT, sono tutti corretti nel rispettivo contesto (SUBTRAXIT, FECERUNT, DEDICA-VIT sono espressioni di fatti concepiti come non durativi, FUIT esprime una durata limitata, ERAT lo stato precedente). A p. 315: non consideriamo mínimamente "surprising" che in libro non si 292 sia avuto l'allungamento /br>bbr/, perché la parola e nettamente dotta (cf. la conservazione della /1/!). Definirla "so ordinary a word" puo valere per i nostri tempi, certamente non per il periodo di forma-zione delle lingue romanze! Alla stessa pagina: da in paramento da missa ci sembra risalire a DE + AD più che a DE + AB. A p. 321: visto che i Placiti sono stati redatti nella regione in cui la dittongazione ascendente e metafonica, nella forma contene l'assenza del dittongo è normale, dunque non "one should expect contiene", come dice l'Autore. A p. 327: ci domandiamo se la forma mesenior della Formula di con-fessione umbra non possa risalire al soggetto (nominativo): semánticamente andrebbe bene (sostantivo designante persona!), la /e/ finale manca, e nemmeno il possessivo si oppone1 all' origine nominativale. Alia stessa pagina: mentre qui si afferma che la /u/ finale si trova solo nel siciliano e nel "far south", a p. 338 leggiamo che tale fonema è normale nella regione del Monte Amiata. La /u/ finale, specialmente nei primi tempi della lingua italiana, esisteva in gran parte del Centro-Sud (cf. a proposito Rohlfs, op« cit., § 145). Sempre alia stessa pagina: non accettiamo la spiegazione del digramma td in matdonna proposta dal Pulgram. Secondo il Nostro, il compilatore della Formula non aveva sentito né voluto scrivere due d; e, infatti, la prima parte di una d lunga "has something of the quality of tenseness of a £ t 3 "• Se dawero fosse cosí, la grafía td per /dd/ dovrebbe essere molto piu frequente. Percio preferiamo in matdonna vedere un'immistione di mater, ipotesi che all'Autore sembra invece improbabile. A p. 333: nella traduzione italiana di similia (sempre nella Formula) 1' inesistente semblabili (francesismo) va sostituito con simili. A p. 336: l'Autore accetta la spiegazione del verbo raccar proposta da A. Castellani, traducendolo 'to snatch, to take hold of' ed aggiungendo che in questa versione della Formula un termine metafórico, terrestre, 293 non è fuori posto. A noi pare invece che un'espressione tanto metafórica, terrestre, sia certamente fuori posto in un testo che, pur es-sendo redatto in volgare, è un testo religioso (il termine sarebbe accet-tabile semmai supponendo che già nella lingua délia Formula abbia il significato finale di 'guadagnare, meritare'). L'Autore constata che un verbo simile esiste nei dialetti abruzzesi odierni, ma ció evidentemente non pub essere una prova per il dialetto umbro dell'XI secolo. A p. 337: ene per 'e', secondo il Pulgram, è forma enfatica (nella 2. parte délia Formula). Nei testo non c'b tuttavia nessun'enfasi sul verbo 'è', ed è percio certamente piu plausibile l'opinione del Rohlfs (op.cit., § 336) che, cioe, le forme come ene sono dovute alla tendenza verso la trasformazione di parole ossitone in parossitone. A p. 341: la vocale protetica appare non solo davanti alla s_ "impura", ma anche davanti a certi altri fonemi (/ts, dz, n/) e nessi (/ps/). A p. 343: nella Gramma tic a del Rohlfs non siamo riusciti a trovare la conferma di una pretesa conservazione di /aw/ davanti a /1/ caratte-ristica secondo l'Autore per il pisano e i dialetti settentrionali. A p. 344: aima e anche forma italiana (antiquata, poética ecc.). A p. 347: per rendere conto délia /z/ nei romeno zi 'giorno' (DIE) non è necessario supporre un dittongo precedente con /y/, dato che l'as-sibilazione di /d/ ( > /dz/ > /z/) davanti a /i/ ricorre in romeno anche altrove: DICERE> a zice, -IDU >-«d, plur. -ezi ecc. A p. 351: mentre abeatis e teneatis sono congiuntivi (5. persona del pres.), lugratis dovrebbe appartenere all'indicativo, essendo il verbo délia I classe. A p. 353: a proposito di oienantio 'da oggi innanzi' l'Autore osserva: "as is usually the case with such compositions, the total meaning is not the meaning of the sum of its parts", ma proprio qui il significato del composto e la somma dei significati parziali: 'oggi' + 'innanzi'. A p. 355: nella filiazione -AVIT > -AUT > -ot, o [[ le maiuscole sono nostre J sostituiremmo -^ot con -au o -ao; cf. infatti tali forme in diversi 294 testi antichi italiani (addemandau nel v. 38 del Ritmo Cassinese, una serie di forme in -ao nei versi 151-163 del Ritmo su S.Alessio, diverse forme nei testi in romanesco antico ecc. ). A p. 356: constatare che negli esiti romanzi di PRESBYTER è sparito 1'elemento Q b J (cioè, il fonema /b/ P.T.) e certamente troppo sempli-ficato, perché le forme italiane dialettali come previte e quelle francesi antiche preveire, provoire ecc. ne serbano traccia nella /v/. A p. 359: a differenza di tutte le interpretazioni che conosciamo il Pulgram intende la parola cericato (v. 4 del Ritmo Laurenziano) come 'cerchiato', derivato da cerchio, riferito alia Terra concepita come un disco piatto e paragonato al ted. Erdkreis. Siccome l'Autore non da nessuna prova per quest'interpretazione, non vediamo alcuna ragione di abbandonare 1' interpretazione tradizionale e senza dubbio esatta: cericato = 'chieri-cato', cioè ' clero, Chiesa'. Alia stessa pagina, commentando il nome Fisolaco, l'Autore conclude che il nome viene usato "side by side with Cato - whose name in this company makes little sense". Ma non è cosi: come Fisiologo era un'autorita medievale nelle scienze naturali, cosí Catone (= i suoi precetti moralij faceva scuola nel campo della morale. A p. 365: quello in funzione di sostituente fa al plurale quelli, non quegli, come è stampato (ben quattro volte). A p. 366: per la forma toi 'lui' nel Cántico di S. Francesco il Nostro da 1'étimo ILLOI £ sic: senza asterisco J spiegandolo - a meno che si tratti di un errore - come il dativo in -O (ILLO) con una -I ridondante del class. ILLI ed aggiungendo "note that illui (> lui) has the same morphological origin". Una forma *ILLOI sembra impossibile; quanto a ILLUI, la sua origine è nell'influsso analogico del paradigma di QUI su quello di ILLE: QUI provoca ILLI (> it. egli, franc. _ü], CUIUS provoca ILLUIUS, CUI provoca ILLUI (cf. Rohlfs, op.cit., § 441; Lausberg, Romanische Sprachwissenschaft III: Formenlehre, Berlino 1972, § 718; Vaananen, Introduction au latin vulgaire, Parigi 1981, § 276). Uno sbaglio 295 come soluzione alternativa dovrebbe essere escluso (la frequenza dei pretesi sbagli e stata gia criticata sopra). L'Autore non accenna nemmeno al fatto che loi si trova in rima con noi: ora, siccome le forme meta-foniche nui, vui esistevano nella Iingua antica (e nui ricorre ancora in Manzoni), e possibile che anche nel Cántico le forme scritte noi e loi stiano per le forme pronuncíate /nuy/ e /luy/. In tal modo loi si spiegherebbe senza ricorrere né all' impossibile forma *ILLOI né aU'ipotesi troppo facile di uno sbaglio. A p. 367: la geminata (nel futuro farra per 'fara'), dichiarata dal Nostro "etymologically inexplicable", e stata spiegata dal Rohlfs come un'estensione errata della /rr/ dei futuri con assimilazione, ad es. yerro, vorro ecc. (Rohlfs, op. cit., § 587). 10 Gli errori di stampa, pur non essendo eccessivamente numerosi, ci sono tuttavia in numero non indifferente, e vanno aggiunte anche alcune sviste che non possono essere dovute a meri fattori tipografici. Ad esempio, l'Autore scrive _so (per_so, a p. 319) e_fu perju (ben tre volte, a p. 361); nelle parole romene talvolta manca la a (a p. 251 si legga lauda per lauda, a p. 292 fara per fara); a p. 137 (nome Vibia) £ bi va corretto in £ bi [] ; a p. 185 first conjugation datives va corretto ovvia-mente in first declension datives; a p. 251 laudat, non laudit; a p. 275 (nel giudizio di Vegezio sulla Mulom. Chironis) al posto di utilitate do-vrebbe stare vilitate (cf. Vaananen, op. cit., p. 187); a p. 289 si legga más (essendo lo spagn. mas congiunzione avversativa); a p. 294 a preposition (che, que) si sostituisca conjunction; a p. 317 si corregga TiapaSneufí in Tuxpaaneur¡ ; a p. 321 al posto di cóntenet ci vor-rebbe conténet (esempio della ricomposizione); a p. 343 Orelli (due volte) si corregga in Orselli; a p. 359 ci vuole sagrato, non sagrado; a p. 369 si corregga baccelieri in baccellieri. La grande maggioranza degli errori sono pur sempre innocui e fácilmente correggibili. 296 11 U Volume Italic, Latín, Italian di E. Pulgram e único nel suo genere; esso viene a colmare una lacuna nelle presentazioni di storia lingüistica d' Italia, contiene una quantita di materiale testuale, di analisi e commenti, e verra certamente adoperato e consultato in molte occa-sioni, tanto dagli studiosi di filología italica e latina quanto dai roma-nisti. Proprio per questo vorremmo vedervi inclusi e, con la sólita competenza propria dell'Autore, analizzati e commentati anche certi altri testi ai quali abbiamo accennato sopra. A proposito dei piu im-portanti problemi linguistici nello studio del latino volgare e degli idiomi romanzi, sarebbero senza dubbio utili maggiori cenni alie diverse discus-sioni e tesi emesse in mérito. Ma anche nella forma che abbiamo davanti a noi, il libro del nostro Autore é una presentazione origínale ed interessante del continuum lingüístico su suolo italiano dai primordi del latino fino alia soglia del periodo dantesco. Pavao Tekavcic (Pola - Universita di Rijeka) 297 CDU 805.0 - 313.1 (049) Emidio de Felice, I nomi degli italiani. Informazioni onomastiche e linguistiche, socioculturali e religiose. Rilevamenti quantitativi dei nomi personali dagli elenchi telefonici. - SARIN - Marsilio Editori, Venezia 1982; pag. 358. 1 Emidio de Felice ha aggiunto ai suoi due precedenti libri, Dizionario dei cognomi italiani (l.a edizione nel 1978; 3.a ed. 1980) e ! cognomi degli italiani, 1980, un'altra pietra miliare per la conoscenza dell' onomastica italiana, un lavoro sui nomi che oggi portano i cittadini délia Repubblica Italiana. L'Autore, ordinario di glottologia presso la Facoltà di Lettere dell'Universita di Genova, vanta una serie di lavori linguistici sulla lingüistica teórica, sulla romanizzazione della parte méridionale della Peni-sola Appenninica, sulla sintassi dell'italiano, di cui mi piace mettere in rilievo soprattutto il lavoro sulla storia delle preposizioni in italiano e quello sull'aspetto verbale nei testi francesi. 2 E' dunque un lingüista competente che abborda un tema il quale di certo esula dalla lingüistica, perché in buona parte sociolinguistico. In 299 piu, l'autore deve maneggiare, per la mole di dati, sui quali si fondano le sue riflessioni - e queste ínteres sano, sí, la lingüistica - dei mezzi come il calcolatore elettronico e adoperare la statistica con tutti i rischi che questa comporta. L'autore ha esaminato, come dice egli stesso, <>'1'universo" dei nomi degli utenti il telefono in Italia, vale a diré, delle persone in contratto di telefono con la SEAT, a base della elaborazione elettronica. Un universo imponente, dunque, piú di undici milioni. L'autore spiega all'inizio su quali dati e basata l'abbondante messe sta-• tistica che appare nel lavoro. E' di primaria importanza anche la necessita di basare i dati statistici su "forma nomínale", sull'unita onomástica che si distingue da un'altra forma dello stesso nome anche solo nella grafía: Iolanda/Jolanda/Yolanda. 3 I dati statistici sono interessanti, a volte addirittura affascinanti; non è che le conclusioni siano senza rischi, e l'Autore se ne rende conto. Uno dei rischi è quello di aver a che fare con una massa di undici milioni di utenti, il che rappresenta qualcosa come un quinto della popola-zione. Come si sa, una parte degli utenti, per le piu svariate ragioni, non figura negli elenchi telefonici; questo numéro va calcolato, dice De Felice (p. 10), a circa 180.000 persone: la statistica dovrebbe cioe uscirne sbi-lanciata. Del resto, sarebbe un'illusione credere che tutti i residenti di una grande città siano regolarmente iscritti in un apposito registro comu-nale o statale. Poi, ci sono centri di villeggiatura dove alcuni utenti, pro-prietari di una seconda casa, figurano già negli elenchi della loro città. Comunque, senza troppi rischi si puo calcolare che il rapporto tra il numéro degli utenti e quello dei residenti, cioè cittadini italiani, sia appros-simativamente di 1 : 5. Resta tuttavia incerto se i dati dei computo dei nomi degli utenti siano proporzionabili a quello della situazione reale, vale a dire ai nomi effettivi dei cittadini italiani. 300 E qui va messo in rilievo il secondo rischio, ben piu grave e del quale De Felice e pienamente cosciente (v. pag. 15 ss.): a parte il fatto che il contraente con la societa telefónica e il capofamiglia, cioe, in generale l'uomo, e percio i nomi femminili sono in svantaggio gia in partenza, e owio che il titolare dell'abbonamento avra dai 25 anni in su. Rimangono tagliati fuori i nomi della popolazione giovane, e i bambini, qualcosa come 21 milioni d° italiani, ma rimane sconosciuto anche tutto quello che e do-vuto alia moda degli ultimi decenni, la quale moda pur tanto influisce sulla scelta del nome. L'Autore afferma espressamente che la popolazione contenuta negli elenchi telefonici ha avuto il suo nome dalle generazioni tra il 1920 e 1960 e che i risultati non offrono uno specchio della situa-zione attuale. Poi, é tagliata fuori anche una parte della popolazione di campagna, dei luoghi fuori mano; e, sebbene la campagna si attenga meglio alia tradi-zione, non segua cioe la moda, a volte bizzarra, della citta, il fatto che le famiglie, in campagna, siano piu numeróse non giova di certo all'esat-tezza della statistica. Da questo punto di vista, un ricorso agli archivi anagrafici o parrocchiali avrebbe dato un quadro piu autentico. Eppure, anche tale quadro puo essere fallace: i residenti attuali non sono necessariamente nativi del luogo e questi, in varié regioni rappresentano solo una parte della popolazione: le migrazioni hanno del tutto cambiato il volto demográfico. E' qui che il computo sulla base degli elenchi telefonici si dimostra effettivamente potente: la gente che ivi figura risiede (i prqprietari delle seconde o terze case a parte) dawero nel luogo e, per di piu, ha un certo status sociale; se non altro, possiede un appartamento. 4. 11 lavoro di De Felice e decisamente una ricerca sincrónica, anzi, un elenco, ma, da vero lingüista com'e, l'Autore non ha potuto, ne voluto 301 sfuggire a un esame teórico. Cosí, si e posto anche la domanda sul signifícate del nome. I semantici danno a tale domanda una risposta negativa, eppure non e piú accettabile il pensiero che il nome proprio sia puramente denotativo^. No; e vero che il nome proprio non sia connota -tivo come un nome comune, tuttavia puo essere un informatore potente e prezioso: per conoscere 1'ambiente in cui un nome e stato (im)posto al neonato, per lo piú dunque la mentalita, le ambizioni, le aspirazioni, gli interessi dei genitori, e piú precisamente dei loro anni maturi. De Felice, forte del suo precedente lavoro sui cognomi, fa delle compara-zioni tra l'universo dei nomi e quello dei cognomi, constatando differenze essenziali: il numero dei cognomi alio stato attuale non aumenta, salvo per quanto riguarda gli immigrati, aumenta invece, almeno per il mondo dei telefoni, il numero dei nomi di persona, giacché in pratica ciascuno si sceglie la forma che piú gli convenga, mettiamo un vezzeggiativo inso-litoj contrariamente all'iscrizione nei registri parrocchiali, l'utente telefónico e nella scelta della forma nominale assai libero. La diacronia riappare nelle pagine dedícate al processo della disintegra-zione del sistema trinomio latino: il nome único e sorto, per l'Autore, con l'affermarsi del cristianesimo, tra il III e il V secolo. Nel tardo Medio evo, poi, si consolida l'usanza di nomi a due elementi. 5 II nome ci e stato imposto: i genitori, o in casi eccezionali chi in vece loro, scelgono, dice l'Autore, raramente il nome del neonato per una loro espressa volonta, giacché sono vincolati dalla tradizione, dalle esigenze dell'ambiente, come lo dimostrano le occorrenze di un nome tra-dizionale, ad es. Giuseppe (piú di mezzo milione tra gli utenti). Possono, 1 Cfr. Ullmann, La semantica, Bologna 1966, p. 122: - Un nome comune usato isolatamente ha un qualche signifícate, per quanto vago e ambiguo, mentre un nome proprio, come Tommaso o Alessandro, non trasporta alcuna informazione, oltre al puro fatto di denotare una persona. 302 pero, i genitori rompere con la tradizione e dimostrare una inclinazione personales di stampo culturale, letterario oppure politíco. Xnfine, puo es- 2 sere decisivo per la scelta un avvenimento nella loro vita . De Felice constata (p. 194) "uno scarso rispetto per gli interessi futuri del neonato", giacché il nome non sfugge sempre a una semantica extra-linguistica: se ormai mi nome dalla sfera religiosa non funge piu come connotazione, un nome dalla sfera letteraria o politica non di rado evoca le caratteristiche, simpatiche o no, del personaggio che fu il modello. I,'universo dei nomi degli italiani e ricco di nomi degli eroi e delle eroine del mondo classico; tuttavia, si vuol sperare che, passi ad es. per Taide/Thais (8 occorrenze, p. 189), una Santippe non sia mai apparsa. Molte volte e sémplicemente la lunghezza del nome che, nei tempi attuali, ha provocato il declino dell'uso. Ma e con l'atteggiamento introvertito, egoístico dei genitori che De Felice spiega la nascita di forme maschili o femminili sorprendenti. Non e una sorpresa trovare nomi maschili per quasi tre quarti di tutti gli utenti e nel libro si trovano dati statistici molto interessanti sulla spartizione tra il sesso maschile e quello femmi-nile in varié citta. La donna diventa sempre piú económicamente indipen-dente, eppoi, molte donne vivono da solé. Quello che sorprende, invece, sono neoformazioni stranissime, del tipo Otella e Ofelio: i genitori avreb-bero aspettato un Otello o un' Ofelia, e anche se a nascere furo no rispetti-vamente una femminuccia e un maschietto, caparbi, non si diedero per vinti. 2 Da un mió soggiorno a Torino, nel 1957, ricordo un Sabotino, nato nel 1917 o 1918, proprietario del ristorante dove mangiavo. Incuriosito gli chiesi 1'origine del suo nome e mi sentí rispondere che il padre, nella Grande guerra, era militare sul fronte cársico. 303 6 Non e sorprendente per 1'Italia che la motivazione religiosa sia potente: i primi tre posti nella graduatoria maschile sono infatti occupati da Giuseppe, Giovanni e Antonio, e in quella femminile da María, Anna e Giuseppina. Uno speciale mérito del De Felice e quello di mostrare la varieta dei nomi che originano nel culto dei santi locali in varié regioni e dei nomi di motivazione religiosa in generale. Cosí, se Salvatore occupa il 10° posto nella graduatoria nazionale, il nome ha il suo epicentro nel Sud. Nel Nord lo si incontra, sí, nel triangolo industríale, benché questa espansione sia recente. E' interessantissima anche la constatazione che il diminutivo di Salvatore, Turiddu, ritenuto almeno all'estero "típicamente siciliano", e quasi sconosciuto sull'Isola: gli elenchi telefonici danno solo tre utenti in Sicilia sui complessivi 222. E' giusta la conclusione dell'Auto re che la forma dialettale si sia imposta tramite il filone culturale, at-traverso Verga e Mascagni, cioe. 7 La distribuzione di Turiddu sembra indicare che l'apporto dialettale non sia molto forte. De Felice constata che le forme dialettali sono poco numeróse, malgrado alcuni vezzeggiativi; a pag. 306, l'Autore ha riunito per il Veneto una cinquantina di forme dialettali dei nomi, conosciuti nella letteratura dialettale e senz'altro vivi nel linguaggio familiare, eppure as-senti dagli elenchi telefonici. Direi che il caso non sorprende: il nome e qualcosa d'ufficiale, scegliendolo ci sottomettiamo per lo piú all'uso, se non proprio scritto, almeno valido in una lingua un tantino piú scelta. 8 L'Autore ha dedicato parecchie pagine alia motivazione etnolinguistica nella scelta del nome. Passa in rassegna le lingue che, oltre all'italiano, parlano i cittadini italiani e constata che l'albanese e il catalano non hanno fornito niente all'insieme dei nomi, che per il greco (anzi, il neogreco -l'Autore, evidentemente, fa sua la teoría di Morosi) si tratta di agionomi e che la lingua ebraica e presente con dei nomi tradizionali dell'Antico testamento, tutti italianizzati. 304 Stanno a sé le lingue delle tre etnie che godono anche di uno statuto spéciale, vale a dire,, il francese (piu il provenzale e il francoproven-zale), il tedesco e lo sloveno (piú in misura mínima il serbocroato). Dato che il mondo slavo, presente in Italia, ci interessa piú da vicino, è giusto dedicargli qualche osservazione. De Felice constata che le colonie croate nel Molise, resti delle emigra-zioni nel tardo Medio evo, nell' onomástica personale non conoscono nessun nome croato. Constata inoltre che l'apporto slavo in Italia è dovuto soprattutto all'influsso letterario e, piú recentemente, a quello délia moda: Sonia/Sonja conta con qualcosa come 1.400 utenti (vale a dire, approssi-mativamente sono circa sette mila persone che, in Italia, portano tale nome), sono piú di tre mila utenti col nome di Nadia/Nadja e altrettante del nome Iyana; il nome russo Fedora (1.242 occorrenze) deve di certo la sua popolarita ail'opera di Giordano. Tra i nomi maschili non sono molto frequenti Boris e Igor, mentre primeggiano Ivan (2.557 occorrenze) e, stranamente, Danilo (12.447 occorrenze), molto piú fortunato délia cor-rispondente forma biblica Daniele. Il resto del mondo slavo riguarda esclusivamente la regione Friuli-Venezia Giulia a causa délia presenza di una forte etnia slovena, valutata dal De Felice stesso (p. 292) tra i 40.000 e 50.000 individui. Contrariamente ai cognomi i quali, benché fortemente alterati, fanno scoprire l'origine slovena, e sono relativamente numerosi, le forme nominali slovene sono circa 150 e gli utenti circa un migliaio. Il fenomeno è sorprendente, e benché la Val d'Aosta conosca una situazione abbastanza analoga, sfavorevole al francese, De Felice si rende conto - ed è un altro suo mérito - che durante il ventennio fascista la scelta di un nome sloveno o di una forma nominale 3 E' lodevole nell'autore la netta e rigorosa distinzione dei termini slavo e sloveno che alcuni autori italiani, a dire vero, sempre meno, maneggiano con troppo poca esattezza. 305 4 slovena fu vietata e che le conseguenze sono tutt'ora sensibili . II libro del De Felice e da una parte la raccolta d'un materiale fin'ora non conosciuto, non esplorato, e forse neppure considerato degno dell'a-nalisi lingüistica. Dall'altra, l'Autore ha valutato i dati ottenuti con si-curo ñuto da lingüista, li ha illuminati; ha avanzato alcuni problemi, lingüísticamente importanti, e ne ha risolti parecchi, indicando per alcuni altri una via di spiegazione. # * * 9 II libro e ricco di suggestioni e spinge a riflettere. E spinge a fare dei confronti. Cosf, non sono potuto sfuggire alia tentazione di confrontare la situazione presentata per la regione Friuli-Venezia Giulia con quella che risulta dalla lettura degli elenchi telefonici di Capodistria, Isola e 5 Pirano . In questa sede ci interessano solo i nomi di stampo italiano che sono all'incirca novanta maschili e settanta femminili (piú le varianti fonetiche e grafiche) sulla totalita (approssimativamente sei mila) degli utenti. E' tuttavia da osservare che, all'infuori dei nomi italiani, una buona parte dei nomi non sono sloveni, ma serbi, croati, macedoni e musulmani, della gente dunque, venuta a stanziarsi nei comuni del Litorale negli ultimi decenni,e che non accennano mínimamente di assumere una forma slovenizzata (e cosí nemmeno i cognomi):un Petar rimane tale accanto 4 Se ne trova una conferma triste, ma convincente nel libro di Aldo Pizzagalli, Per l'italianita dei cognomi della provincia di Trieste, Trieste 1929, un vero sosia del Soldato vanaglorioso, purtroppo non in fanfaronate, ma in un crimínale sopruso, in genocidio di un popolo. 5 Telefonski imenik SR Slovenije 1982, Ljubljana 1982 (Situazione al 15 ottobre 1981). 306 allá forma nominale slovena, Peter, pur fonéticamente vicina. Per quanto riguarda i nomi italiani o di forma italiana, la situazione e rovesciata rispetto all'etnia slovena nella Regione Friuli-Venezia Giulia: malgrado il numero degli italiani sia ristretto ad alcune migliaia, il numero dei nomi italiani e sorprendentemente alto, vuoi perché una parte della popolazione slovena, di una certa eta, porta ancora un nome italiano, vuoi perché per la tradizione i nomi italiani o, meglio, la loro forma, godono ancora sempre un certo prestigio. Certo, i nomi di stampo italiano sono solo in parte conservati nella veste genuina; in altri casi hanno subito un adattamento, talvolta anche brutale, direi offensivo, alia fonología e grafia slovena. Cib non toglie, tuttavia, che "1'universo dei nomi italiani" non abbia anche in questo territorio pro-porzioni importanti, soprattutto se vengono comprese tutte le forme nomi-nali: valgano come esempio Luciano/Luc ian/ Luc jan/1 uc i jan/Lucano/Lucj o oppure Dario/Darjo/Darijo/Darij e, nel mondo femminile, Margherita/ Margerita/Margareta oppure Anna/Ana/Anita dove le ultime due forme esistono in sloveno, mentre Lucijan e Darij sono di certo adattamenti piú o meno recenti dall'italiano. Neil'elenco che presento sono dunque inclusi i nomi italiani e quelli di altra provenienza, ma che appaiono con la grafia italiana. Questo "sotto-universo regionale", per diría col De Felice, non puo essere cosí ricco come quello italiano in Italia; é circoscritto soprattutto alia sfera religiosa, non manca tuttavia la motivazione socio-culturale^ ed anche política (ci sono 8 Ede e ben 30 Bruno). 6 La motivazione culturale non é di certo un fenomeno recente. H registro di battesimo della parrocchia di Pirano ha iscritti, nel Cinquecento, due fratelli, Priamo e Oreste; al primo nacquero due figli, battezzati rispettivamente Temistocle e Oreste (V. i miéi Appunti sui nomi di famiglia quattrocenteschi a Pirano in "Scritti in onore di G. B. Pellegrini", in corso di stampa). 307 Nell'elenco non appaiono, certo, nomi sloveni: accanto a Francesco, Franco non figurano i pur numerosi Franc, Frančišek; né accanto a Giovanni, Gianni gli slov. Janez, Janko, Ivan. Non appaiono nemmeno se la diffe-renza é esclusivamente grafica: Oscar/Oskar; Anna/Ana. II materiale raccolto conferma la constatazione del De Felice sulla scarsita dell'apporto dialettale: non ci sono caratteristiche fonetiche venete, salvo che in Piero che poi non e solo veneto. L'elenco parte dalla forma nominale italiana, vale a dire, Klavdio, Klavdij, Klavdijo seguiranno alia forma base Claudio; e cib anche quando il nome in veste grafica italiana non esista nemmeno, come ad es, per Kamilo, Karmelo, Karmela, Klavdija, essendo questi nomi in Slovenia rarissimi o addirittura inesistenti. * * # I nomi maschili con le rispettive occorrenze, segnate se piú d'una Adriano, Adrijan (5) Alcide Aldo (20) Alfio Amedeo Angelo (3), Angel (15) Appolinio Armando (3), Armand A til o Aurelio (2), Avrélij, Avrelijo Benito Bruno (30) Kamilo Karmelo Claudio, Klaudio, Klavdio (2), Klavdijo, Klavdij (5) Clemente, Klement 308 Dante (2) Dario (6), Darjo (3), Darijo, Darej, Darij (7) Diño (3) Duiljo (2) Ecio (5), Ecij (2) Egidio Elio (4), El jo (2) Elvino Emilio, Emilijan (2) Enzo, Eneo Ennio Enrico Erminio (2), Erminij (2), Erminijo, Ermin Esperij Ettore Evelino Fabio (2), Fabjo (3) Federik Ferruccio (3), Ferucio, Feruco (3) Floriano Francesco (2), Franko (8) Fulvio Gentile Germano Giacomo Gianfraneo (4), Gian Franko Giancarlo Gino (2), -Bino (2) (!) Giordano, Jordán (12) Giorgio (3) Giovanni (3), Gianni, Giani Graciano, Gracjan, Gracijan (2) Guerino, Gverino (4) Guido, Gvido (10) Ilario, Hilarij Italo (3) Libero (7) Lino (7) Liviano Livio (2), Livijo Luciano, Lucano (2), Lucían, Lucjan, Lucijan (12), Lucjo 309 Manlio Marcelo (2), Marcel, Marcelo (4) Mario (25), Mar jo, Marij (4) Marino Matteo Mauricio Mirando (2) Nadal Nerino (6) Nino Nevio (2), Nivio Olivio (2), Olivij Ondino Orlando Oscar Ottavio, Otavio, Oktavi j (2) Otto, Oto Pietro (2), Piero Pino (5) Plinio Remigio (3), Remigijo, Remigij (2) Renato (7) Renzo (2), Renco Roberto (4) Rocco, Roko Romano Romeo _ Rinaldo Riño Ruggero, Rugerij Salvator Santo Sergio (7), Sergij (2), Sergej (5) Silvano (2), Silvan (2) Silverio, Silverij Stelio, Ste 1 jo (2) Teodoro Tiberij Trankvilo Umberto, Umbert Valerij (4) Vito (2) Vittorio Virgilio, Virgilij (6) I nomi fem minili: Ada (3) Adelina Alda (2) Alda-Marina Alma (7) Almira Anna, Annamaria, Anamarija (2), Ana-Marija Antonella Ariela Armida Bruna Kalista Ka ríñela Klavdija (3) Katerina (2), Katia Kiementina Delma Dorotea Eda (8) Elda (2) Elvina Elvira (3) Emilia Enriehetta Fabiola Febronija Fiorenca Flavia (3) Genia Gina (2) Giordana Giorgia 311 Giuseppina Grazieila, Gracijela (3) Savina Irene Jolanda (6), Joie Laura (3), Lavra Valerija (6) Velia Veneranda Viola Vivjana. Leda Leonida Leticija Libera Licia Loretta Luciana (2) Luigia Mafalda Marcela, Maréela (2) Margherita, Margerita, Margareta Maria, Mariza, Mariela, Marjuca Miranda (5) Mirella (2), Mirela Neda Nela (3) Nerina (8) Nevija (2), Nevja, Neva (4), Niveta Norma (2) Oktavija Oriana Palma Palmira Paola Pierina (2) Regina Rosa /accanto a Roza e Roza (2)/, Rozina (2) Rosanda (2) Rossanna (2) Rossella Lidia Liliana (5) Mitja Skubic Ljubljana 312 VSEBINA - SOMMAIRE Stran Giovan Battista PELLEGRINI, Alevine osservazioni sul "retoromanzo" - Namesto povzetka: Retoromanščina............................................................3 Roxana IORDACHE, Remarques sur le "ut concessif" du latin et les origines de la relative concessive -Pripombe k rabi lat. "ut concessivum" in izvor relativno-koncesivnega odvisnika........................................65 Pavao TEKAVČIČ, Indirizzi linguistici attuali nel dominio istroromanzo - Suvremeni lingvistički pravci i istroromanski dijalekti ..........................................................91 Breda CIGOJ-LEBEN, Rendement stylistique de l'ellipse du pronom sujet dans le "Thésée" d'André Gide -Stilistična učinkovitost izpusta pronominalnega subjekta v. Gidovi pripovedi "Tezej" ...........................127 Irena LIPOVEC, Approccio ai legami preposizionali tra il verbo e il sostantivo in italiano - Predložne zveze glagola s samostalniško besedo v italijanščini........149 Fedora FERLUGA-PETRONIO, Problemi di interferenza lingüistica: su un errore di sintassi slovena degli študenti sloveni bilingui - Problemi jezikovne interference: napaka iz slovenske skladnje, značilna za slovenske dvojezične dijake ................................................171 Momčilo D. SA VIČ, Aspektualnost i temporalnost u iskazivanju prošlosti i pretprošlosti u slovenskim i neslovenskim jezicima - L'aspectualité et la temporalité servant à exprimer la catégorie d'antériorité dans les langues slaves et non slaves..............................................................191 Anton GRAD, K etimologiji slovenskega oronima NANOS- Contribution à l'étymologie de l'oronyme Slovène Nanos 205 Jože TOPORIŠIČ, Strukturalismus in der Slovenistik - Strukturalizem v slovenistiki............................................................211 Václav BLAŽEK, Some Nostratian Etymologies - Nekaj nostra- tičnih etimologij ......................................................................239 313 Stran Pierre SWIGGERS, Note comparative sur l'emploi temporel de isk - Primerjalna opazka o časovni rabi armenskega isk................................................249 Darja GLOBEVNIK , Syntaxe fonctionnelle et syntaxe generative - un rapprochement dans les années ' 70 ? - Funkcionalna sintaksa in generativna sintaksa - zbližanje v sedemdesetih letih? ..................253 Poročila, ocene in zapisi -Comptes rendus, recensions, notes: Ernst Pulgram, ITALIC, LATIN, ITALIAN 600 B.C. TO A.D. 1260, Texts and commentaries; Indogermanische Bibliothek, Erste Reihe: Lehr- und Handbücher; Carl Winter Universitätsverlag, Heidelberg 1978, 400 pp. /Pavao Tekavčič/ .. 277 Emidio de Felice, I nomi degli italiani. Informazioni ono- mastiche e linguistiche, socioculturali e religiose. Rileva- menti quantitativi dei nomi personali dagli elenchi tele- fonici. - SARIN - Marsilio Editori, Venezia 1982, pag. 358. /Mitja Skubic/.......................................... 299 314 LINGÜISTICA XXH Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze Edvarda Kardelja v Ljubljani Revue publiée et éditée par la Faculté des Lettres et Philosophie de l'Université Edvard Kardelj de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik - Rédacteur en chef Mitja Skubic Nasloviti vse dopise na naslov Prière d'adresser toute correspondance à Mitja Skubic, Filozofska fakulteta Aškerčeva 12, 61000 Ljubljana Razmnoževanje Pleško, Rožna dolina C. IV/36, Ljubljana SLOVENSKA AKADEMIJA ZNANOSTI IN UMETNOSTI 61001 Ljubljana, Novi trg 3 p. p. 323 tel. 23-961 znak: datum: PUBLICATIONS DE L'ACADÉMIE DES SCIENCES ET DES BEAUX-ARTS SLOVÈNE prix dinars Bezlaj F.: Etyma slovenica. 1970 6 Cop B.: Die indouralisches Sprachverwandschaft und die indogermanische Laryngaltheorie. 1970 14 Jurančič J.: 0 strukturi leksike v srbskohrvatskem in slovenskem jeziku. 1970 10 Skubic M.: Contributi alia storia del preterito nell'italiano. 1970 13 Cop B.: Indogermánica minora I. 1971 25 Stojičevič A.: Značenje aorista i imperfekta u srpsko-hr- vatskom jeziku. 1951 4 Mikuš R. F.: A propos dela syntagmatique du professeur A. Belič. 1952 5 Rupel M.: Nove najdbe naših protestanti k. 1954 4 Rigler J.: Južnonotranjski govori. 1963 22 Tominec I.: Crnovrški dialekt. 1964 61 Rigler J.: Začetki slovenskega knjižnega jezika. 1968 59 Ramovš F.: Zbrano delo I. 1971 110 Cop B.: Prispevek k zgodovini labialnih pripon v indoev- ropskih jezikih. 1973 110 Cop B.: Indourali ca I. 1974 50 Cop B.: Die indogermanische Deklination im Lichte der in- douralischen vergleichenden Grammatik. 1975 56 Stabej J.: J. Megiser: Thesaurus polyglottus "Slovensko- -latinsko-nemški slovar". 1977 200 Orzechowska H.: 0 jeziku Dalmatinove biblije. 1978 110 Četrta onomastična konferenca. 1981 700 Veterinarski terminološki slovar (A-B). 1982 DRŽAVNA ZALOZBA SLOVENIJE nombre de prix LJUBLJANA Dictionnaire du Slovène littéraire pages dinars Tome I (A-H) Tome II (I-Na) Tome III (Ne-Pren) 844 1032 1078 1180 550 1500 A. Grad, R. Skerlj et N. Vitorovič, Grand dictionnaire anglais-slovène 1380 820 A. Grad, Grand dictionnaire slovène-anglais 826 1670 J. Kotnik, Dictionnaire slovène-anglais 832 750 F. Tomšič, Dictionnaire allemand-slovène 990 580 A. Bajec et P. Kalan, Dictionnaire italien-slovène 844 550 J. Kotnik, Dictionnaire slovène-italien 800 550 A. Grad, Dictionnaire français-slovène 1402 400 J. Kotflik, Dictionnaire slovène-français 684 250 A. Grad, Dictionnaire espagnol-Slovène 1008 78 A. Grad, Dictionnaire slovène-espagnol 748 650 J. Kotnik, Dictionnaire slovène-russe 818 145 F. Vodnik, Dictionnaire polonais-slovène 1246 500 R. Skerlj, Dictionnaire tchèque-slovène 678 990 R. Skerlj, Di ctionnaire s1ovène-tchèque 461 200 V. Smolej, Dictionnaire slovaque-slovène 448 200 F. Novšak, Dictionnaire macédonien-slovène 491 790 J. Jurančič, Dictionnaire slovène-serbocroate 1410 1750 J.- Hradil, Dictionnaire hongrois-slovène 635 560 F. Bradač, Dictionnaire latin-slovène 610 450 F. Bradač, Dictionnaire slovène-latin 348 90 Nous vous prions d'adresser vos commandes et toute correspondance à la maison d?édition Državna založba Slovenije, Knjižni oddelek (Département du livre), Mestni trg 26, 61101 Ljubljana.