C. A. COMBI STRENNA ISTRIANA per ili ANNI 1857-58-59 con prefazione s note di I'AoI/' TEDESCHI Prof, di belle lettere e di pedagogia nella scuola normale di Lodi SECONDA edizione. < .UMHHSTUI V TIPOGRAFIA colini, & PRIORA 1890 r.f. C. A. COMBI PORTA ORIENTALE STRENNA ISTRIANA per ili ANNI 1857-58-59 con prefazione e note di PAOLO TEDESCHI Prof di belle lettere e d! pedagogia nella scuola normale di Lodi SECONDA EDIZIONE CAPODISTRIA TIPOGRAFIA COBOL & PRIORA 1890 3368 A, Cobol, editore. PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE Se dopo lunghi anni di assenza, un uomo già innanzi negli anni ritorna al suo paese, donde è partito giovane e pieno d'illusioni, quanti mutamenti trova e quali disinganni ! Nella sua mente, tra il vario volger di casi, T immagine dei cari amici era rimasta sempre la stessa; gli aveva lasciati giovani, ridenti, baldi; gli rivede vecchi, tristi, sfiduciati. Qualche cosa di simile avviene ora in me. Riprendo in mano la Porta Orientale; la porta è sempre la stessa; ina il cielo è gravido di nuvoloni ad oriente sul Quartiere; e quelli che prima l'hanno incisa sulla carta, a similitudine di queir altra, fatta dal grande maestro, sono tutti morti, meno uno, e quest' uno sono io. Ma schiudo anch' io oggi la mente ai casti pensieri della tomba, provo una malinconia indefinita, sento, col Leopardi, la gentilezza del morir, col Giusti la dolcezza amara. — Cari luoghi io vi trovai......Bando alla lirica; il baritono della Sonnambula vi dirà il resto. Meglio le forti canzoni del Verdi, o le profonde, meditate armonie dei moderni. Parlo ai morti che sono più vivi dei vivi ; parlo ai vivi che sentono sempre in cuore, più ardente che mai, la santa carità della patria; raccolgo le frondi sparte appiè del cespo antico, divenuto albero forte; verso nuovo olio nella breve lampada, mentre piti in là si alzano su' pei monti le allegre fiammate : alere iiammam il mio motto. Ma vorrei vestirmi a nuovo, balzare d'un tratto sul palco scenico, con la sicurezza dei tenori dell'Attila e dei Lombardi, e sprigionare dall' ampio torace un do lungo, forte, chiaro; mi ripugna questo stile vecchio, arruffato che soffoca la melodia in un affollamento di crome e di biscrome, che accenna a diritta, e fa una rapida conversione a sinistra; vorrei dire pane al pane insomma, perchè, con molti anni di più sulla schiena, pure ritorno tra voi senza i rimpianti del vecchio dottore, perchè penso alla bellezza che è eterna; all'ideale, che è alto; perchè sento sempre „la fresca, eterna giovenliì del cuore"... Se io avessi però a continuare la prefazione in questo stile, quanti mi leggerebbero poi? Giuoco scoperto adunque; e diciamo prima di tutto come sia nata ai tempi dei tempi la Porta Orientale. Mi par j eri, si era nell'inverno del 1856 nello studio del Dr. Francesco de Combi. Il dottore a scranna, sotto il quadro del santo protettore, intento a rabberciare certi suoi versi bellissimi ; ad un' altra scrivania Carlo col Nipote del Vesta Verde in mano, venuto caldo caldo dalla posta, Leonardo D'Andri da un lato, e rumile sottoscritto dall' altro, secco, allampanato, nervoso, in sulle ventitré e mezzo di appigionare le soffitte per eccesso di fantasia : silenzio, silenzio nello studio e nella via: la povera vita di provincia insomma. Ma che vita, quanta speranza allora in quei cuori! E che ressa d'idee nobili e forti sotto l'ampia fronte di Carlo! Ad un tratto questi diede un formidabile pugno sulla scrivania, e balzando in piedi cominciò a misurare a larghi passi la stanza. Aveva letto nel Nipote del Vesta Verde queste parole — «GÌ' Istriani non sono nò carne, uè pesce:» inde irae. — A me, a me, soggiunse subito, a noi, amici, a far toccare con mano che siamo carne e ben soda. — Così nacque la Porta Orientale. Occorre dire in Istria chi fosse Carlo Combi? So nessuna via può essere dedicata a lui nella città nativa, il suo nome è scolpito in tutti i cuori; i suo concittadini lo leggono in Via del Belvedere, sul palazzo pretorio, sul ginnasio, sulle casupole del Porto; da per tutto. Pure gioverà dire poche parole di lui ai giovani, che non ebbero la fortuna di conoscerlo. Nacque nel 1827 a Capodistria. Fece i primi studi nel ginnasio allora tedesco! in patria, quindi a Trieste; i legali a Padova, a Genova, a Pavia. Coadjuvo il padre, e fu professore nel patrio ginnasio. Mandato a domicilio coatto nel 1866, dopo vario vicende, disinganni e stenti, senza ajuti governativi, si formò uno stato, e vinse per concorso una cattedra all'Istituto municipale superiore di commercio a Venezia. Tra i molti suoi scritti, oltre alla Porta Orientale, ci è lecito solo citare il Saggio di Bibliografia istriana, opera d'immensa fatica ed erudizione ; il discorso Sulla rivendicazione dell' Istria agli studi italiani. — Di Pier Paolo Vergerlo il seniore da Capodistria e del suo epistolario. Venezia, Autonelli 1880 ecc. ecc ... Morì a Venezia addì 11 Settembre 188J-. Ebbe vasto ingegno, gran cuore ; d'illibati costumi mirò a un tipo di perfezione, e n' ebbe logorata e spenta anzi tempo la vita. Di carattere fermo ben si può dire il Farinata dell' Istria. Fu dei pochi insomma, sul sepolcro dei quali, come voleva il Giusti, si può incidere a lettere d' oro — Non mutò bandiera. — Per lui duriamo oggi intrepidi nella lotta; nella Porta Orientale sono gettate le fondamenta del Pro Patria che unisce tutti gl'Italiani di qua dall' Isonzo in un sol pensiero: la difesa della nostra civiltà contro l'irrompente Slavismo. Se vivo fosse, a questa meta, anche lontano, rivolgerebbe oggi Carlo Combi tutte le forze del poderoso ingegno mirando sempre alto, temperando forse qualche giudizio, modificandosi, trasformandosi mai. Supremo bisogno oggi : essere ben carne, non pesce. E come la piglerebbe calda contro certi nuovi pesci d' acque torbide; contro i goffi delfini che accennano a tempesta voltolandosi sul mare, contro i crostacei che invano tentano arrampicarsi con le lunge zampe sulle viscide scogliere dei Brioni; contro i pesci voraci che all'impazzata danno in secca tra le tonnare di Abbazia e di Volosca. Contro i Sampieri specialmente, stupido pesce, indegno del nome dell' apostolo di Galilea, che fu buon uomo alla mano, che vestì sempre alla moda del suo paese, e non calzò mai stivali. Ed ecco il perchè d' una seconda edizione, dopo tanti anni, di questa Porta Orientale, che a tutti vuol essere raccomandata; ai giovani specialmente. Speranza di Carlo (lombi, professore al ginnasio, furono i giovani ; ascolti anche oggi la sua voce la nuova generazione. Altra musica oggi, intendimenti più modesti; ma il corista è sempre lo stesso. Se in tutto non volete, o non potete seguire le idee, conservate almeno una cara memoria del vecchio maestro, e de* suoi compagni. Povero Carlo! Le sue ossa con quelle del padre riposano in San Cristoforo; Leonardo D'Andri nel vasto campo di Custozza; «Ed abbiam sì vicino il camposanto» Ma dal colle di San Canziano i vivi, pregando pace ai defunti, hanno la faccia rivolta al mare; e le ossa dei poveri morti, rimasti in casa, sentono forse il murmurc dell' acqua che vien dall'opposta sponda e si frange al lido ; lo stormire degli olivi accarezzati dal vento della marina ; le voci e i canti dei pescatori; un incognito indistinto di accenti, di suoni, di canti : la gran voce della patria. Paolo Tedeschi professore di lettere italiane e di pedagogia nella scuola normale, femminile! municipali di Lodi Lodi, nel dì delle ceneri del 1890. ANNO L 1857 Due righe di prefazione E già qualche anno che un libriccino mi sta a cuore, che sotto V umile veste di Strennetta si componesse una vita allo specchio della virtù, semplice della scienza, e savio dell'amor di patria. Ma siccome non basta che il cielo lavori l'animo, ad ogni vento cadeva il desiderio, che non potea cibarsi nella mente con le delizie dello spirito. Ed ora com'è che mi /àccio osoì Il pensiero che si vorrà indulgere al poco che per me si può in grazia all' affetto, che mi ragiona in core, mi confortò a farmi sopra me medesimo e a scrivere. Se dirò male, chi pensa bene t'aggiusterà gli sconci, e tornerà in miglior sesto i pensieri. f' linguaggio da fratello a /'rateilo, e se agli uni chiedo affetto, da quelli della mia provincia mi attendo in premio lavori e più gravi e più utili del mio. Animo adunque vChè studio di ben far grazia rinverda* Dall' Istria, nell' Ottobre del 1866. Incominciare Ho da incominciare. Ma /mali e quante difficoltà non mi si abbaruffano d' intorno. E una processione di fantasmi in armatura, in toga, in giubba da galeotti. Chi ghigna e chi piange, ed altri, in maschera da scimuniti cincischiano il carnevale nella quaresima. Ho da incominciare. Ma nel pormi all'opera oh! come mi sento stringere il cuore in petto, se la mia parola ò come il fischio d'un selvaggio dell'America all' orecchio di molti e molti degli stessi miei fratelli! Possibile? Ahi si pur troppo, e non è da farsi orpello alla vista. Ecco il paese tutto verdura, tutto fiori, tutto monumenti, sorriso dal cielo e invidiato dalla terra. Ma chi mai scorge bene quanto di suolo si attenga alla montagna. L'ombra di questa si gitta sui colli e sui piani più vicini, e il miope? ... Il miope confonde il rezzo amico coli'uggia avversa. Ed io appuiìto mi son uno, che educato al vivere solingo, parlo dell'ombra. Qual meraviglia adunque, che lo immagini, a me d' intorno aleggianti, appariscano annebbiate, e che i pensieri dieno sembianza di rami torti e riiorti, che s'intrecciano, si avviluppano, e (piasi direi V un l'altro si tolgono di vista. Ed ecco per la terza volta ripetermi che ho da incominciare. E da che ì Udite e pazientate. Io debbo incominciare dalle rampogne. Col volto pallido dal dolore, col ciglio severo di chi ha La ragione dal canto suo, e col cuore tutto amore 10 mi lo incontro a chi amo per movergli accusa di non amare quanto dovrebbe. Ricordisi la donna del popolo di Venezia, memorata dal nuovo bardo di Albione, che all'affetto verso di lui, salvo dal pericolo, dava slogo con ogni maniera di rimbrotti ; e si avrà se non lo stesso motivo si la stessa causa psicologica o morale che si \oglia dire. E che? Il povero cJio gemo dimenticato dagli altri afflitti, avrà forse bisogno fli preghiere por entrare nella famiglia dei gementi? Son l'orse cancellalo l'orme dei secoli che furono? Può perder raggi l'aureola delle patrie memorie? Ecco io pongo al mio poverello una mano sul capo, e coir altra ne ascolto i battiti del cuore. Il morbo è recente. Passo ai letto d'altri infermi, li bacio in fronte, e piangendo 11 esamino. Oh! quanti malori più antichi si avvicendarono a tormentare quelle membra. Ma se ai benigni influssi del cielo ritorna la vita ai corpi più affranti, sarà men da ripromettersi di quelli, che hanno ancor fresca la ricordanza di una vigoria goduta per lungo corso di secoli? Non insulto, ma danno P ignoranza. Sorgi, o mio poverello, e di' franco, che quella veste lacera, sotto cui batto sempre e batte ognor più un animo generoso, non la scamberesti coi più nobili paludamenti, quantunque a le sacri, dogli stessi tuoi fratelli, eh' ella pure fu ordita su patino telajo. E se ora colto tu pure dal vasto turbinio delia sabbia, lagrimi come dagli altri si lagrima, prendi nell'ineffabile dolore il dolce conforto di non aver mai nò voluta nò salutata La nuova bufera. Si, sì, alta la fronte, franco il [tasso, e Fermo Lo sguardo. Chi non conosce, si vergogni e impari; e chi non vuol conoscere non è degno del nome che porta. I viaggi e le opinioni Ma ecco di subito l'armisi incontro una nuova serio di apparizioni. E che, direte, vuoi tu intrattenerci colle tue visioni ? Credi forse che possano suonare all' animo le parole di un dormiglioso che si agita e balbetta sotto Y impressione delle fantasmagorie, allo sfilare delle ombre, e tra i ruggiti dell'aquilone, che gli scuole lo impannate?. . . Io non so che dire, ma vogliate per bontà compatire alla mia inesperienza, se non valgo a scolpir parola che ben s'intenda, e se il pensiero è incapace di raccogliersi a l'ormare intieri i concetti. E per di più la nuova apparizione, che veggo mettersi in aria, è tale un miscuglio di avvicendamenti, che ad ogni istante impallidisce, si rincolora, e per mille guise si trasforma. Stesa lungo il mare, e tutta irta di case, che vi si alzano a partite di più solat, ecco da prima una città, abbondevole d'ogni maniera di foggio. Il tremolar della marina, e la mesta fronte dei gioghi ti parlano di paese avito. Ma grossi macigni soffocano il terreno di quella città,1) che pure quantunque sassoso e magro, sarebbe tale da potersi addomesticare alla coltura. Nò bastano i macigni, che tra la gente degna di miglior vita io veggo uomini quinci sformati da floscia pinguedine, e quindi di così misera complessione, che le carni sembrano loro gelate indosso. Viaggiatori dall'animo generoso afferrano in [torto, scorrono le vie e giudicano. E come potrebbero giudicare altrimenti con sì spessi esempi di agonie di mente? Come non dovrebbe loro favellare in sulla lingua lo spirito della verità?... Volgono i passi indietro, ed ahi doloro ! la sentenza colpisce non solo quel che videro, ma quello pure che non videro oltre la cerchia tumultuosa della corruzione nei silenti ritiri delle guardate virtù? E qui le nuove idee, a cui corre la mente, fan sì che tutta la scena ad un tratto mi si muti. Un groppo di monti e di colli si snoda dal fianco di gigantesca barriera, e via avvallandosi e distrecciandosi in aperte campagne si distende. Le quali, strette alla lor volta dall' onda, corrono così per costa, che in sé rientrando, e in vari seni rivolgendosi, si affrontano col mare e vi fan punta. 11 suolo, inalberato di fruttifere piante, di bei colori si rallegra sotto la più serena *) Si allude a Trieste. Oggi ben altro sarebbe il giudizio dei viaggiatori. La bella citta, capitale naturale dell'Istria, ha dato tanto prove di comunanza d'affètti, che sarebbe delitto e danno gravissimo escluderla dalla cara terra istriana a cui piti oltre si accenna. 1 Triestini non nono sformati da filoscia pinguedine, nè le carni sembrano loro fidate indosso. Informi la storili ! guardatura di cielo. Qua la vite s*impampina, e là l'olivo spiega al sole il verde cupo fogliame. Cara Iona, oli! come dolce entro dell'anima mi si accoglie il tuo nome. Sopra le silenti tue alture, e nel grò m ho delle umili tue valli, le une e l'altre pòvere di abitatori, io non veggo gran copia di sontuosi odili/i sorgere a disegno di ammirato stile, ma quinci brevi città mosso a borgo, e quindi sparsi d'intorno casolari rustici di artifizio e poveri di materia. Ma l'uomo che solca l'onda dei patrio golfo, o che dall'alto del suo uliveto misura coli'occhio l'estensione del bel paoso, di cui è liglio, è degno d'affetto per ogni virtù del cuore. E lo confondono?. . . 0 ingiusti giudici ! E mentre così diceva, mi destai che albeggiava, ricordando i versi del Poeta: "Come si frange il sonno ove di butto "Nova luce percolo il viso chiuso.„ Gli Almanacchi Almanaccai. E non è il mio mestiere? Voi dunque o critici dell'ordine critico, elio vorreste forse configgere co' vostri gammautti ogni mia espressione, non ve ne date pensiero. Chi almanacca non fa che abbatuffolar periodi, i quali prendono le cose in cambio, acciabattano fantasticherie, e non vanno a dar di capo che ad una frasconaia di parole. Clan che da torvi di sedia, per occuparvi di un nieschinello, che sembra aver mangiato lo cicerchie. Cessate adunque dallo starvene in punta di spilla, e lasciate che ora continui a vaneggiare cogli almanacchi. Oh! quanta n' è la moltitudine che si affo Ita a prendere d' assalto il capo d' anno ! Ma siccome ogni uomo ha le proprie simpatie, cosi io pure ho le mie ; e quando mi giunge all' orecchio lo bello stile del mio prediletto,1) mi balza il cuore, sono tutto in pensiero di lui, e la carità mi ridonda con accendimenti di spirito anche nel volto. Eppure, ho qui nel petto cosa che il soffrirla mi si fa troppo acerbo. J) Si allude a Cesare! Correnti autore del noto almanacco — Il Vesta Verde — e ad un passo del suo almanacco — CìV Istriani non sono ne carne nò pesce. La terra è rispettata. Sfa bene. Ma noi oravamo forse abbastanza conosciuti per subire una si Bera condanna ? Protesto a nome della verità, e mi attendo dali' animo leale di chi la dilige un miglior giudizio. Ma che dico? Ecco ch'io già riforno a sognare. Mi si presentano in ogni luogo più eletto alcuni uomini che Si acconciano la parola in linguaggio da stolti e peggio; Ed ecco voce: 0 voi che avete sol lo gli occhi fanti e tanti di siffatti esempi, perchè prendete a giudicar altri da questi? Ed una seconda voce: 0 voi che non avete veduto, perchè sentenziare alla cieca ? Rive! qual comune bestemmia avole mai udito? Qual mai linguaggio, o fratelli, vi posero in bocca, qual cuore in petto, qual veste in sugli omeri? Ivi eccomi proprio trascinato ad almanaccare sulle vicissitudini degli errori, e sulle fatalità qua nel commetterli, e là nel vagheggiarli. Ma gli argomenti mi Vengono senz'ordine, rotti, hriachi, come appunto suole accadere agli scrittori di almanacchi, che d'ogni cosa lingue!(.ano. Masti adunque, e se potessi guadagnarmi un sorriso di compiacenza dal lettore che più amo, me ne parrebbe mollo bene, e presterei ben Lieta la fronte. Animo e cera vivanda vera, dice il proverbio. E questo proverbio mi torna tanto più opportuno che (a quanto l'occhio, girandolo intorno, lascia prendere) porgerà mezzo a cogliere il vero senso cosi degli encomi come dei biasimi, a cui per avventura mi fo incontro. Ma quello che intendo di affrontare già lin d'ora si è la lode di certi tali, che avendo già abbruciato 1' alloggiamento, vorrebbero l'are le abbracciate coi loro dissimili, e fanno dei loro giudizi come i giuocatori di vantaggio, che accozzano le carte. Attenti adunque, eh' io so discernere i fraudolenti da quelli, a cui la schiettezza tiene il cuore in bocca, e 1' anima per così dire svelata in troni e. Il mio nome Qualunque libro che si faccia innanzi per preseni.irsi al pubblico, dee avere un nome. Non basta che esista. Senza nome la sua esistenza non avrebbe 1' impronta distintiva della vita. Ella ò dunque importante la questione del nome, ed io mi so bene che molti vi tormentarono sopra gli occhi e la mente. Feci altrettanto dal canto mio? Lettor carissimo, per nulla. Mi si affacciarono le varie urne dei nomi, e non durai la benché minima fatica a scegliere la mia. Doveva l'orsi- levare i coperchi a quella grandissima della storia. La copia delle cose mi avrebbe mandato irresoluto in etorno. Poteva la politica offrirmi miglior partito? Sarebbe stalo un fuggii' l'acqua sotto le grondaje. L'economia, la statistica, la filosofia, e cento altre scienze mi tornarono alla mente della stessa guisa; ma non vi fu alcuna, che non mi minacciasse di ciotti nelle calcagna, o non mi accennasse che farebbemi in altro modo il male arrivato. Non esitai quindi a risolvermi per La geografia. E! che infatti di più innocente? I monti e i mari sono l'opera di Dio, nò la mano dell' uomo vi ha parie alcuna. Ma per recarmi a gran coscienza ogni minima cosa, volli decidermi nello stesso campo «Iella geografia per ciò che va più di lungi da ogni mal talento. Ogni paese, ogni provincia, ogni distretto, ogni comune, ogni postura insomma della terra ha sempre le sue plaghe o porle che si vogliane dire. E quattro sono le principali: l'orientale e quella di ponente, la settentrionale e quella di mezzogiorno. Ed ecco eh' io mi restringo proprio a casa mia. Da un lato veggo nascere, dall'altro morire il grande astro del giorno; di fronte mi stanno i ghiacci, a tergo le arsure, (omo dunque volendo per nome la cosa più innocente del mondo, quale si è una porta del mio orizzonte, non preferii- quella che mi dischiude la luce del mattino, e che mi caccia di stanza Pumida ombra della notte ? Si appunto, porta orientale, ecco il mio nome, che può ridursi alle più brevi proporzioni lino ad esprimere un lato della solitaria mia cella, e quindi a farmi cogliere il frutto della modestia più in se raccolta. So bene, elio alcuni, nel farmi l'uomo addosso, diran volgare il nome di porta. Ma io soggiungo loro, che le porte sono mai sempre una delle parli più (delle di qualsiasi edi-fizio. E quanto più questo è nobile, lauto maggior cura vien posta a far si che il carattere dell'architettura spicchi hello ed aperto dall'arco dogi'ingressi, e dalle volte del vestibolo. Dican pure adunque che una porla non è che una porta, ch'io già, s'anco non fosse qualche cosa di più, mi accheterei a tenermene pago. Vivi adunque o nome, e voglia il cielo che tu possa tornar soave ai più dei lettori di quest'umile almanacco, come a me torni soavissimo. L proponimenti Ho una serie di proponimenti. Ma non valgo eorto ad attuarli tutti ad ima volta, per quanto mi stieno forti sul cuore, nò vorrei perdere il trotto per l'ambiadura. Me ne andrò adunque a rilento, e comincerò da me, per far conoscere la casa mia almeno un po' meglio di quello si conosca. In seguito non solo le cose dette avranno svolgimenti maggiori, ma mi continuerò à" uno in altro luogo, come si addice a chi ò di famiglia, adoperandomi del mio meglio (indiò mi venga buon punto di far cose maggiori. Pei- ora adunque avrete notizie di pro\ineia, e queste pure appena abbozzate. Ne rianderomo per sommi capi la storia, stenderemo sul tavolo la caria geografica, e porrmi! mano a rilevarne i punti, più notevoli. Ricorderemo quindi gli studi di quelli che onorarono la terra natale e SÌ meritarono un seggio nel patrio tempio degli uomini illustri. I loro nomi che sorvivono sì chiari, serviranno di eccitamento a noi, e di legge per tutti a renderne giustizia. A fianco poi d'altre cose attinenti alla nostra provincia, sia economiche sia di pubblica beneficenza e d'altro, non riuscirà, lo speriamo, sgradita qualche varietà, che senza staccarsi dal tutto l'accia sembianza di trasviarsi un po' fuori di sentiero, a prendersi alcun che di festa in questi giorni di lavoro. Fuori di stanza per quest'anno non ce ne andremo, come si è già avvertito. Ma puro ci faremo alla finestra, e siccome non ci sappiamo rimanere dal recarci cogli occhi ai monti, lo sguardo nostro farà loro scorta dall' uno all' altro mare. E così pongo line. C. A. Comih L'ISTRIA GEOGRAFICA La intitolo così, perchè anche la Geografìa ha i suoi equivoci come han le Carte le loro storpiature. Se nel circoscrivere un paese, una terra qualunque, ne assumi i fisici caratteri, la qualità, la direzione, il pendio del terreno e la capacità produttiva, che principalmente le dà una fisionomia propria ed originale, tutto va per diritto verso, e le cose si chiamano con proprio nome. Ma non così se prevale altro pensiero. Il nome allora ti indicherà una provincia ampliata o ristretta secondo le viste economico-politiche; smembrata talvolta con le vicende del tempo, e quel eh'è peggio, avverrà che le storpiature d' in sulle carte passino anche nelle teste di certuni. A me però piace prender le cose come le ha fatte natura, nò più nò meno, — e per Istria intendo una terra di propria struttura e configurazione, distinta cioè fisicamente da tutte le altre per monti, acque, clima, prodotti ecc. Io ci metto così le sole condizioni voce e durature. E dico durature, conciossiachè i monti stieno là corno il fondo delle lingue e della psicologia popolare. Qual' ò dunque 1' Istria geografica? L' Istria geografica, a stringer tutto in una parola, è l'estrema appendice delle Alpi orientali, o come altri direbbe benissimo, è il vestibolo orientale d'Italia. La catena delle Alpi che dopo le Carniche volge a mezzodì, è quella che in molte guise distrecciata ne costituisce 1' ossatura, la figura, i limiti naturali. Di fatti è alle scaturigini dell' Isonzo, e precisamente al Tricorno, dove la catena principale si triforca, che si stacca quella ramificazione la quale serbando tuttavia il gentil nome di Alpe Giulia corre arcuata a mezzogiorno e sebbene depressa e tumultuariamente configurata, viene a formare trincea continuata e difendevole sul confine orientale d'Italia. Ma come arriva al monte Nevoso (1686 metri sul livello del mare) si disnoda e piega con un ramo secondario più ad oriente fino a congiungersi con le Alpi Dinariche, mentre coli'altro si protende ad occidente per alzarsi di nuovo al Monto Maggiore (1394 motri). Ed è quivi appunto elio si rannodano i monti dell'Istria i quali sviluppati primamente in direziono longitudinale sembrano informarsi a due braccia quasi a stringerla e serrarla potentemente. E cosi è. Mentre un ramo minore col nome di monti Caldera corre incontro al Quarnaro fino a perdersi in man; dopo il porto Fianona, il l'amo principale, formante i monti della Vena (Ocra), si prolunga nella direzione di nord-ovest, seguo ed accompagna, sempre degradando, le svolte del golfo diTrieste, formandone a così dire la cornice, e va a raggiungere le foci del Tinnivo. Da amendue i bracci poi si spiccano ramilìcazioni trasversali, le quali per ordine di alpi, di monti, di colline scendono ora con dolce declivio ora bruscamente in mare a costituire quasi penisola. Questa penisola appunto, di forma piramidale, ben pronunciata in mare ò l'Istria. Volta all'Adriatico baie spalle appoggiate ài monti. i\é solo appoggiate ma anelo1 difese. Sebbene il ramo dei Caldera non si elevi per molte migliaja di piedi sul livello del mare (da 2500 fino a 4500 all' incirca) e si vada talora adagiando in rialti, costituisce però continuata muraglia che apre difficili gole. Dirupate e a perpendicolo stan le vette della Vena, o se pure degradino, aspri e petrosi sono i varchi che per le gole di Monte Spaccato, S. Lorenzo, Montecavo, attraverso il Carso, mettono Trieste in comunicazione con le valli silvestri del Rocca e del Piuca, e per Nauporto oltre l'Alpe Giulia colle regioni saviane. Dopodiché non è diffìcile determinare i confini e l'estensione della penisola istriana, compresa entro i monti Caldera e quei della Vena, il Quarnaro e il golfo di Trieste. Tutto l'altipiano adunque che da Trieste va fino alle foci del Ti-mavo si dirà terra istriana. Non cosi la regione costituita dalle pendici orientali dei Caldera, nò dalle isole del Quarnaro che appartengono alla Liburnia. L'Istria all'est ha per confine la linea divisoria delle acque dei Caldera, e da questo lato forma 1' estremo limile orientale d'Italia con la Liburnia litoranea. Al nord tocca le valli del Rocca che oltre la Vena vanno a congiungersi alle Alpi Giulie, ultimo lembo, al di là dei limiti istriani, di suolo italiano popolato da Slavi. Ad occidente guarda la pianura del Friuli. Misura in superfìcie 992 ni. q. i., in massima larghezza 26 '/.2 (dal Monte Maggiore a Parenzo), in massima lunghezza (da S. Giovanni ili Duino al Capo Premonterò) (53, e nell'interno perimetro 148, delle quali 53 '/2 al confine di terra, le restanti alle costiere marine. Clima e produzioni. E facile adunque figurarsi la penisola istriana come una montuosità variamente configurata, che per tre rialzi scende al mare. La fisica struttura dà non meno ragioni de'suoi limiti che de'suoi rapporti climatici, e quindi di vegetazione come quelli che dipendono dalla varietà del suolo, dalla differenza di elevazione, dal rapido, avvicendarsi di monti e valli, e principalmente dalla posizione cosi astronomica come geografica. Situata Tra il 44° 44 e il 45° 55 di latitudine boreale, e rannodata alla Inalila giogaja calcare della Vena, e per questa all'altra maggiore dell'Alpe Giulia, svolgentesi com'è detto tra monti, colline, e valli al mare, è naturale che quivi si incontrino i due climi nordico e meridionale, come s' incontrano i venti di mare pregni di nebbie saline, e il Borea che porta i soffi gelati del bacino della Sava. Il quale aspro per rigore di verno, ed elevato ben 1000 piedi più dell'altro (die dall'Alpi scende all'Adriatico, sprigiona il vento che soffiando tra greco e levante, trova spiraglio nella depressione de' gioghi alpini, e scende freddissimo dai medi Carsi a refoli e a bufere. Così l'Alpe Giulia segnando la linea delle acque dei due bacini, sogna la linea divisola;! di due climi: tanto è naturalo il conline d'Italia ad oriente. Del resto rigido 6 salubre nei mesi invernali, asciutto è il (dima d'Istria in eslate, e principalmente nei due mesi di Luglio e d'Agosto (piando piove ili rado o mai. Il suolo va soggetto a crudeli arsure, e lo sarà finché le squallide vette della Vena, e le roccie denudate del calcare, anziché attrarre, lasceranno che oltre i confini sieno portati i vapori di che il maestro e lo scirocco vanno impregnati. La stessa varietà nella vegetazione. L'Istria inferiore, compresa tra Salverò, Al bona e Pola, volta ai più felici influssi, vede le sue colline inghirlandate da viti e perennemente coperte dal bel verde dell'olivo: ha frutta saporite e ricca fauna; il severo ed il mirto crescono specialmente nei dintorni di Pola che più s'accosta ai climi meridionali. La vite e l'olivo prosperano molto bene anche nell'Istria media. Il terreno delle valli ben si addomestica alle alte quercie; e i sedimenti al mare sono mollo adatti ti fondi saliferi (Saline di Pirano e Capodistria). Le regioni ridenti dell'Istria inedia ed inferiore col loro dolce clima, con la loro bella vegetazione fanno contrasto col suolo montuoso dell'alta Istria lungo le frontiere della Vena fino alle estreme pendici di questa presso Duino : suolo notevolmente elevato in confronto del sottoposto, e solo a tratti coperto da pascoli e dallo smorto fogliame di umili querce, squallido del resto e denudato nei Carsi di Duino, Trieste, S. Pietro, Raspo. L'altipiano che da Duino si estende all'est, e die ri- 4KR covette il nome rti Carso, è regione quant' altra mai arida e desolata, dove, eccetto fra le crepature nel cui terriccio s" a-limentano pochi fili d'erba e qualche cespuglioj non si vede traccia di vegetazione sopra una distesa di più miglia quadrate, Gli strati del calcare rialzati e slocati, rotti ad intervalli, simulanti in tutto lo onde del mare che vanno a frangersi contro la spiaggia, accrescono I1 aspetto triste del luogo, si che Griso furori detti, vale a dire orrore di sassi. Un po' di bene adunque e un po' di male : rigida sterilità e sorriso del cielo meridionale, colline incoronate di pampini, e terreno petroso restio alla marra. Ma poiché le cifre sono più esatte, ecco come il suolo dell'Istria vada presso a poco diviso: Di 100 parti occupano — Prati e Pascoli . 48 Hosch i .... 25 Colti.....24 Improduttivo . . 3 Acque. Il suolo è solcato da torrenti montani e da poche vene d'acque perenni, raccolte in rivoli o in brevissimi fiumi, come suole avvenire in terra di poca estensione, e quello eh'è più di natura calcare. A questa natura calcare, e ai rigonfiamenti cavernosi va principalmente attribuita la (piasi totale mancanza d' acqua corrente, che affligge il paese. Non è raro vedere in molti sili torrenti alpini, interclusa la via al mare dalle roceio, raggomitolatisi in laghi vorticosi sprofondarsi entro enormi caverne, per ribollire in mare lungo le scogliere come sorgenti sottomarine. La voragine di Disino [foiba) che inghiotte le acque di Val di No varco, e gli abissi del calcare di S. Galiziano, in cui scompare il lieoca, scese dal Monte Nevoso per versarsi in mare dopo molte miglia di corso sotterraneo nelle arcane foci del Tinnivo, ce m; porgono esempio-La sola Istria mediana, marnosa, compatta lascia scorrere alla superficie le acque. Le più considerevoli sono il Quieto e VA/'sa, aniondue nascenti alle radici del Monte Maggiore, e versan tisi P uno a Cittanova e l'altro nel Quarnaro. La. Dragogna, il Risano (Formione), la Lussandra, aventi te sorgive alla Vena, sono piuttosto rivoli che fiumi, quasi a-sciutti nella stagione estiva. L'aridità del suolo viene in certa guisa compensata dal mare, che da tre lati lo striglie. I/ Istria, bene .acuminata in mare, offre ottimo sviluppo di costa ed ha seni frastagliali: sicché tutto compreso, ed anche il serpeggiamento dei lidi, le costiere sommano a 104 miglia, quando il confine terrestre ne misura poco più di 50. J la quindi grande accessibilità, porti numerosi e sicuri, quali il Quieto, Val di Rose, e sopra ogni altro quello di Pola, uno de'più vasti e difendevoli del Mediterraneo: profonde insenature nella Val d'Arsa, nel Lome, nel Quieto, nel Lardone, per cinque ed anche sette miglia infra terra prolungate, quasi natura abbia voluto, mettendo anche 1' Istria montana in contatto col mare, spingerla alla navigazione: e tutto ciò sulla strada marina dell'Adriatico, che favorita dalla profondità delle acque e dai venti levantini viene da ('orlu, e dopo toccali i lidi dalmati, lambe lo spiagge istriane per metter capo a Trieste, ultimo termine della via marittima e principio della terrestre, Ciò che appio di regioni montane, mdlo grandi vallate, sono le vie terrestri, che dai monti a sé chiamano vita e movimento, è per l'Istria il mare. 11 mare traccia e porta i destini dell'Istria. Popolazione. Cu a parola ancora sulla popolazione dell'Istria. Incerte ed avvolte nella oscurità dei miti e delle poetiche tradizioni, ne sono le origini, come avviene di tutte le nazioni; e da monumenti, nomi, iscrizioni appena si può conchiudere se di stirpe pelasgica o celtica sieno stati gli Aborigeni, iniziatori della lisica coltura nelle valli più ubertose. Pare più certo che agli Aborigini slabili abitatori e coltivatori, si opponessero più tardi (V.° secolo a. C.) i Traci di stirpe grecanica, i quali, risalito I* Istro e la Sava, sembra valicassero le Alpi e seguendo il loro genio di navigazione si sfanziasero sulle nostre spiaggie istriane e vi imponessero il nome d1 Istria. Comunque si sia fu questo il tronco, su cui più tardi si sono innestate la natura e la civiltà latina, e precisamente dopo il 178 a. C, quando Roma, quel grande miracolo del genio latino, cominciò a trapiantare sul suolo d'Istria nuovo popolo italiano. L'innesto mise si belle prove che dell'antico ceppo quasi ninna traccia rimase. Appena dopo l'ottocento e più tardi ancora venne la stirpe slava ad accasarsi pacificamente a lato della stirpe latina, e, sebbene tenutasi in disparte, sul suolo medesimo. Dissi pacificamente, cioè per immigrazioni, e colonie ira-dotte sulle terre povere e deserte, non in altra guisa che venne adoperalo nel Friuli, com'è da storici documenti certificato. Sulla penisola istriana adunque, su questo vestibolo italiano si scontrano la famiglia Ialina e la famiglia slava. Anzi, eccetto il Friuli, è (lessa il solo punto, in cui il ramo più occidentale e in un medesimo il più poetico e il più atto alla civiltà della stirpe slava (Sloveni e Serbi) si trovi in contatto col mondo latino. La civiltà adunque trova qui pure il suo da fare, e fedele alla sua missione, non potrà non influirvi beneficamente. E lasciamo fare. Noi intanto calcoliamo la popolazione dell' Istria. Ommesse le minime frazioni di altre schiatte, che sono piuttosto di venturieri, la totale popolazioni' dell' Istria geografica, compresa Trieste, ammonta a circa 290000 anime, ed è cosi divisa, Stirpe latino-italiana, che con più 0 meno di varietà parla il dialetto veneto ed abita principalmente la costa e le terre più grosse dell'interno dovunque si accentri la civiltà, 100000 a un di presso. Le si accostano circa 15000 Sloveni del Quieto che vestono e parlano italianamente, e 3000 Rumeni o Valacchi del Val d'Arsa, che conservano tuttavia noli' intimo della famiglia la favella romanica. I Daco-Romani, due secoli la sparsi ancora lungo la Vena, ninna traccia conservano ora di loro originalità. Di stirpe slava, abitante la campagna e la parte montuosa, 112000 all'incirca. Van essi divisi in due famiglie: la slovena e la serba. I primi diffusi nel contado dell'Istria superiore fino al Quieto si distinguono al dialetto, ai calzoni larghi, corti e non allacciati, e alle scarpe. Gli altri sparsi nell'Istria inferiore si conoscono ai calzoni lunghi e stridii ed ai sandali. I pochi abitanti del villaggio di Perei, creduti Greci, appartengono alla famiglia serba per istirpe e linguaggio, e solo per religione vanno addetti alla Chiesa d' Oriente. Prof. Antonio Coiz ') !) Nato a Faedis nel Friuli, per lunga dimora a Capodistria (piale professore nel ginnasio, o por istudì e sentimenti fu considerato sempre dei nostri. Ebbe ingegno aperto, gran cuore, modi schietti e popolari. Poco scrisse, ma quel che forse vai meglio, molto operò. Fu direttore del ginnasio a Biella, quindi preside del lieoo a Cosenza, a Sondrio, a Lodi, a Bergamo ove mori, ponendosi dovunque a capo di utili istituzioni e provvedimenti, come il monumento ai fratelli Bandiera a Cosenza (dove fu anche consigliere municipale), la società dei reduci dalle patrie battaglie a Lodi ecc. ecc. Ebbe quindi amici molti e nemici secondo i vari umori dogli uomini i quali, anche dicendosi amici, non tutto vedono con occhio spevni d'invidia, ed, avversi, esagerano i diletti di chi troppo fa parlare di sè, e si pone a capo di opera detestata. Pace all'anima sua. DESCRIZIONE DELL'ISTRIA*1 Istria è paese al golfo adriaco in fondo, Che in suoi brevi confili dell' affra terra Ci ritrae la figura. E al mar profondo Ella pur da tre lati si disserra. Trincea di scogli le si aggira a tondo E in promontorio si assottiglia e serra Di Pola accosto, ove a meriggio guarda E frange del Quarnar l'onda gagliarda. La irrigano dol Quoto Tacque lente E l'Arsa, che antiguardo a Italia pone; Ma qui più al norte, rapido torrente La Dragogna si spande e il Formi'one. Lungo la costa poi villa ridente, Città o castello maraviglia impone Al navighier, eh'è col favor del vento L'azzurro mar di veleggiar conlento. Catena di montagne alta si estende ollia Tergeste dal Liburno seno, Sì che dall'Orsa gelida difende Tutto da tergo il mio paese ameno. Ma sormonta i ripari e di là scende Talor Borea crudel, sciolto ogni freno; Là regge tra le gole e i nembi incalza, Qua fremente sul lido il mai' trabalza. *) E frammento del poema inedito «T Aìopifjia», di carattere didascalico, sulla fabbricazione del sale, datoci dall'autore Francesco Cambi. Oh! non tìa allor elio quelle forgia"onde Saggio nocchiero d'affrontar s'attenti Nè fune seior dalle seeure sponde, Chi tremendo é il furor d'istriaci venti. Il Rovajo è men lìer, che rami Q fronde Pur strappa e sperde allor che dalle algenti Creste discende d'Àpennino e introna L'Arno dove si dolce il tosco suona. Istria ha liete convalli ed ha benigne Collinette che a' rai del sole aperte Vedi vestirsi d'oliveti e vigne, 0 di verdi talor boschi coperte; E ora il campo sue glebe in rosso tigne E ora biancheggiali rupi, che tra 1' erte Montagne e i vallon fondi, il Carso mena Tutta scabra di tufi al [dna vena. Il Carso istriàco è in gran rinomo ; e conte Sue maraviglie, onde si leva in fama. Deriva sue propaghi i dal monte Che il rozzo Uscocco Càrausadio chiama; E ove la Giulia aderge Alpe la fronte S'appiglia, e giù per l'Istria si dirama; Cui vi tra sasso e sasso, in abbondanza Germinali l'erbe, e di pastori è stanza. E un baratro del Carso in cuor si sfianca, Sparto di multiformi ime caverne, In che dell'alma luce il raggio manca: Qui al lume ancor di povere lucerne Sotto il grand'arco della pietra bianca Nove bellezze e si rane il guardo scerne, Che all'aura morta in grembo e all'orror atro S'apre di maraviglie ampio teatro: Qui da le crete dell'alpestre doccia La lagrima che filtra e si dilima Lenta poi si costipa a goccia a goccia, Ristucca ogni pertugio ed ogni rima: Arcovolti e ipogei ((nell'aspra roccia. Grommando, avvien che in mille guise esprima E arrestali l'occhio e il pie pei torli calli Are eil aguglie, cippi, urne e cristalli Ma chi animoso più spinger s'attenti Dentro quegli antri e que' burroni il passo, Cupo un fragore udrà d'acque cadenti, Che dirompon fuor fuor dal vivo sasso, E liscili ed urli e murmuri e lamenti L'eco profonda spanderà dal basso, Ve' negro il rio fa gorgo e a sè vorago E si devolve al mai1 per cammin vago. Chi ad esplorar come ciò sia, scandaglia Dell' acque abisse la corrente interna, Manne disciolte di volubil paglia, Là onde il rivo prorompe e s'incaverna, Dal labbro del burron gitta e sparpaglia; Ed oh in breve! gallar per l'onda esterna Le scorge, uscite dalle cieche gole, Sotto il letto de' mari ignote al sole. E in ver del Carso la pietrosa cava Muor ne' flutti così eh' ivi s'innesta A'scogli di quel mar che l'Istria lava: Ma che da Borea mosso i liti pesta E baje e seni e porti egregi incava; Onde spesso al fremir de la tempesta Sbattuta nave qui dar l'ondo anela, Qui a la proda ledei erede la vela. A que'scogli, che saldi ammortati l'onde, Meglio il porto capace si fronteggia, Si che di retro a lor la nave asconde Dal mar che invan d'intorno urla e spumeggia. E bello è visitar lungo lo sponde Isoletta qua e là eh' alto torreggia, E di piante e di fior gajo apparecchio Spiega, e a sè della piana onda fa specchio. Quindi l'Istria s'abbarra in su la costa Di que' mezzo sporgenti e mezzo ascosi Scanni ed isole e roccie, e non va esposta Degli adriaci al furor flutti spumosi, Sì come bassa e fral la spiaggia opposta, Ch' offre ai sprazzi del mar liti arenosi : Onde il nocchiero, in faccia al nembo oscuro, Là non poggia a cercar porto securo. Ma ben di qua securi porti ed ampi S'addentrano ne' liti al navigante, Quando il minacci con baglior di lampi La procella nell' alto, od il tonante Bronzo, e l'abete osi il pavido ei scampi: Qui amico faro ecco gli sorge innante, E in salvo il guida splendida l'acid la Tra il bujo delia notte e la procella. Famoso è il loco; e la marmorea torre, Che dietro il capo di Salvpr si cela, Di naval pugna a chi quest'onde corre Memorabile campo addita e svela: Qui Otton toccò gran rotta, o qui raccorrò Dove cagliando la squarciata vela Giuso dall'aste in faccia ai destri remi De le vittrici venete triremi. Nò alle Rose già sol, porto capace Copre il naviglio che qui pieghi il corso, Offrendo asilo, dove la tenace Ancora affondi e stringa forte il morso: Ne dà molti la riva; e chi mai tace Di te, cui schermo è de' Brioni il dorso, Che t'apri a Pela in fianco? . . 1 lidi claustri Sforzar non osan gli Aquiloni o gli Austri. Quando del l'osco ciel tengon governo Tra le pioggie e le nevi i fieri venti, Roma rammento, che schermia del verno In codest' acque i suoi navil possenti ; Vineggia pur, che a quel riparo interno Credea le sue galee cupro-lucenti, Lei che di là spiccò le ardite penne Improvisa a fiaccai* le ostili antenne. E ben ne accenna ancor, quanto famosa, Di quel porto corresse rinomanza, L' arco dove de' Sergi il cener posa, E il gran vestigio che del Tempio avanza, Sacro a Roma ed Augusto, e maestosa L'Arena, a bianchi marmi in ordinanza, Che mai per tempo o per sostegno manco Crollò le loggie del superbo fianco. Ma non solo di porti e di' isolette, Di marmi illustri, di città e castella, E colli nudritor d'uve dilette, E boschi, che favor d'amica stella, À naval uso, empie di quercie elette Si tien l'Istria contenta e si fa bella; Ma e lieta ancor di calida Salina Che le sorge di costa a la marina. Qui non fallano è ver pingui germogli, Se d'assidua la terra opera è eulta; E dolci pur dal ramo i frutti cogli : E di ulivi e vigneti il colle esulta Da quinci u' Promontor coi ciechi scogli Del rabido Caruaro i flutti insulta A quindi ov'apre l'Adria ultimo un seno, E siede Egida mia su scoglio ameno. Ma uè di tanto gì' Istri andar giulivi Ponno sempre nò allegri i voti sciorre, Che estivo ciel qui impoverisce i rivi, Né di pioggia una stilla il suol soccorre. Indi le vuote spiche e gli arsi clivi Il deluso cultor lamenta e abborre; Langue al presèpe l'assetato armento, Ch' onda non cola o trema foglia al vento. Ed ecco è allor, che d'ogni frutto tolto De'sudor vani e d'ogni spene morta Al fallir dello sterile ricolto, Pur V afflitto cultor si riconforta ; Che alle salse del lito onde rivolto Le governa cosi con cura accorta, Che ne ritrae per magistral lavoro Fonte beata di bei lucri e d'oro. Del Dr. Francesco de Combi, nome carissimo a tutti gl'Istriani, nota è la vita. Nacque a Capodistria nel 1793, studiò a Padova giurisprudenza e belle lettere alla scuola del Cesarotti. Fu più volte podestà in patria; difese gli Slavi della Contea di Pisino contro le prepotenze feudali, quando era grave pericolo il farlo, e i nuovi protettori non si erano ancora veduti. Mori a Venezia il 31 Agosto del 1871. Fu poeta elegante, e dicitore facondo. La più bella biografia del Dr. Francesco, con l'esatto elenco delle sue opere, fu scritta dal figlili Carlo, nella prefazione alle Georgiche di Virgilio, tradotte in ottava rima; opera postuma di Francesco de Combi, premiata dal congresso pedagogico, italiano, tenuto in Venezia nel 1872 (Venezia. Tipografìa Antonelli 1872). F un libro che ogni colto istriano deve possedere. PRODROMO DELLA STORIA IDZEjXjXj' isteria*) Senza perdersi in vane disquisizioni intorno ai popoli originari dell' Istria, basti notare che i più ammettono essere stati gli Etruschi o i Pelasgi. Altri vorrebbero invece che nell' interno dell' Istria si fossero stabiliti anco i Celti. Meno incerto si è che che una tribù grecanica passasse dalla penisola d'Istria, situata sulla foco dell'Istro, alla nostra provincia fra il Timavo e l'Arsa, trasportandovi il nome del paese nativo, e le tradizioni della nave d'Argo, di Medea, di Giasone. A questi nuovi abitatori si attribuisce la fondazione delle citta di Trieste, d' Egida (Capodistria), di Emonia (Cit-tanova), di Parenzo, di Pola e di Nesazio. Dietro l'occupazione dei Grecanici, i popoli primitivi si ritrassero, a quanto sembra, all'interno verso i monti, e i nuovi occupatori, stanziatisi di preferenza in sulle coste, si dedicarono alla navigazione. Quali fossero gli ordinamenti di questi popoli è mal noto. Sorpassando quindi que'tempi, e notando che nell'anno 202 a. C. il dominio di Roma toccava già con la Venezia i confini dell'Istria, ci portiamo all'epoca in cui i Romani vengono a contatto con gl'Istriani ed aspirano a renderli essi pure soggetti. Già nell'anno 184 a. C. ottenne il console Marcello la permissione di romper guerra agli Istriani. Ma questa non seguì subito, che si pensò prima a fondare la città di Aquileja come punto d'appoggio. Gii Istriani, presone sospetto, pongon opera ad impedire il nuovo stabilimento dei Romani, e muovono all'estrema frontiera occidentale della provincia. Presso il Timavo segue battaglia sanguinosa col console Manlio, avanzatovisi da Aquileja. I Romani da prima *) Si attende ancora una storia dell'Istria, nò a darla noi, ci basta l'animo. Ma se moviamo il primo passo aiutati dalle opere del Carli e d' altri eruditi, tra cui specialmente il Dr. Kandler, giova sperare che il compatimento non ci verrà meno. rotti, vincono poscia, e Livio dà lunga descrizione di questa 179 a. C.pugna come di grosso fatto d' arme. La guerra contro gl'Istriani continua e il console Claudio la compie sotto lo mura di Nesazio, ove gl'Istriani col loro re o condottiero Epu lo si danno la morte nelle fiamme. Passata così l'Istria in dedizione dei Romani fu presi-178 a. Cdiata da Soci latini, e in Roma se ne menò trionfo: indizio questo che l'Istria qual parte d'Italia veniva stimata di grande importanza. Vi fu anzi il poeta Hostio, il quale ne le'argomento d' un poema che andò perduto. Cresciuti per tal modo i Romani nel dominio dell'Adriatico, formarono in Ravenna un naviglio a custodirlo. I Giapidi intanto, che stavano a tergo degli Istriani, suscitarono tra questi una rivolta, e Sempronio Tuditano la 128 a. Crepresse colla sconfitta degli stessi Giapidi. Dal monte Re sino a Fiume si costruì allora un vallo murato a rafforzare viemmeglio la barriera naturale delle Alpi, e Trieste e Pola fiorirono come colonie di diritto latino, sebbene la prima si trovasse posta a sacco dai Giapidi non ancora all' intutto domati. Mentre l'Istria andava ordinandosi alla romana e stringendosi ognor più alla patria italiana al pari della Venezia, e più dell'Insubria, l'Italia civile si estendeva sino al For-mione o Risano presso Capodistria. La nostra provincia peraltro unita alla Transpadana, era stata già da Giulio Cesare 45 a. C.condecorata della romana cittadinanza. Nelle guerre civili di Roma parteggiò prima per Pompeo poi per Antonio. Ond'ò che Ottaviano fe'smantellar Pola, e rinnovare la colonia, chiamata quindi Pietas Julia. Regnando Augusto l'Istria si arricchì di colonie e alla marina e nell'interno. Cosi a lato dei nomi di Trieste e Pola figurarono quelli di Egida, di Emonia, di Pirano. Soggiogati poi Giapidi e Liburni, limitrofi degli Istriani a settentrione e ad oriente, la nostra provincia venne assieme 14 a C.con la Venezia ascritta alla decima regione d'Italia detta Venetiae et Htstriae, ed anche solo Veneliae con Punica distinzione geografica di Venezia superiore ed inferiore. Fin da quel tempo adunque suonò il nome del fiume Arsa qual confine orientale d'Italia, e l'Istria popolatasi di veterani, crebbe sempre più in importanza pel dominio di Roma oltralpe. Sontuosi edilizi sorgono in questa e quella città, e Pola entra innanzi alle altre per ogni maniera di grandiosi abbellimenti, tra cui specialmente il famoso Anfiteatro, opera che gareggia con le migliori d'Italia. Da ciò e da molti altri dati che in questi cenni si tra- lascia di memorare può (ledersi che fiorente fosse la condizione della nostra provincia, la quale era di tanta rilevanza anco por le ragioni della navigazione nell'Adriatico, che ^istituitasi sotto l'imperatore Trajano la flotta d'Aquileja conios d. la stazione a Grado, se ne estese la giurisdizione marittima dalle foci dell'Adige a quelle dell'Arsa, lasciata la custodia dell'Adriatico inferiore al naviglio di Ravenna. Ed havvi argomento a giudicar bene altresì e dell' industria e del commercio. Riguardo a quella basti accennare alla Cissense tintoria di Porpora, e riguardo a questo por niente alla floridezza di Aquileja che avvolgeva e la Venezia e l'Istria nel movimento de' suoi traffici, anco verso l'Oriente e T A fide a. Quanto al governo giovi ricordare, che da Ottaviano Augusto lino a Costantino 1' Italia tutta non ebbe mai alcun particolare governatore, eccettuato il prefetto al Pretorio di Poma. Ne conseguita che ogni città col civico ordinamento repubblicano da sé medesima si reggesse. Sotto 1' imporo di Adriano e più tardi, si trova anche menzione di consolari, di giuridici e di correttori inviati ora nell'una ora nell'altra parte d'Italia a provvedere, quantunque senza ben precisi e stabili poteri, alle ragioni della pubblica economia, delle costruzioni e della giustizia, salva per questa 1' appellazione al p ride Ito del Pretorio. Trasferita la sede imperiale a Costantinopoli, e ripartito-^ d. l'impero romano in quattro prefetture, suddivise in diocesi e quindi in provinco, l'Istria segui le sorti della prefettura ed anzi provincia d'Italia, continuando a rimanere unita alla Venezia e costituendo con quella una delle diciassette nuove egioni italiane. Anche nella divisione di Valentiniano V Istria con la Venezia rimaneva all' Italia, nò mai ebbe parte nell' Illirio, che secondo i vari tempi più e meno si allargò al di là dei confini italiani. Ma già incominciano le invasioni de' Barbari, e qui è da riferirsi che i Quadi e i Marcomanni penetrati in Italia pei- lo Alpi Giulie devastarono parte del Friuli e della Venezia (372 d. C.) e che i Goti ricalcarono la stessa via sotto il loro re Alarico. Pure dalla parte orientale d'Italia slan-ciavasi quell'Attila che menò tante stragi. Tutti questi Barbari non vi fermarono stanza; ma il bel paese soggiaceva alle più crudeli sventure. L' Istria secondo gli uni risparmiata e secondo gli altri manomessa ella pure dalle orde di Attila, sembra per lo meno non aver molto sofferto. Ove infatti si consideri la descrizione che ne dà Cassiodoro scrittore e ministro di poco posteriore a quo' tempi, chiamandola «bella così da tornare ad ornamento d Italia» l) non può certo dedursi altra conseguenza. 15 d'altronde par ben naturale che i Barbari, superata la catena delle Alpi Giulie e calatisi nella valle serrata dalle Alpi stesse e dalla Vena che ne è una diramazione e l'orma il confine ') Petchè il lettore sia posto in grado e di formarsi un giusto concetto della, condizione dell'Istria a qiie* tempi, e di giudicare, coni'ella pure possa guardare all'avvenire colla fiducia che viene dalle testimonianze del passato, si dà qui tradotta l'epistola XXII del libro XII di Cassiodoro : "Il Senatore Prefetto del Pretorio ai provinciali dell' Istria „1 pubblici dispendi, incerti per la varietà dei tempi, non altrimenti possono equilibrarsi se non col porre le esazioni delle pubbliche imposte in giusta proporzione col reddito dei terreni; perchè facile torna l'esazione quando copioso è il raccolto, e perchè, richiedendosi ciò che la sterilità ha negato, la provincia viene a sofferire, e non si consegue ciò che si aveva in animo di avere. „Personc che visitarono la provìncia ci hanno riferito, che V Istria, già in fama per eccellenza di prodotti, sia stata iu quest' anno benedetta da Dio con copia di vino, di olio e di Tormento. Vi concediamo quindi di pagare con altrettanti generi siffatti l'imposta fondiaria che in questo primo anno d'indizione vi verrà prescritta; condonando beniguamente gli altri tributi alla devota provincia. ^Siccome peraltro noi abbisogniamo di questi generi in maggior copia di quella che ci darete in equivalenza dell'imposta dovuta, noi abbiamo spedito altrettanto danaro nella proviucia, traendolo dalla nostra cassa, per comperare abbondantemente i vostri prodotti senza alcun vostro disagio. Perche essendo voi costretti di vendere le derrate a mercadanti forestieri, rave pregiudizio vi deriva quando compratori maucano ; e senza mercadanti anaro non ne vedete. Miglior cosa è quindi il secondare la volontà del principe, che il dare le proprie cose agli stranieri; preferibile assai è il pagare debiti con proprie produzioni, che 1* avere i fastidi inseparabili dal vendere. Oltreché equa è al tutto la misura che prendiamo, non volendo noi ne recarvi pregiudizio nei prezzi, ne caricarvi delle spese di nolo. ,Xa vostra provincia, a noi prossima (a Ravenna), collocata nelle acque dell'Adriatico, popolata di oliveti, ornata di fertili campi, coronata di viti, ha tre sorgenti copiosissime d'invidiabile fecondità, per cui non a torto dicesi di lei che sia la compagna felice di Ravenna, la dispensa del palazzo reale; delizioso e voluttuoso soggiornu per la mirabile temperatura che gode dilungandosi verso settentrione. Ned è esagerazione il dire che ha seni paragonabili a quelli celebrati di Baja, nei quali il mare ondoso, internandosi nelle cavità del terreno, si fa placido a somiglianza di bellissimi stagni, in cui frequentissime sono le conchiglie e morbidi i pesci. Ed a differenza di Baja, non trovausi un solo averne, un sol luogo orrido e pestilenziale; ma frequenti peschiere marine, nelle quali le ostriche moltiplicano spontanee anche senza che l'uomo dia opera alcuna; tali sono queste delizie che non sembrano promosse con istudio, ed invitano a goderle. Frequenti palazzi che da lontano fanno mostra di se, sembrano perle disposte sul capo a bella donna; e sono prova in quanta estimazione avessero i nostri maggiori questa provincia, che di tauri edifizi la ornarono. Alla spiaggia poi corre paralella una serie d'isolette bellissime e di grande utilità, perche riparano i navigli dalle burrasche, ed arricchiscono i coltivatori coll'abbondauza dei prodotti. Questa provincia mantiene i presidi di confine, è ornamento all'Italia, delizia ai ricchi, fortuna ai mediocri; quanto essa produce passa nella città reale di Ravenna.,, settentrionale dell'Istria, preferissero di spingersi più oltre da quel lato ove più largo si schiudeva loro l'orizzonte e più aperto all' avanzarsi vedeano il cammino. Nuova invasione dalle Alpi Giulie scendeva nell' anno 470. Odoacre con grande esercito di Turcilingi, Ertili, Rugi, Sciti ed altri Barbari occupò V Italia, e sembra che 1' Istria corresse la corami sorte. Quando infatti nell'-anno 489, Teodorico re degli Ostrogoti, mosse al conquisto d'Italia, Odoacre fu in armi all'I-sonso. Ivi restò sconfitto, e l'altro si fece padrone d'Italia: regno in che entrava certo anco l'Istria, e che governavasi allo stesso modo dell'impero d'Oriento. Anzi il reggimento repubblicano d'ogni singola città prese tosto più spedito andamento. E qui cade in acconcio il notar cosa che non solo si riferisce alla storia dell'Istria sotto il regno di Teodorico, ma che porge mezzo altresì a chiarire la provinciale costituzione così dei tempi addietro come pure di quelli succedutisi fino a Carlo Magno, e più oltre ancora fino al cangiamento della fraternità ed alleanza con la Venezia in protettorato e quindi in dominio di questa su quella. La nostra provincia fu bensì parte, coni' è detto, del regno italiano di Teodorico, ma ritenne non meno delle altre d'Italia il proprio democratico reggimento, in un medesimo che al pari dello stesso re serbava all'imperatore d'Oriente una sembianza di soggezione d' onore. Siccome poi il reggimento Veneto-Istriano era più libero che ogni altro d'Italia, così si spiega la maggior libertà goduta dalle Venezie ed Istrie e sotto Teodorico e sotto i mutati governi dei tempi posteriori. Esse non avevano a capo alcun regio magistrato o governatore, e cessata era pure la giurisdizione dei consolari e dei correttori. Pagavano il tributo, ma ogni pubblico aliare veniva discusso e deciso indipendentemente in un generale convocamene) : ed il popolo eleggeva Vescovi, Magistrati, Tribuni, Vicari, Locopositi, ed anche Ipati o Consoli, oltre al ricordato Maestro dei Militi residente in Pola. Ma già altre vicende dovevano incalzarsi. Bellisario ge-539 d. C. aerale di Giustiniano riconquista anche l'Istria sui Goti, che distruggono quanto non valgono a difendere, e 1' assoggetta agli Esarchi di Ravenna congiunta alla Venezia marittima e governata al pari di essa da un maestro dei militi con Tribuni per ogni città e con Vescovi rivestiti, come portavano quo'tempi, anco di poteri civili. Richiamato Belisario, Narsete rafferma il dominio del-552 d. C. l'impero d'Oriente in Istria, quando nelle vicine province dell' lllirio cominciavano a comparire le torme degli Slavi, e nelle confederate Venezie s' erano avanzati i Franchi. Ma né questi nò quelli penetrarono nella nostra provincia, poiché gli uni furono sconfitti, gli altri rattenuti ancora dai monti. 565d.C. A Narsete, tolto al governo d'Italia, subentrò Longino col nume di Esarca. Fu a quel tempo che Alboino condottièro de' Longobardi, chiamato o meno da Narsete, imprese la condii ista d' Italia, disceso dal monte Ile, che s'erge sopra Trieste (568 d. C). L' Istria al pari di molte altre province d'Italia fu beasi corsa da Alboino e molto danneggiata, specialmente nella parte superiore, ma non occupata. Anzi la sua popolazione, come avvenne pure nella Venezia marittima, si aumentò allora di nuove genti italiane qui riparatesi, e specialmente in Capodistria, città che a quel tempo aveva cangiato il suo nome di Egida in quello di Giustinopoli, datole dall'imperatore Giustino li. Fu nel 588 che il re Autari aspirando alla signoria di tutta la provincia delle Venezie ed Istrie, si avanzò pure contro di queste con esercito guidato da Evino duca di Trento. Ma la spedizione non ebbe compimento, avendo gl'Istriani ottenuto una tregua, la quale portò per conseguenza che Evino si ritirasse, fortificando l'isola Amarina presso Mònfalcone. 604 d.C. Causato quel pericolo, altro ne insorse da parte degli Slavi venuti sull'orme dei Longobardi, nò contro questo bastarono tanto gl'Istriani da impedire l'Istria interna venisse saccheggiata con eccidio della popolazione. Gli Slavi non vi si soffermarono a quel tempo, ma si diedero a molestare il vicino Friuli. 615 d. C. Anco gli Avari corsero l'Istria senza dimorarvi, e mentre il resto d'Italia veniva sempre più signoreggiato dàlie genti barbariche, l'Istria e La Venezia marittima si accrescevano nuovamente e sempre più di genti italiani'. Ed era appunto con la Venezia marittima che la nostra provincia si per l'abbandono a cui l'impero d'Oriente lasciava i nominali suoi possedimenti d'Italia, si per la costituzione cittadina più sopra notata, costituiva pressoché uno stato indipendente coi reciproci nodi di fraternità e di alleanza. Fin d' allora infatti I' Istria ora soggetta allo stesso doge: dignità i ust i tu ita in luogo di quella del Maestrale ilei mìliti 697 d. C.sulle proposte del patriarca Cristoforo da Cola, l'i convien credere elle i Veneto-Istriani fossero già saliti a rinomanza di potere, avendosi dalla storia, essere stato da papa Gregorio li, quando i pontefici tenevano il carattere ili vicari impe- 72tJ d. C.riali d'Italia, confermato loro il dominio dell'Adriatico in nome dell'imperatore d'Oriente: altro indizio che la signoria di Bisanzio era di sola apparenza, né toglieva che il grande pontéfice si ponesse a capo di città libere contro l'ereticale tirannide dei teologi di Costantinopoli, ed iniziasse quindi il sistema* perfezionatosi poi nel Coni uno italiano. Ma se da tutto ciò può argomentarsi che l'Istria, quantunque infestata essa pure e depredata da scorrerie di barbari, fosse rimasta abbastanza forte, non poteva non trovarsi alquanto decaduta dalle pristine sue condizioni, e per le passate vicende, e per terremoto certo fortissimo, se 1' isola di Cissa non lunge da Rovigno sprofondava cosi che la vetta del suo740 d. C. colle rimaneva a quindici tese sott'acqua. Poco dopo di questo infortunio i Longobardi, già impadronitisi di Ravenna e di tutto L'Esarcato, si conducono anco in Istria guidati dal loro re Astolfo (752), Ma tutta non la occuparono, elio Giusiinopoli con altri Luoghi specialmente marittimi continuano a restarsene collegati a Venezia. Il pontefice Sudano V scrivendo al patriarca di Aquileja e riconfermando l'unione della Venezia e dell'Istria in una sola provincia* fa sperare elle Pipino sarebbe venuto a liberarle. Intanto i Longobardi posero nella parte occupata dell'Istria un duca, e fu appunto duca d'Istria quel Desiderio che segui Astolfo nel regno con lui caduto sotto la spada ilei Franchi* Ed ecco e Franchi e Longobardi e Greci, gli uni quali nuovi invasori d'Italia, gli aRri pel lineato dell'intelaio dell'Istria e i terzi per la nominale loro signoria, scendere ad accordi circa la nostra provincia, riconosciuta allora, e di appartenenza bizantina, e soggetta al dogo di Venezia, e da consegnarsi coll'Esarcato al pontefice. Basti rammentare quanto SÌ è notato più sopra riguardo all'apparente dominio di Bisanzio, alla reale unione della Venezia e dell'Istria, e al vicariato imperiale dei papi, per trovare una spiegazione di questi strani avvolgimenti propri soltanto di quel tempo. Al cadere pertanto del regno de'Longobardi, r Istria si774 d. C. trovò in quella stessa condizione d'indipendenza, di che avea per lo addietro goduto. E ijtii prima di proseguire la storia profana con l'epoca di Carlo Magno arrestiamoci a riguardare alcuni fatti notevoli della chiesa nella nostra Provincia, la quale giusta le tradizioni aveva cominciato a convertirsi al cristianesimo lino dall'anno 50 dell'era volgare per opera di Santo Lrmagora, ed aveva veduto parecchi de'suoi, mattila della fede lino al compiersi del 111 secolo. Allorché Costantino nel 313 die libertà al cristianesimo, esistevano già molte comunità cristiane nell'Istria, si erigevano chiese, e si trasformavano in templi cristiani i pagani, Il vescovo di Aquileja ebbe da prima per diocesi l'unita provincia della Venezia e dell'Istria: fatto questo che conviene rammentare come origine delle pretensioni della chiesa d'Aquileja, e quindi di non poche ecclesiastiche scissure. Quando poi s'instituirono anco nell'Istria i vescovati nell'anno 524, quello di Aquileja era già tino dal 369 arcivescovato, ma non metropolitico dell' istriana provincia. Soltanto verso la metà del VI secolo, la chiesa di Grado, a cui di solito rifuggivansi gli arcivescovi di Aquileja nelle invasioni dei Barbari, venne riconosciuta nel Concilio Lateranense metropolitica dell' Istria. Tali sono le precedenze da indicarsi a meglio discorrere della importanza del così detto Scisma istriano. Esso ebbe origine dalla nota decisione del V Concilio Ecumenico (II Costantinopolitano) che condannava i tre famosi capitoli, sorpassati nel IV Concilio tenutosi in Calcedonia. I vescovi dell'Istria e molti altri segnatamente della Venezia e della Liguria non accettarono la condanna e spinsero tant'oltre la dissidenza da separarsi dalla comunione del pontefice e degli altri vescovi assenzienti, dopo radunatisi presso Paolo metropolita d'Aquileja, ed eletto questo a loro patriarca in luogo di pontefice (loco pontificis). Nacque così lo scisma, il quale dalla maggior resistenza dei vescovi istriani, avvegnaché comune a molti veneti e a parecchi d'altre provinole d'Italia, prese nome di scisma istriano. A stornarlo fu 1' esarca con apposita fiotta 1' anno 586 a Grado, ove risiedeva Severo patriarca di Aquileja, e fattolo prigione coi vescovi di Trieste, di Parenzo e di Cissa, li tradusse a Ravenna. Durava ancora la opposizione degli altri vescovi istriani, quando S. Gregorio Magno ne ricondusse alcuni alla cattolica unità (604). Cosi e tra gli stessi vescovi dell' Istria vi fu scissura. I convertiti per opporre altro patriarca a quello di Aquileja conferirono un tal carattere a Candidiano e gli assegnarono a sede patriarcale quella di Grado da cui era stato tolto il prigioniero Severo. Di siffatta guisa ebbero origine i due patriarcati di Aquileja e di Grado, distinzione che durò anche dopo l'adesione al V Concilio E-cumenico degli altri vescovi dissidenti, seguita nel 698 con la fine dello scisma. Anzi i due patriarcati si trovarono per secoli a conflitto di giurisdizione, durante il quale i vescovi dell' Istria propendettero quasi sempre per quello di Grado, esteso sulla Venezia e che veniva riconfermato più volte metropolitico dell' Istria dai pontefici e dai concila. Avvertasi per ultimo non aver lo scisma istriano lasciate all' infuori di questi litigi altre conseguenze religiose ; che anzi sorse calda l'opposizione della Venezia e dell'Istria al decreto dell'imperatore Leone Isaurico l'iconoclasta, emanato nel 726 contro le imagini de' Santi. Ravviandoci ora negli avvenimenti della storia profana diremo come Carlo M. dichiaratosi re de' Longobardi movesse789 d C. ad occupar l'Istria, ed occupatala vi ponesse un duca unendola al regno longobardico, ed assoggettandola a quelle fogge di governo quasi fosse terra educata a straniere istituzioni, illuso dalla effimera signoria esercitata dai re Astolfo e Desiderio. Imperocché si sa bene, che Carlo M. non distrusse da prima il regno longobardico, ma vi lasciò i duchi, e ne mutò solo il re che fu egli. Giustinopoli però e alcune altre città marittime non cangiarono modo nel governo. L'Istria si trovò divisa nelle sue sorti. L' interna con parte della marittima aggregata al regno longobardico seguiva gì' imprendimenti del suo conquistatore, e V altra parte marittima serbavasi nella solita sua condizione con la Venezia. Ma Luna e l'altra aveano comune quella popolazione italiana che le rendeva distinte tra le province della nuova Longo-bardia. Questo fatto é di grande storico momento, poiché da esso soltanto può spiegarsi il ritornare che fece l'Istria, non appena compresa nel regno longobardico di Carlo Magno, al primiero suo reggimento dietro il Placito dell' 804 al fiume Risano, tenuto dai messi di Carlo M. allo scopo di udire i lagni degli Istriani, e contro il nuovo governo e contro l'introduzione di qualche tribù slava seguita allora la prima volta per volere del duca Giovanni, il quale avea posto opera a creare il feudalismo longobardico, e di più allargarlo secondo i costumi de' Franchi. Il politico conquistatore sapeva bene che le recenti conquiste non si assodano col contrastare alle antiche consuetudini del paese, e però appunto, come fece in altre parti d'Italia, restituì all'Istria, che riconobbe d'indole veneta e non longobardica, la pristina sua costituzione, ritenendola solo obbligata ad un tributo che consisteva nella decima, e trasformando la patria autorità elettiva del maestrato dei militi, in ducato o marchesato pure elettivo, con la stessa sede in Pola, La nostra provincia così ripristinata spettava pel tributo all'Italia longobardica, che dicevasi anche regno d'Italia, e per ogni altra ragione all' Italia civile nello stesso modo delle città marittime venete ed istriane, rimaste immuni da ogni contribuzione a Carlo Magno. Cotesta distinzione d'Italia longobardica e civile é necessaria a far comprendere, come il vero dominio di Carlo Magno si estendesse ai paesi realmente abitati da Longobardi, ma che sulle provincie esclu- sivamente italiane il regno suo riducevasi ad una mora Al-ta-Signoria. Eceo pertanto che nell' Italia civile di quell'epoca trovasi annoverata l'Istria, quantunque per la maggior parte soggetta a Carlo Magno, in uno alle isolo della Venezia, all' Esarcato, alla Pentapoli, a Roma, al territorio romano fino a Terracina, all'Abruzzo, all'Umbria, alla Toscana, a Napoli, e alla Calabria, Senza queste indicazioni, chiamate dalle eccezionali condizioni di quell'epoca singolare, mal si ravviserebbero i veri aspetti della storia nostra provinciale. Nò ciò basta a comprendere le anomalie di quell' età. Abbiamo già detto, come l'Istria fosse restituita al primiero suo ordinamento. Ma siccome a que'tempi tutta la dignità d' una provincia stava riposta nelle Municipalità o nei Comuni, cosi vuoisi ben avvertire, non aver tale reintegramento degli ordini veneto-istriani compreso le campagne dell'Istria. Queste furono tosto volte al nuovo sistema dei pagi o coaiil/Wi, pei- cui il duca o marchese governava a nome del re quale vassallo, e si dividevano le terre tra i valvassori : sistema infrenato solo da Placiti o Parlamenti, gli uni maggiori sotto la direzione dei Missi dominici, eh'orano i superiori ispettori dei vassalli, e gli altri minori, presieduti dal capo della provincia. Non tutta pertanto 1' Istria era costituita allo stesso modo. Vi avevano alcune città, come Giustinopoli, rimaste libere anco dal tributo, città e comuni col solo carico di questo tributo, e campagne ripartite in distretti non solo tributari, ma soggetti altresì al governo baronale ossia dei militi, tra cui venivano divise le terre. E qui riguardo alle campagne stesse nuove distinzioni. Se il distretto tributario veniva conceduto colle regalie ossia coi poteri maggiori, di-cevasi comitato la terra e conte chi la teneva. Se all'in vece il territorio tributario era dato colle regalie ossia coi poteri minori, chi lo conseguiva ['rendeva nome di barone o di signore. L'avere infine la semplice percezione del tributo d'un paose conferiva il carattere di padrone fondale o censuario. In poteri adunque qua maggiori e là minori e in riscossioni di tribuli consisteva il governo baronale della campagna. Il duca o marchese estendeva poi la sua autorità su tutta la provincia, nominale (pianlo ai non tassati, e reale quanto agli altri, ma. questa pure distinta quinci fra città e campagna, e quindi tra le campagne accordale ai baroni, e quelle a sè stesso riserbato. Se non elio anche di quest'ultime si affidava altrui I" amministrazione col nome di Comitato o Contea d' Istria, detta così appunto perdio composta di terre non costituenti contee di speciale denominazione. Sotto la dignità adunque del marchese vediamo quella del conte d'Istria. E diciamo di proposito dignità, perchè da prima e marchesato e contea erano officio a cui per eiezione si perveniva, e non 1' appannaggio ereditario posteriormente formatosi. Da questa condizione di cose ne convien partire, per farci a dividere il tempo, che ci resta a scorrere, in alcune epoche, dopo le due già riandate del dominio romano e della continuata fratellanza con la Venezia. Questa si cangia in protettorato, ed ecco la terza epoca che va suddistinta in tre periodi, vale a dire quello del marchesato elettivo fino al 1026, l'altro del marchesato ereditario fino al 1230, e il terzo infine del marchesato dei patriarchi d'Aquilejà fino al 1420. Con Venezia, che subentra nel marchesato e cangia la protezione dell' Istria in signoria, principia la quarta epoca, che diremo ultima, entrando la presente, dopo la caduta della Repubblica, nella storia contemporanea. Cominciando adunque dal 1.° periodo dell'epoca del protettorato di Venezia, è mestieri avvertire innanzi tutto, come in esso le città e i comuni tendessero vieppiù ad affrancarsi con propria indipendenza, sempre volgendosi a Venezia che cresceva in potere e quindi in forza e desiderio di proteggere. Quindi nulla meraviglia il vedere i detti comuni liberi od affrancati esercitare il diritto di guerra, d' alleanza, e perfino di sommessione ad altro potentato, e nello stipulare quanto loro meglio conveniva, usar per forma frase che dicesse salvi i diritti del re, ma nello stesso tempo promettere di operare sciolti dagli ordini suoi (absqùe jussione imperatoris). Valga questo a comprendere gli avvenimenti, distrecciandoli da quelle contradizioni, in cui altrimenti si rimarrebbero avviluppati. Nella pace fermatasi V anno 813 tra Michele imperatore bisaiwtino e Carlo M., il franco conquistatore rinunciò alla Venezia marittima, e questa pace fu confermata con Niceforo. L'Istria quantunque attribuita al regno longobardico ossia d'Italia nei mòdi che già vedemmo più sopra, non era certo staccata da Venezia se continuava a contribuirle navi, vino, olio, e canape, e se i comuni marittimi si obbligavano verso di essa a tener libero di pirati il mare di qua d'Ancona e di Zara. Nò questo impediva che l'imperatore Lodovico confermasse nell' 815 agli Istriani ogni loro costume di governo. Il comune italiano era già vivo fin d'allora nella nostra provincia, e se da un canto si piegava alle vicende del continente, non dimenticava il passato, e da (mesto prendeva norma all'agire indipendente, tanto più che aveva dinanzi il mare, non curato dal governo baronale, e eh' era invece il vero campo delle sorti istriane. E su questo mare la Venezia, fino allora all'Istria alleata, porgevale mano protettrice, poi- so che già cominciavano ad infestarlo gli Slavi, avanzatisi fino al Quarnaro. Difatti mentre Lottano promette contro di questi assistenza, Venezia la dà, e batte sotto il doge Orso, spintesi nelle aque di Umago, il bano della Dalmazia Domenico, che aveva corso le coste dell' Istria. E questa univa le sue l'orzo contro il comun pericolo, che cresceva per nuovi nemici, i Saraceni, gli Slavi della Dalmazia, gli Ungheresi: vinti gli uni sotto Ancona (872) gli altri alle spiagge dalmate (887), i terzi in faccia al porto di Alinola (906). Mentre nella maggior parte d'Italia correva l'età più povera di fatti veramente italiani tra le contese dei Carolingi per la successione nei regni in che s' era diviso e rediviso l'impero, e mentre succedeva un'altra età che a condannarla per peggiore persuade il nome di quel Berengario che fé' vassalla di Germania la corona d'Italia, la Venezia e l'Istria combattevano valorose contro nuovi attentati di genti straniere e bene meritavano della patria. Ed è invero mala cosa vedere come molti de' nostri scrittori di storie, negletta la verità perchè schivi della fatica di far disamina circa le condizioni e gli avvenimenti particolari delle provincie meno studiate, asseriscano conquiste della Venezia sul!' Istria tratti in inganno dalle ostilità del magistrato marchesale o da qualche passaggera dissenzione con qualche singolo comune : sciagure purtroppo, non già per 926 d. Canni ma per secoli, più frequenti e gravi nel resto d'Italia1). Ond' è che mentre vediamo il marchese d'Istria Vinterio officiale del re Ugo di Provenza far uso di sua potestà per assoggettare a balzello l'antico libero commercio de'Veneti in Istria, vediamo pure Giustinopoli, che già costituita a comune co' suoi consoli di popolare elezione offriva il primo esempio in Italia dopo Venezia di civico magistrato, tradurre in iscritto l'antica alleanza con la stessa Venezia, ed esibirsi 932 d. C.spontanea a darle contributo. E 1' anno seguente osserviamo altro trattato fra lo stesso marchese d'Istria, i nostri comuni e Venezia, con cui si affranca nuovamente il commercio e si riconfermano le somministrazioni al doge. Anzi pattuivano gl'Istriani che ove il re comandasse di far guerra a'Veneti, ne darebbero loro contezza, affinchè a se provvedessero. Questi sono fatti che rivelano il vero stato delle cose 946 d. C.ben meglio che la inconcludente baruffa di pochi Triestini rapitori di alcune spose veneziane ; baruffa che non sarebbe degna di menzione se non avesse dato origine a famosa festa veneziana detta delle Marie. ') Rammenti il lettore, quanto fu scritto più volte in questi ultimi anni su tale argomento, e disamini i documenti. Altri fatti della stessa natura sono ricordati dalle patrie memorie in questo secolo, trovandosi nel 970 rinnovati gli accordi tra Giustinopoli e il doge Pietro Orseolo I a motivo d'incendio che aveva incenerito il primo trattato, e leggendosi ancora che nel 992 le città marittime dell'Istria riconfermarono i diritti di Venezia. E quando il doge Pietro Orseolo II mosse contro gli Slavi della Dalmazia ebbe lieti accoglimenti nella città di Parenzo (997). Passando ora a percorrere il 2.° periodo dell' epoca di cui ci occupiamo, n'è d'uopo rammentare corno l'imperatore Ottone I della casa di Sassonia, la quale è con lui la prima di Germania nel regno d'Italia, avesse introdotto nuovi ordinamenti nei sistema baronale. Scemò i grandi ducati, e franse i marchesati in maggior numero di comitati. Dotò le città di agri tributari, e di semplici castella le' comitati rurali. Per tal modo Ottone senza volerlo affrettò l'era dei Comuni italiani. Allorché adunque Corrado I, il Salico della casa dei Franconi o Ghibellini primi (da cui l'inizio del presente periodo di storia), succedette alla casa di Sassonia nel regno d'Italia, trovò anco in Istria accresciute le città di nuove terre, e più che mai ridivisa la campagna tra baroni, intenti ad emanciparsi o ad acquistare più estesi diritti sull'esempio delle città stesse. I vescovi pure prendevano loco importante nel governo baronale per nuovi possedimenti, e d'ogni parte era un agitarsi negli intendimenti accoppiati del predominio e della libertà. Tali erano le pubbliche condizioni quando Corrado I principiò a concedere in feudo le grandi cariche ed emanò 1026 leggi con cui costituiva ereditari i feudi e sotto-feudi, compiendo cosi il vero Feudalismo, che cozzò a lungo col Comune, ed ebbe gran parte in quelle guerre intestine che trassero entrambi a caduta. Il marchesato d'Istria si fe' quindi ereditario in un Vecellino. La contea d'Istria invece, per esser tuttavia officio marchesale dipendente, non divenne per allora essa pure ereditaria. Ma a fianco dei marchesi e dei conti cresceva ognor più il dominio temporale dei vescovati e delle chiese, e troviamo di que' tempi registrate molte donazioni a vescovi e a monasteri, cosi sotto il regno di Corrado I lino al 1039, come altresì sotto quello di Arrigo III fino al 1056, e più ancora di Arrigo IV, che nel 1067 conferì molti possedimenti in Istria perfino agli stranieri vescovi di Frisinga, e che accrebbe l'ingerenza nella nostra provincia de' patriarchi d'Aquileja, già potenti nel Friuli, col conceder loro non 1077 poche delle percezioni li scali istriane. Era questa politica di quel re, che fu il pessimo dei ghibellini e che si trovò di fronte queir Ildebrando, che risoluto a toglier di mezzo le simoniache elezioni feudali, e purgare e francare la chiesa, fu uomo di grande coscienza, sacerdote d'animo invitto, gran papa (1073-1085). Regnando Arrigo V (1106*1125), la contea d'Istria divenne in un Elgelberto ereditaria in conseguenza di contrarie preteso nella casa dei marchesi, le quali riuscirono ad aperta 1112 guerra, e dietro battaglia presso il Tinnivo, alla separazione della detta contea dal marchesato, quantunque sempre con rapporto di vassallaggio. Ecco pertanto come i confi d'Istria figurino da quell'epoca in poi nei documenti presso ai marchesi, ai vescovi ed ai provinciali, Ma i comuni ognor più l'orti per acquisti di nuovi agri tributari, continuavano a trattare e senza marchese e senza conte. Ed appunto di questo tempo abbiamo nuove alleanze scritte coi Veneziani, confermati ne' loro rapporti coli'Istria 1124 dall'imperatore bizantino Giovanni Comneno: documenti che dimostrano essere erronea l'opinione d'una guerra allora tra Pola e Venezia, e che attestano come le città dell'Istria, le quali associavano già da molto le loro navi (stolu) alla veneta flotta per tenere sgombri i mari, promettessero nuovamente di mantenere I'onore di S. Mano (retinere honorem li. uso Marci) e di ottemperare al doge, che chiamavano rettore di tutta 1' Istria. E mentre a quid tempo nel resto d'Italia sotto il regno di. Corrado 11 primo degli Svevi, e dei Ghibellini secondi succeduto a Lottano, le intestine discordie si agitavano più che inai accanite, l'Istria aveva con la Venezia migliori le sorti. Ma la guerra d'indipendenza contro l'imperatore Federico I Barbarossa doveva in tutta Italia ridestare nuovi sensi. Non è nostro ufficio ricordare i grandi fatti di quell'epoca. GÌ limiteremo quindi a dire eh? sotto il nome di Venezia 1167 molte città anco dell' Istria ebbero parte nella Lega lombarda, e dietro la battaglia di Legnano, in quella marittima di Salvore alle proprie coste, nella quale gl'imperiali, guidati da Ottone 1177 figlio di Federico, vennero sconfitti. F nella chiosa di Salvore fu posta lapide che ricordasse ai posteri il memorabil fatto. fu nello stesso anno 1177 che l'imperatore e il pontefice Alessandro III si rappacificarono in Venezia. Per la guerra d'indipendenza venne conchiusa una semplice tregua ma già fin d'allora Federigo I quantunque conoscesse l'unione degli Istriani co' Veneti, e le contribuzioni che quelli davano al doge, non solo nulla vi mutò, ma confermò la libertà del commercio de' Veneti in Istria, e il dominio loro di tutto l'Adriatico. Stipulatasi poi la pace ili Costanza nel 11s:$, il comune italiano restò bensì raffermato, ma (strana cosa) le franchigie furono sempre considerate come ottenuti privilegi dalle stesse città della Lega lombarda, eccettuata la sola Venezia. Il perchè continuarono anche nell'Istria le libertà cittadine e la congiunzione con la Venezia da un canto, 0 continuò dall'altro a nominarsi Palla signoria dell'imperatore corno noi rosto d'Italia: condizioni che tra noi si riscontrano uguali negli altri trattati anteriori fra l'impero e Venezia al tempo di Ottone I nel 967, e al tempo di Ottone NI nel 9S:5. Ma fatalmente al movimento di concordia succedettero nuove rivalità tra grandi e, piccoli nei comuni, e, nuove ostilità fra quel Iti parti guelfe e ghibelline, che dopo la morte di Arrigo VI, figlio di Federico 1, e in conseguenza delle Lotte fra il ghibellino Filippo l ili Sveyia e il guelfo ottone IV di Sassonia, si trasportarono anche di nome in Italia, dov'erano già di fatto, tra imperiali ed ani imperiali : parti, di cui restano traccio anco nel!' Istria, popolata da comuni guelfi e di baronie ghibelline. E tra le città marittime s' aggiungevano le gelosie de' traffici. Ma almeno da queste prendeva maggiore incremento l'attività de'commerci, e se pur troppo nascevah guerre, si riannodavano ad uri tempo rappòrti di amicizia. l)i ijiiesfi abbiamo qui puri-; esempì, e ricorderemo solo l'accordo fermatosi tra il Comune di Spalato e quello di Pi-rano pel migliore andamento delle mercantili loro imprese, 1192 le quali piànta del formarsi della potenza turca erano vivissime su tutta la costa dell'Istria e della Dalmazia, Ma abbiamo in un medesimo anco nella nostra provincia a rammentare i dolorosi effetti delle gare Ira Venezia ed altre città marittime italiane. Fu nel 1195 che i Pisani s'impadronirono di Pola, e vennero ricacciati da Giovanni Mo-rosini e Roggeri Remarino, capitani del doge Enrico Dandolo. Nè quésto fatto, come si vedrà in appresso, e V unico, di cui l'Istria sia stata spettatrice. Convien poi ritenere che la nostra provincia allargasse sempre più le proprie libertà tra questi movimenti del commercio, a cui venivano aperte nuove terre dalle crociate, se troviamo memoria cotn'ella avesse rifiutato di riconoscere o lo svevo Filippo e il guelfo Ottone. Ed una nuova crociata seguiva a quel tempo dopo le tre anteriori, a cui non era rimasta estranea l'Istria, unitasi anzi pochi anni prima in quelle occasioni ai Veneti nella presa di Traù e Raglisi, e nell'assedio di Negroponte. Era questa quella quarta crociata che portò alla conquista latina di Costantinopoli, e quindi alla ristorazione del principato d1 Italia nel Mediterraneo altra volta lago di Roma. Alcune navi istriano si accompagnarono a quelle di Venezia, e alle rimasto affidò questa l'onorevole incarico di custodire l'Adriatico. Triesti? pure, Ch'era fino dal 948 sotto il dominio e la potestà de1 propri vescovi, si obbligò a cooperare contro 1202 i pirati, e dar contribuzione a quel doge Enrico Dandolo, da cui principia il primato della potenza mariti i ma di Venezia. Ma come nelle altre province d'Italia, qui pure succedono anni di lotte. I patriarchi di Aquileja, già potenti anco in Istria per le ricordate percezioni fiscali, conseguite da Enrico IV nel 1077, e per nuove regalie sebben minori, avute in dono dalle famiglie dei marchesi, studiano le occasioni di ingerirsi ognor più nella nostra provincia, e vogliono vietare ai Veneti il riscuotere alcuni tributi. Il patriarca Volchero, fatto ardito dal trovarsi il marchese Enrico III avverso allo svevo Filippo, 1207 spedisce truppe contro gl'Istriani, fermi nel proposito di starsene con Venezia. Veduta tanta fermezza, le genti del patriarca si ritirano. Fd egli scomunica i renitenti. La provincia è in tumulto, e si aggiunge guerra tra Oapodistria e Pirano da una parte e Rovigno dall'altra. Ne approfitta il patriarca, e pretende al marchesato, da cui Enrico III veniva allora destituito per aver preso parte all'uccisione dell'imperatore Filippo. Manda infatti in Istria qual luogotenente col titolo di governatore-marchese Armano Moruccio di Arcano, quantunque senza effetto pei1 allora, non avendolo accettato gl'I- 1208 istriani sotto colore di volerne uno o istriano o friulano. Ma gì' intendimenti del patriarca venivano contrastati dai duchi di Baviera da cui discendevano i marchesi d'Istria, e questi venivano pure riconosciuti ne' loro diritti dall'impeti.) ratore Ottone IV. I pretendenti si guerreggiarono, e fatta pace, Lodovico di Baviera cedette il marchesato col dipendente vassallaggio della contea d'Istria allo stesso patriarca Volchero. Gl'Istriani che il conoscevano inclinato ad accrescere il potere marchesale, e che erano avvezzi ad avere negli anteriori marchesi, quasi sempre lontani, un'autorità di mero nome, nimicavano un potere vicino, mal sapendo, educati al mare, acconciarsi in terra a feudale governo. Non lo vogliono e danno nell'armi contro Engelberto conte d'Istria, speditovi dal patriarca scomunicante la provincia per la seconda volta. Nuovi dissidi porgono mezzo a Volchero di mettere in campo trattative e di farsi riconoscere in via d'accordo, non potendolo con le armi. Recatosi personalmente in Istria, e adoperatosi di entrare in grazia di Venezia con lo assogget-1211 tarsi ad un tributo di onore, to' concessioni agli Istriani, e ottenne cosi momentanea pace. Ma non seppe custodirla, che avendo voluto poi estendere i poteri marchesali, ebbe di nuovo nemiche e l'Istria e Venezia. Ed eccolo trattare ora con luna ed ora con L'altra. Con l'Istria, distratta dalle guerre di Giustinopol i contro Trevigi e contro Targurio (1216), venne Cedendo a patti l'anno 1217, e verso Venezia il pai ria rea Bertoldo assunse nuovi obblighi per la libertà del commercio veneto-istriano, adattandosi perfino che una Vice-Dominarla 12IH venisse instituita in Àquileja a decidere le relative questioni. 1222 Nò con ciò s'era ancora tatto tutto, che i più prossimi parenti dell'espulso Enrico III non ismellevano loro pretese. Ma essendo il nuovo patriarca della stessa famiglia dei (ire-tendenti, l'acih4 si fu l'accordo ed egli venne [iure da questi riconosciuto nella pace di S. Germano, in cui lo svevo impe- 1230 ratore Federico II, succeduto ad Ottone IV, inclinando a pacificarsi col Sacerdozio, favoreggiò la chiesa d' Àquileja. Qui principia còl marchesato de'patriarchi il terzo periodo della nostra terza epoca segnata dal protettorato di Venezia, che passava mano mano in signoria. Credeva il patriarca aquilejese di aver assestato ogni cosa, dopo tante guerre e dissensioni prima di giungere e farsi riconoscere marchese d'Istria. Ma in essa doveva per molti anni ancora trovare opposizioni, che si continuarono per tutto questo periodo lino al dominio di Venezia sul marchesato intero. N1 ora causa occasionale il diritto, preteso dai patriarchi e decretato da Federilo, di nominar essi i podestà, i consoli e i rettola delle" città, delle castella e dei villaggi dell'Istria. Fola e Capodistria nello stesso anno della pace di S. Germano ritornarono a disconoscere l'autorità del patriarca. La seconda, impegnata in una guerra con Pirano, transige, e quantunque essa fosse il comune più indipendente dal marchesato, vien fatta sede del governatore della provincia. E Fola benché [tosta al bando dell' impero non se ne cura, resiste, e appena nel 12.'5.'» è costretta a piegare. Di tutte le rimanenti opposizioni inopportuno è il tessere nna narrazione, che uscirebbe dalle proporzioni di questo compendio. Quello peraltro che dobbiamo notare si è, che nelle città s'erano accresciuti ili forza quei partiti che funestavano tutta Italia. Anco in Fola i Sergi, antica famiglia di origine romana, e posseditrice di molti distretti tributari avuti dai patriarchi di Àquileja, S* erano dati a sostenere le loro parti, dicendosene vicari per imperar essi. J Pelousi mal comportarono quid giogo, e l'orinarono un pari ilo popolare con alla testa la famiglia dei (donatasi. Quando prevaleva questo, era Fola insofferente dell'autorità m archesàie, e in uno gelosa delle antiche libertà e dell'unione con Venezia. Ma quando i Sergi predominavano, avveniva il contrario nella loro volontà. Ed erano i Sergi al potere quando Pola fu tratta a negali' a Venezia il tributo navale nella guerra contro Federico 11 : imprudenza che le apportò nuovi disastri essendo stata presa e rovinala, nel 1241, dai Veneti Giovanni Tiepolo e Leonardo Quirini. E lo stesso patriarca, compromesso dal suo partito di Pola, dovette scendere a nuove concessioni con Venezia. Tre anni dopo moriva egli, e gli succedeva Gregorio di Montelongo, quando tutta l'Istria era di nuovo in movimento, renitente a riconoscerlo. 11 nuovo patriarca venne a patti e aggiunse alle antiche nuove restrizioni del suo potere. Se non che tranquillati gì' Istriani pel momento, usò scaltrezza ad impedire nuove sommosse contro la mal sofferta autorità marchesale. Sapendo che le città più influenti erano Pola e Capodistria, si adoperò a crearsi in queste un forte partito. In Pola aveva già sua la famiglia de'Sergi, e per garantirle il dominio della città le costruì rocca che tuffa la signoreggiasse. Ed è da questa appunto che quelli presero il nome di Signori di Castropola. In Capodistria poi fu largo nel donar beni della chiesa 1254 d'Àquileja a*suoi partigiani, tra cui specialmente i Verzi, nella mira di renderli più forti ed arditi. E mentre a tali 1250 spedienti aggiungeva ancora patti col doge Kanier Zeno per acquetarsi con Venezia, gli era forza ad un tempo difendersi 1258 dagli Ungheri. Tutto questo non impediva che gFIstriani continuassero a tener gli occhi Assi su Venezia, seguitando a prestarle i soliti contributi, e ad averne in ricambio la protezione, che anzi cominciarono di questo tempo le formali dedizioni a quella potente repubblica. Ciò era ben naturale, poiché l'Istria, d' alleata divenuta protetta col crescere del veneto potere, si trovava ora costretta dalla vicinanza dell'autorità marchesale, che mal comportava, a mutare Io stesso protettorato in signoria, sostituendo ai tributi vere dedizioni. E già cominciano a l'arsi nel modo più aperto, come quella del castello di Valle (I2<>1) e l'altra della città di Rovigno (126$). Furono bensì nominalmente ricuperati quei luoghi dal patriarca. Ma l'esempio ora, dato. E l'alonzo lo seguì tosto, allorché si trovò stretta dalle pretese ili predominio che voleva su di essa esercitare la città di Capodistria posta a capo della provincia e superba, de] privilegio di scegliere dal corpo dei suoi cittadini i podestà per molti comuni istriani. Ma nemmeno in Capodistria ora spento il partito popolare contrario al patriarcale, che solo da pochi anni vi s" era formato. E quello prevalse ancora cosi, che fu moss guerra al patriarca Gregorio (12(57) alleato allora di quell'Alberto II, il quale per la parentela che passava fra i conti (l'Istria e quelli di Gorizia, aveva [ita- se avuto nelle divisioni di famiglia, fattesi in quello sfosso anno, ambedue le contee. La guerra terminò con la [leggio del Monfelongo, poiché il conte Alberto bramoso di sferrarsi dal vassallaggio mar-chesale si unì a Capodistria, dopo aver abbandonato il patriarca che veline fatto prigioniero e tratto a ludibrio per le vie. Morì 1' anno seguente. Alla sua morie segui nella sedia patriarcale una vacanza di cinque anni, per non essere stata riconosciuta dal pontefice la nomina di Filippo, In quel frattempo instituivansi anco nelle città istriane, al [»aro elio nel roste d'Italia, i capitani del popolo, e com'era ben naturale cótesta autorità veniva disputandosi in Capodistria e Pola tra i due partiti patriarcale e popolare, nello stesso tempo che nuovi comuni istriani approfittavano della vacanza nel patriarcato per darsi alla signoria de' Veneti. Gosì Urnago nel 1289, Cittanova nel 1270 e S. Lorenzo nel 1271. K Pirano l'anno medesimo restringeva nel suo reggimento i poteri patriarcali e voleva veneto il podestà. Tuttociò irritava ognor più i partiti delle città di Pola e Capodistria, e in ambedue prevalse nuovamente il partito popolare. Mentre questo trascorreva nella prima ad atti atroci contro i Sergi fino ad ucciderli tutti meno un fanciullo, nella seconda si pronunciava la dedizione a Venezia, e se anco per allora, non ebbe essa effetto non mancò d'essere un fatto di grande importanza per la provincia, siccome avvenuto nella sua Capitale, eh' era ali resi la, città [dà influente, e che di fresco (l.^(itt) aveva dalo nuovo esempio di vigoria col prendersi in protezione e custodia il comune di Iluje. Tale era la condizione dell'Istria, allorché Raimondo «lolla. Torre succedette nel marchesati» e nella sedia patriarcale di Aquileja. l'omo di spìriti marziali, educato nelle 1273 gUOrre di Lombardia, passò tosto alle aperte ostilità con grande imprevidènza e contro i Veneti e contro i comuni istriani loro soggetti ed alleati, nonché contro lo stesso Alberto conte d'Istria, che come dicemmo aspirava a sciogliersi da, dependenza. Ma avendo i Veneti agito vigorosamente sotto la condona di Giacomo Contarini, una pace fu tosto conchiusa e con Alberto e con Venezia (1274). Questa pure era una di quelle paci rispondenti piuttosto a tregue, poiché firmata appena, Alberto emancipò dal marchesato la contea d'Istria, 1275 e il patriarca incorse in nuòve dissensioni con Venezia, vie- 1276 '■'nido che da essa, prendessero molli comuni istriani, conni facevano, i loro consoli e podestà. Tutto volgevasi ormai alla signoria di quella gran repubblica, e ciò appunto si avversava dal partito patriarcale, che sebben minore di gran lunga del tradizionale veneto-istriano aveva pei- só lo armi del patriarca, e il predominio in quegli anni nella città «li Capodistria, fiacchi ausili non valovali certo ad arrestare ciò eh'era voluto dalla necessità de' tempi, e dal voto delle popolazioni, né potevano recare che un piccolo ritardo al compiersi dei destini della provincia, e questo medesimo a prezzo di sciagure e di sangue. Si collegarono col patriarca Capodistria, Trieste, Enrico di J'isino (soggiorno per qualche tempo dei conti d' Istria) e il conte Alberto, che si diceva allora di Gorizia per aver ceduto al detto Iberico in altro patto di famiglia la contea d' Istria. Capodistria, dominata dal partito patriarcale, muove contro Parenzo, tuttoché dedicata, a Venezia, e il conte di PisinO assedia Montona, che in (pud mentre s'era pure ai Veneti assoggettata. E andò tant' oltre l'arditezza che si entrò in Venezia, e se no rapirono per sorpresa le guardie de'.porti. I Veneti mandano navi e militi contro Capodistria, la (piale quantunque abbandonata dai confi di Gorizia e d'Istria, separatisi dalla Lega, si difende con gagliardia (1271)) e cede poi alle armi prevalenti di .Iacopo TiOpolo dal lato di ferra, e a quelle di Marc*. Cornaro dal lato di mare. Dietro di ciò anche Capodistria ridonala al partito popolare, eh' era solò da pochi anni spodestato, le'la sua.dedizione a Venezia, e fu annoverata tra le setto città principali della repubblica. La sede m archesale passò allora a Pietrapelosa, o pòi ad Albona. 1280 La guerra perdura contro Trieste soccorsa dal patriarca; e i conti di Gorizia e d'Istria ritornano all'armi mentre tutte le città istriane manifestano aperta mente di non voler che Venezia. Anzi Isola e S. Lorenzo al Lemme si danno a quella signoria, e nell'altro S. Lorenzo violi posto veneto magistrato con autorità provinciale e col nome di Pasinatico, che restò poi sempre epiteto del luogo. Si conchiude bensì un'altra pace, in cui Trieste promette fedeltà e tributo a Venezia (1281), Ma in quella che Pirano 1283 si dedicava essa pure alla veneta repubblica, il patriarca Raimondo univasi nuovamente ai conti di Gorizia e d'Istria, alla stessa Trieste, nonché questa volta a Padova e a Treviso COntfO i Veneti e gì' Istriani. Si prendo Capodistria e (odo i Veneti la riprendono. L' isola dinanzi al Tinnivo viene da questi occupata (1284): così, tornate inutili le iniziative di 128G accomodamento, MontecaVo, Muggia, Mooeò presso Trieste, stretta ella stessa d'assedio l'anno seguente da Marino Mo- 1287 resini. Vi accorre il patriarca Raimondo col conte Alberto, che abbandona la Lega, e poi vi ritorna assieme ad Enrico di Pisino. I Veneti e gì' Istriani sono costretti a ritirarsi. I Triestini prendono Caorle (12N9) o si spingono lino a Mala-mocco. Nè .'ni arrestare tutte queste ostilità vale l'intervento del pontefice Nicolò IV (1290), il quale mediante legato dà principio ad un accordo elio non ha effetto. Il patriarca infatti vuol trar profitto della guerra in cui si trova Venezia impegnata contro Genova, e persiste nelle ostilità, che riescono a fargli riportare nel 1290 una vittoria contro i Veneti e gl'Istriani. L'anno seguente tregua; e Muggia e Montecavo restituiti da Venezia, l'una al patriarca, e l'altra a Trieste. Questa durante la tregua e precisamente nel 1205 si affrancò da quel dominio de' propri vescovi che venne più sopra ricordato e elio si era mano mano ristretto specialmente nel 1236 e nel 1253. C'osi Trieste, governata a comune si trovò, quasi diremmo, anseatica. Rotta poi la tregua, venne ella nuovamente assediala dai Veneti, e nuovamente soccorsa da Alberto. Moriva intanto il Patriarca Raimondo, e Pietro Gerra succedutogli, governava solo due anni, e veniva sostituito da Ottobono de' Rozzi vescovo di Padova. Questi voglioso di quiete si compromette di nuovo nel Pontefice (1304) e dopo lunghe proposte e modificazioni la pace resta, conchiusa nel 1310: pace la quale dopo un secolo di guerreggiamenti, fino dal principio del potere patriarcale, nulla fruttò allo stesso, che voleva pure estendersi. All'incóntro un tale intendimento porse opportunità alla potente ed accorta Venezia di aver un debole nemico da vincere e quindi di allargar ella la propria signoria. Questa idea di dominare estesamene nella terraferma veniva ora proseguita, da che il governo della repubblica aveva nel 1296 proso forma di pura aristocrazia colla famosa serrata del consiglio. Nè manco vi si prestavano i tempi. Se riguardiamo infatti il resto d'Italia, troviamo che precipitata la casa di Svovia con Corrado III e con suo figlio Corradino, vi si erano introdotti quegli Angioini che prepotenti in Napoli, non arrestarono la libertà vieppiù eresiami e delle altre Provincie italiane, ed era succeduto nell'impero romano quel Rodolfo d'Absburgo, il (piale per la ben calcolata sua politica di Germania trascurò I' Italia, con esempio seguito più o meno per due secoli dai suoi discendenti fino a Massimiliano e Carlo V. Si; poi ci rifacciamo con le nostre considerazioni all' Istria ne avviene tosto di vedere come tutto collimasse a compiere la trasformazione del protettorato di Venezia in dominio, vale a dire e prepotenza di signori, e ulteriori guerre tra comuni e patriarca e conte, tra questo e patriarca, e tra l'uno o l'altro e Venezia, la quale per di più ora incitata a ben istabilire nulla nostra provincia il proprio governo anco dallo guerre con Genova. Proseguiamo ora a toccare di questi nuovi avvolgimenti. In Pola ora tornala, la famiglia de' Sergi a dominare, e in Trieste la famiglia dei Ifanfi tentava di togliere al comune il governo : congiura che fu repressa con tale ferocia da ricordare le maggiori enormezze di quel tempo. Morto il patriarca Ottobono gli succede prima Gastone della Torre (1315) e poi Pagano della Torre (1319), guelfo di partito, quando s' era già da qualche tempo mutata nel patriarcato t anterior politica ghibellina. Si trovò quindi subito da un canto in opposizione con Arrigo duca di Cariniia e del Tirolo, ghibellino e tutore eh' era del conte d' Istria Giovanni Arrigo, tiglio del già nominato Enrico, e dall'altro ebbe a lottare con nuove agitazioni nei comuni istriani. Mentre Barbami, spettante alla contea d'Istria, viene distrutta 1328 dai partigiani del patriarca, Pola gli si ribella e solo a breve quiete è ricondotta. Rovigno rinnova la dedizione a Venezia 1331 (1330), e Pola esiliando i Sergi, riesce a compierla. Cosi pure Pigliano ed altre terre minori. Per tal modo Unita appena la guerra col conte di Ca-rintia e del Tirolo, altra no sosteneva il patriarca contro gli Istriani e i Veneti per le nuova4 dedizioni, e in questa col-legavasi con Mastino ed Alberto della Scala, capitani generali di Verona, Vicenza, Trevigi, Peltri4 e Peli uno. Entrò egli bensì in Istria e prese il castello di Valle, ma tosto fu re-spinto da ( iiusi i a ian Giustiniani, capitano della repubblica. Cessata anche questa, guerra, mercè il vescovo di Concordia, 1331 col riconoscimento del dominio veneto in Pola, Dignano e Vallo, si riprendevano le ostilità contro là conica d1 Istria, in cui era succeduto Alberto HI, cugino del detto Giovanni Arrigo. E quindi da una parie il patriarca. Bertrando di S. Genesio. vomito dopo Pagano (1334), muovi4 contro Pisino (1338), e dall'altra il conte occupa Duino (1341), in un medesimo che quest' ultimo va ad impegnarsi in altra guerra Con Venezia Pel castello di S. Lorenzo. E come ciò non bastasse, l'Istria veniva da prima depredala da una scorreria d'orde croate, e poi desolata nuòvamente da pestilènza. Fu allora che Alberto III conte d'Istria, e Alberto IV conte di Gorizia; per ajutare il patriarca, desiarono in Capodistna con un drappello di propri una sommossa, sotto sembianza di ristabilire il governo comunale. Ma tenne fermo il suo castello detto Castel-Leone, e venutivi ì veneti, condotti per mare da Pancrazio Giustiniani, c per terra da Marin Paliero, la città fu ripresa, 1 collegati che ora si uniscono ed ora si sciolgono a brevissimi intervalli, tornano nuovamente ;i dividersi, por-manonte com era (a causa delle scissioni cosi nella potenza di Venezia come nel volere dei comuni istriani, i quali nò di conti né di patriarchi-marchesi voleano saperne. Si vede quindi il patriarca in guerra con gli stessi conti di Gorizia, unitisi a suo danno con molti nobili friulani. Ma recatosi nel Friuli fu colto da una banda di soldati di Goi izia, quando usciva co'suoi da Spilimbergo, e nella mischia restò ucciso. Egli pure come i suoi predecessori vidi4 affrettarsi la dissoluzione del poter marcbosale di Aquileja, e alla sua morte Venezia era già signora è del litorale tV Istria e di molte castella indi' intorno. Succedevagli Nicolò figlio di Giovanni re di lloemia o 1300 fratello a quel Carlo, che fu anch' egli re di Boemia in appresso, e quindi imperatore IV di tal nomo, l'osto insediato continuò la guerra contro il confo di Gorizia, alla quale aggiungeva esca il desiderio di rintuzzare là prosa d'Albona, l'atta da esso conte di Gorizia o da quello d'Istria di concerto, a quanto sembra, col duca d'Austria (1352), Si cerca nuovamente di sommuòvere Capodistria\ ma il tumulto è tosto sedato, e Venezia, visto il pericolo Che le veniva dalle dotte genovesi, fa pace coi conti di Gorizia e d'Istria, essendone mediatore Francesco di Carrara signore di Padova. I Genovesi che già da molto essi pure avversavano Venezia, ed avevano occupato Pola anco nel 1328, conducevano ora nuova guerra contro i Veneti per ragione principalmente del commercio di Costantinopoli e di Seria, e sotto il comando di Paganino Doria aveano impreso ad occupare Pola, Parenzo, 1304 la stessa Capodistria, ed altre città, dopo aver battuto i Veneti, guidati da Nicolò Pisani, all' isola di Sapienza. Tale avvenimento infiammò gli sdegni de' soliti alleati contro F Istria e la Venezia, e questa volta vi si aggiunsero Francesco di Carrara signori» di Padova., il duca d' Austria 0 Lodovico re di Fngheria, il quale senza curare la tregua Oonchiusa in Dalmazia Co.' Veneti l'anno 1345, scendeva in Italia con grande esercito, invadendo pur l'Istria. E tutti secondavano i Genovesi, Ma Venezia., non men forte che prudente, dio tostò nano a l'orinar pace coli'l'nghero. Furono 1 lui ceduti i paesi della costa orioni ale del Qitnrnaro Jino i Duraz/o: @ restarono a Venezia tanto le isole di quel golfo (pianto l'Istria, nella quale venne posta altra, autorità di P asmatico in Grìsignàna per la parte superiore di qua del Quieto. Ma là nostra provincia, benché liberata pel momento, doveva soffrire nuove e più gravi sciagure. Da prima veniva corsa nuovamente dal patriarca Lodovico della Torre, succeduto a Nicolò '(1360), assieme ai Triestini: poi si vedeva de- cimata La popolazione da fiera pestilenza. Né il guerreggiar con Genova cessava, nò i col legai i posavan l'armi, oliò all'invoco cresceva lo scompiglio per nuovi contendenti, i d udii d'Austria, Questi, a cui era passalo il Cu mio fino dal 1336, s'erano ognor più avanzati co" loro possedimenti alle frontiere istriane, e patteggiavano già con Alberto III conte d'Istria la successione nella contea pel caso avesse egli a morire senza tigli. Ma quanto al marchesato, che comprendeva la massima e la miglior parte della istriana provincia, vedendo le difficoltà di acquistarlo di fronte a Venezia, si tenevano contenti a poter possedere la rada di Trieste. Da. ciò il voler quésta città riconoscere l'alto dominio del duca d'Austria (1367), come aveva l'atto 1' anno pi-ima il signore di Duino. Essa era infatti la città più separata, per 1' antico suo isolamento governativo, dal resto della provincia. Ed è perciò che la vedemmo piii volto ostile a Venezia, si che ila questa si legge ad ogni qua! trailo prosa e ripresa, come nel 1233, nel 1338, nel 1351 e nello stesso 13(17, oltre che negli anni preaceen-nati. Ma semina che quid riconoscimento non abbia avuto per allora effetto, allò stesso modo che non lo ebbe il riconoscimento dell'alfa signoria dell'imperatore Carlo IV, votato nel 1354, attesoché ribellatasi di nuovo Trieste a Venezia, e assediata da Taddeo Giustiniani e Paolo Loredan, la scorgiamo darsi prima ai Visconti, poi al Carrarese, e scacciati i Veneti dai Genovesi, novellamente a Carlo IV, e alla perline al protettorato del duca d'Austria. Peraltro anche questo partito le 13G9 tornava allora inutile, imperocché quel duca ebbe ne' patti con Venezia pecuniario guiderdone. La repubblica spedi quindi in quella città Saracino Dandolo ed Andrea Zeno, il primo col titolo di Podestà, e il secondo con quello di capitano. Nò questa soggezione fu a lungo, che nel 1371 volle Trieste darsi al patriarca Marquardo, succeduto a Lodovico, prendendo occasione dall'avanzarsi dei Genovesi, impadronitisi di Umago. Ma stava ben presto per ritornare all'alta signoria del duca d'Austria dacché questi, morto Alberto III, era subentrato 1374 nella contea d'Istria pel già ricordato paltò di successione: contea (da non confondersi col marchesato) (die restò poi a quella casa (piai provincia distinta non mai immedesimatasi coliti Carinola. Caduta e ricaduta infatti essa città ai Veneti, si approdilo nuovamente di quella gran guerra di Venezia con Genova, detta di Chioggia, che quasi condusse la prima a totale rovina, per compiere, dopo e .••.sere siala consegnala, invano al patriarca (1380) dall'ammiraglio genovese Malico Marnilo, la definitiva sua dedizione ai duchi d'Austria nel 13N2. Siamo corsi di proposito alcun poco innanzi con la storia speciale di Trieste, per dimostrare il carattere delle ostilità impegnatesi nel ÌS*ìb tra i ducili d'Austria e Venezia, circondata c*»si ila gran numero di antichi e nuovi nemici. E 1 Istria doveva dividere con essa le maggiori peripezie. I Genovesi battono i Veneti condoti i da Vettor Pisani nel canale de' lìrioni presso Pola (1379), ed arse Pola e Pa~ ronzo, vanno a Chioggia. Mentre allora la repubblica versava nel maggior pericolo, il patriarca d'Aquileja voleva vendere perfino i beni della chiesa a sostenere la guerra in [stria, e morto, Federico conte di Porcia, vicedomino generale della chiesa aquilejese, spediva Artico di 1 dine nella nostra provincia ad occuparla, com'ei fere Ma Venezia doveva sorgere più grande dai suoi pericoli. Tolto dal carcero Vettor Pisani, e richiamato dal Levante 1380 Carlo Zen, riassediò ili Chioggia gli stessi Genovesi o li costrinse ad arrendersi. Pestavano ancora gli Fngheri, ohe t'rancesro Carrara dirigeva sopra Treviso, e un* altra armata genovese nel!' A-driatico sdito Gaspare Spinola. Questi si volse all'Istria, che di nuovo venne desolata da saccheggi e da incendi, per quanto vigorosa fosse stata la difesa dogi' Istriani. Il Castel-Leone di Capodistria specialmente, comandalo da Rìzzolino Azzime di Trevigi, oppose una resistenza degna di particolare memoria. Vi accorse .allora lo stèsso Vettor Pisani, ed unitosi a Parenzo ed a P ir ano con le navi istriane, si presentò a Capodistria, e rollo il ponte che la congiungeva con la terra l'erma, vi die l'assalto, secondalo dalla gente del castello. La città fu riconquistata ai Genovesi, che vennero con grandi» risolutezza inseguiti, e che costretti ad abbandonare tutte le coste, se ne partirono, portando scimi in sogno di trionfo corpi Santi rapiti a Capodistria, a Cittanova e a Parenzo. Sì gran guerra terminò con la mediazione di Amadeo conte di Savoja, e la pace venne firmata in Torino l'anno PISI. Circa l'Istria In stabilito che rimanessero fermi i patti V$cchi col patriarca. F nuova particolarità di que tempi si è la convenuta restituzione dei corpi Santi. Così nella nostra provincia dòpo tanti disastri, di nulla s'erano avvantaggiati quei patriarchi, che li avevano in gran parte provocati. Succeduto a Marquardo. Filippo d'Aloneon nello slesso anno della pace, i dissidi sospesi per poco tempo in Istria, ribollirono nel Friuli. E fu in quelle guerre che Giovanni di Moravia successore (1.'Ì87) di Filippo nel patriarcato, restava morto (1.'jì)5). Antonio Gaetani, detto il cardinale aquilejese, subentrato nella sedia patriarcale, governò egli pure brevi anni. K quando Antonio Pan Cera veniva eletto a succedergli nel 1402, i disordini del Friuli s'erano accresciuti. Rimosso nel 1408, venne posto in sua vece Antonio III Daponte. Così i li- ligi si raddoppiarono anco per motivi di religione tanfo più gravi elio allora appunto si disputava la cattedra di S. Pietro da Gregorio XIl e Benedetto XIII. Traendo parlilo da queste dissensioni il conte d' Ortenlmrg cominciò a signoreggiare in 1412 Friuli. Ma una nuova invasione di 1'ngheri doveva da prima accrescere e in (ini4 risolvere la questione dell' esistenza del dominio temporale di Aquileja. Il re loro, Sigismondo, ch'era stato eletto imperatore di Germania, venuto, a suggestione del patriarca Lodovico Tech, contro i Veneti per le questioni di Dalmazia, si spinse puro contro l'Istria. Pippo Scolari, suo generale, prese Valle e Pigliano, ma sotto Parenzo e Pola a colpi di cannone Tu respinto. F tutto l'inverno fu speso a tentare infruttuosamente le piaggio d'Istria. Nel Friuli intanto e nel Feltrino sfava acquartieralo il grosso dell'esercito di Sigismondo, che continuava a molestare il Trivigiano. I Veneziani allora aprirono trattative di pace e conchiu-sero una fregna di cinque anni. Ma Sigismondo la violò, e fece Occupare parecchi luoghi dell'Istria da Federigo d'Or- 1413 temhurgo. 1418 Spirata la tregua, rinfiori la guerra su quel di Belluno, e tosto arse in lutto il paese eh' era stato prima occupato dagli Pngheri, confederati al patriarca d' Aquileja, al conte d' Ortemburgo e a Martino da Carrara. I Veneziani sotto il comando di Filippo d'Arcelli, entrarono nel Friuli, e batterono le truppe del patriarca capitanate dal conte di Cori/da. Crescendo le vittorie di Venezia, il patriarca sollecitava Sigismondo a spedirgli soccorso. Fd egli, sebbene impegnato in Boemia nella guerra contro gli Ussiti, mandò a difenderlo ottomila uomini. Ma non gli valsero, (die. il Friuli fu tutto assoggettato dai Veneti al pari del Feltrino, del Bellunese e del t'adorino. Tentò bensì la mediazione di papa Martino V, ma. pel perduto Friuli dovè accontentarsi d'annuo emolumento. Gli Ungheri tenevano ancóra in Istria alcune terre, e Filippo d'Arcelli vi si portò a scacciameli. Unitosi ai militi istriani, assalse i nemici e li disfece* Ma in uno di questi gagliardi attacchi fu UCCÌSO ed ebbe sepoltura in Capodistria. Taddeo marchese d'Este, che lo segui nel comando, compii lo sgombro dell'Istria dalle truppe ungheresi e patriarcali, accogliendo Albona, ultima sede dell'autorità patriarcale, in volontaria dedizione, e conquistando tutto che del marchesato istriano rimaneva a! patriarca, vale a diro Piagnente, Portole, S Giovanni del Comete, Moggia, e Castel Venere. Di tal maniera aveva fine il governo patriarcale, e il marchesato d' Istria passava sotto quel dominio della veneta repubblica, in che s'erano via via mutate l'antica alleanza e la più recente protezione. In compenso delle perdute Provincie della Cargna, del Friuli e dell' Istria, ebbe poi il patriarca, fino allora il più ricco prelato d' Italia dopo il pontefice, l'annuo stipendio da Venezia di 5000 zecchini, così stabilito nel 1445, e la giurisdizione dei castelli friulani di S. Daniele e di S. Vito. Ad avvistare il governo do' patriarchi, e a darne breve giudizio non è a tacersi il bene e il male che recarono alla nostra provincia. Fu certo opera lodevole quella di conservare il parlamento composto del marchese, del conte, dei baroni e dei deputati delle città e dei comuni, e se (mesta provinciale adunanza, sia per la separazione della conica d Istria, sia per le dedizioni a Venezia, andò ognor più scadendo, non sono eglino da accagionarsene. Vuoisi ancora che per formarsi una città, la (pialo avesse a prepotere sulla [troviinda tutta, non solo arricchissero Capodistria di terre e di giurisdizioni, ma vi favorissero pure gli studi e appunto per diffonderli stabilissero il privilegio a quella città di inandar rettori in altri luoghi. Nò può passarsi sotto silenzio la pena minacciata dal patriarca Qttobono dei Razzi di 100 hisanzì per ogni sasso che dall' arena o dal teatro di Fola, si fosse levato. Ma se ciò vien detto per sola giustizia, esige pur questa che si condanni un governo, il (piale agendo contro il voto delle popolazioni tendeva a spogliarle degli antichi loro privilegi, il quale fu causa di tumulti nella provìncia, 8 che di fronte ad una potente repubblica, senza saggezza ostando all'inveterata unione dell'Istria con quella, rese questa teatro di guerre e di sciagure. I/ Istria era stata sempre veneta, o dopo aver veduto con rammarico stabilirsi indie sue campagne un sistema baronale, il (piale non ebbe altro merito che di essere spesato dagli abitatori, comportava ancor meno i patriarchi, avversi alla loro libertà, desiderosi di porsi in mezzo tra Istriani e Veneti, e che per giunta aumentavano gli aggravi con imposizioni del quintuplo più forti di quelle sopportate al tempo de'Greci e dei Goti, Fatto è che al cessare del marchesato patriarcale la provincia si trovava ridotta alla più misera condizione. Le pestilenze e le guerre hanno avuto certo non poca parte alla sua decadenza. Ma in ogni modo non ne sono incolpevoli quei patriarchi, che oltre agli errori già notati commettevano quello di dare in appalto gli slessi poteri governai ivi e giudiziari, essendovi esempi e di arrendatori marchesi e di arrendatela rifar), (i giudici ba-ronali) e di gastaldi (altri giusdicenti) e di procuratori e di questóri nella pubblica amminisfrazione. Gli avvenimenti della quarta epoca del nostro racconto, eh'è del dominio di Venezia, non sono più fatti speciali dell'Istria, ma si fondono con quelli della repubblica. A noi basterà quindi accennar solo quanto ha relazione speciale con la nostra provincia. Dobbiamo perallro premettere alcun che, da cui formarci concetto del nuovo governò dell' Istria sotto la veneta signoria. Era mente di questa il restringere la libertà provinciale, ma nello stosso tempo estendere la comunale. Non più dùnque parlamenti por quella, nò alcun' altra complessiva rappresentanza popolare. Ogni comune aveva il suo podestà eletto dal veneto senato, per governare, giudicare, punire, vero rappresentante del potere. Il governo provinciale adunque di lai guisa diviso in provincia non si accentrava che in Venezia. Siccome poi le introdottesi tribù slave chiamate genti nove, il rispettò de' contini della provincia, e l'importanza dei boschi esigevano particolari terminazioni, cosi troviamo le altre autorità dei provveditori 0 capitani di Raspo, di Pola e di Montona, posto quest'ultimo a guardia del bosco di Montona, che chiama vasi di S. Marco, e che pei legnami di costruzione tornava tanto utile all'arsenale di Venezia. * Quello di Raspo rappresentava per così dire l'antica autorità m archesale, ed era, quindi una dignità tenuta in sì grande considerazione, che vi aspiravano i principali senatori di Venezia. Né tanto basta a toccare del veneto reggimento provinciale in Istria, che in Capodistria si formò poscia (1584) un magistrato composto di due consiglieri e del rettore che accoppiava in sé le mansioni di podestà e capitano, e ne portava il duplice titolo: magistrato che decidesse in appellazione su tutte le causi» civili e criminali, e su ogni altro oggetto di amministrazione e di governo della provincia, meno alcuni argomenti, anco giudiziari, riserbati a Venezia. La milizia inline distinta in corpi, detti alla veneziana' cernide ossia' cerne, aveva oltre ai già nominati capitani i sei di Capodistria, di Pinguehte, di Buje» di Montona, di Dignano e di Albona. Ciò riguardo al governo provinciale. Ciascun comune poi godeva di autonomia. Un consiglio cittadino dava le leggi, amministrava i beni del comune ed eleggeva non solo i propri officiali, ma alcuni pure dipendenti dal governo. Quattro orano le città con nobile consiglio, cioè Capodistria, Pola, Parenzo e Cittanova. La nobiltà non si acquistava che mediante P aggregazione ad uno di questi nobili consigli. I baroni, a cui Venezia concedeva agevolmente i titoli delle rispettive torre, erano bensì titolati, ma senza la detta aggregazione non avevano grado di nobiltà, Venezia in generale favori molto i comuni e poco le baronie. A quelli infatti ne assoggettò parecchie. E Capodistria n'ebbe lino 10, dette anche ville. Le baronie, non soggette ai comuni, ritennero )e attribuzioni di giustizia civile e criminale. Nella campagna pertanto il diritto feudale, le consuetudini egli arbitri. Nei comuni il diritto romano quale fondamento, lo Statuto di Venezia comi4 analogia, e per le ordinarie applicazioni consuetudini e statuti propri. Ciò detto giova osservare, che Tisi ria, senza curar qui le piccole trazioni montane, attribuite parte alla Carniola e parìe alla Gorizia, era distinta in tre parti, bui diverse tra loro. Di gran lunga più colta, più importante e più estesa era la veneta, costituita dell'antico marchesato e ordinata nel modo che vedemmo. Notabilmente minore e ristretta ai monti su quel di Celiai e di Pisino, e in alcuno ali tv terre più brevi era la contea passata all'Austria, che vi mandava un capitano a reggerla secondo il sistema feudale e colla legge dattilo dal nominato conte Alberto III nel 1365. La minima infine riducevasi a Trieste, governata a comune sotto l'alto dominio del principe austriaco, che vi era rappresentato da un capitano. Ma siccome i reciproci confini non erano ancora ben precisi, dovevano nascere discordie tra. Venezia ed Austria, e già ne troviamo cenno lino dal 1451. Se dunque vediamo 1 comuni dell'Istria cingersi di mura o intarlo, e questo un fatto non immeritevole di menzione, rivelando 1' intendimento di Venezia, intenta a raffermare il possesso dell' Istria, e a guardarlo dai pericoli d'oltralpe. Le prime ostilità si aprirono per motivi di commercio da Capodistria contro Trieste. Stavano le truppe di Capodistria sotto gli ordini di Stinto Gavardo, al dire degli storici veneziani «soggetto ardilo ili (fnella città" molto sporto negli accorgimeli li di guerra, e degno erede del nome di (pioli'altro Gavardo Gavardo, che nel 1366, qual sopraccomito della galea di Capodistria nella veneta flotta spedita contro Candia ribelle, fu primo a scalarne le mura e a piantarvi lo stendardo di S. Marco. I nostri infatti andavano ognor piti educandosi anco alla milizia terrestre, e nelle guerre di terraferma (Lavano belle prove di se. ('osi i presidi Capodistriani di Mestre, Padova e Verona tra le occasioni più favorevoli alla prodezza; e cosi quel Tiso de Lugnani, «die fu contestabile di Gatamelata e dichiarato benemerito della repubblica, Santo Gavardo ') adunque attaccò Trieste e prese Moccò, ') Di questo si ha cho trovandosi egli capitano della cavalleria di Ladislao re di Napoli, fu da Rossetto di Càpua, condottiere della fanteria, trattato da barbaro istriano corno non fosse italiano d'Istria : insulto che volle rinttmare in duello alla presenza del re e dei cavalieri della sua corte. Vinse ed obbligò col suo valore l'avversario a smentirsi. Fu molto applaudito ed ebbe dal re il privilegio di portare nello stemma una lingua 'nfuocata fra due freni, a significare appunto frenata maldicenza, IS S. Servolo e Castelnuovo. L'imperatore Federico III che patrocinava i Triestini dirizzò allora sue truppe sopra Capodi-sli'ia. Il perchè anche la repubblica die nell'armi, e sollecitata dai Giustinopolitani spedi soccorsi. Ma interpostosi il pontefice Pio li, ch'era prima Enea Silvio Piccolomini, vescovo di Trieste al tempo dell'assedio, si segnò la paci» e si riaprì il coni moccio. Triesti; dovette cedere ai Veneti CastelnOVO e S, Servolo (1403). Ma guerre bon piiì importanti dovevano impegnarsi co' Turchi, ehe già infestavano la Dalmazia. Molti villici di quel paese ripararono alle isole, e sembra Che allora siasi trasportata in Istria dai Veneziani la prima colonia slava presso Salverò. I Turchi si avanzavano, ed occupata la llossina, minacciavano lITo l'Istria. Scorrono infatti il ("arso, giungono a Castelnovo, danno alle lianiine Prosecco, Duino, Monfaleone, e varcato l'Isonzo si spingono lino ad ('dine. Ritiratisi, ritornano due anni dopo, e nuovi incendi tracciano il loro passaggio pei 1472 territori di Gorizia e di Monl'ahame. I Veneziani per difendersi armano Mainizza, Gradisca e Fogliano; ma scontrati i Turchi all'Isonzo, Antonio da Verona, generale di quelli, fu sconfìtto con grande eccidio de'suoi. F l'anno 1477 nuova vittoria dei Turchi presso a Fogliano. Tutti quelli pertanto che avevano possedimenti all' A-driatico si affrettarono, di li-onte a tali pericoli, a riconoscerne ai Veneziani il dominio. Lo stesso imperatore Federico 111 lo con fermò. E i Veneziani non solo provvedevano per mare contro i nuòvi nemici, ma proseguivano alacri nelle fortificazioni di terra, tra cui specialmente Gradisca. Fu poi nel 1478 che mentre i Turchi, giunti a Monfaleone, tentarono invano di superare il passo dell'Isonzo, si stipulò con «issi da Venezia una pace. Ciò non impedì peraltro che i Turchi saccheggiassero Pozzo nel 1482, e che ritornassero a molestare la frontiera dell' Istria nel 1193, nel 1499, e nel 1501. Né bastavano le guerre coi Turchi, che altra ne insorse tra Venezia e l'imperatore Massimiliano. Quella inspirava a tutti gelosia, e chi aveva l'alto dominio di Trieste vedeva a malincuore ristretto il commercio di questa città a breve tratto dodi'Adriatico. D'altronde l'Austria che aveva estesa la sua signoria su Fiume e Castità aspirava ognor più a partecipare al commercio. A queste cause vecchie si aggiunsero nuovi incentivi alle ostilità nelle vicende d'Italia. Era Massimiliano I avverso ai Francesi, e già accordavasi col pontefice Giulio li por combatterli. Venezia all'invece tenevasi a 1500 quelli. E (piando l'imperatore scése in Italia, mosse contro T Istria scorrendola fino a Pola. Ma i Veneti gli si opposero 1506 forti. Ricuperarono non solo quanto possedevano nell'Istria, 1508 ma espugnarono altresì Trieste, Duino, Pisino, ed accolsero in dedizione Piemonte, Visinada, Medolino e Madonna dei Campi. Momiano fu occupato dai Piranesi per la repubblica. Le vittorie dei Veneti procedevano così che la contea d'Istria e Fiume da una parte e la contea di Gorizia dall'altra furono loro assoggettate. Aquileja, tolta agl'imperiali, venne restituita ai patriarchi. Se non che in quello stesso anno s'era formata la famosa lega di Cambrai contro Venezia. Quindi nuovi cimenti per lei. Abbandonò Trieste e quasi tutte le altre conquiste. Perduta poi la battaglia di Agnadello contro i Francesi, e ridotta all'estremo, ricorse al partito saggio in uno e semplice di sciogliere dall' obbedienza i sudditi di terraferma, affidando ad essi la propria difesa. Noi non seguiremo le vicende della guerra nel resto d'Italia, ma limitandoci all'Istria diremo che gli Austriaci diedero il guasto al castello di Raspo: avvenimento, che fe' 1510 trasferire a Pinguente la sede di quel capitano. (51'Istriani peraltro vanno alla riscossa sotto gli ordini di Damiano Tarsia, che conquista sugli Austriaci molti luoghi, tra cui Barbana, Carsano, Sovignacco e Lindaro. G4' imperiali, condotti da Cristoforo Frangipane, ritornano ad assalire, e il castello di Moccò, tolto ai Veneti, viene spianato. L1 anno seguente facevasi tregua tra Massimiliano e Venezia; e gl'Istriani, che s'erano difesi da sò, ne imitarono l'esempio l'anno 1514. Nel 1516 fu segnata la pace di Noyon (1516), e Venezia riebbe tutti gli stati suoi di terraferma. La fortezza di Gradisca peraltro restò all' Austria, già signora dal 1501 della contea di Gorizia pel patto di successione dietro la morte di Leonardo, ultimo di quei conti. I dissidi con l'Austria non cessarono per questo quanto all' Istria. Fu bensì conchiusa la tregua di Andegavia ad interposizione del re di Francia, e fu bensì nel 1521 stabilita dalla convenzione di Worms la restituzione di alcune terre all' imperatore ; ma in effetto non si venne ad un accordo. E lo stesso dicasi della libertà di navigazione, convenutasi nella pace del 15213 con molte restrizioni da parte della repubblica. Scoppiò poscia la guerra tra Carlo V da una parte e la Lega di Francesco I re di Francia, del pontefice Clemente VII, dello Sforza e dei Veneziani dall' altra: guerra che durò dal 1526 al 1520. Di queir anno è la pace detta di Bologna fra l'Austria e Venezia. In questa tornarono alia repubblica Piemonte, Visinada, S. Maria di Campo, e Medolino. Nemmeno con ciò era tutto composto, che la imprecisione dei confini e le pretese su qualche terra, rese confuse dagli antichi ordinamenti feudali e del marchesato e della contea d'Istria, venivano sempre riaccampate. Per appianare ogni differenza, Venezia ed Austria aprirono congresso di 1533 delegati in Trento e poscia in Gradisca, 1535 Si transige bensì e certe questioni particolari son tolte: ma non tutte, ed aggiungevasi P affare d'Aquileja, della quale s1 erano impadroniti gli Austriaci. I patriarchi la chiedevano inesauditi. Erano i tempi delle religiose discordie, che provocarono il Concilio di Trento. Intanto le incessanti violenze dei Turchi sviavano l'attenzione dalle controversie circa l'Istria. Col Turco fermarono i Veneti una pace per la Dalmazia nel 1540, e fu allora che parecchie colonie di Merlacela vennero trasportate dal territorio di Zara nei contadi di Montona, di Umago, di Cittanova, e di Parenzo. Dal canto suo l'Austria ordinava una frontiera ili popoli slavi contro il Turco fino alle coste del Quarnaro. E sia per meglio contrastare le piraterie dei Turchi, sia per entrare ad aver parte nel commercio dell'Adriatico, pose opera a ami t eie assieme una flottiglia a Trieste. In ogni modo questa fu a-doperata a secondare L'occupazione da parte degli Austriaci del forte di Maruno, il quale da Pietro Strozzi, dichiarato ribelle, era stato ceduto alla veneta repubblica (1542). A favorire poi il commercio triestino ordinavasi che tutte le merci dirette dalle provinole austriache verso 1' Istria [lassassero 1550 per Trieste. In tutte queste misure vi era sempre alcun che di ostile a quella Venezia, che signoreggiava l'Adriatico, e eon cui anco nel 15(i*J fu trattato invano della libertà del mare. Venezia, scorsi già 70 anni dalla scoperta dell'America, vedeva perduto il suo primato nel Mediterraneo, divenuto lago turco-spagnuolo; né pensava certo, avvezza a contrastare il mare ai potenti, di cedere a chi forze marittime non aveva. Ella restò sola a lottare col Turco e prima e dopo la battaglia di Lepanto (1571). Ad accrescere poi le nimistà tra Venezia ed Austria, si aggiunsero le depredazioni degli Incocchi. Questi riparatisi dal Turco alle coste del Quarnaro, che formavano un'appendice dell'I ngheria austriaca, furono accolti dall'Austria come gente, buona in allora, da opporsi alle ottomane invasioni. Ma ben presto mossi dalla sterilità dei luoghi al ladroneccio, divennero pirati e così rapaci da non perdonare nò a Maomettani riè a Cristiani. Il loro nido era Segna, e il Quarnaro sparso d'isole e battuto da beri venti offriva loro ogni op- portunità a pirateggiare. Venezia che soffriva molto pel suo Commercio in tal modo molestato e che vedeva non solo desolate le popolazioni d' Islria e di Dalmazia, ma che dagli stessi Turchi veniva pressata a porvi riparo, spedi navi sotto gli ordini di Ermolao Tiepolo a bloccar Segna, e incaricò Vincenzo Tron suo ambasciatore alla corte imperiale di sollecitare la punizione di chi violava il diritto delle genti. Ma nulla si ottenne allora, e le rapine continuarono più feroci. Forse per annientare le forze della popolazione istriana contro sì pericolosi vicini, pensò Venezia di trasportare e Greci e Slavi nella nostra provincia già decimata dalle pestilenze. Pola specialmente era rifletta a pochissimi abitanti. Leonardo Fioravanti, Sabba dei Franceschi e Vincenzo dall'Acqua avevano ottenuto fino dal 1502 di tradurrti in quella città 124 famiglie per ripopolarla. F di nuovo nel 1578 un nobile di Famagosta per nome Francesco Calergi ebbe licenza dal veneto Senato di trapiantare nella stessa Dola 100 famiglie greche. E quivi pure passavano l'anno seguente moltissime famiglie della contea d'Istria, devastata più d'ogni altra terra dalle scorrerie degli Uscocchi. Altre colonie di Greci venivano da Gamba nel 1580, poi di Morlacchi al Premonterò nel 1585, e quindi ancora di Albanesi nei territori di Parenzo, Pola e Rovigno l'anno 1595, nonché nuovamente di Morlacchi presso Fontane nel 1500. Cosi provvedeva Venezia per lo difese dal lato di terra, mentre i comuni e le castella munivand ili nuove fortifica-zioni. Le navi istriane, unito a quelle di Venezia, correvano il mare, sempre in gravissimi cimenti contro le insidie degli Uscocchi. Il governo austriaco intanto, sia per la lontananza dal teatro di tante enormità, sia per la natura selvaggia ed indisciplinata degli Uscocchi, e sia ancora per la corruzione di alcuni de'suoi governatori, avversi a Venezia, non effettuava con successo alcun provvedimento da infrenare quo' barbari. Nuovi malumori adunque tra Austriaci e Veneti, che venivano pure inasprendosi pel commendo di Trieste. Vigeva patto tra questa e Venezia che il sale triestino non avesse ad introdursi nell'Istria. F a ciò d contravveniva cosi che Venezia aveva nel 1578 assalite e danneggiale le saline di Trieste. Tali discrepanze condussero perfino a nuovo assedio di questa città da parte dei Veneziani nel 1599 e nel 1008, e a nuove rappresaglie contro le saline nel 1009: anno in cui dovè Trieste privarsi con nuova convenzione della libertà di trasportare il sale fuori del proprio territorio. A trarre pertanto Venezia ed Austria ad aperta guerra si aggiungevano le sempre vive gelosie commerciali alla gran questione degli Uscocchi, i quali dal 1599 erano divenuti ancor più-arditi, ed avevano in queir anno dato l'assalto, sebbene senza frutto alla piazza di Àlbona, saccheggiata Fianona con inaudita crudeltà, e spinte le loro orde fino a liovigno. Erano infatti Austriaci e Veneti già venuti all' armi nella contea d'Istria l'anno 1(100, e da quel tempo in poi gl'Istriani dovevano resistere agli attacchi e degli Arciducali e degli Fscocchi. La guerra dichiarata si aprì infine nel 1612. Avevano gli Fscocchi falla irruzione nidi'isola di Veglia, e tradotti a Segna prigionieri il governatore Girolamo Marcello e il suo cancelliere, (die barbaramente trattarono. Agostino Canale, provveditore generale in Dalmazia, ebbe ordine di prenderne vendetta, ed egli assediò il castello di Mosehe-nizza, ch'era uno degli asili più sicuri dei pirati, nò avendo potuto espugnarlo piegò contro Lovrana, che diede al sacco. Gli Uscocchi allora entrarono nel territorio di Raspo, facendo sperpero di molti villaggi. Dal canto loro i Veneti posero a ferro e a fuoco altrettanti villaggi della contea austriaca per rappresaglia. In presenza di avvenimenti così orribili, elio minacciavano di far trapassare l'Istria da civiltà a barbarie, l'arciduca Ferdinando, governatore dell' Ungheria, mosso pure dall' imperatore suo fratello, comandò punizioni contro gli Uscocchi. Ma indarno. E nuovo raso orribili1 venne a concitare gli animi l'anno 1613. Con sei barche entrarono gli Uscocchi di notte tempo in Mandre, porto dell'isola di Pago, dov'era ancorata la galea di Cristoforo Venier. La ciurma che dormiva fu trucidata, e con sevizie venne torturato ed ucciso l'istriano Lucrezio Gravisi dei marchesi di Pietrapelosa insieme col fratello, col nipote e col cugino. Il capitano poi tradussero a Segna per serbarlo a line più atroce. Durante un convito, come a renderlo più allegro, svenarono P infelice Venier, e cavatogli il cuore, sei mangiarono. La notizia di sì esecrando misfatto inorridì Venezia, e i più commossi discorsi si tennero nel Senato. Dimandossi il castigo de1 rei ; ma questi non si rinvennero, e ognor più imbaldanziti gli Uscocchi traboccavano nell'Istria, lasciando o-vunque fìerissimi segni di nequitosa barbarie. Venezia spinse allora sue truppe contro 1' Austria. A-vanzarono esse contro Trieste, s'inoltrarono verso Gradisca, e chiusero il mare. L'Istria, le rive dell'Isonzo, le spiagge della Dalmazia e le isole tutte le arrabbiate armi dei guerreggiatiti sentirono, e "ne furono desolate e guaste. Il veneto generale Lorenzo Venier assalì la fortezza di Novi, eh' era del conte Frangipane, comandante austriaco di Segna. La piazza fu presa e la città ridotta in cenere. Stringevasi intanto ognor più l'assedio di Gradisca, e V arciduca Ferdinando, temendo di perdere quella fortezza, implorò il soccorso dell' imperatore Mattia. Ma questi che attribuiva al fratello la colpa della guerra, si limitò a commettere al gran-duca di Toscana e al duca di Mantova l'ufficio di patteggiare accomodamento (1615). Anche la Spagna s'intromise, e inviato a Venezia il marchese di Lara pregò il Senato a voler richiamare le truppe dall' assedio di Gradisca. Venezia che non voleva inimicarsi la Spagna, potente allora nella Lombardia, acconsentì di levare l'assedio, purché si ponesse termine alla questione degli Uscocchi. Se non che veduto che di tale accondiscendenza voleva trarsi profìtto a scendere a minori concessioni, rigettata ogni istanza, proseguì la guerra. Sulle rive dell'Isonzo si affrontarono gli eserciti di Venezia ed Austria. Da prima quello ebbe la peggio, ma poscia si riebbe e vinse. Il conte di Trautmensdorf che comandava gli Austriaci, fu costretto a ritirarsi: successo felice, ma amareggiato dalla morte del veneto generale Pompeo Giustiniani. Nello stesso tempo in Istria guerreggiavasi con ogni furore, e i prigionieri uscocchi venivano condannati alle forche senza misericordia. I mediatori andavano da un campo all' altro per riuscire & pace. Ciò non arrestava il blocco di Gradisca, continuato da Lorenzo de' Medici contro il conte di Marradas, succeduto al Trautmensdorf. Militavano per Venezia Istriani, Friulani, Dalmati ed Albanesi, e nell'esercito austriaco vi erano Ungheresi, Croati, Triestini, e la stessa cavalleria del Wallenstein. Era Gradisca agli estremi, quando si portò la nuova della pace firmata in Parigi, e ratificata in Madrid. Con essa si stabilì d'internare tutti quelli degli Uscocchi, ch'erano dediti alla pirateria. E difatti furono trasportati a Carlopoli, e cessò quel terrore, che aveva sì a lungo oppresso le popolazioni dell'Adriatico. I possessi reciproci di Venezia ed Austria ritornarono allo stato in che si trovarono prima della guerra. Se in questa vennero commessi» grandi crudeltà dagli 1 scocchi per istinto, e dai Veneti per rappresaglia, moltissimi lurono gli esempi di maschio valore dati dagl'Istriani. Ricorderemo solo Francesco Gavardo da Capodistria, che pugnò contro gli Uscocchi con un drappello di prodi, armati e mantenuti a proprio dispendio, e che nelle arditissime sue imprese giunse a far prigione il famoso capo di que' barbari, Giure ^lisnich. Nò si taccia di Giambattista Negri di Albona, che fu capitano perpetuo alla sovraintendenza dei confini dell' Istria di fronte agli Arciducali e agli Uscocchi, e che fo' a quest'ultimi toccare una grave sconfìtta sotto le mura di Alluma, assalita invano da essi, come fu già ricordato, nel 1599. Erano questi valorosi degni coetanei di Giovanni de Giovanni ila Capodistria, capitano intrepido alla difesa di Fa-magosta contro i Turchi, poi governatore della repubblica in Candia, e molto encomiato nelle venete storie. La mutua diffidenza che restò dopo la guerra tra Venezia ed Austria, fu cagione che nuove tribù straniere si traducessero in Istria dall'una e dall'altra potenza. Tosto l'Austria dispose colonie di Morlacchi lungo il veneto confine. E i Veneti trapiantarono nuovamente nei contadi della nostra provincia Albanesi nel 1623, Dalmati nel 162-1, Dalmati e Trevisani nel 1628. E come aveano l'atto prima, si diedero nuovamente a costruir fortificazioni. L'ingegnere francese Deville, che s'ora adoperato in questo genere di lavori nei possedimenti di Levante, ebbe da Venezia l'incarico di erigere la fortezza di Pola. sovra le mine della rocca de' Sergi, altra 1630 volta campidoglio romano. Pur troppo nelP opera militare si dimenticò la civiltà, e fu veduto distruggersi il bel teatro che vantava Pola, e costruirsi colle pietre e co'marmi d'insigne patrio monumento le mura di un forte. Che Venezia guardasse poi con pari gelosia anche i suoi diritti sul mare di fronte alle due case austriache di Germania e Spagna, desumesi dal fatto, che avendo voluto una flotta spaglinola accompagnare a Trieste Maria di Spagna, destinata in isposa a Ferdinando III d' Ungheria, vi si oppose e volle condurvela colle proprie navi, minacciando che altrimenti avrebbe data battaglia,. Così fu riconosciuto di nuovo il veneto dominio sull'Adriatico. Desolata l'Istria negli anni 1630 e 1631 da fierissima peste, che fu l'ultima, e ch'era stata portata in Italia dalle truppe del Collalto, si continuò a trapiantar colonie nell'Istria per ripopolarne il contado. Vennero Morlacchi nel 1635 e nel 1647, Serbi-Montenegrini noi 1657 (stabilitisi in Pedrolo o Peroi presso Pola), Trevisani nel 1668, e Veneti-Candiotti dopo la caduta di Candia nel 1669. Di questo tempo, buri ascoso per la guerra dei 31) anni, terminata colla pace di Vestfalia, l'Istria non fu teatro di ostilità, ma i suoi militi presero parte a quelle ch'ebbe Venezia nel resto d' Italia, o specialmente poi in Levante contro il Turco, che sebben vinto in due grandi battaglie navali arrivò a impadronirsi di Candia. E qui dee.commendarsi Biagio Giuliani da Capodistria, che, comandante del forte di S. Teodoro nel regno di Candia l'anno 1645, sostenne da prima V impeto turco con massimo valore, e poi, quando i nemici avevano già invaso il castello, die fuoco alla polveriera, seppellendo con essi sè e i propri nelle rovine. La guerra col Turco viemrnagiormente divampò. Dal 1684 pugnossi per 15 anni con invitta costanza E gli Istriani vi si distinsero come per lo addietro sotto il comando di quel Morosini, che fu per Venezia 1' ultimo grand' uomo di guerra e di mare, e che conquistate alla patria la Morea, Fgina, Santa Maura, e parecchie terre in Dalmazia, si meritò il nome di Peloponnesiaco. Tali conquiste vennero sancite dalla pace di Carlovitz, che segnò il primo decadimento dell'ottomana potenza (1699). L' Istria ebbe in questi anni a combattere non solo in Levante, coni' è detto, ma anco alle proprie coste e in Dalmazia. Quelle venivano infestate da. pirati, e narrasi fatto di grande arditezza, eseguilo da due Faste dulcignotte, che nel 1687 sbarcarono in Cittanova, e ne trasportarono prigioniero in Albania il podestà con 36 cittadini. In Dalmazia, poi sostennero militi istriani i maggiori cimenti, e il colonnello Giuseppe dal Tacco da Capodistria, comandante all' impresa di Narenta, ebbe la gloria principale nel conquisto di quella piazza, e nel successivo governo della stessa contro le forze più gagliarde dell'inimico. Due anni dopo la pace di Carlovitz scoppiò la guerra della successione di Spagna (1701) tra Francia, Spagna, Baviera, Savoja, Mantova da una parte, ed Austria, Inghilterra ed Olanda dall'altra. Venezia neutrale. Ma non le mancarono imbarazzi. Da prima si trasportarono da Trieste per mare provvigioni di guerra pegl' imperiali di Lombardia, e poscia di riscontro una squadra francese, uscita dal porto di Napoli, entrò francamente nell'Adriatico, per fermare ogni altro convoglio triestino, e presentatasi a Trieste sotto il comando del Forbin la bombardò. Il veneto Sonato, che vedeva cosi 1702 leso il suo dominio sulT Adriatico dalle parti belligeranti, si lagnò presso le due corti di Vienna e di Parigi, protestando che, non fatta ragione alle sue rimostranze, avrebbe usata la forza. E ad appoggiare quanto prometteva spedi flottiglia a Parenzo. Francia ed Austria, interessate a non inimicarsi i Veneziani, rispettarono l'impero loro dol golfo. Appena assestata, la questione della neutralità, tornò a farsi temere il nome esecrando degli Uscocchi, che vista tutta Europa in armi, si diedero nuovamente a predare. Ma vennero tosto incalzati d'ogni parte dagl'Istriani, dai Dalmati, e dai Veneziani, e puniti con tanto rigore che vennero ridotti impotenti a recare alla navigazione nuove molestie. 17u3 Del resto l'Istria, meno questi trambusti, fu in pace nei 13 anni della gran guerra d' Europa, né soffrì quelle eontri-1705 buzioni, onde le altre provincie d'Italia trovaronsi aggravate. Unicamente nella contea, a modo feudale più volte 1712 venduta e rivenduta, avvennero tumulti contro il nuovo conte Ercole Taurinetto, marchese de Prie, che P aveva avuta in permuta nel 1708. e che s'era dato a gran rigori nello esigere i diritti baronali. Poste le armi pel trattato di Utrecht (1714), l'imperatore Carlo VI rivolse l'animo a Trieste, confermandole privilegi commerciali con Napoli e Sicilia. Voleva egli aprire alle sue provincie tedesche un porto di mare, e Trieste ebbe la preferenza su Aquileja, imprigionata da Grado e dai paduli, e su Piume, bloccata dal veneto cannone di Cherso e di Veglia. Carlo VI dichiarò quindi [torto franco la città di Trieste nel 1717 a suggerimento del principe Eugenio di Savoja, potente nei consigli di Vienna. E il pontefice aveva adoperato della stessa guisa riguardo ad Ancona. Venezia non era più la robusta dei secoli precedenti. Invecchiava, né reggeva più gli eventi, ma cominciava a subirli. D'altronde in altra guerra col Turco, detta di Morea, vedovasi ella impegnata l'anno 1714, nò voleva, minore com'era nei generosi ardimenti, perdere l'alleanza dell'imperatore, che infatti attaccò subito la Turchia. Si combattè per terra e per mare, e non possiamo rimanerci dal ricordare il nostro Antonio Henussi da Rovigno, che essendo stato ferito il Piangilii, gli succedette nel comando superiore dell' armata, tanto più lodevole quanto maggiore fu il suo valore nelle prove di rilevare una scaduta fortuna. Nel 1718 si fermò la pace, e la recente conquista di Morea andava perduta per Venezia. Carlo VI riapplicò la mente al commercio di Trieste, emettendo ordini per la costruzione di navi da guerra, e favorendo la formazione di una Compagnia Orientale, la quale nel 1722 aveva già un capitale di 10 milioni e stabilimenti alle Indie: fatti che nel 1726 trassero ad opporvisi le altre potenze, le quali non assentivano all'Austria forza marittima. Venezia invece non impediva il progredire di Trieste sempre pel timore dei Turchi, e così limitavasi a semplici offici diplomatici allorché Carlo VI veniva di persona a visitare la stessa città di Trieste nel 1728 e ad ampliarvi le prese disposizioni. La flottiglia di guerra invero fu aumentata 1720 sotto il comando del genovese Parravicini, si apri fiera pri-1730 vilegiata, si comperarono le saline per disporvi la nuova città, e la si tolse alla giurisdizione del magistrato per meglio di-1736 rigerla giusta l'intendimento di Vienna. Le opposizioni delle potenze per altro debbono aver r>7 influito sui consigli di Carlo VI, se la flottiglia austriaca fu sciolta nello stesso anno 1736, e non si ebbe più di mira da quel tempo che di formare un porto commerciale e non un arsenale di guerra. Venezia intanto restringevasi a stabilir franchigie pel toro porto o a conchiuder trattati di commercio (1739), concorrente e non più dominante nelle regioni del traffico. Succeduta poi nel 1745 Maria Teresa a Carlo VI per 1745 la prammatica sanzione, e finita la guerra della successione austriaca colla pace di Aquisgrana nel 174S, la imperatrice prosegui riguardo a Trieste i divisamenti di suo padre, animata da inglesi consigli. Durante il suo impero si vide credere Trieste a novella città, moltiplicarsi i suoi bastimenti, istituirsi la Borsa mercantile, spedirsi consoli in porti fore-sti'ui, ed accogliersene altrettanti. Al privilegio della compagnia d' Oriente si era sostituita la libertà del commercio, tì questo prosperava. Nel 1749 T imperatrice sollecitò Venezia a cederle alcuni luoghi che desiderava sulla frontiera del Trentino e del Milanese, offrendole in cambio parecchie terre d' Istria. Ma fi veneto Senato che temeva di rafforzare il potere imperiale !n Lombardia ricusò decisamente la proposta. Allora Maria Teresa prosegui con maggiore impegno gli ordinamenti legislativi del commercio, normeggiatisi su quelli (ji Francia e di Ragusa. E qui basterà riferire il notorio E-tfitto politico di navigazione (1758), che venne poi pubblicato Pel litorale austi daco nel 1771. Nell'Istria intanto succedeva da un canto nuova alienazione della contea ad Antonio Montecuccoli, e dall' altro 1766 l* governo veneto poneva opera ad estendere e migliorare le caline istriane. 1767 Fu di quel tempo che essendosi levata gran bufera, la quale riversò il mare su largo tratto di spiaggia con tale llri impeto da denudarla, vennero a disseppellirsi tra Umago 1770 e '1 vecchio castello di Sipàr le rovine di antica città, ac-f^nnanti a grande ricchezza e vastità di fabbricati. Quale dei 'lomi dell' età grecanica le sia proprio, è ancora ignoto. E qui in sul proposito di antichità meritano particolare lllL'"zione le ricerche che intorno ad essa venivano fatte anco lì[ Istria da distinti ingegni. L'inerzia in quel secolo del S°verno locale non [spegnava gli studi, che furono anzi iìo-J^nti, in ispecie a merito del giustinopolitano Gian Rinaldo acli di fama non meno italiana che europea. In epoca, morta Jl latti di vero storico interesse, ci gode 1' animo di poter Jnieno segnar progressi della coltura in terra, già patria ai Verger!, ai Muzì, ai San tori, ai Carpacci, ai Tartini. Vi ave- vano non pochi stabilimenti d' istruzione ed Accademie. E specialmente Capodistria vantava un Seminario, in cui edu-cavasi la studiosa gioventù cosi nelle ecclesiastiche discipline come nello umani1 lettere, altre due facoltà teologiche presso i Domenicani e i M. M. Osservanti, e un collegio di gran rinomanza, dirotto prima dai P. P. Sommaselo, e poi dai Piaristi, e che ne' suoi corsi elementari, ginnasiali e filosofici accoglieva alunni lino dalle Isole .Ionie. E Trieste dal canto suo sviluppava maggiormente le in-slilu/ioni nautiche e commerciali. Nel 1775 la compagnia delle Indie acquistò privilegi, e si tentarono colonie in Dellagoa, nell'Africa, nelle isole Nicobare del Bengala, e sulle coste del Malabar. A questa compagnia si associò la stessa Anversa. L'anno seguente avveniva novello mutamento nella co- 76 stituzione di Trieste, essendo subentrato all'intendenza commerciale formale governo politico. Morta Maria Teresa nel 1780, Giuseppe 11 si adoperò invano a raffermare lo stabilimento della compagnia delle Indie, che questa falli nel 1782. e le colonie vennero abbandonate. Quasi a compenso all'incontro divenne animatissimo in Trieste il commercio coi Greci, particolarmente dal 178(1 in poi. Ma già la rivoluzione di Frància attirava gli sguardi di tutta Europa, e nuove sorti felici ed infelici si maturavano cosi pegli stati maggiori come per le piccole provinole, destinate a subire i grandi eventi. Con la caduta della repubblica, che seguiva nel 1797, si chiudono questi nostri cenni riassuntivi della storia d'Istria. Diremo solo che maggiori dei governanti furono i governati, ira cui gl'Istriani, levatisi a gran tumulto alla notizia della caduta di Venezia. Eglino non s'erano mai intiepiditi indi' affezióne verso la repubblica tra gli errori e le incuranze di questa negli ultimi anni della senile sua esistenza. E aggiungeremo ancora di volo che passata 1' Istria nello -tesso anno 1797 con Venezia e Dalmazia all' Austria, entrò nel regno d'Italia l'anno 1806, poi nel regno illirico, ideato a suo modo dal capriccio di Napoleone, nel 1810, e infine occupata dal generale Nugent l'anno 1813 nell'Impero d'Austria, del quale anco in oggi fa parte, ascritta al governò del Litorale. Né per avvenimenti, nò per uomini, che m essi figurarono, va inonorata la storia nostra. Nello avervi adunque applicato l'animo per quanto da noi si poteva, se non ha vanto l'ingegno, trova l'animo quel Conforto, che gli studi patri recano a chi intende, coni'essi tornino mai sempre di eccitamento non meno al ben sentire che al ben oprare. C. A. CoMBI Di alcune pie fondazioni nel!' Istria C A P ODI STRIA /. Manie dì Pietà A di 2 Marzo 1550, convocato il maggiore Consiglio coli' intervento di Girolamo Ferro, podestà e capitano, dei sindici, e di dugentoventiquattrò consiglieri si annunciava il pio divisamente di provedere a' bisogni urgenti della popolazione impoverita e ridotta allo stremo pei tristissimi tempi che correano. Penuria di tutto, non sale, non vino (prodotti principali), e per soprappiù l' anno avanti, a causa di rigidissimo verno, mortalità straordinaria negli ulivi. 11 perchè si nominarono ambasciatori alla serenissima Signoria por ottenere facoltà di erigerò un Santo Monte, e per cercare a prestanza in Venezia cinquemila ducati, cui avrebbe poscia restituiti il Comune col provento di alcuni balzelli. Intraprese le necessarie pratiche, e prestate le volute malleverie, s' ebbe il denaro occorrente, e sorse a vita la caritativa istituzione sopravveggkiata di ventiquattro homeni da bene et sufficienti, <-/ar dodici di Consiglio, et altri dodici del popolo, insieme al Podestà, et a Pravedilorì dello Spedale, Non erano quattro anni passati dalla fondazione del pio luogo che orribile pestilenza menò la desolazione e il lutto in questa città. Un anno circa ebbe a durare il flagello, e in quel lungo periodo, come ogni altra buona istituzione, cosi anco quella del Santo Monte emide Si mandarono allora, legali alla repubblica per un qualche, sovvenimento ; ma semina tornassero infruttuose le istanze, mentre vediamo invece alcuni anni dopo qui chiamali i due banchieri israeliti Cervo da Mestre e Mandolino da Oderzo, onde con prestito fosse sopperito alle distrette de' poveri. Sancita si fatta risoluzione dal Senato de' Pregadi, fu aH i 31 Gennaro 1574 con solenne istru-mento stanziato, poter eglino abitare in Capodistria senza molestia dello inquisitore, ed avere sinagoga in casa, e cimitero presso la chiesuola di San Giusto; non obbligati essere a gravezza reale o personale; dover sì bene dare a presto tanto a1 paesani che a que' del distretto, sopra oro ed argento due terzi del valore, e sopra altro la metà ; V interesse rimaner fermo a due piccoli e mezzo per lira al mese ; — essere buon pegno oltreccile oro ed argento e mobili, anche monete correnti, istrumenti di nodaco, ed obbligazioni chirogral'arie, non cosi arredamenti di chiesa. Per quarant'anni in circa tennero in questa conformità banco gli ebrei. Pare peraltro che a quando a quando e'si disoo-stassero dai patti, e che la concessa usura grave [ter sé, e fatta disorbitante per incontentabile cupidigia, smugnesse ed immiserisse la popolazione. Onde nel 1608, essendo podestà Domenico Moro, si pensò di proposito alla restaurazione del Santo Monte, e nella parte presa li 24 Agosto di queir anno se ne gittarono le prime solide basi. Furongli assegnati ducati settecento di ragione della Comunità, ch'ella teneva in giro nel Fondaco, come sopravanzo di un l'ondo che costituito erasi per le pubbliche ambascerie mercè V annuo tributo di ducati ottanta, pagato dagli ebrei per l'esercizio del loro banco, — ed inoltre ducati trecento del fondaco, il quale avendo a queir epoca capitali per trentamila lire ed oltre, era in grado di sostenere la propria intrapresa e di porre a frutto de' civanzi. Fu determinato l'interesse del sette e mezzo per centinajo coll'ob-bligo di non prestare più di lire quattro per ogni pegno, e finalmente fu eretto un formale capitolato. Poco appresso fu allargato il limite di poter presfare sole lire quattro per pegno, e fu concesso invece che si potesse fino a lire dodici, secondo apparisce dalla parte presa li 9 Ottobre 1608. Tutto s'ebbe approvazione da Filippo Pasqualino, Proveditor generale al mar, con rescritto dato dal porto di Piran o li 26 No--vembre 1608. Sistematosi cosi il pio luogo non si tardò ad allontanare i banchieri israeliti, lo che per il fatto avvenne dietro deliberazione delli 8 Aprile 1613. Non corsero che pochi anni che già il Santo Monte si trovò ad avere di suo la ragguardevole somma, almen per que' tempi, di ottantatremila lire. Cosi da un atto del Consiglio delli 10 Settembre 1628, con cui si riduceva P interesse al solo sei per centinajo in luogo del sette e mezzo. Quali straordinarie circostanze contribuissero a si straordinaria prosperità non è dato con precisione sapere. Hannovi solo nella parte presa li 31 Decembre 1628 le seguenti notevoli parole : con l'utile di sette e mezzo per vento tratto da' questo (cioè dal capitale primitivo), e quel torno che si apprestarono quadri e prospetti, certamente necessari a dar sesto e forme al nuovo ordine di cose. Si rilevarono le attività, le gravezze, il l'ondo netto. In giornata il capitale proprio del Monte è di boriili 17531, oltre a hor. 2500 che sono di altrui appartenenza, e su cui il Monte Paga un censo. L'aumento del l'ondo utilità tu nel 1855 di fior. 529.44. I salari importano annui iior. 300. Altre spese ed °ueri lior. 1122.50.2. L' amministrazione curano il Municipio, Una Giunta speciale, il Massaro ed un Perito. Apposito regolamento serve all'interiore governo del pio luogo, in modo da conciliare la tutela delle sue ragioni, 1' agevolezza delle operazioni, e la prontezza, e diffusione de' soccorsi. 2. Ospedale di San Nazario, o civico. Sei secoli or fa i consoli della città rappresentarono al escovo Corrado e al capitolo della chiesa il bisogno di assegnare a' poveri un asilo. Il vescovo e il capitolo accolsero l'istanza, e nella chiesa cattedrale il dì 7 Aprile 1262 fu chiuso con apparecchio di molta pompa il pietoso patto, in forza del quale concedeansi a' consoli alcune case pertinenti al clero in contrada di Ponte piccolo. Private largizioni sovvennero alla nascente istituzione. Si elessero poco appresso alla magistratura provinciale due proveditori, che doveano ser approvati dal vescovo, ed essi reggevano il pio luogo tì vigilavano la sostanza, dipendendo però nelle l'accende di Uiaggior rilievo dalla detta magistratura. Un priore stipendiato, la cui nomina seguiva per iscruftinio nel Consiglio, ed ei'a confermata dal vescovo, s* aveà P interna cura e direzione JelPistituto. Con ducale del 1434 il Serenissimo Principe e veneto Senato vi davano la loro sanzione. Ma le cose non precedeano prosperamente, e coll'andare %gli anni i mezzi scemarono per guisa che il maggior Con-Jìglio si volse al Senato della repubblica perchè V ospedale "SSe fuso colla confraternita di SanC Antonio Abate, una delle più ricche fra le molte che ne' vecchi tempi esistevano in Capodistria. Così avvenne, e la unione ebbe luogo mediante formale scrittura del dì 26 Aprile 1554, a cui presero parte i patri consoli, i titolati del clero, ed alcuni protonotarì apostolici. I locali però in origine assegnati a ricovero de' poveri non bastarono, e furono perciò in qualche parte rifatti e accresciuti. Nel 1706 la munificenza de' cittadini procacciò più opportunità e più convenienza di agi. Ma la poveraglia crebbe, e I' ospizio fu troppo angusto a raccertarla. Intanto che i proveditori avvisavano a riparo, accadde che la famiglia de'Padri Serviti venisse soppressa. Pungeva allora come proveditore Francesco conte del Tacco. L'occasione era propizia, e non conveniva lasciarla l'uggire. Egli portò le sue suppliche dinanzi al veneto Senato, e dimostrato col fervore santo che ispira la causa del povero, come il vecchio edificio, per quantunque racconcio ed ampliato, pur non bastasse a que' tanti tapini, che o per stanchezza di età, o per rotta salute imploravano mercè alla pubblica carità; e come il deserto cenobio, opera cittadina anch'essa, perocché eretta col denaro de'privati fino dal 1521, avrebbe acconciamente supplito per la vastità delle sue sale, i lunghi corridoi, gli atri, i cortili ad ogni servigio e bisogno, ottenne per ducale delli 4 Gennaro 1792, che il convento e chiesa dei Servi fosser vòlti ad uso di ospedale. Se non che il novello edifìcio non fu occupato da' poveri che nel 1810, mentre fino allora l'ebbero a vicenda le truppe di passaggio, i malati militari, i carcerati Colla circolare prefettizia 29 Marzo 1808 furono institi! i te le Congregazioni di carità. Il dipartimento dell'Istria fu unito al secondo circondario del regno d'Italia per ciò che riguardava gli oggetti di pubblica beneficenza. Dodici furono nella provincia le Congregazioni, avuto riguardo ai dodici Comuni ne' quali aveavi uno stabilimento pio. Gli altri Comuni si aggregarono come partecipanti a qualcuno de' dodici. Così al Comune di Capodistria vennero aggiunti que' d'Isole., Visinada e Portole. Ciascuna Congregazione era composta nel capoluogo del prefetto, vescovo e podestà e di quattro cittadini; negli altri Comuni del podestà, parroco ed ugualmente di quattro cittadini. Quella di Capodistria, come capoluogo, formavasi pertanto del prefetto, del vescovo, del podestà, e de' signori Manzoni Andrea, Tagliaferro Bonomo, Bratti Pietro, e Scher Antonio. Le Congregazioni di Capodistria, Pirano e liovigno doveano prestarsi inoltre alla cura degli esposti e de' pazzi. Un tale ordinamento durò fino al 1813. Da quest'epoca i Comuni, dianzi obbligati ad un annuo tributo pegli esposti, se ne sottrassero, e l'ingente spesa s'aggravò sull'amministrazione dell'Ospedale. Quantunque colla circolare governiale 14 Novembre 1814 fosso disposto che gli esposti, considerati come figli dello stato, dovessero Mantenersi dal pubblico erario, l'Ospedale di Capodistria non potè liberarsi da un peso che dissestava le sua economia che assai tardi, quando cioè per risoluzione sovrana dei 14 Decembre 1826 fu l'Orfanatrofio in Trieste dichiarato provinciale. L'amministrazione del pio luogo avanzò i suoi reclami per essere risarcita della rilevantissima spesa sostenuta pei figli dello stato dal 1813 al 1827, che ammontò a fior. 17056; ma la domanda fu rejetta coli'aulica risoluzione 7 Febbraro 1829. — L'esazione di altri fior. 4644 per mantenimento de'militi francesi ammalati durante l'anno 1806 andò a vuoto, in quanto che la commissione liquidatrice in Milano la dichiarò per certe sue normali ed istruzioni non liquidabile. In fine provò la pia causa a reclamare dai Comuni che contribuivano pel mantenimento degli esposti un residuo di fior. 1041, e qui pure fallirono i tentativi, perocché col capitanale rescritto 27 Ottobre 1832 le sarebbe stato imposto perpetuo silenzio. Per questo modo l'Ospedale soggiacque alla ragguardevole perdita non più riparabile di fior. 22741, senza dire dei canoni di pigione percepiti dal demanio per certe sue pretensioni sopra alcuni locali del convento e chiesa, aggiudicati con decisione aulica 15 Febbraro 1827, ma non conseguiti. Se questo importante Istituto resse contro a tante peripezie, ciò fu perchè non mancarono di tratto in tratto chi lo sovvenisse di generose largizioni, perchè ne fu curata gelosamente l'interna gestione, si rivendicarono le rendite della confraternita di Sant'Antonio Abate, sistemaronsi i capitali fruttiferi ornai periclitanti per la vetustà de' titoli, per le smarrite traccio delle originarie cauzioni, per le impigliate divisioni fra i sorvenuti al primo debitore, e si ottenne che 1' obbligo di dugentoventidue annue messe fosse ridotto a convenienza sopportabile, come fu per indulto vescovile dei 4 Maggio 1834 che il ridusse a sole ventiquattro, mentre proscioglievasi il pio luogo da quello più imponente di altre cinquemila novecento cinquantasei, che si accumularono negli anni precedenti, ed alle quali non era stato proveduto. In oggi la sostanza del pio luogo è accresciuta, e son fatte migliori le sue condizioni, al segno che oltre al ricovero e vitto a trenta poveri incirca, si accolgono e si provedono di. ogni bisognevole tutti quegl' infelici, cui la tarda età tolse ogni vigore, ed i mali hanno affrante le membra e logorata la salute. Si pone qui un indice de' benefattori del pio luogo, perchè sin reso loro tributo di riconoscenza, e perchè l'esempio accenda nel cuore do' prosenti e de' venturi la sacra fiamma della carità. Data delia o disposizione di NOME E COGNOME Importo E a, ultima Volontà, del PATRIA del legato o o di altro BENEFATTORE 85 documento fior. k ni. 'I- 1 1624 Bernardo eonte Boriai . Capodistria 306 42 2 1050 Giorgio Majola . . . Pirano 3M 48 — 8 1700 lì) Luglio Agostino Dr. Vida . . Capodistria 'Mìo — — 4 1728 23 Marzo Nicolò Gavardo . . . » 613 21 — 6 1755 15 Agosto Pietro Dr. Gavardo . . » 8285 29 — 0 17(51 10 Marzo Antonio Fattori . . . » 777 26 1 7 1707 4 Aprile Matteo Marchesich . . Monte 98 56 — 8 1773 14 Sett. Camillo conte Becich . Parenzo 178 5 — 9 1775 8 Genn. Maria ' nascile Co m uzzo Capodistria 751 55 3 IO 1785 18 Luglio Girolamo Corra . . , Udine 712 21 1 11 1792 20 Marzo Giovanna Maimi Rossini Capodistria 613 21 — 12 1803 4 Sett. Alvise conto Tarsia,. » 8G24 40 — 13 1815 15 » Don Antonio Declencich 690 — — 11 1830 15 » Don Giambattista cano- nico Godigna . . . 120 — — 15 1840 27 » Giorgio Demori . . . » 600 — — IG 1841 29 » Francesco conte Grisoni 4405 5 — 31070 10 1 PIRANO 4. Casa di ricovero Nulla v1 ha di certo intorno all' origine della Casa di ricovero di Pirano. Le politiche vicende de' tempi ed uno spaventevole incendio ne distrussero ogni memoria. Rimane soltanto un registro di amministrazione del 1501, in cui si fa sovente richiamo al 1478. Nò di epoca più remota c'è segno. Onde non può altro dirsi se non che fino dal secolo decimoquinto sussista il pio luogo. Ugualmente narra il Nabli ni cronista, il quale accenna anco a certo Giorgio Veniero, vicario generale del vescovato veronese, siccome a primo benemerito fondatore. Imitarono il generoso esempio i cittadini tutti co' doni, e con 1' opera non mercenaria ajutarono lo stabilimento novello e la sua amministrazione. Da prima era esso destinato a ricettare i poveri del paese ed il pellegrino mendico per tre giorni. Nè ad altro poterono forse bastare le poche sue entrate, le quali consistevano ne' sussidi del Comune, nelle elargizioni «le1 cittadini, e in qualche Pio lascito. In antico reggeva il pio luogo il podestà ; poi uno tra' Più stimati cittadini col titolo di proveditore, il quale ad °gni tre anni usciva di carica. La cura de' ricoverati venia affidata ad una priora ed a una infermiera. Lo stesso si facea fin a non ha guari. E qui è dolce ricordare come le voci di priora fossero ultimamente sostenute da Osvalda Petronio, donna di provata e severa virtù, già ottuagenaria, la quale annegando ogni dolcezza del vivere amò meglio spendere i lunghi suoi giorni tra le squallide pareti dell' ospizio perchè a' necessitosi fratelli non mancassero i sublimi conforti della carità, nè quelle eroiche e dilicate sollecitudini che disacerbano le ire della fortuna e fanno men amari i dolori e la vergogna della miseria. Onde se il suo avello non fregiano inni di venale adulazione o emblemi di araldica superbia, una pia ed eloquente tradizione terrà maisempre desta e benedetta ne' venturi la memoria di lei. Quali fossero dall'origine del pio luogo insino a noi le sorti del suo patrimonio ne è ignoto. Ciò peraltro si sa che *1 capitale di franchi 17941.24 investito nel Santo Monte venne notabilmente smunto per la straordinaria spesa a che soggiacque la casa dal 1808 al 1813 per ricovero ed allevamento degli esposti tanto della città di Pirano, quanto anche de' Comuni limitrofi. Ma sciolto il pio luogo dal troppo grave dovere, furongli da que' Comuni risarcite le spese per essi dogate, e 1' assottigliato capitale venne così restituito alla Primitiva sua interezza. Attivatesi nel 1808 le Congregazioni di carità, mutò in Parte aspetto il vecchio sistema di amministrazione della pia casa, e ritenute come persone indispensabili al servigio inferno la priora e la infermiera, si aggiunsero come soprastanti il podestà e un segretario. E in oggi le cose vari ad un incirca sul medesimo piede. I ricoverati son sessantacinque. « vitto limosinando procacciansi. Ove ammalino, o per acciacchi non sieno più in grado di reggersi, ricevono dalla casa ogni bisognevole. L'antico edilizio, angusto, tetro ed ispirante melanconia dolorosa fu abbandonato. In sua vece ne sorge uno dalle fondamenta dietro progetto dei 10 Aprile 1844, cui erigeva la operosa carità de' Piranesi, i quali sempre che vogliano Possono e fanno. 2. Monte di Pietà. La cassa del Fondaco soccorse alla erezione del Monte di Pietà di Pirano lino dall'anno 1034 con ducati quattromila di lire sei e soldi quattro. Riconosciuti gì' immensi vantaggi che ne provenivano, giacche il popolo non era costretto per camparla di cadere ne' tremendi artigli degli usurai, la stessa casa del Fondaco l'orni un nuovo valsente di ducati tremila, Il capitalo s'accrebbe man mano la mercè de'depositi che face ansi dalle scuole laiche e dalle pie corporazioni, e sopra i quali peraltro dovea il Monte corrispondere l'annuo censo in ragione del quattro per centinajo. Da prima si dava a prestito al sette, più in appresso al sei. L' amministrazione venia retta da cinque ufficiali, cioè da un cassiere al quale incombeva di custodire i contanti ; da un massaro che sotto propria responsabilità teneva in serbo i pegni ; da un ragioniere che censurava e regolava i conti; da uno stimatore, e da un presidente, che era un sindaco della Comunità. Durò un tale sistema fin a che cadde la repubblica. All'epoca del regime francese si ristrinse il numero de' ministri a tre, vale a dire ad un cassiere che riuniva le mansioni di massaro e di stimatore; ad un ragioniere controllore, e ad un preside, eh' era il Maire, o altrimenti uno dei membri della Congregazione di carità. Ebbe anche il Monte di Pirano a sofferire le sue vicissitudini. Se non che la pietà e lo zelo di quelli che reggeano la sua sorte il preservarono non solo da scadimento, ma il sollevarono a maggior floridezza. Ora i suoi capitali ascendono a fiorini trentaduemila circa, de' quali dodicimila cinquecento alieni con interesse passivo del cinque per centinajo e quindicimila di propri. Il rimanente consiste in utilità non per-anche accresciute al capitale, e in civanzi sopra la vendita de' pegni non restituiti a' pignoranti. Il Monte al dì d'oggi è retto da un cassiere che avendone tutta la responsabilità dee prestarvi acconcia garantia, e da un controllore. La presidenza s' appartiene al podestà. ROVIGNO Monte di Pietà. L- istituzione del Monte di Pietà in Rovigno risale all' anno 1772. È detto nella deliberazione presa in Pregadi,, che «riconoscendosi nell'unanime sentimento de' magistrati «alle biave e dei scansadori, ed in quello pure de' rappresentanti di Capodistria attuale, e ritornati li N. N. II. II. Be-«regan e Corner, essere assai opportuna P istituzione di questo (JO «pio luogo nella iona di Kov igne contenente 15000 anime, «la maggior parte all'atto privo di rendite, viventi colla propria «industria sul mare, e coltivatori di terre, ed in conseguenza «bene spesso mancanti del necessario bisogno, costretti a «mendicarlo con usuratiche prestanze da . pochi potenti e «danarosi colà domiciliati, che ne formano un vizioso traffico, «smungendo in tal forma le sostanze di questo misero popolo .... il Senato ne adotta ben volentieri la massima .. .» Si estrassero allora dal Fondaco della città, ricco di vistose somme, i mezzi necessari al divisato pio istituto. Ritenutosi che sarebbero bastate al Fondaco le ordinarie sue provvisioni di venete lire 110,000, si destinava il di più di h 77775. 0.0 alla formazione del capitale pel Santo Monte. Ne ciò solo, che tutte le utilità rimaste dopo le spese do-Veano d' anno in anno accrescersi al capitale. Ugualmente, i sopravanzi de' pegni che nel termine di anni dieci dal giorno della vendita non fossero stati riscossi da' proprietari o loro eredi, le elemosine, le contribuzioni e le multe pecuniarie inflitte a'trasgressori degli ordini per buon governo del pio luogo. Da ultimo, fonte di aumento erano i depositi, che prima nella cancelleria pretorea, doveano da indi farsi nella cassa del Monte sotto pena della perdita totale del deposito. Della somma detta di venete lire 77775. 0.0 ne furono impiegate 5112.15 pel restauro dell' edificio, stato concesso al santissimo scopo dalla liberalità del Comune La soprastanza del pio luogo era commessa, siccome a segno di special distinzione, al podestà e capitano di Capo-distria, il quale nel trasferirsi che Iacea ciascun anno a Ro-vigno per 1' ordinaria sua visita, era incaricato di esaminarne '<> sialo, il maneggio e la direzione. Il rappresentante pubblico della città avea puro sue ineumbenze, e dovea vegliare Perchè nò negligenze nò abusi avvenissero, e perchè regolarmente le copie doi giornali e i bilanci fossore rassegnati al magistrato degli scansadori. La immediata soprantendenza poi rimanea affidata ai tre giudici della Comunità. Gli altri ufficiali erano, un cassiere o sia depositario dei soldo, un "lassaro, o cassiere de' pegni, un cancellici' quaderaiere, uno stimatore, e due comandadori. Il depositario dovea prestar cauzione di ducati mille; il massaro di cinquemila; quegli Picevea per un anno lo stipendio di ducati sessanta; questi per mesi ventisette ducati dugentoquaranta; gli altri meno. Savie e prudenti leggi si attivavano fin da principio, le quali anco presentemente, salvo poche mutazioni richieste dalle circostanze de' tempi, sono in osservanza. Tra le altre, ciascun anno aveasi a prelevare dal cumulo de' profitti il ^"gattino di sanità, giusta la terminazione 28 Settembre 1759. Eleggeva i ministri il Consiglio del Comune nel mese di Agosto ; niuno poteva aspirarvi se debitore verso il Santo Monte ; nominato, dovea prestar giuramento di puntual adempimento delle regole contenute nel capitolare. Non si pagava stipendio se il cancellier quaderniere non facea fede dell'esatta amministra/ione, e ciò era salutar freno al malversare. Uniti o separati i giudici presidenti poteano in qualunque tempo visitare i registri, la cassa, i pegni, e sindacare, occorrendo, le azioni de' ministri. Gl'incanti veniano preseduti dal Giudice deputato, nò senza lui potea aggiudicarsi alcun pegno. Non lecito acquistar pegni a chi nel Sacro Monte si avesse o l'una o l'altra ingerenza. Risponsabile il massaro se la somma ottenutane non avesse eguagliata la data cogl' interessi e spese. E di questa guisa tutti gli altri capitoli cospirano a render ferma la istituzione. Non è a tacersi per altro che il capitale primitivo andò soggetto per le rivolture politiche degli ultimi tempi a sorti tristi e varie, onde al di d'oggi esso non giunge che a fiorini dodicimila. I proventi annui si calcolano di fui. 720, e le spese di fui. 180. L'amministrazione è sostenuta da un preside e sei cittadini col titolo di membri della Congregazione. Provedimento cauto ed imitabile. Invece di due massari come in origine, ve n'ha un solo collo stipendio di fui. 110. ALI JONA 1. Casa di ricovero. Sulla fine del secolo scorso il canonico Don Giacomo Nacinovicb rappresentava al cesareo governo provinciale dell'Istria il pio disegno di una casa di ricovero in Albona. La liberale proposta venne accolta con plauso, ed approvata con decreto dato in Capodistria li 20 Agosto 1790. Fin d'allora dunque il Nacinovich comperava del suo una casa in contrada (ìorizza, già appartenente alla scuola laica della Beata Vergine, comoda di sette stanze, con orto e cisterna. Nò a ciò soltanto ò limitata la generosità del fondatore, che vi aggiunse per di più ducati mille, onde co' frutti si avesse a ricoverare que' sventurati che per mutabile fortuna caddero in basso, o quelli cui il tarlo delle infermità corrose ogni vigore della vita. Ordinava governassero la pia casa persone di nome illibato e poste in pubblico officio, avessero a prelevarsi dalla rendita ciascun anno quindici ducati per rassettare i guasti dell' edifìcio, il resto fosse in sollievo degl'infermi. Dettava inoltre brevi ma acconcie discipline a regola dello istituto, che sono ed in oggi scrupolosamente seguite. Ne' scombugli politici dell' epoca il pio luogo non andò immune da vicende. Lo zelo peraltro del signor Giacomo Lius, nipote al Načinov ioli, lo restituiva al primitivo modesto decoro, e con savi accorgimenti ne accresceva le rendite. Ed ora, oltre al capitale di fondazione di Ini. 1187.15 ve n'ha altro di fni. 1439.36, di modo che l'intero patrimonio consiste in fni. 2526.51. La casa, detta anche l'ospedale alla fortezza, fu ristorata ed abbellita, resa più agiata, e provvista di letti o biancherie. I ricoverati son sedici, de' quali quattro maschi e dodici femmine. Ricevono medicinali gratis, e qualche sussidio per cibarie. Del resto la carità degli Àlbonesi è sempre alacre e desta a spargere l'olio ed il vino sulle piaghe di que' disgraziati. Perchè la istituzione cresca in prosperità ha immaginato il provvido amministratore di sparmiare annualmente sulla rendita di fni. 132 la somma di fni. 40 per essere poscia investiti in capitali fruttiferi non minori di fni. dugento. À questo modo, quantunque un po' lento, andrà accrescendosi il capitale, e la pia causa potrà ministrare a' suoi poverelli oltre ad un asilo anche il vitto, senza che si vedano su pei trivi, e di porta in porta a chiedere di che satollare il ventre famelico. Ma l'esempio del Nacinovich non sarà senza imitatori. 2. Altra casa di ricovero. Matteo Scampicchio col suo testamento del 1561 legava una casa detta dell' Hospitale per uso de' poveri, dando incarico di vigilanza e di cura a' più vecchi della famiglia senza obbligo di conto a chi si sia. I successori adempirono religiosamente il volere del pip testatore, e da quel tempo in poi fu dato sempre ricetto ad alcuni mendichi del luogo. Di presente il sig. Antonio Scampicchio, alla cui generosa filantropia è scarsa ogni lode, soccorre a cinque tapini, nè solo coli' asilo, ma benanco, se malati, con ogni amorevole assistenza. Esempio è cotesto di affettuoso rispetto alle volontà de' defunti, e di carità non ostentatrice, ma modestamente operosa. _ Avv. A. Madonizza*) *) L'avvocato Antonio Madoni/za fu trai primi ad intenderò i nuovi tempi, c ad uscire dal guscio della piccola patria. Prese quindi parte al movimento letterario iniziato a Trieste da Pacifico Valussi e dal poeta Dall' Ongaro, e fu tra i fondatori della Favilla. A base della riforma politica volevasi allora 1" educazione morale del popolo ; V asilo sul modello aportiano fu quindi aperto a Capodistria per iniziativa del Madonizza. Fu deputato dell' Istria al parlamento di Vienna, e poi di Kremsir nel fortunoso 48, assieme col Fachinetti. Uomo moderno, nemico delle frasche retoriche, fu parlatore sobrio, prosatore sciolto, pum elegante. Da ultimo, deputato della nuova Dieta Istriana, mori sulla breccia nella sala di San Francesco a Parenzo colpito ila apoplessia nel 1870. UNA GIORNATA DI SER GASPARE Sor Gaspare è famoso mercatante, Gran volume di carne, e tutto in viso Di bruscoli minuti rosseggiante, Vizze le guancie, e sotto i baffi un riso.... Nuovo dell' arte mercantil portento E simbolo d' un sedici per cento. Codesto grosso personaggio, avvezzo A vedersi inchinato a tutte i' ore Dai facchini di piazza, ha preso il vezzo Di credersi un mossiti di gran valore, O com' ei per immagin si dinota Una botte di scienza, una peota. Essendo adunque un singolare arnese, Penso a dirne alcun che cosi alla buona, Come poss' io che non ho già pretese, E son fatto coli' asce alla carlona ; Anzi a darvene tosto conoscenza, Abbordo il mio signor senza licenza. Grave grave col sigaro fumante, Che in nube cenerognola e leggera Gli avvolge il naso e tutto il bel sembiante, Chinatosi il cappel come visiera In bilico sugi1 occhi, eccolo sceso Dalle stanze alla porta, all' opra inteso. Ivi sostando pettoruto, il guardo Gitta alla gente quasi dono (e, cosa Da mercanti di altissimo riguardo), Pian col mignolo stacca all' odorosa Foglia le aduste vette, e... o gran prodigio!... Manda pur dalle nari il fumo bigio. Alfin move le gambe e s' incammina, I ricchi lembi del paltò cacciando Rovesci ai lati, e per più bella fina Arte moderna il pollice puntando Sotto 1' ascella, in tuon d' archimandrita Fa del petto tamburo alle altre dita. E come la lucerta allor che resta Del suo ritiro alla sassosa sponda, E allunga e torce la pieghevol testa, Quasi a fiutar del zefìretto V onda, Al più lene fruscio d' orma lontana Rapidissima tosto si rintana, Così al primo apparir del mio soggetto Alla temuta svolta, in un baleno Della bottega il vispo giovinetto Abbandona la soglia, ove sereno Girava l'occhio intorno, e timoroso Si riconduce al banco doloroso. Entra il padron . .. Sospese alle pareti Pendono mille puzzolenti cuoja . . . Ei le mira, le squadra, e intanto lieti Gli aleggiano pensier di nobil gioja, Dolce figlia di qualche contrattello, Che un angolo gli punge del cervello. Mentre il garzon così riprende fiato, Egli afferra una penna e (o ciel!.... che avviene Con gravità da cancellier di stato Improvvisa al sensale ... un notabene, Indi il piega e suggella, e par che dica: Noi qui si scrive e non si burla mica. Giunge 1' amico, vale a dire un tale, Che in quel giorno a compor certa faccenda, Ha da mettervi V unghie, e o bene o male Buscarsi una porzion della merenda: Gran tirapiedi che brogliando campa E nel cui volto ogni color si stampa. I due campion s1 ammusano, e ridenti Di quel riso ineffabile che acuto Solletica le labbra e scuopre i denti, Si toccano la man con un saluto, Che a chi dell'arte lor non è digiuno E nulla dice o dice tutto in uno. E qui s'intreccia un dialogo superbo, Frammischiato cosi per leggiadria, O per dare alla voce un che di nerbo, Verbigrazia di qualche porcheria : Parole di robuste alme pensose, Che sanno dire come il fb le cose. Ma distrecciate ormai le lor ragioni, Combinate le mosse alla gran meta, E in cento e cento minime frazioni Del profitto spezzata la moneta, Ber Gaspare si scuote i panni indosso Ed esce come un can che fiuta P osso. E allor non più quell'aria maestosa, J)i che in pria lo vedemmo andar si vano, Ma tutta la persona frettolosa, Com' asino percosso al deretano, Urta, guizza, saltella e come a zuffa bolle braccia e co' piedi s' abbaruffa. Così percorre la città, passando Da questi e quegli, infin che vinto il gioco sui fianchi si raddrizza e zufolando )el Pirata un motivo, a poco a poco ja bella in volto dignità ristora, Che di recarsi al suo mercato è V ora. Siccome campo, ove del sorgo ondeggia La fronzuta famiglia, e qui sublime Di pannocchie e di spazzole grandeggia, E lì tisica e nana si deprime, Quinci rara serena, e quindi molta Abbuja in gruppi svariati accolta, O come (per usar d' altro rimario) Vasto cortile, ove al becchime corre D' ogni intorno dei polli il gemer vario, E s'appuntano i becchi, e ognuno a torre Più degl'altri s' adopra, e chi squittisce, Chi pipila, chi raspa, e ehi garrisce, Eccoti innanzi quella vasta arena, Che per eccelso mercantil concetto Prese di Fiera il nome. O nobil scena! O campo avventuroso, ove il pensiero Ai denari s' aggromma, e il gran cimento Va a chi stira di più la coda al cento. E a prender parte ci pur secondo 1' uso, Ecco vi giunge ser Gaspare, in atto Di raggrinzar per miglior garbo il muso; Che (notatelo bene) il dar da matto Certe pieghe ridicole al sembiante Dona un che .. . non saprei... dell' importante. «Devotissimo servo, il mio rispetto.» Così lo smilzo agente lo saluta, Piegando mezzo il corpo ad angol retto, Ma ser Gaspare d'una fredda e muta Occhiata appena il degna, e il poverello E gran mercè se busca un «patron bello.» Porta cosi la gerarchia dell' oro, Ed è cosa perciò tutta in natura, Che abbattendosi in qualche barbassoro, Largo più eh' ei non sia nella cintura, Gli si snodi in inchini e gli starnuti Àrcipiuccheumilissimi saluti. Nuovo incontro: un mercante di campagna. «— Oh ci siete ! Da quando ? — Ieri sera. — «— State bene? Vorrei, ma si guadagna «Tanto poco ... — Che mai ! Lasciamo andare... «Della roba ne avete, e i nostri conti «Come vi scrissi li faremo pronti.» E prontamente infatti i due corredi, Quel di campagna al muro, e l'altro appresso, S' appostano, e così su quattro piedi Apron seduta. Il primo, in tuon dimesso Dell' avere e dei dar spiegati i testi, Espone alfìn quel che a pagar gli resti. «—Ha! Ha! Ha! — Le darò quell'altro importo. -«— Ho! Ho! — Ben via, prenda quest'altro ancora. «— Hi! Hi! — Ma che?... Non è la via dell'orto «Venir qui di provincia; e m'addolora «Ch'ella invece d'espor la sua ragione «Mi derida e mi tratti da buffone!» — «— Paroloni Si vede che non siete avanti «Nel cittadin costume. A dir di no «Debbon ridere i veri mercatanti, «0 sbadigliar secondo i casi, e ciò «Lungi dall'esser cosa brutta o vile, «Dà saggio di buon gusto mercantile.» • Ma lasciandoli' intanto, o mio lettore, Quegli col gusto mercantile in bocca, E questi, poverino! ... coi dolori, Giocar nelle partite a chi più tocca, Per non istarti così a lungo addosso Passo ad altro argomento e salto il fosso. E il dopo-pranzo, e nei caffè si mette Ogni maniera di persone in frotta, A giocare, cianciar, legger gazzette, Levando un trambustio che pesta e rotta Ne va la testa, e dentro nel cappello Sfuma P ultima micca di cervello. Qui se il tema che presi a schiccherare Non mi vietasse il tornavi di segno, Di svariati gruppi e scene rare Mi avrei molta dovizia e più d1 impegno... Ma penso ancor che me ne andrei distratto, E saria un tener d'occhio e il pesce e il gatto. Accostiamoci dunque a un tavolino, J£ quel ci basti. Ivi un dottore in ambe, Negozianti chi d'olio e chi di vino, Un medico, un poeta, ed altre gambe; Uomini tutti di cotale altura Da fai- tremar le panche di paura. Ivi s'attende ser Gaspare. Infatti ^untualmente vi giunge, un po'a dir vero !?iù vermiglio e negl'occhi certi tratti )' essersi tolta una satolla. Altero Vende posto, saluta, sulla faccia .^assa le mani e nei capei le caccia. Dell'arabico seme il caldo umore, Che dalla colma chicchera trabocca, Fa condir col Giamaica (il suo licore Prediletto) e del naso e della bocca Vuol soddisfi i rigori, che altrimenti Quel che spende rinfaccia agi' inservienti. Fattasi quindi la serbata pipa Lunga lunga apprestar, supin si gitta, E giù dentro alle spalle, come ripa Irta selvaggia, la testaccia fitta, Par tutto ventre, o meglio una involuta Strana Inassa che sbuffa e fuma e sputa. Ma egli è appunto così che ser Gaspare I raggi della mente a sè raccoglie, A dar prova d'ingegno singolare, Di nobil sentir, di sante voglie, Facendosi su tutti gli argomenti Armato di dottrina infino ai denti. Si parla degli eventi?... Ed ei che a prima Legge di vita ha il tornaconto, sdegna Ogni pensier eh' altra parola esprima. Oggi una parte è bella, e tosto indegna Doman gli sembra, e di ciò pur si vanta, Ch' ogni bandiera, purghe mangi, ei canta. Di religion ? Che mai !.. se la coscenza Gli sta dove i corbelli hanno la croce ! . . . Figuratevi adunque che potenza Di pensier novi e che tenor di voce . . . Non e' è burla che tenga ... e un gran talento, Nè vuol trattar con Dio senza un percento. Di morale? Che diamine! L'onesto Sta nel profitto, e più, se meglio tolto, Fosse preda l'amico. In quanto al resto, L'aver de' vizi il laido marchio in volto Gli è gloria, e rida la brigata casta, Lieta agli olezzi di si nobil pasta! Ma di ciò quantum sufficit, sebbene I)' altre cose potrei scarabocchiare. Sorpasso pure le affollate scene Dei passeggi, ove il nostro ser Gaspare Tra le donne e le gambe dei giumenti Compartisce gli sguardi e i pensamenti. •Nè vi dirò del loco, ove ristora Colla birra le fauci, e per la moda In cucina s'alloga, e lunga un'ora Su d'un bicchier 1' occhio e la mente inchioda. Al teatro soltanto il condurrò, E poi dandogli il vale, finirò. Già del rumor delle veloci rote Echeggiano le vie. Carri e cavalli -Al teatro fan siepe, e ti percote Tra il sonar delle porte e dei cristalli Un turbinio di voci e di linguaggi, ' Sottili strida ed ululi selvaggi. Il mio tondo messere, tutto lindo, Coi candidi solini a mezza guancia, Fa neir atrio alle dame da Florindo, Di lente un occhio armato, e ride e ciancia, Chò quelle Deità, ben educate, D'ogni omaggio si chiamano beate. Ma già rompe f orchestra, e ognun si rende Spedito al posto. Sfavillante in mezzo Di mille faci dal soffitto pende Ricca lumiera, mentre giù nel rezzo L'arena ondeggia. Aperta al guardo intanto Spazia la scena, ed ha principio il canto. E il mio Gaspare? Oh? ve' come torreggia Fra un gruppo di compagni da quel palco, Preso a pigione assieme. Ognuno armeggia Coi lunghi tubi d'osso e d'oricalco, Sicché s'urtano i gomiti e le schiene, Pestansi i calli e gridan : bravi, bene ? Ed è tanto il furor che li commove, Che di pallor si tingono, se fioco Si levi il plauso, e slogansi per nove Grida ferine! ... O generoso foco! O ben sublime impegno ! ... E o voi felici, Che avete gloria fra cotali amici. Ma qui congedo il mio signor Gaspare, Che già sfolla il teatro, e a me per sonno Vaniscono le idee . . . Ben altre chiare Doti di lui per me narrar si ponno; Ma sono tema di novelli carmi, Che in adesso a compor non vo' nojarmi. C. A. Combi SOSPIRO D' UN AMMALATO Sentomi oppresso, — ho pallido E macilente il volto, <— M' è tormentoso il vivere Dacché il malor mi ha colto, — Eppur m'inebbrio anch' io Di questo ciel natio Al limpido fulgor. Luce mi piove all'animo Così gioconda e bella, Da crescermi dolcissima Speranza in cor con ella, Che rifiorisca intero Il poter mio primiero, L'antico mio vigor. Oh! splendi, splendi, angelica Luce di paradiso, Riscalda, infiamma, sfolgora, Balenami nel viso, Sì che la madre mia Si riconforti e sia Men grave il suo dolor. Oh ! sì dal triste e misero ! Letto su cui doloro Risorgerò fortissimo, Ed al celeste coro, Che rende onore al Santo, Risponderò col canto Del più sentito amor. C. A. C. LA GIORGINA — O mamma che sarà della giorgina? La vien meno, già pallida s'inchina, E disseccato ha il gambo tutto quanto . . . Ahi! mamma, vedi, ho già sugli occhi il pianto. — — Datti pace o mia Lisa, è ver cadranno Tutti que1 fiori e subito morranno, Ma il bulbo lor non muore no sotterra . . . Tu attenta e paziente il dissotterra. E allor che stanca la rondine torna A cantar sul verone la mattina, E a saltellare sull' aerea gorna Il passero più allegro, e porporina Sboccia la rosa e il bianco gelsomino, Breve zolla gli appresta entro il giardino, E sul gambo novel ringiovanita Si aprirà la giorgina a un' altra vita. Così o Lisa noi pure un dì morremo, E più fulgidi poi risorgeremo. — — Mamma, per questo si sotterra i morti, Ond'abbiano più belli a rifiorire? Quand' è cosi non hanno tutti i torti : Ora capisco che vuol dir morire. Voglio morire anch'io col mio bel fiore E con lui tornerò bella e migliore. — Ahi ! alla mamma un morbo lento lento Strugge e consuma il fiore della vita: Si appressa già l'estremo suo momento, Già s' ò da questo mondo dipartita. Ahi ! povera Lisetta, o qual dolore ! . . . Ma un memore pensier t' allevia il cuore. Torna Aprile : la buona ragazzina Pianta in capo alla fossa la giorgina, Dove la mamma posero a dormire . . . Povera Lisa! i fior spuntano fuora, Ma la tua mamma non ritorna . . . ancora! Ab. Paolo Tedeschi CANZONE DEL CONTADINO Fischia il vento e sordo il tuono Romoreggia alla marina! Lesti, lesti, il tempo è buono, Già la pioggia s'avvicina! Cupi, deserti e squallidi Dopo si lunga arsura Penano i campi, e lugubre E tutta la natura. Signor! soccorri ai miseri, Che in te sperar fidenti, Odi le preci ardenti Dei figli del dolor. Fischia il vento ecc. Soffia, rincalza, domina Sull'ampio etere o vento! Batti robusto e assiduo L' ala dell' ardimento, E ratto il fatai nugolo ■ De' maligni vapori Sperdasi a' tuoi furori, Sgombri P azzurro ciel. Fischia il vento ecc. Avanza, ingrossa o turbine Grave d'acque feconde, Ti squarcia, e larghe e limpide Versa sui eampi l'onde, Rianima, letifica Il monte, il colle, il piano: Stilla non cada invano, Non langua un'erba, un fior. Fischia il vento, e sordo il tuono Romoreggia alla marina, Lesti, lesti, il tempo è buono, Già la pioggia s'avvicina. C. A. C. LE SCIMIE Quadro ai giovani galanti Ne' secoli che fùr, di bella moda Era il tenersi qualche scimia intorno, Che col muso, co' piedi e colla coda, Imitasse il padron, di vezzi adorno, Sì che il conforto gli scendesse in petto Di avere un alter ego al suo cospetto. Ma spento quel costume, ecco in presente Rinnovellarsi sotto umane spoglie, Dacché ci avvenne infra la nova gente D' ammirar molti alle scimiesche voglie Sì ben cresciuti, che non evvi usanza Che a gara non s'imiti e a maggioranza. Su via dunque scimiotti all' erta all' erta Che non vi sfugga al vigile riguardo Qualche foggia novella. Alla scoperta V è duopo andar, che il minimo ritardo Vi ridurrebbe a dispregevol cosa Del mondo in sulla scena alta e festosa. E ben è saggia quella legge e grande, Che a governar dei vagheggini il colto Esercito pomposo, ovunque spande Il figurino in bei foglietti accolto, E qui lo fida a fulgido balcone, E là superbo tra gli unguenti il pone. E siccome ogni classe di persone, Ogn' ordine e coltura ha i suoi prelati, E tra i pecori pure è il pecorone, Che serve di modello ai men provati, Così tra voi v'ha chi sortì natura Di elevarsi a tener la dittatura. Di questi le beate orme seguite, Attenti sì eh' ogni lor modo aperto All' ingegno vi tomi, o sia che ardite Appuntino le spalle, ó breve e incerto Movan per garbo il passo, od altrimenti Vadan-belli di novi atteggiamenti: Se bipartita sia la chioma a tergo, E liscia liscia degli orecchi aggiunga L' almo confine, ovver se a mo' d' usbergo Si levi abbaruffata, e si disgiunga Dal cappello foggiata a globo, a fronda, O ad altra forma che miglior risponda. Se il baffo in alto ovver in giù si volga, Se a tonda barba si accompagni, ovvero Congiunto alle basette si raccolga Si che fino da retro il capo austero Dal popol tutto si rispetti, e acquisti Il sospirato onor fra i bon ton isti: Se ad arco, a zona o ad angolo si spieghi Il candido solino, e a quale altezza Le belle guance approdi, e stringa e seghi: Se di gran falde la natia vaghezza Della cravatta si conforti, o stretta Si attortigli a compor una foglietta. Tutto questo a ritrai' sì che niente La gelosa coscenza vi rimorda, Ogni studio porrete, e ogni fervente Voto dell' alma, e perchè ognor la corda Oscilli dell' affetto, anco per via Uno specchio gentil pronto vi sia. Ma ancor ben d' altro a meditar vi resta Sul figurino e su que' prodi eletti, Che al movimento delle mode in testa Si mettono gagliardi, e da provetti Al variopinto popolo elegante Si producono a codice ambulante. Or v' è il cappello da cangiar, nò importa Che ancor lucido fulga, ove dell' ala Non sia la piega a quella guisa torta, Che ben s'acconci alla novella scala . . Se tosto noi mutate, o qual delitto ! . . . Colle scimie sareste a gran conflitto. Nè a pensiero men alto vi richiami Il taglio della giubba, o sia che breve Sdegni il ginocchio, o sia che giunger brami Ad avvolger lo gambe, e a scender greve De' calzoni alle staffe, inclita moda, Che alla Slif'elius si dinota e loda. Ma delle braccia la postura ò cosa Che ogn' altra avanza. Or è di bel costume All' ascella tenersi la ritrosa Palma sinistra, e colla destra il lume Agitar di que' ciondoli dorati, Che vanno all' orologio affratellati. Ed ora invece il pollice va posto Della manca nel piccolo taschetto Del cangiante gilè sì che nascosto Ne sia il fianco, ed il gomito costretto Tentenni all' aria, e colla destra intanto Si porti al viso il bastoncino o il guanto. E guai se questo, ove il calzate, arrivi Oltre la mano ai manichini orlati, Quand' è moda che corto i polsi schivi Ed abbia i lembi a un bottoncin fidati. Nè il colore, la maglia, o il finimento Sono faccende di minor momento. Le leggi del vestito, o imitatori Diligenti e soavi, unqua non tìa, Che d' un punto si manchino. Gli errori Balzano agi' occhi, e, 1' invido che spia Li diffonde, li chiosa, e o gran sciagura L' onor se i mie se o vi contende e oscura. Fornite adunque di gigante specchio L'odorifera stanza, ove il bel fiore Della vita crescete, e all' apparecchio Della persona assiduamente il core Alla riflessa immagine vi porti, Sì che di tutto ella vi renda accorti. Nò abbandonarla vi convien si presti, Chiamivi pure ogni più vivo impegno, Ma a ogni passo volgete, e lì s' arresti Dolce lo sguardo in sullo specchio ... il segno Che ogni cosa è perfetta in leggiadria Ratto del ciglio un ammiccar vi sia. Usciti poi dalla magion cogliete D'ogni cristallo, ove rimbalzi il raggio, Occasi'on a rimirar le liete Sembianze e i panni, e se di qualche oltraggio Rozzo e villan fossevi stato il vento, A por mano ai ripari in sul momento. Ma se la veste dell' onor primiero Va superba ne' tempi della moda, Come quella che copre anco il somiero, Che freni il raglio, e tacito si goda Il diploma di scimia ingentilita, Altro campo si chiudo ;i vostra vita. V è da discorrere Leggiadramente Secondo il metodo Più appariscente ; V è a farsi proprio Lo bello stile Della romantica Scuola gentile, Con quelle immagini Piene d' affetto, Che il cor ti strappano Vivo dal petto ; E v'è d' apprendere In sulle ottave Il tuon, la musica Del dir soave. Or dee monotona La cara voce Lungi per l'etera Scorrer veloce; Ed ora vogliono Più gravi i riti Che la tartarea Tromba s'imiti. Ma ove per subito Rimutamento S'intimi l'ordine Che semispento Traggasi il tiepido Respir dal petto Con certe smorfie Da cataletto, Oh ! ali or sappiatevi Domar cotanto, Che alcun d'intendervi Non abbia il vanto. Oh ! la dolcissima Soddisfa/doni' Sentirsi applaudire Dalle persone, E dir: «che spirito, «Che portamento ! «Ob ! il caro giovine . . . «Egl' è un portento. «Usa vocaboli «Mezzo francesi ; «Ha modi amabili | «D'altri paesi, «Bj nella grazia «Del farsi avanti «Con quelle pertiche «Salterellanti, «Come se elastico «Fossegli il suolo «Rapisce gli animi, «Li afferra a volo.» Ma quel che supera Ogni magia Di sentir nobile Di cortesia, Si è lo starsene Vezzosamente, Dove più affollasi La colta gente, À certi valichi Prestabiliti In sollazzevole Brigata uniti, Facendo i critici, I figurini, Gli spira-zeffiri, I profumini. Ma che dico? Se pingere volessi Ogni costume, ove di scimie il vanto Si agogna, e brillali nobili successi D'ogni maniera, il povero mio canto Si troverebbe, oh! l'affannosa idea! . . . A far da scimia ei pur nell'epopea. C. A. Combi LA LANTERNA MAGICA Avanti, avanti signori! — Teatro in una topaja. L'è un vecchio orbo con la giubba sciamannata e con le brache a cacajuola che v'invita con quel suo strano vociare allo spettacolo delle ombre sulla sgretolata parete d' una crollante stamberga. La commedia la sappiamo far noi tanto di buono sulle scene del Teatro universale che la è divenuta un tantin vecchia ed uggiosa, e conviene, panni, per amor di novità andarla a vedere su pei muri. Sicché avanti amici cari, e se il luogo non è decente e per tutto sedere ci sono certe pancacce da giuocarvi sopra all' altalena, non conviene star poi tanto sulle onorevoli. E anzi tutto certi visi dell' armi io non li vo' vedere, e i giudizi temerari e gli scandali alla farisaica lasciarli da parte, che il povero orbo è orbo e si protesta di aver lavorato col solo uso del quinto senso. Ma pur pure uno specchio potrebbe non farla da specchio? E a chi sostiene di vederci dentro qualche cosa del suo, mal per lui. Ecco un vecchio barbogio, che se ne sta in panciolle sdrajato su d' un ampio sofà. Ha una vecchia casacca sulle spalle, un berrettone al capo e un pajo di ciabatte ai piedi come i pappini dello spedale. Gli sta a' fianco un giovinetto brioso, che si vuol provare a camminar senza falde contro i consigli e le ammonizioni del severo pappa. — Bonaccia, bonaccia Nanni mio (1'orbo mette in movimento i fantoccini e sono io che li fo parlare), bonaccia, bonaccia ! — La calma della vita, il riposo della mente, la tranquillità del cuore, tutto mi tolgono questi benedetti venti, dei quali tu mi vai ciaramellando. Metodo vuol esser Nanni mio, per viver la vita, e questi- venti non sono mai metodici a casa nostra. E lo sai pure come le bufere sbattano le imposte, scuotano la casa, e mi disturbino la digestione. — Ma caro babbo questa calma mi pesa qui sul polmone, e la è un'afa, un'oppressura che mi fa pulsare il cuore a violenti battute. E come si può vivere senz'aria e senza moto? — Io per me vorrei una grossa avvoltolata di nubi che si sciogliesse in un dirottissimo acquazzone, o poi e poi un vento che mi scaraventasse sul naso l'ala del floscio cappello, schiodasse i pennoni dai fu-niajuoli e sferrasse le banderuole dalle cime dei campanili. — E allora io uscirei correndo all' impazzala a bere l'aria balsamica e pura a piene boccate. Lo sapete pure anche voi che i temporali purificano l' atmosfera, serenano il cielo. — E qui l'orbo mi tenta di costa e mi sgrida perchè io recito troppo presto e forte la mia lezione. - - Non ti vo' già negare o Nanni mio, che dette cosi non le sLeno bolle e buone cotesto cose, che tu mi vai cantando ; ma in pratica la bisogna procede di un altro passo o figliuolo, e tutta questa diavoleria di venti e di finimondi non cessa dall' essere un gran malo. Ma dato anche che la fosse un bene, come si aggiusterebbe poi la faccenda con quella beata pace ohe io tanto vagheggio, e con quell'altra benedizione del mangiare, bere e dormire a tempi riposati e metodici ? E lo sai pure che charitas incipit ab ego, come dice il latino dell' età dell' oro, sicché ci non si deve certo per la matta poesia di voi altri giovinastri, e per le vostre nevropatie e scannane di stagione arrischiare la regolare armonia delle funzioni digestive, e sgrammaticar V ego, eh'è il primo e il più declinabile dei pronomi. Alla luce di queste verità si snebbia un po' alla volta il talento di quello sventatello di Nanni, gli si vanno sgrovigliando per la memoria certe idee infantili, barbuglia ancora qualche mezza scusa, qualche obbiezione, e la finisce col lasciarsi al tutto iuzampognare dalle sane massime del signor pappa. Ed ora attenti alla seconda rappresentazione ? Signori e signore, vedete voi quel bel cecino li, smilzo, allampanato, con quello sgualcito giubbone, con que' panni alle carni che gli secondano giù giù tutta la persona, e con quegli occhietti minchioni da' quali traspira un' animuccia compassata e intisichita? — Gli è ser Appuntino, il campione delle virgole, il cavaliere dei tratteggini, il genio della ortografia. E che volete? Se ne vedono di belle a'nostri giorni: innumerevoli sono quaggiù le vocazioni, varie le categorie de' geni. Vi sono geni in terra, geni siili' Olimpo con la classica faretra, che lor tambussa il fianco; e poi gnomi, ondine, salamandre, nuova generazione di geni vulcanici marini e sottomarini recentemente scoperti. E non ci mancavano altro che i geni dell'ortografia! Ecco lì su quello scaffale in bel-1' ordine disposte tutte le opere di Ser Appuntino : Disquisizione storico-linguislico-grammalicale sull' origine del punto interrogativo e rapporti della sua forma con la metafisica del pensiero. L'ortografia terapeutica, ossia nuovo metodo per deprimere le nevronosi della moderna generazione, ecc. ecc. Non e' è che dire, Ser appuntino ha il inerito di aver generalizzato la scienza, e di averla spinta fino alle ultimo sue conseguenze. (ìli leggi un sonetto del Foscolo, un inno del Manzoni, gli vai sbraitando una tua cantafera, egli saprà tirar V ajuolo alle cose sue, e i canoni ortografici decideranno della letteraria tua sorte. E questo amore straordinario della scienza non fu già sterile pel nostro letterato. A non dire di quel secreto piacere, di quella interna voce della coscienza, che fanno spuntare un incerto risolino sulle labbra di ogni galantuomo che ha la sicurezza del fatto suo, molti encomi gli fioccarono dall' alto, e di lunghe impalmate di mano l'onorarono i supremi custodi della scienza, massime per quella sua opera sull' ortografìa terapeutica, di cui sopra vi toccava. Ed io faccio fervidi voti, perchè egli possa cincistiare a suo beli' agio le liriche e le epopee, e scavezzar periodi, e rivoltar grammatiche, e sciorinar le recondite sue dottrine, affinchè gli uomini di lettere si avvezzino a trascinar lemme lemme 1' estro sulla falsa riga. E qui osservate o Signori (tutto merito dell' armeggio del povero cieco) come Ser Appuntino si dia una nappatina, e sparisca fregandosi allegramente le mani. Segue ora una processione di figurini, che io vi verrò brevemente indicando, come lo permette la furia di quel buon uomo qui dietro : Un elastico personcino, che s' è fatto operare la spina dorsale. Un viaggiatore con la sua bella valigia ad armacollo. Un grosso e tondo personaggio che inalbera una bandiera sensibilissima al più lieve spiro dei 64 venti della rosa, col motto: 50 per cento. Un martire in sedicesimo. IH poeta che ha la disgrazia di non essere compreso. Uno scriba che fa un sonno digestivo sopra un monte di scartafacci, su cui sta scritto: statini, ecc. ecc. E cosi sarebbe finita la rappresentazione, se il cieco non volesse a mo' di giunta regalarvi un altro piccolo trattenimento. Attenti adunque, o signori, che qui ci convien mutar verso e stile. Siamo nella bottega di un calzolajo. Ecco là uosa, stivalli, tronchetti, lesine, cuoia affastellate in un canto, e tra quel rovinio mastro Gregorio, quietamente seduto sull' artistica scranna, dettar leggi come re dal suo trono a'circostanti garzoni. E se noi sapete, mastro Gregorio è la più buona pasta d' uomo che io abbia mai conosciuto e il più bello e perfetto tipo de* calzolai, massime per una sua straordinaria passione alti stivali che egli si é fitto in capo di voler un tal poco riformare a modo suo, secondo una certa idea, che da molto tempo gli va bazzicando pel capo. Ma direte voi, e che si voglion dire que' cannocchiali, e quelle sfere, e quegli astrolabi da un canto? Che han da fare quegli strumenti con 1' arte sua?1) — Gli è vedete, perché mastro Gregorio non è punto seguace di quel sistema esclusivo che vorrebbe ogni uomo tutt'occhio e cuore unicamente alla sua professione; ma crede e vuole le scienze e le arti doversi l'una all'altra dar mano, ajutarsi a vicenda, come le ruote d'una macchina che armonicamente si sorregono, si addentano, s'ingranano, conjurant amice, come direbbe quel buon uomo d'Orazio. Ad effettuare adunque quelle sue innovazioni scelse mastro Gregorio come scienza ausiliare l'astronomia. La relazione di queste due arti o professioni che le vogliati» chiamare, non è, convieu dirlo, troppo chiara ed evidente; ma in questo appunto consiste il merito suo principale. Ecco li vedete quel brav'uomo alzarsi [dan piano dal suo seggio ed indossata una vecchia zimarra tutta a fregi e a figure cabalistiche, inalberato un berettone da inquisitore, dar di mano al favorito suo telescopio. E poi su su a brancicone per quell'oscura scaletta, dopo di aver stracciato non so quanti artistici ragliateli, eccolo finalmente al suo osservatorio astronomico, al classico suo abbaino. Oh; ti si snebbino i cieli o fortunato maestro, si spalanchi uno sconfinato orizzonte alla bramosa tua pupilla, ti rivelino gli astri le arcane lor vie, odano le tue orecchie le armonie degli angeli, immortali guardiani delle porte del cielo ! — Ma occhio ve' o mastro Gregorio a' fatti tuoi mentre tu vai speculando le stelle, affinchè ei non ti avvenga come a quel filosofo greco che fu ad un pelo di berne più del bisogno! Occhio a' gatti, mastro Gregorio, che su per quelle alture padroni dispotici degli embrici e degli abbaini potrebbero repentinamente assalirti, e tu ne avresti qualche mal segno al viso, incancellabile forse per tutto il tempo del viver tuo! Occhio a' galli, mastro Gregorio, ed anche s'ei ti vengono innanzi mogi mogi miagolando, e facendo arco della schiena, e festevolmente scodinzolando, non te ne fidare, che sul più bello del giuoco senza che tu te ne avvegga, sarebbero capaci di sfoderare le unghie e di sfregiarti il viso. T. ') Con questo stile arruffato, anche pili del bisogno, il T, che non e altri che il solito P. T. gran cacciatore di vocàboli allora, voleva alludere al celebre compilatore del Nipote del Vesla Verde. CENNO INTORNO ALL'ANFITEATRO DI POLA Potranno lo passioni od i partiti elio agitano gli uomini recarli a formarsi un falso giudizio delle cose; si potran chiudere gli occhi a sconoscere la vita d'un popolo; ma restano i monumenti testimoni della passata sua grandezza, della sua origine, della sua civiltà, a redimere il vero, e a toglier di mezzo non meno l'errore che il pregiudizio. E a chi s'incocciasse a chiamar 1' Istria barbaro paese, privo di memorie del passato, e di l'ode nell'avvenire, noi opporremo, a portare innanzi un sol vanto, Pola e il suo anfiteatro. Che lo abbia fatto innalzare Vespasiano, o come meglio credesi Augusto, a noi non cade nell' animo d' indagare, e ne facciano pure gli eruditi diligente disquisizione. Diremo solo come s'arrabattassero i dotti per discutere la sua destinazione. Il Maffei lo sostenne teatro, e vi fu perfino chi lo sogno acquedotto. La tradizione lo vuole anfiteatro destinato ai cruenti spettacoli de' gladiatori. S' innalza a tre ordini il maestoso edilìzio, di cui 1' asse maggiore misura 137 metri, 110 il minore; ed è vasto così da capire fino a 26000 persone. I due primi ordini sono a colonne piane che tagliano i capitelli dei pilastri, su cui si schiudono archi di molto lume. Neil' ordine superiore, come nel Coliseo di Roma, vaneggiano finestre e sopra di queste, al sommo della fabbrica, gira una banchetta di pietra, qua e là ora sconnessa o mancante, e che vuoisi servisse a tener saldo, mediante il congegno di aste confittevi, il disteso velario. L' ordine è dorico, al dire del Serlio, o meglio toscano come vuole il Palladio. Una singolarità del nostro anfiteatro sono quattro torrette o contrafforti, che sta.'candosi ed allargandosi esternamente dalla cerchia, e quasi asserragliando l'arena, crescono vaghezza e maestà a 1' edifizio. L' ordine ò lo stesso, solo che al sommo si aprono quattro finestre, rimarchevoli pel traforo delle pietre, che a mo' d'inferriate le chiudono. A qual uso servissero le torrette non è così facile accertare. Il Malfei, ostinato in quella sua idea del teatro, le chiama case sceniche od ospitali. Più verosimile P opinione del Carli, che immagina girassero per entro a quelle le scale a comodo degli inservienti, che potevano quindi salire fino al velario senza sturbare il pubblico accolto nell'interno dell'arena. Ma di un' altra particolarità ancora dell'anfiteatro vuoisi qui tener parola. Scavi diligenti fatti praticare dal Carli col proprio peculio indussero a credere che su di un ultimo ordine posasse V edilìzio, e sterrando intorno fu scoperto un pilastro con soft'esso una gradinata, accennante di circuire tutto l'anfiteatro. Si conobbe allora come questo a quattro ordini fosse eretto, dei quali 1' ultimo a grossi piloni non voltati ad arco, ma sostenenti V architrave, perchè con la grave e soda loro maniera meglio facessero spiccare l'arditezza degli altri pilastri e degli svelti archi, che leggeri sopra di que' massi arieggiano. E se il nobile esempio dato dal Carli imitato avessero e governati e governanti, l'arena di Pola presenterebbe ora lo spettacolo, forse unico al mondo, di un sontuoso edifizio a quattro ordini posante su tre scaglioni, rafforzati da ampio lastrico di pietra. Dell'ultimo ordine e di questi scaglioni, non trovandosene, ch'io mi sappia, alcun vestigio altrove, giovi esaminarne il motivo. Non era l'anfiteatro nostro circondato come il Coliseo di Roma, da altre fabbriche; ma avendo a ridosso il colle, e dall'opposto lato prossima l'apertura del mare, è chiaro che per la sua posizione doveva offrire bella opportunità all'architetto di far campeggiare la fabbrica, e di trar partito dalla prospettiva del colle e lei porto che ampio si schiude dinanzi, armonizzando 1' opera sua con le ammirabili scene della circostante natura. E il mare adunque che tranquillo lam he la sponda, e il colle che amenissimo scende a bacio delle acque, gli suggerirono 1' idea di continuare quel piano e quel declivio col lastrico e con gli scaglioni, i quali poi specialmente a chi prospettasse l'anfiteatro dal porto doveano mirabilmente servire ad innalzare l'edifizio e a renderlo più magnifico e grandioso. Ma anzi tutto è a deplorare la rovina delle interne gradinate, di cui più non avanza che un mucchio di macerie e di rottami. Sembra che fino al secolo XVI1 si conservassero intere. 11 Deville poi, officiale della veneta Repubblica, dava pel primo esempio vergognoso, distruggendo le gradinate di queir insigne monumento per murare il castello. Al pubblico ladroneccio tenne dietro il privato, e l'anfiteatro conservato nei secoli della barbarie, dopo la violazione del francese, fu manomesso in tempi di civiltà. Ma la cinta esterna dura intatta. Oud' è che senza incorrere nella pecca di municipalismo possiamo asserire pel solo amore alla verità, essere il nostro anfiteatro meglio i ed udii ed interrogai circa ^fle condizioni sue naturali, economiche e civili. Non dissimulo, che talora ad una certa distanza non si possano vedere dal vero punto alcune cose, che a mirarli! troppo davvicino mcn bene si scorgono nei loro complesso^ E per questo non starebbe male che qualcheduno, il quale amasse l'Istria senz'esservi nato, facesse oggetto di suo studio il modo di giovarle. Questi men facilmente si farebbe illusione sui mezzi e sulle abitudini cui il paese possiede, sugli ostacoli che al meglio si oppongono; e non tacerebbe dei difetti, cui bisogna togliere per poter progredire. Ma io devo stare contento a gettar giù sulla costa alcune idee generali, che sieno piuttosto d' ispirazione a studi da farsi, che non uno studio esse medesime; e forse dirò anche cose ovvie, o che saranno state già dette da altri. Mi sia scusa ad ogni modo il desiderio di compiacervi, e ricevete, se non altro, una cordiale sfretta di mano. Mantenetevi nell'ottimo proponimento di giovare al vostro paese e scusale il vostro Pacifico Valussi*) Udine, ì Dici1 mòre 1850 Vrlina cosa necessaria per il. rinnovamento economico dell' Istria. Molti parlarono dello sialo economico dell'Istria, che non è de' più floridi, della necessità di avviare quel paese a migliori destini; mostrarono le difficoltà ili farlo e diedero utili suggerimenti, perchè la popolazione della penisola posta a ponente del Qnarnaro Ch' Italia chiude e i suoi termini bagna riguadagni quella prosperità ch'ebbe in altri tempi. Si poterono anche additare delle indubbie migliorie, che qua o colà vennero facendosi; e si dovette poi età chi bene osserva distinguere luogo da luogo, perchè senza di ciò s' ha piuttosto confusione che non utili insegnamenti. Avvisando però all'avvenire, prima di tutto dovrebbesi por mente ai modi di far nascere, o raffermare ne' più colti iigli dell' Istria la *) Pacifico Valussi il Nestore dèi pubblicisti italiani, vive ad Udine, 8 nello scorso anno ebbe anche dall' Istria congratulazioni ]>el suo cinquantesimo anniversario del suo ingresso nel giornalismo. v°lontà di occuparsi seriamente detti' interessi a tutto il loro l'ansi- e, .m h h i, ili i 11 - i i pienamente consci e persuasi, che nessun vantaggio da altri che da se medesimi, dagli sludi e lavori Propri e dalla loro consociata e costante ed alacre cooperatone potranno aspettarsi ; eh' ó d' uopo ad essi pensare per d tutto il paese, non per qualche singola città 0 borgata, se cogliono raggiungere qualche buon risultato. Se qualcosa io fico, parlo da una tale supposizione, che fuori di questo, Ogni discorso sarebbe inutile. Più di tutti hanno bisogno gl'Italiani di tenersi litio in niente, eh'e' medesimi devono " •' re della propria fortuna ministri, e che nel bene comune deve ognuno cercare il proprio particolare, sicuro di trovarvi} lo. Dovrò ij u imi i considerare T Istria nella sua unità di Provincia naturale e parlerò a quella classo, che per coltura ed amore del proprio paese sente il debito suo di esercitare Una tutela di presidenza su tutto il resto, e vuole porsi animosamente a' dirigerlo Merso il meglio. unità naturale (Iella, provincia istriana, ('onte Varie deve compiere Coperà della natura. Sebbene il carattere montuoso della penisola istriana *$Hda molti de'suoi abitatori quasi stranieri gli uni agli altri, j*e mantenga la diversità delle razze, dei costumi, delle ntigue, ne impedisca 1' unione degl' interessi e la cooperazione efficace al benessere comune, non si negherà eh' essa sia Costituita in «ma naturale provincia, a cui non doveano essere ostacolo nemmeno le politiche divisioni d*altri tempi. Circon-,|;i|a all'intorno dal mare ed appoggiatesi colla, sua base '11 /''i• Ia alle .Alpi, che ne rendono dillicili gli accessi per via *h terra, fuorché ai due passi verso Trieste e Fiume, città (''"' ne segnano per cosi dire i confini colla strada che al-•favèrso l'altipiano del (.'arso le congiunge, L'Istria è un'unità, tuttoché il dio Termine non abbia sempre e per tutti avuto gabile sede in luoghi precisamente determinati. É siccome R'd miglioramento economico d'un paese va fondalo sullo ue naturali condizioni e sulla posizione sua relativamente a (Ditelli che lo circondano, cosi devesi riconoscere l'importanza |* questa unità naturale o fabbricare su quella. L'altezza l'I11 0 meno grande de' monti, la qualità loro, la natura e Juversità del suolo, la varietà del clima ed altri locali carat-vengono corto a costituire nell' [stria tre regioni distinte, esse sono sempre quali tre membra del medesimo corpo. --t' Istriani ili scuotersi, e di opporre valuti resistenza, serrando in un l'ascio '° forze divise. Sarà breve lotta, speriamo ; e tutto procederà poi, corno e 'unissimo indicato dal Valussi, in modo naturale. GÌ' insegnamenti che si porgono unilamenle al beneficio e con amorevolezza vendono presto accettati. Si consideri il contadino slavo come lo strumento della propria ricchezza e della futura prosperità del paese, e si avrà geliate tal seme, che i figliuoli ne raccorranno il cento per uno. Mancanza d'un centro proprio d'istruzione speciale in Istria; danno che ne proviene; modo di sopperirvi. L'Istria, non solo è una provincia naturale dalle altre distinta, ma Ora trovasi anche in necessità di bastare per così dire a sé stessa. Ne Venezia, nò Trieste possono ajutarla nei suoi bisogni di avere una classe abbastanza numerosa, educala ed istrutta a cercare i vantaggi generali del paese ed in quelli i suoi propri. Goh Venezia sono cessati gli antichi legami di dipendenza; Trieste opera sull'Istria doli'offrirle in vicinanza un centro di consumo importante per i suoi prodotti ed un mercato pei- quelli ch'essa sapesse portarle mdla circolazione generale del commercio del mondo; ma non va piti in là. Trieste ed Istria, meno 1' arte nautica, per 1' istruzione che occorre alla classe media dei due paesi, sono del tutto estranee F una all'altra. Venezia e Padova possono all'Istria essere centro d'istruzione per la, classi; più ricca, che non voglia attendere agli interessi locali indie minute loro particolarità, ma godersi i suoi ozi, o per la media che aspiri a formare dei propri figliuoli tanti avvocati, o consiglieri, o pubblici impiegati, cioè ad allontanarli sempre più dall' attendere ai progressi economici del loro paese. Anelo; quelli che in Trieste si arruolano nelle file del ceto mercantile restano (piasi all'alto estranei dopo alla provincia propria. L'istruzione agricolo-tecnica, quella che deve formare dei possidenti, cittadini o campagnuoli, (Iella classe ricca e media ed anche campagnuola tanti agenti della prosperità economica del paese, manca del tutto ed è supremamente necessaria; più necessaria in Istria, che in qualunque provincia italiana: e per questo bisogna crearsi un centro di studi nell' Istria stessa. Ma come si potrà formarsi un centro di studi e di educa/ione eiauiomica in Istria? Sarà lecito? Chi lo farà? Ecco dello domande che senio l'armi ed a cui debbo, in qualche parte almeno, risposta. Obe sia lecito il l'ondare un' istituzione, alla quale si dovrebbe la rigenerazione economica del pròprio paese, recando allo Stato un vantaggio grande al pari di quello che vi avrebbero col tempo i privali, non si dovrebbe mai dubitarlo, ed anzi ogni dubbio, se il bene sia permesso, lo si devo considerare come ingiurio ■•<>. Che si possa attenderselo da altri creilo di no. 1 troppo piccoli non trovano facilmente chi si occupi dei fatti loro, Se parlano, la, loro voce assume sempre il tuono della supplica ; ed i supplicanti non sono mai volentieri ascoltati, riuscendo importuni, e vengono naturalmente posposti a coloro che sanno farsi valere come petenti. Da qui la necessità di fare da se : provvida necessità, poiché aggiunge coscienza di valere qualcosa e coraggio e forza a chi ci riesce. Ricorrendo per gli studi universitari e per i nautici ai cenici già esistenti, in quanto tonni di dare ai figliuoli propri una tale educa/ione, si deve formarsi nel paese un istituto per gli studi agricolo-lecnici, a cui principalmente l'accia capo la classi; media che vuole dedicarsi all'industria agricola ed allo industrie ailini, od altre che sieno, ove si l'orinino i maestri elementari, che sappiano le due lingue italiana e slava, gli agenti di campagna, i gastaldi, i possidenti che di proposito vogliano intendere all' industria della terra. Da tale istituto partirebbe non solo una classo numerosa bene istrutta per le pratiche applicazion i, ina un indirizzo ed un impulso a tulio il paese, perchè la classe abbiente ed educata si occupi di proposito di tutto ciò (die può avvantaggiarlo. Tua scuola deve considerarsi sotto a tale aspetto cioè come occasione ancora più (die come mezzo d' istruirsi, Si l'anno fanti avvocati e pubblici amministratori al di là del bisogno, perchè ne' licei e nelle università c' è la macchina dove si cacciano dentro i giovani e n'esce gente di tal sorte. In istituto di nautica nelle città marittime accrescerà il numero de' navigatori; e cosi una scuola di agricoltura nei paesi agricoli formerà molti che trattino la produzione del suolo cogli arredaménti delle industrie perfezionale, La scuola dà l'indirizzo; i libri, i giornali, i viaggi, le occasioni, la pratica, la necessità l'anno il resto. Lo stesso pensiero domina ora in Friuli, e si spera che fra non molto andrà effettuato. Ancia; V [stria faccia da se. Si presenta subilo la quistione dei mezzi pecuniari ; ma a chi vuole fermamente questo è nulla. I/ associazione deve rendere possibile quello Che non lo è ad uno, a pochi privati; 1' associazione di tutti i Comuni dell' Istria, e principalmente delle città della costa, dei cittadini più ricchi e più colti, che vorranno procacciare al paese loro, alle proprie ferro medesime, la semente che deve produrre il confo per uno, dei genitori che avranno ligi i da educare, i quali trovando nel paese un istituto atto ad impartire I' istruzione, ve li manderanno, contribuendo volentieri una tassa a quest'uopo. Nò mancherebbe forse qualche lascito, o ([uniche dono signorile, se l'idea si manifestasse chiara a tutto il paese. Si vegga quali nobilissimi esempì porgono presentemente per questo conto i Greci, i Serbi, i Hulgari. All' università di Mene principalmente vennero da ultimo splendidi donativi inspirati da un patriottismo illuminato, che non dovrebbe essere raro nemmeno fra noi. Circa alla parto sostanziale bisognerebbe far precedere degli studi importanti all'istituzione dello stabilimento; ma r Istria, della quale molti figli le fanno onore anche ih altri paesi, ha troppi ottimi elementi in sé stessa, perchè si possa dubitare (di'essa manchi all' uopo. Antica segregazione delle città della costa istriana, i di cui perniciosi effetti perdurano. Modi di togliere questo difetto e (/rare ostacolo alla prosperità economica del paese. Nel medio evo ogni città, ogni borgata, ogni castello formava, per così dire, uno Slato da sé; por gare, rivalità, disunioni, lotte, che esercitarono dapprima le forze, le spensero poscia. Tali gare, per cui ogni piccolo paese voleva primeggiare, abbassando i vicini, o considerandoli ad ogni modo come allatto estranei a gè medesimi; erano un difetto comune, ma nell' Istria aggravato dai diversi domini che vi si succedettero dividendola, dalla diversità delle lingue e delle genti, importatevi da varie parti, dalla difficoltà delle comunicazioni e da altre causo locali. Ed in questa provincia non essendovi mai stato un grande centro locale d'attrazione, che sorpassasse in importanza tutti gli altri centri secondari, ma piuttosto i più notevoli municipi godendo di una certa parità, nel mentre; per gli studi e per i commerci facevano capo ad altri paesi, e le comunicazioni rimanendo tuttavia incomplete, il difetto d' unione perdura colle sin; conseguenze piii che in molte; altre italiane proviucie. Non si può dissimulala;, che qualche rivalità, qualche reciproco pregiudizio non sussista tuttora, sebbene tutto ciò vada, scomparendo massimamente india classe colta. Questa saprà fare, che un difetto d'altri tempi si trasmuti in un pregio, in un vantaggio nei nostri. Col portar*; il contro amministrativo della provincia in un luogo, dove il solo motivo di farlo si è il nomi; che gli si diede (Mitterburg, cioè borgo o castello del mezzo, si dice a Pisino, che sta nel centro geogràfico dell'Istria, ma lungi da tutti i paesi più popolati), si tolse sino la tentazione ad una qualunque delle città della costa d'innalzarsi sulle altre come superiore a loro. Adunque esse potranno tanto più facilmente unirsi da uguali. Essendo poco assai ciascuna di esse di per se, vedranno tutte il vantaggio di unirsi nella operosità e nella cooperazione ai comuni vantaggi, come se fossero una sola città. Il difetto delle comunicazioni andrà, 10 si spora, scomparendo anch' osso. Le vaporiere intanto fanno viaggi periodici lungo là costa, mettendone in comunicazione le città. All'unione materiale adempie, ed a quella degli spirili cui mi giova, credere ancora prima avvenuta, bisogna far Seguire UH .'diro modo di unione, che si potrebbe dire strumentale, porgendo alla popolazione dolio divèrse città e borgate il mezzo di cooperare alla Comune prosperità economica. Le tante ali re provinCie., Che sono a dovizia forniti1 di ajuti d'ogni soide, vollero avere le loro Società d'incoraggiamento per l'agricoltura, per le arti, per le industrie, per gli studi applicati a questi fattori della pubblica, e privata ricchezza, a più forte motivo dovrebbe procacciarsela l'Istria, che avrebbe in essa uno strumento necessario per tutti i suoi progressi. 11 permesso di fondarla sarà corto per così dire prima dato che chiesto; poiché quasi ogni altra provincia dello Stato ha la sua da molto tèmpo, Con piccole contribuzioni di tuffa 1' Istria potrebbe fondarsi un' associazione produttiva d'immensi vantaggi, diretti ed indiretti, bissa saprebbe destare lo spirito di unióne, di operosità, d'interessaménto al coni un bene in tutti e da per lidie; far convergere le forze economiche, le attitudini, le intelligenze ad un medésimo scopo; intraprendere studi sullo stato presente della provincia in luffe le sue parti e sui modi di migliorarlo; eccitare ad occuparsene tutti coli*esempio, con premi, con incoraggiamenti, con onorificenze, con istruzioni, colla stampa, coli'insegnamento, colle esposizioni, col procacciare modelli di macchine, sementi, piante, col fare sperienze, rappresentare all' uopo il paese ne' suoi interessi, facendo valere il di lui diritto alla partecipazione ai beni comuni. L' istituto d* istruzioni-» speciale, di cui é detto più Sopra, potrebbe da quest' associazione medesima avere iniziamento, e così ogni altra istituzione secondaria che ne derivasse. IL giornaletto istriano sarebbe sua emanazione, e così un annuario, che avesse il medesimo scopo ed ogni opuscolo popolare che potesse penetrare lino nelle capanne dei villici. Essa fonderebbe una Biblioteca circolante di libri e giornali, che potessero successivamente passare in tutte le società filiali esistenti in tutte le città e borgate, tanto della costa che dell'interno. 1 manuali, i libri ed Ì fogli, specialmente di scienze applicate alle industrie ed all' agricoltura possono oggidì supplire in parte 1' insegnamento delle scuole ed accrescerne 1' efficacia. Dacché si formò una letteratura collo scopo particolarmente educativo, questa, ogni poco che sia dalle istituzioni scolastiche e dalle conversazioni della gente no colla ajutata, serve benissimo ad ammaestrare. Portando così P istruzione ed il fervore per il meglio in ogni angolo della provincia, non potrebbero a meno di risultarne degli ottimi effetti. Allora non finirebbe tutto in isterilì voti di qualche Geremia, di qualche Cassandra; ma anche il più debole sentirebbe di avere indi'unione una forza poi' il bene. Di alcune migliorie possibili entro ai limiti delle condizioni naturali esistenti ned' Istria. Quando si pensa a produrre qualche bene, bisogna prima di tutto formarsi gli strumenti con cui operarlo. Per questo indicai di quali istituzioni avrebbe d' uopo principalmente 1' Istria per il suo rinnovamento economico, ed a che dovrebbe tendere. La Società d' incoraggiamento, ricevendo ispirazione dalle circostanze locali, saprebbe all'atto pratico trovare e suggerire ed iniziare tutto ciò che fosse di maggiore opportunità per il paese. Datemi questo principale strumento di bene, ed il resto verrà dopo. La sua azione sarà forse lenta sulle prime; troverete ostacoli, opposizioni, e bene spesso la maladetta inerzia che le nostri! genti fa viver gramo più di qualunque altro malanno e tribolazione che provenga da cause esterne. Ma dopo tutto ciò, non si deve disperare. Gli ardimentosi terminano col vincere tutte queste difficoltà. Il punto è di cominciare. Ad onta poi, che il principio stia laddove ho detto, discorrerò brevemente qui di alcune COSO* cui 1' industria agricola istriana, sorretta dalla Associa/ione provinciale d'incoraggiamento, potrebbe far meglio con profitto di tutto il paese. Sarebbe in me temerità il volere, coli' incompleta conoscenza che ho dell'Istria, aggiungervi altro che qualche fuggevole cenno. Espongo solo alcune ideo generali, da cui altri faccia scaturire le particolari applicazioni. Prima regola di economia agricola si è di domandare al suolo i prodotti ch'esso può (lare, senza volerlo sforzare a produrre cose cui la terra altrove dà più facilmente, rimunerando in giusta misura le fatiche e l'industria del cultore. Poi si deve considerare e ciò che si consuma e ciò che vantaggiosamente si può vendere. Infine procurare che l'industria tragga profitto dai prodotti del suolo quali che si sieno. Avendo in mente i difetti e le buone qualità naturali del suolo istriano nel suo complesso la posizione di esso rispetto ai paesi di consumo ed ai centri commerciali e le altre circostanze in cui si trova, laccio la mia breve esposizione. a) Ricchezza dell' Istria sono i boschi. Il consumo che le strade ferrate, le diverse industrie e 1' accresciuta popò- Ili lazione fanno di legna da per tutto e F estirpazione di tanti boschi, cedui e «l'alto fusto, danno alle Legna un grande valore relativo. L'Istria ha il mare che giova ai trasporti e quando avi'à anche lo strade ne trarrà ancora maggiore profitto. E adunque utile conservare i boschi laddove ci sono, e accrescendoli dovunque è possibile, senza che tolgano lo spazio alla coltura degli altri prodotti, Principalmente tutta la parte superiore, di ripidi monti ed inacquosa, giova imboscarla: e ciò anche perchè imboscala sarebbe ostacolo alla Violenza od alla crudezza dei venti settentrionali e ritegno alle nuvole vegnenti dal mare, che ricadrebbero talora in benefiche pioggie prima di essere portate l'iii addentro nel continente. Queste migliorie radicali e grandiose, so non possono compiersi da una sola generazione, devono però venire iniziate e proseguite con opera costante. Converrà per questo Sottoporre il pascolo ad alcune regole, onde preservare; i teneri germogli dal dente degli animali; fare Vivaldi [dante che si adattino alle varie regioni, preferendo quelle che danno prodotti, il cui valore meglio compensa il trasporto. In molti luoghi giova, trasportare le legna sotto la forma più foggerà di carbone; e questo trovasi ad alto prezzo dovunque, e colle strade ferrate potrà fare del viaggio lino a lontani paesi. Gli albori da costruzione d' una certa grandezza si fanno sempre più rari; quindi a conservarli sì accumulerà ad ogni modo una ricchezza pei' i figli. La scorza della quercia presta materia alla concia delle pelli, Il seme del faggio può dare un olio di locale consumo; e cosi il noce, il di cui legno ha un valore per la sua bella macchia. In qualche; regione dell'Istria crosci; tino la quercia SOVero, in molta parte lo scodano, dalla di cui foglia polverizzata si potrebbe trarne partito per il commercio. Dove il terreno è in maggiore; quantità che; le; braccia possano coltivare, e dove; la coltivazione dei cereali non è molto proficua, la selvicoltura non solo è proficua per sé stessa, ma forma deposito di fertilità per altri tempi col suo terriccio. b) Tutte le coltivazioni arboree sono convenienti del pari in un paese montuoso e soggetto a siccità come l'Istria. Si dovrebbe quindi estendere la coltivazione degli alberi da frutto ad alto fusto; tanto per usarli e venderli freschi, anche ai lontani paesi settentrionali, quando Trieste vedrà compiuta la strada ferrata, come per disseccarli, 0 distillarli. I susini, i peri, i pomi, i peschi, i fichi, in qualche luogo i castagni 6 forse in qualche altro i mandorli, potrebbero essere di buon proti t lo, c) Le viti e gli olivi sono coltivali in Istria e danno prodotti di natura loro eccellenti. Pesta però molto da farsi per migliorare la fabbricazione dei vini e degli olì e per regolarne il commercio. In tal caso la coltivazione sarebbe suscettibile di accrescersi con profitto. Lo vinacce ed i vini di qualità inferiore potrebbero distillarsi meglio che non si l'accia ora. (I) 1 gèlsi sono suscettibili di essere coltivati in un'estensione molto maggiore d'adesso. Per l'allevamento dei bachi l'Istria ha il vantaggio in generale d'essere un paese asciutto e bene ventilato. I materiali per la costruzione di buone case, che servano da bigattiere, sono a. buonissimo patto in ogni luogo, avendosi pietre, calce e legname. Le buone abitazioni ai contadini farebbero fare grandi e rapidi progressi nella civiltà; e togliendole dall'isolamento, ed avvicinandole alle domenicali, sarebbe assai più agevole 1' assimilarli alla stirpe italica. e) La grande estensione di terreno dato a pascolo permette all' Istria di tenere molti animali. Ala tale industria vi è ancora bambina. Converrebbe, giacché e' è abbondanza di materiali da costruzione, Costruire prima di tutto buone stalle; poi accrescere la superficie dei prati stabili in confronto dei pàscoli; chiuderli, dov'è facile il farlo, con siepe viva, 0 muro secco: seminare in alcuni erbe primaticce, o che meglio resistono alla seccurà. La razza bovina si dovrebbe procurare di migliorarla, meno che coll'introdurre altre razze, collo scegliere il buono in quelle che sono naturalizzate nel paese e che si assimilarono alla natura del suolo. Le pecore sono numerose, e per la natura del suolo dovrebbero allevarsi più per la lana, che per la carne ed i latticini. La razza di lana lina, od i merinos, dovrebbe preferirsi per l'Istria, disegnerebbe fare delle Sperienzè per diffonderle da per tutto. /') V eccellenza ed il gusto squisito degli erbaggi dovrebbero farli coltivare in Istria anche per il commercio; per provvederne Trieste ed altre città colla strada ferrata, per le conserve all' uso della Provenza. L'orticoltura farebbe conoscere, che su quel suolo si possono avere dei prodotti primaticci, che vengono prima della siccità estiva. Sarebbero p. e. fra questi certe; qualità di piselli e di patate. >)) Dovrebbesi sperimentare là coltivazione di certe piante industriali e procurare di adottare quelle piccole industrie che si associano all' agricola. Talora il lavoro dà valor*; a certe materie che non si curano. li) La pesca potrebbe diventare , roficua all'Istria, ove meglio se ne sapessero preparare i prodotti, come si fa a Nanie- delle sàrdelline affumicate e delle acciughe in olio, a Genova del tonno. Per P industria del salare le sardelle non si negherebbe il prezzo di favore del sale, come si fa delle materie prime di tutte le industrie, che di regola sono esenti da dazio. Se si progredisse in tutte queste più facili migliorie Verrebbe il tempo in cui si potrebbe occuparsene di altre, che ora si giudicherebbero per intempestive. L'industria agricola è lenta ne'suoi progressi; ma una volta che li abbia raggiunti non li abbandona. Ma non è sola l'agricoltura quella che possa recare prosperità alla penisola istriana. 11 mare che la circonda le indica le sue vie per arricchirsi, G' Istriani devono farsi navigatori, ora che tutte le vie marittime in generale e quelle dell'Adria in particolare acquistano importanza. Ma di ciò è luogo a discorrerne particolarmente più sotto. La navigazione marittima ottima professione per la gioventù istriana. L'Istria portuosa si protende in mezzo alle acque d'un mare, eli'e l'una delle grandi vie del commercio del mondo ed in prossimità dei due principali porti dell'Adriatico. Parrebbe, che tale posizione vantaggiosissima dovesse servire di grande allettamento alla gioventù istriana a preferire la prò cessione di navigatori, in cui c' è da lare di bei guadagni, a qualunque impiego sedentario, donde si suol trarre uno scarso campamento alla famiglia, quando pure per una povera famiglia basti, mai ricchezza per sé e per il paese. L' Istria possiede anche dei bravi navigatori, ma non in quel numero che potrebbe e dovrebbe darne. Le città della penisola sono ben lungi dal gareggiare in questo coi due Lussini e colle bocche di Cattaro, che contano il fiore degli armatori e naviganti dell'Adriatico, e che le ricchezze acquistate sul mare fanno far rifluire anche sul povero suolo natio ben meno fertile ancora dell'istriano, fecondandolo. L'esempio dovrebbe essere allcttante per gì' Istriani, che dovrebbero dedicarsi in gran numero alla navigazione, e come capitani e marinai e come possessori dì bastimenti fatti in società. Il non farlo è un errore per essi, come lo é per i Veneziani di lasciarsi prendere il sopravvento. Nò devono temere di entrare in una via, nella quale incontrerebbero un' invincibile concorrenza dei popoli che li sopravanzano d'un tratto. C'è luogo per tutti gli animosi e soprattutto per coloro, che sapendo calcolare le nuove condizioni del mondo, sanno pigliare la fortuna pei capelli e se la tengono stretta, che loro non isfugga. Giova brevemente considerare i fatti, por cui la navigazione marittima in generale, e quella del Mediterraneo e dell'Adriatico in particolare sono per andare incontro ad incrementi continui per molti anni ancora. L'Europa cresce di popolazione per qualche milione ogni anno e manda oltre a ciò molte centinaja di migliaja a colonizzare i più lontani lidi. Questa è una causa poi-enne d'incremento nella navigazione marittima, poiché in doppia ragione cresce lo scambio dei prodotti di paesi e climi fra loro diversi. La popolazione europea aumenta anche di continuo in civiltà, in forza produttiva ed in bisogni cui vuole soddisfare in più larga misura che un tempo. Di qui altra causa di aumento progressivo negli scambi marittimi. Di più, le comunicazioni interne dogli Stati agevolale mediante le ferree vie, vengono tutte a reagire naturalmente sul traffico marittimo dei porti, a cui tali strade mettono capo; e questo lo vediamo tutti i di sotto i nostri occhi accadere. Questo in generale per tutti i mari del globo; per il Mediterraneo c'è di più ch'esso torna ad essere un vero lago frapposto alle Nazioni più incivilite del mondo, che serva alle loro continue, comunicazioni, e sia il mercato universale di esse. La foga irrompente delle barbare Nazioni trovò ormai i sui confini e dove cedere il luogo alla civiltà. La gara degli Stati europei è portata ormai verso l'Oriente, che non sarà più lasciato a sé stesso. La Francia pigliò per sè una parti» dell'Africa e forse dovrà venirsi mano mano impadronendo di tutta l'antica Mauritania. Forse l'Egitto, forse Costantinopoli e tidta la Turchia d' Furopa, forse la Siria slessa cadranno in mani europee. Che se ciò non avvenisse am ora, abbiamo sempre la Grecia ed i paesi danubiani che di giorno in giorno progrediscono, abbiamo sul territorio dell' Impero ottomano, in Europa, in Asia ed in Africa strade ferrate che si costruiscono, avremo per cosa certa, presto o tarili il taglio dell' Istmo di Suez, che riporterà al Mediterraneo il commercio delle Indio, della Cina, dell'Arabia, dell'Africa orientale, coli' aggiunta, di quello dell'Australia. In quo" paesi e negli altri vicini all'Inghilterra ed alle potenze europee rivali e necessità di progredire, per non rimanere esse medesime sopraffatte. Al Mar Nero, all'Azoti metteranno capo le strade ferrate che dovranno attraversare in parecchie direzioni il vastissimo territorio della Russia; ciocché solo deve portare ai mercati marittimi un gigantesco scambio di prodotti. Tutto questo movimento deve cascare nel Mediterraneo, e l'Adriatico deve averne una bella parte, che per la sua estremità dovrassi dirigere verso il Settentrione. Dilungarsi in tale enumerazione sarebbe un dubitare dell' intelligenza dei lettori, che vedranno più eh' io non dico. La storia del resto profetizza all'Adriatico le sue sorti. Ogni incremento di civiltà al settentrione ed all'oriente di esso portò prosperità ad alcuni de' suoi porti commerciali. A tacere degli anteriori, i tempi romani ebbero Aquileja, Pola, Ravenna, Ancona, Spalato. Poscia sorse Venezia, Ragusa. Ora bassi Trieste e Fiume, le quali condividono il traffico marittimo con altre città, anche accrescendo il proprio. V Istria, che circondata in buona parte dal Quarnero e dal golfo di Trieste, dà la mano alla città di questo nome ed a Fiume, e Venezia ed Ancona prospetta, P Istria è fatta per il mare, per la navigazione, per partecipare largamente a quel movimento ma-l'itti ino, al quale dovrebbe essere chiamata tutta la penisola italiana, se la gioventù nostra si formasse la coscienza chiara dell' avvenire a cui il suo paese è predestinato. Educata ai viaggi marittimi, portata di frequente in altri paesi ed a contatto con vari popoli, essa acquisterà i nobili ardimenti, che rigenerano gli animi ed i corpi e le società intere, e ridarà alla propria Nazione il vanto di civile fra tutte. Facciamo, come il Machiavelli ci consiglia, di non lasciar passare 1* occasione. Possano le mie parole augurare il vero ! Conchiusione. Conchiudo, che il rinnovamento economico dell' Istria, sarà indubitato, se gli Istriani andranno a conquistarselo per mare e per terra, uniti ed animati tutti da un solo spirito, dalla ferma volontà di giovare al loro paese. E questo che dico a' miei amici dell' Istria, intendo che sia del pari a' miei amici più vicini compatriota, ai Friulani diretto. E se questa niano che si sporge verso il golfo avrà la fortuna d' incontrarsi in qualche altra che si volga verso qua collo stesso istinto di benevolenza e d' unione, io sarò ben lieto. Frattanto dirò ad essi che VAnnotatore Friulano che in Istria si legge da qualcheduno, nella misura che gli è concessa, può anch' esso accogliere la discussione degl'interessi istriani, fatto che fosse collo stesso spirito di queste poche pagine improvvisate. ANNO IL 1858 1 Non è più la prefazione Lo ripeto, non è più la prefazione. E perchè? Il perchè 9U' ingegnerò di dirvelo se non mi farete i rigidi per una scappata della fantasia. Ella è grama ; ma pure tanto quanto mi ajuta a non lasciarmi pungere dalle ortiche; ne voi che discorrete, vi adagiate eh'io mei sappia sull'erbe molli «tra le purpuree rose e i bianchi gigli.» Ecco, io mi son qui che scrivo a tarda notte . . . No, no, non è romanzo ; è semplice cosa di fatto. A volta a volta mi fo ai vetri della finestra, così senza volerlo, sopra pensiero. — La notte togliemi il vedere. Ma odo il fischio del vento, odo V onda del mare farsi grossa, e sordamente muggire. Quel suono di lamento e d'ira ogni fibra mi ricerca, e con esso lungi lungi sen va la fantasia. — Allora rifaccio gli anni, mi riconduco ai luoghi sacri, stringo e torno a stringere la mano agli amici, riveggo i morti. — E quando nxi risento, trovo compagna al dolore la fiducia per la mia terra, che un saluto affettuoso io le riporto, e quella parola simpatia, che mi torna sempre all' orecchio dolcissima. Su dunque, animo; vi ha cuore per tutti gl' infelici; la patria non ha figliastri. Ed è questo il perchè che ci promettevi ? Come volete. In ogni modo la fede di battesimo è letta; e a chi ben crede Dio provvede. Dall' Istria nel Novembre del 1857. C. A. Combi AVVERTIMENTI PRELIMINARI al Rapporto sull'Istria presentato il 17 Ottobre 180G al Viceré d'Italia dal consigliere di stato Bargnani.*) Prima di passare a questo Rapporto, di cui pubblichiamo Quest'anno solo una parto, per non occuparne tutto l'Annuario, ci è d' uopo dire alcunché del nostro divisamente. Parte vitalissima degli studi, i quali, come meglio per noi si può, andiamo facendo intorno all'Istria, dev'essere la storia delle sue vicende, imperocché molte e molte memorie sono forza all'intelletto, virtù all'animo. E se i vantaggi ili simili ricordi non vanno sempre segnati da cifre, non appagano chi unicamente di quelle si mostra vago, non balzano all'occhio di chi l'ha offeso, o di colorate lenti armato, non cessa per questo che non entrino il più delle volte innanzi agli altri, li compongano anzi, li maturino, ne rendano meritevole lo sviluppo di premio, assai più della stessa materiale prosperità generoso. (ìli è però che incoraggiati dalla bontà dell'intendi-faento, ci adopreremo a riandare più estesamente la storia nostra, la (piale per acquistarne subito generale concetto, abbiamo avvistato lino alla morte della Veneta Repubblica Col sommario discorso già fattone. E3 se quesf anno l'idea di dar principio subito al lavoro più diffuso, partendo dai primi tempi, cede, quantunque ne avessimo già pronto lo scritto, all' anzidetto Rapporto, ec-cone il perché. Dalla caduta di Venezia, a cui ci siamo fermati, corre quella storia, che più strettamente si collega collo questioni presenti di migliorie educative ed economiche, e va. quindi trattata con maggior varietà di riguardamene e larghezza di applicazioni. E storia é il Rapporto, storia proseguita, storia *) Fu indicato al Combi dal nobile Signor Nicolò de Madonixza, possessore del rapporto stesso. dei tempi nostri, e per così dire addentellato delle più importanti nuove ^istituzioni di questa italiana provincia. Nuovo pertanto com'è ad essa (e rendiamo grazie al gentile che col diede) raggiunge, fatto pubblico, più scopi ad un tempo. Nè deve negligersi la considerazione, che se non può sfilare sul campo delle attualità il grosso, il centro delle nozioni storiche, sta pur bene eh'elle si dispieghino almeno alle ali, e cosi in qualche modo quello pure si percorra. Si tratta di compenso. Ed esso è ricco di argomenti, uè inutilmente. Produciamo adunque il Rapporto come documento storico, secondando così anco gli eccitamenti che ci vennero. Desideriamo poi che il documento medesimo, prestandosi ora ad opportuni confronti, ora a richiamarci a studi speciali, serva di avviamento pei* mezzo dei primi alla si ali sfica provinciale di questi ultimi tempi, tanto difficile a formarsi e pur tanto necessaria, e mediante i secondi sia, quasi programma alle cooperazioni dei cortesi, che di Por cognizioni vorranno giovare i relativi più larghi svolgimenti, *) E qui stesso ci provammo a mettere le parole in atto, pubblicando più innanzi alcuno studio, preso a tema dal Rapporto, e facendoci pure a qualche paragone: questo e quello in appositi articoli. Così proseguiremo d' anno in anno, che gli argomenti son molti e quasi tuffi amplissimi; e così la storia degli altri tempi che ripiglieremo, andrà accompagnandosi all' esame delle condizioni nostre più recenti o di quelle che ad ogni età si appartengono. Dove poi al Rapporto prestavasi opportuna e non lunga alcuna nota, 1' abbiamo data, accennando pure a particolarità, da ragioni locali giustificate. Ci studiammo con questo di gua dagnar tempo, anticipando qualche cosa di ciò che in seguito ci faremo a discutere maggiormente. Il Rapporto non è sempre nel miglior modo ponderato, nò sempre inappuntabile ò la connessione delle idee. Ma dimostra vivo desiderio del bene, dice quanto meglio torna u-dire da Governo che fu, si riferisce ad epoca importantissima, perchè passaggio a nuove condizioni, e dà saggio del come l'amministrazione del Regno d'Italia prendesse cura della provincia. Fa dunque pensare ; e pensare importa. *) Intanto ci professiamo grati a tutti quelli che già sovvennero gli studi nostri di loro indicazioni; e siccome per molti e molti argomenti
  • rsera. Questa mancanza e questo difetto di un genere tanto necessario sono bene dagli stessi abitanti vivamente sentiti e ne reclamano una provvidenza. Difatti in certi comuni si sono intraprese fabbriche di cisterne. A Parenzo, a Rovigno, a Cittanova, si costruiscono attualmente di tali recipienti di acque. Ma siccome quegli edilizi sono cominciati con estre ma magnificenza, e lusso sproporzionato alla forza e ricchezza di quelle popolazioni, resta luogo a dubitare che possano essere condotti a termine, quando la munificenza del Sovrano non li soccorra 15). Popolazione. Il Dipartimento comprende quattro città, ventiquattro terre grosse, e novantaquattro villaggi, i quali giusta l'anagrafi, ordinata ai Vescovi al momento del mio arrivo, e che ho potuto riscontrare nel giro della provincia, danno 8!),"~~>l abitanti per la maggior parte possidenti. Quarantamila circa di questi stanno al litorale, gli altri tutti occupano l'interno1'1). Molti sono i contadini che abitano la città e le terre grosse, a ciò obbligati dalla mancanza nelle campagne di opportune case coloniche, causa di un osservabile impaccio all' agricoltura pel tempo che devono impiegare a recarsi sul campo del travaglio, non di rado lontano di due 0 tre miglia17). GÌ1 Istriani sono in generale di statura più che ordinaria, robusti e ben complessi, e quantunque molti a v valiti da quell' inerzia ed oppressione, nella quale furono tenuti per tanti secolil8), lasciano travedere del coraggio e dell' ingegno. In fatti gli abitatori della parte marittima sono socievoli, laboriosi, ed industri. Quelli dell' interno al contrario, nella maggior parto composti di colonie slave di Morlacchi, Albanesi, sono inerti, poltroni, infingardi, maliziosi e bugiardi, dediti eccessivamente ai l'urti di campagna, ed in molti luoghi, come a Filippano, Roveria, S. Lorenzo in Dalla e altrove, alle rapine ed altro aggressioni violenti, accompagnate da omicidi. Convien dire per altro che il timore di un pronto esemplare castigo non poco influisca sul loro costume, dappoiché l'attività della, commissione militare ha in poco tempo tatto cessare quei mali, e ridonata a quelle contrade la tranquillità e la calma. In mezzo alla rozzezza dei loro costumi, come degli abiti, mosti-ano anche gli uomini dell'intima classe vivacità e talento che li caratterizza adattatissimi allo studio. Ma il pregiudizio invalso e fomentato nel basso popolo, che la dilapidazione delle proprie sostanze sia in ragione diretta dei lumi che si acquistano, H ha resi totalmente alieni da ogni coltura d'ingegno tfl). Gl'Istriani sono desiderosi degli impieghi, come avidi di onori e di premi20). È questo il carattere in essi generale; ma nella parte più comoda e civile si osservano più manifestamente la capacità d'ingegno ed il desiderio di distinguersi, il quale facilmente è da presumersi avrebbero essi giustificato fin qui, se non fossero stati per tanto tempo o trascurati troppo dagli antichi governi, o forse anco oppressi21). Ove fossero chiamati dal Governo nostro ad impieghi, tutto fa sperare, che non defrauderebbero la pubblica aspettazione. Le prove numerose di coraggio e di bravura, che hanno dato in diversi tempi, e la loro fisica complessione, li dimostrano niolto adatti al mestiere delle armi 22), al quale sarebbero anche proclivi naturalmente, se viste d'interesse particolare dei ricchi possidenti e massime dei capitoli e delle collegiate non ne allontanassero gli animi loro. I primi temono che manchino le braccia al lavoro della terra, i secondi calcolano il meno che ritrarrebbero dalle decime che godono. Agricoltura. Olì. La coltivazione del suolo è ovunque promiscua, a biade cioè a vigne; quella degli olivi si restringo quasi esclusivamente ad alcune parti dei distretti situati lungo il litorale. Pirano è quel paese che più si distingue in questo genere di agricoltura, e mantiene ancora un commercio di olio niolto attivo coli' estero. La vantaggiosa posizione lo preservò dalla malattia quasi generale di queste utilissime piante, cagionata dallo straordinario freddo del 1787. Dopo Pirano si distinguono nella coltivazione degli olivi i distretti di Rovigno e di Capodistria. In essi il prodotto dell'olio supera ordinariamente l'interno consumo, e se ne. vende, non però in molta quantità, a Trieste. Sul litorale, Parenzo coltiva anch' esso alcun poco gli olivi. Neil' interno poi della provincia gli olivi si veggono a Dignano nel distretto di Pola, in alcuna delle valli di Albona e di Montona. Ma l'olio di questi ultimi territori ben di rado supplisce al consumo annuale della loro popolazione. Durante il Governo veneto, questo prodotto era indirettamente soggetto ad un gravoso dazio. L'olio che veniva asportato dalla provincia d' Istria, doveva far scala al porto di Venezia, ove pagava un diritto d' introduzione e consumo per lo stato. Sotto il Governo austriaco questo regolamento non si mantenne in osservanza; quindi potendo evitare l'imposta, che tuttavia, sussisteva all' ingresso di Venezia, il commercio di questa derrata si è rivolto alla piazza 'li Trieste, siccome a quella che è più vicina, e che sommamente abbisogna di tal genere. L' olio dell' [stria generalmente ò di assai buona qualità. Esso formava in addietro la più ricca sorgente economica della provincia. Oggi, quantunque per V accennata mortalità degli olivi non sia di tanto prodotto, pure dà al paese un'utile esportazione, oltre al consumo interno 2:|). Sebbene presso taluno possa essere invalsa la persuasione che l'agricoltura nell'Istria sia universalmente abbandonata e negletta, non cosi di leggieri si può questo affermare. I distretti di Capodistria, di Pirano, e di Rovigno, una parte del distretto di Pola, nel quale Dignano si distingue, e quello di Albona, ne presentano una testimonianza ben diversa. Oneste popolazioni vi sono laboriose ed industri, ad onta delle grandi difficoltà che vi incontrano. Una malintesa economia rurale può essere l'orse la causa intrinseca dell'ordinaria scarsezza dei necessari grani. Sotto un clima soggetto all' e-stiva siccità, in un suolo generalmente di poco fondo, si dovrebbero proscrivere quei tardi prodotti, che più abbisognano del soccorso di una stagione abbondante di benefiche pioggie. Ma nell'Istria succede all'opposto. La coltivazione del grano turco ò comunemente in pratica, quantunque ben di rado giungano ad ottenere un abbondante raccolto, e vi è trascurata quella del frumento, che vi cresce a meraviglia e di perfetta qualità. In altri circondari poi, dal sistema stesso dell'agricoltura, ben si ravvisa da quali popoli sieno abitati; e tratto tratto appariscono i segnali dell' indolenza e della infingar-(jaRgine delle colonie slave, e la rapina e la devastazione '■'le morlacche. Quindi avviene che, rispetto alla intiera pro-Al|]eia, non si raccolgano biade che per otto mesi dell'anno al P^24). Fa duopo qui osservare, che la scarsezza naturale del Pr<>dotto viene aumentata dall'avidità del commercio triestino. La riunione di queste due provinolo ad un solo stato av«a introdotta la libera circolazione delle merci, che tuttavia Rasiste rispetto alla esportazione, avvegnaché il nuovo dazio istituito dal magistrato civile dell'Istria non contempli che ^ merci, le quali da estero stato s'introducano nella provincia. *jcco adunque ciò che in proposito oggi succede. Alcuni negozianti di Trieste acquistano nell'Istria il frumento di ottima salita ai prezzi infimi della stagione dei raccolti, e lo trasportano fuori, per introdurlo nuovamente di pessima qualità *?el tempo in cui la mancanza o la scarsezza d' ordinario si janrio sentire, e spingono il genere ad un eccessivo prezzo. Quindi due gravi danni ne derivano ai miserabili Istriani: \> spoglio ed il deterioramento della necessaria derrata, e | inevitabile aumento di prezzo, quand' anco questo si timi* asse alle doppie spese di trasporto. In tale stato di cose, sembra che convenir potesse : o Proibire assolutamente o sottoporre a gravosa imposta l'estragone delle granaglie per l'estero e Lasciare affatto libera. *■ importazione od almeno minorarne il dazio. Vini. I vini sono abbondanti ed anche di buona «piatita, non l'M|,é di quella perfezione, di cui sarebbero suscettibili. Maura j^l tutto l'arte della fabbricazione; il metodo della ferne-n-^Zione non si conosce punto; le uve si raccolgono acerbe ?d immature 1 vini pero che i particolari sogliono fare per ?ro uso e piacere, e che conservano e trasmettono in bot-;'sdie, si trovano eccellenti, ed alcuni di essi non la cedono abo stesso Tokai : il che prova quanto potrebbe essere mi-fiorato il vino dell'Istria-"'). Gelsi. Affatto negletta è la piantagione e la coltivazione dei ^J'si, e 1' imperfetto modo
  • i-v'gno, sol uno ha nome veramente di porto, e questo e abbastanza sicuro. *■ porti in line di Rabaz e di Fianona hanno in oggi potenti rivali, quinci la c°sta liburnica, che dà alla navigazione un numero ognor più crescente di farinai, e quindi Lussino, vero prodigio di marittima industria. , 14) Ora il magistrato supremo è il governo centrale marittimo di ■j'leste. La legge di organamento delle autorità di porto e -anila IV dipen-^re da esso quattro uffìzi centrali (Venezia, Trieste, fiume, Ragusa), nove JJifizi di circondario (Obioggia, Rovigno, Lussili Piccolo, Buccari, Porto Re, ^egna, Zara, Spalato, Megline), cinque deputazioni (Pirano, Sebenico, Lissa, ^sina, Curzola), ed altre minori agenzie ed espositure. L'Istria politica adunque ebbe due uffici di circondario (Rovigno e Lussino) ed una deputazione (Pirano). Il suo lazzaretto niurittimo è in Trieste. 15) Sullo condizioni del suolo o dell' igiene facciamo più innanzi apposite considerazioni. 16) L'Istria secondo V attuale sua estensione politica, di cui fu dato un cenno più sopra, conta 240000 abitanti. Distinta poi questa popolazione secondo i vari distretti, ed alcune frazioni dei medesimi, risulta che a quella parte d'Istria la quale formava il dipartimento italiano, spetta la cifra di 115000. 1/accreseimento adunque è di oltre 55000 anime. Dell' Istria geografica, la quale se perde molto di popolazione a confronto della politica, ne guadagna poi ben di più con Trieste e colla sua propagine settentrionale fino al Timavo, fu detto l'anno scorso; e ai 160000 italiani allora indicati, possono aggiungersi senza distinzione i 15000 italianizzati del Quieto. Questa popolazione italiana di 175000 anime occupa ogni città, ogni borgata, l'Istria civile, E questa c l'Istria. Gli Slavi che alloghamo dall' ottocento in qua più per misure amministrative che per immigrazioni, ora in numero di 112000, sparsi per la campagna più interna, parlano già per la maggior parte abbastanza bene la lingua italiana. Villaggi che sul cadere del secolo scorso non avevano chi la intendesse, si trovano al presente aver comuni i due linguaggi. Sì confortevole progresso è dovuto alle strade più frequenti, e col moltiplicarsi di queste andrà facendosi ogni dì maggiore. E se ciò dalla civiltà ò voluto, sarà ; che ormai nemmcn chi la combatte si dà a credere, possa ella rimaner vinta. n) Questi che il Rapporto chiama contadini, e che sono-tutti italiani, non possono dirsi veramente che giornalieri agricoltori. Essi abitano la città, e sono veri cittadini poiché non si recano alla campagna che di giorno pei necessari lavori. E questa condizione particolare dell' Istria, e se l'agricoltura ne soffre, come osserva bene lo stesso Rapporto, forse l'igiene ne guadagna, poiché i trabalzi di temperatura, vera causa i qui le alternative e non le contemperanze tra 1' una e l'altra. La bora, il greco, il maestro dileguano le nubi 0 le ''attengono; dispongono la pioggia, lo scirocco e l'ostro, e "el determinarla si associano spesso col ponente e colla tramontana ; il libeccio la interrompe, ma addensa vieppiù le ttubi, e cagliando dà luogo a pioggia più sformata ; il levante •aline la tiene in sospeso e a cosi esprimersi in aria se spiri moderatamente disteso, ma so rompe in bufera, corno suole Presso al solstizio d' inverno, chiama quasi tutti i venti a contendersi 1' impero del golfo, e dopo 1' acquazzone lascia Padroni del campo o lo scirocco o la bora, quello a spingere dal sud nuovo avvoltolato di nubi, questa a spazzarne il cielo m poco d' ora, gagliarda, asciutta, ravvivante. La bora, clic può chiamarsi vento speciale di questa ragione, mettasi tra il greco e d levante, e si forma propriamente sull'Alpe nostra. Ed invero tra il Nanos e il Ne-voso i gioghi degradano di quasi due mila piedi per 18 miglia all' incirca di larghezza. Quivi i due climi del sud e del nord Sl affrontano, l'uno basso, alto l'altro. Naturale quindi il Precipitarsi doli' aria costipata sulla rarefatta, e stretta com'è dai monti, sprigionarsi a ri l'oli sullo nostre terre e sul nostro mare, veemente, strepitosa, e quasi dicemmo ingorda. Sposso dalle gole, tra cui si caccia, ne vien 1' urlo foriero, come grido di scolta d'in sulle vette alpestri, in uno coll'affoscarsi della, montagna e collo sfumare delle nubi sparnieciate per * aria. Vera bufera con furiosissimi pie di volilo noli' Istria Superiore, lo è pure, sebbene con minor forza, nella media. Oltre la punta di Salverò invece si equilibra a condizione comunale di vento. Ma non cosi alla costa orientalo nel tempestoso Quarnaro, ove metto il maro in fortumi ben oltre il ^romontore, terribile corrente fra la Dalmazia e l'Istria. Però sello alla [ninfa di Salverò su dillo il rimanente della costa occidentale non mono che su quella d1 oriente, * ostro e-lo scirocco, ancora caldi e rilassanti, sebbene de-lHira.fi nel loro tragitto per l'Italia peninsulare, vanno a gara forze col ponente e col libeccio, gonfi a tori del mare, i 'JUali sono bensì men caldi ma più irritanti poi salsi vapori di che s'impregnano attraversando l'Adriatico. E il maestro die soffia più gagliardo nel golfo di Trieste, supera quest'ui-|tòi in umidità, che lo secche di Àquileja, gli sfagni della ^dobba ben più delle paludi di Còmacchio ci sono vicini. ^*a tramontana invece, il greco, la bora, che ci vengono da ^erra, sono eccitanti, freschissimi; e il levante, essendo breve il tratto di mare che passa, ad essi in questo si agguaglia. Di solito diurni i venti occidentali e gli australi ; notturno il levante ; la bora specialmente vernale ; e più insistente nelle stagioni medie lo scirocco. Siccome poi i contorcimenti della costa ora a questo ed ora a quel vento pongono ostacolo, non è raro che più venti muovano e si scambino ad un tempo attorno la penisola: Fenomeno che si manifesta pure a fior d'acqua nel vario incresparsi dell' onda e nel correre delle nubi più alte e più basse in direzione opposta. Ciò non toglie peraltro che gli agitamenti maggiori e più decisivi dell' atmosfera la sbilancino cosi da produrre l'anzidetta alternativa delle umidità e dei seccori. L' umidità non ha un solo periodo annuale come nelle regioni tropicali. Per l'incalzar dei venti australi suole essa regnare prima nei mesi di Febbrajo, di Marzo e di Aprile, e poi nel Settembre, nell' Ottobre e nel Novembre. Allora una fitta acqueruggiola attrista con monotono piagnecolto per più giorni alla dilunga; e non raro accade che la luce del sole, smorta o per dirla con frase nostra popolare, ammalata, ora splenda ora si celi più volte al giorno e per più fasi lunari, tra le sospensioni e i ripigli dei brevi rovesci. Ma non è a dirsi che l'umidità vada ogni anno soggetta a questa vicenda ; che il periodo delle pioggie ora si allunga ed ora si accorcia, ora s'interrompe ed ora si trasporta a mesi non suoi, secondo il vario imperversare o l'incrociarsi dei venti. S'ella forma uno dei due caratteri del clima nostro, quest'ò tra per la prevalenza dell' umidità, che breve o protratta in ogni autunno e in ogni primavera si appalesa, tra perchò i più lunghi suoi periodi riprendono il loro ciclo meteorico ad ogni terzo o quarto anno. Inoltre è da avvertirsi, non essere 1' umidità nell'Istria cosi assoluta, cosi radicale da non subire, anco a brevissimi intervalli, le opposte influenze dell' atmosfera variabilissima. Perciò negli stessi giorni piovigginosi lo sparila1 ad un tratto delle traccie d' umidore negli abitati, 1' incrostarsi dei terreni, le oscillazioni elastiche di nuova corrente tra 1' aria floscia. D'altra parte le nebbie, per lo più nei mesi di Novembre e di Marzo, non sono nò lunghe nò fitte. E 1' Istria non ha stagnanti acque che la funestino. Vi sono bensì vallate, le quali, per mancanza di buon governo agli sbocchi, rimangono sott' acqua ove la pioggia ruini, ma non immollano che per breve tempo, poiché o altro vento secco o il caldo, soccorsi dalla natura calcarea del suolo, le rasciuga prima che gli effluvi si espandano e le nocive loro combinazioni si compiano. Che se ai lidi minori dell'Istria marnosa, la quale di sua natura lascia scorrere facilmente le acque sulla superficie, si formano sedimenti per le terre che quelle menano seco, come a Muggia, a Capodistria, a Pirano, il danno che dalle paludi potrebbe venire alla salute é tolto parte dalle saline in che le melme marine furono convertite, e parte dai flussi del mare, il quale battendo limpido a rive scogliose, l'onda viva rinnova, stempera le sostanze metiliche, e ne corregge le esalazioni, spogliandole dei più crassi umori. Per 1' acqua piovana segna qui 1' udometro la media di circa 090 millimetri; le giornate di pioggia, pure a termine medio, sommano a 110 in un anno. L'Istria cosi fu ascritta por tale riguardo all' Italia padana, la quale porta la media jetografica di 930 millimetri. Quanto all' Italia tutta, ella conta una media di circa 100 giorni di pioggia; ma dello suo provincie ve ne sono alcune, come la Garfagnana, che più dell' Istria ne annoverano e più umide si giudicarono. Se poi consideriamo le cifre di 130 giorni piovigginosi oltre l'Alpe nostra, di 140 all'alto Danubio, di 150 all'Oder, di 160 al Baltico, di 180 in Olanda, e perfino di 210 sulla costa orientale d' Irlanda, dobbiamo confortarci che 1' Istria sia ben lungi da proporzioni, per cui possa esserle tolto il sorriso del suo cielo d' Italia, sempre bellissimo quando è bello. Ed è anche troppo bello allor che i lunghi giorni di siccità volgono sulla misera campagna, sì ch'ella scolora, arde, e fa lagrimevole contrasto col vivo azzurro di un sereno oltre ogni dire limpidissimo. Questo, specialmente nei mesi di Luglio e di Agosto, si ferma in cielo, per così dire, implacabile. I venti orientali ed occidentali, scambiandosi quasi con periodo diuturno, spingono quinci e quindi della penisola i vapori a formare altrove le nubi, che da una parte e dall'altra sorgono alte montagne ad attirarli, e quelle dell' Istria, diboscate e più umili come sono, non vi possono di mezzo. ' E quando lo scirocco o il maestro a vicenda si caricano sull' estremo lembo dell' opposto orizzonte, addensandovi i neri nugoloni, e a vicenda l'uno sull'altro si rifa rimandandoli, promettitori di larga pioggia, allora, mentre il nembo nell'ob-bliquo suo traversamento sovra il golfo largo intorno si dispiega stracciato dai lampi, ad un subito o a greco o a libeccio solvesi le più volte nell'aere un groppo di vento, il quale da prima rompe la fitta distesa delle nubi, spirandovi di fianco, poi le piega dal loro volo, e togliendole così all' impulso della propria corrente, termina in brevi istanti collo sperderle dall' orizzonte. Che se pure si gitta in questo cozzo una spruzzaglia sul suolo affocato, più perniciose ne sono le conseguenze per la maggior evaporazione che ne segue e il più vibrato agitamento dell' aria. Nò rara, sebbene non larga, e la gragnuola in sì repentini trabalzi di temperatura. Così 10 sperato benefìcio o viene rapito o torna a maggior danno. Per rimediare a tanto male, si pone studio da qualche anno ad imboscare i Carsi, che le povere acque dell' Istria non permettono alcun progotto provinciale d'irrigazione. L'impresa è lunga, ina il bene che se ne attende, sia stimolo a proseguirla con assiduità e costanza, degne di un'opera grande. Le cose dette intorno agli umidori e alle siccità vengono a commento della temperatura. Non ò vero che l'Istria di solito conosca solo due stagioni, la calda e la fredda. S'interpongono bensì, sempre per la grande varietà dei venti, giornate calde o fredde nelle stagioni medie, ma queste hanno buon corso di due ed anche di tre mesi. La primavera anticipa a spese dell' inverno, e di ordinario comincia a farsi sentire già nel Febbrajo, sì che in sui primi di questo mese si apre la violetta, e mettono fiori i mandorli. D' altra parte l'autunno, se tarda, continuasi poi innanzi nel Decembre, eh' ò solo di nome mese autunnale anco in paesi più meridionali dell' Istria. Fannosi i maggiori algori dalla terza decade di Decembre alla metà di Gennajo, e se pungono nuovamente nel burrascoso Marzo, tanto più funesto (pianto più mite e di bei giorni lieto sia stato il Febbrajo, poco dimorano, capricciosi o come qui suol dirsi, matti nelle loro vicende. È dunque mite il nostro verno, e la neve, che viene apportata dal levante, è rara al piano e non si gola mai, che anzi con danno della campagna ben troppo presto dimoja. E 11 forte caldo non ha regno che nei mesi di Luglio e di Agosto, ma asciutto, non umido, non soffocante, e a certe ore mitigato dai venti maestrali e levantini, pei quali non possono dirsi molte le notti di copiosa guazza, sendo questa amica a sottil brezza e non a spiro più gagliardo. La media termometrica in Istria ò di ■•]-- 7° -f- 2° d'inverno, e di -f 23° -f- 20° di estate. La barometrica, di 759 millimetri. Quantunque poi breve assai sia la penisola nostra, pure vi ha qualche divario di temperatura tra lo due coste e le terre centrali. Quelle por lo sinuosità dove più difficilmente si sperde il calore, sono men fredde delle seconde nel verno, e men calde nella state, perché più aperte ai voliti del mare. Gli é però che nell' inforno dell' Istria si fa più sensibile o regolare la distinzione delle quattro stagioni. E tra le stesso due coste vi ha differenza, avendo l'orientale, battuta come è più presto dai venti freschi di N E, il periodo estivo più ristretto. Tutto ciò che fu discorso dell' umido e del secco, del caldo e del freddo, porta alla conclusione, che il carattere stabile del nostro clima si è la instabilità, e che da questa, e non mai dalle false ipotesi di aria malsana deve ricercarsi il principio di ogni giudizio intorno alla condizione sanitaria della provincia. IGIENE Le febbri intermittenti, che travagliano parecchi luoghi dell' Istria, sono 1' unico morbo che possa qui dirsi endemico. Ma lungi dall' aver causa da alcuna infezione atmosferica, vien esso attribuito ormai da tutti gli esperti delle scienze mediche, ai repentini mutamenti di temperatura, ai subiti passaggi dal caldo al freddo nel periodo di poche ore, spe • cialmente nei mesi in cui 1' umidità predisponga i corpi a sentirne più presto i perniciosi effetti. Gli è però che l'autunno e la primavera, che sono le stagioni umide, si rendono ad un tempo anco le più fatali per le febbri. E se a quella di autunno segna inverno asciutto, facilmente gli ammalati riprendono lena e guariscono. Ma ove continuino spessi i mutamenti di temperatura, e la primavera vada triste per pioggie più dirotte, il morbo ricomparisce più grave, e le recidive allora tanto maggior nocumento arrecano al già infievolito organismo. I fatti che qui furono accertati corrispondono perfettamente a quelli, di che in altri paesi di analoga condizione fu ampiamente discusso. Le grandi variazioni atmosferiche si trovarono da per tutto proprie ai paesi marittimi, e tra Questi più ai lidi occidentali, e più ancora ai meno elevati. Cosi in Istria. La costa occidentale, che va propriamente da Salvore al Promontore, è la più soggetta all' inseverir delle febbri. Per essa bastano le mutazioni ordinarie dell'atmosfera a produrle. Quella invece volta a maestro, e più ancora l'orientale, non vi soggiacciono che coli'imperversare di straordinarie meteore. Mano mano poi che dalla costa si a-vanzi nell'interno della penisola, e in un medesimo più graduali si avvicendino i mutamenti atmosferici, anco le febbri intercorrenti smettono, e vi sono molti luoghi che non le conoscono, costantemente salubri. Ma sugli stessi lidi più esposti e più molestati dai venti occidentali, i quali rendono massima la differenza termometrica dall' ombra al sole, dal giorno alla notte, le città patiscono ben poco, sia perchè gli aggregati edilizi gli uni agli altri fanno schermo contro il diretto soffio dell'aria del mare, sia perchè più civili sono i costumi, e quindi più nette le abitazioni, più diffusi gli accorgimenti preservativi, più pronte le mediche assistenze. Parenzo da più di un secolo e Pola da parecchi anni ci offrono l'esempio del quanto possa contro le febbri intermittenti il moltiplicarsi di buone case. La prima, deserta dalle pesti del secolo XVJI, ne fu per anni oltremodo desolata. Ma rifattasi, migliorò cosi anco nei riguardi della pubblica salute, da potersi dire già da molto uno dei soggiorni più salubri della costa occidentale d'Istria. E così Pola, accresciuta ora di edilìzi, vede farsi ognor più ristretto il numero degli ammalati di febbre, e si avvia a sempre migliore condizione igienica. Ma quelli che sono costretti ad abitare nel contado, in vicinanza al mare, casolari isolati, raccogliendo spesso e la famiglia e quant' altro hanno fra quattro pareti, mal riparate e peggio in essere di pulitezza, gl'infelici che mal si nutrono, che ad acque non sempre pure si dissetano, che di vesti dì-sadatte si coprono, e che logorano la vita in aspri lavori sotto la sferza del sole, senza darsi pensiero del contrasto dell' ardore che soffrono cogli umidi venti occidentali che freddano loro indosso il sudore, è ben naturale che più degli altri sottostieno all'endemia, non essendovi mutamento atmosferico che non trovi tutto pronto ad esercitare su di essi ogni maligna influenza. Veggasi dunque quale missione abbia anche sotto questo riguardo in Istria la civiltà. Non si tratta già di aria miasmatica, a cui venga meno umano provvedimento ; sì di male, occasionato è vero dalle vicissitudini atmosferiche, ma disposto e svolto da un vivere non ancora dirozzato, o non peranco tolto intieramente a pulirsi. E chi proseguirà a dare indirizzo alle molteplici forze dell' incivilimento ? Forse 1' i-gnoranza di qualche tribù slava, quella stessa che più ha bisogno di soccorso ? Il bene ò in mano di chi lo comprende, della coltura, e questo privilegio, fonte di doveri che sono diritti e di diritti che sono doveri (passateci il gergo), pazzo chi sogna di rapirlo. Fisso adunque lo sguardo in volto alla civiltà, svelto il piede, larga la mano. E a tela ordita Dio manda il filo ! Intanto facciamoci ad alcun che di speciale, alla questione dei medici di condotta. Essi mancano affatto alla campagna. Ecco pertanto manifestarsi malattia anco d' indole grave, e questa trascurarsi, o peggio ancora inasprirsi dai bizzarri suggerimenti delie donnicciuole del villaggio, perchè non è a mano il medico. Avviene quindi ben di frequente che gli ammalati lo chiamino dalla città o da qualche borgo maggiore a guarigione quasi disperata, se pure non preferiscano di dare I' ultimo crollo alia vita col recarvisi in persona, perfino a piedi, miserevoli a vedersi. E in ogni modo come ripetere ad intervalli adequati le visite degli infermi «li lontani villaggi; e per quanto generosi sieno i medici delle città, come risarcirne per lo meno le spese di viaggio ? Le più imperiose necessità vogliono adunque la insti-tuzione di medici condotti, esposti pei villaggi d'ogni distretto nei più grossi comuni rurali. I fisici distrettuali, sorveglianti governativi di pubblica, igiene, e non sempre clinici pei privati bisogni della campagna del distretto, non possono certo rispondere allo scopo, e se, come corre voce, verranno tolti, la pubblica amministrazione dovrà recarsi sempre più a coscenza V obbligo di metter mano ad altro più efficace provvedimento. Nò dovrebbe ella rimanersi estranea all'altra questione vitalissima dell'acqua potabile, povera com'è L'Istria di sorgive, e bisognevole quindi di ricorrere allo spediente delle cisterne, dove accogliere e depurare 1' acqua piovana agli usi della vita. Colle proprie forze fanno già molto gl'Istriani: tanto lo spirito di progresso del secolo, anco senz' altri ajuti, valse ad inanimirli. Ma ben molto ancora resta a farsi, che gli abitanti di non pochi villaggi debbono re arsi tuttora a più ore di distanza, pei' attingere acqua, non sempre buona, talvolta pessima, con che spegnere la sete e cuocere le vivande; e vi ha qualche luogo non povero di fortuna, dove (cosa orrenda a. dirsi) si rinnova lo spettacolo degli schiavi di Babilonia, ai quali era in bocca il Lamento: aquam mostram pecunia bibinms. E che taluno tardi il bene, perchè il povero ..abbia a gettargli ancora nel pozzo qualche vile moneta, noi vogliamo credere, né lo crediamo. La cisterna, se scavata senza lusso di apparenze, non esige poi tale un dispendio che possa sembrare tropp'arduo all'associazione di più luoghi, tra cui ella avesse opportuna posizione centrale. Ed è questo spirito di associazione che spetta alla classe colta di diffondere e di governare cosi da francarlo e dalle insidie dell' avarizia e dalle imprese senza consiglio di chi peli' operare non misura quanto dal /'ore al dire sia che ire. Maturo n'è il tempo e il campo si presta a ricevere buona semente. ,\ ' è prova la necessità dovunque riconosciuta di condurre nuove stradò, di congiungersi alle principali, di scendere al mare. E3 sia pur tenuto felino, che a questo si rannoda ogni idea di miglioramento. / DELLE STRADE Simile a corpo in cui ristagni il sangue è terra senza strade. Vecchia verità, ma sempre nuova per chi non si vede tra' piedi che 1' ombra del campanile. Ne sono di questi in Istria? No, la Dio mercè, e il poterlo dire è buon contorto a sperare il meglio. Pur troppo non sempre le più costoso imprese si videro qui riuscire ai migliori risultamene, non sempre le più utili furono prescelte, nò avvenne che sempre fossero attenute le promesse, l'osse posto il buon senno al governo dei lavori, avesse trovato coscienza la fede dell'Istria elio pagava, Ed ella fece molto, e si può dir tutto a proprie spese, sia per le strade provinciali, sia por quelle ili distrotto e di comune, in questo veramente splendida nella sua povertà. Ma V errare insegna e il maestro si paga, nò senza gravi sagritìzì si può arrivare ad un bene conio quello dello strade, il quale abbia a rimanersi fondamento d'ogni morale e materiale prosperità per la provincia nostra. S'intreccino le vie di comunicazione in ogni miglior modo e quanto è più possibile, e le conquiste della civiltà si allargheranno, ella farà suo, nostro, quanto suo e nostro dev' essere, le occasioni, gli incentivi a più pingui vantaggi cresceranno, si avrà ri-eonoscenza, lode, fidanza, in casa e fuori. Nò chi è in umore di fare il grave, spacciandosi per tirato al positivo, chiami queste parole che si dicono, poiché basta un girar d' occhi a vedere i fatti, li per picca dei contraddienti. E riandando i tempi, la vita che auguriamo all' Istria, ci viene veduta all' ombra dol gonio latino floridissima, Allora una rete di strade stendevasi dall'un capo all'altro, damare a mare. Da Trieste, eh' era unita alla gran piazza di Aqui-leja, al bacino della Sava e al golfo Flanatico, scendeva la strada principale, passava per Tribano di Buje, e giunta al Quieto sotto Grisignana, piegava per Castellier fino a Parenzo, donde montata alle alture di S. Martino, e condotta presso alla punta Barbariga, bordeggiava la costa fino a Pola, per poi uscirne a raggiungere Albona, Moschenizze, Fiume. E le strade intermedie erano volte così alla gran via del mare, che tutta 1* Istria le fosse fianco. Ma trascorsi i secoli di prosperità, il feudalismo paralizzò la provincia, e nei morti membri fu mestieri si dissolvessero in polvere anco le strade. E il male sotto questo riguardo fu ben lungo. Quando 1' Istria si trovò nel regno d'Italia, formato da Napoleone, poteva dirsi senza strade, tanto le poche che vi si segnavano quasi da se, fondandosi, inerpicandosi, così da farsi innanzi alla meglio, vagavano incerte, interrotte, senza scopo provinciale. Ai nostri tempi adunque il primo pensiero di una strada provinciale fu del governo italico. Ed ella fu condotta da Trieste per Zaule, Ospo, Covedo, Luchini, Socerga, Pinguente, lambendo buon tratto dell' Istria superiore, poi per Tuttisanti, Grimalda, Novaco di Pisino e Pisino attraverso l'Istria media fino al centro della penisola, e infine (più tardi sotto T amministrazione illirico-francese) per Gimino, S. Vincenti, Degnano, a Pola. Questa linea tagliava T Istria pressoché a mezzo, cosi peraltro da tenersi alquanto più ad E, specialmente da Pinguente a Pisino, dove affaticavasi su per monti affannosi arduo passaggio ad ogni men leggero trasporto. Fatto era il primo passo, né il tempo lasciava posare. Fu quindi applicato T animo ad altra linea che meno si discostasse dalla via del mare; e sotto il governo austriaco la strada provinciale prese altro cammino più ad occidente nel suo tronco superiore fino a Pisino, fermo l'altro da questo luogo a Pola. A piccolissima distanza da Capodistria, presso S. Michele, fu tolta giù dalla strada che congiunge quella città a Trieste, e per S. Antonio e Gradigna fatta salire a Portole, scendere alla valle di Montona, e quindi per questa città, per Novaco di Montona e per Vermo riuscire allo stesso centro di Pisino. Fu detta di Montona a differenza della prima chiamata di Pinguente. Ma di nuovo prevalendo 1* idea di farsi più presso al mare con altra linea ugualmente almeno fino a Pisino, dal ponte di S. Nazario a pochi passi da Capodistria si fece andare con varie ritorte la strada provinciale per Gazone alla Dragogna e avanti per Castelvenere e Buje al Quieto sotto Grisignana; e quivi il pensiero di proseguire il cammino più dappresso alla costa anco nell' Istria inferiore avanza e dà addietro, tanto è il torcere che fa la via, spinta da prima per Visinada al monte Tizzano, dalle radici di questo fin oltre Caroiba sotto Montona, per raggiungere 1' altra linea provinciale di Novaco e Vermo. Questa è al presente la postale, mutata tre volte al di sopra di Pisino, nodo d1 ogni progetto, e sempre la stessa invece al di sotto, con ciò solo che ne fu staccato un ramo da Gimino, centro dell' Istria inferiore, il quale si protende per Canfanaro fino a Rovigno. Si tornò bensì al piano di spingere la via provinciale oltre Tizzano diritta per Monpaderno, S. Lorenzo, a Valle, sulla strada che va da Rovigno a Di-gnano, e quindi a Pola. Ma condotta con grande spesa a S. Lorenzo del Pasinatico fu lasciata lì, strada cieca, che aspetta da molto le venga a dar luce il buon senso comune. Questo e gli altri tronchi di Montona e di Pinguente, abbandonati dalla manutenzione erariale, restarono strade distrettuali, vale a dire da conservarsi dai singoli distretti che percorrono; che l'ultima soltanto delle tre provinciali o postali che si vogliano dire, viene ora dall'Erario tenuta in governo. Presentemente poi lo Stato prese a condurvi la posta altra strada ancora, apertasi attraverso la sezione orientale della penisola. Ella va da Pisino a Fianona eh' era sì triste nella sua solitudine, ed è quasi fune (diasi passata all' immagine) gittata agli abitanti di queir ultima sponda italiana, per toglierli ai fiotti del Quarnaro. Dove poi l'aspro piede del Caldera si porge in mare, la stessa via fa volta e corre su per costa a prendere Moschenizza, Lovrana, Volosca, la strada di Fiume. Nò questa è la sola via che metta 1' Istria in comunicazione coli'intimo seno della Liburnia, che antica strada della Contea si parte da Pisino, volta a greco, e su per Vragna, valicato il Monte Maggiore, a quella regione si cala. Fu 1' unica, fino a questi ultimi anni, che siasi lavorata a spese dell' Erario. Havvene ora una seconda. Al di là della Vena presso a Divaccia esce ella dal fianco della strada ferrata di Trieste e preso perciò il nome di commerciale, si viene a noi per Rodich, Gemicai, Covedo fino a Galanti, sulla prima strada provinciale, quasi a mezzo la distanza fra Ca-podistria e Pinguente. Ivi tra il continuarsi su di questa o il correre diritta ad infilare poc' oltre la seconda strada provinciale, si arrestò in forse. Vuoisi ora deciso il primo partito, e con esso stabilito il ritorno alla prima strada provinciale, la quale dovrà essere postale e commerciale ad un tempo da Cernical in giù; più su propriamente commerciale nel suo tragittarsi a Divaccia, specialmente postale invece nel giro che ha già fatto per isrnontare al Risano ed accostarsi a Capodistria anziché riprendere il passo per la Noghera. E scopo provinciale, scopo commerciale, fu detto avesse pure T altra strada aperta a congiungere Pinguente per Vodize a Obrou, sulla strada che va da Trieste a Fiume ad oriente di Divaccia. Predicevano strette di mano, baci, abbracciamenti fra 1' Istria e la Carniola. Non ne fu nulla, e s'incolpò il vino che marcì sulle viti. Ora neanche questo, niente, la strada deserta. Ma torniamo alla recentissima, postale e commerciale. C è da lanciarsi ad abbajare alle ruote della posta? Non ringhiamo per così poco. Vedrà il commercio risurrezioni ? Comunque ; una strada verrà ricostruita, corretta, per lungo tratto dell' Istria interna, più bisognevole di soccorso, ed ecco buono in mano se non a ciò che altri si creda, per quello vogliam noi. Il male si fu da principio nel mettere il primo scaglione in alto, quando più sotto non vi era alzata. Lo stesso ingegno poi pel secondo scaglione, sempre dall'alto al basso, (piasi non convenisse prima salire perchè si discendesse, e non fosse officiò della coltura, spedita della persona, lo ascendere a sdormenliro la raggricchiata selvatichezza. Si venne alla forza pedata, si andò innanzi quasi a mezzo cammino, si tornò addietro, si tornò ad avanzare, si fé' punto, (piando il sagrificio maggiore era già fatto, e si correva alla mota. Ma era troppo anche così, la scala andava formandosi in senso inverso, non bene, ma sì da potersi in qualche modo l'are e rifare. Ed ora? Ora anche il malfatto è fatto, e meglio cosa falla che cento da f >,•>', dice il proverbio. Si conservi, si migliori ciò elio si ha, si compia ciò che va compiuto, e la provincia avrà di che avvantaggiarsi. Intanto proseguiamo a costringere la mente tra le linee delle strade nostre, passando da quelle eh' ebbero scopo provinciale alle altre più notevoli, e in uno alle vicendevoli loro connessioni ed avviamenti a migliore intreccio. Abbiamo già detto che V Istria va distinta dalla stessa natura in tre regioni, la superiore, la media, l'inferiore. Ora al lembo settentrionale di ciascuna di esse vediamo formata o presso a l'ormarsi dall' un capo all' altro strada continua. L'Istria superiore è fiancheggiata da quella già detta, che si muove da Trieste a Fiume. Fra la superiore e la media, prima il nuovo tronco fino a Galanti o la via di Capodistria per S. Antonio, prolungata fino a questo luogo medesimo ; quindi la prima strada provinciale che va a Pinguente. Da questa città poi vi è battuta per Rozzo e Lupoglavo fino a Vragna, e merita di essere presa in grande considerazione pegli opportuni lavori, attaccandosi ella alla via del Monte Maggiore così che viene a formare senza interruzione alcuna la linea più breve e più comoda che possa tracciarsi dalle coste dell' Istria media a quelle di Fiume. L'Istria inferiore ha strada già compiuta per tutto il suo fianco settentrionale. Pirano infatti si congiunge con Buje per mezzo della distrettuale, e da questa città la terza provinciale corre fino a Pisino, dove passa direttamente in quella che giunge Fianona. Ciò delle strade che si succedono parallele, e orizzontali all' inclinazione da greco a libeccio della provincia. Prendendo poi a considerarle pel lungo della penisola, se ne presentano cinque tra cui una già quasi a termine, le altre non ancora, divergenti tutte inverso settentrione per attaccarsi a lunga linea da Duino a Fiume, convergenti invece a meriggio per far capo a Dignano, e di là, unite in una, prolungarsi lino a Pola. La prima linea più davvieino al mare di Venezia ò la piìi spezzata, quantunque apparisca del maggior momento a congiungere porto con porto della costa, e sia scolpita dalla natura a veicolo tra I' [stria e il basso Friuli. Da Duino a Trieste, a Capodistria non interrotta, sta ora inoltrandosi lungo spiaggia franosa ad arrivar Isola, e continuarsi sulla via che va da questa città a Pirano. Utilissima per Capodistria e Pirano, essenziale per Isola. L'altra strada che da Pirano si dirige a Buje per la valle di Siciole, può dirsi costiera lino a questa, non più oltre, quantunque per l'ottima via di Verteneglio vada a riguadagnare il mare a Cittanova. Savio consiglio adunque se quella in vista al Porto Rose si portasse con un ramo pei- la Madonna del Carso a Umago. e di là scéndesse per S. Lorenzo di Dai la, e Dai la al gran porto del Quieto. Dicesi che una strada verrà dallo Stato aperta di fianco alla foresta di Molitoria lungo la destra ■sponda del Quieto fino all'ultimo corno di quel seno di mare. Sarà allora migliore opportunità, partiti per questa da Cittanova, di passare il Quiete più su, e tra i villaggi di Torre, di Fratta, di Abroga, di toccare il porlo Cervere, e colla via della Valle di S. Manilio a brevissima andata di entrare in Parenzo. E Carenze e Orsera sono già unite. Ma ecco frap-porsi il canale di Leme. Il passo non è facile, ma non è da lasciarsi cadere l'animo. E che infatti S. Lorenzo si rimarrà sempre lassù ? Impossibile. Troppi interessi si premono in quel ronco senza riuscita, da non (.sfondarlo, e certo non andrà molto che si verrà giù al chiudersi del Leme per passare a Valle. Quivi la linea cade a perpendicolo ed è parallela alla via da Parenzo ad Orsera. Come dunque dall' una all' altra estremità meridionale delle due strade al Leme, non si metterà per così dire da se una trasversale, se poco più oltre il canale, si va. quinci a Gimino e quindi a Rovigno, e di più si procederà diritti per Valle a Pola? La zona infine che da Rovigno a quest* ultima città si mette di mezzo fra la strada loro e il mare è sì stretta, che non potrà non farsi più costale, spiccando mano mano, dove meglio, tragitti alla costa, ('osi già fece da Dignano a F asana, e così volevasi facesse da Valle a questo porto medesimo, dove animato commercio di legna ha scala. Così, presa pur cura di Medolino, andrebbe a compiersi per la lunghezza della provincia la prima linea. La seconda, eh' è una colla prima fino a Capodistria, va sulla terza provinciale tino a lizzano, e recasi a San Lorenzo su quella che dovea essere la quarta, e che quinta o sesta, provinciale o non provinciale, a Valle, a Pola andrà. La terza comincia colla commerciale, in viaggio sui monti, e da Galanti vuol dar la mano a Gradigna, per correre colla seconda provinciale fino a Pola. La quarta ha prima la strada da Obrou a Pinguente, essa pure presentatasi col nome di commerciale in viaggio, ma che sembra abbia finito di viaggiare; prende poi la prima provinciale, e con essa se ne va fino a Novaco di Pisino, destinata a dirizzarsi un giorno, che affrettiamo col desiderio, a Galignana e a Pedona, o quindi ad attraversare, piegata a mezzogiorno, il paese più morto dell'Istria fino a Barbana, là dove ritorna la vita, e si farà maggiore mercè la strada proposta a condursi per questo luogo da Albona a Dignano. L'abbandono di una buona sesta parte dell'Istria, degna di miglior sorte come già altra volta lo fu, le speranze di quella costa disertata per così dire d'ogni conforto, fuorché dall'onore e da! coraggio de'suoi marinai, reclamano (e la civiltà di Albona e di Dignano vi sta presso a guarentigia) questa via di comunicazione, hi quale sarà poi invito all'altra che dicemmo, appiglio alle trasversali dal mare, nonché parte vitalissima della quinta linea. La quale infatti, sulla strada del Monte Maggiore litio a l'asso, lascia la direzione verso Pisino per mettersi a Chersano, correndo via da aversi ben cara; e di là e poi da V7osilla riesce ad Albona, a cui per lo stesso tronco vien pur 1' altra dalla costa liburnica. Toccato cosi di ciò eh' è o dovrebbe essere delle strade sia per lo lungo della provincia, sia nel senso del suo adagiamento, prendiamo ad avvistar quelle che la percorrono nella sua larghezza, o tornerebbe utile la percorressero dall'una all'altra costa nell'Istria inferiore, dal mare alla cinta montana più sopra. Di presente non havvene ancora alcuna che compia suo uffizio. Ma si spera fra non t molto di possederla e propriamente per mezzo all' Istria, E già da qualche anno infatti che fu progettata una strada da Parenzo a Pisino per linea diritta, al bivio colà delle due strade che vanno l'una al Monte Maggiore, l'altra a Fianona. Ella pertanto al privilegio di essere la più centrale aggiungerebbe quello di servire ad un tempo al doppio scopo di condurre e dall'una all'altra costa e dal mare ai monti. N' è dunque ben troppo grave l'interesse, perchè piccole differenze di ondeggiamento, a toccare questo o quel luogo, abbia ad indugiarla. A settentrione di questa linea dopo i tronchi notevoli di Villanova e Visignano e di S. Domenica, che menano da Parenzo alla strada provinciale, altra dai mare ai monti si presenta non meno naturale che vitalissima. Fu già detto della strada in voce da Cittanova al ponte sul Quieto sotto Grisignana. Cosi secondato questo cammino, suggerito dal fiume, s' imbocca la strada della valle di Montona, e per quella dei bagni di S, Stefano si approda Piagnente. Da un canto la posizione importante che va ad occupare questa città al confluire delle vie dai monti, sulla quarta linea longitudinale, e a mezzo la discorsa strada fra il golfo di Trieste 6 quello di Fiume; e dall'altro ubertose vallate, boschi, le sorti del porto Quieto, additano alla provincia questa linea come voluta da vantaggi di gran prezzo: linea su cui inoltre per la strada provinciale e per la comunale di Grisignana scendono ila Buie le altre due di Umago e di Pirano. Ancora più su poi è Sterna che accenna ad altra strada trasversale. Fila infatti, a non lunga distanza dalla stessa l'inguenle, e in comunicazione con Umago per Buje, e con Pirano, quantunque non direttamente ancora, per Momiano e pel nuovo tronco da Yalcastelvenere a Valsiciole, mostra breve il tratto a conseguire un nuovo pegno di unione tra 1' Istria montana e la costiera. Ora n recare lo sguardo sui paesi che stanno a meriggio della detta linea centrale, non è mestieri avvertire che la strada progettata da Dignano ad Albona, servirà pure, colle sue propagini di Fasana e di Pola da una parte e-di Albona dall' altra, a congiungere il mare di Venezia col Quamaro. E tra quésta e la centrale medesima la postale che va da Rovigno a Cimino, angolata solo ad occidente dalla provinciale, aspira ad esserlo pure ad oriente, spinta per cosi dire dallo stesso suo andamento a farsi su quella linea che porta i nomi di Galignana, di Pedena, di Chersano, di Fiauona. E come ora da Canfanaro, quinci per S. Pietro in Selve e quindi per S. Vincenti, vi ha buona strada a far base ai due triangoli N O e S O di Gimino, sì che or dianzi vi attirò per qualche tempo là posta, vi ha ragione a sperare, ne verrà imitato V esempio anco sull' altra convergenza di linee ad oriente, per que' luoghi che non furono certo condannati a rimanersi da meno degli altri. Molte cose ancora del già fatto e più assai del da l'arsi resterebbero a dirsi, ma diramandosi esse dall' idea complessa della provincia, più specialmente si appartengono alla vita lfeO dei distretti, i quali mano mano ci richiameranno negli anni appresso a speciali ragionamenti. Aggiungeremo per altro che se 1* Istria paga e strade provinciali e distrettuali e comunali, dovrebbe avere un centro di comune indirizzo, da cui le venisse miglior sicurezza di spendere con profitto. La società agraria d' incoraggiamento, l'istituzione della quale ci vien detto maturarsi ora da buoni ingegni a cui l'amor di patria è stimolo, ben sarebbe da tanto. Ella infatti ad esaminare i bisogni, farli comprendere, valere, interporsi mediatrice, associare gli animi, vigilare all'eseguimento dei formati progetti, e intendere altresì alla partizione e alla qualità dei contributi; imperocché alle addizionali sull'imposta diretta potrebbonsi, non solo per le strade comunali ma anco per le distrettuali, sostituire riguardo a questo o a quello meno in essere di fortune, le prestazioni di lavoro. Le vie di comunicazione si moltiplicano dovunque, e il miracolo del vapore toglje le distanze *). Da Trieste parte la strada ferrata per Vienna, e un ramo ne andrà a congiungersi con quella del Friuli, a Casarsa. La via del mare, a cui l'Istria è chiamata, ci sta di mezzo, e come dall' una all'altra sponda ci salutiamo, dall'una all'altra dobbiamo animarci a progredire. Il ristarsi per noi sarebbe l'isolamento, la povertà. Produrre viemmeglio e aprire quanto più di vie alle produzioni, e non vi avrà timore di gelosia verso terra sorella. I mercati comuni dividono gl'infingardi; gli operosi invece ognor più affratellano : e gì' Istriani, di spiriti alacri alla fatica, si mostreranno sempre quai sono, e non quai li dipingono, per ignorare o per far che s'ignori, i falsatori de' loro intendimenti. ') A tutti sono noti gli odierni progressi e le facilitate comunicazioni per mare e per terra NOTIZIE STORICHE intorno alle saline dell' Istria La fabbricazione dei sale in Istria rimonta a tempi antichi. Ella ne faceva traffico prima ancora del veneto dominio, e quando passò sotto di questo, fu lasciata libera di continuarlo senza restrizione alcuna, la decima all' infuori che andava alla città. Vendevasi il prezioso prodotto oltre che in provincia, a Venezia, nel Friuli, ed anco alle genti della Carinola, della Carinzia e della Stiria. E la repubblica patrocinò ]' industria con ogni studio, ©d anzi quando vide die il sale di Trieste faceva concorrenza a quello delle altre fabbriche istriane, preso perfino le armi ed imposi1 a quella ciffà condizioni restrittive del suo commercio. Fu allora che Capodistria, per dimostrarsi grata, a sì energica protezione decretò si assegnasse al doge la decima dei sali e i dazi tutti. Ma a quest' epoca di prosperità [ter le saline dell'Istria, seguì altra di decadenza, che 1' Austria, fatto suo il sale di Trieste, e di regio diritto 1' altro che le veniva dal regno delle due Sicilie, assoggettò quello d'Istria a grave balzello. Cogl ne fu di molto scemato lo smercio e il prodotto impoverì. Venezia allora si appigliò ad estremo partito. Ordinò nel 1721 si acquistassero per conto della, repubblica tutti i sali latti e da farsi, non se ne potesse produrre maggior quantità di quella che essa d'anno in anno avrebbe stabilito secondo i bisogni dello stato, e fosse proibita la costruzione di nuove ialine. Comandava poi ad un tempo, si ponesse ogni cura a migliorar quelle che erano in lavoro, si perfezionasse la fabbricazione del sale, e questa prendesse a tema di studi, Insegnasse apposita commissione di periti in arte. Voleva insomma vincere colla bontà del prodotto. Ma i proprietari si tolsero giù d'animo, e anneghittirono, avvegnaché troppo mal rispondente al guadagno fosse la spesa. Fu quindi costretta la repubblica a ridonare non solo le an- ticho franchigie alle saline dell' Istria, ma a persuadere altresì, se ne fabbricassero di nuove. E tali disposizioni furono accompagnate da generose prestanze. Ma quando appunto così risorgeva l'industria, la Presidenza Economica del ducato di Milano si tolse da ogni obbligo con Venezia per 1' acquisto dei sali d'Istria, di cui le venivano tardate le spedizioni. Quindi nuova decadenza, e nuovi limiti alla produzione. E fu in quegli anni che le saline dell'Istria passarono prima all'Austria (1797), poi al Regno d' Italia (1805). L' Austria tolse la limitazione, e facendo olla pure del sale sua privativa, alzò il prezzo a cui lo avrebbe acquistato dai proprietari. Il governo poi del Regno d' Italia lo portò più alto ancora, nò risparmiò sovvenzioni. Ma di ciò e dei tempi appresso, nelle osservazioni qui sotto intorno a ciascuno degli stabilimenti saliferi dell'Istria*). Delle salme dì Muggia. Lo stabilimento delle saline di Muggia si restò sempre addietro a quelli di Pi rano e di Capodistria. Nel decennio che si compiva col 1806 esso non contava più di 440 cavedini in lavoro, e questi davano l'annuo prodottò di 3390 centi naj a di sale. Segui tempo migliore, che ai torrenti Rebujese e Reca fu determinato il corso, mercè i molti lavori l'attivi eseguire dal governo italico e dagli stessi proprietari delle saline, per sottrai- queste ai rovinosi allagamene. l\ a ciò si aggiunse la. generosità delle stesso governo, il quale fu largo di sovvenzioni ai proprietari, perché rifacessero i fondi disertati, e quelli già in lavoro instaurassero. Erano questi miglioramenti di grande importanza, e tanto più adunque veniva opportuno allo stabilimento il considerevole accrescimento di prezzo accordato al sale dal pubblico erario. Siffatti provvedimenti non ebbero tutto l'effetto a cui valevano, ma fruttarono e fruttarono bene. Così le saline di Muggia presentavano nel quinquennio 1818-1822, 907 cavedini in Buona coltura, con un prodotto annuale di 11878 centi-naja di sale. Ma il progresso fu tardato nel 1824 da quella legge amministrativa, per la quale veniva tolta alle saline dell'Istria la facoltà di fabbricare quanto sale potessero: facoltà che *) Da qui innanzi trarremo vantaggio neh1 argomento delle saline dalle cose gentilmente comunicateci dal Signor Bartolomeo Dezorzi, cho n" è esperto conoscitore. avevano goduta dal 1797 in poi e ch'era stimolo a l'arsi innanzi sulla via dei miglioramenti, in sua vece venne ordinata nel 1824 una limitazione vale a dire fu posto il divieto di far sale in quantità maggiore alla prefissa dal governo, la quale era stata calcolata sul medio prodotto del detto quinquennio 1818-1822. Dietro di ciò, se lo saline di Pirano e di Capodisfria poterono raggiungere il 1842, nel quale sulla base dell'area fu stabilita la limitazione meno stringente che tuttora sussiste, sempre variabile d'anno in anno secondo i bisogni dello stato, non furono in grado di fare altrettanto le saline di Muggia, i proprietari delle quali erano ancora sbilanciati dalle gravi Spese date ai restauri. La legge del 1824 fu quindi [ter esse mortale': avvenimento tanfo più deplorabile, che allora appunto cominciavano a consolidarsi i fondi, e allora vedovasi di giorno in giorno meglio avviato a perfezionarsi il lavoro; si che già non più le sole donne, come per lo addietro, ma molti uomini ancora si adoperavano con impegno nella fabbricazione del sale. ] proprietari, che a stento- potevano Far fronte agli ordinari dispendi, visto il poverissimo frutto che andavano a percepire dai capitali impiegati, caddero d'animo. Nò minore si fu l'avvilimento degli operai, che si trovarono scemato il lavoro, assottigliala la mercede. In breve adunque ogni cosa andò a disordine. Non passava .anno senza che l'uno o l'altro dei proprietari abbandonasse qualche fondamento. E di ciò che si continuava a coltivare davasi nuovamente il governo alle sole dotine, le quali se non vi erano atte per lo passato, tanto meno allora potevano esserlo, col più li estensione che i fondi saliferi avevano gua lagnato. Si trascorse quindi di male in peggio fino a non aversi nel quinquennio 1823-27 altra rendita dal cave-dino che di 6 cenfinaja, quandi» pochi anni prima ella passava le 13, Pei proprie lari tutti poi l'introito di miseri fiorini 569. In si dolorosa condizione di cose, venne in mente al governo di sopprimere nel 1829 le saline di Muggia, indottovi e dal poco sale che ne cavava, e dal molto danaro (die vi spendeva, per vigilare uno stabilimento, il quale cinto a brevissimo andare da campagne, si prestava facile assai al contrabbando. I proprietari ebbero in compenso una somma di danaro conteggiata sulla metà domenicale del reddito netto di sette anni, alla inedia dell' ultimo decennio. Di più furono loro rimessi i debiti che avevano verso 1' erario, per sovvenzioni ricevute dalla Repubblica, dal Regno d'Italia e dall'Austria: debiti che vuoisi sorpassassero il valore di allora di tutte quelle saline. I fondi furono lasciati a libera disposizione dei proprietari, e fu loro suggerito se ne vantaggiassero per l'agricoltura. Ma le fortune non erano da tanto. E vasto terreno paludoso, restò per lunghi anni non più che scomposto a-vanzo e triste memoria della soppressa industria. Ora per altro non è cosi ; che il Sig. Tonello, proprietario di un cantiere sulla riva di Muggia, e di campagna limitrofa alle antiche saline, ne acquistò i fondi, e merita lode per l'ado-prarsi che fa a ridurli a peschiere, a prati, a campagne. Delle saline di Zaule e Servala. Di queste, spettanti al territorio di Trieste, non fa parola il Rapporto, perchè nel 1800 n'era l'Austria al possesso. Esse entrarono si l'anno 1809 nelle province illirico-francesi, ma ebbero amministrazione disgiunta da quella delle saline di Pirano, di Capodistria e di Muggia, le quali continuarono a rimanersi al Regno d' Italia, non meno che i boschi, anche dopo la separazione. Diverso fu quindi lino al 1811 anche il prezzo del sale che pagavasi ai proprietari. Lo si ahi limonio di Zaule e Sorvola era diviso in 37 fondamenti, che avevano 1030 cavedini. Unito agli altri dell'Istria nel 1815, ne subì le stesse vicende lino al 1820, e pei motivi già addotti, riguardo a quello di Muggia corse ugual sorte e fu soppresso. Delle saline di Capodisb'ia,, Quando le saline dell' Istria passarono sotto il governo del Regno d' Italia, quelle di Capodistria non avevano che rimproverare a Maggia, tanto n'era l'abbandono, si povero e male inteso il lavino. Pasti ricordare che ben la metà dei fondi si stava da molti anni senza coltura. Visto quanto poteva tornar utile alla provincia cotale industria, e qual ottimo vantaggio ne veniva allo stesso governo, il quale aveva da fornir sale alla provincia veneta, alla lombarda, e ad ogni altra parte del regno, la pubblica amministrazione pose tosto opera a rilevare le scadute condizioni «lolle nos!re saline. K per Capodistria la misura di maggior momento si fu quella di meglio profondare qua e là il letto del Risano e del torrente S. Barbara, di governarne il corso e di alzarne gli argini, per impedire e il trabocco delle acque correnti e le inondazioni del mare. A mettere poi i proprietari in grado di meglio curare le saline già in lavoro e di ritornare in buon essere le abbandonate, il governo largheggiò loro ricche prestanze, senza esigerne interesse alcuno, e stabilendone la restituzione in rate; e tutto ciò in un medesimo che accresceva il prezzo del sale a favore degli stessi produttori, ben oltre il doppio di quanto fino allora soleva pagarsi. Ma tutto questo (cosa singolare a dirsi ma vera) nulla giovò al prodotto delle saline di Capodistria. E n'erano cagione le circostanze speciali di questa città. Ella invero vedeva tutti i fondi dello stabilimento in mano alle famiglie civili, le quali non vi attendendo in persona, non valevano certo a dare all' industria quella vita che sapeva infonderle Pirano, dove i più dei proprietari di propria mano si lavoravano le saline. Inoltre gli altri abitanti di Capodistria, a-gricoltori e. pescatori, sprezzavano tutto ciò che non sentisse «Ielle dure fatiche dell'agricoltura o dei disagi e dei pericoli della pesca, e nutrivano il pregiudizio che la fabbricazione del sale fosse arte da lasciarsi alle donne, come sempre per lo addiètro s' era lasciata. Inutili quindi le spese profuse dall'erario, dal fondo sociale e dai singoli proprietari, e tanto inutili che lo stabilimento di Capodistria cedette non solo a quello di Pirano, ma perfino all' altro di Muggia. / cavedini non più che 2200 nel 1806, erano si 3844 nel quinquènnio 1818-lX'i^; ma è ciò anzi che dimostra «pianto avesse dato addietro L'industria, perchè il prodotto del cavedino nel detto quinquennio fu di mollo minore a quello del 1806. E la prova n' è evidente. Leggesi nel Rapporto che nel settennio compiutosi col 1X0(1 einno raccolte 20,'175 moggia di sale, ossia col ragguaglio del centinajo a 15 per moggio, annue centiuaja 56517, delle (piali in conseguenza quasi 26 per ciascheduno dei 2200 cavedini. Ora nel quinquennio 1818-1822 vi fu sì un complessivo prodotto di 444053 centinaja; ma calcolando quanto dello annue 88810 centinaja toccasse ti ciascuno dei .'$84-1 cavedini, vediamo il prodotto del ca.ve-dino minore di duo centinaja e mézzo a quello del 1806. Ecco gli effetti del lavori» dello donne, So le operaje di Capodistria non orano al caso di far proceder lume l'industria con 2200 cavédini, come lo avrebbero potuto con 3844? C anno 1824 nello stabilimento di Capodistria doveva succedere altro fallo singolare, ma per avventura questa volta in bene. La leggo di quell'anno invero fu per esso causa indi" fétta di notevole miglioramento. Capodistria non aveva operai, salvo pochissimi che ven ali da Pirano a fabbricarle nuovo saline, erano stati presi a stabile servigio da alcuni proprietari. Pirano invece no abbondava, e quando le fu ristretta la produzione, dovette vedersene buon numero tolti al lavoro. Fu allora che questi trovarono impiego in Capodistria, e coli'esempio ne trassero altri, sì che molte saline di quella città poterono cosi affidarsi a lavoratori esperti ed operosi. In breve dal confronto tra i fondamenti governati da essi e quelli tenuti alla meglio dalle donne, fu chiaro quanto la perfezione del lavoro contribuisse all' aumento del prodotto. Ne venne che si ponessero a studiar quella anco gli operai di Capodistria, nò stimassero più cosa, vile V apprendere e l'esercitare si vantaggiosa industria. E quindi di conforto il vedere come in oggi l'opera loro pareggi quella dei Pi-ranesi, e la nohil gara si vada facendo ognor più viva. Quanto in mezzo a questi avanzamenti dovesse tornar profittevole la nuova limitazione, di cui si fece parola più sopra, e che viene tuttora normeggiata tanto sull' area in generale di tutti i fondamenti, quanto su quella di ciascuno in particolare, torna, facile immaginare. Orinai le doline non dirigono più che qualche trascurato fondamento, o vengono occupate come semplici adiutrici. E mentre per lo {tassato non vi avevano case ove custodire il sale raccolto, si che talvolta gli acquazzoni lo sperdevano quasi tutto, ora ne ò ben provveduto ogni fondamento. La perfezione del lavoro avanzò cosi che ormai il prodotto del sale, quantunque limitato dalla logge, è ben del doppio maggiore di quello si avesse colla medesima estensione di fondi al tempo in cui alla fabbricazione non era posta restrizione alcuna. Valgano in prova le seguenti cifro. Prodotto in Oiithinjii quinquennale, annuale, per catalino Ultimo quinquennio 1852-1856 (periodo di limitazione) «opra 3844 cavedini . . . 880788 177959 10:28 Quinquennio 1818-1822 (periodo di libera fabbricazione) ugualmente sopra .3841 cavedini ............. 444058 88810 23: 10 Differenza............ 145785 8010!) 23:18 Quanto adunque non andrebbe a l'arsi maggiore l' aumento di produzione, ove ammegliorandosi sempre più X industria, potesse ella vedersi un giorno svincolata d'ogni inceppamento. Delle salme di Pi rano. Queste hanno il vanto sopra le altre, e l'ebbero sempre. Quando il governo italiano, forse in conseguenza al Rapporto del Bargnani, ingiunse che si ponesse cura a fare il sale oltreché nero o misto, quanto più si potesse bianco ancora, e però appunto ne vennero aumentati i prezzi collo proporzioni già indicate, l'ordine fu certo meglio incontrato nelle saline di Pirano che altrove. Quantunque là pure sieno corsi più anni prima che X industria vi facesse proprio un vero miglioramento, nulla meno, conosciutosi da tutti che la bianchezza del sale era in ragione diretta della buona livellatura dei l'ondi, furono primi i Piranesi che cominciarono ad attendere alle saline anco nel verno, per riparare sul-V istante ad ogni guasto, e togliere così il danno che deriva alla nettezza del prodotto dai recenti ed affrettati lavori. Cosi s' anco le nuove saline prima di farsi ben sode non poterono dare che sale nerissimo e a Muggia e a Capodistria e a Pirano per parecchi anni, questa parità di condizioni andò bene a cessare, e noi troviamo che già nell'anno 1818 la quantità del sale bianco di Pirano superava quella del misto degli altri due stabilimenti. Le saline di quella città progredirono quindi sempre più lino a non produrre che sale bianco; e da esse uscirono quei lavoratori che insegnarono a portare tanto innanzi V industria anco in Capodistria, si che al presente per consegnare la misura di sale grigio, ordinata dal governo, conviene nell'uno e nell'altro stabilimento rimescolare il bianco tanto che imbrunisca. Ma perché le saline di Capodistria sieno poste a paro definitivamente a quelle di Pirano, è d'uopo si livelli ben più di qualche fondo ancora, si accresca il numero degli operai, si addestrino questi ognor più a mettere in effetto quanto vennero a conoscere, e innanzi tutto prendano lena i proprietari, e movano. Nò riguardo allo stesso stabilimento di Siciole può dirsi che tutte le vie al progredire sieusi ornai lasciate addietro, cosi che il bene non abbia più dove mover passo. Si può avanzai1 molto ancora. Non già (come il Rapporto ebbe a proporre) selciando il fondo delle saline, che l'impresa si terrebbe ben 10 milioni di lire italiane, ossia il triplo del valore degli stessi stabilimenti; ma proseguendo alacri a sempre più ammeglioiare ogni fattore dell'industria sulla base del già fatto, e ad allargale il campo alla produzione. E niuno può dire a quali grandiose proporzioni [ioliebbe recarsi questa, ove fosse tolta la limitazione e venisse accresciuto il prezzo del sale a vantaggio dei proprietari: prezzo che ora nella maggior sua misura di carantani 20 al centinajo pel sale bianco, netto d'ogni parte eterogenea, ò inferiore a quello che pagavasi pel nerissimo, con un terzo di fango, ancora dalla Repubblica, quando la lira d'oggi aveva per lo meno il valore di un grosso ducato*). •) Riguardo al prezzo che solveva la Repubblica vi ha sbaglio nel Rapporto. KUa pagava il sale a venete lire 30 il moggio, e non a lire italiane 20 che corrispondono a 40 all' incirca di quelle. Ma questi e gli altri errori notati possono ben perdonarsi a chi afferrò bene, se non tutte le parti, il concetto principale dell' industria, e provocò dal governo italico tutti quei vantaggi di cui fu discorso. Chiudiamo queste osservazioni col pubblicare i seguenti Confronti di prodotto nelle saline dell'Istria i. Prodotto fino all' anno ÌS06. negli stabilimenti di uel periodo di un Bopra cavedini moggia in centinaia da 15 al moggio per tutto il periodo per anno per cavedino Pirano . . . Capodistria . Muggia . . . decennio settennio decennio 4037 2200 135 148265 26875 2260 2148075 595620 88900 214897 56517 8896 46:34 25:1 i!> 7:70 2. Prodotto nel quinquennio iS 18-lt>22 con fabbrica libera. negli stabilimenti di sopra cavedini centinaia in tutto il periodo per anno per cavedino Muggia........ Zaule-ServoU .... 7031 3844 907 1030 2808472 444058 59303 65125 18Q695 88810 11878 13025 65:49 23:10 13: 10 12:01 .'). Prodotto ne! quinquennio 1852-18&6 con fabbrica Httlitctta. negli stabilimenti di sopra cavedini <\'iit inaju in tutto il periodo pél anno per cavedino Capodistria..... 7034 3811 31)17365 880788 60S473 17705!» 85:70 46:28 Le ultimi' cifre di questo prospetto non danno la giusta misura del divario elio passa Ira la producibilità del co red ina di Pirano e quella del cnredhìo di Capodistria. essendo diversa la loro grande/za. Ma fatto il calcolo sull'area, risulta che SU 180 metri vi ha un prodotto di .'> 1 cenliimja in Pirano, e non più di 25 invece a Capodistria. Aggiungiamo per ultimo la serie delle limitazioni poste alla produzione del sale dal 1824 in poi, espresse in centinaja. Limitazione complessiva Limitazione compartita Base della limita- Anni Per Pirano. Maggia, Zaule-Servoh fino all'anno 1829; per Capodistria pel solo Pirano dal 1830 zione 1824 400000 334018:78 65981:22 1825 350000 286498:04 63500:90 1826 330000 275565:52 54484:48 1827 250000 208761:76 41238:24 1828 250000 208761:76 41288:24 £ 1820 269000 225672:65 43827:35 5' 1830 250000 206858:17 43141:83 Ja c 1831 260000 215132:50 44807:50 B 1832 300000 248229:80 51770:20 5. 1833 280000 231681:14 48818:86 o 1834 260000 215132:50 44867:50 00 1835 240000 198583:85 41416:15 1—• 1850 400000 284458:58 115541:42 H 1851 660000 469856:06 100643:34 rr> 1852 710000 504914:- 205080:- 1853 800000 508917: — 231083:- 1854 j 1000000 711146:- 288854:- - 1855 1050000 746704:— 303290:- 1856 i 1100000 782261:- 317739:— 1857 1050000 746704:— 303296:- Avvertasi per altro che le cifre degli ultimi quattro anni furono così alte soltanto allo scopo di formare ricchi depositi di sale, ov' esso abbia a stagionarsi per tre anni, e di togliere cosi i lamenti che della umidità del prodotto, posto in commercio appena raccolto, movevano le annui lustrazioni delle venete provincie. Ma compiti gli ordinati depositi, sembra la confezione del sale sarà limitata alle ottocento centinaja. CENNI DESCRITTIVI intorno siila salina d'Istria e alla relativa amministrazione. Ne fu espresso desiderio di vedere alcun cenno descrittivo della nostra salina. Il seguente, fuggevole, speriamo ne darà un' idea. Di presente le saline hanno qui due stabilimenti, quello di Pirano e V altro di Capodistria. Il primo è composto di tre parti, che valli in Istria si dicono: Luna di Strugnano, due miglia circa all' E della città, P altra di Fa-sano, pure a due miglia S E, e la terza di Siciole, eh' è la maggiore, dalla stessa parte della seconda, ma presso che tre miglia più oltre. Le saline di Capodistria si estendono assai vicine alla città da greco a libeccio, solo a brevi tratti interrotte, e distinte in con d'ade coi nomi di Semedella, Come, S. Leone, S. Nazario, S, Girolamo, Ariel, Sennino, Fiume, Campi, Oltra. L' uno e 1' altro stabilimento è suddiviso in serragli. Il serraglio circuito dal suo argine, comprende più fondamenti; e il fondamento che ha pure arginatura od altro separamento speciale, è la completa salina. A questa adunque va ristretta la descrizione che ci proponiamo. Il fondamento, se ben costruito su fondo rispondente, è rettangolare. Immaginiamolo adunque così, come salina modello, e poniamolo per lo lungo frammezzo a due altri fondamenti. Avrà pertanto i due lati maggiori appoggiati a questi, e gli altri due minori fopposti al mare o a qualche interno canale che fa lo stesso. È su questi ultimi che si leva l'argine più sodo, esternamente murato. Sugli altri più lunghi l'argine è di sola terra, e vien chiamato secondale, se di comune grossezza, se di minore, argincllo. Ma in luogo del secondale o delLarginello corre talvolta un canaletto, detto lida. Ora distinguasi V area che così vi resta compresa, in tre sezioni parallele le une alle altre, due estreme e brevi ai lati minori del fondamento, e tra queste e i lati maggiori la terza, centrale e vasta. Le due prime prendono il nome L una di fosso V altra di libatore. argine — b) argine divisorio o secondale — c) lida — d) fosso e libatore — f) moraro di fosso — g) moraro di mezzo h) sotto corbolo — i) vasca — 1) corboli — m) servidori —- n) cavedini — o) passatoio — p) salaro. fi' dh„ ri HIT uu ■ Ho aggiunto le due lettere q) calilo di fosso r) callio di libare, che svista dell'incisore furono ommesse nella prima edizione. a. c. Il fosso, da un piede e mezzo a due profondo, toglie dal mare l'acqua necessaria alla confezione del sale, mediante un' apertura nell' argine (calilo), la quale chiudesi con piccola saracinesca (portello). Essa vi rimane per alcuni giorni tanto che si presti più facile a evaporare. Il libatore riceve le acque inutili o guaste per mezzo di due canaletti (Ude), V uno per la lunghezza, per la larghezza 1' altro della salina. Quello eh' è per lo lungo, ne bordeggia la sezione centrale, sia correndo di fianco ad uno degli argini maggiori, sia, come fu detto, tenendone le veci. L' altro che va pel largo dei fondamento, è parallelo e limitrofo allo stesso libatore, ed ha qui nome di zovello. Per tal guisa dal libatore, che al pari del fosso ha un'apertura nell' argine (callio del libatore), ritornano al mare le acque che la salina rifiuta. Questa è propriamente nella sezione centrale del fondamento, partita in sei zone, esse pure, se bene ordinate, parallele per la larghezza di quello, e di uguale dimensione. Altri arginelli, dette verghe, le dividono. La prima zona è detta moraro di fosso. Dal l'osso infatti per mezzo di una specie di aggottatolo (zornador) vi si gitta su l'acqua, e la si fa salire circa ad un pollice, perchè si arrenda alla prima evaporazione. Da questo primo terreno lino all' ultimo il fondo della salina va leggermente declinando, colla scala di circa pollici 4, 15, 21Ji, 2, 1, ed è levigato colle mazzeranga e col rotolo, cilindro di sasso. Dal moraro di fosso al moraro di mezzo passa l'acqua mediante alcune tacche, fatte nell' arginello, e là si riduce a 10 linee, quindi per mezzo dello stesso congegno (bocchette) ad 8 nel sopracorbolo, e avanti a 6 nel tortolo, a4 nei servidori, e a 2 nei cavedini, «love diventa sale. Dei sei terreni ora nominati i tre primi hanno continuo 10 spazzo; i tre ultimi al contrarto sono corsi nel senso della lunghezza del fondamento da altri arginelli ancora. Il loro numero è determinato dal numero dei cavedini, in cui trovasi distribuito 1' ultimo terreno. Essi coirono tutti perpendicolari alla verga superiore del dbrbolo; all'inferiore, d'ogni due uno; ma e qua e là ad eguali distanze. Però appunto 11 corbolo (ove la salina sia p. e. di 10 cavedini) conterà quattro bocchette dal lato del sopracorbolo, dieci invece da quello del servidore, il quale alla sua volta ne avrà altrettante verso 1' ultimo terreno della salina. Queste suddivisioni servono a meglio assicurare all' acqua lo stesso grado di evaporazione, e a condurla cosi con legge simultanea, e quindi con vantaggio tanto per l'or- dine del lavoro quanto per la bontà del prodotto, a cristallizzarsi nei cavedini. Al cominciare della fabbricazione gli ora detti passaggi consumano più giorni senza dar sale, che l'acqua, la quale deve attingersi allora in maggior copia, stenta ad evaporare, e filtra nel terreno non ancor bene indurito. Ma tosto dopo si fa giornaliera la raccolta. E così sta bene sia fatta nel mese di Maggio, e per la maggior parte nel Giugno. Ma più tardi è miglior consiglio levare il sale a due o tre giorni d'intervallo, poiché l'acqua la miglior deposito su strati già cristallizzati, e il sale vi si forma per tal guisa più granito e asciutto. Che se poi la pioggia minacci di guastare e sperdere 1' acqua della salina, vi ha ad accoglierla, finche passi il pericolo, buon numero di fosso, una o due per cavedine-, al servizio dei due ultimi terreni, e pei rimanenti altra, detta vasca, in sull'orlo inferiore del corbolo. Nelle une, fatta al momento piccola rottura, al labbro che le gira, vien derivata l'acqua per certo quasi insensibile declivio, che ha il fondo verso gli angoli; gittasi invece nell'altra. E qui è da notarsi riguardo alle prime, tornar dannoso il raccogliervi quell' acqua (die, levato il sale, ancor vi rimane, e mora chiamasi; sia per forzarla a dare essa pure il prodotto, riversata sul cavedino, sia per alimentar questo mano mano che vi si va formando la crosta salina. 11 sale infatti non si fa cosi bene asciutto, ma diventa più o meno molliccio e facile alla deliquescenza. Ma anche questo diletto va correggendosi, e il sale nostro ogni anno più migliora, ponendosi cura che raccolto a cappuccie sugli arganelli (il (die si fa con rastrello pieno, chiamato gavero) scoli bene, pi-ima che sia trasportato nella casetta della salina (salavo). Di queste ve n' ha 493 in Pirano, 218 in Capodistria. Alla casetta, dove il sale continua ad asciugare, mette un argine (passalojo) attraverso il libalore. ed ha fendimento nel mezzo, valicabile da comunal passo, perchè le acque di quello comunichino tra loro. Il lavoro più faticoso ferve, com' è naturale, nella state, specialmente ove stemperate pioggie portino tratto tratto la dura necessità di rinnovare l'acqua di tutta la salina, e quindi, passata la guasta nel liàatore, di ricominciare il lavoro, come all' aprirsi della stagiono Ma eziandio nelle altre stagioni si richiedono molto cure. CoVi nell'autunno le livellature, le cospersioni dei fondi con acqua marina a dar loro maggior fermezza; nel verno il tenere sott'acqua i cavedini, acciò essi non si aprano in crepacci, e non si rendano spugnosi; e in primavera infine i lavacri alternati agli asciugamenti, e le ristorazioni degli arganelli. Il fondamento non è dappertutto come fu ora descritto. Ha bensì sempre la stessa divisione di parti, ma varia di forma secondo le necessità del sito. Cosi diverso assai è il numero dei cavedini, contandone alcun fondamento non più di otto, ventiquattro e meglio qualche altro. I 7034 cavedini di 1 4rano sono distribuiti su 103 fondm»enlì, i 3844 di Capodistria su 218. Anco a proporzione pertanto le dimensioni sono in questa minori. Ad un fondamento che avesse a comprendere dieci cavedini, si darebbe estensione di circa 4500 metri in Tirano, a Capodistria invece non più che di 3420. Le salino per la massima parte spettano a privati, piccoli e grandi. Vi è chi possiede perfino 580 curcdini, altri un solo, che molti proprietari hanno più fondamenti, ed altri parecchi per lo contrario non ne tengono che uno in comune. Tutti per altro sono obbligati a vendere il sale al governo, il quale lo compera a caranfani l!(ì per centinajo il bianco, a caranfani 18 il nero, e lo vende, come oggetto di privativa, a prezzi diversi, ma di molto maggiori, secondo le località, nella Lombardia, nella Venezia, nel Litorale, nella Dalmazia. Così tutti ugualmente vanno soggetti alle stesse discipline, le quali vengono ordinate dalle autorità amministrative, e notificate dalle due presidenze di Pirano, e di Capodistria. L'una e l'altra sono composte di un presidente, e di due aggiunti, che i proprietari, aggregati in consorzio, si eleggono dal proprio numero, e ai quali è attribuito l'officio di guardare e promuovere gl'interessi comuni. Quando la produzione aveva, come più volte sotto il veneto governo, limitazione e prezzi invariabili, vi era pel valore dei fondi salini una misura ben determinabile. Così pure, ed anzi meglio assai durante il periodo della libera fabbricazione lino al 1823. Ma da che fu preso il partito di limitare d'anno in anno di versamento la quantità del sale da farsi, il prezzo della salina diventò prezzo di sorte. Nulla-dimeno al presente il più comune 6 da fiorini 200 a 250 il Cavcdino in Pirano, da 80 a 100 in Capodistria. Si notevole differenza dipende non solo dal già notato divario nella grandezza dei fondamenti, ma altresì dalla maggior coltura dei tondi di Pirano, dall'essere colà più infrequenti i rovesci di pioggia, dalle case che \i sono di pietra anziché di nudi tavolati, e dalla certezza che ha quello stabilimento di produrre la quantità di sale prestabilita dalla pubblica amministrazione. Questa limitazione vien l'atta prima in generale per tutti e due gli stabilimenti di Pirano e di Capodistria; ma poi va distinta tra l'uno e l'altro, e quindi ancora tra proli prietario e proprietario, sempre colla proporzione dell' area. Chi termina prima la (piota assegnatagli deve sospendere ogni ulteriore lavoro, e attendere gli altri che facciano altrettanto. Chiusa infine la stagione, il sale si trasporta nei regi magazzini, e d'ogni trasportosi tiene esatto registro. E colla scorta di questo l'erario eseguisce il pagamento che deve ai proprietari, i quali poi lo dividono a giusta metà coi propri operai. Le presidenze per altro trattengono dallo stesso pagamento il sette per cento in Pirano, e il dicci in Capodistria, e questo importò va a l'ormare un l'ondo sociale per soddisfare a tutte le spese di comune vantaggio, vale a dire al mantenimento degli argini che guardano il mare, all'escavo dei fiumi e dei canali ed altro. Il vantaggio che si ritrae dalla discorsa industria, potrebbe essere maggiore di molto; ma in ogni modo è ben considerevole, e senza di esso le condizioni economiche di Capodistria e Pirano avrebbero perdita irreparabile. DELLE SCUOLE SERALI IN ISTRIA Vi sono pur troppo tuttora i nemici dell' intelligenza, rhe verrebbero il popolo condannato all'ignoranza, ed escluso perline dalI"n--i-i*var, se possibile fosse, che «in altre provincie contigue alla Dalmazia avesse esistito la vera Stridane, «non sono contenti di farlo come in ipotesi, e prescindendo da tal tradititene; ma arrivano a farsi lecito di prender in beile quest'autorevol lin-«guaggio." Che ve ne pare? Vi è abbastanza a giustiticare (pianto dicemmo? Il nostro Stancovich, punto nelle parti più delicate dell'uomo onorato e religioso, replicò, e non si trattenne dal dare qua e colà pan per focaccia, quantunque, lo diciamo a suo elogio e ad onore del vero, con assai più moderazione e buona grazia del suo avversario. *) Caper venne alla seconda, ultima, definitiva replica, e questa volta, senza ritrattarsi in nulla e per nulla, lasciò però scorgere ancor più la meschinità del suo ragionare. **) Stancovich non si stimò vinto, ed a buona ragione, e stampò fra le biografie dell'Istria anche quella di San Gerolamo. Nel 1833 sorse il P. P. M. Appendili i delle Scuole pie ***), imbottò nebbia, e nebbia, e nebbia, lodò e volle che avessero avuto ragione tutti quelli che patrocinarono la causa dalmatica, specialmente il Capor, e si associò poi, staccandosi allatto dall' opinione di lui, a quelli che pretendono trovare nell'antica Sidrona la Strillone geronimiana. Noi tenteremo qui darvi un'idea del come pretendano i Dalmati in generale sciogliere il tema ed aggiungere il loro scopo. Intanto, fra quanti di essi o per essi scrissero, crediamo due non vi siero che si accordino, come già l'u accennato, sul vero sito di questa dalmatica Stridono. Anziché adunque essersi i tanti campioni di appoggio 1'un l'altro, si battono a vicenda, giacché ogni nuovo che sorge, è, per sostenersi, costretto a minare l'edilizio di uno, duo, dieci altri. Uen giustamente diceva loro lo Stancovich: «Voi dalmati non "siete concordi con voi stessi nò sulla provincia, nò sopra «il luogo, e andato ciecamente brancolando per l'aria contraddicendovi l'uu l'altro senza aver fissato un punto concordemente dopo secoli di controversia.» «Alcuni di voi, come confessa il vostro Chiarelli nella «sua dissertazione pag. 85, lo stabiliscono nella primitiva «Dalmazia, altri nella più estesa, altri nella Liburnia, ed «altri fors'anco india (ìiapidia, e ciò rapportò alla provincia. «Ora parlando del luogo, chi lo vuole a Strigavo sopra Daàre *) S. Gerolamo Dottor massimo della Chiesa, dimostrato evidentemente di patria istriano — Apologia del canonico Pietro Stancovich, contro la risposta di 1). Giovanni Capor dalmatino — Trieste — Marenigh 1829. **) Della patria di S. Gerolamo — seconda ed ultima Risposta di Don Giovanni Capor dalmatino, al canonico Don Pietro Stancovich istriano — Zara — Battara 1831. ***) Esame critico della questione intorno alla patria di S. Gerolamo — Libri IV del Padre Frane. Maria Àppèndini delle Scuole Pie — Zara — Battara 1838. «sello Locrecchio nella primitiva Dalmazia, eli i a Scarogna «al litorale, e ehi a Sidrona presso Obbrovazzo india Liburnta, «e ehi a Strisna verso Castainizza, chi al monte Pasiirévg^ «chi in Buco-vizza, chi sotto il monto Slrigovno, chi in Si-«dragn e Siàraga, luoghi appartenenti parte alla Giapidia «e parte alla Iahurnia.» Perdonate questa digressione e veniamo all' interpreta-zione data dai Dalmati al testo sopraccitato del Santo. Essi ragionano a un di presso cosi: Patria di S. Gerolamo è Stradone. Egli dice ch'essa «fu flit) confine delle Dalmazia e della Pannonia.» Era adunque e in Dalmazia o in Pannonia; l'Istria non c'entrai a intruderyela sarebbe proprio un voler vedere avverato l'adagio, che tra i due litiganti il terzo goda. Ma nella necessità di nominare duo provinole, il S. deve certo aver nominato prima la sua natale, per la preferenza che si dà naturalmente alle cose proprie. Or la Dalmazia è prima nominata: la Dalmazia è dunque Pi provincia del Santo. Non troviamo in Dalmazia nessuna città che abbia avuto propriamente un tal nomo, ma troviamo nominata da Tolomeo Sidrona, collocata nelle tavole di Agatedomone alle sorgenti dtd Tizio, odierno Kerka, troviaiqq altrove Strisna, Strigóvo, Sidraga ed altri nomi tutti di suono affine a Stridono; troviamo inoltro GraovO o Grahovo, appellativi di monte, di un'etimologia cosi India che fa per noi.*) Ora, le più di queste situazioni erano nel cuore della Dalmazia secondo i conlini ch'essa aveva ài tempi del Santo, ed egli dice che la sua Stridono ora confine, Niente più facile che ridurre a perfetta chiarezza e intelligenza il testo proposto, e trarre a buÒil accordo l'apparente contraddizione. 11 Santo dico: «fu già COhfine» dunque non vuol parlare de' tempi suoi, in cui la Dalmazia giungeva da Nord all'Arsa e alla Sava. al di là de'(piali v'erano l'Istria 0 la l'annonia, ma di tèmpi anteriori e molto anteriori, perchè il già, il (pu/ndaia latino, vuol dire un tempo piuttosto riunito. Vediamo con La storia alla mano se sia siala la Dalmazia in altre epoche anteriori alla geróliminiana diversamente circoscritta. Rimontando gli anni, anzi i secoli, troviamo d i fatti che circa 400 unni prima, cioè all'iniziarsi dell'impero d'Augusto, si estendeva la Dalmazia al Nord molto meno che a' (empi del Santo, non toc- ") Tacciamo queste etimologie non già perchè la loro naturalezza sia di troppa luce pilla causa dalmatica, ma perchè cogli squarci riportali vi abbiamo giù forse annoiato, ed inoltre, non conoscendo per nulla lo slavo, non sapremmo discorrerla tutta. Sarebbe si a traine un articoletto umoristico, ma chi vuol ridere legga a dirittura il i. Opuscolo del Capor. Appendice N.ro 22, pag; 102. t-anclo essa che al Tizio, oggi Kerka, ed a' monti Adrii o Ardii *). Ecco dunque di qual confine voleva parlare S. Gerolamo, ed ecco che ne risulta: Quando S. Gerolamo disse «fu già» ei volle dire «già ([uatL'ocCìito anni»; (pianilo disse «con/ine* significò SidroitCb, od altro dei luoghi nominati, posti o sul Kerka o in quei paraggi; quando disse «della Dalmazia e della Pannonia» inteso senza dubbio nella Dalmazia e non nella Pannonia (d'altra province non c'è discorso) perchè nominò quella in primo luogo. Quali regolo grammaticali e Logiche guidassero i Dalmati a questa conclusione, noi invéro non lo sappiamo vedere. (Ji accingeremmo a confutare siffatti ragionari, se ad altri argomenti non s'appoggiasse la causa istriana: ma stando le coso conio stanno, fatta astrazione di tutto che cade di Imi io in nenie a ciascuno contro i raziocinii avversarli, ammetto questa interpretazione come una [tossi h il ita Gli Istriani invc e, con mono arte ed erudizione, ma, sembrami, con più verità, spiegano il medesimo testo così : «Stridirne, disi, alla dai (lofi, fa ga'i confine della Ihdniazia e della l'ttnnocin . . .» Stridono fu già confine della Dalmazia — Stridono fu già confine della Pannonia. L'idea prima e più spontanea che si presenta è che Strillone sia stata fuori e della Dalmazia e della Pannonia, ma presso al limite di entrambe; che ciò più non fosse quando il Santo scriveva, perché Stridono più non era: e eh egli abbia dello «/'e già» come direbbe qualunque di noi, so parlando d'una città distrutta, volesse nari-are, eie1 fu eoniino quando esistette. L'Isiria da Augusto in poi. per tulli i quattro secoli che corrono tino all'epoca del Santo ed anche dopo, con parie del suo conline a greco s'appoggiava alla Pannonia, e col suo confine d'oriente toccava la Dalmazia. In essa a poca distanza dal triplice Confine è sila Sdregna, nella quale vige ancor oggi la tradizione, esser là il luogo natale di Santo Geronimo, nella (piale vi mostrano una pietra lapidaria, che *) 11 confine della Dalmazia fissato da Augusto — l'Arsa e la Sava è cosa nota ai geografi. Il eonflne poi più antico nume Tizio e monte Ad l'i o — lo han dimostrato benissimo. Ma quel che tacciono o che alcoli-ila no appena, d'altronde vitalissimo alla questione, si è: se poi la Daiiuoiiia, quando io Dalmazia era cosi ristretta, giungeva con questa a contallo. Sappiamo che la Dalmazia estendendosi dal Tizio all'Arsa invase /" Liburnva e la (', in jiiil'in, e con questo tli/uit' niellili raggiunse il limite della i'antionia ; ma non ci consta, anzi crediamo il contrario, che l'annoiiia e Dalmazia prima di detta epoca si succedessero immediatamente. K se questo appunto non dimostrano i Dalmati, come mai vanno a ''creare il loro baluardo negli antichi conlini ì pretendono essere del sepolcro di Eusebio padre del Santo, nella quale udrete cento miracolose storie, che quanto più vi attestano la ingenuità di que'poveri abitanti, tanto vi inducono più nel convincimento che quella tradizione (ili cui BOB documento ancora le parole dell'arcidiacono Tommaso dei 1250) non è frutto d'artificii, ridicola cosa a pensarsi, ma trova il suo fondaménto nella storia o nei tatti. L'Istria in epoca circa d'un secolo anteriore a questa che consideriamo veniva espressamente detta in altre scritture — confine della Dalmazia e della Pannonia — come ci fa documento l'indicazione riguardo alla patria di S. Donato istriano, reperibile negli atti del suo martirio: [l beatissimo Donato figlio di Crescentino, ebbe a terra aitiate un casi elio degli Istriani situato nei con/ini licita Dalmazia e Pannonia. Tutto ciò ne sforza a conchiudere che con quelle parole il Santo voleva significato non altro paese che l'Istria. Oppongono i Dalmati la interpretazione che diedero tjssi a quel «fu già confine» e sostengono che appunto V esser dimostrata V Istria conline della Dalmazia e della Pannonia ai tempi del Santo, la esclude fino dal mettersi in lizza, perchè avendo egli colle anzidette parole voluto alludere a confini diversi da quelli del suo tempo che non si riscontrano se non quattrocento anni prima, nella qual epoca l'Istria non era confine della Dalmazia e della Pannonia, cade da sè ogni pretesa. Rispondiamo che quel «fu già confine» non di necessità significa «quattrocento anni prima» ma trova più ovvia spiegazione nella parentesi premessa dal Santo stesso: Stri-done, distrutta dai (iloti, fu già confine. Il dire distrutta dai Goti, esclude che si possa dire è con/ine. Lo formava, lo indicava, se vogliono, ma non era. Inoltre a dire intero quanto pensiamo, quel «fu già» specialmente in latino, ci suona ben meglio un ultimo tributo di compianto alla misera patria, piuttostochè una fredda indicazione cronologica, ben poco naturale perchè vaghissima. San Gerolamo adunque quando scrisse quel testo parlò de1 suoi tempi, e se disse che Slridone fu già confine, lo disse a tutta ragione, perchè, lo ripetiamo, allora più non esisteva, ed anzi ne diede un commento egli stesso col premettere «distrutta dai Goti». Nemmen questo speriamo si possa dire sia sragionare ; e osserviamo poi che tutta la questione dimora nella precisa determinazione dell'epoca a cui il Santo volle alludere. Se intese de' suoi tempi, l'Istria non solo pretende, ma vince la gara: se di quattrocento anni innanzi, olla non può nemmeno aspirare a considerazione nella disputa. 2\:i Ma qualche altra cosa disse egli con allusione alla patria. Correvano all'età sua quegli anni di desolazione in cui i barbari irrompendo da Oriente si precipitavano irosi sul-l'impero latino. Rasentarono l'Istria senza invaderla allora, ma menando stragi e devastazioni ai confini. Il nostro Santo in tal occasione ricevea notizie delle afflizioni della patria e scriveva: «E forse che non ho udito essersi ciò (le stragi «e le devastazioni) compiuto dove io nacqui, nella re;/ione < dispensa 5, pag. 310: Pietro Orseolo II, trovò occasione di sottomettere le città marittime della Dalmazia, sali cottesi ai Croati, e Parenzo, Pula, Ossero, Veglia, Arbe, Trai', ed altre che conservando ì propri statuti ricevevano il podestà da Venezia; e il titolo di Duca di Dalma z in per fa gi-azia di Dio /'>' aggiunto a quello del Doge. Qui trovo citate a casaccio citta della Dalmazia e dell' Istria. Ma il signor C. . . C. . . (servono più a qualche cosa le iniziali?) da quel valente storico che è, se qui e in altri luoghi della sua storia va dietro al dire dei più che non conoscono bene casa propria, in molti altri distingue questa italiana provincia dalla Dalmazia. Ci perdoni l'illustre storico le franche nostre parole, perché se a noi monta la senapa al naso nel vederci sconosciuti, non è mai per isprezzo di quella forte e gloriosa nazione dei Dalmati, si perchè trattasi di questione troppo vitale per noi, delle relazioni cioè con la patria comune. Intendiamoci una volta. 1 fossati eri i ponticelli in un'aperta pianura non segnano i confini delle nazioni, con una barriera ed una colonna a gotico alfabeto non si alterano le tìsonomie dei popoli; e l'Istria forma un tutto geografico col paese che qui s'incurva e gira alle falde dell'ultima Alpe. Che vi possano appartenere anche i Dalmati, per appendice, questa è un altra questione. Non c'è che dire. I nostri letterati sono bravi uomini, ma uomini, e quindi soggetti anch'essi a lasciarsi cogliere dal sonno. E che volete? Anche Omero era un bravo uomo, eppure dormiva spesso della grossa: Bonus aliquando dormiteti Homerus; e dormendo russava si forte da spaventar le Camene, le quali come tutti sanno erano nove sorelline cosi magre e delicate da allibire al più lieve susurro. Cosi quei signori quando vengono nei nostri paesi, un po' per l'umido del luogo, un pò per lo scilocco che soffia forte in queste marine regioni, si sentono grave la testa, cornano loro le orecchie, chiudono gli occhi, e . . . felicissima notte, addio storia, addio geografia. Da questo sonnellino furono colti pure e il signor Maz-zoldi (eh ! no no quello della Sferza) nella sua opera: Delle origini Italiche, allorché sognò che il nostro Carli fosse milanese, e il Dott. Angelo Fava noli'Educalo*' di si' stesso che te me lo fa veneziano senz'altea distinzione. E sonnecchiò pure quel mio caro e simpatico mastro Gregorio, di cui se vi rammentate vi ho detto pure qualche cosa nella lanterna magica dell'anno scorso, allorché lasciò segnare al suo litografo nella carta dell' Istria Monti Caldera non già ad oriente ma proprio a settentrione della nostra provincia. Povero Mastro Gregorio ! E non le sono mica baje coteste starsene tutta notte sull'abbaino a speculare le stelle, a puntar gli astrolabi ; onde ei vuoisi perdonare al bravo uomo se non fu sempre coli'occhio sulla mano de' suoi subalterni! Convien erodere che il sig. G... J). P... compilatore di una Gazzetta di Farmacia e Chimica tenga a dovizia fornita d'oppio la sua officina, e che n'abbia bevuto una buona dose allorché lasciò scrivere nel N, 45 del 1857, che il celebre Santorio Santorio sia nato a Cividale nel 29 Marzo 15(51, Legga il signor G... I). F... i cenni biografici di quel-1' illustre medico dati dal compilatore di questo annuario nella strenna dell'anno scorso, e vedrà che il Santorio nacque invece a Capodistria l'anno 1565, come si ha da irrefragabili documenti. Ma egli è ormai tempo, che io cessi dalla metaforica pescagione, perchè l'aere Inaino, lo scintillar delle stelle e i lunghi silenzi della notte invitano me pure a dormire. E' In già un bollissimo uccello il quale come cominciarono ad aleggiare i primi zeffiri di primavera, si diede a svernare così dolcemente su per lo cime degli alberi, che le genti tutto se ne stavano meravigliate ad udirlo, dimenticando ogni loro bisogno. Ora ogli avvenne che uno uccellatore; essendo andato ad uccellare, uditolo cantare si dolco, fu preso da forte voglia di farlo suo; o di subiti», disteso le roti, si pose ad imitare con tanto artifizio il canto di lui, che il poverino, nuovo come era di simili inganni, e non accivettato, di leggieri incappò nel parolajo, e fu preso, Fu egli allora riposto in una bellissima gabbia con le gretole dorate, ebbe il boceatojo Sempre fornito di nuovo mangiare, e con si line arti lo trattarono, da fargli, se possibile stato fosse, la pristina libertà dimenticare. Il padrini'', conosciuta la valentia di lui nel canto, gli ora tutto il giorno intorno con un suo organino per fargli apprendere corte teatrali ariette dai migliori maestri composte; di che non è a dire quanta noja venisse al povero uccelletto, il quale impe dito nel libero e naturai suo sfringuellare, era ridotto a starsene unto di immobile sul boceatojo, con l'orecchio teso e il becco in aria, provandoci, ma invano, d'imitare a quando a (pianilo quelle ignoto armonie, bài or che no1 avvenne? La misera bestiuola, giunta a si inai partito, non solo non appreso il canto peregrino, ma dimenticò anche il proprio; e da li a poco si mori di doglia e di crepacuore. La moralità della favola insegna........ IL Una rondinella, veduto il tempo méttersi al buono, fece suoi provvedimenti, per ritornare air antico nido. Palesò ella cotal suo divisamente ai compagni; ma certi rondinini, timidi e paurosi cosi che avrebbero affogato nei mocci, le stavano tutto il giorno intorno, dicendole, che la stagione non era ancor bene avanzata, e avrebbe corso rischio di perire. Ma invano, e l'ardimentosa rondine fu a mare e pas-sollo. Rifece 'dia in pochi di il suo nido: ma ecco, come lo aveano predetto i compagni, il rovajo spirare cosi forte dall' Alpe, che la poveretta si dovette morire di freddo. Da 11 a poco, arrivarono colà anche que' colali consiglici'! mozzo morii dal freddo, o posersi a riparo nel nido e nella paglia, che trovarono apparecchiata. Insolenti uccelletti che vi sollazzate ora al solatio, restate un po' dalla garrula pispilloria, e ricordate i vostri poveri morti. 111. Certi corvi, veduto dall'alto un beli'orticello, vi calarono s< pra e cominciarono a beccare i mignoli degli ulivi, i baccelli delle civaje, e conni altro non era rimasto, si diedero anche a rosicchiare i tronchi degli alberi. Per ingannare la noja del dopo pranzo ed ajutare la digestione, s'intrattennero poscia in isirani ragionari. U l'uno diceva: <>r be' amici e che farciamo noi qui? Affé mia, che più miserabile paese non ho veduto io sotto il sole! Guardate un po' queste piante abbiosciati!, e cotesti tronchi avvitolati, che non v'è sopra un gramo ramuscello da cavar la fané-! al pili mingherlino animale! K un altro soggiungeva: Benedetti i nostri monti dove c'è abbondanza d' ogni ben di Dio. e gli uccelletti delle foreste ci allettano l'orecchio col loro soave cantare. Udito questo un vispo passerino, chtì svolazzava saltabeccando per Le sforacchiate siepi dell'orto: Poiché, dissi-; rivolto alle immonde cornacchie, vi è venuto cotanto a noja questo giardino, toglietevi di qua: di che le cornacchie restarono avvilite e confuse. Certi insolenti forestieri* che hanno per vezzo denigrali' il paese dove sono ospitati, ricordino il sermone del passerino. IV. Una vecchia ed irruginila banderuola era stata posta sulla cima di un basso funiajuolo in un vicolo angusto, e comeché il vento po mi o nulla spirasse Ira quelle catapecchie, così durò molli anni sempre immobile con la faccia rivolta a me?zddl, Ma un giorno il padrone ili casa di quivi la tolse, e per pochi denari l'ebbe venduta ad un mastro ferrajo, il (piale, avendola pulita e inverniciata, eollocolla sulla cima d'una altissima forre. Di subito la banderuola sentì l'influsso dell' alta atmosfera e guardò a settentrioni1 lasciandosi poi aggirare da tutti i ventiquattro venti della rosa; non senza annojare con (pud suo importuno sfrigolarti eerto coecoveggie e barbagianni, che aveano posto colassù il Ioni nido. Avviso a chi sale. Ah. Paolo Tedeschi L'EDIFIZIO PER LE NUOVE SCUOLE TECNICHE O REALI IN PIRANO Sono pochi anni che un illustre compatriota, Pietro Felice Gabrielli, cui la popolazione piranese tributa ricordanza perenne di gratitudine e di amore, iniziava con impegno i suoi adopramenti pel conseguimento in Pirano delle scuole tecniche. Assecondalo dalla unanime rappresentanza municipale, di cui egli era il preside, ed animalo dall'approvazione generale de' suoi concittadini, questo benemerito non lasciava tra le lentezze, che sogliono troppo spesso accompagnare i progetti, impigrire un'impresa, alla 'piale da principio pareva volessero osteggiare gravi difficoltà. Animo adorno di sensi gentili e generosi, attendeva con alacre zelo all'assuntosi impegno, e indefesso recavasi in persona a sollecitare quella sanzione del nuovo istituto, che dovea condurre a scopo con nobile perseveranza proseguito. Fd ella non tardò a fargli provare l'intima compiacenza che il suo operato, le sue fatiche non erano riusciti soltanto a pii desideri. Le scuole tecniche Venivano concesse alla città di Pirano, e nell'anno scolastico 1855-66 aveano i ncom indamente. Condizione peraltro necessaria a questa istituzione era un conveniente edificio; quindi se no progettava tosto l'erezione, e il dispendio dovea essere unicamente dalla cassa comunale sostenuto. Una insanabile malattia, da cui fu colto quel generoso, foriera di grave sventura alla città di Pirano, perchè dovea rapirle un tanto patriotta, faceva si che venisse altro onorevole e stimato cittadino alla testa della rappresentanza comunale; e questi, animato dallo stesso volere, e forte del continuo appoggio di valenti colleghi, voleva incominciata e continuata la fabbrica per modo, che lo stesso iniziatore dell' impresa potè avere prima di sua morte la consolazione di vedere eretto il grande edilicio delle scuole, il quale è de' suoi meriti solenne testimonianza. Un' epoca peraltro di pubbliche gravezze, e ripetuti anni di penuria ponevano in difficili condizioni come tutta la po- notazione dell' Istria, così anche questa di Pìranò. E impoverendo la universale miseria anche i proventi dei Comuni, pareva avesse a mettersi in l'orse V utile impresa. Ma niente è difficile a ehi vuole, e fortunatamente il municipio 'li Tirano era diretto da uomini che impegnati a portar l'opera al suo compimento, pensavano di agguagliarla all'altezza del concetto che ne avevano mercè la nuova ragione dei tempi e della civiltà. La considerazione dei vantaggi avvenire in una città bisognosa di progresso, la quale non è nò priva di forze, né povera d'ingegni: e il presentimento che dal commercio e dalla naviga/ione avrà la patria le condizioni di sua prosperità, furono i moventi che affrettarono a maturità l'impresa. A sentimenti si lodevoli ninno poteva cerio, in considerazione alle scarsi^ risorse comunali, ed all' inopia degli anni correnti, frapporrli ostacolo. Che alla giusta venerazione che ormai si porta all'istruzione scientifica, ed allo slancio incoercibile delle nuove idee di progresso, nessuno por fermo può sentirsi in lena di opporsi e far mostra d'animo triviale. Epperciò l'universale approvazione dei cittadini sanciva, un tanto commendevole disegno, e di molti encomi l'accompagnava. Dove pochi anni sono esisteva la vecchia casa di ricovero (trasmutata in al tra di situazione pili adatta, di forme più beile e di vastità più conveniente, si eh'è bel testimonio della carità e filantropia piranese) quivi nel Giugno del I.85C veniva collocata con solenni! cerimonia la pietra auspicale, ed al finire dell'anno stesso un ampio edilizio vedovasi innalzato dalle fondamenta al tetto. La costruzione della nuova fabbrica fu disposta per modo da avervi lutti i locali necessari alle quattro classi elementari, ai tre corsi dell' insegnamento tecnico e alla scuola di nautica. Inoltri! nello stesso edilizio ha da essere trasferita la scuola di musica, la quale con ispecialo impegno od amore si è mai sempre coltivata, dalla gioventù piranese. Quindi dodici ampi locali, posti per lo scuole roti regolarissima distribuzione quattro per piano, altri locali per la cancelleria, poi gabinetti di attinenza alle scuole tecniche, la sala per la scuola di musica, la comoda abitazione pel direttore e l'abitazione pel custode, sono compresi nel nuovo edilizio. Questo eolla perfetta sua interna disposizione, colla decorosa gravila dell'atrio e della, scalinata tutta di pietra, e coli'attiguità di un relativo osservatorio, presenta un complesso vasto, bollo od onorifico alla città di Cira.no. La (piale volle ben a ragione addimostrarsi degna dell' istituzione tanto ferv idamente vagheggiata. is Ormai i due primi corsi dello scuole reali, che per intanto si tenevano in altre località, ma che nel corrente anno scolastico hanno rei essere frequentati nel compiuto nuovo edilìzio, diodoro un eccellente risultato; e 1*aspettazione dei cittadini ne fu appagata, Nidi1 anno 1858 andrà definitivamente in attività anche il terzo corso delle scuole tecniche, ed in appresso la scuola di nautica, per la effettuazione della (pialo le pratiche felicemente intavolate fanno ritenere con certezza prossima la superiore sanziono. Cosi lo scopo vagheggiato ila tanti benemeriti cittadini sarà raggiunto, le scuole commerciali cioè, e quella di nautica: istituzioni eccellenti, anzi di un'importanza massima, presi in riflesso i vantaggi e le risorso, che, come si è detto, il commendo e la navigazione aprono a Pirano. L' indefessa attività, la valentia marinoresca, od il coraggio perseverante ed intraprendente della sua popolazione sieno di fausto augurio, e di stimolo alla gioventù studiosa. Essa, chi1 in questi ultimi anni così nello scuole maschili come nello femminili, nelle normali e nello reali, e in quella di musica, diede saggio «le' suoi progressi, e fece apprezzar l'ottimo volere, lo zelò e la commendevole abilità di tutto il personale dedito all' istruzione scolastica, — dimostrerà che i dispendi sostenuti, gravissimi nelle attuali circostanze, furono con grande assennatezza valutati da chi intese con essi di g i tiare la semento a nuova coltura, a nuova prosperità. E P edilizio resta monumento che promette culto di riconoscenza a tutti quelli che bene meritarono della patria. Goda Pirano se volonterosa o il orso le proprie ricchezze ad avanzare la civiltà, che il progresso ò legge di previdenza all' umana società. Orazio Dr. Colombani *) *) Buon patriotta ed uomo erudito, scrisse con eleganza in verso ed in prosa. LA SCOLTA Cupa, è la notte, gelido il vento, Nò raggio splendenti dal firmamento; Tulio d'intorno spirami orrore; Ali siringo il coro. Animo, o scolla, giorno farà: All'erta, olà] Lungi dall' altre scolte compagni'. Solo su queste nude montagne, Voeo non odo che mi conforti, Carlo coi morti. Animo, o scolta, giorno l'ara: All'erta, olà! Larve raccoltesi in lunga schiera Pompon le masse dell'aria nor: . Ed affissandomi sinistramente Ci rano lente. Animo, o scolta, giorno farà: All' erta, olà ! ( >h ! quante volte mi par la bella 'Veder nell'etera luce novella, Ed un saluto pieno le invio Dal petto mio! Animo, 0 scolla, giorno farà : All'erta, olà! All'erta! 11 posto che qui mi è dato, Desio ò da prode, posto onorato: Saprò solfrire, nò cederò Finché vivrò. Animo, ò scolta, giorno l'ara: All' erta, olà! A SER MARTINO E E Martino assai cortese: A chi studia il suo paese Manda uno sbadiglio. Ma se a lui più bella cosa E far 1' epa maestosa, ('lui sognai' di patria, S' ei pel iiasco e per le carte Mette F anima da patte, Non volendo incommodi, Se V amor connaturale Per la carne di majale Gli sciupò lo stomaco, ('ho volete mai perdio " Che gli sembri questo mio Camminar sui trampoli. „Stolto, pazzo, piglia-affanni, „Quando mangi e vesti panni ,Ti occor altro a vivere? j Ragionar Melanconia ; „Sentimento?.... Poesia „I)a lasciarsi ai bamboli. „Che vestibolo, che porta, „Che anticaglie!.... a gente morta „Va cantato il requie. „E tu a metterti d' attorno „Alla pentola, un bel giorno «Gusterai l'intingolo., Qui come dappertutto il mondo. 0999 Che talento !... La lezione L' lui imparala a perfezione ; E il maestro gongola. Oh ! se tutti a quel modello Ci acconciassimo il cervello, Che bel mondo a friggere ! Perciò appunto alcun messere, Benché fàccia il cavaliere, Tagliato al lilosofo, Dalle rigide apparenze, Tutto classiche sentenze, i l appozzai e al fondaco, Giaccherei che mentre a me Fa il sembiante dell'oimò, () accigliato sbirciami, Pel mio dolce ser Martino Un amico risolino Troverebbe a spendere Non c'è a dire: ei sono fatti L' un por 1' altro, a buoni patti, Senza corti scrupoli. Siamo intesi;... o il mio pacchione, Che a illustrissimo persone E figuro amabile, Può ben essere contento, E godersi dol giumento Le franchigie e i titoli. Dunque?..1. Onore alla modestia! S' ei vuol essere una bestia Pigli un calcio, e pascoli. C. A. C. ■j nSTotisie "biogrxaficlìe Alle notizie biografiche, con cui va a chiudersi questo annuario, giovi premettere una parola. Ella è un appello all'amore che gì'Istriani portano vivissimo a tutti que' nostri, i quali onorarono od altrimenti beneficarono la patria, perché non si lascino sfuggire occasione d1 illustrarne la memoria. E le occasioni non mancano, che tutte quelle, per cui si accresce la farragine delle ilo/zinali poesie, ben opportunamente lo sarebbero, e con frutto degli spuli, e della patria coltura, ove si smettesse una volta il vieto costumo di ricantar sempre le cose già le mille volte cantate. Le lodi di un buon cittadino, il quale abbia zelato il bene della sua terra, valgono certo meglio assai degli stenti di una canzone. Abbiamo bisogno di affratellarci vie maggiormente; e a rendere T unione sempre più feconda di vantaggiose conseguenze, ogni alimento che si porga al vicendevole affetto nell'amore non meno dei presenti che di quelli che furono, ed è mezzo efficacissimo. Si usi adunque; e massime negli scritti che a cittadino scopo s' indirizzano, abbiano gli studi biografici convenevole preferenza, sì che non solo pegli uomini di gloria nazionale ne venga, tributo di onoranza, ma quelli pure (specialmente del secolo nostro) di fama meno estesa, od anche solo alla provincia e al municipio ristretta, per noi si appregino, e servano ad accendere nobil gara di \ ir!ù civili. K valga pur questo a. spiegare il perchè si parli qui appresso d'uomini, cui spelta diversa condizione di rinomanza, ed io sia entrato nel pensiero di continuare cosi anco per l'avvenire, aggiungendo, ajutato, nuovo tema ai divisamenfi, nello scorso anno concepiti, e avviati comunque a prendere cominciamento. C. A. Combi FRANCESCO TREVISANI Nacque iti Capodistria li 10 aprile 1(550. Gli elementi del disegno apprese dal padre, che era architetto di nome. Un pittore fiammingo, prode nel dipingere in brevi spazii strane fantasie di demoni e streghe, diresse i suoi primi passi nell1 arduo cammino. Il giovanotto, non ancora deconno, invaginò un quadro sulla maniera del maestro, e fu tenuto por-tonto. E allora andò a Venezia, per istudiare sotto lo Zanchi, pittore di altissimo grido per lo stile folle e girihizzoso. Ivi ebbe campo vastissimo ad informare l'animo allo bellezze dell' arto su modelli che sono anche oggi inimitabili. Nel mezzo a' suoi studi si applicò appassionatamente alle lettore ed agli esercizi cavallereschi, e poiché era bellissimo della persona, e gentili! e cortese ne' modi venia cerco e desiderato dalle brigate sollazzevoli e ne' palagi de' grandi. Improvvisava versi; recitava commedie e farse; e i più strani e bizzarri caratteri imitava al vero. Una giovinetta innamorò di lui, od egli benché folleggiasse sullo primo com'era solito in ogni più seria faccenda della vita lini coli'invaghirsene perdutamente. Ma la famiglia di lei, che temeva non rimanesse sfregiato il blasone degli avi, non volle udire di nozze. Il Trevisani allora, poiché altro non rimaneva, riparò eolFamanl, si ammirano otto stupendi quadri, che sono: il riposo della santa famiglia ; Maria che mostra 1' infante Gesù al piccolo san Giovanni; sant'Antonio che sana, un ferito; Maria e il bambino, a cui santa Elisabetta bacia la mano; la morte di san Francesco ; Cristo nel giardino degli ulivi; la sacra famiglia; ed il massacro dogi" innocenti. In Monaco, alla pinacoteca reale, india sala IX dalla parte del nord, l'arcangelo Michele che precipita negli abissi Satana e i suoi seguaci. \<] sublime 1' espressione dell'arcangelo, ed Orrendamente fantastici gli scorci de' dannati. Anche a Potsdam nel palazzo nuovo del re sta un dipinto con Diana ed Endimione, pregevole per la castigatezza del disegno, e la soavità delle tinte. Il museo del Louvre possedè due quadri del Trevisani, cioè la vergine che copre con panno il bambino che dorme, e san Giovanni che gli imprime un bacio sulla mano; e Gesù che mostra con un mesto sorriso alla madre la gragnadilla, simbolo misterioso della pa ione. La lunga vita spese il Trevisani in opere egregie, che lasciò a Bologna, a Camerino e a Perugia, a Fori! e in altre città d'Italia. Mori già vecchio di novantun anno li 30 luglio 1746. Furongli resi splendidi onori, e la sua memoria fu cara e venerata per l'altissimo valore nell'arte, per l'amenità de' suoi modi, e per le tante sue domestiche virtù"). Avv. Madonizza *) Qui giova notare conio Francesco. Trevisani (vedi nuova edizione dello Stancovich) non debba ossero contuso col fratello Angelo. «Di questo, dico il nostro biograto, che non abbandonò inai Venezia, clic i quadri di sua invenzione nella Certosa e in molto altre cinese di Venezia meritano di essere lodati, e elio si distinsi'! nei ritritili.» Si aggiunga elle fu valente anche nelle tele di ampia composizione, diindo prova di possedere uno stile proprio ed energico. Nelle memorie dell' ufficio parrocchiale di So-maglia si legge la seguente nota. 1818. il conte Gian-Luca Cavazzo di Somaglia Imperiale, Eteg. Ciambellano, procurò ed acquistò dall'Accademia di Ibera in Milano due grandiosissimi quadri: uno ra ^presentante il trasporto od il trioiilo .Ioli'Arca Santa dell'antico testamento, opera del celebre piiioie Sebastiano Ricci del 172U, e V altro rappresentanti'. Il lìedeniore. che scaccia i. profanatori dal tcui/no, opera del pittori', Angelo Trevisani del l*~>'J, e la donò a questa chiesa parroccbiale, I suddetti quadri erano nella soppressa chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Ciudeeca in Venezia, e trasportati in Francia, restituiti noli'anno IxJÒ, e a Somaglia posti, come si e dello nel 1818.» K Somaglia un paesello a quattro chilometri circa da Casalpuster-lengo, stazione della strada ferrata — Milano, Lodi-Piacenza — a mezza ora di corsa tla Lodi. LUIGI B E N CIC H Luigi Bencich, nato in Capodistria il 2(ì decembre 1784, moriva or da ultimo in Umago a di 4 giugno. Sviluppatagli la inclinazione al sacerdozio dallo zio, rettore del seminario vescovile, ebbe indio stesso tutta la sua educazione. Vivace per naturai tempra, di svegliato ingegno, di facile parola, sparsa sempre di lepidezze, amatore appassionato della poesia latina, ed italiana, e fornito per tempo anco di sode cognizioni scientifiche, levossi in breve tra i più distinti. La prima occasione che gli si offerse di porre in pubblica mostra queste belle doti fu nel 1806, quella della si compianta morte di mons. Padovan, il quale teneva con alta riputazione cattedra di retorica nel detto Seminario. Dal perspicacissimo vescovo Da Ponto, di onorata memoria, venne il Bencich invitato, scongiurato, come che ripugnante, e mline obbligalo, per vincolo ili religiosa obbedienza, ad assumere l'impegno, non lieve in età ancora giovanile, di adempiere il vuoto profondo, lasciato da un rinomato professore in un pubblico istituto educativo, con cui rivaleggiava il Collegio, retto dà dotti Padri Piaristi, e sul quale erano volti i riguardi della provincia tutta. Datosi a forti studi, di giorno e di notte assidui, si a-doperò il Bencich di maniera, e con tanta costanza, da non lasciar accorgere (come suonò in allora l'ama universale nel-P Istria) della mancanza, dell' illustre Prof. Padovan. Tale successo compendia ogni elogio migliore. Oud'ò non aver recato maraviglia, se il credito guadagnatosi gli ebbe fruttato poi, dal ministero del culto e della pubblica istruzione in Milano, la nomina a professore di belle lettere nel Liceo di Piume. Sottentralo all'italico-francese l'austriaco governo, tra-smutavasi il Bencich a professore di eloquenza nel patrio Liceo di Capodistria, costituito in Ginnasio. L nuovamente segnala\asi cosi, elio gli veniva affidata la direziono dell'istituito medesimo. A conforto di quc' parecchi in Capodistria, che aliie-tavansi nelle care reminiscenze dell' antico Collegio convitto, mantenuto per secoli da egregi educatori, i padri delle Semole Pie, ed agognavano dì vederlo reintegrato; a sollecitazione dei pochi ma intelligenti, che avrebbero pur bramata, se non altro, un'iniagine di ristaurazione dell'accademia preesistente, senza le freddure dei tempi anteriori, — il Bencich si era provato di mettere a profitto gli abbandonati locali dell'ampio e nobile edilizio del Collegio civico, tanto col rac- cogliere intorno a sé un drappello dì studiosi giovanetti tra i frequentatori del Ginnasio, quanto di adunare a crocchio uno scelto numero di cultori rielle scienze e delle italiane lettere nelle ore serali, a tener discussioni, a leggere memorie e poetici componimenti, insomma ad alimentare l'amore agli studi e farli rispondere alla civiltà progressiva. Ma i tempi cominciarono qui a volgere meno propizi all' istruzione, da che il nostro Ginnasio italiano (ora ripristinato, e reso completo di otto classi) venne tradotto in Ginnasio tedesco. Scaduto quindi il Pencich dalla carica di preietto del Ginnasio, si diede tutto al sacerdotale ministero, e sostenute in patria onorevoli mansioni ecclesiastiche, accettò poi l'officio di arciprete di [Imago a di 20 Settembre 1825. in esso recò tutto il fervore del suo zelo quasi dicasi connaturato; e si to' distinguere ed applaudire qual sacro oratore, qua! ottimo pastore del gregge affidatogli, sempre affàbile, caritatevole, nonché qual raccoglitore solerte di patrie memorie. — Queste dovevano servirgli a tessere una patria storia. Ma o per [scoramento o frastornato da altre cure, non gli fu dato di porvi mano. Per trentadue anni bensì fu agli spirituali soccorsi tutto pietà ed annegazione. Insignito della decanale dignità ed elevato a consigliere di concistoro, si tenne pago di tanto, e senza più aspiri, rassegnalo a quel perpetuo distacco dalla amata patria, dai congiunti, dagli intimi amici, deposte alla soglia della canonica le spoglie letterarie, a cui sì da prima affacevasi il suo genio. Laonde senza nulla mai perdere di sua giocondezza fino agli estremi di una vecchiaia torturata da acciacchi, gli avveniva talvolta di prendere ad argomento di scherzo coi suoi più affezionati, le giovanili sue stranezze nello imitare le tetre fantasie del Joung. Concentrato da ultimo nei soli sentimenti religiosi che avean posta profonda radice nell'animo suo, ed ilare lino agli ultimi momenti, cosi da comandare egli sfesso in aria lieta e serena i lugubri rintocchi dell'agonia. Spirò nel Signore. Alla sua terra, natale, a quella di Pmago, che per tanti anni sei tenne carissimo, e a tutti gli estimatori di lui, non torni discaro questo cenno biografico, dovuto alla memoria di chi fu utile all'Istria come educatore, come sacerdote, come cittadino. Francesco db Comi» MICHELE FACHINETTI Cittadino ili sensi generosi, popolarissimo, gentil poeta, di bel nome anco fuori di provincia, Michele Fachinetti fu all' Istria caro così, che oggi pure, corso già un lustro da che lo perdemmo, giovane d'anni, e mentre era tutto in farsi al bene della patria, non possiamo togliere lo sguardo dal posto eh' egli tra noi si avea, e da cui porgeva di se ogni buono esempio. Nato in Visinada da agiata famiglia l'anno 1812, passò agli studi nel Collegio di Capodisjria, e quindi all'Università di Padova applicò alle leggi. Posi il h ivasi alla, provincia nostra già fin d'allora distinto per cognizioni scientifiche, delle belle lettere felice cultore, animo pensato, e a nobili cimenti provveduto. Pen altro campo adunque che il piccoletto paese de'suoi natali addicevasi ad un giovine, il quale avea già.composta la vita allo specchio dei iniglio'd, e dotato nella mente e nel cuore delle più rare parti, dovea cerio, sebbene di modesto sentire, essere in coscenza di poter molto. Ma egli, perduto un fratello, che gli era simile per ogni maniera di belle prerogative, si dedicò volonteroso, e con magnanima annegatone, ai ritiri della villa, trattenutovi dall' assidua pietà verso i desolati parenti. Così la vita gli fu tutta un sacrificio. Ma non per questo si lasciò allettare al riposo della solitudine, nò sgagliardire l'amore dello studio e della patria. Certa mestizia bensì, quantunque serena e tranquilla, venne e trasfondersi in ogni suo scritto. Ond'è che fra le doli del SUO dire, delle quali non sarebbe stata ultima la robustezza, a giudicarne gli esempi, dove più lo stile si allena, primeggiano la squisita nobiltà del sentire, la nettezza del pensiero, la pulitura dell'espressione. L'autore della Francesca da Binimi, scrivendo intorno ad alcuni versi di lui, auguravasi di poter fare altrettali io. Molle sue prose e poesie di vario argomento sono già per le stampe; le altre lo saranno, e, sperasi fra non molto, (di>' ora si attende ad ordinarle, «■ a me fu dato l'onorevole officio di premetterne ragionamento alla raccolta. Quanto poi l'egregio pai ciotta si fosse slu dialo attorno agl'interessi della provincia, l'elidono fede le nomine popolari ch'egli si ebbe a podestà e a dejmlalo ili parlamento, nonché il favore con cui fu accidie il Popolano : periodico ch'ei pubblicò negli anni IN.M», 1851, volto a raccomunare gli spiriti negl1 intendimenti della civiltà, e nello studio di tutto che valesse a prosperare le condizioni dell' Istria. Ànimo pieno di dolcezza e soavità, e a vera rettitudine informato, avea per tutti che di consiglio lo richiedessero, amorevoli e schiette parole, dignitoso e in uno modestissimo, era schivo non meno della rigida gravità che d'ogni affettazione di molle cortesia; lodato (e lode gli venia da tutti) non invanì mai; e quando la censura dei pochissimi, soliti a svilire quanto sconoscono, non ebbe risparmiati i suoi più onesti divisàmenti, gli bastò l'illibata coscenza a non degnare gli stizzosi avversala di suo risentimento. Michele Fachinetti vivrà tra quelli, di cui più si onora la provincia; nò poca ò tal gloria. C. A. Commi \ ANNO III« 1859 Due righe
  • settembre, essendo (pudlo d tempo riservato alle vendite del feudatario. Da ciò lilialmente nasce l'imposto gratuito lavoro dei beni allodiali, il ristauro di case, e tutta quella serie di pesi, sotto cui gemono inconsolabilmente. Quei possessi che poi non hanno la mala sorte di essere compresi nelle giurisdizioni feudali, o sono, pochi eccettuati, acquisti enilteotici, ed il canone o livello convenuto assorbe il più delle volte la massima parte dtd ricolto, oppure sono concessioni del conduttore delle colonie a titolo estremamente oneroso. Nei comuni di l'eroi, Varani e Villagreca, la maggior parte delle proprietà è inalienabile, perchè riconosciuta sotto il nome di vecchi e nuovi acquisti. Che se alla seri*; spaventosa di pesi ed angario già descritti, i (piali gravitano sulle proprietà istriani1, si aggiungano le decime ai vescovi, quelle ai capitoli, alle collegiate, ai parrochi, e finalmente i contributi e le regalie che erano dovute agli ex rappresentanti, risulta ad evidenza essere questa la causa principale della miseria degli Istriani, della quale avviliti, conoscendo l'impossibilità di risorgere, hanno presa avversione al travaglio °). Rimedio ai detti aggravi. La sovrana clemenza ha qui un vasto campo, ove esercitare i suoi benefici attributi, col richiamare i feudatari ai loro diritti originari utili, svincolare i fondi indebitamente aggravati o da pesi arbitrar! o da inalienabilità, e distruggere o diminuire almeno le decime del clero, unici mezzi forse per rifiorire l'agricoltura, le arti e il commercio, di cui tanto abbisogna questa provincia, e che infine sono 1' anima della nazione 7). A mmin isti ri zìon ì comunali. In urbani e rustici sono distinti i comuni dell' Istria. Entrano nella prima classe le città e terre grosse; appartengono alla seconda i piccoli villaggi. 1 redditi dei comuni urbani, che ordinariamente derivano da alcuni l'ondi prodiali, da profitti sui monti di pietà, sui fondachi, sulle pesche e sui dazi in limitazione, vengono disposti per le spese ordinarie d' impiegati, salari, ristauri, ed in alcuni luoghi anele-; di medici o di pubblica istruzione. Questi redditi, che in alcuni comuni sono considerevoli, vengono amministrati da due ed anche tre sindaci, eletti dal consiglio comunale, composto ordinariamente di tutti i capi di famiglia, e presieduto o personalmente dal governatore della rispettiva provincia o da un suo delegato. Da questo medesimo consiglio venivano eletti un ragionato per la contabilità, ed in qualche luogo una consulta, la quale doveva essere convocata dal giudicato, ogni qua! volta urgenti casi O dubbiezze lo esigevano; e il voto di essa era deliberativo. Nessuna spesa, tanto ordinaria quanto estraordinaria, poteva essere incontrata dai sindaci senza che fosse prescritta dal consiglio comunale con apposita parte, oppure dalla consulta nelle urgenze. In dipendenza del podestà locale, e sotto la di lui sorveglianza, era appoggiata ai sindaci la direzione dell'annona. Quando occorrevano delle spese superiori alla rendita comunale, nelle quali non di rado si facevano concorrere anche alcuni comuni rurali del circondario, dietro parte del consiglio, s'incontrava un debito oppure si estraevano le necessarie somme dalle casse dei monti di pietà, e dai fondaci, ordinariamente amministrati dai sindaci medesimi. Qualche non rara volta s'imponeva anche una tassa sopra gl'individui. Ultimamente pero nessuna parte, presa dal consiglio e dalla consulta, poteva esser valida senza V approvazione del governatore. 11 resoconto della tenuta amministrazione in capo all'anno era assoggettato al consiglio generale del comune, e poscia all'approvazione del capo della provincia. Di alcuni luoghi il rendiconto sottoponevasi mensilmente alla consulta. Mille sono gli abusi introdotti, e molte le maleversazioni, ch'ebbero luogo in questi ultimi tempi nelle amministrazioni comunali, per rilevare i quali io credo opportuno di proporre una rigorosa, robusta e generali; revisione. Per l'elezione dei zuppani, che tali si chiamano gli amministratori delle comuni rustiche, si praticava lo stesso metodo, colla differenza che ai consigli di queste non presiedeva il capo della rispettiva provincia. Per la loro vali- dita, bastava che fossero dallo stesso approvati. Alla carica di zuppano, che ordinariamente è occupata da chi non sa nemmeno leggere, lo statuto patrio attribuisce anche il giudizio della (mistione per danni recati, che non eccedano le lire tre, od anche per ingiurio verbali, colla facoltà in tutti e due i oasi d1 infliggere dolio penali di uguale somma, che vanno a benefìzio del giudici! medesimo. 1/esercizio di queste l'unzioni, che è tuttavia in corso, manifesta da sè 1* incongruenza di una attribuzione, la quale autorizza il giudice a sentenziare a suo favore; il che desta continui clamori, querele ed animosità. (), correndo alle comuni rustiche d'incontrare spese, siccome non hanno entrate, ma si possedono dei l'ondi eomu-nitativi per uso di pascolo e di Legna da fuoco, i zupparli convocavano il consiglio e facevano la proposta. Se il consiglio 1' adottava, era assoggettata la parte al capo della provincia per la sua approvazione, a perchè indicassi» i mezzi di raccogliere i fondi necessari: il che ordinariamente veniva abbandonato all' arbitrio degli sfessi zuppani. Di solito ne veniva un'imposta sulle teste, sui fuochi e sugli animali. Tale è stato il sistema amministrativo dei comuni lino alla istallazione dell'attuale governo, il magistrato civile, considerando, essere questo metodo in opposizione alle norme di amministrazione, comuni agli altri dipartimenti del Regno, ha sospeso i consigli e le consulte, supplendo esso medesimo alle norme occorrenti dei sindaci e ilei zuppani. J comuni feudali erano amministrati come il feudatario disponeva v). Osservazioni sulla atau.cauza dei catastici dei beai cotaanali. Mi cade in acconcio di qui far rimarcare a V. A. S„ che mancano i regolamenti per 1' usi» di questi fondi comunali, e che in conseguenza più ne approfitta chi è più forte. I catastici di tali beni, detti incolti, che dovrebbero esseri; a IMugliente, perchè apparteneva a quel governatore veneto l'assegnarli ai comuni, e dietro ricerca accordarli ai forestieri che volessero domiciliarsi, ed anche ai nazionali a quelle condizioni, che i regolamenti prescrivevano, non si sono rinvenuti. Mi si è detto che possano essere trasportati a Trieste, ma sarà più facile ritrovarli a Venezia nell' archivio del magistrato ai beni comunali ed incolti. Un esatto esame poi dei beni comunali ed incolti, dei quali tanto abbonda la provincia, particolarmente nel distretto di Pola, sembrerebbe non immeritevole della sovrana attenzione, poiché una conveniente distribuzione di questi terreni. resi per abuso quasi di diritto esclusivo di alcune poche comode famiglie, servirebbe a promuovere ed animare l'industria degli stessi comunisti, i «piali riguardano in oggi codesti beni come proprietà di tutti, e non vi prendono interesse a renderli migliori. Devo anche far osservare a V. A. S. che la poca coltura degli abitatori, massime nell' interno, sembra escludere dalla provincia dell' Istria l'organizzazione amministrativa dei comuni coi metodi generali, praticati negli altri dipartimenti del Regno. Quindi sarebbe mio subordinato parere, che si ritenessero per capoluoghi di comunità le città e le terre grosse, aggregandovi i piccoli villaggi, nei quali poi un aggiunto comunale potrebbe disimpegnare le giornaliere occorrenze. E siccome non sono rari i villaggi, nei quali mi e occorso di ritrovare il solo parroco, che sappia leggere e scrivere, cosi converrebbe che in questi luoghi la scelta cadesse provvisoriamente sopra i parrochi, almeno per quelle operazioni che spettano all' uffiziale del registro civile °). Amministrazione politico-economica. Sotto il governo austriaco al governatore della provincia era affidata la direzione politico-economica. I tribunali di prima istanza noi capo-luoghi di languente, Albona, Pirano, Parenzo, Rovigno e Pola, ed i giudici sommari degli altri luoghi, no esercitavano in nome di lui le funzioni, ed in qualità di suddelegati di finanza esigevano i rateali pagamenti dei dazi in limitazione, delle decime, dei censi, delle affittanze, e li trasmettevano alla cassa provinciale, nella quale dovevano essere versali i pagamenti pubblici di qualunque natura. Allontanatosi allo avvicinarsi delle armate francesi il governatore austriaco, il generale Seras col suo decreto del giorno 6 Dicembre 1805, nominò un governo provvisorio, composto di un preside e di sei consiglieri, e lo autorizzò a sostituire nuovi funzionari. Ma l'amministrazione rimase, ai tribunali e ai giudici sommari. Con decreto di V. A. S. del giorno 7 Febbraio 1806 fu 1' Istria dichiarata ottava provincia degli Stati ex-veneti, e con altro decreto dello stesso giorno furono nominati il magistrato civile, l'intendente di (manza, ed un delegato di polizia, tutti residenti a Capodistria; in forza di che cessò dalle sue funzioni il governo provvisorio e con esso cessarono i tribunali di prima istanza civile, eccettuati quelli di Capodistria e di Parenzo, ma furono conservati tutti i giudici sommari. In tale stato di cose il magistrato civile credette di dover provvedere, e quindi passò alla nomina di sei delegati di governo, i quali in luogo dei soppressi tribunali disimpegnassero le incombenze economiche e politiche del circondario loro assegnato, corrispondendo immediatamente con esso lui, che esercitava le medesime funzioni nel distretto di Capodistria. 1 giudici sommari o di pace continuarono ad avere la polizia del proprio cantone, ma furono assoggettati alla dipendenza dei delegali. Segui finalmente nello scòrso mese di Luglio l'organizzazione delle finanze e furono stabiliti i contini tra 1 e-COnomico ed il politico della provincia. Pure si lasciò anche l'esazione dei dazi ai delegati, che da quei tempo entrarono in corrispondenza, in ciò che li riguarda, con l'intendente di finanza, senza però interrompere i loro rapporti colla prefettura per gli oggetti di polizia, per la diffusione degli ordini e delle leggi, pel regolare andamento insomma del pubblico servizio. Organizzate che sieno le amministrazioni comunali, alle quali la legge attribuisce la massima parte degli oggetti, che presentemente sono di competenza dei delegati, sarebbe mio subordinato avviso, che questi si potessero far cessare, primieramente perchè manca quasi del tutto il motivo della loro istituzione, in secondo luogo perchè è presumibile che V. A. S. possa come negli altri dipartimenti, anche in quelli dell'Istria, collocare una vice-prelettura: il che sarebbe a mio Credere necessario, specialmente per essere la sede della prefettura situata in una delle estremità della provincia.1") Pubblica islrazione. La pubblica istruzione, che tanto necessaria si rende per 1'incivilimento delle popolazioni dell'Istria, è fatalmente negletta. Vi è in Capodistria un seminario ed un collegio. Nel primo che sta sotto l'immediata sorveglianza del vescovo, presentemente si contano quarantatre alunni, compresi alcuni secolari. Tale è l'ordinario loro numero. Le grammatiche italiana e latina, 1' umanità, la rettorica, la filosofia, e la teologia sono le scuole di questa educazione ecclesiastica. Il secondo, cioè il collegio che ebbe la sua origine al principio del secolo decimottavò, e che per mancanza di mezzi di sussistenza era andato in deperimento lino al punto di esser chiuso, lo sarebbe stato in fatti, se i sindaci, autorizzati dal consiglio del comune, che ne La giuspadronato, mal sofferendo di veder perire questo istituto, che è l'unico in tutta la provincia, non vi avessero provveduto, segnando nel 1803, con l'approvazione anche di quel governo, una convenzione in virtù della quale venne affidata a sette padri Scolopi la direzione tanto istruttiva quanto economica del collegio medesimo. Fu loro accordata un'annua retribuzione di lire italiane 7320, assegnate queste per una metà circa sulle casse dello Stato, ed il rimanente sulle diverse casse del comune di Capodistria. Quindi i padri vennero incaricati non solo dell'istruzione del leggere, dello scrivere, della lingua latina, della rettorica, della filosofia e delle matematiche, ma ancora della custodia e sorveglianza dei convittori. Debbono però sottostare a tutte le spese, che immediatamente non cadono sotto il titolo di educazione ed alimento degli alunni, e debbono riceverne in educazione qualunque numero, finché il locale possa capirli, cosi d'Istriani come di Dalmatini, verso la mensile corrisponsione di lire italiane 50. Sieno essi per altro in età non minore di anni sette, né maggiori di anni quindici. Col pagamento poi di soldi 30 mensili, è in diritto qualunque da Capodistria d'intervenire a queste scuole. — Scuole pubbliche vi sono nel comune d'Isola, nelle quali s'insegna leggere, scrivere, la lingua latina, la rettorica e la filosofia. I tre maestri che sono incaricati dell'istruzione hanno un complessivo annuo assegno di 800 lire italiane, concesso loro dall'ex-veneto governo sopra i redditi di due conventi, ivi sopp ressi. In Parenzo a spese del comune s'insegna la grammatica, la rettorica, e la filosofìa. In queste scuole tre pure sono i maestri. Due scuole separate ha Rovigno, che è il luogo più popolato del dipartimento. Nell'una e nell'altra si danno lezioni solamente di grammatica, rettorica e matematiche. Il trattamento dei maestri, che vi sono impiegati, sta a poso della cassa comunale. Riunendo in una sola le due istituzioni, potrebbe darsi maggiore ostensione all'ammaestramento ed introdursi una scuola elementare, di cui manca all'atto il comune. Finalmente ad Omago vi sono scuole di leggere, scrivere, e di principi di latinità dotate dal vescovo di Citta-nova, che ha il giuspadronato di elezione dei maestri, la sorveglianza e la disciplina. Stanno a suo carico gli stipendi dei precettori. Dalla enumerazione delle poche scuole dell'Istria, V. A. S. vedrà, quanto grande sia il bisogno di attivare in questo dipartimento un regolare sistema di pubblica istruzione, instituendo almeno in tutti i comuni urbani delle scuole elementari. Per le comuni rustiche, le quali hanno le loro abitazioni sparse sopra larghissimi circondari, non saprei suggerire altro migliore provvedimento, acconcio alla loro situazione, che obbligare i parroehi a prestarsi all'ammae-sllamento, per quanto almeno l'incomoda distribuzione dei caseggiati e gli altri doveri del loro ministero lo possono permettere. Molti ira i parroehi stessi non si mostrarono avversi a questo mio suggerimento.11) Istillili ili heiti'fn'1'iitu. Non sono rari nella provincia gì'istituti di pubblica beneficenza, ma di ordinario cosi miserabile è la dotazione loro, e talmente male inlesa l'amministrazione, che quasi insensibile se ne rende l'utilità. Nelle città e terre grossi1 vi sono tredici ospitali, che complessivamente hanno l'annua rendila ili lire italiane .*>(,).480. Di questi tenuissirni introiti più di due terzi vengono erogati in elemosine ai poveri fuori degli ospitali restandone un solo terzo pegli ammalati, i quali per conseguenza mancano generalmente del necessario mantenimento. Siccome non vi sono istituzioni apposite per gli esposti cosi i due pii luoghi di Capodistria e Pirano sono incaricati di riceverli da tutta la provincia, e di inoltrarli all'ospitale di pietà di Venezia. Ma in questo lungo e non di rado penoso viaggio una gran parte perisce. L'umanità si commuove al vedere una popolazione misera, senza risorse, tratto tratto esposta ai flagelli della fame, della miseria, delle febbri epidemiche, languire abbandonata, invocando inutilmente una benefica istituzione che la consoli. Potrebbe essa però ritrovarla nella concentrazione di tutte queste rendite in due soli ospitali, a sussidio dei quali fossero assegnati i fondi comunali e le case di ricovero, istituite por gli accattoni come dirò in appresso. Al che se andasse congiunta la sovrana caritatevole generosità nell'assegno di alcuni fondi cosi detti incolti, che sono sparsi in tutto il dipartimento, specialmente nel territorio più ferace di Pola, questi abitanti conoscerebbero in tale istituzione la benefica mano, che li soccorre in tanta sciagura. I due pii luoghi di Capodistria e di Rovigno potrebbero senza un esorbitante dispendio essere ridotti a tale uso. Dieci altre case, chiamate pure ospitali, sono destinate al ricovero (Itigli impotenti di ambitine i sessi, i quali si procacciano il necessario sostentamento esercitando la pitoccheria. Luridi, senza disciplina, d'ordinario abitati da gente immorale e scioperata, questi asili anzi che portare impresso il carattere di pubblica beneficenza, mantengono l'idea dell'ozio e del malcostume; e non di rado succede, che da questi locali, centro delle immondizie, partano le febbri periodiche e maligne, che si di sovente affliggono la popolazione, Sarebbero quindi a miglior uso convertiti, assegnandoli in dotazioni agli ospitali, nel supposto che abbia luogo la progettata riforma.12) Fondaci. Un altro istituto di beneficenza, comune a quasi tutte le terre grosse, è quello riconosciuto sotto il nome di fondaco. Questo consiste ora in un deposito di grani in natura ed ora in effettivo denaro. Negli anni di calamità, che non sono rarissimi, viene il gl'ano dispensato ai più bisognosi verso pieggioria, e coli'obbligo della restituzione entro un anno, con qualche aumento per le spese di amministrazione e per l'interesse sul capitale. 11 denaro poi s'impiega pure nell'acquisto di granaglie che ridotte in farina si vendono ad una mela stabilita sul prezzo «logli acquisti, e sopraccaricata delle spese necessarie. Questi fondaci provvidi nella loro istituzione, perché tendenti a garantire la popolazione dal flagello della l'amo, sono ormai divenuti, oserei dire, dannosi, poiché hanno formato un oggetto di speculazione per gli amministratori molti dei quali approffittando dell'uso del denaro a vantaggio proprio, non fanno le provviste a tempo, e lasciano mancare il genere nei maggiori bisogni. Anche i sindaci dei comuni, valendosi di questo mezzo, talvolta fingono dei bisogni im-prevveduti, dolle spese straordinarie, onde avere un motivo di accrescere il prezzo delle vendite. Generalmente così i grani che si vendono per conto del pubblico, si hanno a più caro prezzo che dagli stessi commercianti. Che se poi si consideri, che in alcuni luoghi, come a Rovigno, è proibita la vendita di grani tanto ai mercanti quanto ai particolari, finché non sia alienato tutto quello del fondaco: disciplina che ordinariamente costituisce gli amministratori monopolisti; e si consideri ancora che in altri luoghi, come a Capodistria, sebbene sia libera ad ognuno la vendita, essa però è aggravata di soldi venti per ogni moggio, che viene introdotto o venduto, a beneficio del fondaco stesso, risulta chiaro che la conservazione di questi istituti, anziché preservarla, espone qualche volta la provincia al limicolo della fame, e sempre fa pagare alla popolazione L' pane eccessivamente caro. Quindi sarebbe opportuno, che tolto ogni peso ed ogni vincolo alla vendita dei grani, fosse stabilito che gli arami- lustratori dovessero alla raccolta effettuare i rispettivi acquisti, e sotto loro responsabilità far constare all' autorità superiore dipartimentale, che i capitali della pia istituzione furono convertiti nell'oggetto determinato, oppure che dichiarati insussistenti i fondaci, fossero i loro capitali provvidamente assegnati all' ospitale, come si è più sopra osservato ,3). Monti di pietà. Finalmente, costituiti sopra fondi propri del comune, vi sono tre monti di pietà, che ricavano pegni verso l'annuo interesse del 5 %• H primo di questi monti è in Capodistria, ed è formato di un Capitale di lire 32,804, 4. 8. Nell'ultima riduzione monetaria, questo monte ha sofferto d*dle perdite considerevoli per le disposizioni del magistrato civile, il quale ordinava che nel riscatto dei pegni, anteriori alla regolazione delle valute, fossero ricevute le banco cedole allo stesso corso abusivo. Ve ne ha un secondo a Rovigno; costituito con un capitale di lire 62,633 ; ed il terzo a Pirano con un fondo di lire 91,478. 13. 4. Queste due pie fondazioni non hanno sofferto perdite nella regolazione monetaria, perchè sospesi i pagamenti e la liberazione dei pegni, hanno implorato dal governo un provvedimento, analogo alle circostanze. In tale stato di cose, parte dei fondi giacenti di questi due monti si è disposta dagli amministratori dei rispettivi comuni nelle somministrazioni militari, al di cui compenso, ancora pendente, verranno restituiti i fondi prelevati. Rovigno e Pirano ricevono pegni senza limitazione di somma ; a Capodistria sono essi limitati a lire 20 moneta italiana 1 '). Clero. La giurisdizione ecclesiastica nel dipartimento dell'Istria è divisa in quattro vescovati subordinati alla metropolitana di Udine, e residenti nelle città di Capodistria, Cittanova, Parenzo e Pola. Presso ogni vescovo vi è un capitolo cattedrale di dieci o dodici canonici per ciascheduno. Altri diciotto capitoli collegiati vi sono nelle terre grosse, con vario numero d'individui ecclesiastici, non però meno di quattro nò più di otto. Cento quattordici, sono i parrochi di rito romano, con un proporzionato numero di curati coadiutori. Un solo parroco greco, non unito, ò in Peroi. La rendita complessiva dei vescovi viene calcolata a 30,000 lire italiane ; quella di 170 canonici, compresi cinque 2M di giuspadronato famigliare, a 200,000, e quella dei parrochi a 70,000. Sono per la massima parte a peso immediato del popolo, che cede una parte notabile de' suoi prodotti, sotto il titolo di primizie, decime, quartesi, vigesimi, e simili, poche essendo, da quanto ho potuto raccogliere, le mense vescovili e le prebende capitolari e parrochiali che possedano fondi stabili, e nessuna che non abbia il diritto alle decime. ÀI che ove si aggiungano circa altri 000 preti non beneficiati, i «piali avendo scarso ed insufficiente patrimonio, vivono colle elemosine delle messe, ne segue che il solo clero secolare presenta il novantesimo della popolazione di tutto il dipartimento. Io trovo però utile, anzi necessaria, e come tale suggerisco la riforma dello stato ecclesiastico nel!' Istria,. Un solo vescovo, un solo capitolo cattedrale, dotati di reddito proporzionato alla dignità rispettiva, sarebbero, a parer mio, sufficienti pel governo spirituale di quella provincia, mentre anche nei dipartimenti al di qua del Timavo veggonsi diocesi di 400 parrochie e 300,000 abitanti governate da un vescovo solo. Soppressi quindi tre vescovati, e tutti gli altri capitoli cattedrali e collegiali, accordato un sufficiente numero di curati alle parrochie delle terre popolose ed a quelle delle pievi più disperse, e meglio proporzionato alla rispettiva situazione il reddito dei parrochi, la popolazione ne sentirebbe vantaggio, perchè una tale restrizione nel personale dei benefiziati porterebbe 1' effetto che le primizie, i quartesi, le decime si risolverebbero in trigesime, e forse anco in una quota minore. Nò da ciò io contemplo il solo sollievo economico dei contribuenti, ma quello pure di molti sacerdoti che potrebbero venire occupati nell'istruzione pubblica, la quale ha bisogno colà non tanto d'incoraggiamento quanto piuttosto d'istituzione. Avrei desiderato, com'era mio dovere, di poter umiliare a V. A. S. più minute particolarità intorno agli speciali proventi, al numero preciso dei benefiziati, distinti nelle diverse classi, ed alla qualità dei rispettivi possessi ; ma la mancanza del vescovato di Pola, la difficile comunicazione coi diversi luoghi, e la poca pratica dei vescovi, del magistrato civile e di qualche altra persona, a cui mi sono raccomandato, per avere quadri circostanziati, ma che mi presentano invece memorie incomplete ed inconcludenti, mi furono ostacolo a dare chiarezza maggiore a questa materia. Non ho trascurato di portare le mie indagini sulle corporazioni del clero regolare e sui monasteri; ma la soppressione di alcuni e la concentrazione d'altri, comandate dal reale deerelo 28 luglio 1806, od in parto eseguite dopo il mio arrivo in Capodistria, avendo tutto portato sotto l'ispezione del demanio dello stato, il quale non aveva ancor dato ordine e sistema alle cose, furono la cagione per cui non potei avere i lumi che mi erano necessari. Ho però eccitato il magistrato civile ad affrettarsi a compilare il quadro relativo, e senza ritardo ad inoltrarlo al ministero del culto 15). Amministrazione della giustizia. Vengo a rendere conto a V. A. S. del sistema presentemente in vigore nell' Istria riguardo all' aministrazione della giustizia. Ceduta nel 1797 all'Austria questa provincia, l'amministrazione della giustizia fu in essa ordinata conformo al -sistema già stabilito negli stati ereditari. Fu dunque tutta l'Istria divisa in sette circondari chiamati dipartimenti. 1 capo-luoghi erano Capodistria, Pirano, Parenzo, Uovigno, Pola, Al bona e Pinguente. In ciascuno di essi «renne posto un Tribunale civile di prima istanza, a cui furono devoluti anche i processi per le reità minori, detti da noi di giustizia correzionale. Un preside e due assessori formavano ciascuno di questi tribunali. Un tribunale criminale di prima istanza fu posto in Capodistria, e poi traslocato in Parenzo, perché ivi più alla portata dei delinquenti. Esso esercitava la sua giurisdizione su tutta la provincia. Le undici terre feudali nelle quali sotto i Veneziani la giurisdizione era privativa dei baroni per la giustizia civile e criminale, furono sottoposte per quest' ultima ai tribunali ordinari, e la giurisdizione sulla terra di Due Castelli, appartenente per titolo feudale al comune di Capodistria, fu attribuita alla pretura di quella città. Eransi istituite e sparse pei vari circondari diciasette preture con diversa misura di autorità; ed in parecchi luoghi le funzioni di pretore e giudice sommario venivano esercitate dagli stessi presidi od assessori dei tribunali di prima istanza. Finalmente un tribunale d'appello venne stabilito a Capodistria per tutta la provincia. Esso era composto di cinque assessori, ed aveva per preside lo stesso governatore. Nei casi di revisione si doveva ricorrere al supremo tribunale di Vienna. Il metodo di procedura austriaca ed il codice penale austriaco erano lo regole di tutti questi tribunali per le cause criminali nuove. Le vecchie regolavansi colle leggi e coi metodi antecedenti. Per le cause civili si manteneva in vigore lo statuto veneto, Entrate al possesso dell'Istria le armi francesi il giorno 26 novembre 1805, il generale Seras, comandante la quinta divisione dell' armata d'Italia, dietro ricerca dei deputati della provincia stessa, nominò il giorno (5 dicembre un governo provvisorio per sostituire il precedente, che se n'era partito. Un preside e sei consiglieri l'ormavano questo governo provvisorio, che subenti-ava in tutte le facoltà del cessato, sorvegliava i tribunali, ed in tutti gli uffizi di provincia metteva nuovi funzionar! nel posto di quelli che avessero abbandonati i loro impieghi, e stimandolo opportuno poteva dare all'amministrazione della giustizia un nuovo ordinamento. In forza di questo decreto il. presidente d«d governo provvisorio fu anche preside del tribunale d'appello. Fu a quest' epoca elio troncate tutte le anteriori relazioni, si credette necessario dal preside, poscia magistrato civile, d'instituire per qualche tempo una commissione revisoriale in Capodistria in sostituzione del tribunale supremo di Vienna, Ja quale pronunciasse definitivamente sopra sentenze criminali già passate in giudicato, e licenziasse dalle carceri alcuni rei che vi erano condannati per più anni. Questa istituzione era strana per sè sfessa, e più strana ancora pel suo oggetto. Non mi è riuscito di rinvenire, a fronte di replicate ricerche, Tatto costituente, e nemmeno i decreti e le decisioni di quel tribunale, nò io saprei a chi attribuire lo smarrimento o il trafugamento. 1 tribunali ed altre autorità giudiziarie continuarono nelle loro funzioni lino all'attivazione del reale decreto 7 lebbrajo 1 Siiti, che fu posto in vigore il primo maggio p, p. In attività dtdlo disposizioni portate da quel reale decreto, sono provvisoriamente confermati i tribunali civili di prima istanza ed il tribunale di appello. Quindi cessarono i cinque tribunali di Pirano, Povigno, Pola, Albona e Pinguente, i presidi dei quali rimasero giudici sommari ossia giudici di pace. Furono del pari conservati provvisoriamente con tutti i comuni dell' Istria i giudici sommari che vi esistevano, e venne quindi diviso il dipartimento in due distretti per la giurisdizione dei tribunali di prima istanza, ed in ventisei circondari per quella dei giudici di pace. Partito il dipartimento in due distretti, l'uno di qua l'altro di là del fiume Quieto, furono riuniti al primo che è quello di Capodistria, i circondari di Pirano e di Pinguente insieme alle quattro giurisdizioni feudali di Pietrapelosa, Piemonte, Momiano e S. Giovanni della Cornetta; e al secondo, cioè a quello di Parenzo i circondari di Povigno, Pela ed Albona, nonché le t'ondali giurisdizioni di Barbana, S. Vincenti, Giraldia, Leme, Fontane, Visinada e Raeizze, rivocati al Sovrano, a senso delle leggi del Regno, i diritti di giurisdizione civile. Siccome poi i feudatari rimangono in possesso di tutti i diritti utili, e l'amministrazione della giustizia viene considerata diritto oneroso, così fu stabilito che gli stipendi dei giudici locali, che assunsero le funzioni di giudici ili pace, e le altre spese occorrenti per L'amministrazione della giustizia, rimanessero a carico dei rispettivi feudatari, cedendo però a loro benefizio le tasse giudiziarie. Ai tribunali ed ai giudici di pace furono conservate le attribuzioni, che dall'anteriore autorizzazione erano loro conferite, e la revisioni1 fu demandata al tribunale revisionale di Milano. Il codice Napoleone, contemporaneamente alla nuova organizzazione del potere giudiziario fu messo in piena attività il primo del decorso maggio, e serve costantemente di norma per tutte le sentenze e tutti i giudicati dei tribunali e giudici civili della provincia, nelle questioni posteriori alla sua pubblicazione. Per le anteriori lo statuto veneto. Il codice penale austriaco ed il metodo pure austriaco di procedura, tanto nelle cause civili quanto nelle criminali, sono tuttavia in pieno vigore, siccome lo erano sotto il cessato governo. Finora nessun'altra istruzione diversa fu data in proposito. Questa è A. 1. la presente organizzazione del potere giudiziario, e questo il metodo con cui si amministra la giustizia nel dipartimento dell' Istria. Ma i cambiamenti, succeduti con tanta rapidità, hanno frapposto qualche ritardo alla pronta spedizione degli affari. Molti infatti sono gli atti pendenti presso i due tribunali civili di prima istanza, e presso il tribunale criminale, quantunque il preside di quest'ultimo, il signor Francesco Venier, sia uomo zelante, capace, laborioso, che gode la buona opinione di tutta la provincia. I reclami e le doglianze che non di rado si sentono, si limitano però alla sola tardanza nella spedizione degli affari; non concessioni, non estorsioni, non eccedenza di potestà sono il soggetto delle accuse. I disordini, lo ripeto, sono piuttosto a ripetersi dalla circostanza di tanti cambiamenti succeduti in questi ultimi tempi, e dalla traslocazione delle sedi dei tribunali, che dovettero molti giorni sospendere le loro sessioni, nonchò dalla sostituzione d'altri impiegati. II tribunale di appello, composto dei migliori soggetti della provincia, versati nelle scienze legali, era in pieno ordine colla spedizione degli atti, e perciò nessun reclamo, nessuna accusa ho sentito pronunciare contro lo stesso. I due procuratori regi, residenti in Capodistria, l'uno addetto al tribunale di appello, signor Basilio Naseggio, e l'altro alla prima istanza criminale ed alle due civili della provincia, signor Nicolò Franceschi, disimpegnano le loro l'unzioni con molto zelo ed attività. L'imminente organizzazione giudiziale per tutto il regno, decretata col sovrano regolamento 13 giugno decorso, opportuna per tutti gli altri dipartimenti, è provvidissima per quello dell' Istria. Alla scarsa e povera sua popolazione basta certo una soia corte civile e criminale, nò resterebbe a desiderare se non che il luogo di una residenza l'osse più centrale, e non a Capodistria, di'è ad una delle estremità del dipartimento. L'esperienza per tanto ci dimostrerà, se non converrebbe meglio e all'amministrazione della giustizia ed alla stessa economia pubblica lo accordare agli abitanti di là del Quieto un tribunale od una sessione di detta corte, piuttosto che obbligarli a recarsi o come parti o come testimoni nelle cause criminali (frequenti assai più nell' Istria bassa, e massime nei contadi di Pola e Dignano) e nelle correzionali (frequentissime nel fervido popolo di Kovigno) da un'estremità all'altra della provincia, per 80, 40 e fino 50 miglia di disastrosa strada, essendo bensì per mare molti gl'imbarchi per Venezia, ma rarissimi per Capodistria. Sarebbe stata pur desiderabile tale centralità di residenza anche per gli oggetti amministrativi e politici, pendio io ritengo che il rappresentante immediato del governo debba poter disporre sul momento di tutti i mezzi necessari al sovrano servigio. Nò sarebbe dato al prefetto dell'Istria di valersi all'istante di un corpo vistoso di guardie nazionali o di un numero considerevole di barche da trasporto, se non risedendo nel comune di Kovigno, popolata da 10,000 abitanti, ricca di navigli, e la più commerciante della provincia. Disporre di tali mezzi in distanza e mediante eccitatone alle municipalità, è cosa sempre di lenta e spesso di imperfetta riuscita. Ma fissata già la residenza prefettizia in Capodistria, non mi rimane che dichiarare i sovrani riflessi sulla convenienza di dividere il dipartimento in due distretti, già naturalmente separati, come si disse, dal fiume Quieto, e di fissare una vice-prefettura pel distretto secondo in Rovigno, non già a Parenzo, comune non commerciante, e la cui popolazione giunge appena a 2000 abitanti. I riguardi del miglior pubblico servigio, l'opportunità per tutti gli abitanti del distretto, e l'utilità di affezionare al nuovo governo un popolo numeroso, attivo e vivace, reclamano questa preferenza. Non dissimulo che 1' attuale provvisoria distrettuazione di quel dipartimento mi comparisce poco analoga alla sua topografìa. Per esempio il circondario di Capodistria si estende ben oltre quello di Pirano, che immediatamente lo segue. Cittanova è aggregata al circondario di Paren/o senza badare al Quieto, che ne divide i rispettivi territori ed i due distretti del dipartimento, sicché parte di un cantone apparterrebbe al distretto primo, parte al secondo. Finalmente è capoluogo Pola che ha soli 668 abitanti, in confronto di Dignano, che ne ha 3100, e che ò più centrale. Ritenuto però il namero di solo sette cantoni nell'Istria, e ritenuto che altrettante debbano essere per ora le giustizie di pace, sarebbe mio subordinato parere di comporle come segue : 1. " Capodistria capoluogo, con Isola, Mondano, Portole, e villaggi annessi ; 2. u Pinguente capoluogo, con Racizze, Pietrapelosa, e rispettivi villaggi; 3. ° Pirano capoluogo, con (Imago, Puje, Cittanova, Gri-signana, Piemonte, e rispettivi villaggi ; 4. ° Parenzo capoluogo, con Montona, Orsera, S. Lorenzo, Visinada, Giraldia, Fontane, Leine, e loro rispettivi villaggi; 5. ° Povigno capoluogo, con Valle, Due Castelli, San Vincenti, e loro rispettivi villaggi; li." Dignano capoluogo, con Pola, Parbana, Castelnovo, e loro villaggi ; 7." Al bona capoluogo, con Fianona, e loro villaggi. Vero è che il cantone di Albona viene ad aver così solo 4040 abitanti, ma i suoi due porti frequentati sul Quar-naro e la sua separazione assoluta dal sesto cantone mediante la Valle dell'Arsa, e dal secondo mediante l'intermedia estesa contea di Disino, escludono la unione. Un dipartimento marittimo, il cui popolo è in gran parte navigatore e commerciante, esigendo un tribunale di commercio, nessun altro comune può ragionevolmente contendere la preferenza a Rovigno. Ma Pirano, che più da vicino lo segue, potrebbe desiderare di avere un tribunale di commercio ausiliario. Quanto alla seconda istanza per le cause dell' Istria, nulla di più opportuno dell'appello residente in Venezia, con la quale città il primo distretto ha giornaliera e non dispendiosa comunicazione mediante il porto di Pirano, ed il distretto secondo mediante il porto di Rovigno 16). ') Che l'Istria trovi noi prodotti del proprio suolo bastevoli elementi pel suo commercio pur troppo non è vero. Abbiamo Ria detto Panno scorso che soltanto il vino, le legna ed il salo danno articoli di esportazione degni di riflesso. Gli altri prodotti o appena bastano all'interno consumo, ovvero si esportano per necessità a sostituirvi Oggetti di primo bisognò. È vero bensì che se l'agricoltura venisse migliorata e fossero adattate all'indole del suolo altre colture, l'Istria, la (piale è fertile per natura, potrebbe, come n'è già testimonio la storia, concorrere nel commercio di esporta/ione con alcuni de' suoi prodotti, nulla togliendo all'interno consumo. Ma senza perdere di vista questa possibilità, 6 adoperandosi anzi a tradurla in atto il piti presto, eonvion ritenere per fermo, essere l'Istria chiamata essenzialmente alla navigazione, né poter ella Bensa di questa vivere di certa vita. Sfortunatamente questa verità non sembra da per tutto accolta, e si trepida ancora a battere la via più sicura della provinciale prosperità. Alle cifre segnate nel rapporto contrapponiamo le seguenti: Quanto al sale, l'importo elio venne pagato l'anno scorso dall'erario ai proprietari di Capodistrla e di Pirano tu di f. 346,666 pél sale bianco, e di f. 75;000 pel grigio. L'allume non diede ultimamente che circa f. 600, e il vitriolo a un dipresso non più che la stessa somma: cifre che non meriterebbero nota. L'olio, che ammonta a poco meglio di 30,000 ÓTftS non basta nemmeno all'interno consumo. L'esportazione del vino fruttava circa mi milioni!, ma da parecchi anni la malattia delle uve tolse alla provincia il miglior suo pioventi». Dal pesce fresco si ricava la somma ili f. 50,000 o p oc oltre, e dui pesce salato Quella di 60,000. <;ll impilili indicati dal Rapporto deliliono aversi per molto esagerati. Lo legna da fuoco avvantaggiano la provincia di f. 240,000, e quelle ' da costruzione gliene davano 1 10,000 prima dell'arenamento del commercio e dell'attuale povertà dei lavori nei cantieri. Le foglie di sommaco, le ipiali vengono trasportate in Inghilterra per la via di Trieste, presero ora qualche importanza e fluitano circa 1. 20,000. L'esportazione del fieno può calcolarsi a circa 15,000 fior. Dei bozzoli da seta si lucrano intorno a 120,000 fior. Quarantamila no danno le frutta fresche. Quest'ultimo commercio andrii ad accrescersi ora che la strada ferrata trasporta le nostre frutta nell' interno della monarchia Lo stesso forse del pesce. Ora si acconciano pelli a Capodistria, Bujc, Parenzo e Bercas presso Montona, e il commercio relativo può ascendere a 16,000 fior. Ogni lucro pel carbon fossile è della casa Rothschild. 11 commercio delle scarpe non presenta cifra di rilievo. E cosi nemmeno quello dell'arena vitrescente, della galla, dello bacche di ginepro e della paglia. L'Istria produce si 160,000 ccntinaja di paglia, ma questa non entra quasi per nulla in commercio. Di carne porcina non più alcuna esportazione. Per le pietre, essendo molti i proprietari di cave d'ogni misura, riesce per ora impossibile il raccogliere numeri anche solo approssimativi. Lo stesso dicasi della calce, di cui i più non fanno regolare commercio. Riassumendo si pud affermare che in generale (né si parla di Trieste) i redditi della provincia non si accrebbero; ma su tale argomento ci rifaremo, dopo aver raccolte notizie particolareggiate, por le quali si richiede e tempo molto e brigho moltissime. 2) Generalmente la navigazione non progredì *) Veri progressi non troviamo sulle coste dell'Istria propriamente detta (eccetto Trieste), ma sui lidi liburnici e nello isolo del Quamaro, ove primeggia Lussino. Valgano i seguenti prospetti a mettere in chiaro lo condizioni della nostra marina, comprese le barche poschereccé. l'K.nSPKT T<) dei navigli appartenenti alla giurisdizione di Roviyno comprese le barche pescherecce. Qualità del naviglio Numero Tonnellate Lquipaggio 3 517 25 Trabacoli c simili .... 103 5726 625 28 289 94 li!» 724 250 1 31 3 184 538 654 Barche numerate .... 21 221 221 Totale 469 8046 1872 PROSPETTO dei navigli appartenenti alla giurisdixione particolare di Trieste. NAVIGLI IH LVNGn CORSO 1)1 CABOTAGGIO Qualità del naviglio Numero Tonnellate Equipaggio Numero Tonnellate Equipaggio Cutter....... Trabacoli <• simili . . . Brazzere e simili . . . Bragozzi e ùaltelli . . . Barche numerate . . . Barche d' alibo .... 76 L69 24 114 7 7 53 42553 68233 8647 Il 108 70550 1236 1118 17008 1081 1990 201 1241 2519 52 50 1491 1 l 13 1 4 2 1 95 114 131 257 49 228 185 2374 135 581 224 9 4750 1710 786 501 2211 10 10 106 8 26 14 3 475 342 524 463 145 Totale 704 251384 8091 069 18784 2121 *) Sono noti i progressi dulia navigazione specialmente a vapore in questi ultimi anni. i vaporetti partono più volte al giorno da Uapodistria per Trieste, od altre società gareggiarono, «nthe troppo, lungo tutta la costa istriana. Il diminuito numero dei navigli alla" costa occidentale dell'Istria, e specialmente nella parte sua superiore, ha spiegazione dal fatto, che la necessità del continuo comunicare con Venezia, quando questa era il centro d'ogni provinciale attività, & quando Trieste, stato estero, non era giunta all'importanza che ora tiene, doveva aumentare i mezzi di trasporto perla via di mare. Ora converrebbe che l'Istria mirasse più oltre, e si facesse per così diro a disposizione del commercio a Levante. L'esempio della Dalmazia, e quello più vicino di Lussino, valgano a dimostrare l'indirizzo che va dato agli intendimenti marittimo-commerciali degli Istriani. Tuttora meritano lode speciale Rovigno, Pàrenzo o Pirano. Ma se lo spirito di associazione per le imprese marittime venisse ad animare tanti altri luoghi della costa, invitati a cercar fortuna sulle acque, ben presto vedremmo rifiorire le condizioni nostre, e al ben essere materiale terrebbe dietro ogni altro. Anche in oggi debbono importarsi nell'Istria tutti quegli oggetti che sono dal Rapporto menzionati, e molti altri ancora. Ma più o meno questa sarà sempre necessità dell'Istria, non potendo essa, per sua natura tarsi paese manifatturiere, scarsa com'è di acque, di braccia e di capitali, e chiamata, giovi ripoterlo, alle imprese della navigazione. Gli è però che le sbarre doganali, le quali non possono aversi altra giustificazione che di favorire fra noi fantasticate industrie, per nulla rispondono alle condizioni essenziali della provincia. Anzi troncano ad esse il naturale sviluppo, e quella ognor più immiseriscono. Capodistria, p. e., che avea altra volta da 20 a SO tra-bacoli, non conta ora che circa 40 barche peseherecce, 10 brazzere e 2 trabacoli, l'uno di 1600 staja, l'altro di 750. 3) Si conservano per le granaglie e pei liquidi le misure venete. Nel resto assoluta anarchia. *) Solo lo stajo è comune (piasi a tutta l'Istria. Quanto ai pesi, s'è introdotto il imito. l'er le sete si contratta di solite a libbre sodili vende. — I/ olio si trafica a barile, — Di misure lineali v'è la pertica per lo piantagioni delle viti (lunga circa 7 piedi Veneti)} per le legna il [tasso (5 piedi veneti), e in pili luoghi invece il clafter (piedi 6 viennesi). L'estensione dei fondi non misura più generalmente a campi padovani, ma a giornate, vale a dire a quel tratto di terreno che può ararsi in un giorno da un solo aratro, ed è dell'ampiezza di 1200 a 1300 clafter. Anche il giugero (clafter 1600) è in uso. Da ciò tutto veggasi la confusione nel sistema nostro dei pesi e delle misure, dannosissima alle contrattazioni. 4) Sotto il dominio veneto poca assai la moneta in giro. Avevansi capitali livellari da sole 20 lire. Sotto il governo francese circolava, a motivo della truppa, molta moneta, d'oro in gran parte. Ora ve n'ò assai più, ma in carta. L'Istria sofferse di molti scapiti per le cedole. Quando queste al sopravvenire del governo austriaco furono poste fuori di corso, molti i crolli di fortuna. Altre abolizioni di monete avvennero in seguito, e sempre con danno della provincia, la (piale per ultimo pali lo scompiglio maggiore nei disaggio delle note di banca degli anni 48 e 49. I generi incarirono a dismisura, a pregiudizio specialmente della poveraglia; e siccome la leggo abilitava i debitori ad estinguere le obbligazioni contratte in moneta sonante, con la deprezzata carta, molti perdettero buona parte di lor crediti. 5) 11 relatore cadde qui in grave errore. Non è pei- iscusare i costumi della provincia che noi accusiamo il rapporto di falsità, ma solo per amore ') Non oggi, dopo la prOTTida introduzione dui sistema decimalo. al vero, attestato da persone ancora viventi e bene informate della condizione di quo' tempi. 1 matrimoni furono in Istria sempre frequenti. Anzi tra gli Slavi vi è l'usanza di prender moglie sorpassata di poco la pubertà. — Le abitazioni sì erano ipia e lii lungi da vera decenza a cagione della miseria. Ma in questo riguardo si notano i più confortevoli miglioramenti. Rarissimi infatti sono tra noi quo' tristi casolari coperti di paglia, i quali pur si veggono nelle provinole meglio incivilite. Anco i vestimenti non furono mai rozzi a segno da rispondere in alcuna guisa alla triste pittura che ne fa il rapporto. Anzi vi è perfino tra i meno agiati gran cura di adornare la persona. Candidi lini coprono il capo delle donne slave, e farsetti e gonnelle di svariati colori danno certa eleganza ai loro costumi. Gli uomini vestono panni abbastanza buoni o tele, se non fine, polite. Ne raro è vedere i più ricchi tra i contadini slavi fregiarsi il vestimento di argentee affibbiature, Che poi alcune tribù di Slavi, date all'industria del carbone, presentino noi giorni di lavoro squallido aspetto, questo non deve alterare il giudizio, clic va portato sul complesso della campagna slava. Piace che il rapporto abbia detto il vero riguardo alla popolazione italiana; ma questa ri move da sè ogni odioso confronto con quelli, che sebbene la lingua diversa abitano la stessa terra, e sono destinati dalla prevalente natura delle cose a fondersi nella stirpe nostra. In appendice a questo capitolo crediamo cosa non inopportuna pubblicare alcuni dati intorno la statistica penale dell' Istria. Nulla abbiamo di preciso prima del 1851. Il periodo posteriore va distinto in duo trienni: il primo degli anni 1851, 1852 e 1858, e il secondo degli anni 1855, 1850 e 1857. 11 1851, intermedio, fu anno di transizione, per giudiziari mutamenti. Nel primo triennio, in cui pochi indizi e talora perfino le sole ragioni del morale convincimento, mandavano allo carceri gli accusati, lo cifre penali si presentano enormi. Senza distinguere i crimini e i delitti dalle contravvenzioni, il 1851 novera 1895 reità, il 1852, 1875 o il 1853, 1903 per tutta l'Istria politica. Pel secondo triennio potemmo avere la tavola seguente: DISTRETTI 1 8 5 S 18 5 0 1857 Crimini Delitti Crimini Delitti Crimini Delitti Capodistria . . 7!) 3 G0 2 40 2 29 2 32 — 18 4 Casteluuovo . . 10 1 17 _ 34 - Volosca .... oi> 1 10 _ 77 1 Albona..... 17 2 14 1 25 1 Buje...... 31 2 22 1 77 2 8 - 11 — 8 3 Dignano .... 34 2 44 - 37 l Lussino .... 19 1 26 1 22 1 Montona.... 47 4 89 1 41 2 Parenzo .... 33 2 24 2 41 _ 50 4 60 1 57 4 Pitigucnte . . . 35 2 27 - 28 1 Pola...... 30 1 38 — G0 1 44 G 34 3 58 8 Rovigno .... 85 4 102 4 121 1 Somma .... 58G 37 500 1G 745 27 Raffronti fra distretto e distretto, con riguardo alla l'ispettiva popolazione, che indichiamo più innanzi, e riflessioni sul vario numero dei crimini in ispocie, ci adoprercmo di esporre in questo annuario quando avremo compiti gli studi intorno le condizioni morali della provincia, l'or ora notiamo che vi ha qui un crimine sopra 360 abitanti, proporzione calcolata sull'ultima anaglifi la quale porta la popolazione del circolo d'Istria al numero di 238,000. 6) Le note leggi sull'esonero del suolo, decretate nel 1848, recarono in tale argomento mutazioni importantissime. (ìli aggravi reali furono reluiti in denaro, e le prestazioni meramente personali, siccome quelle Che accusavano maggiore ingiustizia ed aveano avuto in gran parte origine dall'arbitrio, furono tolte senza compenso. Cosi pel benessere della provincia si fece gran passo innanzi, ed ora che si gode il beneficio d'una riforma, voluta finalmente dalla necessità dei tempi, sembra impossibile, volgendo lo sguardo addietro, come avessero potuto sussistere si a lungo condizioni Lauto opprimenti a danno del povero contadino, La giustizia in mano di quegli stessi che aveano molto di che avvantaggiarsi nel!'abusare di loro potestà., creava ogni maniera di nuovo gravezze, e le copriva, del manto d'una frodoleula. legalità. A ricordare alcune di quelle barbare imposizioni, a inala pena vi si aggiusta fede. Masti dire che qualche signore metteva in atto il preteso diritto di mandare senza mercede il misero contadino a lui soggetto, ore ed ore lontano a fargli provvista ri" ogni qualunque frivolezza di che gli fosse venuto capriccio, o di strappargli in certi tempi la moglie per condannarla a far la guattera nella baronale cucina. I feudi dell'Istria sono i seguenti: Dei conti Decidi in l'areuzo; Fontane, dei conti Borisi; Geroldia, ossia contea di S. Andrea di Calisedo. dei conti Califfi; Leme e Frata, della famiglia Colletti ; Pietrapolosa, dei marchesi Gravisi; Barbima e Castelnuovo, ossia Castello di Rachele, di Giustiniano Lolln ; Novacco e Zumesco, dei marchesi Polesini^ Mondano, della, famiglia dei conti Itola; S. Giovanni della Cornetta, dei conti Verzi; Bazize e Segnac, della famiglia dei conti Boltrestein o Walterstein. Quello di Barbana e Castelnuovo è nella discendenza mascolina o femminile; gli altri tutti solo nella prima. Si notino ancora il diritto di pesca a Leme dei marchesi Gravisi, é la poschiera Zannetti. ') Provvidenze insufficienti. Furono si tolti i titoli signorili e abolito le giurisdizioni baronali, ma le prestazioni reali continuarono. s) Generalmente parlando impoverirono le fonti dei redditi comunali, anco per le l'eluizioni in denaro delle antiche prestazioni prediali. Quasi in ogni comune furono quindi aumentate di molto le ini poste addizionali, ed a però che se da un canto migliorò là condizione delFagncoltore, sciolto da molti Obblighi assai gravi, non gli fu dato ancora di sentire i benefici effetti del nuovo sistema. L'amministrazione comunale fu per lungo tempo sotto la tutela governativa, e non potevasi intraprendere il più piccolo dispendio senza il politico pemieŠSO. Alcuna maggior larghezza, specialmente nella formazione di un consiglio comunale, fu data, nel 1845 dal governatore Stadion. Ma dopo il 1848 venne affidala alle rappresentanze comunali la libera gestione delle cose proprie. Ora, quelli che avversano ogni saggia riforma e quindi le stesso franchigie comunali dispettano, attribuiscono 1' accrescimento degli aggravi ai nuovi ordinamenti, e si pensano che il ritorno all'antica. <3ependenza sarebbe la miracolosa salvaguardia. Assai peraltro s'ingannano^ che i bisogni comunali si aumentarono
  • per Lussino di 3 scarsi, per Buje di 3 por Montona di 3 %, por Pisino di 8 a/4. per Parenzo di 4'/.,, per Castel-nuovo e Pinguente di 4 1/2, per Dignano di 4 2/3, per Albona di 4 3/4, per Veglia di 5 1 ■',„ e por Pola di 0 Violi maggior numero dei comuni trovasi nel disfretto di Pisino che ne somma 25, Cherso lui un solo comune. Dopo Pisino vien Capodistria con 21, Pinguente con 10, Albona con 11, Veglia con 11). (Ili altri distretti non superano la decina. Alla repubblica veneta appartenevano i distretti di Capodistria, Pirano, Buje, Parenzo, Rovigno, Dignano, Pola, Albona, Montona, Pinguente, tutti sotto il magistrato di Capodistria, che era autorità d'appello per ugni azienda,. Quelli di Castelnuovo, di Volosca (ambulilo fuori dell'Istria tisica •, di Pisino 0 di Bollai (ora soppresso) erano dell'Austria, soggetti al capitanato di Adclsberg. La Dalmazia uvea le isole del Quamaro. Anche da questo nasce la considerazione fatta più sopra. Caduta la repubblica, e passata con essa all'Austria anche l'Istria veneta, questa non fu congiunta alla contea, ma formò governo proprio colla sede in Capodistria fino al 1801, nel qnal anno fu costituita in capitanato circolare e addetta al governo di Trieste. Nel 1805 passò conio dipartimento al regno d'Italia, che saggiamente separò l'ordine giudiziale dall'amministrativo. Si composero allora 22 comuni, ripartiti in tre categorie secondo il numero degli abitanti. Erano della prima classe, oltre i 10,000, Rovigno e Capodistria; della seconda classe, oltre 1 3000, Isola, Moggia, Pirano, Parenzo, Montona, Pinguente, Dignano, Pola; della terza classe infine, al disotto dei 3000, Buje, Grisignana, Cittanova. Umago, Visinada, Orscra, Portole, Valle. S. Vincenti, Barbami., Albona, Pia-nona. È certo che questi luoghi potevano dirsi i più civili dell'Istria, e perciò non possiamo censurare una divisione che avea per principio attribuire ad ogni scompartimento un centro di coltura. Si oppone che non furono osservate le ragioni storiche. Ma di queste dee farsi conto, e strettissimo, nella formazione della provincia come provincia, perchè ella sia un tutto di parti omogenee, e non nel conservar sempre quelle ripartizioni inferiori, a cui talora si annettono frivole gare di tempi che non sono più. 1 comuni furono aggiunti ai sotte cantoni di Capodistria, Pirano, Parenzo, Pinguente, Rovigno, Dignano ed Albona. Il primo avea 22.000 abitanti, l'ultimo non più di 5000. Ma a fronte di questa varietà lo aggregazioni furono studiate bene, checché se ne dica in contrario. Per l'amministrazione politica furono composti due distretti, quello di Capodistria e l'altro di Rovigno, con quattro cantoni il primo, con tre il secondo. Nel 1809, quando venne in pensiero a Napoleone di formare un regno illirico che abbracciasse tutto il litorale dali' Isonzo a Cattare, senza riguardo alcuno ai confini d'Italia o ai diritti storici e nazionali, per associarvi in seguito perfino la Bosnia, la Croazia c la Dalmazia della Turchia, l'Istria fu tolta al regno d'Italia, stesa a forza ben oltre ai Rimi monti fino a Flitsch, e divisa, sotto il nome d'Intendenza, in quattro distretti, di Rovigno cioè, Capodistria, Gorizia, o Trieste. Del resto, quelli di RovignO e di Capodistria serbarono l'antico ordinamento, o solo nel 1811 fu comandata la riunione all'Isti ia «lei cantone di Pigino ossia della contea, sempre fino allora separata provincia. Nel 1813 il generale Nugent ristabili l'amministrazione del 1805. Ma questa fu nuovamente mutata nel 1814, ed altri cangiamenti non pochi, che torna inutile ridire, si succedettero fino all'odierna divisione che già notammo. Aggiungeremo solo che il regno illirico non è che un nome, e nome di nuovo conio per noi; e perché l'errore di fatto che l'Istria tutta sia addetta alla confederazione germanica, si ricopia eternamente, ripeteremo, che quella aggregazione non è nò fu mai dell'Istria veneta, ma solo della Contea, composta quasi dai soli distretti di Bollai e di Pisi no. Per la parte economica, P autorità centrale della provincia è l'amministrazione camerale di Capodistria, la (piale ha pure le attribuzioni di giudizio di prima istanza per contravvenzioni finanziarie. Dipende dalla Direzione di finanza, sedente in Gratz, che ò pure giudizio superiore delle contravvenzioni. Per tutto il litorale vi sono in Trieste la procura di finanza nelle cause del fisco, e la direzione steuralc (presso la (piale si trova l'archivio delle mappe catastali) per la commisurazione dello imposte. Vi ò poi ufficio steurale annesso all'autorità del circolo. Trieste ha pure la cassa contrale, e la collettiva è in Capodistria. Trecento e cinquantatre sono i comuni steurali. Volosca «e ha 48, Castelnovo Hi, Capodistria 40, Disino 35, languente 21, Montona 21, Albona 20, Veglia pur 20, Buie lo, Parenzo 17, Dola il, Dignano 18, Lussino 9, Rovigno 7, Pirano 6. Le parti contribuenti sono 95,070, con 84,0(58 partite di caseggiati, e 1,182,015 partite fondiarie. Valga di pia la tavola seguente. Parti con- Partito di Partite tribuenti caseggiati fondiarie 10560 8807 118480 6158 4125 36073 8684 321 l 101104 6540 1864 50018 4838 0042 89708 6980 6772 111500 Volosca....... 8780 8273 104708 3279 3474 86942 6282 10279 138805 6295 4042 41586 4670 1804 36706 4582 5085 59903 Pola........ P 100 3068 28909 2500 2200 55320 Veglia ....... 13232 5783 123474 2732 3540 41033 Altro autorità inferiori di finanza sono in provincia le seguenti: n) Due uffici di deposito sali, l'uno a Capodistria e l'altro a Pirano. h) Altri duo di vendita sali nelle stesse città. c) Pn ufficio demaniale in Capodistria ed altro in Pola. Gli altri, nove di numero, sono affidati alle casse steurali dei luoghi rispettivi. d) Un ufficio forestale e demaniale in Montona. Quello di Veglia ò associato alla cassa steuralc della stessa città. e) Sette uffici doganali aggiunti di prima classe, e 18 di seconda classe. /) La guardia di finanza per ultimo ha due commissariati superiori, l'uno a Capodistria, l'altro in Albona. ") In fatto di scuole tutto cangiò. Cominciando dalle popolari, il numero loro si accrebbe di molto, ma resta ancora non poco a farsi, essendo più luoghi senza scuola alcuna. Se non che tornerà I otto inutile, anzi dannoso ai comuni che sostengono le spese dell'istruzione, ove non si addotti un insegnamento più pratico e più conforme ai bisogni della campagna. — Nella diocesi di Trieste e Capodistria 82 sono le prime scuoio elementari maschili, e solo 12 le femminili, stabilite in Moggia, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Ruje, Pisino e Trieste, che ne ha 5. A ipiesle debbono aggiungersi le così dotte caposcuole, osse pure popolari, ma di maggior numero di classi, e però di studi da condursi più innanzi. Trieste ne ha 2 maschili; una Capodistria, l'irano e I'isino. In Trieste sono pure 2 caposcuole femminili, altra in Capodistria. Nella diocesi di l'arenzo e l'eia soltanto 15 le prime scuole elementari maschili e 5 le femminili: in Montona, Dignano, l'arenzo, fola ed Albona. Due caposcuole Duna maschile e l'altra femminile, sono in Rovigno. Da diocesi di Veglia ha \U piamo scuole elementari maschili e 10 femminili. Per quest'ultime la proporzione è quivi di mollo migliore che nello altre 2 diocesi. E infine Cherso e Lussino hanno una caposcuola maschile. — Do scuole serali si rimangono ancora un desiderio. Isola per altro fu prima ad iniziarle, a merito di (pie! parroco a cui rendiamo grazie tanto più volentieri, che speriamo avrà il suo esempio operosi imitatori fra i buoni sacerdoti dell'Istria, i quali, a lode del vero, non sono pochi. Dall'intelligenza e dall'animo di chi si mette all'opera dell'istruzione per vero amore al bene della gioventù e dolio sorti nostro, debbono prender vita le scuole del popolo assai più che dalle fredde normative, le quali vanno spesso troppo male inteso. Anche Capodistria aprirà quest'anno lo scuole sorali, e rendiamo noto che a un solo invito, otto maestri gratuiti accettarono l'incarico di condurlo. — Passando alle scuole tecniche, Vediamo con soddisfazione come si avii sempre meglio quella di Pirano, la quale avrà l'anno venturo il corso di nautica. Facciamo voto che le altre duo di Rovigno c di Lussino abbiano ad ossero quanto prima compite. ■ L'accademia di commercio e nautica in Trieste non ha bisogno d'essere rammentata. Vi ha inoltre un ginnasio tedesco di otto classi in Trieste, uno inferiore di quattro classi, pure tedesco, in Pisino, ed altro completo di otto classi, italiano, in Capodistria. *) La coltura della provincia é italiana, e l'istruzione che da quella non abbia appoggio, non può riuscire a beno. L'alemanno, che ha tanti e si celebri scrittori, si apprenda, o si apprenda puro con impegno, corno lingua. Ma che farà la scuola se la civiltà che la circonda non ne intendo il linguaggio? — Noteremo infine essere a Trieste l'ultimo corso teologico. Le tre diocesi doli'Istria non hanno seminario, e questo e gran male. Possa lo zelo di chi vuole tra noi stabilimento sì necessario, vincer presto lo difficoltà che co lo contrastano. Capodistria aveva il suo seminario, fondato dal vescovo Naldini l'anno 1710, ma lo perdette noi 1818, e tutto passò a Gorizia. Diamo qui, perchè mal note, le cifro complessivo doli' inventario, fattosi della facoltà spettante al detto seminario l'anno 1818. ') A Tricstn e ni lli)CI il ninnasi» «punii* italiano j a l'istituto ločnico puro in lingua nazionale. A Cnpodislria c'è un .....ivi t ■> pri giovani (lolla diocesi di l'arenzo e Pola che intendono dedicarsi allo stato ecclesiastico. Della scuola magistrale maseliilo a Capodistria non occoro che ci occupiamo. B un'istituzione che non rispondo ai veri Insogni della provincia. Di altri cangiamenti, a tutti noti non facciamo menzione. Ed i tìzi . . . Doni-fondi . . Capitali attivi Effetti preziosi f. 8646. 24 „ 481. 35 „ 12588. 22 n 145. - Apparati ed arredi di chiesa Suppellettili...... Censi fondiari..... 91. 20 028. 52 40. 28 TI n) Qui ci riferiamo a quanto venne detto e sarà ancora per dirsi da chi dedica a tale argomento cura speciale in questo annuario. Notiamo solo essere falso che dalle caso di ricovero partissero mai le febbri intermittenti. Intorno a ciò abbiamo già parlato a lungo l'anno scorso. 13) Questi fondaci non esistono più, e in generale giuste sono le accuse che move qui il Rapporto. Forse meglio che sopprimerli conveniva riordinarli, togliendo quanto ostava ad averne beneficio. L'Istria patisce spesso le dure conseguenze della sicccità, e però uno stabilimento che oflerisce al povero il mezzo di acquistare a prezzo onesto il grano necessario, sarebbe certamente provvidissimo. Vedemmo già far ricorso alla privata carità per formare in alcuni luoghi dispenso provvisorie di viveri. E non è questa in parto l'idea del fondaco, e con osso la benevolenza non potrebbe avere migliore indirizzo? u) Anche intorno a questo argomento ci riferiamo a quanto fu pubblicato e sarà per pubblicarsi da chi discorre in questo annuario lo pie istituzioni. 15) Ora nel circolo d'Istria tre sono i vescovati, quello di Trieste-Capodistria, l'altro di Parenzo-Pola e il terzo di Veglia, sotto il metropolita di Gorizia. Al primo spettano pure le diocesi dei soppressi vescovati di Pedena e di Cittanova, nonché 8 parrochie dell'arcidiaconato d'Alboua e 5, con una espositura, dell'areidiaconato di Fiume. Questa diocesi, ch'ò la più vasta, conta 15 decanati 89 parrochie, 124 cooperatore parrocchiali, 70 tra cappellanie, curazie e vicariati di parrocchia, 2 capitoli cattedrali con 17 canonicati, 2 capitoli collegiali con 9 canonici, un ospizio di Cappuccini, 5 conventi, dei quali uno di monache Benedettino, gli altri dell'ordine di S. Francesco (Conventuali, Osservanti e Cappuccini). Sono 300 i sacerdoti secolari, 38 i regolari. La diocesi di Parenzo e Cola ha 6 decanati, 50 parrochie, 33 cooperatine parrochiali, 7 espositure, 2 capitoli cattedrali con 10 canonicati, 4 capitoli collegiali con 18 canonici e un convento di Riformati. I sacerdoti secolari sono 124, i regolari 4. La diocesi di Veglia infine annovera 6 decanati, 17 parrochie 37 cooperatine parrochiali, 19 curazie, un capitolo cattedrale con 6 canonicati, 2 collegiali con 9 canonici, 5 rurali oli conventi, dei quali 3 di Osservanti, uno di Conventuali, 5 del Ter/,'Ordino, e 2 di monache Benedettine. I sacerdoti secolari sommano a 111, i regolari a 23. — Noteremo che in ciascuna delle diocesi i sacerdoti non addetti a speciale ufficio giungono appena ai 20. Quanto alle rendite, il darne tavola esatta esigo lungo lavoro, di cui abbiamo avuta promessa, ma che non possiamo offrire quest'anno ai nostri lettori. 16) Al presente l'amministrazione giudiziaria ò costituita in Istria così: Nel 1854 fu di bel nuovo congiunto il politico col giudiziario. Vi sono tante preture, civili e correzionali, quanti i distretti meno Rovigno. Questo ha tribunale circolare, civile pel distretto, commerciale e cambiario per tutta la provincia, eccettuati i distretti di Capodistria, Pirano, Castelnuovo e Volosca, appartenenti alle criminali competenze del tribunale provinciale di Trieste, che è ad un tempo giudizio civile di prima istanza per quella città nelle liti non demandato alla pretura urbana. Altro tribunale risiede colà per le cause commerciali e marittime, Sé? Con la slessa sfora di giurisdizione del tribunale provinciale per lo prime, su tutto il Litorale per lo secondo. 1/appello infine è pure in Trieste. Maggiori particolarità quanto agli scompartimenti si trovano nella nota 10. Aggiungeremo solo un .....ino inforno allo legislazioni che furono in vigore nell'Istria. Valso il diritto romano tino al 1787 nella contea d'Istria, e fino al 1806 nel marchesato. Molti luoghi per altro avevano ad un tempo loro speciali statuti. Il primo gennajo 1787 venne introdotta noli1 Istria austriaca la prima parte del codice civile di Giuseppe IL II codice Napoleone, posto in attività col primo maggio 1806 nell'Istria veneta, lo fu pure nell'austriaca il primo gennajo 1812. Dal primo ottobre 18lo al primo ottobre 1815 rivissero por quella gli statuti e il romano diritto; e per questa, dal primo agosto 1814 tino all'epoca stessa, quanto avea avuto prima dell'anno 1812. Poi, per tutta l'Istria, il codice austriaco. Nel succedersi delle legislazioni il fatto più importante a notarsi si è che molti comuni istriani formarono statuti prima del veneto dominio, e che le terre baronali non n'ebbero mai alcuno in alcun tempo. Stali Storiografi intorno all'Istria. Abbiamo promesso fin da quando ci mettemmo a compilare questo annuario, di applicarci per quanto da noi si poteva allo studio della storia nostra. Iniziato questo col prodromo dell'anno primo, ci l'acciaino ora a trattare partitamente i periodi storici, e prendiamo le mosse dai primissimi tempi, che precedettero al dominio romano. Non ò nostro divisamente, che noi potremmo avere in mezzo alle tante difficoltà, le quali si accompagnano qui alle ricerche del passato, l'offrirne le risultanze coll'andamento della storica narrazione. Ci faremo adunque soltanto ad investigazioni, proponendoci cosi di diffondere sempre più, utili notizie intorno alle cose nostre, nonché ad eccitare a ristudiarle e a far meglio. PERÌODO I. Della storia nell'Istria lai tempi più remoti fino alla romana occupazione Popoli primitivi. Fra gli eruditi corrono diverse le opinioni intorno ai più antichi abitatori dell' Istria, di cui possa aversi notizia. Parecchi sostennero che questa provincia nei tempi più remoti fosse abitata da stirpi celtiche. A ciò ritenere si affidano innanzi tutto alla credenza che di niun altro popolo d'allora abbiasi qui monumento, nò materiale nò di qualsiasi altro genero. Trovano poi verosimile assai che i Celti, i quali occupavano largo tratto di paese intorno a noi, l'ossero penetrati a stanziare anco nell'Istria, e vogliono che celtiche fossero le popolazioni dell'uno e dell'altro versante dell'Alpe Giulia, estese tino al mare ed anzi fino ai monti Iterici dal lato nostro. Spingendo poscia più oltre le ricerche, ravvisano Celti nei Monocaleni del Carso di Duìno, dove dura tuttora il nome di Moncolano, nei Subocrini presso a Pinguente e nei Secussi intorno a Pedona. E siccome Padova e Treviso sono a parer loro di celtica origine, si ralìermano noli' opinione che portano, riscontrali do lai nomi nell'Istria. Cosi Muggia, Umago, Roje, Montona, Piagnente, Pisino, Pedona, Rovigno, Orsera sarebbero stati luoghi celtici, ninno per altro ancor tale da potersi dire città. Da altri invece si dimostra che i Pelasgi, dei quali si conoscono due grandi emigrazioni dall'Italia in Grecia e dalla Grecia nuovamente in Italia, e che lasciarono sempre tribù nei paesi percorsi, abbiano occupato anche l'Istria. Essi, popoli erranti, come ne suonava il nome in loro lingua, tenevano il costume di mandare la gioventù, nata nell'anno della primavera sacra, in cerca di nuovi paesi. Ora, sapendosi da. molti scrittori come i Pelasgi avessero esercitato impero sul mare Adriatico, torna ragionevole supporre che il detto costume li abbia condotti anco nell'Istria, senza della (piale è impossibile quel dominio. D'altra parte è cosa naturale che i Pelasgo-Etruschi, scacciali dalle pianure del Po dai Galli di Belloveso e di Elito v io circa l'anno 590 a. C, allora che le città di Parrà, Spina, Adria ed altre furono atterrate, aleno stati sospinti a ricoverare indi' Istria. Per di più non pochi nomi di città e di monti in questa provincia debbono segnarsi siccome proprii allo scorrevole idioma, degli Etruschi. Cosi Mutila e Faveria, due città istriane, di cui trovasi memoria in Livio (Lih. XLI). Etnisca o Sabina è quella prima voce, e giovi ricordare il nome di Cajo Mutilo, generale dei Sabini nella guerra sociale contro i Romani. Faveria ha molta analogia con Faleria, città presso ad Arezzo. La voce Ocra, ch'era nome comune alle Alpi Cara iene, alle Giulie e alla Vena, valeva monte sassoso nella lingua degli Etruschi, i quali perciò davano a Giove l'epiteto di Ocriper, cioè di padre montano. E il nome del nostro fiume Arsia trova riscontro nella selva Arsia, indicata da Valerio Massimo tra i confini dei Vejenti al tempo della guerra coi Tarquini. Di più, qualche iscrizione dell'Istria porta il nome di Fucilinone, che non è mestieri avvertire quanto sia etrusco ; e simboli etrusci, come delfini, cani, cacciatori, pietre quadrate non mancano a monete istriane. Per ultimo, il culto di Diomede, di Giunone Feronia e di Diana, d'origine pelasgo-etrusca, ha traccie anche in questa provincia. D'altra parte va notato che niun monumento celtico ebbe a rinvenirsi nell' Istria; nemmeno le tombe coniche, tanto proprie a quella nazione e non infrequenti nel vicino Friuli. Popoli sorvenuli. Le nostre più antiche tradizioni parlano della venuta dei Colchi in questa provincia, i quali inseguendo il fuggitivo Giasone e gli Argonauti, per riavere Medea, sarebbonsi fermati, stanchi del lungo viaggio, sui nostri lidi. Ora in ogni principio tradizionale, per quanto falsato dal tempo e dall'ignoranza, v'ha un germe di verità. Sembra adunque che un popolo del Mar Nero abbia trasferito la sua dimora a queste parti. Ed è probabile che tale passaggio non l'osse già una tuga, ma qualche movimento commerciale. Molte poi sono le autorità per Le quali si dimostra che Traci fossero quo' sorvenuti, ossia con altro nono» Pelasgo-Jonii, i quali soggiornavano alle foci dell'Istro, l'odierno Danubio, e ne furono scacciati Ibi-se dagli Sciti intorno al 500 a. C., cioè qualche anno dopo la guerra di Dario Istaspe contro la Scizia. Sciinno da (Tiio, che visitava queste regioni intorno a quel tempo, riconosceva gl'I trianì per Traci, e cosi pure più tardi Cleonimo di Sparla (M01 a. C.) Onesta si fu una delh' tante migrazioni pelasgiche parziali ; e non è assurda l'ipotesi che tale stirpe tracica o grecanica diesi voglia dire, avesse ereditato le tradizioni dei Colchi, l'uggitivi alle foci dell'Istro, e recatele in seguito noli' Istria. Ovidio (Eleg. II. Trist.) parla di popoli all' Istro che portavano ancora il nome di Colchi. Da Erodoto (Lih. Il, n. 38) abbiamo cenno d'Istriani abitanti il paese presso alle foci dello stesso fiume; e che d'Istria avesse questo il nome, n'è testimonio Isidoro (Lib. XIV, n. 4). Con ciò avrebbero qualche spiegazione le l'avole di Medea e di Absirto, trapiantate in questa provincia, ove riscontriamo le isole Ahsirtidi ed altre voci che vi corrispondono. Lo stesso nome del paese vi ha l'orse relazione; ed anelo» un lìume Istro ebbe qui frequenti menzioni. Questo nome, applicato ad uno dei nostri liumicelli, poteva essere rimembranza dell'Istro del Mar Nero, e cosi vengono per qualche modo dilucidate le strane credenze degli antichi sui due rami di quel liume, l'uno dei quali pretendevasi shoccasse superbo d'acque nell'adriatico. Ignorasi dove precisamente raggiungessero questo i Tracci, se a Dola o ad Aquileja: ma ò più probabile al Timavo, secondo Plinio e la tradizizione. Tergeste, Egida, Pirano, Emonia, Parention. Pola. .Xesaction furono città loro. Facilmente la stirpe nuova, la quale stanziò di preferenza sulle coste, si fuse nella primitiva; e a ciò contribuì la lingua, perocché i Pelasgi,- secondo Erodoto e Plutarco, parlavano e l'idioma etrusco e l'ellenico, sì che da Tucidide (Lib. IV, n. 109) furono detti forestieri bilingui. Credesi inoltre (V. Cantò, lib. I. Storia Universale) che i Tiaci parlassero la lingua così detta ellenica primitiva, molto rassomigliatile alla etrusco-pelasga. Per giudicare infine essere sorvenuti oltre ai Traci anche i Gallo-Celti, non abbiamo prova, In mezzo al grande movimento che propagassi fra le stirpi celtiche dopo l'avanzare delle armi romane nella Gullia Cisalpina, quando allo stesso tempo altri dalli, cacciatisi lino alla Macedonia, n'erano stati respinti, forse anche l'Istria avrà subito alle sue frontiere qualche invasione di quel popolo. Prima [incera dei Romani contro gl{ Istri. Cinque anni dopo la guerra mossa dai Romani albi famosa Teuta, regina dell'Illirio, sotto i consoli L. Postumiò Albino e C.neo Fulvio CentUmalo gli Istri assalirono e predarono alcune navi romane. La repubblica spedi contro di essi i consoli P. Cornelio e Minuecio Ruffo. Argomento a ritenore che quella guerra non si fosse condotta dai Romani a buon fine, si è il vedere che per la stessa non fu decretato trionfo alcuno, e che nei fasti Consolari non si; ne trova menzione. Più adunque d'Eutropio (Libre 111), il (piale vuole che gli Jstri sieno stati allora debellati, merita fede Livio (Libro XXI, cap. XVI), il quale narra aver gli lllirì, i Sardi e i Corsi non meno degli Istri, provocate soltanto le armi romane piuttosto che esercitate. Riaccesasi l'anno seguente la seconda guerra punica, Roma non ebbe tempo di prenderne vendetta. / Galli Tittossagi devastano V I si eia. Alcune tribù dei Calli Tittossagi, condotte da Premio nella guerra delfica, si fermarono sulle rive della Sava, là dove questo fiume mette foce nel Danubio. Ebbero nome di Scordisci. Così Giustino nella sua storia al capo 32. Che il loro numero non fosse piccolo, può desumersi da molti dati. Anzi risulta ch'essi non si tennero solo alle foci della Sava, ma si eslesero sotto lo sfesso nome di Scordisci dall' alta Drava presso l'odierno Petau sino al monte Bebio ai confini della Dardania Superiore. A questa opinione si accorda bene quanto narra Livio nella IV Deca, tifo. X, cap. IV. Alcuni, facendo argomento delia prossimi là, pensano clic questi Scordisci sieno i Galli Tittossagi, che circa V anno 201 a C, devastarono l'Istria, spintivi da Filippo III di Macedonia, ne' suoi progetti di guerra contro l'Italia. Altri invece, sulla fede dello storico Giustino (al luogo già citato) ritengono che i saccheggiatori dell'Istria l'ossero i Tittossagi di Tolosa. Una terza opinione infine si ò quella del Carli, il quale mostra di credere non trattarsi dell' Istria nella depredazione dei Tittossagi di Tolosa, ma si del paese degli Scordisci, chiamati pure col nome d' Istri. Ma questo non apparisce verosimile. ove ricordisi che gli Scordisci siccome Galli (Strah, lih. VII) erano fratelli dei Tittossagi, e si oppone inoltre a quanto leggesi in Giustino, il quale parla propriamente di quegli Istri, che abitavano le coste dell*Adriatico. L'incursione dei Tittossagi, fu in ogni modo passeggera, e tosto se ne andarono essi nella Pannouia a stabilirvi il loro soggiorno, Dei Galli o Celli stille Alpi istriane. Vinta Cartagine, la guerra di Roma contro i Galli fu di nuovo guerreggiala. Con vieti credere che i Romani, occupala già la Gallia Cisalpina, avessero compreso india stessa tutto l'odierno Friuli, perchè nel 187 a. C, avendo una mano di Galli transalpini, calatisi dai monti, costrutto un castello a breve distanza dal silo ove poscia sorse Aquileja (Plinio lib. III, cap. XIX), Roma diede ordine a M. Claudio Marcello, console, ed a L. Porzio, proconsole, di cacciarli colla forza dai domini della repubblica. 1 Galli, in cui, dietro le toccate scondite, era già mitrato alto spavento delle armi romane, senza resistenza si assoggettarono. Disarmati dal console, ne mossero lagnanza al senato, adducendo a scusa della l'atta invasione Tesservi stali spinti dal bisogno. Tutto ciò dimostra come sulle Alpi limitrofe dell' Istria si fossero fermate alcune tribù galliche, confinatevi dalla crescente potenza dei Romani. Ed è probabilmente d'allora che il nome di C'arso, che vuoisi celtico, restò alle parti più brulle della nostra Vena. Più tardi vedremo come nelle battaglie degli Istri contro i Romani, i Galli si lessero addimostrati infidi alleati di quelli ; e ciò riconferma la distinzione che va l'atta tra Celti ed Istriani. / Romani a contatto colC Istria. Per impedire che i Galli nuovamente irrompessero nel Friuli, eh' era bensì romana provincia, ma spoglio di difìesa e quasi disgiunto dal rimanente della Gallia Cisalpina, il Senato ordinò si l'ondasse la colonia di Aquileja (185 a. C), la quale doveva pur servire di punto d'appoggio ad estendere la signoria di Roma sufi* ultima provincia d'Italia, vale a dire sull'Istria. Tremila fanti con 45 centurioni e 240 equiti vi furono mandati, e tra questi si divise buon tratto di terreno coltivabile. Triumviri della colonia furono eletti Scipione Nasica, C. Flaminio e L. Manlio Addino. Cosi i Romani vennero ad immediato contatto cogli Istri, i quali secondo Strabene (lib. V) erano contermini degli Aquilejesi. Cause della guerra istriana. Varie sono le cagioni che vuoisi abbiano dato origine alla guerra dei Romani contro gli Istri. Secondo alcuni ne sarebbe sialo un pensiero del console M. Claudio Marcello (Liv. lib. 39, cap. H)), concepito appena respinti i Calli dal Castello di A.quifeja, avendo egli richiesto il senato del permesso di condurre le legioni contro gì'Istri, ma intimala, loro taglieria senz'attenderne risposta. Altri accusano l'ambizione di L. Manlio, console, trovandosi scritto di lui che in diletto d'altro argomento di trionfo, abbia cupidamente abbracciato l'occasione offertagli dalla fortuna di soggiogare l'Istria (Liv. lih. XLI, cap. 1.) Vuoisi pure che la guerra l'osse nata pel soccorso recato dagli Istri agli Kl.olii. Questa opinione è appoggiata alle auforiià di Floro (Lib. Il, cap. \ i e dello stesso Livio (Lib. XLI, cap. I). Ma il Carli (Aulirli, ltal. part. 1, libr. II, $ 7) ne muove dubbio, citando l'autorità di Giustino, il (piale nei Commenti a TrOgo t lab. XXXII, cap. I) dice chiaramente che gli Ftolii si erano l'atti contro i Romani, soli, disuguali di forze e privi d'ogni soccorso. Una (piarla opinioni», ripetuta da molti, si è che gli Istriani avessero insultato le navi di Taranto e di Brindisi : e la quinta inline che essi sieno stati i primi a dar indie armi, poiché videro sorgere ai confini della provincia, romana, fortezza. Da questa varietà di pareri crediamo potersi con-chiudere che tutti gli accennati motivi abbiano determinalo la guerra, istriana, siccome cau ;e occasionali, mentre la causa primitiva e principale dee cercarsi india romana politica, la quale mirava ad estendere Ognor più il proprio dominio e specialmente ad insignorirsi di tal paese, che per la sua posizione a piedi dell'ultima Alpe Italiana, le avrebbe prestato il mezzo di opporre più salda l'esistenza alle eventuali irruzioni de' Galli e degli altri popoli (Toltremonte. F che i Romani si l'ossero già qualche anno [mima allestiti alla guerra contro gli Istri, può giudicarsi dal vederli indi' Adriatico su grossa armata, una squadra della quale posta a guardare il marti d'Istria dal porto d'Ancona sino al Tinnivo. L'anno 183 a. C. n'era stato affidato il comando a L. Duronio, pretore, Campagna del 191 C. 11 Console Manlio, a cui era toccata in sorte la Gallia, indeciso fra il desiderio di dar principio ad una guerra che gli meritasse il trionfo, e il timore lo si accusasse d'essere uscito illegalmente di sua provincia, venne a consulta coi tribuni militari, tra i quali v'era chi consigliava a non metter m tempo di mezzo e chi ad aspettare gli ordini del senato. Vìnse l'opinione dei primi, e il console mosse tosto al Timavo. Gli accampamenti furono posti a cinque miglia dal mare nella valle presso l'odierna Brestovizza. Cajo Furio, preposto all' armata dell' Adriatico superiore veleggiò a quella volta con dieci navi ed altri bastimenti carichi di provvigioni. Tutta la squadra si raccolse nel prossimo porto aiconfìni dell'Istria, vale a dire a Sestiana, cosi che pei* le continue comunicazioni tra il campo e il deposito delle vettovaglie, venne in breve a formarsi un vero emporio, 11 consoli» die subito opera a disporre l'opportuno per la difesa e per l'assalto. Ora seguiremo Livio a narrare l'avvenuta battaglia. A custodia del campo romano furono appostate guardie da tutte le parti. Per dominare poi la via dell'Istria fu collocata una compagnia di Piacentini. Più verso il mare vennero loro aggiunti due manipoli della seconda legione, circa quattrocento uomini. La terza legione èra siala condotta sulla via che va ad Àquileja, perchè servisse di scorta ai foraggiai ori. Dalla stessa parti1, forse a mille passi, era il campo dei Galli, in numero di tremila o pochi più, comandati da Carmelo luogotenente del re loro. Agli Istri infatti si era collegalo un corpo di Galli, alleati di mala fede, poiché non solo non presero parte alla pugna, ma dimostrarono di volersene stare col vincitore. Gl'Istriani erano condotti da. Spulo, loro capo, detto regolo dai Romani con termine di sprezzo. Come videro il campo nemico muoversi al lago del Timavo, si trassero dietro di un colle in luogo nascosto. Ma poi per vie traverse, vigili a cogliere il destro d'ogni accidente, seguitarono di fianco l'esercito romano. Tulio (die si facesse per mare e per terra era. loro noto, o poiché scorsero deboli le guardi»! del campo, <» senza difesa la turba dei mercatanti che popolavano le vie Ira, il mare e gli alloggiamenti, presero il partito di dar primi I' assalto, e furono addosso a due appostamenti romani, l'uno della coorte piacentina e l'altro della seconda, legione. Celati da lilla nebbia, s' avanzarono, e quando il sole cominciò a diradarla, il non certo chiarore le" apparire ai Romani maggior che non fosse il numero degl1 Istri. Le guardie allora ritrattesi nel campo spaventate, vi portarono lo scompiglio, credendosi i nemici già dentro agli steccati. Al grido: Alla mommi, aliti nutria,!!.! tutti, come se ciò facessero comandati, e i più inermi, si gettarono a precipitosa fuga alla volta del mare, Lo stesso console, adoperatosi indarno a rattenerli, dovette fuggire. Il solo Marc*) Licinio Strabene, tribuno della terza legione, osò far fronte con tre manipoli alle irrompenti schieri; degl'Istri. Aspra fu la zuffa, nè prima ebbe fine che il tribuno e tutti i suoi l'ossero uccisi. (V Istri avuto cosi il campo romano, e trovandovi copia grandissima d'ogni maniera di cibi e di vini, furono tutti alla gozzoviglia, dimentichi dei nemici e della guerra. I Romani intanto, affollatisi intorno alle navi per avervi salvamento, si trovavano esposti al maggior pericolo. Tra i militi o i marinai si venne alle mani con molte forile e morti. Volevano gli uni ricoverare sulle navi, e temendo gli altri non si empissero quelle di soverchio, contrastavano loro l'imbarco. Finalmente, per comando del console, l'armata si allontanò dalla riva e si cominciò a raccogliere la truppa. Ma di tanta moltitudine non più di mille e duecento si trovarono in armi, e quasi tutti gli equiti senza cavalli. Manlio rianimò i soldati, mostrando quanto facile dovesse riuscire la vittoria, ove i nemici venissero tosto con impeto assaliti, mentre erano solo a predare intenti ed assonnati, e quanto importasse ai Romani il levarsi dal volto la vergogna di una tanta sconfitta. Richiamò la terza legione ed ordinò che caricati i cavalli somieri, sovra ciascuno di essi montassero due soldati più gravi d'armi, e che tutti gli altri cavalieri prendessero in groppa un giovine soldato. Fattosi questo con la maggior fretta, il campo occupato dagli [stri fu invaso, e ne seguitò non già pugna, ma strage. Ben ottomila degli [stri immersi ancora, nel sonno, vi rimasero trucidati. Gli altri l'uggirono, e Ira questi lo stesso Epulo. I Romani non condussero alcun prigioniero, e non perdettero, al dire di Livio, che duecento soldati, A fronte di tutto questo la vittoria ili Manlio non fu certo decisiva, poiché invece d'inseguire il nemico, si tenne ne) campo sulle difese, sino all'arrivo dell'altro console M. Giunio. Questi, sparsasi la voce in Roma che tutto L'esercito fosse peritò', avea avuto l'ordine di recarsi nella Gallia, per levarvi quanti più soldati potesse, e di correre in soccorso di Manlio. Di più furono decretale leve sfraoniinarie, e si formarono in Koma due legioni cittadine. 1 latini dovevano prestare 11),000 fanti e 500 cavalli; e si ordinò al pretore F. Claudio di raccogliere in Risala quarta legione, 500 soci e 250 cavalli. S'intimarono infine tre giorni di preghiere.— M. Giunio, arrivato al campo e accertatosi che l'esercito era salvo, scrisse bensì a L'orna in modo da tranquillare gli animi, ma visto che gì' Istri stavano in gran numero accampati non lungi dal Timavo, nulla intraprese contro di essi e ritirò le legioni a vernare in Aquileja. Anche gì'Istri ritornarono alle città loro, e cosi ebbe termine la campagna del 107 a. C. Ccciq azione dell'Istria. — Campagna del 178 a. C. L'anno seguente si raccolsero in Roma i comizzi per eleggere i magistrati. Si cominciò a trattare con grande veemenza l'argomento della guerra istriana; poiché da un canto n'era provata la molta importanza da L. Minucio, legato di Manlio, e dall'altro la sconfitta toccata dalle legioni d'Aquileja avea tutti gli animi accesi d'ira. I più accusavano d'ogni sciagura L'ambizione e la stoltezza di Manlio, il quale aveva osato maneggiar!! una guerra arrischiata li proprio capo, senza punto curari' l'autorità del sonato. Maree Giunio, eh era cornato a Roma por la nomina dei magistrati, accre-sceva lo sdegno del popolo, mostrando piena ignoranza delle cose istriane, ed anzi prendendone argomento a schermirsi dalle inchieste dei tribuni della plebe, Papirto e Licinio, i quali avrebbero voluto venisse Aulo Manlio tra loro a render»; ragione di sua inesperienza. Fra questo l'elezione a consoli cadde sopra C. Claudio Pulcro e T.Sempronio Gracco. Fatti i sacrifizio e le supplicazioni, i consoli sortirono le provincie. A Sempronio Gracco toccò la Sardegna, e a Claudio Pulcro l'Istria. Cosi per quella come per questa fu stabilito lo stesso numero di soldati, cioè due legioni di 5200 fanti 1'una, con trecento cavalli, aggiuntivi 12,000 soci latini con 600 cavalli, e li) quinqueremi. Mentri! tali cose passavano in Roma, M. Giunio, reduce dal campo, od A. Manlio, in qualità di proconsoli, entrarono al principio della primavera i confini dell'Istria. GÌ' Istri, soperchiati dalla preponderanza dei due eserciti, indietreggiarono, poco fidenti delle proprie forze; e i Romani ponendo ogni cosa a sacco, avanzarono nell'interno del paese lin sotto la città di Nesazio*). Altri invece, *) Ignorasi il luogo preciso, ovo sorgesse Nesazio. Lo stesso Carli Confessò
  • /■<>/'/'rum, ossia un vestibolo arcuato, sorretto da quattro colonne*). In un angolo del portico finalmente ergevasi per lo più il battisterio. Nell'interno pure furono introdotte mano mano alcune modificazioni al primitivo modello della basilica civile. L'altare fu coperto da un baldacchino di marmo, detto ciborio, sostenuto da quattro colonne, e sotto al presbiterio si scavò la cripta o confessione, a raccogliere le ossa dei martiri. Il *) Una specie di prolirum è tuttodì in molte chiose campestri quel vano tra ì nmricciuoli con due pilastrini, per cui si entra nel sacrato. coro anteriore, da non confondersi col presbitero nell' abside, occupava (piasi la metà della navata maggiore ed era desìi-nato ai canfori ed agli ordini inferiori del clero. Nell'altra mela della navata maggiore si radunavano i catecumeni illuminati ed i penitenti prossimi alla riconciliazione. Le balaustrate, composte di pilastrini, arieggiarli il simbolico fiore delle balauste o melagrane, chiudevano l'accesso al santuario; e di altri simboli cristiani, come il pesce, l'olivo e la palma si ornavano i bizzari capitelli delle colonne e le tombe dei martiri. Un corpo di fabbrica adunque a tre navi, delle quali le due laterali più basse della mediana, un unico altare, 1' abside, la cripta talvolta, e al di fuori un peomu; e più tardi un intiero cortile con porticato quadrilatero, ecco le note caratteristiche della basilica cristiana. Diffusosi da Ruma un tal metodo di fabbricare nelle Provincie d'Italia, l'Istria fu tra le prime ad accoglierlo, e dal quarto al settimo secolo qui si alzarono le antichissime basiliche di S. Maria in Trieste, di S. Lorenzo presso Pa-renzo, 1' Eufrasiana in Parenzo stesso, e verosimilmente a Capodistria, a Cittanuova, a Pi rano ; la basilica di S. Maria Formosa e il duomo di Pola, delle quali I' Fufrasiana (piasi intatta tuttora si conserva: e di tutte le alice si hanno preziosi avanzi o memorie. Nò di questa ricchezza di monumenti saranno da l'arsi le meraviglie, qualora si pensi alla floridissima condizione della provincia a quo' tempi, e allo tante colonie e municipi romani in Trieste, Uapodisfria, Cittanuova, Pirano, Parenzo, nel 35 a. C, da Augusto, o inslifuite O afforzate con nuove genti latine. Nò ad erigerle avranno voluto i noslri ricorrere ad artisti romani, nò, volendolo punì li avrebbero potuto cosi di subito da Lorna far pervenire; nò bisogno a ciò, se nelle tante basiliche civili preesistenti in patria trovarono, tostochò ne fu data la spinta dal di fuori, un perfetto modello. Fd Istriani adunque furono quei primi artisti delle nostre basiliche, è la somiglianza di questi templi, e le l'elici condizioni del paese e le gloriose tradizioni della classica antichità ne' magnifici monumenti improntate, inducono a crederlo con fondamento. La più antica basilica in provincia, se si ha a giudicare dalle reliquie che ne restano e dalle erudite disquisizioni di un nostro archeologo, sarebbe la Marianna di Trieste, eretta tra gli ultimi anni del quarto e i primi del quinto secolo. Soggetta in seguito, come vedremo a suo luogo, a molti guasti e a mal regolati ristauri, non è cosi facile trovarne la traccia. A raffigurarla in qualche modo nella mente, si collochi il visitatore nell' attuale navata del Sacramento, che fu già la centrale dell'antica chiesa; congiunga a questa la navata della Madonna, senza quelle tante cappelle aggiunte posteriormente, e immagini altra simile a destra, atterrata per erigere l'adito centrale del presente duomo, e avrà un' idea della basilica primitiva. Fino alla terza colonna, cominciando a noverarle dall'abside, giungeva il coro dinanzi con gli amboni e le balaustrate. Nell'attuale cappella del Sacramento, per vari gradini si ascendeva all'aitar maggiore, e dietro a quello come al solito vi era il trono del vescovo ed i sedili pel clero. Ma la parte dell'antica chiesa, che dopo tanti secoli intatta ancora si conserva, è La volta dell'abside col pregiato mosaico che la adorna. Nel mezzo 1' artista rappresentò la Vergine sedente in trono, vestita di ricchissimo drappo a color cilestrino, sorreggente il divino infante di lunga aurea vesti; coperto. Ambedue hanno il nimbo alla testa, e in quello della Vergine leggesi M-R HV (Mifjngp 6«o5 Madre di Dio), e nel nimbo del bambino havvi un segno della trinità. Due angeli, a destra l'uno, a sinistra l'altro, con l'iscrizione s. M..... CHAEL (Sanctus Michael) e SČŠ QA..... (Sanctus Gabriel) le stanno in atto riverente ai lati. Nella fascia orizzontale che gira nell'emiciclo leggesi la seguente iscrizione : DIGNA . COLI . REGINA . FOLI . FAMULI . TI I..... O..... JXOIÌ..... S . NOLI, f TE . PLLSTOLANTIS . COETUS. MI SE RE RE . ROGANTLS. Al di sotto di questa iscrizione si veggono raffigurati i dodici apostoli, e in mezzo ad essi una palma che alto estolle i suoi rami, simbolo forse di Cristo, che è il giusto per eccellenza, e che secondo il figurato parlar della scrittura, fiorisce come la palma. O forse la palma che Ezechiello vide raffigurata nel tempio di Gerusalemme, era anche pei cristiani, secondo L interpretazione di S. Girolamo un' immagine della vittoria che dobbiamo riportare sul mondo, per essere fatti degni di ottenere le palme delle virtù (Com. in Ezech. lib. XII). Neil'arcone dell'abside, in cui gli artisti solevano largheggiare in ogni sorta di simboli e di adornamenti, scor-gonsi alcuni piccioli angeli con palla argentea in mano e suvvi una croce effigiata, e poi colombe, e più nell'alto una mano stringente corona che sporge dalle nubi. Il mosaico è a tesselli vitrei e giunse infine a noi sufficientemente conservato. Le figure sono vestite tutte alla romana, nò mostrano quella tanta secchezza di forme e negligenza nel disegno che caratterizzano i dipinti dell'età posteriori. Lo pieghe sono gettate riccamente e con qualche studio di verità. La regolarità adunque e la proporzione simmetrica dell'abside, la corretta lezione o lo stilo della scritta nel mosaico, la totale assenza delle forme bizantino, che più tardi alterarono la prima costruzione delle basiliche, l'esistenza di floridissima colonia romana in Trieste son tutti argomenti che determi-min ano l'attento osservatore ad assegnare al monumento in discorso la prima erezione tra il quarto ed il quinto secolo dell' era cristiana. E a provare questo asserto verrebbe di rincalzo il fatto dell' esistenza di alcune colonne intatte sulle loro basi, sostenenti una vigorosa cornice di perfetto romano lavoro, le quali veggonsi tuttodì nell'interno deli" attuale campanile. Su questo avanzo di antico edilizio pagano sorse già il portico o il pronex della chiesa. Di cortile e di p>v-tirum nessun vestigio. E noi abbiamo veduto come il cortile appartenga alle basiliche di una seconda e più vicina costruzione. Taluno opporrà quel BAVpjp ®eoò nel nimbo della Vergine e lo avrà per segno accennante ad artista più tardo e bizantino. Si osservi però come le altre iscrizioni tutte sieno di pretto latino di chiesa, e si rammenti, che fino dai primi tempi usavansi greche voci anche dai latini, per indicare l'unione delle due chiese, come ne ò indubbia prova il kyrie dell'attuale liturgia Né opponga pur altri quel: Prestolantis, misererò rogantis. La rima è più antica anche nel latino, di quello comunemente si creda; se ne abbiamo qualche traccia perfino nei classici. Il rimare per vaghezza d'armonia è naturai cosa nel popolo; nò certo la chiesa parlava il latino dotto di Cicerone o di Orazio, nò la lingua dell'Iscrizioni e delle catacombe era quella dei letterati, sì la semplice e la spigliata della plebe, già presenziente le forme dell' italiana favella. Notevole è però in questa basilica la mancanza della cripta, di cui non vestigio, non memoria. Convien credere che il sassoso terreno o altre peculiari circostanze, non ne permettessero lo scavo. Vedremo del resto come nell' Istria molte antiche basiliche non abbiano la cripta, lo che induce a credere essersi le cripte scavate anco nelle chiese dell' e-stuario veneto in età posteriore, più che a memoria delle antiche catacombe, a custodia dolio reliquie dei santi per salvarle dai pietosi ladroni. Invece della cripta si fabbricarono sacelli in vicinanza della chiesa cattedrale come il mausoleo dell' Eufrasiana di Parenzo, e forse S. Fosca in Toreello. E sacello avea pure Trieste per locarvi le ossa dei martiri Giusto e Servolo, suoi protettori. Di questo esiste gran parte nella nave di S. Giusto, col pregiato mosaico dell' abside, rappresentante il Salvatore fra i due martiri, a foggia greca vestiti. Nell'architrave al di sopra del primo capitello dietro all'altare vi è il monogramma del vescovo Frugifero, che fece fabbricare il tempietto ; nel mezzo dell' edilizio s'innalza la cupola o trulla: cose tutte che assegnar fanno l'erezione di questo alla metà circa del secolo sesto. Ohe in Capodistria, nell'antica Egidao Capris, esistesse alla fine del quarto secolo una basilica dedicata alla Vergine, si ha certa notizia dagli atti dei martiri Fermo e Mastico, tratti da un antico codice del capitolo di Verona e pubblicati dal marchese M affé i nella sua istoria diplomatica. In Questi si legge come i suddetti corpi di martiri veronesi trasportati nei primi anni del secolo quarto in Preconeso nella provincia di Cartagine, furono non molto tempo dopo comperati da certo Terenzio della provincia d'Istria mollo ricco e nobile della città di Capri, il quale data pretiorum muUUudine li portò alla patria sua. «Perveniens igiiur ad oppìdum Capris condiderunt corpora sanctorum in ecclesia semper Virginis Dei Genitricis Mariae.» Pervenuto adunque Terenzio alla città di Capri, i corpi dei santi furono riposti nella chiesa di Maria sempre Vergine Madre di Dio, devo stettero fino a che Annone, vescovo di Verona, giunto a Trieste nell'anno 9 di Desiderio e 7 di Adelchi, li ricuperò, dato argenti et auri pondus immensum, sborsando gran copia d'oro e di argento, e li collocò nella sua città, nella chiesa a quei santi dedicata. Si noti come la cattedrale di Capodistria porli tuttora il titolo di S. Maria. Ma poiché dell'antichissima basilica più non rimangono pur troppo che poche colonne, ne riparleremo e suo luogo. E in S. Lorenzo, agro parentino, si hanno pure avanzi di antica basilica. Nò si creda che di tanti e si gloriosi monumenti più non restino nell' Istria che muraglie e qualche colonna; poiché nel duomo di Parenzo, che intatto quasi conservasi, abbiamo documento dell'antica nostra civiltà, e una bella prova di quello potrebbero essere tuttora le accennate basiliche, se i tempi e le guerre e più che tutto le mutabili volontà degli uomini lo avessero acconsentito. Fu alzato questo nel 540 dal vescovo Eufrasio, regnante Giustiniano, e nell' interno e _ all' esterno porta T impronta di perfetta basilica cristiana. E rivolta ad oriente; dinanzi ha il cortile, circondato dà portico, e in capo al portico nel luogo del prolirum in faccia alla pòrta maggiore, il batti-sterio. Cotal variante che si osserva anche nel duomo di Pola non ò così essenziale da alterare il tipo basilicale; perché egli é cei'to che nell' imitare i modelli romani, si facevano alcune mutazioni accessorie, volute dal sito e dalle circostanti località. Sappiamo che la città era rivolta al porto, che al porto conducevano quattro strade principali; quindi è che conservar volendo alla chiesa la rituale direzione ad oriente, conveniva entrare nel cortile pel fianco destro, dove l'orse si sarà il prolh'um innalzato. Ma anche se ciò non si vuole ammettere, certo gentil pensiero fu quello di far penetrare i fedeli RN nel luogo santo, passando pel battisterio, dove ricevuto aveano quel sacramento, il quale, come ben dice il poeta, è porta della fede che crediamo. Il viaggiatore, che visiti per la prima volta il sacro luogo, tosto che entri nel tempio sentirà destarsi nell' animo nuove e gradite sensazioni. Le colonne di marmo sostenenti le antiche muraglie, che da tanti secoli sfidano l'ira dei tempi, gli avanzi di preziosi mosaici nel pavimento e indi'abside, il coro, il santuario, l'altare con la mensa semplicissima sotto a ciborio sostenuto da quattro colonne di marmo greco finissimo, la vista di tanti e sì ammirabili avanzi della veneranda antichità ti mettono dentro della mente quell'arcano terrore, temperato dall'intimo senso di religiosa e santa mestizia, che dalla vista di vetusti monumenti viene ad anima immaginosa e gentile, la quale mentre vorrebbe indietraggiare nei secoli, prova come uno scoramento, una sfiducia delle presenti vicende, un desiderio di pace, di quiete, di virtù, promettitore di più lieti e sicuri destini. Che se dal coro tu muovi al santuario, vedrai erigersi in beli' ordine dietro all' altare i marmorei sedili del clero con in mezzo la cattedra vescovile, sulla quale ti parrà ancora di veder sollevarsi, a magnifica figura dell'ardimentoso vescovo Eufrasio, cui se i tempi e l'animo franco, non da cristiana umiltà moderato, persuasero 1' ostinata defezione dal maggior seggio, non perciò gli si dovranno, speriamo, attribuire quelle tante colpe, che nell' ire e nel battagliar dei partiti, facili sono ad imputare al nemico gli uomini. Se questo santuario commendevole per ricchezza e semplicità, esaminato avessero gli studiosi di venete cose, non avrebbero assolato con tanta fermezza, che il presbiterio del duomo di Torcello con la sottopostavi cripta, sia perfettamente conforme alle primitive prescrizioni della chiesa, ed opera del secolo settimo. No ! quell' informe congerie di marini con quei tanti scaglioni, inutili, allorché ignoti erano i nomi e le divisioni di alto e basso clero, e donde e vescovi e preti sarebbero certo caduti alla minima inavvertenza e fiaccatosi il collo, non può essere fattura dei primi tempi, e ne sarà convinto qualunque la paragoni a questa abside di Parenzo e a tutte quelle delle primitive basiliche cristiane. Più verosimile é quindi l'opinione del Kandler, il quale, mentre riconosce nell' altre parti la vetustà del duomo di Torcello, nega del tutto la presunta antichità del presbiterio, e lo considera come cosa di semplice ornato, non di uso, estraneo alla primitiva disposizione. E lo stesso si dica della cripta, la quale sarebbe stata nell'undecimo secolo circa costrutta, avendo servito al duomo per locarvi le reliquie dei martiri, forse V attigua S, Fosca, Ma torniamo alla basilica Eufrasiana. Nella parte superiore dell'abside havvi un mosaico, nel cui mezzo vedesi la Vergine in trono col divin figlio, circondata da due angeli, da S. Mauro, dal vescovo Eul'rasio, dall'arcidiacono Claudio col piccolo Eufrasio suo figlio. Altre due figure scorgonsi a sinistra del trono con la testa nimbata e sul manto le lettere raddoppiate H. N. L. Varie sono le interpretazioni dei critici sul significato di dette lettere; chi dà loro un senso mistico, altri sogna persino che quelle rappresentino la marca del panno ; il Suarez vuole sieno state poste a capriccio. Ma qualora si osservi come sulle altre figure siavi la scritta indicante il nome, apparirà chiaro che quelle lettere sieno le iniziali dei santi raffiguranti; due dei quali furono certo martiri, come si conosce dalla corona, simbolo di vittoria che tengono in mano, e di questi quello vicino all' angelo potrebbe essere il martire Heleuterio, che ebbe antico culto e chiesa nell' agro paren-tino. In quello che sta di mezzo con libro in mano, invece di corona, io leggerei Nicolaus, vescovo che fu di Mira confessore non martire, e a cui era dedicata pure antica chiesa sullo scoglio che porta ancora il suo nome. I gigli e le rose che spuntano dal suolo sono simboli di Cristo, fior del campo e giglio delle convalli, e di Maria, mistica rosa di Gerico. Sopra la testa della Vergine sporge dalle nubi una mano stringente corona, simbolo della divinità. Nella parte più alta dell'abside gira con vaghi intrecciamene una lascia con tra i seni va l'i e croci. La parte in fe rio ne finalmente va ricca di marmi preziosi, tra cui il porfido e il verde antico, non rari, e altra volta la madreperla, il corallo. Accanto alla basilica sorge il martirio, che teneva luogo di cripta, o meglio il mausoleo per locarvi le ceneri di Eufrasio e de' suoi successori, fabbricato da Eufrasio medesimo, come si ha dalla data, scolpita nella custodia del pane eucaristico e dei sacri oli. Alcuni ristauri e aggiunte furono recentemente praticate nella chiesa per cura di monsignor Peteani. Che se la riverenza alia memoria di così pio prelato, che lasciò dietro a sò cotanta eredità di affetti, qui non mi tenesse, io userei gravi parole a biasimare la aggiunta di due cappelle laterali, che danno alla chiesa la forma di croce e aiterarono in parte questo perfetto modello di basilica cristiana. Ma il lungo tema da Parenzo or mi fa muovere a Pola. Ricordano le cronache come alla metà del secolo sesto vivesse in Vistro nell' agro poh-se un certo Massimiano, chierico di santa vita, il quale avendo trovato sotterra un tesoro, ne riportò fedelmente una parte in Costantinopoli a Giustiniano imperatore, pel qual atto gli entrò in grazia così che presentatisi a Giustiniano gli ambasciatori di Ravenna, an- nunzianti la morte doli'arcivescovo Vittore e chiedenti un successore, questi lo destinò a prelato di quella chiesa, confermante Vigilie, papa allora esule in Ritinia. Promosso il santo vescovo a si alla sede non obliò la patria lontana, ed a testimonio d'affetto che annua lo Legava alla sua chiesa, stabili d' innalzare in Pola magnifico tempio in onore della Vergine, sotto il titolo di S. Maria Formosa, o come volgarmente si appella, di Canneto. La chiesa già appartenente all' insigne abbazia di S. Andrea dell' ordine benedettino, passò più tardi alla basilica ducale di S. Marco, e sembra fosse messa a ferro e a fuoco dai Veneziani guidati da Giacomo Tiepolo e Leonardo Querini, nella ribellione di Pola del 1243, suscitata dal partito dei Sergi. Che Venezia distinguesse fra partito e partito in quei primi escusabili furori di guerra, non pare, poiché l'in.sigue basilica fu messa a conquasso e divenne per sei secoli cava di marmi a coloro che alzarono i più stupendi monumenti della veneta capitale. A portar giudizio sulla ricchezza dell'edilizio giovino le poche mine e i dialoghi dell'anonimo di Pola, il cui originale conservasi nella biblioteca di S. Marco. Non si potrebbe con fondamento asserire, se Massimiano facesse alzare la chiesa da artefici istriani o ravennati. Certo che la somiglianza di molti edilìzi, e specialmente del monumento di Galla Placidia nella capitale dell'esarcato, con questo di Pola, accenna o ad artefici ravennati in Istria o ad istriani in Ravenna. Nò 1' amor patrio così ci accieca da credere certa la seconda opinione. Più conforme al vero sarà l'asserire, che venuti i capi di là, questi si servissero del consiglio ed ajuto anche dei nostri, i quali molti dovevano essere e valenti, ove alle sin qui descritte opere si voglia por mente. Probabile é pure che alcuni dei nostri fossero chiamati a lavorare da Massimiano in Ravenna ; perchè naturai cosa è favorire i propri concittadini in terra lontana. S. Maria Formosa avea forma basilicale, alterata però in qualche sua parte. Le colonne non posavano sul pavimento della chiesa, ma su basamenti di marmo, che separavano le navate, non così alti da impedire il vedere ma solo il passaggio. E di questa divisione, che serviva vieppiù a separare nella chiosa i due sessi, si ha traccia anche indi* Ival'rasiana. L'abside maggiore all'esterno non girava, secondando il moto della muraglia interna ma era poligona; cosi pure le due laterali. Una singolarità poi dell' edilizio ertine due cappelle, che sviluppandosi a fianco delle due absidi laterali formavano (amie due corpi di fabbrica disgiunti dalla basilica, con la quale non avevano neppure comunicazione. Sembra fossero mausolei di illustri personaggi. Colonne di marino greco, mosaici, porfidi nel pavimento adornavano il ricchissimo tempio, come si ha dai dialoghi dell'anomino che cosi ne discorre: "Se si guarda alle opere che state vi sono, oriundissime e di prezzo, come dimostrano i finissimi marmi dell'aitar maggiore, le pitture illustri d'opera ed iscrizione greca del sopracielo, l'intaglio vaghissimo del pavimento, et un pergolotto c' ancora v'ò come ne' più honorati et grandi luoghi è di costume; parmi di poter dire, che sia siala impresa di compita architettura. „ E dove e corno andarono poi a finire oggetti cotanto preziosi ì Qui la storia soccorre evidentemente a fondate induzioni per dare una adeguata risposta. Da un documento del 1545 si ha che il celebre Sansovino fosse spedito dalla repubblica veneta a togliere le colonne di marmo in S. Maria Formosa ed a sostituirvi pilastri di cotto. Eseguita la prima parte del decreto, non si trovò nò tempo nò modo ad effettuare la seconda. Nel 1605 si trasportarono a Venezia quattro magnifiche colonne di alabastro orientale, che sorgono ora nel fondo dell' abside di S. Marco, sull' altare che fu già del SS. dietro al maggiore; e da Pola vennero forse le quattro colonne che sorreggono il ciborio dell'aitar maggiore e la pila d'acqua lustrale con tridenti e delfini nel piedestallo, che avrebbe appartenuto al tempio di Nettuno, nonché per certo le colonne di marmo africano che ammiransi sul pianerottolo della magnifica scala nella vecchia libreria, se crediamo al Tenianza che così ne discorre : "Io credo che le colonne trasferite a Venezia sieno quelle di marmo africano poste sul pianerottolo della scala della libreria, dirimpetto alle due ascese della stessa, facendone menzione Francesco Sansovino con queste ampollose parole: Sul patto si trovano alcune colonne di cosi fatta qualità, che partecipano della gioja, et furono portate d'Istria per questo edi/ìzio. Ho qualche traccia che sieno siale lolle dall'antico tempio della predetta abazia. Fu Jacobo in Pela anche nell'anno dopo, e di là fece nuovamente asportare altre colonne ed altri marmi, che furono impiegati anch'essi nella chiesa di S Marci» e nel palazzo ducale., E in cambio a tutto questo i buoni Foiosi regalarono la chiesa di S. Maria della Salute in Venezia delle quattro colonne che sostengono la volta sotto cui sorge V aitar maggiore, le quali non vennerodall' anfiteatro, come erroneamente dicono le guide, ma dal teatro antico, chiamato Zaro, dalla voce greca Theatron. Anzi si legga ciò che scrive su questo proposito 1' anonimo di Pola: ttLe colonne furono di qui tolte per Ve-netia, et è ben ragione che come in centro di tutte le grandezze et glorie trasportate fossero, essendo cosa eletta, onde quattro di loro come i più bei diafani trasparenti illustrano di sé la cappella del SS. di S Marco, lt< mesi ondosi poscia le pareti di detta chiesa delti usuali marmorei finissimi che a questa erano, e della pila antichissima dell'acqua santa et assaissimo altre colonne, annobiliscono la nova procurafia od altri luoghi.„ Nò fu questa ignavia o noncuranza della patria gloria nei nostri, perchè si tristi correvano allora i tempi in Pola desolata dalle pesti e dalle guerre, che i poveri e deserti ci-tadini, mossi anche da profonda fede e devo/ione a S. Marco, desiderarono piuttosto veder primeggiare altrove le loro opere d'arte, anziché lamentarle distrutte ed abbandonate in patria, alla quale da chi avrebbe dovuto non si volle o non si potè prestare i mezzi per conservarle. E nuovo esempio è questo nella storia dei popoli, di fede e di amore al reggimento della gloriosa nquiblica: esempio che torna ad onore de'governati e governanti. In altri luoghi pure della penisola s'innalzarono a quei tempi sacri edilìzi. In Pirano sorse probabilmente nel 633 antica basilica, e di questa si conserva ancora il modello in legno nella sacrestia dell' attuale collegiata. Innanzi alla chiesa vi era il pronex e il cortile. Il battistero sorge ancora dietro alla chiesa, perchè la ristrettezza dello spazio non permetteva di alzarlo davanti. Questo battisterio è di forma ottagona, e nell' interno la muraglia è divisa in otto nicchioni sui quali posa la volta. E in Cittanuova pure si ha memoria di battisterio e di antica basilica. Il battisterio di Pola sorge precisamente innanzi al duomo, cosichè non è diftìcile d'immaginare 1' antico portico della basilica. Il qual battisterio questo ha di proprio che si scosta dalle tradizioni italiche e sente l'influenze bizantine, perchè non è circolare come gli altri nella provincia, ma a croce greca con colonne sostenenti a base quadrata la trulla. La sua probabile erezione avrebbe a segnarsi alla metà circa del secolo sesto, nel qual tempo sarebbe sorto anche il duomo di Pola di forme basilicali bizantine. Nè questa differenza di stile fra il battisterio e S. Maria Formosa della stessa epoca recherà meraviglia, qualora si pensi che alla fabbrica di questa presiedettero forse i ravennati, i quali avranno saputo conservar meglio lo stile romano. E benché le forme bizantine possano essere venute in Ravenna con Teodorico, sotto cui si cominciò la fabbrica di S. Vitale, pure essendo stata, la detta chiesa ultimata e consacrata dal nostro Massimiano, non è tanto lontano dal vero, che gli artisti tornati da Pola dopo la Costruzione di S. Maria Formosa, abbiano influito al maggiore sviluppo di quello stile del quale aveano veduto esempi, e nel duomo e nel battisterio polese. Col settimo secolo finisce nell' Istria la splendida epoca delle basiliche. Ma prima di chiudere questo primo stadio glorioso della nostra architettura, la storia ha ila registrare altri monumenti ancora e del nuovo stile bizantino e dell'archiacuto, i quali se non sono cosi ricchi come i primi per le mutate sorti della provincia, pure offrono ancora non poche parti degne di esame e di noia. Se fosse vero ciò che scrisse il signor Seroux d' Agin-court nella sua celebre opera sulla storia dell' arti, intorno al duomo di fola, eretto nel 857, e da lui avuto in conto di tipo d'architettura sacra in Italia nel secolo nono, il sudetfo edilizio meriterebbe anche oggidì un distinto posto nella storia. Ma il Seroux, che non lo visitò in persona, fu tratto in errore da un' iscrizione del vecchio duomo, che ancor si conserva, e non fu reso avvertito della ricostruzione del medesimo nei primi tempi del secolo decimoquinto. Il duomo di Pola però ha tuttora, al dire del Carli, alcune parti dell'antico; e queste si vogliono essere tenute, come scrive il Seroux, quale tipo di architettura del secolo nono, Tale è T arco cosidetto trionfale del presbiterio, lavorato in marmo con bizzarro intaglio di finissimo rabesco, con in mezzo il monogramma del vescovo Andegiso, che si vede ripetuto nella porta laterale quadrata, portante iscrizione, da cui si rileva 1' anno della erezione 857, regnante Lodovico Pio. L'arco e la porta sono un tipo dell' architettura cosidetta lombarda, chi.» fiorì a (pio1' tempi, da non confondersi con la scuola lombardesca, surta più tardi per opera di Pietro Lombardo ed eredi. Tra i bizzarri capitelli, alcuni dei quali appartengono l'orso ali antica basilica, singolarissimo n'ò uno foggiato a guisa di leggiadra rete con invece di volute gli angoli (piatirò graziose colombe sostenenti l'abaco. Il marchesi- Selvatico india guida di Venezia riporta un capitello della basilica di S. Marco, che pare alludere dico (-gli, al seguente passo del libro dei re, ove sono descritti i capitelli del tempio di Salomone. „Ed oravi come una rete e una catena conteste insieme. „ 7...... 17. Si vegga nei capitelli qui riportati la tanta somiglianza dei cordoni, della rete, e della colomba; si rammenti quello che notammo di sopra circa allo spoglio di marmi fatti dai Veneziani in Pola, e vedrà ognuno come non occorra rimontare fino al tempio di Gerusalemme per trovare l'origine di alcuni capitelli di S. Marco. In S. Michele di Monte in Pola vi ò altro esempio di chiese abbinate. La prima è del secolo settimo, la seconda del mille. Le braccia della navata non corrono in quest' ultima parallele ma convergenti verso P altare. Quivi era il sepolcro di Salomone re d' Ungheria (ora traslocato in duomo) che abbandonato il trono nel 1074 riparava nell' Istria a vita privata presso il marchese, al quale era affine, e moriva in Pola in odore di santità. „ Questa chiesa (cosi scrive T anonimo), per la maggior pari*' marmorea, era sostenuta da bellissime colonne dal mezzo e dai fianchi, ed egualmente doppia di corpo e di. cappelle, colonnate anch'esse in bella foggia., E corre tradizione che in questa abbazia di S. Michele di Monte ospitasse Dante: tradizione che verrebbe confermata da quei versi del poeta: Siccome a l'ola presso del Quarnaro Che Italia chiude e i sui termini bagna, Fanno i sepolcri tutto il loco varo, ..... Certo che cosi minuta osservazione dà a dividere, aver qui scritto il grande poeta dietro a proprie e non altrui impressioni, le quali al solito, allorché ad altri si riferiscono non sono tanto distinte e precise. Ed è in Pola forse o ne' suoi dintorni che egli udì pure suonarsi all' 01 occhio i crudeli accenti del dialetto istriano, tra gli altri tredici dialetti d'Italia da lui memorato nel libro della volgare eloquenza. Altra chiesa di stile archiacuto sorse nel 1300 circa per gratitudine di uno dei Sergi, scampato al totale eccidio della sua famiglia da un frate francescano. In questa chiesa, ammirabile per semplicità ed ampiezza, si tenne nel 1406 un concilio di frati minori. Ilo dedicato questo mio scritto alla storia dell' arte cristiana nell'Istria. Pure, tanto <■ il nesso Irti la fede e la scienza, tra religione e civiltà, che io spero non mi si vorrà fare opposizione se in un articolo d' urte cristiana, oltre che di sacri fo' pure di profani edilizi parola, essendoché la nuova arte edificatoria abbia avuto, come ogni altra arte e scienza nella vita nuova dèi popoli il primo impulso dal cristianesimo, così da poterla a differenza dell' antica architettura classica, con generale vocabolo chiamare veramente: Arte Cristiana. Ed è con questo indendimento che parleremo più oltre anco di edilizi profani, e che ricordiamo subito l'antico pubblico palazzo di Pola eretto nel 1300, di cui, crollata essendo la facciata nel 1651, or più non resta che un fianco ricco di marmi, d'intagli e bassorilievi. Ed ecco percorso il primo e p ìli glorioso stadio della storia dell' arte nell'Istria. Fatali vicende si apparecchiarono all' infelice provincia. Pola, l'antica capitale, saccheggiata dai Genovesi in odio al partito veneto nel 1328, nel 1354, e nell'ultimo eccidio nel 1370 in cui furono uccisi gli abitanti, incendiato l'archivio, trasportate a Genova le porte di bronzo del duomo con altri oggetti preziosi, più non ebbe forza a risorgcio, e la provincia tutta fu stremata dalle pestilenze e dalle guerre. Pochi adunque sono gli edifizi degni di memoria in questa seconda epoca che imprendiamo a trattare, ma non pochi i cultori del bello, cui se mancarono in patria occasioni di esercitare l'ingegno, non venne meno però il coraggio per recarsi altrove all'altrui servigio, specialmente in quella Venezia che divenne capitale dell'Istria. I nostri artisti adunque in questa epoca non formano scuola in provincia, ma si confondono colla veneta di cui assumono persino il nome, abbastanza numerosi ancora e così congiunti, da tramandare di padre in figlio le tradizioni dell' arte come una gloriosa eredità famigliare. K tali ci si presentano Lorenzo ed Antonio Delvescovo, Taddeo da Rovigno, Donalo da Parenzo, lìarfolomeo Costa e Giovanni Sedula da Capodistria, architetti e scultori, Bartolomeo da Pola, Sebastiano Sehiasono intarsiatore, e i due Carpacii da Capodistria, pittori. Chi non ammirò in S. Michele di Murano quelle colonne, quegli intagli di squisito lavoro nel puro stile del risorgimento, in quello stile rosi ricco e immaginoso e vera-menti1 nazionale che si accosta al classico senza regole di vana pedanteria? Orbene, que'lavori furono in gran parte eseguiti da Antonio e Lorenzo Delvescovo da Rovigno, e Domenico di Donato da Parenzo, come si ha dal Moschini, dallo Sfancovich nelle biografie degli uomini illustri dell' Istria e dal marchese Selvatico india, sua guida di Venezia. Nella novissima guida del Zanotto, che si annunzia col pomposo titolo di duecento errori corretti a tutte le altre guide, invece di da Rovigno si legge da Rovigo. L'autore del libro dei duecento errori corretti, vorrà benignamente concederci di farlo avvertito di questo suo erroraccio. Nel vestibolo cavato dal corpo slesso del tempio, sono a vedersi le cornici, i profili delle colonne, e i leggiadri capitelli, opera di que' nostri artisti. Pregato pace alle ossa, di ira Paolo Sarpi, che quivi riposa, si passi ad ammirare nell'interno della chiesa, le sode colonne su cui s' involtano immediatamente con molto ardire gli archi, senza, intermezzo di architrave, la quale maniera se ò incriminata dai precettisti, non e però meno bella, e cresce lume ed ampiezza alla fabbrica. E i capitelli pure con graziose volute, da cui discendono sulla campana leggiadri festoni, con l'abaco a semplici ed eleganti linee, meritano lo studio del diligente osservatore. Autor di questi ò secondo il marchese Selvatico un Taddeo tra il 1474 ed il 1482. Ed ò questi forse quel Taddeo da Rovigno, non mai ricordato che io sappia dai nostri scrittori, del quale cosi parla il Selvatico nella sua pregiata storia delle arti. "I veneti scalpelli Jacobello e Pietro Paolo delle Masegne, Taddeo da Rovigno, la famiglia dei Bon erano durante il sorgere della Reggia ducale, gli autori di quei tanti magnifici palazzi, di cui sono compiuto esemplare quello della Ca' d'Oro, dei Giovanelli, e in [«articolare quello de'Foscari. „ (Vol. II, lez. 8, pag. 228). Noi accogliamo con grato animo la menzione di Taddeo e degli altri scultori istriani, fattaci dagli studiosi dell'arte in Venezia, e ne prenderemo argomento a dire in seguito qualche cosa della vita di quegli artisti, se ci sarà dato raccogliere tradizioni o qualche scritto, rarissimo pur troppo nell'Istria, per le devastazioni e gl'incendi degli archivi nelle guerre genovesi. Non solo adunque sassi a marmi recaronsi dalla nostra provincia a Venezia, ma uomini che a que' sassi e a que' marmi infusero la vita del loro pensiero. E a destare gli ingegni, favorevolmente influirono i monumenti e le tradizioni dell'arte, e più che tutto le regole delle fraglie d'allora; il modo cioè con cui gli artisti ricevevano la loro educazione. Questi, come si ha dalla storia, cominciavano umilmente la loro carriera senza vanti e pretese di scuola., in qualità di garzoni presso i pi-ovetti maestri, macinando colori e dirozzando a grosse scalpellate le pietre, e venivano poi, come l'occhio avessero un po' alla volta educato, mano mano iniziati dai maestri ne'più reconditi misteri dell'arte. Dalla scuola adunque di que' primi artisti saranno usciti anche i nostri Istriani, i quali di natura svegliata e dotati di aperta intelligenza, non è presumibile che per anni ed anni ad altro non fossero capaci che a cavar pietre e scassinar colonne. E sempre più mi rafferma in Questo pensiero 1' altra circostanza dell' essere i succitati scultori tutti di Parenzo e Rovigno: luoghi dove per 1' abbondanza di cave, ricchissime di pietre, e per i molti edilìzi, maggiore fu sempre e più esteso il lavoro. Da una epigrafe esistente nel duomo di Cividale, sulla porta laterale a destra rileviamo due nomi d'ignoti architetti e sono: Bartolomeo Costa e Giovanni Sedula da Gapodistria. Non avendo nessuno fatto menzione di questi, e trattandosi anche di rivendicare all' Istria, il bel vanto di poter numerare fra i suoi gli architetti di quella insigne collegiata, mi si conceda di qui riportare quale isterico documento la suddetta iscrizione. Proprio . hujus . vcn . capituli . aere . et Ch/'isti . fidelium . elernosinis . decano Venerabili . pracsidenlc . D . Silvestro Querini . de . Venet i is . decretorum Doctore . celeberrimo . et superstiti „ Bus . benemerentis . viris . nob . Philippo De . Porfis . ne. Petro . de Atiimis Hoc . lanplum . honorì . laudif/ue Omnipotenlis . Dei . ejusgue Intemeratae . motriš . aedi/icari Caeplum . est . fàbricantibus . viris Hatiholoiaeo . ('osla . ci . lohanne Seduto . de . I asti t a t poli . anno 1457 Ind . 17 poniifìcalus . SS . Callisti . papae Anno TIF. Da questa epigrafe adunque chiaro apparisce come il duomo di Dividale sia sialo eretto Dell' anno 1457, al tempo di papa Callisto III, del (locano Silvestro Querini (prima (lignita di quella chiosai, sotto la presidenza di Filippo de Por-tis e Pietro de Attimis e degli architetti Bartolomeo Costa e Giovanili Seduta di Gtustinopoli (Capodistria). L'autor della guida di Cividale, stampata nell'autunno p. p. in occasiono della solenne riunione «lei membri della SOCifìtà agraria friulana, scrivo che i duo da Capodislria non furono che i capi presidi della fabbrica, e (die Bartolomeo della Cisterna erasi impegnato della sua intera esecuzione; ma che essendo caduta sfortunatamente la prima colonna maestra se ne fuggisse, e surrogato venisse Pietro Lombardo il quale lavorava allora a Venezia. Con tutto il rispetto alle tradizioni cividalesi, ini sia permesso di osservare anzi tutto, come, se fosse vero che Dietro Lombardo avesse architettato il duomo, sarobbesi posto il suo nome nell'iscrizione, e non quello di due oscuri ca-pomaestri muratori. Che poi Pietro Lombardo lavorasse a Venezia nel 1457 (anno in cui si cominciò a fabbricare il duomo) è assolutamente falso, perchè questo insigne artista nacque alla metà circa ili (pie! secolo (vedi Ticozzi, dizionario degli artisti, ecc.) e le sue opere principali sono : La porta ed altri ornati in San (riebbe (1470), il palazzo Vendramin Calergi (1481), il mausoleo Mocenige in S.Giovanni Paolo (1484) le procuratie vecchie (1400), il prospetto a manca della scala dei giganti (1501), la cappella /en a S. Marco (1515). Queste celebre architetto adunque, capostipite di una generazione di artisti e fondatore di una nuova architettura, chiamata dal nome della patria di lui lombardesca, comparisce (piale architetto e scultore in Venezia tra il 1470 e il 1520, nel giro di (dica 50 anni, nò si può crederlo autore del duomo di Cividale nel 1157, senza, la ridi- cola supposizione, ch'egli abbia saputo trattare con uno sviluppa miracoloso d'ingegno nell'età del pappo e del dindi la sesta e lo scalpello. Nè si vada dicendo che lo stile del duomo di dividale arieggi le l'orme dei Lombardi ; che quel fare ardito, slanciato, severo, per nulla s'accosta ai modi gentili ed eleganti dell' architettura lombardesca. Finche adunque migliori argomenti non si portino contro la nostra sentenza, noi l'ondati sull'autorità d'un documento scolpito, riterremo Bartolomeo Costa e Giovanni Seduta quali architetti del duomo di Cividale. E qui vuoisi ancora ricordare Sebastiano Schiavone da Rovigno, intarsiatore, laico olivelano nel monastero dell'isola di S. Slena in Venezia. Il Meschini dice che questi era da. Rovigno, che nelle bellissime tarsie da lui lavorate nella chiesa del suo convento, pur troppo ora distrutte, leggevasi cesi: «Extremus aie mortalium operum labor L. S. di' Etuigno M. Uliveti, qui .'{ id. sept. diein obiit 1505.» Nelle pareti laterali del coro in S. Marco, a (pianto ne dice il Sansovino, lavorò pure il nostro Sebastiano, il nome del (piale si può rilevare dalle tre iniziali S. S. C. setto la figura della prudenza. E di Sebastiano seno pure i sette spartimenti dell'armadio centrale nella sacrestia di S. Marco. Il chiarissimo autore adunque della guida dei duecento errori corretti, corregga un altro erroruccio, e laddove scrisse: Opere di Sebastiano Schiavone e di Bernardino Ferrante da llerganio, distingua tra paese e paese e al primo aggiunga da Ixoriyno'). Altro nostro intarsiatore fu Bartolomeo da Fola, che visse intorno al 1500; e di lui fa menzione il Lanzi colle seguenti parole: «Le maggiori e le più artificiose figure di tarsia ch'io vedessi, sono in un coro della Certosa di Pavia, distribuite una per ogni spalliera, e se ne fa antere ondo Bartolomeo da Pola, che altrove mai non conobbi, V è m ogni quadratura un busto di un apostolo o di altre saaio, disegnato sul gusto della scuola (lei Vinci. Alcune gallerie ne serbano qualche quadro.» Non si creda poi che dèi tutto mancassero a quo' tempi occasioni agli artisti di segnalarsi anche in provincia. Grandi ristauri furono eseguiti Ira. il 1400 ed il 1000 nel duomo di Capodistria, pei (piali molto ò a dolersi non siasi voluto o potuto rispettare la veneranda antichità, cosi che dell'antica basilica più quasi non resti che la memoria. Nel 1418 *) Vegga il lettore, (pianto fu scritto in questi ultimi anni su Sebastiano Schiavone nella Provincia an. XVI numero 15; a&\YArchivio storico per Trieste, Istria ed il Trentino Voi. 11, fascicolo i, 1882 ecc. ecc. Il Da Pola, socondo l'illustre Caffi, sarebbe indubbiamente da Modena e cognome di famiglia: Della Polla. Vedi Provincia, an. XIX n. 22. il vescovo Francesco da Firenze incorporò F antichissimo atrio o nartex alla chiesa e costruì il piano inferiore della facciata. Nel 1598 se ne compi la parte superiore. Nel 1662 il SS.0, che si conservava nella confessione o cripta, Cu trasportato di sopra nella chiesa, e di questa cripta dura ancora memoria. Nel 1667 l'aitar maggioro che era doppio, si ridusse ad unica mensa, e si levarono gli amboni. La lacciaia è a doppio stile, archiacuto al piano inferiore, lombardesco nel superiore. I/ inferiore ha tre archi sostenuti da tozze colonne, con capitelli a foglie di cappuccio sorreggenti leggiadri tabernacoli, sotto cui posano figuro di santi in rilievo. La parte superiore poi è a quattro pilastri lombardeschi, striati, con capitelli di vario lavoro. Non è opera che vanti regolare ordinamento ed unità di concetto; pure nel suo assieme non manca di tal (piale venustà. Circondano la piazza, su cui sorge il duomo, a tramontana la loggia di stile archiacuto, a ponente V antica foresteria, un tempo di stile lombardesco, barbaramente raffazzonata alla moderna nei primi anni del secolo, e a mezzodì il palazzo del comune, a guelfe merlature con atrio che dà slogo alla via maggiore, portante nella chiave dell'arco l'iscrizione: L172. Noi e voli sono pure nel duomo gli stipiti delle porte laterali ad ostro, con arabeschi ed altri intagli nello stile lombardo. Le due basi della porta australe, vicina al campanile sono secondo il Carli frammento di antico sepolcro d'un sacerdote della Dea Cibele. Orribile è poi lo sperpero fatto di altri antichi marmi e di colonne nel nostro duomo. Marin Sumilo narra che ai suoi tempi (secolo decimoquinto) nel duomo di Capodistria, mentre esso era ancora in l'orma di basilica e ricco di marmi, vedovasi una tavola sopra la mensa dell' altare, bianca e trasparente cosi clu1 ponendovi lume al di là si calca a traverso il marmo largo chiarore. Una simile si ammira ora nel tesoro di S. Marco, e senza sostenere che sia. la sfossa, non facciamo che notare il fatto. Le quattro colonne di finissimi marmi che sostengono 1' attuale cantoria del nostro duomo, appartenevano all'antica basilica: le altre andarono miseramente disperse. Fatali cangiamenti furono pure effettuati dal L>00 al 1500 circa nella basilica di S. Maria a Trieste. Si atterrarono i muri più prossimi delle due chiese e se ne formò una sola. Si collocarono nella nuova abside la sodia vescovile, la gradinala marmorea e gli amboni (forse gli antichi); più lardi furono aggiunte quelle inule cappelle ed altari, che sempre più tolsero l'euritmia alla chiesa. Prima di declamare contro l'ignoranza e la barbarie, si rifletta alle povere condizioni di Trieste in allora, soggetta a guerre e distruzioni, ai tempi ed alla pochezza dei mezzi, e si gridi piuttosto contro l'attuale grettezza, che fece sorgere sotto ai nostri occhi, in tanta luce di civiltà, in tanta abbondanza di mezzi, una miserabile abside, con su per la volta sgorbiati certi strambi rosetloni, che danno al coro F apparenza di un atrio teatrale, con nel mezzo, in luogo della marmorea sedia vescovile, un soffice seggiolone"). Una nuova opera poi di quel primo ristauro del duomo, la quale merita qualche attenzione, sono gli affreschi nella cappella di S. Giusto, sotto al mosaico già di sopra descritto. Rappresentano questi in cinque scompartimenti i fatti principali del martirio del santo. Certo che in questi dipinti si trovano errori di prospettiva gravissimi e secchezza di forme e negligenze notabili nelle estremità; ma pure vi si ammira quella ingenuità ed energia di sentimento nelle lisononiie, quella serena ilarità, queir ideale armonia, che Senza uscire dai campi del vero, seppero trasfondere alle loro composizioni i primi artisti, e che ora col sentimento irrigidito dal dubbio t e paralizzato dalla riflessione (come bene osserva un egregio scrittore) non sanno che raramente rappresentare i moderni. Ignoto ò il nome dell'autore che fresco la cappella, ignoto il preciso tempo dell'opera; ma certo è che quello non sogno le tradizioni della pittura bizantina, e deve aver veduto e studiato le opere di Giotto e de' suoi discepoli. Qualche ipotesi potrebbe essere azzardata con più o meno verità. Vedano per esempio gl'intelligenti nella testa del santo che vìen portato alla sepoltura, la molta somiglianza con quell'amabile viso della estinta santa Lucia nei celebri affreschi dell'Avanzi alla cappella di S. Giorgio a Padova. Nella sacrestia di questo duomo si conserva ancora una tavola di Giotto di Stefano, detto il Giottino, che era altra volta sul ciborio dell'aitar maggiore, e qualche confronto potrebbe instituirsi. Non por questo io voglio già dir con certezza che gli affreschi sieno di mano del (riollino o dell'Avanzi, perchè mi sembrano molto inferiori alle opere di que'valenti. Tuttavia con sufficiente fondamento si può asserire che queste storie sieno state condotte da uno di que' tanti seguaci della scuola padovana, fondata da Giotto, il quale se ò le cento miglia lontano dalla perfezione del maestro, pure mostra di averlo studiato ed in qualche parto anche inteso. Mancagli più che tutto larghezza di composizione e varietà nel!'.esprimere le *) E qui cade in acconcio di notare un v o ivo diletto delle nuove chiese parrocchiali di Trieste. Nel presbiterio non v'è luogo a costruire stabili seggi pel clero, e allorché i sacerdoti si radunano in pubblica (brina, siedono e genuflettono su mobili panche e scanni. E questo è un mancare alle prime regole dell'arte cristiana. passioni, ond* è che egli ti presenta seduto il tiranno e i manigoldi che flagellano il santo con quella stessa imperturbabilità tdio traspira dalla fisonomia del martire e dei cristiani. Sotto ai quadri leggevasi un tempo una scritta in latino, spiegante le storie, come se ne ha traccia ancora nella parola portai, che scorgesi nel penultimo scompartimento, laddove il santo ò portato alla sepoltura. Ma poiché qui ci ha condotto il discorso, egli è orinai tempo di tur menzione di quel lume della pittura Vittor Carpaccio, che insieme a Giambellino e Cima da Conegliano, forma il triumvirato del purismo della veneta scuola nel secolo XV. Più che a descriverne però le opere, d'altronde notissime, qui ci rechiamo a dovere di chiarirne i natali, poiché una costante tradizione lo fa nativo di Capodistria, ad impugnare la quale con fondamento non bastano certo gli errori e le incertezze degli scrittori. Il Vasari lo dice vèneto, il cavalier Ridolfl lo la cittadino veneziano; il Lanzi cosi ne discorre : «Competitore dei due Pollini e dell'ultimo Vivarino fu Vittor Carpaccio veneto o di Capodistria.» E altrove: «11 paese è imbevuto di questa opinione» (cioè che il Carpaccio l'osso da Capodistria). Selvatico nella sua storia delle arti del disegno lo dice forse nativo di Capodistria. Il più forte argomento in contrario, su cui si fondano gli oppositori si e l'essersi Vittore sempre sottoscritto ne' suoi quadri: Venetus. Si rifletta però che veneto veramente egli era, perchè soggetto alla veneta dominazione, perchè dimorò in Venezia, perchè appartenente alla veneta scuola. Altri esempi si hanno, (amie ben osserva lo Stancovich, di pittori che non si sottoscrissero col nome della patria. Pomponio Amalteo di S. Vito del 'ragliamento nelle sue pitture si sogna: Moline eiris et incoia. Lorenzo Lotto in alcuni quadri si scrive pìctór venetus, in altri Tarvismus. Giusto Padovano era fiorentino. Liana, civis Volcderrana, era invece di Mantova. Che poi il Carpaccio si compiacesse sottoscriversi veneto anziché giustinopolitane, non parrà strano, allorché si pensi alle povere condizioni di'Capodistria e della provincia in allora, e al naturale amor proprio e al desiderio di maggior celebrità ed importanza che avrà inclinato Vittore a sottoscriversi qual cittadino di una grande capitale, anziché di un' umile città di provincia. Si aggiunga che non infrequenti erano le trasmigrazioni di famiglie dalla costa veneta alla istriana, e che i nuovi venuti duravano nell'affetto alla patria antica; per cui è probabile che la famiglia dei Carpacci, Originaria di Venezia, conservasse il nome di veneta, che non avea certo perduto traslocandosi a Capodistria, città questa pure veneta ed italiana. Arroggi altra importantissima cir- costanza, non ancora avvertita, che cioè gli Istriani venivano confusi erroneamente coi Dalmati, e chiamati, ingiustamente sì, ma col poco lusinghiero nome di Schiavoni, nome che un uomo cotanto celebre avrà voluto evitare, sacrificando l'affetto di patria alle ubbie e ignoranze volgari, ed assumendo invece il nome generico di veneto, da non confondersi, si noti bene, con l'altro di veneziano*). Ma a ritenere invece il Carpaccio per capodistriano, siamo indotti dalla costante tradizione in Capodistria, notata anche dal Lanzi con quelle paride: «Il popolo è imbevuto da questa opinione.» Ora domando io come si fa a imbevere tutto un popolo di cosi storta opinione, la (piale può essere a ogni momento contradetta? L come avrebbero osato i cittadini di Capodistria additare i quadri del Carpaccio qual opera di un loro concittadino, sotto gli occhi di magistrati veneziani, gelosissimi delle glorie loro, se potevano essere smentiti da qualunque si facesse a leggere la sottoscrizione; come lo avrebbero osato, qualora questa opinione non avesse avuto d'altronde un forte e sicuro appoggio, superiore alla stessa scritta del pittore? Le false opinioni, i giudizi erronei si formano in conseguenza a qualche causa accidentale ed estrinseca che gli abbia prodotti; ma quando queste cause non esistono o sono apertamente contrarie, convien credere che l'opinione sia vera, che il giudizio sia giusto, e discenda netto e preciso dalla intima ed essenziale natura delle cose. Cresce poi forza all'argomento il nome stesso dell' artista; essendo che comunissimo fosse quel nome nelle famiglie di Giustinopoli, per l'antica venerazione al martire Vittore, di cui si conservano reliquie nel duomo e se ne celebra la festa ai 10 febbraio. Questo nome appare ripetuto di avo in nipote, come è costume, nell'albero gentilizio della famiglia Carpaccio, tratto dagli archivi della cattedrale, dal quale però non si ha l'anno e la nascita di Vittore; cominciando appena i regolari registri di questa parrocchia col 1552, m d «piali apparisce tra i primi un Vittore chi1 sarebbe nipote dell'insigne artista, procreato da Benedetto, iiglio di questo. Un ultimo argomento che fa per noi si è il buon numero di quadri che Vittore e il figlio Benedetto condussero a Capodistria, a Trieste, a Pirano. E si può egli supporre che un valente artista qual fu il primo, occupatissimo nelle grandiose storie di S. Orsola, di S. Giorgio, nei dipinti del palazzo ducale, sfortunatamente perduti, e in tanti altri impor- *) Smalto) cnto elio tal sorto abbia toccato a frate Sebastiano da Rovigno, essendo che l'aggiunto di Schiavone noi lo riteniamo un appellativo, indicante falsamente la nazionalità e non un cognome. E tanto era schiavone frate Sebastiano da Rovigno quanto turchi i Veneziani. tantissimi lavori affidatigli dallo stato e dalle confraternite più illustri di Venezia, avesse trovalo tempo a dipingere quadri ed anche storie di locale interesse, se a ciò più che da poveri lucri non fosse stato mosso dalle relazioni di parentela, di amicizia e di patrio affetto? Ciò evidentemente apparirà dall'esame delle opere sue, che tuttora ammiransì in Capodistria. Cominciamo dal quadro della Vergine nel duomo che porla la sottoscritta: Victor Carpathius venetus pinxit 1516. Udiamo il Lanzi che cosi ne discorre: «Nel fondo del quadro siede in trono maestosissimo nostra Signora, col divino infante ritto sulle ginocchia, e fan loro corona, disposti sopra tre gradi, sei de'più venerati protettori del luogo va-' riati egregiamente nei vestiti e negli atti, ed alcuni angioletti che suonano, e con certa puerile semplicità guatano insieme lo spettatore, e lieti pajon chiedere, che gioisca con loro. Conduce al trono un colonnato lungo, ben inteso, ben degradato, che una volta era unito ad un bel colonnato di pietra che partivasi dalla tavola e disten de vasi in fuori per la cappella, formando all' occhio un inganno ed un quasi incanto di prospettiva, che poi si tolse, quando ne furono rimosse le colonne di pietra per aggrandire la tribuna. I vecchi della città, che viddero il bello spettacolo ai forestièri il rammentano con desiderio; ed io volentieri ne iscrivo prima che obliterata no sia la memoria.» Ma questo dipinto molto è a dolersi sia sfato in parte guasto dall'ardito pennello del Dusi, il quale instaurandolo, non con quella riverenza che si conveniva a tanto maestro, per torre qua e là qualche rigidezza di contorni e secchezza di forme, sbizzarri sulla tela, togliendole il carattere e lo stile suo primitivo. Non cosi si ha a dire di altra tela del Vittor stesso, che trovasi nella podesteria di Capodistria, sottosegnata 1517, rappresentante l'ingresso di un veneto podestà, la quale in deplorabile stato per ..secolare incuria ridotta, con ingegnosa pazienza e lungo studio e riverenza molla ci fu ristali rata dall'egregio nostro G i anelli.. In questa tela condotta negli ultimi anni di sua vita, si scorge uno stile più largo, un l'aro sciolto e rotondo che di molto si scosta dalla secchezza della sua prima maniera. Che se la povertà del soggetto, molto lontano dalla ricchezza e magnificenza delle splendide feste veneziane, qui non eccita tutta la fantasia dell' artista, pure vi ammiri quel pressarsi di genti, quel vario atteggiarsi, quella vita, che unico seppe trasfondere il più epico pittore di quo'tempi, nella rappresentazione di civili e religiose solennità. Molte di quelle feste sono condotte con la linezza e la precisione del ritratto, e più di un nobile del paese potrebbe ravvisarvi i tipi di sua famiglia; non un anacronismo ti offende, e serbato è diligentemente il costume, cosicché tu vi riconosci la foggia del vestire dei nobili d'allora dalle ampie toghe, e dei mercatanti dai rossi e corti calzoni, e dell* uomo del popolo dal rosso berretto e dalla larga casarca. Sulla loggia sopra al portone d' ingresso al palazzo, allora archiacuto, sventola il glorioso vessillo di San Marco, e alcune gentildonne guardano al corteggio ; nel mezzo del quadro senz1 arto ili convenzione spicca La prima figura del podestà e naturalmente l'occhio vi cado sopra; egli è vestito di larga toga, gli scende dall'omero destro l'aurata stola di cavaliere; tutti lo seguono, tutti onor gli fanno, A Vittore sono pure ad attribuirsi i duo protei i nel presbiterio del duomo, e il portar della croce sul monte Calvario, piccola ma preziosa tela, che aspetta una mano dotta e paziente (dio ne rilevi le bellezze, salvandola dal lungo abbandono. Nella chiesa di S. Nicolò vi é altro dipinto rappresentante la Vergine in trono coi santi Nicolò e Giovanni Battista, senza epoca e nome, il quale per la molta somiglianza della Vergine con la madonna suddescritta, sembra lavoro di Vittore. In S. Francesco di Pirano vi è pure altro suo quadro sottoscritto; Victoria Carpathii veneti opus 1519. Di Benedetto, tiglio di lui, si hanno le seguenti opere nella podesteria di Capodistria: La Vergine in irono coi santi Tommaso e Bartolomeo, sottoscritta : B. Carpathio pin-geva 1538 V. (dalla chiesa di S. Tomaso); l'incoronazione della Vergine, segnala Benedetto Carpathio veneto [tingeva 1538 (dalla chiesa della L'o tonda); la presentazione al tempio e la strage degli innocenti, nel duomo a due .scompartimenti portante la scritta 1517. La pala del nome di Gesù coi santi Giovanni Battista e Paolo nella chiesa dei M. 0. con la sottoscrizione: Benedetto Carpathio veneto pingevà 1541. E di lui vanta pure Trieste una madonna nel duomo, e un S. Pietro nella chiesa a questo santo dedicata*). «La storia veneta, dice il Lanzi, non conosce costui, ancorché ne fosse degnissimo, perchè quantunque nell'estremità delle figure conservi orma dell'antica secchezza, non cede a molti nel sapor delle tinte, nella evidenza dei volti, nell'effetto del chiaro-scuro. Io dubito che questo vivesse fuori della capitale e perciò fosse tenuto istriano.» E pare strano veramente come Benedetto Carpaccio, forte di un tanto nome e della stessa sua capacità, inferiore però di molto a quella del padre, non mai si recasse alla capitale. Forse molti quadri che si ritengono a Venezia per *) Distrutta por ampliare la piazza. Dove sta il quadro non so; probabilmente nella chiesa del Rosario restituita al culto cattolico. opere di Vittore nella sua prima maniera, sono invece di l tenedetto. Nella chiesa dei Minori Osservanti di Capodistria, che raccoglie quanto ha di più bello in pittili"! la città e la provincia, anuniransi nell'ancona del coro lo famose involo di Cima da Conegliano, rappresentanti in vari scompartimenti la Vergine col bambino nel mezzo, ed altri santi ai lati e di sopra, il Naldini nella corografia della diocesi ne fa autori il Giambellino ed il Cima; ma la tradizione del convolilo, documentata anche da uno scruto, non antico però, e più che tutto lo stile danno a divedere essere questa certo opera del ('ima. La Madonna di fatti non si aggrazia di quelle l'orme delicate e gentili, cho il Giambellino le sapeva dare, facendola (piasi tipo delia madre cristiana, ma è severamente dignitosa; nobili e gravi sono le teste dei santi, e tutto è un capolavoro eminente per purezza di disegno e santità di all'otto. in questa chiesa vi è [iure una tela di quattro sante vergini con la sottoscrizione: liù'/'oui/nrus 0°,10' e il 45° 55' di latitudine boreale, e fra il 9°,50' e.l7°,30' del meridiano di Parigi; di forma oblunga; colla giacitura di sud-est a nordovest, e con uno specchio d' acqua di circa 74,000 chilometri qu., che sarebbe la decimasettima parte dell'intero bacino mediterraneo. La sua imboccatura, larga 70 chilometri, é fra il capo Linguetta, dove più sporge l'Albania negli Acro- cérauni e il capo Otranto, che vi sta di fronte. Se da questa imboccatura si tirasse una linea fino alla estrema spiaggia settentrionale, il golfo darebbe 7Ti chilometri in lunghezza, con la media larghezza di 107. Senza dire dei vari principi elementari dell' acqua di questo bacino, e del grado di salsedine, la quale presso a poco è come quella del Mediterraneo, (proporzione del5°/<>)> dirò piuttosto come vario ne sia il l'ondo, che dopo lunghe fatiche si ò giunto a scandagliare. Nelle bassure maggiori, cioè di ISO e 200 metri, si ò trovata una congerie di polipai e di testacei mescolati a renaccio e terra, ma più generalmente fango. Presso alla riva italiana incontri argille, sabbie e ghiaj'e ; sulla opposta invece ripide roccie. E varie sono anche le vicende delle maree e quelle del movimentò perenne dell'acqua che l'orma la corrente litorale. — Le maree sono senza dùbbio maggiori alla costa veneto-istriana, dove a certi tempi (settembre, ottobre, novembre) fanno rimontare le acque lino a metri 1.20 e 1.50, e qualora insista lo scirocco, perfino a 2. Decrescono invece via via che si cala, verso Otranto, e appena si avvertono là dove il golfo s'allarga nel Mediterraneo: prova che n'è cagione principale la spinta che alle acque danno i venti, ammassandole in una via senza uscita. Il fenomeno della corrente poi, tanto importante per la navigazione, si fa sentire presso amendue le coste; varia però d* intensità in ragione dei venti, delle maree e del discorrime.nio dei lidi. Radendo i lidi dell'Epiro, e girati gli Acrocerauni, entrala corrente nel golfo colla media profondila di 7 a 8 metri sotto lo specchio dell'acqua, e tenendosi alla media distanza di circa 18 chilom. da terra: spiegasi lungo le coste tortuose di Albania e Dalmazia lino all'altezza delle isole del Quarnaro, dove interrotta e bipartita, con un ramo prosegue il movimento generale presso le insenature e i risalti dell'Istria e della Venezia, coli'altro piglia il largo e attraversa direttameli le il mare sino ad Ancona. Univi però i due rami si raggiungono e uniti scendono verso la Puglia. — È naturale che alla imboccature dei fiumi, fra le isole e gli scogli, e dovunque ò interrotto e irregolare l'andamento della costa, la corrente de vii dal suo cammino, e presenti non poche anomalie. Perciò, lenta nel suo cammino lungo la costa orientale e quella di Venezia, non giunge a percorrere più di 6 o al più 8 chilometri per giorno, mentre sulla costa pugliese ne percorre perfino 3 e 4 all' ora. Coste e orografia L'Appennino che s'affaccia all'Adriatico presso Rimini, per correre indiviso lungo la penisola italiana, fino a terminare al capo Otranto con un ramo e coll'altro nelle Calabrie, l'orina il lato sinistro del maro per una linea di 030 chilometri; mentre le catene alpine colle molte loro diramazioni no l'ormano il lato orientale. — La catena alpina d'Oriente, che per lungo tratto serba tuttavia il genti] nome di Alpe Gjutia, ha cominciamento là dova» sorge l'ultimo gigante delle Carniche, il Terglou. Dal Nevoso, sotto il nome di munii della Vena, entra a formare la base della penisola istriana, levandosi al monte Maggiore (4oOO piedi), e distrecciandosi noi Carsi e nei monticeli] che mano mano vanno degradando lino al mar**. Dallo stesso Nevoso si snoda altra rat aia sello il nome ili Ycllch'mli (Alpi lìebie), che corro ad aggiungere le Alpi DinarieHe propriamente dotto, e quindi ad occupai'!:' la Dalmazia lino al Montenero, in faccia all'Adriatico. Da qui si staccano i monti albanesi, a diversi andari, che Uniscono nelle roccie della Chimera, gli aspri Acroce-rauni degli antichi, aventi di fronte, come avvertimmo più sopra, le ultime pendici orientali dell'Apennino. — Lo spazio tra Luna e l'altra cordigliera è occupato dal bacino adriatico, che rappresenta così una lunga valle, quasi d'ogni lato chiusa da monti. Sono però diverse le due coste, sia che si riguardi all'aspetto che presentano, sia che se ne esamini il multiforme svolgimento, — I monti che precludono l'Adriatico ad oriente, non l'ormano che a sbalzi delle serie continuale, a ino' di giogaja, e spesso progrediscono difilati fra terra, facendo emergere qua e là pendici, clivi, ripiani che con (svariate sembianze si progettano nel mare. l'iù spésso son rami secondari, paralelli alla catena principale, con vette arido o brullo, alte lino a 5000 piedi, i quali con fianchi stagliali a. precipizio, s'immergono nell'acqua e s' anco più dolcemente si inclinano, con meno di contorcimenti e squarciaturé, quasi tutti finiscono in gioghi irti di roccie e di nude crete: gioghi che si alienano in forma di orridi muraglioni, 0 appuntansi in piramidi assai elevale. La linea quindi, che segna il limilo della costa per tutta la sua lunghezza, si presenta oltremodo irregolare. Tutte le possibili curvature le sono proprie: ora procode all'aperto, ed ora rientra fra terre basse e rinchiuso, fra burroni e precipizi; prende un istante 1'andamento naturale dall'est all'ovest, e tutto ad un tratto ripiegasi bruscamente ad angolo saliente intorno ai dossi e fendimenti, e ne' suoi giri e rigiri corre in tutte le d ire/, ioni. In una parola, lo sviluppo di questa linea è si tortuoso, che la più viva immaginazione non saprebbe figurarsene di più strani e capricciosi. L'Apennino invece svolgesi più regolare ed uniforme. — Raffigura infatti una giogaja a due [tendici, che scendono a guisa d'anfiteatro, l'ima più ampia verso il Tirreno, l'altra più stretta, ripida talora, verso [' Adriatico. Scorgesi più di spesso SulT Apen nino anche da questo lato un digradamento di colline e poggi, che facili s'avvallano dall'erto della catena fino alle spiagge, e là pure dov'essosi sporge negli alti promontori del Conerò, del < largano, di Otranto, non offre quasi mai gioghi dirupati e rivolgimenti a sbalzo, ma linee dolcemente incurvate e regolari, come alle rade di Brindisi e di Manfredonia. È agevole adunque rilevare il carattere che distingue le due coste. Erta, scoscesa, rocciosa T orientale, piana e sabbiosa l'occidentale; la prima ha mare profondo, seminato di scogli e di frangenti ; mar basso la seconda e senza intoppi che ne interrompano la continuità: quella è fronteggiata da una serio continua d'isole, dalla figura allungata e dal dorso rilevali» in monti, distose tutte paralelle alla costa, qua sparse (come Moleda, Curxola, Lesina, e le maggiori in Dalmazia), e là raggruppate intorno ad una principale, e ordinato talvolta le minori in doppia lila frammezzo un labirinto di stretti e di canali ; là occidentale invece è quasi senza isole, se togli le piccole Tremiti e gli isolotti che fan corona a Venezia, ma ha invece dune, scanni, banchi di sabbia: la destra, sì beni! sviluppala e frastagliata, vanta abbondanza di seni, di rade, di porti; la sinistra per lo contrario n'è assai povera, ha difficili ancoraggi, e i pochi suoi porti si veggono abbandonati agi' interramenti, o lasciati scadere alla condizione d'insalubri lagumi e paludi (Ravenna, Brindisi, Otranto). A dir breve, la costa orientale fu e deve essere per tutte queste ragioni sulla vera strada commerciale dell' Adriatico. Riguardando poi il carattere della costa di Venezia, non poche diversità ci vengono notate. Dal punto in cui manca il baluardo dell' Apennino fin dove le basse colline giulie corrono incontro al golfo di Trieste poco lungi dalle foci del Timavo, l'Adriatico si. distende sopra terre basse e sabbiose, che gli danno una costa incerta, instabile e smarginata dai fiumi. Gira questo tratto di costa per ben 177 chilom., in forma di semicerchio, sull' estremo lembo della pianura, a cui lontan lontano fan cornice le Alpi Carniche; dà qua e là in isporgimenti di terre e di sabbie minute, torti a destra dalla corrente; ed è intersecato d'acque salmastre e mareggiai ili, da valli pescose (quelle di Cornacchie occupano 278 chilom. q,), da Lagune (Venezia) e da paludi (costa del Friuli), coperti di canneti, tra i quali stan sepolte le rovine d'illustri città. Tutto calcolato, vantaggioso risulta in complesso lo sviluppo delle coste adriatiche. Senza far conto delle minori insenature e di tutti i più piccoli serpeggiamenti dei lidi, lo sviluppo litoraneo conta 251)5 chilometri circa, dei quali 1133 appartengono alla costa italiana da Otranto fino al Quarnaro. — Quattro potenze han signoria intorno al bacino dell' Adriatico : a) L'Austria dal Po di Coro lino a Dubo-vizza, colla Venezia, coi lidi del Friuli, coir Istria, col litorale lihurnico e croato, colla Dalmazia ed Albania austriaca . , chilom. 157!) b) 11 regno di Napoli da Otranto lino al Tronto, cogli Abbruzzi e colla Puglia fl 556 c) Lo stato papale col Piceno, colla Romagna e col Ferrarese, dal Tronto fino al Po di Goro.......... „ 463 d) La Turchia coli'Albania ottomana da Du- bovizza al capo Linguetta..... „ 296 Idrogralla Le alte giogaje che stanno a ridosso del bacino, e le catene alpine che l'anno corona alla pianura, la quale si allarga a nord-ovest, danno origine alla gran copia dei liumi e dei torrenti che vi si versano. Dieci grandi fiumi, dei quali sovrano il Po, gli tributano le acque che piovono anche dalle Alpi più lontane, e dodici gli recano quelle dell'Apennino. Oltre a ciò possono contarsi non meno di 400 tra fiumi minori e torrenti, che insieme entrano a costituire la grande regioni1 idrografica dell'Adriatico la quale ascende a non meno di 180,281 chilom. q., non compresa l'Albania ottomana. E la fìsica struttura delle coste dà ragione delle condizioni idrografiche. — Lungo la costa occidentale, dove V Apennino corre stretto alla riva non v' ha spazio che a formare piccoli fiumicelli, i quali meglio si direbbero torrenti, taluni con letto asciutto in alcuni tempi dell'anno, e tutti di rapido corso. Nella Puglia soltanto, dove J'Apennino si torce e poi rientra, lascia correre l'Ofanto per 167 chilom. fra ripiani e colline. — Lungo la costa orientale distinguons: i fiumi precipitosi, con insigni cascate (il Kerka), che s'a girano entro letti e tra sponde di viva roccia, emissari di laghi aperti (il Drino dal lago d'Derida e la Bojana da quello di Solitari) o di acque inviscerate india terra. Non è raro altresì che torrenti alpini, trovando preclusa la via al mare da roccie calcari, si profondino in laghi vorticosi, entro enormi cavolaie, per poi ribollire come sorgenti sottomarine, o per versarsi nelle foci del 'rimavo. La Narenta (222 chitoni.), la Celina, il Kerka, la Zermagna portano le acque dello Dinariche; La Vojussa, la Bojana e il Drino (principale da questo lato eoa '.v.">i ehilom.) versano nel mare quelle dell'Albania, e il Quièto e 1'Arsa (il primo con 22, il secondo con circa 15 ehilom., e quindi più brevi di tutti), le altre dei monti istriani. Sulla costa interiore invoco, dove si apre la grande pianura italiana, detta propriamente la valle del Po, tra l'arco alpino al nord che fin quasi all'opposto mar ligure la semicerchia, e la linea apennina che la chiude a mezzodì, scorrono i grandi fiumi a metter foce nell'Adriatico, e a portargli le acque di tutto il versante meridionale delle Alpi; vale a diro La Brenta, La Piave, il Tagliamento, l'Isonzo quello delle Carnicina l'Adige (di7 ehilom.) quelle del Tirolo, e il Po co" suoi influenti le altre che piovono dalle Emetiche, dalle Pennino e dal ramo occidentale delle Alpi, nonché dall'Apennino superiore, si ch'esso costituisce solo meglio di un terzo della regione idrografica dell'interno bacino. Dopo un corso di 095 chilometri circa, senza contare le minori svolte, questo (lume, largo lino a (JOO metri e profondo 7, mette foce per più bocche, tra cui le principali quelle di (loro, di Maestra e della Cavanella. Navigabile per lungo tratto, ed anzi comodamente tino al Ticino viene ad essere la prima via che congiungendo l'Adriatico alle terre continentali, vi [torta la vita e il movimento lino nelle parti estreme e, mediante gì' influenti, anche nelle valli più recesse dell'Italia superiore. Se non che, mentre fa rifluire in su tanta vita e tanto movimento del mare, sembra voler questo restringere entro a più brevi contini. Ed invero il prolungamento delle coste avvenuto e che tuttavia si va operando alle foci dei Humi intorno intorno all'Adriatico, perfino alle foci di alcuni fiumi di Dalmazia, ripetesi agli sbocchi del Po in grandiose proporzioni. E quindi dovuto a'suoi interramenti di ghiaje e terricci, se ora la terra sporge fra il delta ben 37 chilometri, se di 7 all'incirca Ravenna s'è ritirata dal mare, e se di ben 25 quell' Adria che un tempo vi si specchiava, dandogli il nome che tuttavia mantiene. — Quello che dice il volgo ritirarsi il mare, é adunque una verità; ma si direbbe meglio che la terra avanza. Aspetto vegetale Le coste dell'Adriatico devono alla loro giacitura e geografica costituzione la varietà grandissima dei climi e dell'aspetto vegetale. Disteso, come lu detto, da nord-ovest a sud-est per (piasi (J gradi di latitudine, che longone presso a poco il centro della zona temperata, segregate dalla zona nordica mediante le Alpi, le quali dividono non solo terra ed acque, ma altresì temperie e vegetazione, ed esposto in quella vece agi' influssi dei climi australi, le coste adriatiche accoppiano alla robusta vegetazione della zona alpina e boreale, la delicata e gentile delle zone temperate, la sfoggiata e appariscente delle tropicali. E per dire più particolarmente, sulle coste soggette alla diretta influenza del mare, ov' esso ne bagna gli estremi lembi settentrionali, la fiora conserva in parte la fisionomia della boreale. Ivi, negli a-perti campi, crescono i gl'ani più delicati, connaturato è il gelso e su pei colli meglio riparati a solatìo verdeggia anche l'olivo, il quale cresce a vita secolare. Mano mano infine che il suolo si eleva, giungesi tra le valli giulie alla linea delle quercie e degli abeti. Progredendo innanzi lungo l'Istria e la Dalmazia da un lato e le coste del Piceno e degli Abbruzzi dall'altro, i boschi di ulivi che vestono per intiero i poggi e le isole, le piante fruttifere più svariate, e fra queste spessissimo i mandorli, dappertutto la vite, presentano un carattere tutto proprio; il quale inoltrando, si modifica nuovamente di tal guisa, da accostarsi Dell'Albania e nella Puglia, presso gli Acrocerauni e Otranto, a quello che è proprio della flora d'oriente e dell'Africa boreale. Su questa che può dirsi la terza zona, in un clima tutto vita e moto, con aria pura ed elastica, sotto un cielo di luce vivissima l'aspetto vegetale espandevi con colori brillanti, con aromi, con forme lussureggianti. Frassini a foglie rotonde, pini e terebinti coprono le vette dell'Apennino pugliese: olivi, carobi, aranci, limoni e meglio il Portogallo abbelliscono l'una e V altra costa, nò mancano le {ialine e le colture proprie delle regioni più ricche, \ alo a dire la canna dello zucchero la pianta del cotone, il fico d' India, lo storace che ti fanno sentire il clima tropicale. Tutto questo peraltro avviene in un modo che per riguardo all'aspetto vegetale non poche diversità si fanno palesi tra l'una e l'altra costa. La orientalo aspra ed ineguale, scabra di roccie e denudata nei carsi, i (piali ripercuotendo prontamente i raggi del solo, disperdono T umidità, presenta in generale estrema secchezza; ha rapida e varia la ventilazione e i maggiori disordini tellurici e atmosferici. Ivi poche le terre piane e coltivabili, molte invece le Lande foncbio.se e le (rete restie alla vanga; la vegetazione stessa rara e stecchita, distinta da arbusti ben diramati e nocchiuti, da offrire ben di spasso il maggior contrasto colla spiaggia opposta, la (male riunisce gli (dementi più favorevoli alla vita delle pianti-, distesa com'è su argille profonde, svariata per colline e valli, or raggruppate e confuse insieme, ora disposte in bella serio; soggetta a men rapidi cambiamenti di temperie e favorita da umidori attratti dal ricco fogliame, l'ochi adunque colà i luoghi incolti ó squallidi per nudità: sì al contrario larga (piasi sempre è slanciata la vegetazione. Ma con questa non è raro che armonizzino anco i lidi orientali là dove son volti a più felici influssi. Le colline albanesi di Dnlcigno e di Antivari, alcuno coste e isole di Dalmazia e del litorale liburnico, tutta l'Istria a mare si presentano non meno adorne e vaghe dell' Apennino. Etnografia. Detto delle coste, vien naturale la domanda, quali popoli le abbiano occupate, e quali tuttora le tengano. — Se fu sempre difficile indagare le origini dei popoli e sceveralo gli uni dagli altri nel confondersi dello schiatte, questo riesce più dificile ancor rispetto ad un mare le cui rive andarono soggette a" maggiori mutamenti etnografici. E lungo inoltro sarebbe il voler seguire por la storia ed annotare i singoli e più minuti rivolgimenti. Ma per dirne alcuna cosa, cominciando d'allora che le storiche tradizioni smettono il favoloso delle leggende, e per toccare almeno i principali monumenti etnografici di questo nostro Adriatico, segnerei due epoche, luna prima, l'altra dopo il dominio romano, ottimamente distinte. Riguardo alla prima epoca, senza contare le minori propaghi i di que' popoli che con altri maggiori si confusero e lasciarono nel carattere etnografico appena qualche leggiero vestigio, i principali che primi si presentino stanziati intorno al bacino adriatico, sono i seguenti: Venali o Kneti sulla costa inferiore: Pelasgi alle foci del Do e lungo i lidi occidentali lino all'Arsa, e sovrapposti a questi gli l'm.bro-Eirmchi e i Grecanici, sparsi in coloni».» nella parte inferiore d'Italia, detta da essi Magna Grecia; Liburni su gran parte dello isole e buon trailo dei lidi sinuosi del Quurnaro, dall'Arsa lino al Tizio o Drilone; Illirici per ultimo dal confine liburnico fin presso agli Acrocerauni. Qua! cognazione avessero tra loro questi popoli, se essi fossero o no per gran parte rami dello stesso tronco pela- .:r.' sgico, non è bone accertato dalla storia. E certo bensì che nessuna delle dette schiatte potè prevalere in modo da signoreggiare interamente e per lungo tempo il mare Adriatico, e meno ancora da attirare a se le altre e unificarle in una medesima civiltà. Esse rimasero come popoli disgiunti fino alla grand'opera del genio latino che riuscì a raccoglierle, a fonderle, e romenizzar/e in tutto il senso della parola. Ciò per altro in diverso modo. Sulla costa occidentale e Veneto-istriana, tra popoli pe-lasgi, umbro-etruschi, grecanici, la fusione riuscì più presto e con meno di resistenza di quello che sulla opposta tra li-burnici e illirici, d'indole più fiera e più tenaci della propria autonomia. Anzi vi fu tempo in cui i due popoli, a eerto intervallo, parvero farsi essi medesimi centro dello stirpi dell'Adriatico, e aspirarvi ad assoluta egemonia. E primi i Laburni, popolo marineresco, spìarpagliato su buona parte delle isole che da loro ebbero nonni ili libumieke, diffuso sulla costa più portuosa e fermato in sicuri stabilimenti (Dvracchium e l'orse Ancona) e in quella Scheria, la odierna Corfù, che fu sempre la chiave di tutto il golfo. Ma non riuscirono che per breve tempo, fino a quando cioè la fortuna loro dovette cedere all'Adria etnisca e al genio marineresco dei greci e dei coloni, che li cacciarono dalla. Magna Crocia e perfino da Corcira, sovra ogni altro possedimento importante. Ma se non riuscirono gl'insulari Liburni, meno ancora gl'lllirii, popolo più rozzo, confinato fin allora ai monti, o (lodilo a [oratorio. Rinvigoriti dalla mistione co' Cello-Galli, che al cominciare del secolo quarto a. C. calarono su amen-due le coste, temuti com'è pirati, e signori della vera strada marittima che difendevano con buon nerbo di forze, aspirarono anch'essi alla lor volta, sotto i re Argone, Teuta, Fineo ed altri ricordati dalla storia, all'impero di questo bacino. Ma non vi arrivarono più in hi del Quarnaro, e fin qui pure con lenti progressi: che grave intoppo trovarono nei Greci novel la mente sor venuti a Piuira (Lesina) e Rissa, e nei federati Liburni-Adriesi elio mal volentieri avrebbero veduto stabilirsi s i Ila Ilo dominio. Quando poi le forze di quest* ultimi mancarono, maggiore impedimento trovarono noli' intervenire di Roma, la quale avanzatasi sotto colore di sbarazzare l'Adriatico dai pirati, ma per vero coli'intento di porsi al jioslo di tutti, chiudendo la via a nuova''genti, raggruppando infoialo a sé i già stanziali, e vincendo i più restii colla forza di propositi non meno ostinati che sapienti. Basti dire che la prima lotta durò per ben sessantaquattro anni, dal 229 a C, allorché Roma intervenne per la prima volta, quale alleata dei Laburni e Lissani, fino al 168, quando trasse in catene quel Genzio, che dei re illirici fu V ultimo. E anclie allora vennero si debellati, ma non sommessi. Caduti a Scadrà, si rifecero più tremendi tra il Kerka ed il Narenta e nella montuosa Delme, da cui ebbero il nome di Dalmati; nè di la furono cacciati, se non per risorgere nella potente Salona, e infine a Promone. Tanto erano fieri della propria indipendenza. Alla fine Augusto imperatore, cui nulla ormai resisteva, ridusse le terre in romana provincia (33 a. C.) e così assicurò a Roma il dominio su tutti i popoli del nostro bacino. Allora fu principalmente che, quietate le politiche procelle, Roma si adopró ad innestare su quel tronco vigoroso la propria civiltà: v'introdusse il governo provinciale e con questo le proprie leggi, trapiantò colonie latine, eresse municipi lungo la costa e principalmente in [stria e Dalmazia; e insieme a questo insegnò costumi, lingua, arti e tutto ciò che spetta a matura civiltà, la quale fu si bene improntata, ch'ella dopo secoli fanti vive tuttora nelle memorie e nelle abitudini, e nei monumenti che hanno resistito al tempo ed alla barbarie. Ma nuovi rivolgimenti, e tali da mutare per molta parte l'aspetto etnografico di questi lidi, si maturavano nell'epoca seconda, vale a dire dopo la caduta di Roma: epoca che esordisce colle grandi invasioni dei barbari (dal 374r-1453), — La costa superiore dell'adriatico, sulla strada che fa capo allo sbocco delle valli giulie, corsa appunto dai popoli che T uno all' altro si succedevano in queir incessante premersi e cacciarsi innanzi, andò senza dubbio soggetta a più frequenti e più rapidi mutamenti. Ma talmente era radicata la latina civiltà, cominciando dalla punta d'Istria, che gli elementi lasciati nel passaggio non tolsero il carattere alle indigene popolazioni. I mutamenti maggiori e più stabili avvennero sulla costa orientale e precisamente dal Quarnaro in giù, lino a comporta a nuova fisionomia etnografica. Quivi infatti, cominciando dal settimo secolo, la storia ci offre un successivo, continuato e quasi pacifico dilatarsi verso il mare di Ir dm slave, strette fin allora fra il Danubio e i Dinarici; e questo con tanta preponderanza da sovrapporsi affatto all'elemento illirico romano, conservando i loro tipi primitivi. Prendendo questi in osamo, duo schiatte principali si potrebbero segnare, la serba e la slovena, le quali entrano a formare per lingua, per sangue e per costumi il gruppo che fu detto impropriamente illirico. La prima che, compressi gli antichi Illirici nei confini dell'Albania, si ò stanziata sulle terre lungo la piaggia orientale dell'Adriatico dal Quarnaro lino al Montenero, va distinta dal colorito bruno-olivastro, dall'occhio nero e vivace, dall'aspetto minaccioso, dall' alta figura, dalla faccia oblunga, e por qualità morali, dallo spirilo acuto e penetrante, da vive e gagliarde passioni. Là slovena, caratterizzata per statura più bassa, per dolce aspetto, per faccia bianca e tondeggiante, por occhio azzurro, iissó stanza nelle carniche intórno al Friuli orientale, tra le Ginlie, e nell'Istria media. E qui cade la stessa osservazione per Venezia, già fatta per Roma. Perocché quella, erede del genio latino, venuta al pari di questa all'egemonia sul mare, si accinse a rannodare intorno a sé tutti i popoli lilorani, senza eccettuarne i sorvenuli, con'non minori fatiche e con altrettanto di politica sapienza. Anzi dirò di più, che come i fatti si ripetono, trovò anch'essa qua popoli docili e arrendevoli, là i suoi Illirici da combattere negli UsCOCChi, nei Narenlini e in quei di Dulcigno, non meno restii e fieri di indipendenza, e nelle piraterie pertinaci. A tanta difficoltà s'aggiunse l'antagonismo di una repubblica polente, qual era Genova, e lilialmente la ferocia del Turco, ultima ondata di popoli che venne a frangersi su questi lidi (1453). fu allora l'Adriatico teatro luminoso di lotte non mono ostinale di quelle combat-tuie al tempo romano, e ciò eh'é più, chiuse da successi di maggior fortuna. Imperciocché, umiliala la rivale, sbrattato il mare dalle piraterie e confinato il Turco alla sola Albania, cui egli valse piuttosto a sedurre che a conquistare, Venezia potò a tutta ragione intitolarsi regina del mare, e ogni anno celebrarne gli sponsali. Essa dominava infatti tutto il semicerchio del bacino superiore, l'infiora Istria li lo rana, toltane Trieste, già fin dal 1382 devota all' Austria, le isole e le coste della Dalmazia, eccetto Ragusa, parte delle Albanesi e sopratutto le .Ionie e Corfù ; e dappertutto trapiantò proprie colonie e con queste la lingua, le arti, le costumanze della madrepatria: ^istituzioni tutte d'indole non meno tenace che le antiche di Roma. E qui come finì il movimento etnografico intorno all'Adriatico, fini pure la grandezza di Venezia, ma per tut-t'altre ragioni di quelle che cooperarono alla caduta di Koma. — La scoperta dell'America, la nuova strada delle Indie intorno all'Africa, sviarono tosto dopo il commercio di questo mare e no venne (pud ristagnamento che ammalò Venezia. — Di tal maniera cessati quasi del tutto i due movimenti, commerciale ed etnografico, fin d'allora si possono descriverei pppoli litorani colla statistica presente. Senza tener confo delle minori divisioni, essi vanno distinti in quattro classi : V italiana, la slava, la tracica o albanese e 1 ottomana. La prima è senza confronto la famiglia etnografica più diffusa e numerosa intorno all'Adriatico. Questa famiglia, che forma corpo più che per ragione di sangue, per comunanza di spirito, nonché per gì' idiomi che ritengono qual più qual meno della prisca fibra latina, si espando in tutto il giro dell' Adriatico dal capo Otranto fino al Quarnaro, in tutta l'Istria civile adunque e fuori di essa, nelle isole e coste liburniche e lungo il Litorale illirico da Fiume fino a Ragusi e Cattaro, dove son naturate da secoli famiglie italiane. Ed è cosi divisa : a) Negli Abruzzi e nelle Puglie con piccolo miscuglio di Albanesi, su un'area di chilom. q. 24,558 2,295,000 b) Negli stati Romani (Legazioni, Romagna e Marche) „ 10,031 1,9.37,000 c) Nelle Venezie con poco miscuglio di Slavi (30,000), e di colonie ted. (40,000), di Greci, di Ebrei, di Zingari , 22,881 2,526,000 d) Nel Litorale (che comprende il Friuli goriziano, Trieste, suo territorio e 1' I-stria)con miscuglio di Slavi (190,000) e di altri popoli, Tedeschi (12,000), Greci (2500), Ebrei (3200), Albanesi (IMO), Zingari (100) „ 7,962 404,000 e) Ai quali si devono aggiungere gli Italiani sparsi in Dalmazia...... „ _ 16,000 Area totale 66,432 7,178,000 La famiglia Jugo-Slava, divisa nelle due principali tribù di Serbi e Sloveni, formanti parte del gruppo etnografico che fu detto illirico, è la più preponderante sulla costa orientale. — Il primo ramo, dei Serbi, vanta senza dubbio maggior civiltà e coltura intellettuale fra tutti i rami dello stesso ceppo. L'intiera famiglia va cosi divisa: a) Nel Litorale..........pop. 190,000 b) In Dalmazia con minuzzoli di altri popoli greci, albanesi e con miscuglio di famiglie italiane sparse nelle città di costa (area 12,750 chilom. q.)...... „ 416,000 c) Ai quali si devono aggiungere gli Sloveni del Friuli......... „ 30,000 d) Nel Montenegro......... „ 125,000 731,000 Da Dubovizza fino agli Acrocerauni sia la famiglia tracica degli Albanesi o Schipetari, che ibi-mano certamente la nazione più distinta e meglio caratterizzata del l'Adriatico, discendenti dai prischi Illirii, e che per fisici lineamenti, per costumi e morali tendenze, nonché per lingua si annodano ai Greci. Dovrebbero essere la casta guerriera messa a difesa degli altri popoli dell'Adriatico, se il Turco non l'osse arrivato a sedurre questo popolo europeo di vecchia data. Con poco miscuglio di Ottomani contano.....pop. 1,200,000 La famiglia degli Ottomani adunque é senza confronto la meno numerosa e vive serrata intorno a Scutari......„ 20,000 Conclusioni Da quanto fu detto in brevi parole, é facile innanzi tutto dedurre qual fosse, quale sia, (piale potrà essere 1' importanza commerciale del nostro golfo. — Aperto, come fu detto, nel centro della zona temperata che separa due climi, il boreale e l'australe, e per conseguenza due grandi regioni di prodotti distinti, addentrato assai fra terra collo sviluppo migliore di coste, e infine circondato da popoli marinereschi e intraprendenti, nonché poi (quel che più conta) signoreggiato da Roma e Venezia, non poteva non (isserò veicolo ai più estesi commerci e alla civiltà più operosa. Al che si aggiunga eh' esso era sulla strada che metteva direttamente all'Oriente e ai porti di Siria e di Egitto, empori allora di tutti i commerci d'Asia. — E che sia così, la storia lo prova ad evidenza, che su questi lidi si succedettero le città regine del commercio, si che dalle rovine dell' una pareva di necessità sorgerne altra a ricettare i destini dell' Adriatico. Così alla pelasgica Spina sottentrò Adria etrusca, a questa le illirie Scodra e Salona sulla riva opposta, per poi cedere tutte insieme ad Aquileja, scalo del commercio centrale dell'Europa. Caduta questa, ecco mostrarsi Venezia, india (piale Aquileja rinacque più bella e più potente. Chi; se ad essa le sorti si fecero malvagie, Trieste ne colse subito in parie l'eredità, Trieste, oscuro luogo cent' anni fa, ed oggi uno degli scali più, frequentati del Mediterraneo. Se l'Adriatico fu tanto per lo addietro, forse più ancora lo sarà noli1 avvenire a giudicare dai fatti che o già si compiono, 0 si compiranno senza dubbio, sia alle suo spiagge, sia altrove. — E il primo di questi si è il taglio dell' istmo di Suez; perché io stimo che ciò che é naturale, giusto e voluto da quasi tutti, deve ridursi a fatto. Si lasci adunque che un governo civile si rassodi in Egitto, si componga la Siria, si migliori la navigazione dell' Eufrate, e mediante il canale di Suez il Mediterraneo sì congiunga all'Oceano Indiano, e allora l'Adriatico, sulla strada più breve che mena ad oriente, vedrà rifluire quel-l'antico commercio, che, disalveato in gran parte da tre secoli e mezzo, ritornerà a metter capo ad Ancona, a Trieste, a Venezia. — Un altro fatto, che si sta compiendo in vista si può dire dell1 Adriatico, si ò il movimento impresso ai popoli rumarli, slavi, greci, che formano il redivivo oriente, e che tutti aspirano a novella vita e civiltà, incipiente sì in alcuni e ancora involuta, ma serbata ai più belli eventi. E questo fatto altresì accrescerà importanza ai nostri lidi : elio i popoli civili han nuovi bisogni da soddisfare, e supremo fra questi quello di mettersi in comunicazione con altri popoli per lo scambio non meno delle idee che delle produzioni. E a ciò serve il mare, il quale dissociando i popoli rozzi, stringe invece i civili; e a ciò pur serve tuttoché mette al mare, che ò quanto dire marinerie e strade, per cui le industrie dell'interno, e le imprese della navigazione consociano le forze. Ciò posto, l'altra conclusione ò semplice e naturale, quella cioè accennata fin da principio, di meritarsi operosamente l'avvenire. E questa sapiente operosità deve spiegai si in tutto che spetta a vita marittima. Le doti a tal uopo non mancano nei litorani delle due coste, nati e cresciuti a mare, educati fin dalla prima età a conoscerlo, a vincerlo, di svegliata intelligenza, d'animo coraggiosi. Nò certo fra loro si stanno ultimi gì'Istriani, com'è prova Lussino, che, or sou cinquant' alini, poco più che villaggio peschereccio, vanta in oggi ben 150 navi di lungo corso, ed altre 100 di cabotaggio tra piccolo e grande. Tanto potò la l'orza dell' associazione. Che resta adunque ai litorani, e in ispecialità all' Istria, alla quale intendo rivolgere la schietta parola ? Corre da sè la risposta: non lasciare inerti le proprie forze, educare i figli alla navigazione, rinvigorirne cosi la fibra ed il sentire, farsi incontro al destino segnatole dal mare che I' abbraccia ; e sopratutto associare gì' imprendimenti. Il mare le tornerà così fonte di ricchezza e, come ognuno ama casa sua e il nido che lo ha veduto crescere, i figli verseranno i fatti guadagni a coltivare ed abbellire questi poggi, tanto favoriti da natura. Abbiamo adunque noi Istriani l occhio al mare, se rinnovar vogliamo almeno in parte i prodigi delle repubbliche italiane, le quali dal mare appunto trassero glorie e dovizie, e non invece rimpiangere un giorno, ingiustamente, che altri sia venuto in casa nostra a torci ciò eh'era nostro. Ab. Antonio Coiz VEDUTE INTORNO AL PIO ISTITUTO GRISO! che dee sorgere in Capodistria Il conte Francesco Grisoni, morto nel 1841, senza speranza che il suo nome continuasse in un tìglio, lasciava metà del suo ricco censo a' Frati Benedettini di Fraglia, e metà alla patria, a quelli perchè erigessero un ospizio sulle spiagge malsane di Dada, e con la voce e con l'esempio e colle l'ra-tellevoli sollecitudini avessero a rigenerare (pudla povera tribù di coloni, cui T isolamento tiene nei lacci dell'ignoranza, e T aer crasso esinanisce e spegne: — alla patria, acciocché si avesse un asilo a ricoverare fanciulli mendichi o senza parenti per apprendervi un mestiere che fosse mezzo a sussistenza onorata. Io non parlerò della pia istituzione che sarà per sorgere in Daila. I Benedettini sono ordine preclaro e tengo pei- fermo che ov' essi non temano di affrontare l'inclemenza del cielo, e le amarezze, o per lo meno la stanchezza della solitaria vita, incarneranno in breve il pensiero del benemerito conte Grisoni, ajuteranno con nuove pratiche l'agricoltura, sorgente ricchissima di benessere, e snebbie-ranno le menti di quo' stremati abitatori. Parlerò piuttosto dello Istituto che sarà per attuarsi in Capodistria, ora che la vedova del conte Grisoni passava compianta e desiderata a cogliere il premio della eminente sua carità, ed a cui era riserbato, in vita, 1' usufrutto della intera sostanza. I brevi, vaghi ed incompiuti cenni dei testatore non fanno che languidamente travedere ciò ch'egli per avventura vagheggiava nella sua mente. In mezzo alle scarne espressioni ognuno indovina però il supremo fine a cui mira 1'allo benefico. Il testatore volle l'are dei figlio del povero un onesto operajo; volle medicare le piaghe del pauperismo; volle in certo modo rendere impossibile il proletariato. Associare la morale al lavoro, ecco \' idea complessa che scintilla dal testo della disposizione. Certo che il rigore della interpretazione immiserisce quell' idea ; ma chi avrà a tradurla in realtà dovrà attin- geme i mezzi alla storia dolio utili istituzioni, alle feconde lezioni della esperienza, ai bisogni del tempo in che si vive. Se per obbedire a frasi infelicemente accozzate, si darà ricetto a miseri fanciulli per saziarne il ventre, per insognai' loro 1' abecè e fare un po' di conto, e por loro in mano il martello, o V accetta, o la lesina, o la torbice, o la cazzuola, non si avrà che un' invasione di artieri, i quali o dovranno esulare lontano dalla patria per comperarsi la vita, o sospirare a frusto a frusto il pane sotto il cielo natio lottando contro una spaventosa concorrenza; imperciocché non é assolutamente possibile che quello sciame di calzolari, di tessitori, di magnani, di sarti, di legnaiuoli, di muratori trovi lavoro e pane in un paesello di appena settemila abitanti, di cui la piii parlo suda sulla gleba e tira la vita negli stenti, nella modestia delle abitudini, nella parsimonia de' bisogni. A spingere pertanto il pensiero più in là che nel limitato prosente non s' avrà certo di che racconsolarsi il paese del pio istituto, ove non lo si volga a scopi più alti e di un' utilità più prossima e più vitale. Quanto più si cercherà di raggiungerneli, tanto più si avrà reso omaggio a' liberali e santi intendimenti del conte Grisoni, sebbene per avventura confusamente accennati, e s'avrà ben meritato della patria, cui non restano come suo maggior bene che le memorie dei tempi che furono, e lo speranze di quelli che si vanno irremissibilmente maturam lo. Ter determinare poi l'utilità più prossima e vitale non resta che di seriamente avvisare alle nostre condizioni economiche ed ai mezzi per renderle migliori. È cosa di fatto che il nostro paese é paese agricolo, e che i suoi abitatori vivono ili quanto dà la terra irrugiadata da' loro sudori e tormentata dalla pertinacia dell' operosità, senz' altra scienza che la tradizionale degli avi, pur troppo smilza e cenciosa, e senz' altro impulso che il pauroso bisogno. Da qualche anno vi ha bensì chi tien dietro con amore a' progrossi dell' agronomia e si fa banditore di proficue novità ; ma ciò non basta a svellere le vecchie tendenze e a mutare 1' abito che è natura, se i figli del popolo non sian cresciuti dai primi lor anni ad un sistema di principi e di pratiche che li rin-vergini e gli informi a idee fresche e potenti Manca a mio credere l'istruzione elementare ; un' educazione più solida ed ampia e severa in ciò che al popolo può esser veramente vantaggioso. Ed ecco come alla grande necessità sovverrebbe insignemente l'Istituto Grisoni. io vedrei con animo lieto che un tale istituto fosse in essenza un istituto di agricoltura, e che i mestieri non ci entrassero che accessoriamente come mezzi ausiliari all'agri- coltura stessa, a quel modo che Filippo de Fellenberg fondando sulle orme del celebre Pestalozzi un istituto d'agricoltura teorico-pratica in Hofwyl vi aggiunse con sapiente consiglio fabbriche d'utensili e macchine ad essa necessarie ed attenenti. I/ Istituto, ornai famoso in tutta Europa abbraccia una scuola rur „ 13 Riso........ 154,750 17,240 „ 115,880 16,000 „ 14 Zuccheri raffinati . . . 154,110 io;,,670 „ 115,: ioo 5,680 B 15 Legni ila tinta . . . . 16 Semi oleosi ed altri . . 116,550 43,080 a Q8,950 2,500 a 106,970 25,880 a 104,600 6,000 d 17 Alcali, sali ed acidi . . 106,718 26,570 a 85,941* 44,620 a 18 Pelli crude..... 7831 21.4011 „ 68,006 4.0OH n 10 Commestibili..... 75,72u 1,790 „ 25,550 d 48,972 3,840 d 20 Tintorie...... 69,097 2 21 Zolfu....... 67,460 1 1,780 „ 82,430 15,520 „ 22 Sego ........ 48,690 24,330 a 46.080 16,000 a 15,910 9,740 4 41,870 3,200 d 24 Spezierie e droghe . . . 41,488 2,200 ., 88,29$ 1,000 „ 5,130 a 81,760 6,000 „ 20 (Tornine e resine . . . 88,580 3,420 „ 30,733 5,000 a 27 Olio di semi..... 26,608 9.329 „ 16,075 5.500 „ 3,000 d 28 Pepe ........ 16,190 2,000 „ 14,960 14,319 :;io,i 15,401 1,170 „ 14,089 850 a 3,797 400 „ 3,800 a 31 Rum........ 12,01 s 21,880 4 87,261 8,470 1,370 a 7,090 600 „ 2,550 d 33 Cera, candele di c., stearina 6,702 2,810 d 8,594 34 Seta, greggia, boz., cascame 5,081 910a 5,078 1,530* 4,340 840 „ 8,880 300 d 2,433 070 r 2,*00 d l.lol 330 a 2,120 4,537 900 d 38 Pelo di capra . . . . 1,488 IH B 1,590 100 a 610 180 „ 628 150 d 105 80 „ 137 50 u >'B, La lettera d significa diminuzione — a aumento. * Più alcune centinaia (?) di sale saturno e cloruro di calce. 3*1 Importazioni a Trieste dagli stati esteri per la via Si mare nel 1857 Valore totale Provenienza in fiorini di convelli. America S. Domingo 767,569 Possedimenti 2,957,094 spagnuoli Stati Uniti 3*867,219 Messico 417,860 Venezuela 512,528 Brasile 5,908,928 Asia Possedimenti 1,2^4,313 inglesi Possedimenti neerlandesi (Sumatra) 128,000 Africa tfatocco 67,410 Egitto 5,245,(18-) Europa Belgio 1,253,280 Amburgo 104,021 Articoli principali per ordino di quantità Calle........ Legno da tinta (campeggio) Zucchero greggio Calle .... Legno da fiuta Tabacco in foglia e Cotone greggio Legno da tinta Tabacco in foglia Caffè .... Colofonio . . Rum .... Legno da tinta (campeggio Caffè .... Caffè .... Zucchero greggio preparato Cotone greggio Caffè . . . . Riso . . . , Salnitro . . . Pepe Olio d' oliva . Cotone greggio Cereali (staja) Alcali . . . Gomme resine Madreperla Pelli crude Frutti . . . Medicinali (senna) Metalli lavorati, ferro e zinco Zucchero raffinato . . . Vetrami....... Catrame....... Olio di pesce..... Oentinaja (mis. ord.) Di.104 7,600 125,193 20,889 3,793 2,900 62,405 42,821 15,031 11,886 9,796 7,107 27,857 14,644 137,283 65,141 29,365 1,949 1,810 3,200 6,400 2,247 57,854 30,075 35,715 27,950 5,686 5,328 2,453 32.255 12,?85 10,508 2.685 1,194 Valore totale Artico]i ,„jn(.j,,ai, p4r oriìjne Centinaia rrovcnieii7.a n fiorini 'di (mis. ord<) di couvenz. 1 Regno di 8,918,355 Frutti....... 192,740 Napoli Olio ÒV oliva..... 137,592 Semi oleosi..... 37,550 Vini........ 10,238 Zollo....... 8,977 Francia e 4,280,747 Manufatti...... 157,073 Algeria Olii di semi..... 88,056 Zucchero raffinato . . . 47,111 Metalli (piombo crudo) . 25,579 Zucchero greggio . . . IH,775 Legno da tinta .... 10,207 Calle........ 15,632 Pepe........ 8,086 Pelli crude..... 3,370 Vini........ 1,243 Gran «retta- 1,812,159 Carbon l'ossile .... 669,732 gna e Irlanda Ferro ghisa e lavorato. . 177,947 Cotone filato e manufatto . 78,285 Caffè....., . . 3,581 Alcali....... 22,459 Zucchero greggio . . . 2,698 Macchine diverse (fior.) . 208,334 Mercerie diverse , . . 129,064 Grecia 3,0lo,395 Terra colorante (pozzolana e santorino) .... 189,325 Frutti....... 106,982 Pelli crude..... 4,763 Materie colorauti . . . 1,199 Turchia 8,634,620 Granaglie, legumi, farine . 138,931 Frutti . •..... 117,955 Vallouea...... 61,223 Lana greggia..... 15,900 Pelli crude..... 15,712 Cotone greggio .... 13,521 Liquori e rosoli .... 12,117 Semi diversi..... 11,084 Materie coloranti . . . 7,007 Olio d'oliva..... 6,073 Cera....., . . 1,18 4 Principati 1,259,702 Granaglie (staja) .... 408,750 Danubiani Semi oleosi..... 11,059 Isole Jonie 1,053,712 Frutti....... 21,848 Granaglie (staja) .... 9,264 Valore totale Artjcojj prjncj,)a|j .)er ordine Centinaia Provenienza in Boriili '{it\ (mlil ord.) di convcnz. 1 ' Olio d1 oliva..... 0,856 Pelli crude..... 1,629 Vini........ 1,450 Paesi Bassi 2,351,668 Zucchero raffinato . . . 90,562 Chincaglierie (fior.) . . . 10,560 Stato Pon- 8,977,182 Tegole e mattoni (pezzi) . 307,800 tificio Zolfo....... 58,246 Riso........ 20,126 Canape....... 25,714 Miele....... 3,064 Vini........ 2,659 • Opere di belle arti (fior.) . 15,714 Portogallo 54,558 Olio di palma e coco . . 2.IHI Russia 2,116,721 Granaglie e legumi, staja . 117,082 (Mar Nero) Sego........ 33,170 Semi (lino e canapa) . . 15,851 Pelli crude..... 12,933 Lana greggia..... 10,130 Sardegna 1,512,820 Caffè........ 11,964 Zucchero greggio . . . 8,689 Olio d'oliva..... 5,401 Pelli crude..... 4,818 Legno da tinta .... 4,387 Zucchero raffinato . . . 2,739 Spagna 718,365 Olio d' oliva..... 7,616 Tabacco in foglia . . . 6,996 Cotone greggio .... 3,518 Zucchero greggio . . . 3,205 Piombo crudo..... 2,288 Vini........ 1,480 Svezia 333,669 Baccalari...... 13,184 e Norvegia Àcciajo....... 5,323 Toscana 236,089 Olio d' oliva..... 3,879 Marmo....... 2,614 Opere di belle arti, (fior.). 20,730 Espilazioni da Trieste agli stati esteri iier la via di mare nel 185? Valore totale Provenienza in fiorini di convenz. America Stati Uniti 958,304 Brasile Africa Tunisi e Algeria Possedimenti spagnuoli (Teneriffa) Asia Possedimenti Neerlandesi Europa Belgio 341,803 51,523 10,700 109,093 438,649 Città An- 985,323 seatiche Regno di 2,750,090 Napoli Francia e 1,882,458 Algeria Articoli principali per ordine Centinaia di quantità (mis. ord.) 19,035 7,775 3,328 Frutti....... 2,867 Acciajo....... 2.275 1,860 60,604 Àcciajo....... 2,631 284,236 1,500 Acquavite e spirito di vino 368 Granaglie e farine . . . 5,522 Doglie, pezzi , , . . . 30,500 Semi oleosi . . . . ' . 17,129 Sommaco....., 5,488 Zolfo....... 3,367 Frutti....... 2,752 Olio d1 oliva..... 2,009 Frutti....... 24,666 Sommaco...... 18,050 Legname, pezzi . . . . 660,667 Ferro lavorato e ladino . 16,697 Acciajo....... 9,749 Vallonea...... 5,417 Calìe........ 3,898 Zucchero greggio . . . 3,733 „ raffinato 2,723 Rum........ 3,610 Chincaglierie, fior. . . . 38,897 Legnami, pezzi . . . . 91,491 Granaglie e legumi, staja . 7-1,175 Frutti....... 11,569 Pelli crude..... 4,49 1 Spiriti....... 2,056 Provenienza in fiorini di con\renz. Regno Unito 5*866,010 Valore totale Art;Cùij ,^rinCipali per ordine Centinaia A° 1101111 di quantità (mia. ord.) Grecia 3,003,089 Turchia 19,380,320 Egitto 3,025,380 Principati Danubiani 188,335 Isole -Ionie 1,310,910 Legnami, pezzi Granaglie, staja Frutti . . . Sommaco . . Semi oleosi Sego .... Tintorie . . . Lana greggia . Gomme e resino Legname, pezzi Zolfo . . . Cordami . . Ferro lavorato Manifatture di cotone Vetrami . . . Legami, pezzi . Manifatture di cotone Vetrami .... Kiso..... Ferro lavorato Calle..... Bum..... Accia j o .... Zuccherò raffinato Chincaglierie, fior. Legno da falegname Tegole e mattoni, Farina .... Carta ... Paesi Bassi 025,978 Vetrami .... Cotone manufatto Chiucaglierie, fior. Iti so..... Legname greggio, pezzi Cereali, staja . . Zolfo . . . . Spiriti .... Zucchero raffinato Manifatture di cotone Chincaglierie, fior. Materie coloranti . Semi..... pezzi 913,110 185,018 41,324 15,052 10,750 9,773 6,895 0,130 3,301) ,307,673 10,284 6,929 5,435 4,017 3,762 620,665 53,430 25,356 22,917 22,413 17,253 13,656 13,552 6,711 203,,682 ,149,608 ,058,051 10,840 6,752 6,569 4,918 4,372 50,850 4,593 9-19.5 50 9,99.1 2,898 2,247 2,123 2,035 2:5,033 20,428 16,631 T, . Valore totale Avticoj; prjncjpaii per ordine Centinaia Provenienza in fiorini ^ / ^ is Jd) 01 convenz. ^ % Frutti....... 8,051 Zolfo....... 0,198 Canape....... 2,179 Stato Fon- 8,545,580 Legno greggio .... 285,818 titìcio Ferro ghisa..... 38,004 Zucchero raffinato . • . 42,505 Zucchero greggio . . - 22,307 Spiriti....... 21,093 Materie coloranti . . . 19,510 Carbone fossile .... 19,346 Caffè........ 14,416 Filati di cotone .... 9,999 Cotone manufatto . . . 7,889 Pelli crude..... 7,605 Pepe........ 2,309 Chincaglierie, fior. , . . 138,965 Portogallo 8,798 Formentone, staia . . . 3,087 Prussia 221,187 Sommaco...... 2,863 Russia 598,987 Olio d'oliva..... 5,611 Frutti...... 3,193 Sardegna 573,966 Legno greggio, pezzi . . 60,446 Formentone, staja . . . 32,459 Formento „ ... 24,874 Orzo i ... 10,856 Svezia e Spiriti....... 8,043 Norvegia 94,795 Frutti ....... 3,085 Toscana 682,473 Legno greggio, pezzi . . 398,445 Spiriti....... 29,775 Totale degli stati esteri : a) Importazione . . . , 80,575,7:).'» ir) Esporta/ione .... 54,090,330 Totale dei porti austriaci : a) Importazione .... 28,430,429 b) Esportazione .... 42,747,537 Somma . . . 109,012,164 Differenza in meno dal 1856, 11,741,795 per le importazioni, e 5,047,049 per le esportazioni. Le importazioni poi per la via di terra portano il valore complessivo di f. 39,897,186, e le esportazioni quello di 34,514,510. La differenza dal 1850 è per quelle in più di 7,095,238, e per queste in meno di 37,212. Qui poniamo fine, ma non senza il proposito di rifarci sulle condizioni di Trieste. Di tal modo il commercio e la marina di questa piazza, non che la crescente importanza dell'Adriatico, ci porgeranno occasione di prospettare orizzonte più largo, senza uscire dai confini dell' Istria e nulla togliendo all'Annuario di suo carattere provinciale*). C. A. Combi *) L'illustre patriota così finì l'opera sna, sperando più larghi orizzonti. Senza uscire dall' Istria egli mirava a Trieste la naturale capitale della provincia. Se lo tengano a mente gli ultimi campanilisti, se pur ce ue sono ancora. Egli capodistriano, se nei primi scritti fa un qualche lontano accenno alle arcaiche divisioni, da vero istriano, sacrifica tutto sull'altare della patria, e finisce con un voto di concordia e di unità j> come il suo testamento. Non più adunque perambulazioni tra la Contea e il Marchesato, non microscopi li. assemblee; guerra ai micròbi della politica; dal 'fimavo all' Arsa non c' è che una sola Istria e Trieste la sua capitale. Stringiamo i fasci nel roinnne pericolo; il partito croato ha buon giuoco nella cittadelle, quasi ignorate nel uiuiido politico, e dove la condiscendenza di necessità deve essere maggiore. Con una platea inquieta, in una città di cento mila abitanti, nota a tutta Europa per commerci e larghezza d'idee, certi ibridi discorsi uon sarebbero forse possibili. Nella lotta per la lingua nostra e per la civiltà Trieste porta a tutta la provincia anche statistica-melile la. l'orza ilei numero, la simpatia di una coraggiosa e legale resistenza-oggi, e il prestigio sempre del nome. Meminissc juvabit. ta INDICE Prefazione alla Seconda Edizione — Prof. Paolo Tedeschi . ■ I-VI ANNO PRIMO (1857) *) Due righe di prefazione — Prof. Carlo Combi...... pag. 1 Incominciare — (lo stesso)............. „ „ I viaggi e le opinioni — (lo stesso).......... „ 3 Oli almanacchi — (lo stesso) ............ „ 4 II mio nome — {lo stesso).............. „ 5 I proponimenti — (Io stesso) ............ „ 7 L'Istria Geografica Prof. Antonio Coiz........ „ 8 Descrizione dell'Istria (versi) — Avv. Francesco de Combi . . „ 14 Prodromo della Storia dell'Istria — I*rof. ('urlo Combi . . . „ 19 Di alcune pie fondazioni nel!' Istria — Avv. Antonio Madonizza „ 59 Una giornata di ser Gaspare (versi) - Prof Carlo Combi „ l'i Sospiro d' un ammalato (versi) — (lo stesso))....... „ 78 La 'Margina (versi) — Prof. Paolo Tedesclii....... „ 79 Canzone del contadino (versi) — Prof. Carlo ('ambi . . . . „ 80 Le scinde (versi) — (lo stesso)............ „ 81 La lanterna magica — Prof Paolo Tedeschi....... n 8« L' anfiteatro di Pula — (lo stesso)........... „ 90 Brevi notizie biografiche (Carli, Santorio, Zarotti) — Prof. Carlo Combi ................... „ 93 Appendice. Del rinnovamento economico dell'Istria — Pacìfico Valussi..........•........ n 99 ANNO SECONDO (1858) Non c'è più la prefazione — Prof. Carlo Combi..... „ 117 Avvertimento preliminare al Rapporto sull' Istria del cons. di stato Bargnani (17 ottobre 1800) al Viceré