received: 2011-01-26 UDC 930.2:343.143(450.251Milano)"1630" original scientific article IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA E LA TESTIMONIANZA (OVVERO... DUE VOLTI DELL'UMANA GIUSTIZIA) Maria Gigliola DIRENZO VILLATA Universita degli Studi di Milano, Facolta di Giurisprudenza, Dipartimento di diritto privato e storia del diritto, Sezione di storia del diritto medievale e moderno, via Festa del Perdono, 7, 20122 Milano, Italia e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it SINTESI Alla fine degli anni Venti del Seicento la Lombardia fu sconvolta da un 'epidemia di peste, che causó tra la popolazione moltissime morti. La credenza popolare man mano diffusa attribui l'origine della 'strage' alle unzioni, opera di uomini, gli untori, che avrebbero propalato il contagio ungendo le case dei milanesi con particolari misture velenose, capaci di provocare la peste. Si identificano i presunti colpevoli di una simile nefandezza e si giunge a un processo che, celebrato nel 1630 secondo le peculiaritá del processo di diritto comune di tipo inquisitorio, fondato sul sistema delle prove legali, vede il largo impiego delle testimonianze e insieme il loro uso 'deviante' per raggiungere comunque una veritá processuale. Si analizzano perció nel saggio le testimonianze raccolte, conservate fino a noi dalle fonti dell'epoca e oggetto delle ricostruzioni delle settecentesche 'Osservazioni sulla tortura', dovute alla penna di Pietro Verri, e dell'ottocentesca Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni: é facile rilevarne la loro sostanza non probante secondo canoni moderni e insieme il loro effetto devastante ai fini delle condanne capitali poi eseguite, tristemente note e ricordate nei secoli ai milanesi dal monumento della Colonna infame. Parole chiave: testimonianza, processo di diritto comune, Milano THE TRIAL AGAINST PLAGUE-SPREADERS ACCORDING TO MANZONI (OR TWO ASPECTS OF HUMAN JUSTICE) ABSTRACT In 17th century, around 1630, Lombardy was struck by an epidemic of plague that caused many deaths. Growing popular beliefs ascribed the origin of the slaughter to the "rubbings" that, according to this belief, had been made by persons who spread 419 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 the contagion rubbing the houses of Milanese people with a particular mixture capable of causing the plague. The suspects were identified and brought to trial in 1630 and evidence was procured through a large use of witness, and the 'deviant' application of the same, to reach in any manner a "trial truth". The paper analyses the witnesses handed down not only in contemporary sources but, above all, in 'Osservazioni sulla tortura' by Pietro Verri and 'Storia della colonna infame' by Alessandro Manzoni. It's easy to mark the not verifiable substance of same witnesses, but, notwithstanding, their effects in respect of the death sentences carried out. Such events are sadly known and are remembered to Milanese people by the 'Colonna infame' monument. Key words: witness, ius commune trial, Milan Il titolo delle pagine che seguono, Il processo agli untori di manzoniana memoria e la testimonianza (ovvero ... due volti dell'umana giustizia), puô forse trarre in inganno; chi non conosce da vicino la realtà storica lombarda è tratto a concludere che le vicende processuali, al centro delle straordinarie pagine manzoniane (da I promessi sposi, sul finire del cap. XXXII, alla Storia della Colonna infame), siano frutto della fervida immaginazione del grande scrittore-romanziere lombardo. Ma Manzoni - è risaputo - (tra i tanti Mancini, 2005), scrisse quell'immortale romanzo storico, pur se, a detta di Benedetto Croce (Croce, 1930-1958, 39), "ingegno non storicamente conformato", sulla base di una straordinaria documentazione, ancor og-gi conservata, manoscritta e a stampa, soprattutto presso la Biblioteca Nazionale Braidense ma pure presso altre Biblioteche e Archivi milanesi.1 Prima di lui Pietro Verri, uno degli anelli intermedi tra i fatti della peste del 1630 e i capolavori manzoniani (fece trascrivere da una copia, probabilmente non se-centesca, il Processo contro gli untori in una delle sue 'redazioni', postillando la nuova redazione manoscritta di sua mano:2 Barbarisi, 1985, 172; 1993, 34; 2002, 391; Farinelli, Paccagnini, 1988, 153) aveva, nelle Osservazioni sulla tortura, di imminente riedizione nell'edizione nazionale delle opere dell'illuminista lombardo, con le note e il commento di Loredana Garlati, attinto, con scrupolo di ricerca, alle fonti coeve. 1 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario de' Processi contro gli ontori creduti tali a propagar quella peste; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto del processo contro gli untori (con postille autografe di Pietro Verri e di Alessandro Manzoni); BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto del processo contro gli untori e difese di d. G. de Padilla; BNB, AB.XIII.32: Processo contro gli untori per la peste di Milano del 1630, Milano, 1633; BNB, Manz. XIII. 28: Processo originale degli untori nella peste del MDCXXX, Milano, Gaspare Truffi, 1839; BTMi, Tri.C. 448: Processo di Gio. Giac. Mora per li onti 1630, Milano 1633; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori. 2 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni. 420 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Quanto alla Storia della colonna infame, sono illuminanti le parole di Giuseppe Rovani che, ne La mente di Alessandro Manzoni (Rovani, 2002, 544 ss.), ricordava la reazione del pubblico dei lettori, all'insegna della delusione, quando, essendosi pre-parato a leggere un romanzo, "si reputó dunque ingannato" poiché si era trovato di-nanzi "una disquisizione legale, una difesa criminale ...", poi variamente fatta ogget-to di critiche pungenti e spesso impietose (Croce, 1958, 39-40; Nicolini, 1937, 23). Ma riandiamo agli eventi di quell' annus horribilis della storia lombarda, rimasto nella vivida memoria degli scrittori coevi, che medici o memorialisti, considerarono le vicende cosi 'suggestive' da non poter essere dimenticate, come sembra anche ai nostri giorni (Nicolini, 1937; Clini, 1967; Preto, 1987; Pastore, 1991; Canosa, 2000 ecc.). Basti ricordare il De peste di Giuseppe Ripamonti (Ripamonti, 1641) o di Mas-similiano Cesati (Cesati, 1630), il De pestilentia di Federico Borromeo (BAMi, 7; Borromeo, 1932; 1964; 1987; 1998), la Preservatione dalla peste, terminato il 15 gennaio 1630 (Settala, 1630) del Proto-Medico Ludovico Settala, vero esperto di tal genere di epidemia, autore otto anni prima di un De peste, o La pestilenza seguita in Milano lanno 1630 del conservatore della sanitá Agostino Lampugnano (Lampu-gnano, 1634), o il Ragguaglio dell'origine et giornali successi della gran peste, contagiosa, venefica, et malefica seguita nella cittä di Milano, et suo ducato dall'anno 1629 fino allanno 1632 di Alessandro Tadino, o ancora il Trattato breve sopra la preservatione dalla peste del medico luganese Giuseppe Mugino (Mugino, 1630). Lasciando da parte interpretazioni, pur intriganti e fonte di appassionanti ricerche di vario segno e specializzazione, che pongono al centro dei giorni drammatici una lotta tra le consorterie familiari milanesi nella dialettica tra centri di potere locali e le fazioni intorno agli Austrias (Alvarez-Ossorio-Alvariño, 1995; 2002; 2004; Cremonini, 1995; Signorotto, 1996-2001; 2000; 2005; Spiriti, 2005a; 2005b, 2005c; 2009), e agevole rilevare un nesso, piu o meno affermato - si puo aggiungere talora espresso - tra lo spargimento delle unzioni, avvenuto, stando alle testimonianze di cui si tratterá in particolare in queste pagine, su vasta scala, e il diffondersi del contagio dagli esiti altamente letali per un elevato numero di vittime innocenti. La peste e descritta da Francesco Sannazari della Ripa (Sannazari della Ripa, 1564; Ascheri, 1970), che compone, nella prima metá del Cinquecento, un celebrato trattato De peste, come "omnium aegritudinum regina [...] bellum Dei, cui humanae vires nequeunt resistiere: [...] unde causatur pestis, [...] Procedit ab aeris intemperie, [...] ex aqua putrida, seu corrupta, [...] ab immundiciis, et a colluvie, [...] ab omni fetore [...], ex tristi imaginatione, concomitata timore, [...] ex immoderato coitu, [...] ex superfluo exercitio, [...] ubertas que sequitur immediate post penuriam, [...] societas hominum, et demonum, expeccatis contracta [...]". (Sannazari della Ripa, 1564, 25r, 2r). 421 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Fig. 1: Frontespizio da Giuseppe Ripamonti: De peste quae fuit anno 1630. Milano, Malatesta, 1641. Sl. 1: Giuseppe Ripamonti: De peste quae fuit anno 1630. Milano, Malatesta, 1641 (naslovnica). 422 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Mi sono soffermata non senza regione sulle molteplici cause, ritenute dalla com-munis opinio dell'epoca capaci motori del contagio, secondo una linea accolta nella letteratura secentesca da me or ora citata. Il mio obiettivo era quello di fornire al lettore un quadro d'insieme sulla difficoltà di reperire un'origine certa della diffusione tale da permettere agli uomini istituzionalmente preposti di concentrare le loro cure per risolvere o, per lo meno, attenuare le conseguenze del diffondersi dell'epidemia; insieme intendevo porre l'accento sulla 'necessità' coeva di trovare un visibile, tangibile, "capro espiatorio", su cui il popolo potesse riversare le proprie frustrazioni. La tesi che sta alla base del legame congetturato nella peste del 1630 è che questa fosse una peste manufatta, vale a dire opera dell'intervento umano. Ma come si poté giungere a una simile conclusione? Nell'edizione ottocentesca del Processo originale degli untori nella peste del MDCXXX(BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 20) si legge nella Facti species, tratta dai Ragionamenti sulla storia lombarda del secolo XVII, dovuti all'acuta visione di Cesare Cantù: "Dopo tutto ció, mi chiedete forse quel ch 'io creda del fatto di tali unzioni! Veramente, a sentirlo asserire da tanti come cosa veduta proprio da loro, trattandosi di un giudizio di immediata, assoluta percezione, parrebbe un soverchio di critica il dubitarne. Ma chi faccia ragione alla natura dell'uomo e alloscurità dei tempi, resta condotto anchepiù in là del dubbio. Perocchè l'uomo, quant'è più grossolano, tant'è più credulo: quant'è più passionato, tant'è più precipitoso nei giudizii: e quando accade una meraviglia, più è grossa, più agevol-mente la si crede, e ognuno, almeno per ambizione, pretende esserne stato testimonio. Che se mai viponeste mente, i fanciullini quando si fecero alcun male son tutta finezza di apporre a qualche caso la colpa per iscusarne sé stessi. Anche il popolo, fanciullo adulto, per non dover dire - io contrassi il contagio coll'avere trascurate le debite cautele - trovava comodo l'incolparne un'ineffabile malignità. Aggiungil'istinto della curiosità che vorrebbe trovar le ragioni, e adatte al modo suo di vedere: aggiungi la perpetua inclinazione del volgo a scorgere la mano dell'iniquità nelle sciagureperché sentendo troppo duro il dar di cozzo contro Quello che con arcana bilancia i beni e i mali scomparte, vuol pur trovare quaggiù un reo, contro cui sfogare il dispetto di patimenti che non crede di meritare. Che se a questo modo di vedere proprio di tutti i tempi (e voi n 'avete in pronto esempi vecchi e nuovi) s'intreccino altre accreditate illusioni, diffuse, radicate, e l'abitudine d'incaute credenze e di osservazioni trascurate, chimisurerà l'abisso ovepuógiungere l'uomo? Gran lezione a coloro che hanno potere sull'opinione, agli scrittoriprincipalmente, ai maestri, ai preti, di non lasciar l'errore neppur là dove paja innocente, perché lento stende le sue radici a danno delle utilipiante, e i fruttisono sempre funestissimi"(Cantù, 1835, 49-50). Ho riportato per esteso queste osservazioni, maturate in chi pubblicó, due secoli dopo, un processo rimasto tragicamente nella memoria di molti, perché senza dubbio molte delle 'ragioni' qui abbozzate, di una sconcertante attualità, contribuirono a ren-dere oltremodo drammatico un fenomeno, si da attribuirlo a potenze demoniache. Se 423 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 poi ci soffermiamo sui giudizi formulati sul comportamento dell'uomo e sui suoi atteg-giamenti di fronte all'avverarsi di una calamità-meraviglia, scorgiamo quanto questi si attaglino alla verità processuale emergente dagli atti al centro di queste ricerche e danno, per cosi dire, 'giustificazione' al contenuto delle testimonianze a carico, assunte dagli inquirenti lombardi contro i presunti untori: "Perocchè luomo, guantepiùgros-solano, tante più crédulo: guante più passionato, tante più precipitoso nei giudizii: e guando accade una meraviglia, più è grossa, più agevolmente la si crede, e ognuno, almeno per ambizione, pretende esserne stato testimonio" (Cantù, 1835, 49). Ma, se la "perpetua inclinazione del volgo" appare quasi più comprensibile ai nostri occhi per l'arretratezza culturale, congenita, all'epoca, alla massa, non altrettanto si potrebbe-dovrebbe pensare per un personaggio della statura intellettuale di Federico Borromeo che, ai primi di agosto del 1630, ad esecuzioni capitali contro i supposti untori appena avvenute, scriveva dall'Arcivescovado di Milano ordinando una bene-dizione speciale delle case: "Dal vedere, che guesto male contagioso affligge tuttavia si gravemente la Città, è nato dubio assai probabile, che possa esser congionto con malie, e da esse fomentato nella maniera, che proviamo; e perché in simili casi unico, e singolar rimedio sia il ricorrere alla divina maestà, valendosi dei mezzi proposti, et adoperati dalla santa Chiesa per impetrar aiuto e protettione contro la malignità delli spiriti infernali, che non cessano mai di travagliare la creatura humana in diversi modi tanto nel corpo, guanto nell 'anima; per guesto habbiamo stimato dover essere di molto giovamento conforme ancora all'instanza fattaci sopra di ció, l'ordinare che si facci una generale benedittione delle case in guel miglior modo, che permette la mala gualità dei tempi correnti..."(Borromeo, 1987, 130). Lo stesso Cantù, riportando l'opi-nione di Ludovico Antonio Muratori e di Pietro Verri sulle convinzioni del Borromeo, non poteva fare a meno di esprimere il suo dissenso: "Due illustri e benemeriti scrittori Muratori e Verri hanno affermato che il Cardinale Federico dubitasse del fatto delle unzioni: in verità peró egli tenne che molto vi fosse dell'esagerato, ma insieme che gualche cosa vi fosse di vero. A prova di che noi compendieremo gui i sentimenti d'esso Cardinale: É facile confondere il vero col falso: e della peste fatturata se ne dissero tante, che lievemente puoi crederle e prontamente rifiutarle. Noi, come alcune ne crediamo, cosi adaltrepossiamo ricusar fede'..." (Processo originale degli untori, 1839, 15; Cantù, 1835, 48). Nello stesso segno di una credulità, ingiustificata ai nostri occhi, in uomini di statura intellettuale e cultura e competenza tecnica elevata per i tempi, sempre che non inforchiamo le lenti dello storico, propenso a comprendere le carenze dell'epoca in una visione complessiva, si dimostrano i medici, come osserva ancora Cantù: "Quello peró che più desta meraviglia si è il vedere come da guesto delirio andassero presi i medici, e fino il Tadini " (Processo originale degli untori, 1839, 17; Cantù, 1835, 48), che nei mesi precedenti, verso il finire del 1839, "aveva messo in allarme il Tribunale della Sanità contro il pericolo di una diffusione del contagio, già evidente in Francia, in Fiandra, in Germania e arrivato fino ai Grigioni 424 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 e a Poschiavo..." (Processo originale degli untori, 1839, 19). Né molto possono fare le gride emesse in occasione della crescente epidemia ... (Nunnari, 2005). Facciamoci guidare piuttosto dalla penna del Manzoni per cercare di comprendere la 'scintilla' cosi robusta da mettere in moto la spaventosa macchina processuale, che culminó in un 'giustizia è fatta' per un pugno di supposti untori, rei presunti, individuati da una approssimativa giustizia d'ancien régime come colpevoli della diffusione di quella terribile peste del 1630. Scrive dunque il grande romanziere, quasi in esordio della Storia della colonna infame, nella prima redazione: "Due femminelle abitanti nella via della Vetra de ' Cit-tadini, Catterina Rosa e Ottavia Boni, levatesí sgrazíatamente di buon mattino, e trovandosi alla finestra, il giorno 21 gíugno dell'anno 163Ü, videro un uomo coperto d'una cappa nera, con un cappellaccio su gli occhi, venire dal corso di Porta Ticinese, di verso il Carrobbío, entrare nella via della Vetra, camminar rasente il muro, sotto la gronda (pioveva), scriver sur una carta che teneva nella mano sinistra, poí levata la destra dal foglío fregarla al muro, e ad un certo punto della vía volgersí índíetro, tornare verso il Corso dond'era venuto, ríspondere su l'angolo al saluto d'uno che entrava nella vía, e sparíre. Quella scíauruta Catterina chíese dalla fínestra al soprav-venente chí fosse l 'uomo dalla cappa nera e l 'ínterrogato ríspose ch 'eglí lo conosceva appena di vista, e che doveva essere un commíssarío della sanità, e seguí la sua strada. "È che ho visto coluí fare certí attí che non mípíaccíono, " disse quella Catterina; e scese rapídamente nella vía, a vedere che segní avesse lascíato l'uomo sospetto. Il romore sí diffuse ímmedíatamente, il vícínato accorse, sí guardó alle muraglíe, e sí vede, o sí credette vederle ímbrattate d'un unto gíallognolo. Presto, presto altrí reca-rono paglía, e fecero fuochí accanto al muro, dove sí credeva che fosse stato unto, altrí l'ímbíancarono di calce. La fama pervenne al Senato, il quale ordínó al Capítano di gíustízía che andasse ad esamínare. Questí portatosí il di seguente sul luogo vide le mura abbrustolate, e ímbíancate, che affè non potevano índícare altro se non la grande e precipitosa paura deí padroni delle case; pure il Capítano e il Notajo attestarono che sotto il fumacchío, e l'abbronzamento, avevano potuto díscernere "alcuní segní di materia ontuosa tirante algíallo, sparsoví come con le dita". Quale díscernímento! quale attentato! quale índízío! Il Capítano esamínó quelle due, ed altre femminelle, esamínó coluí che aveva salutato il commíssarío, e venne finalmente a cavare che questí sí chíamava Guglíelmo Piazza. L infelíce fu dítenuto. Fu fatta diligente perquí-sízíone nella casa di luí; e non sí rínvenne né denaro, né altra cosa che anche a queí cercatorípotesse dar sospetto" (Manzoni, 2002, 164-165: Prima redazione). Non mi dilungheró nel seguito di questo tormentato eppure lineare iter inquisitorio, che por-terà, nel giro di meno di un mese e mezzo, all'insegna di una giustizia celere, quale era desiderata dall'establishment milanese, all'esecuzione capitale, a partire dai primi giorni di agosto dello stesso 1630, del povero Guglielmo Piazza, subito indicato come il motore del propagarsi delle unzioni, di Gian Giacomo Mora e di altri sventurati. 425 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Descritione della esecuzione di giustizia fatta in Milano contro alcuni quali hanno composto e sparso gli unti pestiferi. A. II Barbiero Gio. Giacomo Mora e il Comissario Guglielmo Piazza posti sopra un carro sono tanagliati net luoghi pih pulblici della Cillà. B. Nel corso delto il Carobbio è loro lagliata la mano deslra. C. Nel luogo della giustizia sono spogUati nudi. D. Con la ruó ta se gli rompo no le ossa delle gambe, delle cosce, delle Iraccia. E. Si alza sopra un palo la ruota nella quale sono intrec- ciali e vi stanno viví per lo spazio di sei ore. F. Sono scannati. G-. Abbrugiati. H. Si gettano le ceneri nel Jiume, I. Si spianla fino le fondamenta della casa del Barbiere e si alza uha Colonna Infame. L. Dirimpetto s' inscrive il successo. Medesimamente si procede con Gerolamo Migliavacca Sopranominato il For-biciarOj. con Francesco Manzone sopranominato Bonazzo e Caterina Rozzanaj solamente non è a loro demoliia la casa. M. Si abbrugia la statua di Gio. Baila. F arietta per es sere morto in prigione prima che si potesse eseguire contra di Ud la stessa giustizia, N. Gio. Faolo Pigotta anualmente infetto di pesie è condono dal Lazzaretto al corso di Porta Fercellina ed è impiccato per un piede. O. Dopo esservi s tato qualtro ore è archibugiato dal mastro di giustizia. P. Giacomo Maganza, Gio. Andrea Barbero, Gio. Baila. Bianchino, Martino Recálcalo, Gaspare Migliavacca figlio del sopra detto Forbiciaro, Pietro Gerolamo Bertone sono posti in ruota e immediatamente scannati. Fig. 2: Descrizione dell'esecuzione da Processo originale degli untori nella peste del MDCXXX. Milano, Gaspare Truffi, 1839. Sl. 2: Opis usmrtitve iz dela Processo originale degli untori nella peste del MDCXXX. Milano, Gaspare Truffi, 1839. 426 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 All'origine dell'introduzione del processo si pongono dunque due testimonianze, secondo questa redazione, rese da due femminelle (vedremo che le donne, coinvolte nel diabolico congegno, saranno in numero ancor maggiore, non senza, a mio avviso, un particolare significato da attribuirsi alla loro considerazione ed immagine ai tempi) (Minnucci, 1989-1994), a dimostrazione della funzione svolta da un mezzo di prova (van Caenegem, 1965) che ha sempre giocato, attraverso i secoli, con le sue regole, un ruolo primario nell'accertamento della verita processuale (Marsili, 1574; Corradi, 1563; Ziletti, 1568; Maranta, 1557; 1568; Monticelli, 1575; Cavalcani, 1590; Loschiavo, 2004; Mausen, 2006; Padoa Schioppa, 1967-2003, 460-484; Bassani, 2007, 162 ss.). Fin qui la narrazione, filtrata dal tocco personale dello scrittore lombardo. Ma leggiamo sullo stesso evento descritto or ora la testimonianza de visu, decisiva per l'avvio della procedura, a noi trasmessa, tra i manoscritti tramandati, da quello che, per il tramite di Pietro Verri (lo fece a sua volta trascrivere da un altro esemplare), giunse per l'ulteriore intermediazione di Gabriellino, il sospirato figlio maschio di Pietro, nelle mani del Manzoni, autore di postille, a dir il vero in numero assai scarso (BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni): "Examinata Catterina uxor Alexandri Rosae testis nominata, cum iuramento. Inquit, hieri mattina, che di poco erano sonate le otto hore, io ero nella mia casa, una delle stanze che traversan la strada, detta la vedra, et viddi venire uno da verso il Carobio, qual era incappato di cappa nera, con capello giu nelli occhi, et haveva in mano una carta piegata al longo, sopra la quale metteva le mani, che pareva che scrivesse, et viddi che si fece presso alla muraglia nelle case subito voltato il cantone, venendo del carrobio a mano dritta, et viddi che a luogo a luogo tirava con le mani dietro al muro, per il che mi venne pensiero, che fosse uno di quelli che giorni passati andavano ongendo, et viddi che teneva toccato le muraglie pure della parte dritta, sino alla casa di S. Simone, dove habitano li Tradati, et poi viddi, che tornó indietro, et voltó verso il carobio, et nel voltar il cantone, s 'incontró in un 'homo, qual io non conosco, et viddi, che costui lo salutó, et io poi dimandai a detto huomo, chi si fosse detto tale, et lui mi rispose che era unno Commissario della Sanita, et io dissi a questo tale é, che ho visto costui a fare certi atti, che non mi piacevano, subito poi si divulgó questo negotio, et uscessimo, et si videro imbrattate le muraglie di un cero onto, che pareva grosso tirante al giallo, et in particolare quelli del Tradate dissero, che avevano trovato imbrattati li muri dell'andito della sua porta" (Manzoni, 2002, 412, 523).3 Prima e esaminata, "cum iuramento", Ortensia Castiglioni, che aveva deposto di avere trovato i muri imbrattati "di una certa cosa gialla, et in grande quantita, siche 3 Cfr. anche, talora con insignificanti varianti (cio vale anche per le citazioni, nelle note che seguono, dei diversi manoscritti) BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni, 7-9; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 17-18; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 3; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 31; ASMi, 4-5. 427 María Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 li dassimo il fuoco con della paglia, ma Nicoló mio figliuolo disse che non bastava, perché bisognava anche piccar il muro, et sendo in quel mentre concorso ivi gran quantita di donne, fu detto che era stato visto a ongere il Commissario genero della Comadre Paola, et anche hieri una figliuola del Sargente Bono disse, che era stato da lei un cognato del detto Commissario a comandarli, che tacesse, che sii poi detto Commissario io non lo conosco, né so perché ongesse, so bene, che fra le altre, che dissero, che era stato detto Commissario, che haveva onto, fu l'appellata la Rosa [...] et dissero che questo seguí circa le ott'hore".4 Poi e la volta di Caterina Rosa e di Angela Bono che, anch'ella 'fedele' al racconto imbastito dalle altre, chiama in causa Matteo del Furno "figliuolo della Comare Paola", suocera del Piazza; di seguito e ascoltata Ottavia, moglie del Sergente Bono, la quale5 "dice di conoscere quel tale, che fu salutato da detto Commissario, il qual Commissario io in faccia non lo potei comprendere, ma era homo di grandezza comune, vestito di sargia6 nera, con uno capello al quale cascavano le ale nel volto, né se li vedevano arme alcune".7 Nella redazione finale l'originario incipit muta e le due femminelle, che servivano comunque, con la forza di un dato numerico appena un po' piu consistente della singola testimonianza, secondo la nota regola unus testis nullus testis (Padoa Schioppa, 1967-2003, 460-484) a dare piu peso alla deposizione raccolta, "si scorporano", si che all'origine del fattaccio se ne pone una sola, indebolendo ancora di piu il castello accusatorio: "La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra d'un cavalcavia, che allora cera sul principio di via della Vetra de' Cit-tadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese [...], vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello su gli occhi, e una carta in mano, 'sopra la quale', dice costei nella sua deposizione, 'metteva su le mani, che pareva che scrivesse'. Le diede nell'occhio che, entrando nella strada, 'si fece appresso alla muraglia delle case, che é subito dopo voltato il cantone, e che a luogo a luogo tirava con le mani dietro al muro. All'hora' (soggiunse), 'mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno de 4 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 3; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni, 7 (la testimonianza di Caterina Rosa e indicata solo come assunta, 13-14; BNB, ms. Manz. XII. 6566: Estratto / de Padilla, 1, 16-17). 5 Nella redazione Farinelli-Paccagnini, a cui, nelle pagine che seguono, si fa piu volte riferimento, le formule di rito, quali interrogatus, respondit, dixit, in latino negli originali, sono in italiano ma in corsivo: nel testo di cui sopra le 'traduzioni' compaiono, come nella trascrizione Farinelli-Paccagnini, parimenti in corsivo (Farinelli, Paccagnini, 1988, 184-186). 6 Anche sargia o saglia: secondo il Battaglia, "tipo di armatura fondamentale dei tessuti con i punti di legatura disposti secondo una linea diagonale [...] Anche tessuto confezionato con tale armatura, pezza di tale tessuto. 2. Abito confezionato con tale tessuto"(Battaglia, XVII, 1994, 362, 368, 580). 7 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 3-6; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Man-zoni, 7-12; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 1, 18-19; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 4. 428 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 quelli che, a'giornipassati, andavano ungendo le muraglie'. Presa da un tal sospet-to, passó in un 'altra stanza che guardava lungo la strada, per tener d'occhio lo sco-nosciuto, che s'avanzava in quella, et viddi', dice, 'che teneva toccato la detta muraglia con le mani'. Cera alla finestra d'una casa della strada medesima un'altra spettatrice, chiamata Ottavia Bono, la quale non si saprebbe dire se concepisse lo stesso pazzo sospetto alla prima o da sé, o solamente quando l'altra ebbe messo il campo a rumore. Interrogata anch'essa, depone d'averlo veduto, fin dal momento ch'entró nella strada, ma non fa menzione di muri toccati nel camminare. 'Viddi', dice, 'che si fermó qui in fine della muraglia delgiardino della casa delli Crivelli [...] et viddi che costui aveva una carta in mano, sopra la quale misse la mano dritta, che mi pareva che volesse scrivere; et poi viddi che, levata la mano dalla carta, la fregó sopra la muraglia del detto giardino, dove era un poco di bianco' [...] " (Manzoni, 2002, 13-15).8 Alle prime testimonianze femminili, vaghe e non circostanziate a carico del Piazza, come annota con rigore e sarcasmo il Manzoni ( "Nemmeno le donne esami-nate dicono che il Piazza abbia toccato intorno l'uscio del Barbiere. Si doveva anche esaminarle in qual modo accostasse la mano al muro per vedere se corrispondeva all'altezza di un braccio e mezzo. Ma si è fatto tutto con furore e fanatismo e si temeva di scoprire l'innocenta", BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Man-zoni, 7), si aggiungono subito quelle 'maschili'. Matteo del Furno, chiamato in causa da Angela Bono, è ugualmente interrogato "per qual causa dimandó lui alla detta giovine, chi fosse stato quello che avesse onto, e che saria bisognato che l'avesse detto" e risponde che "Èperché io ho a caro, che si trovi il conto di questo negotio per vedere chi è e chi non è". Pietro Martire Pulicelli racconta d'essersi imbattuto "alle sett'hore, et mezza" in un uomo vestito di nero e ne fa la descrizione fisica: "grande come me, ma pero magrotto, 'che è di alta statura' [...], con barba rossa, vestito di saglia nera, cioè un ongiarina, e la cappa nera, e un capello da questi che si usano adesso alla francese [...] et doppo una donna, che era ad una finestra mi dimandó chi era quel tale, et io li risposi, che lo conoscevo di vista, et che era commissario, o sia paradore, et ella mi disse che lo aveva trigato li, et che li aveva dato un poco di sospetto [...] et ritornato a casa circa le dieciotto hore, sendo in casa mia, sentei fuori in strada donne, che facevano fracasso, et dicevano, che erano state onte le porte, et che si era scoperto, che quello che le aveva honte, era stato un commissario, et nominorono uno Gulielmo [...] " (Farinelli, Paccagnini, 1988, 187).9 8 Cfr. anche BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 3-6; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni, 7-11; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 1, 17-20; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 3-4; ASMi, Acquisti 3: Processo, 3-5. 9 Cfr. anche ASMi, Acquisti 3: Processo, 6-7; BNB, 7-8; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni, 11-12; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 1, 21-22; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 4; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 34-35. 429 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Gli indizi sostanzialmente concordanti a carico, prodotti di un chiacchiericcio dif-fuso, originato da un focolaio forse effetto di suggestioni reciproche, si accumulano: il 22 giugno è ascoltato Tommaso Grillo, vicino di casa del commissario della sanità Guglielmo Piazza, spasmodicamente attento - si puô aggiungere - ai movimenti dei propri vicini, che dichiara: "Adesso detto Gulielmo fa il commissario, et per questo è schivato da tutti, anche da sua moglie, et da poi, che è commissario, viene a casa alle due, et tre hore di notte, et hieri mattina levö su tra le sette, et otto hore, et trovai che era aperta la porta della casa, et la camera di detto Gulielmo era chiusa, che credo che lui fosse già uscito di casa, perché non lo viddi più sino hieri sera alle due hore di notte" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 189).10 Guglielmo Piazza è arrestato e, dopo il primo interrogatorio, reputato viziato da "tante inverosimilitudini", "suspectum, et validissimis gravatum indiciis", è sotto-posto a tortura reiterata secondo i costumi della giustizia coeva, secondo un preciso decreto del Senato, stigmatizzato da Pietro Verri in termini inequivocabili: "Questo decreto fa orrore, è un impesto di feroci delirj, e di superstizione. Il pubblico disastro aveva induriti i cuori, e offuscata la ragione [...]. Gli indizi contro il Piazza dissopra si sono veduti. Egli toccö le mura della Vedra. I motivi di torturarlo si sono veduti. Non sapeva che si fossero unte le muraglie e non conosceva i Deputati della Parrocchia. Ora il Senato lo vuole nuovamente tormentare [...] Fa pietà tanta barbarie" (BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 17). Lo si tormenta al punto da lasciarlo con le ossa slogate, tra una seduta di tortura e l'altra, pur di indurlo alla confessione e a fare il nome dei complici, senza che da lui, sulle prime, ad onta delle pressioni fisiche e psicologiche subite, si ottenga una confessione o informa-zioni utili ( "Io non so niente"; "Non so niente, che se lo avessi saputo l'avrei detto"; "Ah, Dio mi! ah, Dio mi! 'Con voce sommessa' [Submissa voce] [:] non so niente, non so nagotta,11 non so niente, ho detto quello che so"; "Non so niente, ah, Dio mi! ah, Dio mi, oh che non so nagotta, ah che non so niente" "Ah, Dio mi, ah, Dio mi, non so nagotta') (Farinelli, Paccagnini, 1988, 187-198).12 Già nel corso di uno degli interrogatori del 26 giugno Piazza fa il nome di Gian Giacomo Mora: "'Interrogato' che dica conforme a quello che estragiudizialmente ha confessato a me ['uditore'] alla presenza anco del notaro Balbiano, se sa chi sia il fabbricatore degl'unguenti con quali tante volte si sono trovate / ontate/le porte, e mura delle case, e cadenazzi di questa città, 'rispose'. A me l'ha dato lui l'unguento il barbiero, 'Interrogato' che nomini il detto barbiero, 'rispose '. Credo che abbia nome Gio. Giacomo, la cui pa- 10 BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 23; BNB, AB.Xffl.32: Processo, 1633, 5; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 1, 4. 11 Nel dialetto milanese "nagota, particella di negazione = niente" (Angiolini, 1897, 511). 12 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 9-23; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Man-zoni, 14-28; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 23-39, più sintetico; BNB, AB. XIII.32: Processo, 1633, 5-10, più sintetico; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 7-22. 430 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 rentela non so. 'Interrogato' che dica dove abita precisamente detto barbiero, 'rispose'. Su la porta della Vedra de' Cittadini che non ve ne sono altri [...] ". Al termine, comunicata la cosa al Presidente della sanità, segue l'arresto di Gian Giacomo Mora e del figlio, oltre alla 'ossessionante' perquisizione nella bottega del barbiere, minuziosamente documentata agli atti (Farinelli, Paccagnini, 1988, 198),13 che porta alla luce "tesori, larve, demonj e seduzioni dogni sorta per adescare gli uomini a prendere ilpartito diabolico [...] " (Verri, 2002, 422; Verri, 2010, 47). Il procedimento ormai si sviluppa a pieno ritmo: si escogitano vie per raccogliere il maggior numero d'informazioni e d'indizi a carico dei sospettati. Sono coinvolti i compagni prigionieri del Piazza, pronti a rispondere alle 'sollecitazioni', anzi agli ordini di "messer Sebastiano, custode delle carceri" di San Giovanni, "per servitio publico": è quest'ultima la motivazione delle pressanti esortazioni fatte ai prigionieri compagni di carcere del Piazza. Costui attesta di avere ordinato al "Bulone fante che si trova prigione con il Piazza, che faccia gualche diligenza con esso per sapere la verità del negozio, per il gual l'è preso, per servitio publico, e cosi poco fa mi ha detto, che il Piazza gli ha confessato, che vi sono due barbieri per porta, che fanno guesta professione di ongere, et iopoi l'ho fatto parlare con il signore auditorre, e se vostra signoria vuol parlar seco lo condurró". Giovanni Bote chiamato il Bulone è poi sentito come teste: premessa la dichiarazione riguardo alla sua attuale dimora, la "prigione di s. Gioanni, nella guale siamo dodeci, et l'ultimo condotto è guello della sanità, a cui fu data la corda hieri", è interrogato sulle conversazioni fatte e sulle manovre fatte per carpire notizie sull'argomento che sta a cuore agli inquirenti: la risposta, che non fa mistero sulle pressioni ricevute, puó considerarsi, secondo il metro e le esigenze del sistema giudiziario di allora, soddisfacente: "Per farpiacere a messer Sebastiano io volevo cavargli gualche cosa di bocca, ma stimando io, che per esser io fante egli non si dovesse fidare, ho dato il carico a messer Melchion uomo vecchio, il guale gli ha cavato di bocca, che vi era un barbiero, che vi era dentro in guesto, et replicandoli detto signor Melchion se poteva essere, che fosse uno solo, il detto della sanità gli ha risposto, che vi erano più d'uno barbiero per porta, che lo facevano, anzi che credeva, che fossero due per porta, né so, che gl'abbi cavato altro solo che anche di presente gli è dietro a farlo parlare".14 Il rituale si ripete con Melchione Taurello, altro detenuto nominato nella precedente testimonianza, anch'egli sollecitato da messer Sebastiano: "Poiché messer Sebastiano disse a me che dovessi vedere di cavare gualche cosa dal detto com- 13 ASMi, Acquisti 3: Processo, 22-25; BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 23-26; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 29-32; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 39-43; BNB, AB. XIII.32: Processo, 1633, 10; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 49-52. 14 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 39-41; BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 33; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 47-48; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 17; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 57; ASMi, 30-31. 431 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 missario, io hieri sera li cavai che aveva avuto venerdi sera da un barbiere, che sta in porta Ticinese alla ponta della Vedra de ' Cittadini un vasetto di materia da ongere le porte, et muri, et che la mattina seguente aveva avuto il preservativo da bere dall'istesso barbiero, et che gl'aveva promesso dargli una bona mano de denari, e oggi ho cavato che bisogna, che vi siano più di due barbieri per porta, che facciano l'istesso, e che esso aveva onto duoi tocchi di muraglia, cioè dalle due parti della strada nel luogo che gl'aveva ordinato il detto barbiero, e che detto onto non aveva fatto effetto alcuno, perché era stato visto da una vecchia, e subito aveva dato il fuoco a detto onto"(Farinelli, Paccagnini, 1988, 208-209).15 Intervengono, ad avvalorare le testimonianze raccolte, pure dei testi 'qualificati', dei periti secondo la terminologia moderna (Pastore, 1998-2004; Porret, 2007): tali si possono considerare alcune lavandaie, Archileo Carcano, fisico collegiato milanese, Giovanni Battista Vertua, fisico, Vittore Bescapè. Le prime depongono sullo 'smo-glio':16 cosi fa Margherita Arpizanelli del fu Silvestro, lavandaia, interrogata sugli effetti dello 'smoglio', ricavato dopo il lavaggio dei panni e conservato per alcuni giorni: "Dopo che il smoglio è stato li per otto, o dieci giorni fa un poco di residenza in fondo per il sapone, che è in esso, e quando è più stantivo fa di sopra via una teletta, ma del resto riesce chiaro. 'Interrogata' se vedendo il smoglio si puo conoscere che vi sia alcuna alterazione, rispose. Signorsi, che si puo conoscere [:] sa vostra signoria che con il smoglio guasto si fanno delli eccellenti veleni che si possano imaginare. /Et mostratogli il smoglio posto nella caldara trovata in corte, rugo in esso smoglio diligentemente con uno bastone. / 'Disse '/dixit) [:] signore no, che questo smoglio non è puro, ma vi è dentro delle forfanterie, perché il smoglio puro non ha tanto fondo, né di questo colore, perché lo fa bianco bianco, e non è tanchente come questo, il quale ha bruto colore, et è tanchente, e sta a fondo, e pare cosa grassa, ma quello del vero smoglio in movendosi il vaso, in che si trova, si smove tutto il detto fondo. Interrogata ' se saperà mo ' dire che materia fosse questa che è in essa caldara, 'rispose '. Questo non lo so. 'Fu allora imposto alla stessa di scendere in cantina: scesavi e visto dell'altro' smoglio 'contenuto in un diverso recipiente, disse: ' Ho anco visto quell'altro smoglio, che è in quello parolo,17 che è in canepa,18 in qual dico esservi alcuna 15 ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 31-32; BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 34-35; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 41; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 48-49; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 17; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 5758. 16 Smoglio è "voce di area sett. Forma maschile di 'smoglia'per 'smoia'. Smoia [...] acqua saponata nella quale vengono immersi i panní da lavare; ranno, liscivia" (Battaglia, XIX, 1998, 18). 17 "Parolo: v. Paíolo". "Paíólo [...] recipiente di rame o talora di terra, largo e profondo, [...] viene usato per cuocervi i cibi (tradizionalmente la polenta) o, anche per bollirvi l'acqua o effettuarvi determinate cotture"(Battaglia, XII, 1984, 374, 636). 18 "Canepa sim. v. l.canab(a)". "canaba... 1. Horreum, promptuarium, cellarium - Lagerhaus... Keller" (Mittellateinisches Worterbuch, II.1.11, 1968, col. 139, 160): dunque cantina. 432 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 alterazione, ma non in tanta quantità, come in quello della caldara, perché anco di questo ne ho cavato fuori un puoco di quella residenza del fondo, e l'ho attaccato al muro, et se gli è attaccato come vischio, il qual effetto non fa la residenza dell'altro smoglio, ho puoi anche visto un parólo di liscia, ma in quella non vi ho conosciuta alterazione alcuna. 'Dixit insuper', sa V. S. che con il smoglio guasto si fanno delli più eccelenti veleni, che si posono imaginare" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 212-213).19 Cosi Pietro Verri commentava la 'perizia' nelle Osservazioni sulla tortura: "Si vede che il fanatismo era al colmo, e che le persone che si esaminavano, a costo d'inventare nuove e sconosciute proprietà, volevano sacrificare una vittima, e credevano di servir Dio e la patria inventando un delitto" (Verri, 2002, 431; Verri, 2010, 62). Né diverse riflessioni suscitano i pareri degli altri esperti interpellati. È poi la volta di un'altra lavandaia, Giacomina Andreoni, citata d'ufficio, che "in substantiam concordat cum dicta Margarita de Arpizanellis" (ASMi, 34) e "'che aggiunge'. E nel baslotto, nel qual è quella liscia, mi pare, che vi sii qualche alterazione, et il smoglio si vede, che quanto più se gli ruga dentro diventa più negro e più infame [.J 'Dice da sé' (Dicens ex se) [:J con il smoglio marzo cattivo si fanno di gran porcherie, e tosiche" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 213).20 Alle testimonianze, pur sempre 'qualificate', delle lavandaie seguono altre di esperti di competenza professionale per cosi dire meno vaga, più accertata. Archileo Carcano è interrogate lo stesso 26 giugno, dapprima come teste de auditu (Bassani, 2009b) sulle 'chiacchiere' raccolte da persone informate dei fatti intorno al Piazza, già allora in prigione, pronto per essere sottoposto a tortura per estorcergli una con-fessione ma giudicato da chi riferiva della vicenda inidonea alla bisogna ( "disse il Garibaldo, scrittore del Porro, notaro all'officio del signore capitano di giustizia, che vostra signoria ill.ma signore presidente, et il signor fiscale Torniello, e signore capitano di giustizia havevano fatto portare di sopra il vestito, si da dargli la corda, ma che lui credeva, che non dovesse cavar niente da lui, e non disse la causa "); poi in qualità di teste esperto, sulle caratteristiche della sostanza a lui fatta vedere nella caldaia posta nel cortile della casa di Gian Giacomo Mora: "Io ho visto e ho molto bene considerato la materia, che con un legno ho fatto sollevare dal fondo della detta caldara, e ho visto esser di colore brutto e essere materia viscosa, e ha la qualità della colla di carnuzzo, ma precisamente io non saprei mo ' dire che cosa fosse, solo che è materia viscosa, et ontuosa, e che ha cattivo odore. 'Interrogato ' se quell'acqua, e materia trovata in detta caldara, e da lui vista, puó esser smoglio, 'rispose '. Io non ho osservato troppo bene, che cosa facci il smoglio, ma dico bene 19 BNB, AB.Xffl.32: Processo, 1633, 18; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 59-60; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 32-34: da Dixit insuper solo in ASMi, 214. 20 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 38-39; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 47; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 51; BNB, AB.Xffl32: Processo, 1633, 18-19; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 60; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 34. 433 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 che, per rispetto dellontuosita, che si vede in quest'acqua, puó esser causata da qualche panno ontuoso lavato in essa, come sarebbe mantili, tovaglie, e cose simili, ma perché in fondo di quell'acqua ho vista, e osservata la qualita della residenza, che vi é, e la quantita in rispetto della pocca acqua, dico, e concludo non poter in alcun modo a mio giudizio esser smoglio. 'Interrogato' che giudizio fa dei vasi, ed unguenti, e acque a lui mostrati, 'rispose'. Questa non é mia professione, peró per rispetto di quel vaso di elettuario21 io lo giudico per elettuario reale [...]" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 210, 213).22 La formula finale "dico, e concludo non poter in alcun modo a mio giudizio esser smoglio" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 213) e il richiamo alla professione, e dunque alla sua veste di esperto, confermano le ragioni della sua 'chiamata in causa'. Lo stesso puó dirsi, quanto al ruolo nel processo all'avvio, del fisico Vertua, interrogato per conoscerne il parere sull'acqua trovata nella caldaia di casa Mora: "Io ho vista quell'acqua posta in detta caldara, e quanto a me dopo averla bene considerata, io non posso venire in parere, che quello sia smoglio, perché non vi ha quella qualita di sapone, e poi anche perché quella residenza, che ha in fondo non mi pare residenza naturale di smoglio, perché quella materia é viscosa, et ontuosa, che perció io giudico, che sia cosa fabricata, ma che cosa in effetto possa essere quella materia, o a che possa servire io non lo so, se non fosse per comporre qualche grassume." A margine e interrogato per sapere se conosca il Piazza e se sia informato su "che cosa sia al presente di lui": la risposta e netta: "A quello che si dice da tutto il mondo é prigione". Le dicerie dominano il corso del procedimento. Chiamato d'ufficio e per informazione e ancora Vittore Bescape perché formuli il suo giudizio sull'acqua sul fondo della stessa caldaia, se sia smoglio o qualcosa d'altro: "Quanto a me non la tengo per smoglio, ma piutosto per acqua composta, e bollita, e quella materia che é sul fondo la stimo parimente per composta per aver del ontuoso, e viscoso, perché il smoglio non fa il fondo a quella maniera, perché si vede, che levando di quella materia, che é in quella caldara fila a foggia di colla di carnuchio"23 (Farinelli, Paccagnini, 1988, 214).24 21 "Elettuario [...] s.m. Preparato farmaceutico semidenso, costituito di polpe, di polveri, di Sali, di vegetali ecc. [...] adoperato in passato nella cura di innumerevoli malattie e affezioni" (Battaglia, V, 1968, 93). 22 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 40-41; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 42, 47-49; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 52-53; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 19; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 61; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 34-35. 23 Carnuchio corrisponde verosimilmente a "Carniccio (ant. 'Carnizzo, 'carnezzo), sm. Ciascuno dei pezzettini di carne che rimangono attaccati alla pelle degli animali scuoiati e che vengono raschiati via prima della concia e adoperati in genere per fare una colla molto tenace (detta appunto 'colla di carnicci o carniccio')" (Battaglia, II, 1962, 786). 24 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 41-43; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 49-50; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 53-54; BNB, AB.XIII.32: 434 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 II 27 giugno altri uomini e donne, testimoni de auditu, sono ascoltati: cosi, a seguito della denuncia al podestá che "Gerolamo Migliavacca era in conto d'ongere, et che haveva avuto a dire, che voleva far morire altre donne," Lucia Maineri, citata, dichiara che "Andando io a pigliar segni della misericordia, et passando dalla bottega del speciaro Vilano, posta a Carobio, sentei che Gerolamo Foresaro disse con un altro, che era con lui, quale non conosco, simili parole, non sono né anche morte queste bozirone [?]. Bisogna anche farne morire delle altre [.] Et ció detto ando verso S. Lorenzo, et io andai per li fatti miei, il che seguí circa le 18 hore" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 220): Gerolamo Migliavacca e subito arrestato.25 Arcangelo Leva, comparso spontaneamente, riferisce di quello che ha udito: "Trovandomi poco fa alla ferrata della communitä nuova, nella quale vi é detenuto Gaspare Migliavacca, figliuolo di Gerolamo Foresaro, ho sentito, che detto Gaspare ha detto a sua moglie, qual era alla ferrata, se tu sarai dimandata, di la veritä, perché io non vi sono dentro queste cose [.] Et lei li ha risposto, é la veritä, che io li ho visto portar a casa un non so che, credo habbi detto un vaso con non so che oglio, ma che non li volse dire, che cosa vi fosse dentro" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 220).26 Il 28 giugno sono citati a testimoniare Baldassarre Litta, Stefano Buzzi, Matteo Volpi perché informino le autoritá su quello che sanno e hanno visto riguardo al Piazza e a Gian Giacomo Mora, alla loro conoscenza dei soggetti indiziati e agli ultimi incontri tra i due. Litta dichiara di conoscere il Piazza e il Mora, di non avere mai visto il Piazza in casa o in bottega del Mora, mentre, alla domanda "da quanto tempo in qua ha visto il Piazza a parlare con il barbiero nel modo che ha detto," risponde: "Io l'ho visto tre o quattro volte, e particolarmente una volta della settimana passata, che sarä stato il lunedi, o il martedi, che parló seco sopra l'uscio, che guarda su la Vedra de' Cittadini, mentre che Gulielmo era con non so che carri d'infetti, o sia morti." Interrogate sull'ora dell'incontro risponde: "Era circa le 22 o 23 ore /Di che poi siparlassero io non lo so [...]". La deposizione del secondo teste, Stefano Buzzi, che ammette di conoscere sia l'uno che l'altro dei sospettati, e invece possibilista sull'esistenza di rapporti di amicizia di amicizia tra i due e, ulteriore domanda a lui posta, sulla frequentazione da parte del Piazza della casa e della bottega del Mora: "Puó essere che siano amici, e che si salutassero, ma questo non lo saprei mai dire a vostra signoria. [...] Non lo saprei mai dire a vostra signoria." Di contenuto pressoché simile a quella del Buzzi la testimonianza di Matteo Volpi, anzi piu 'favorevole' agli indagati per la determinazione nel negare piu stretti rapporti Processo, 1633, 20-21; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 61-62; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 36-37. 25 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 52; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Man-zoni, 60; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 58; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 21-22; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 65-66; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 40-41. 26 BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 58-59; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 22; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 66; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 41. 435 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 tra i due, il passaggio di mano di oggetti dall'uno all'altro o uno scambio di parole riguardo alla preparazione di unguenti: "Questo non è vero niente, io giurerö che non ho mai visto, che si sianoparlati insieme" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 229-230).27 Pochi giorni dopo, il 6 luglio (nel breve periodo intercorso si svolgono fitte altre indagini ed interrogatori degli inquisiti), è sentita Francesca Casale, moglie di Simone Frangilossi e madre di Ippolita, narra le circostanze della morte di entrambi i suoi cari dopo avere avuto contatto con un unto pestifero, 'interpretando' in senso pernicioso, a suo modo, suggestionata dall'ambiente circostante, gesti e conseguenze: "Domenica prossima passata quindici giorni, dopo che fossimo a casa d'essere state alle nostre devotioni la putta nel cavarsi la veste, trovö imbrattata la manica sinistra d'un onto, che tirava come al colore degl'assi di questa porta, la quale è d'asse di pecchia,28 e tira al taneto,29 né potendosi immaginare dove havesse fatta tal macchia se ne disperava, sapendo che in casa la teneva con ogni riguardo, cosí si pigliö un cuchiaro con dentro del fuoco, et della carta de strazze, ma non giovö, et si mise a torno con le ogne per rasparla via, ma non vi fu remedio, et era come che li fosse stata buttata su di quella materia, et per la morte, che è poi successa di detta mia figliuola, et perché la macchia era su la manica sinistra, et perché il male li è venuto sotto la sella sinistra, m 'immagino, che sii di quelli onti, che sono stati buttati su per li muri, et la macchia era dalla parte di fuori di quella manica ". Interrogata sul come si fosse prodotta la macchia sulla manica della figlia, ricostruisce, per cosi dire prevenuta, l'episodio dando prima alla domanda una risposta che potremmo definire sincera: "Io non lo so [.] " Ma di seguito fornendone una motivazione degna delle paure create dall'insorgere dell'epidemia: "Quando siportö il corpo di s.to Carlo un giorno di quell'ottava, andai con questa mia figliuola in domo per pigliar la perdonanza, dove mi si fece appresso una vecchia brutta in scossale vestita da orsolina, la quale mi dimandava elemosina, io la licenziai, ma costei non mi si voleva scostare, e mi teneva per lato, e se bene si partiva, ogni tratto me la trovava appresso, cosa che mi ha fatto pensare poco bene, / et tal macchia fu vista, et odorata dalli vicini. 'Interrogate ' se alcuno di quelli che hanno odorato tal macchia è morto, 'rispose '. Signor no, che non è morto alcuno. 'Interrogata ' se sa, se il suo marito, qual si dice esser morto di peste, abbi toccato la detta macchia, ['rispose']. Signore sí che la toccö ancora lui mentre che vi si era a torno per cavarla" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 247-248).30 È quasi inutile rilevare 27 BNB, ms. Manz. XII.A.36: 1630. Sommario, 63-65; BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto / Verri-Manzoni, 73-75; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 30; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 7980; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 59. 28 "Pecchia sf. Tosc. Buccia. - In part.: sottile membrana che si trova sotto la buccia della castagna. Si puö intendere dunque di legno di castagno" (Battaglia, XII, 1984, 900). 29 Corrisponde al 'tanè': "('tanné'), sm. Inv. Colore marrone bruciato, con tonalité che vanno dal ros-siccio al nero, simile a quello del cuoio o della buccia della castagna" (Battaglia, XX, 2000, 709). 30 BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 1, 95-97; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 3940; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 96-97. 436 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 come le cerimonie religiose promosse per propiziare la benevolenza divina fossero al tempo stesso una temibile occasione per il propagarsi del contagio, non per nulla considerata da Verri esiziale per il diffondersi dell'epidemia: "Fra tai delirj si perdevano i cittadini anche più distinti e gli stessi magistrati, e in vece di tenere con esatti ordini segregati i cittadini gli uni dagli altri, in vece di intimare a ciascuno di restarsene in casa destinando uomini probi ai quartieri diversi per somministrare quanto occorreva a ciascuna famiglia, rimedio il solo che possa impedire la comunicazione del malore, e rimedio che adoperato dapprincipio avrebbe forse con meno di cento uomini placata la pestilenza, in vece, dico, di tutto ció si comandó con una mal intesa pietà una processione solenne, nella quale si radunarono tutt'i ceti de ' cittadini, e trasportando il corpo di San Carlo per tutte le strade frequentate della città, ed esponendolo sull'altar maggiore del Duomo per più giorni alle preghiere dell'affollatopopolo, prodigiosamente si comunicó la pestilenza alla città tutta, ove da quel momento si cominciarono a contare sino novecento morti ogni giorno" (Verri, 2002, 422; Verri, 2010, 47). Siamo alla fase del processo informativo, nel quale le autorità competenti avviano la ricerca di informazioni sul reato e sul reo: bisogna accertare la veridicità della notitia criminis e raccogliere indizi a carico di presunti colpevoli. Viene dunque in gioco il sistema probatorio d'ancien régime, incentrato sulla prova legale e sulle sue gerarchie oggetto di molte elucubrazioni tra i giuristi del tempo (Malinverni, 1972; Alessi Palazzolo, 1987, passim; Alessi, 2001; Rosoni, 1995, passim; Chavaud, 2003). Tra le prove si collocano i documenti, la fama (Migliorino, 1985; Théry, 2003; Bettoni, 2006), gli indizi, le presunzioni, le congetture, la testimonianza, la confessione (Lévy, 1939; Lévy, 1965a; 1965b; Ganshof, 1965; Gilissen, 1965; Fiorelli, 1961; Marchetti, 1994). La prova degli indizi è a sua volta fondata di sovente sulle depo-sizioni testimoniali, in numero di almeno due concordanti (Padoa Schioppa, 19672003, 460-484; Garlati Giugni, 1999, 95 ss.). Dai primi interrogatori e deposizioni testimoniali emergono dunque 'voci', che si incrociano nel loro essere concordi su alcuni punti e discordanti nei dettagli, non senza che tuttavia venga sottolineata nei verbali trasmessi il loro convergere su alcune pseudo certezze. Si mette cosi in atto una giustizia celerissima, un procedimento che si potrebbe chiamare sommarissimo per la celerità del suo esito, fondato su una serie di testi-monianze e, infine, sulla confessione di Piazza e Mora. Questa, ottenuta in forza d'interrogatori "addomesticati" per il tramite della tortura, per giungere comunque a una verità processuale, seppure falsa, come dimostreranno gli stessi eventi succes-sivi, funziona ancora una volta da regina probationum (Fiorelli, 1961; Marchetti, 1994) voluta con determinazione e "passione emotiva" da un Tribunale speciale, che si erge a rappresentante di una pubblica opinione, interpretata in senso vendicativo. 437 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Il verbale dell'interrogatorio subito il 30 giugno dal Mora, quando, dopo aver avuto il 27 giugno un confronto con il Piazza senza esito,31 è di nuovo fatto uscire dalle car-ceri per ottenere alfine una confessione, estorta dopo molte sofferenze durante l'esame, reputato dapprima poco soddisfacente dall'accusa, è su questo versante assai significativo ed eloquente ... "Allora, per avere la verità e senza pregiudizio di cui so-pra, fu ordinato di condurlo al luogo dei tormenti e qui di spogliarlo, legarlo, attac-carlo alla fune e di sottoporlo alla tortura mediante il canape [...] Fu, dunque, imposto che fosse spogliato, legato alla fune con il braccio sinistro e al canape con quello destro, e altresi, rivestito degli indumenti della curia. Sollecitato a dire la verità di cui sopra e senza pregiudizio, e non altrimenti [...] rispose. 'Ho detto la verità '. Applicata la legatura del canape, si ordino che fosse stretto, come fu subito fatto. Incomincio a gridare [...] Oh Dio mi! Non ho cognizione di colui, né ho mai avuto pratica con lui, e per questo non posso dire, e per questo dice la bugia che sia praticato in casa mia, né che sia mai stato nella mia bottega [.] 'Invocando' [.] oh Dio mi! Gesù Maria sia sempre in mia compagnia [... ] son morto, son morto, son morto, misericordia mio signore son morto, misericordia. 'Incalzato a dire la verità come sopra. Incalzato a dire la verità di cui sopra' [...] 'Ancora incalzato come sopra, grido dicendo' son morto, son morto, [...] lasciame andare, lasciame andare [...] Vedete quello che volete che dica che lo diro [...] Vostra Signoria veda quella che la vuole che dica lo dirá. 'Dettogli', che si ricerca la verità solamente rispose. Gli ho detto un vasetto pieno di brutto, cioè di sterco, accio imbrattasse le muraglie al commissario Piazza [.] 'E dice ' (Dicens) [.] mi lascia giù che diro la verità. 'Fu, dunque, comandato che fosse deposto, come di fatto fu deposto e messo a sedere' [...] 'Interrogato' che dica questa verità, rispose '. Vostra Signoria mi faccia disligare questo braccio, vostra signoria mi faccia disligare, che diro tuta la verità. 'Dettogli', che incomincia a dire, 'rispose '. Era sterco umano, smolazzo perché me lo dimando lui cioè il commissario per imbrattare le case, e di quella materia, che esce dalla bocca de 'morti, che sono su i carri. 'Interrogato ' da chi ha avuto la materia suddetta delli morti condotti sopra li carri, 'rispose '. Me l'ha data detto commissario Piazza, il quale me ne diede un vasetto, il quale resentai poi nella caldara, che è là in casa mia nel fornello, e detto vaso poteva tenere una libra di robba, e me ne ha dato un vaso solamente, e saranno circa dieci giorni, inanzi che io gli dessi il vaso a lui, e trattassimo di questo sopra il corso di porta Ticinese lui, ed io solamente, et mi disse che li facessi questa composizione, perché lui avrebbe lavorato assai, poiché si sarianno ammalate delle persone assai, et io avrei guadagnato assai con ilmio elettuario [...] 'Interrogato' se di detto negotio ha parlato con altri, e se ha dato ad altri di detta materia, rispose. Signore no.[...] 'Interrogato' se vi sono altri complici in questo negotio, ' rispose '. Vi saranno li suoi compagni del Piazza, i quali 31 ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 56-57; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 27-29; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 75-79. 438 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 non so chi siano [...J 'E parendo soffrire assai, si comandó che fosse deposto pian piano, sciolto e vestito con ipropri abiti'"(Farinelli, Paccagnini, 1988, 232-235).32 Ma ancor più eloquente è la ritrattazione del giorno successivo: interrogate di nuovo "se ha cosa alcuno d'aggiongere all'esame, e confessione sua, che fece hieri dopo che fu ommesso da tormentare, 'rispose '. Quello unguento, che ho detto, non ne ho fatto minga, e quello che ho detto, l'ho detto per i tormenti. 'Dettogli', che lasci da parte questa fuga, poiché la confessione sua è stata adminiculata, che non ha ora cosa da metterla in dubbio, e perció dica per qual causa si retira dalla verità già deposta, altrimenti per averla si verrà contro di lui a i tormenti, cosí ricercando i termini di giustizia, 'rispose'. [...J Replico, che quello che dissi peró non è vero niente, e lo dissi per i tormenti [...J 'Interrogato' che si risolva or mai da dire se l'esame che fece hieri, e il contenuto in esso è vero, 'rispose, In conscienza mia, non è vero niente". Di nuovo sottoposto a tortura, conferma la sua precedente deposizione (Farinelli, Paccagnini, 1988, 235-237).33 E tuttavia sembrano non mancare le misure e gli atti, espressione dello spirito garantistico del tempo, del tutto affievolito a confronto con quello che ispira oggi il diritto di difesa dell'imputato, ma pur sempre presente: il 1° luglio il Senato, pubblicato il processo, stabilisce che al Mora e al Piazza siano concessi tre giorni di tempo per le difese, non obbligatorie, in sostanza dal martedi 2 luglio alla domenica 7 "et non ultra" perché il 2 è concessa una dilazione di ulteriori due giorni, che si aggiungono ai tre di rito; il 2 luglio Mora sceglie come proprio difensore il notaio Mauro, che declina l'incarico "perché prima sono notaro criminale a chi non conviene accettar patrocinii, et poi anche perché non sono né procuratore, né avvo-cato,"pur dichiarandosi disposto a parlare all'imputato "per darligusto": subito dopo il colloquio con l'imputato, il 4 compare Giovanni Battista Cislago in veste di difensore del Piazza, chiedendo di poter accedere alla documentazione processuale.34 Il 21 luglio 1630, in seguito al supplemento d'indagine dei venti giorni precedenti, si perviene ad un'altra publicatio processus nei confronti di Gian Giacomo Mora con l'assegnazione di un nuovo termine di soli due giorni ad suas faciendum defensiones e la scelta dei difensori, si che Mora "pro eius defensione ellegit una cum pro-tectoribus Galeatium Dossum": i protettori dei carcerati dovevano provvedere isti-tuzionalmente proprio a questo compito (di Renzo Villata, 2009a; G. F., 1909; Biffi, 1880; 1881; 1882; 1884; 1885; Orefice, 1985, spec. 31; Olivieri Baldissarri, 1985; Liva, 1990; Capra, 2002, 104-105). Con rito analogo e nello stesso giorno segue la 32 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 75-84; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 76-83; BNB, AB.Xffl.32: Processo, 1633, 30-36; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 80-90; ASMi, Acquisti 3: Processo, 59-67, con varianti. 33 BNB, AB.Xffl.32: Processo, 1633, 36; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 86-87; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 67-71, con varianti di qualche rilievo. 34 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 99-100; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 90, 96, 99; BNB, AB.XIH.32: Processo, 1633, 39. 439 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 publícatío processus contro Piazza: a entrambi è perció offerta la possibilità di avere tra le mani un'aggiornata copia degli atti del processo sino a quel momento (Farinelli, Paccagnini, 1988, 161, 165, 238-246, 308).35 Se si guarda poi a ció che accade nell'agosto 1630 con Giovanni Stefano Ba-ruello, consegnatosi spontaneamente alle autorità fin dal 1° luglio 1530, appena fatto il suo nome nel processo, alla consueta assegnazione del termine di tre giorni per le difese si aggiunge un'ulteriore proroga di sei giorni; il difensore presenta il 26 le eccezioni "quíbus multa in iure allegavit", e di seguito è concessa l'impunità, a patto che fornisca utili informazioni agli inquirenti circa altri complici (Farinelli, Paccagnini, 1988, 355-356, 361 ss.).36 Quanto al Piazza e al Mora, è del 27 luglio la sentenza del Senato che condanna a morte i due e ordina un'esecuzione 'esacerbata' da una serie di pene, fino alla di-spersione delle ceneri nel fiume, ma, prima che questa sia eseguita, i due sventurati sono sottoposti a nuovi interrogatori per ottenere deposizioni sui complici, con l'ausilio 'necessario' della tortura (Fiorelli, 1953, 256-270).37 La sentenza inquietante (Spiriti, 2005c, 63) di condanna alla ruota dei due principali inquisiti, Guglielmo Piazza e Mora, è eseguita ai primi di agosto del 1630 (probabilmente il 1° agosto),38 mentre il presunto mandante non subisce identica sorte. La tortura fa la sua frequente comparsa negli atti del processo con formule macabre dal momento dell'ordine dall'alto, passando per la pressione psicologica eser-citata sul torturando, evidente nella sua 'buona' disposizione' a parlare pur di evitare le conseguenze dolorose del suo silenzio e nel timore palpitante di una reiterazione dei tormenti se gli accusatori non si fossero 'accontentati' delle risposte date, fino all'esecuzione e alla sua applicazione, talora solo a purgare l'infamia. Cosi il 12 35 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 192; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 157-158; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 68-69; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 145-147; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 136-138. 36 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 240; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 229; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 24; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 200201; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 201-204. 37 ASMi, 136 ss.; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 146-156. 38 Farinelli, Paccagnini, 1988, 166, 326; BAMi, ms. B. 228: Registro de' giustiziati della nobilissima scuola di S. Giovanni Decollato detto alle Case Rotte dall'anno MDCLXXI in avanti; 2, sub anno, BAMi, ms. S.Q. +I. 6-9 (4 volumi): Sentenze capitali raccolte dal padre Frate Benvenuto di Milano (1471-1767), 262-263; 4, sub anno: 31 luglio; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo de' Giustiziati nella Città e Stato di Milano dall'anno 1471 inchiusivamente in avanti cioè fino all'anno 1783 (Elenco cronologíco delle persone state gíustízíate nella Città e Stato di Milano dall'anno 1471 al 1783), sub anno; BAMi, ms. L. 11 suss.: Registro de' giustiziati assistiti dalla veneranda e nobilissima scuola di S. Giovanni Decollato detto delle Caserotte che incomincia l'anno 1471 sino alla fine della soppressione della scuola; e annullazione del Senato eccelllentissimo sotto il governo di questo Stato Giuseppe secondo imperatore e nostro duca 1786 sub anno, il 2 secondo BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 171; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 75; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 157; e ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 49: "Die 2 Augusti 1630. 440 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 agosto 1630 "Fuit per Illustrissimum Vice presidem Senatus Excellentissimi ordi-natum esse dictum Hieronimum Miliavaccam torturae subiiciendum super contra-rietatibus et inverisimilitudinibus adhibita etiam ligatura canabis"; "Iterum exami-natus dictus Hieronimus Miliavacca coram Egregio D. Auditore, et suo iuramento Dixit, diro per risparmiare li tormenti tutto quello posso dire [...J Respondet se dico la verità, V. S. mi vole tornare a far tormentare. Dettoli, che non guardi a questo, ma dica la verità, che per rispetto de tormenti se li usarà quella cortesia, che sarà di giustizia ..." (Farinelli, Paccagnini, 1988, 330-331);39 e ancora Gian Giacomo Mora, interrogato, ormai condannato a morte, sottoposto a tortura ed estorte le sue deposizioni "dum stringeretur": "Et sic tortura purgavit infamiam et denuo dixit, quello che ho detto è vero, né ho aggravato alcuno indebitamente" (ASMi, 144; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 148-153). "Et tortura servatis servandis purgavit infamiam ec. omniaque per eum fassa ratificavit, et protestatus fuit se neminem indebite gravasse " (Farinelli, Paccagnini, 1988, 331-337);40 e ancora, a proposito di un altro interrogatorio con le medesime costrizioni: "Et licet squassatus ter aliud ab eo haberi non potuit" (BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 556; ASMi, 481). Il limite di tre volte, fissato per ragioni 'umanitarie' alle sedute di tortura, sembra rispettato (Bossi, 1562, 200; di Renzo Villata, 1996). Di fronte al male incombente, del quale, tra medici luminari e pseudo-luminari, non si riesce ad individuare con assoluta certezza la genesi per non parlare dei rimedi, si sceglie di placare la popolazione trepidante, costernata e prossima al crollo psicologico ( "Allora fu che il popolo furiosamente si rivolse a ogni eccesso di demenza. Ne ' disastri pubblici la umana debolezza inclina sempre a sospettarne cagioni stravaganti anzi che crederle effetti del corso naturale delle leggi fisiche": Verri, 2002, 420; Verri, 2010, 46) con un'azione foriera anch'essa di morte. È la prova, fornita alla folla, di una giustizia-terrore-spettacolo, espressione e volto di un sistema consolidato, applicato, nel caso, secondo i principi guida e i percorsi standardizzati creati da giuristi e legislatori per identificare un colpevole o i colpevoli, con tutti gli strumenti messi loro a disposizione e manipolati in rapporto alle necessità del momento. I giustiziati si ergono cosi, nel processo agli untori, a vittime sacrificali offerte al pubblico, per dare una rappresentazione in qualche misura razionale, comprensibile alla massa che vuole, a tutti i costi, trovare una causa, di calamità naturali man mano più letali e catastrofiche anche in forza dell'intervento umano, di azioni spesso involontarie degli uomini, produttive di più gravi effetti di contagio (Sighele, 1985). 39 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 219-226; BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 180-183; BNB, AB.XIII.32: Processo, 1633, 79 ss.; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 163-175; ASMi, Acquisti 3: Processo, 156-159. 40 BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 195; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 171; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 175. 441 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 Nel guidare la macchina processuale verso l'esito scontato Manzoni pone sul banco degli imputati i giudici (Manzoni, 2002, 4-8: testo definitivo; 225-227: prima redazione; di Renzo Villata, 2009b, 10 ss., 22); Verri invece 'condanna' il sistema d'ancien régime, colpevole, con i suoi strumenti intrínsecamente ingiusti, esemplati soprattutto dalla tortura (Verri, 2002, 459-488, Verri, 2100, 94-133; Garlati, 2009, 33-38), di avere provocato agli uomini infiniti ingiustificati dolori. Nei giorni successivi all'esecuzione di Piazza e Mora lo stritolante diabolico congegno, messo in moto da poco meno di trenta giorni, continua a funzionare. Gerolamo Migliavacca, dopo un interrogatorio sotto tortura e la ratifica in data 13 agosto della confessione infine fatta, presente il causidico Francesco Baratelli, pro-ferite le formule d'uso riguardo ai testimoni, dati "pro repetitis et confrontatis", dispone di tre giorni per le difese, di cui perô non usufruisce; il 19, dopo la relazione in senato dell'Uditore Gaspare Alfieri, è proferita la sentenza di condanna a morte con le medesime modalità d'esecuzione previste per il Piazza e il Mora, non senza che in Senato si richieda a carico del Migliavacca una nuova seduta di tortura per ottenere informazioni utili ad individuare "aliis et complicibus".41 Passano i mesi, i processi proseguono portando ad altre esecuzioni; muoiono, in forza della 'violenza' della giustizia, Giacinto Maganza, già il 5 agosto,42 Giacinto detto il Frate,43 Girolamo Migliavacca il 21 dello stesso mese44 e Gaspare il 23 dicembre,45 Francesco Manzone, Caterina Rossana, Giovanni Andrea Barbero, Giovanni Battista Bisuchino, Martino Recalcati,46 Pietro Girolamo Bertone, Giovanni Paolo Rigotto, oltre a Giovanni Battista Farletta,47 mentre il personaggio principale, supposto motore delle unzioni manufatte (Cordero, 1984, 117 ss.), pur detenuto in prigione, a Pizzighettone, da metà luglio del 1630, non ha ancora concluso il suo percorso esistenziale a differenza dei presunti complici; a lui, ricco, nobile, è con- 41 BNB, ms. Manz. XIII. 105: Estratto I Verri-Manzoni, 239; BNB, Manz. XIII. 28: Processo, 1839, 159-181; ASMi, Acquisti 3: Processo degli untori, 171-172. 42 BAMi, ms. B. 228: Registro ..., sub anno; BAMi, ms. B. 270 suss.: Giustizie, ossia sentenze capitali eseguite in Milano dal 1471 al 1783, sub anno; BAMi, ms. S.Q. +I. 6-9 (4 volumi): Sentenze capitali raccolte dal padre Frate Benvenuto di Milano (1471-1767), 263; BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico delle persone indicate nell'elenco de' Giustiziati, sub anno, sub anno; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 43 BAMi, ms. S.Q. +I. 6-9 (4 volumi): Sentenze, 263; BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico, sub anno; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 44 BAMi, ms. S.Q. +I. 6-9 (4 volumi): Sentenze, 263; BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico, sub anno; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 45 BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla, 1, 217; BAMi, ms. S.Q. +I. 6-9 (4 volumi): Sentenze, 263; BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico, sub anno; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 46 BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico, sub anno; BAMi, 5 ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 47 BAMi, ms. G. 126 suss: Indice alfabetico, sub anno; BAMi, ms. G. 127 suss: Catalogo ... (Elenco cronologico ...), sub anno. 442 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 sentito di usare degli strumenti forniti dal sistema secondo ritmi più ragionevoli, in un clima di relativa serenità. Dalla lettura dei documenti sullo svolgimento del processo a carico di Don Gaetano de Padilla, in prigione dal 25 luglio 1630 (uno snodo delicato è intorno al 24 luglio 1631), si ricava l'impressione di una maggiore aderenza al modello processuale a noi conosciuto per il tramite della dottrina di diritto comune. Il 24 luglio 1631 incominciano infatti le Defensiones Don Ioannis Gaytani de Padilia, sviluppate in maniera non superficiale e attente al minimo particolare, fondate su una serie assai articolata di capitoli, volti a seguire i viaggi e gli spostamenti dell'accusato, in una ricostruzione dei fatti presentata ai giudici a dimostrare, con l'ausilio delle testi-monianze via via raccolte su ciascuno dei capitoli di prova elencati, l'innocenza dell'imputato (BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto I de Padilla 2, 15-18). Cosi, per esempio, uno dei primi elementi che emergono è la questione del corpo del reato: "sine corpore delicti non fit inquisitio", recitano i criminalisti dell'età intermedia. Nel caso di specie sono menzionati, a proposito dei dati emersi nel corso dell'indagine inquisitoria, sviluppatasi a metà '30, i due vasetti contenenti l'unto necessario per realizzare le unzioni sui muri delle case milanesi, al centro della perquisizione nella bottega del Mora. Si controbatte, si rintuzza perciô la versione dei fatti, registrata negli atti del processo, per dedurne che il contenuto dei vasetti non corrisponde a nulla di velenoso. Il difensore, perciô, proprio alle prime battute della sua difesa, mette in campo un argomento preliminare per poi passare alla pre-sentazione dei capitoli da far ammettere dall'organo giudicante, sui quali i testimoni, indicati a favore del reo, devono essere esaminati Come di prassi, il manoscritto dell^s/ratto del processo contro gli untori, passato per le mani di Verri e di Manzoni, registra il contenuto dei capitoli o articoli pre-sentati. Nel caso di Don Giovanni Gaetano de Padilla versano, in prima battuta, sugli spostamenti del giovane figlio del Castellano a partire dal 4 marzo 1630 per circa quattro mesi, anzi fino al 19 luglio (il 21 giugno si era verificato l' avvistamento dell'imputato da parte dei testimoni sentiti poco dopo, che avevano poi riferito dei suoi movimenti e degli incontri fatti - come è stato già precisato), ad eccezione dei giorni in cui era stato dal padre in Castello, cioè il Castello Sforzesco, senza mai uscirvi, e si incentrano sulla sua presenza all'assedio di Casale quale militare impegnato con la massima diligenza, valore e coraggio nell'impresa, sprezzante del pericolo e valido oppositore "alle sortite dei nemici per servitio di S.M.", non perciô presente a Milano nei giorni in cui era stato "avvistato" (BNB, ms. Manz. XII. 6566: Estratto I de Padilla, 2, 18). Si succedono ben diciassette testimoni che, "con giuramento", come era "con-suetudo in civitatibus Lombardiae" (Bianchi, 1583, f. 6; Garlati Giugni, 1999, 111 ss., 120 ss.), diversamente da quanto avveniva in diverse altre parti d'Italia, in piena consapevolezza dell'importanza delle loro dichiarazioni, delle conseguenze dello 443 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 spergiuro e della tortura congetturabile in caso di varietas, vacillatio, contrasto di dichiarazioni (Fiorelli, 1953, 256-270; Bassani, 2007; 2009b; Langbein, 1956), interrogati sui singoli capitoli "sulla negativa", attestano con grande ricchezza di dettagli la presenza del giovane Commissario all'accampamento e nei luoghi indicati nei capitoli, e perció la sua assenza a Milano. Si apre uno spaccato di storia, l'assedio di Casale nel Monferrato, territorio piccolo ma importante nella scacchiera degli assetti di potere dei grandi sovrani dell'età moderna, che rivela ai nostri occhi una petite histoire fatta di uomini capaci di stringere vincoli di stima e amicizia, stretti dai bisogni conseguenti alla guerra, spinti a chiedere ospitalità e vitto al conoscente perché privi di mezzi di sostentamento, disposti a cedere al risentimento scaturente da una condotta ostile dell'indagato verso di loro pur di non tradire la lealtà verso il soldato ed evitare per lui ingiustificate conseguenze letali. È il caso del sedicesimo teste a discarico, lo spagnolo Bartolomeo Oietti, "dicens Dio perdoni a chi ha fatto questo male a questo cavagliere, perché se bene io ho ricevuto agravio da lui perché mi ha levato la tenenza sua al torto avendolo io servito honoratissimamente non posso di manco, che non dica la verità che questo cavagliere non è mai mancato in tutta la campagna solo che questo Mercordi Santo, et il giorno di S. Pietro che parti con licenza del Sig. Don Ferdinando de Ghivarra [...] Don Giovanni non si è partito mai dalla sua compagnia, eccetto che li giorni che ho deposto et se è altrimenti il Diavolo porti via me, et quanti Diavoli sono nell'inferno perché lui non ha mai mancato, ma sempre è stato nella compagnia sino al giorno, che fu messo prigione " (BNB, ms. Manz. XII. 65-66: Estratto / de Padilla, 2, 59 ss., spec. 60-62). Altri, o ancora gli stessi sono esaminati sugli ulteriori capitoli, aiutando a co-struire con ricchezza di informazioni la personalità dell'imputato, l'ambiente che si muove intorno a lui e l'impossibilità - lasciatemi dire - pienamente accertata secondo gli strumenti investigativi dei secoli passati, di una sua presenza e operatività nei giorni indicati dalla frettolosa indagine dell'anno prima. Non manca nell'autodifesa il richiamo di ceto, sintetizzato nella rievocazione dei valori comuni ispirati al senso del dovere, correlato alla mercedes: "Come [o Come!: Manzoni, 1987, 193], un huomo di mia qualité, che ho speso la vita in servitio di Sua Maestà, in difesa di questo Stato, nato da huomini che hanno fatto l'istesso, havevo io da fare, né da pensare cosa, che a loro, né a me portasse tanta nota ed infamia?" (Manzoni, 2002, 141). La scorsa da me data agli atti processuali, assai ricchi di contenuto sotto svariati angoli d'osservazione, non puó certo dirsi esaustiva sul versante delle testimonianze in essi registrate. Esse sono a dire il vero moltissime e perció ho preferito in questa sede darne solo qualche esempio. Ció serve tuttavia a porre in evidenza il ruolo nevralgico giocato da questo strumento di prova, impiegato in larga misura dai giudici con lo scopo, ricordato con una monotonia quasi imbarazzante agli occhi di noi moderni, di conoscere la verità, perseguita ad ogni costo e con ogni mezzo come 444 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 obiettivo di una giustizia terrena. Che siano esse de visu o, quasi più spesso nel caso di specie, de auditu, svolgono la funzione di preparare il terreno alla successiva fase offensiva del processo fornendo al giudice indizi più o meno probanti, remoti o prossimi o altrimenti rilevanti, ma da sommare, attraverso combinazioni perverse, per l'allestimento del castello accusatorio contro l'imputato, sino a 'provocare' una sua confessione. Per concludere: due volti dell'umana giustizia: vediamo in funzione dapprima una giustizia 'politica' (Spiriti, 2005a, 2005b, 2005c; 2009), approssimativa, che gira nei suoi meccanismi ed ingranaggi, talora diabolici, ad una velocità tutt'affatto differente secondo le contingenze e sotto la spinta degli eventi drammatici incombenti, non selettiva, pronta a colpire in forza di flebili indizi per cosi dire nel mucchio, badando soprattutto ad individuare nel più breve tempo possibile, dei plausibili colpevoli, in forza di una serie di testimonianze pur tendenzialmente concordi ma di manifesto scarso peso ed attendibilità per il loro processo genetico, viziate, ai nostri occhi smaliziati, da molteplici carenze oggettive e soggettive. A questa giustizia bendata subentra in seguito una giustizia più riflessiva, che usa gli stessi strumenti probatori, adoperati in specie tra il giugno e il luglio del 1630, ma, con tempi più dilatati, ormai liberata dalla morsa coercitiva dei fatti incalzanti -la peste scema e il terrore generale si allenta - misura più attentamente la verità delle accuse, alla luce di testimonianze attendibili e comprovate, e giunge infine ad una piena assoluzione, con una formula che, diversa da quelle spesso usate del rebus sic stantibus, vuole porre fine alla vicenda, il 28 giugno 1633, a tre anni e sette giorni dai primi atti del processo agli untori. Tra verità politica, verità processuale e verità storica, la verità storica sembra, alla fine, prevalere e coincidere, secondo un parametro di valutazione che non si puô non condividere, con la processuale, almeno stando ai fatti di quella piccola-grande storia che coinvolse un pugno di uomini della Milano secentesca. PROCES PROTI OKUŽEVALCEM PO MANZONIJU IN PRIČEVANJA (ALI DVA OBRAZA ČLOVEŠKE PRAVIČNOSTI) Maria Gigliola DI RENZO VILLATA Univerza v Milanu, Pravna fakulteta, Oddelek za zasebno pravo in zgodovino prava, Odsek za zgodovino srednjeveškega in novoveškega prava, via Festa del Perdono, 7, 20122 Milano, Italija e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it POVZETEK Ob koncu dvajsetih let 17. stoletja je Lombardijo pretresla epidemija kuge, ki je za sabo pustila ogromno žrtev. Postopoma se je razširilo ljudsko verovanje, ki je 445 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: IL PROCESSO AGLI UNTORI DI MANZONIANA MEMORIA ..., 419-452 izvor "morije" pripisalo mazaštvom, torej dejanjem posameznikov - mazačev, ki naj bi raznesli okužbo s tem, da so po hišah Milančanov razmazali posebne strupene mešanice, zmožne povzročiti kugo. Domnevne krivce za te nečednosti so identificirali in prišlo je do procesa, ki je potekal leta 1630 po načelih običajnega inkvizicijskega prava (utemeljenega na sistemu pravnih dokazov) in se je opiral na široko uporabo pričanj, kakor tudi na njihovo "deviantno" izrabo z namenom, da bi se na tak ali drugačen način dokopali do procesne resnice. Zato v razpravi analiziramo zbrana pričanja, ki so se v sočasnih virih ohranila do današnjih dni in so predmet rekonstrukcij v delih Opažanja o mučenju, ki ga je v 18. stoletju napisal Pietro Verri, ter Zgodba o zloglasnem stebru, ki ga je v 19. stoletju napisal Alessandro Manzoni. Kmalu se nam razkrijeta njihova (po sodobnih merilih) nedokazilna narava in rušilni učinek kasneje izvedenih smrtnih kazni, katerih žalostni sloves so Milančani pomnili skozi stoletja zaradi spomenika Zloglasnega stebra. Ključne besede: pričevanje, proces običajnega prava, Milano FONTI E BIBLIOGRAFIA ASMi - Archivio di Stato di Milano (ASMi), ms. 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