07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 114 RAZPRAVE Linda Pisani, Pisa APPUNTI SU AGNOLO DI POLO Se per il pubblico dei visitatori dei musei Agnolo di Polo è un «Carneade», per gli specialisti di scultura rinascimentale è sinonimo di un’arte schematica, vincolata ad un numero limitato di stereotipi e quasi priva di grazia, ed anche di un terreno impervio, ancora fitto di problemi irrisolti. Devo perciö la mia curiositä per Agnolo alla segnala-zione di una scultura attribuitagli,1 esposta alcuni anni addietro presso un antiquario fiorentino, ed opportunamente commentata da Alfredo Bellandi.2 Il Bellandi, sostenendo il riferimento ad Agnolo di questa raffinata santa Caterina in terracotta policroma (fig. 3), auspicava un nuovo studio sull’artista che ne mettesse finalmente in luce le doti non comuni di plasticatore e la complessitä intellettuale, contestualizzando-lo nella Firenze di primo Cinquecento. Agnolo nasce a Firenze intorno al 1470, come si ricava dalle indicazioni delle portate al Catasto del padre, e scompare nel 1528, probabilmente a causa della pestilenza diffusasi ad Arezzo l’anno pre-cedente. La sua attivitä, esclusivamente da plasticatore, si svolge tutta in Toscana, tra Firenze, Pistoia, Prato ed Arezzo.3 È ben noto il giudi-zio che ne dà il Vasari nell’edizione giuntina della Vita di Andrea del Verrocchio: «Fu suo allievo ancora Agnolo di Polo, che di terra lavorö 1 Un grazie dunque a Guido Tigler e a Massimo Vezzosi. Nel corso del lavoro ho potuto contare sull’aiuto, prestatomi a vario titolo, di Roxanne Peters, Kathleen Wren Christiansen, e Nicoletta Baldini. Desidero inoltre ringraziare Francesco Caglioti e Giancarlo Gentilini per aver accettato di discutere con me alcuni punti di questo contributo. 2 Alfredo Bellandi, Agnolo di Polo. Santa Caterina d’Alessandria, Opere scelte (ed. Massimo Vezzosi), Firenze 2002, pp. 19-23. Oggi la statua è parte della collezione milanese di Alessandro Cesati che ringrazio per la corte-sia dimostratami. 3 Agnolo attende ancora una sua convincente ricostruzione nonostante che la monografia di Lorenzo Lorenzi, Agnolo di Polo. Scultura in terracotta dipinta nella Firenze di fine Quattrocento., Ferrara 1998, ne ponga alcuni presupposti. Come asserisce il Gentilini nell’introduzione alla stes-sa monografia (ibidem, p. 6) è proprio sul terreno della committenza e collaborazione con le botteghe robbiane che la ricerca sembra presentare le maggiori difficoltä ed anche aprirsi a prospettive inedite. 114 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 115 RAZPRAVE molto praticamente et ha pieno la cittä di opere di sua mano; e se aves-se voluto attendere all’arte da senno, arebbe fatte cose bellissime».4 All’etä di dieci anni entra nella bottega del Verrocchio che poco tempo dopo, almeno dal 1486, si trasferisce a Venezia, lasciando a Firenze il fidatissimo Lorenzo di Credi. Per capire il percorso di Agnolo disponiamo di opere certe appartenenti all’esordio ed al termine della sua carriera. Al 1495 ed al 1498 si datano infatti due sculture destinate a sedi pistoiesi: una Mad-dalena conservata nella collezione del Metropolitan Museum di New York ed un Busto di Cristo al Museo Civico di Pistoia (fig. 1). Anche se il Cristo di Pistoia ha il suo punto di partenza in un’invenzione verrocchi-esca e si inserisce in un filone che avrä grande fortuna fra Quattro e Cinquecento, le linee secche e bloccate che vi si ravvisano, il volto anoni-mo e l’attenzione ai dettagli decorativi, comune anche alla Maddalena, stentano a trovare un corrispettivo esclusivo nel linguaggio del Verrocchio e giustificano l’esigenza giä avvertita dalla critica di chiamare in causa anche altri riferimenti culturali, come Ghirlandaio ed il Credi.5 Parimenti, la produzione di busti di Cristo, che fino a poco tempo fa gli veniva ricondotta quasi in blocco, oggi annovera piü meditate ripartizioni fra i vari autori che vi si cimentarono sin dagli anni set-tanta del XV secolo, come Gregorio di Lorenzo, Matteo Civitali, Pietro Torrigiano e l’ancor anonimo, dal tono aspro e pollaiolesco, «Maestro del Bigallo».7 Alla fine della carriera, lo stile di Agnolo è invece esem-plificato dalla decorazione della Cappella Spadari nella chiesa della Santissima Annunziata di Arezzo (fig. 2) e da almeno un’altra opera 4 Giorgio Vasari, Le Vite de’ piü eccellenti pittori, scultori ed architettori, nelle redazioni del 1550 e del 1568 (edd. Rosanna Bettarini - Paola Baroc-chi), III, Firenze 1971, p. 543. 5 È quanto viene fatto in primo luogo da Anna Padoa Rizzo, Per la scultu-ra a Pistoia tra ‘400 e ‘500. Nuove proposte, Antichitä Viva, XXXIV/5-6, 1995, p. 23. 6 Ancora un po’ confusa è la presa di posizione di Lorenzo Lorenzi, Un busto di Cristo di scuola verrocchiesca, Ceramica Antica, XIII/5, 2003, pp. 16-23. 7 Per un’indagine accurata su questo plasticatore il cui catalogo com-prende i busti di Cristo al Museo del Bigallo di Firenze, al Museo dioce-sano di San Miniato al Tedesco e quello giä in collezione Botticelli a Firenze cf. Lorenzo Lorenzi, Il Maestro del Bigallo e la bottega di Andrea del Verrocchio, Ceramica Antica, XI/1, 2001, pp. 50-65. 115 O 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 116 RAZPRAVE 1. Agnolo di Polo, Busto di Cristo, Pistoia, Museo Civico 2. Agnolo di Polo, Madonna col Bambino, Arezzo, chiesa della Santissima Annunzi-ata, Cappella Spadari aretina riferitagli dal Bellandi;8 qui i panneggi si increspano, i volti si infittiscono di rughe e tratti realistici, e l’umanità somiglia assai di piü al mondo «eroico» descritto dal Verrocchio. Il cambiamento si spiega con la frequentazione di Giovanni della Robbia, prima sensibile alla lezione del Verrocchio tanto da rendersi fedele testimone di alcune sculture realizzate da Andrea, ma non arrivate sino ai nostri giorni, come la Giuditta con la testa di Oloferne,9 e poi in grado di registrare ulteriori sollecitazioni provenienti dalle nuove generazioni. Come afferma ancora 8 Cioè la Madonna col Bambino nell’oratorio suburbano di San Lazzaro. Cf. Alfredo Bellandi, Terracotte dipinte e rilievi in stucco del Rinasci-mento ad Arezzo, Atti e Memorie dellAccademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze, LVI, 1994, pp. 375-430. 9 Per la scultura perduta e la raccolta di statuette che la riproducono vedi Francesco Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del David e della Giuditta, Firenze 2000, pp. 257-259. Una campionatura accurata è disponibile in Wilhelm Tschermak von Seysenegg, Die Judith von Giovanni della Robbia, Keramos, 114, 1986, pp. 27-36 e Id., Die Judith von Giovanni della Robbia. Nochmals. Eine Weitere Replik in Dresden, Keramos, 123, 1989, pp. 67-70. 116 O 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 ^Page 117 RAZPRAVE il Bellandi, «l’innesto di Agnolo nella nuova cultura classicista del pri-mo Cinquecento avviene attraverso Giovanni della Robbia, un grande protagonista di questa nuova stagione». E, del resto, anche il verrocc-hismo di Giovanni sembra esser rinfrescato dalla familiaritä col piü giovane rampollo del maestro. Sin dagli studi pionieristici dedicati ai Della Robbia da Allan Marquand, sappiamo infatti che il 16 ottobre 1517 Agnolo riceve per conto di Giovanni della Robbia un pagamento relativo ad una «Tavola del Sacramento», oggi perduta, ma realizzata fra 1513 e 1517 per il convento mugellano del Buonsollazzo.10 Giancar-lo Gentilini ravvisa infatti la partecipazione di Agnolo ad alcune impre-se condotte in prima persona da Giovanni, come la decorazione di alcune delle cappelle del Sacro Monte di San Vivaldo nei pressi di Mon-taione (1500-1513/6; fig. 8) e la Sepoltura di Cristo nella chiesa di San Salvatore al Monte (1509).11 Altre opere spettanti ad Agnolo nel primo decennio del Cinquecento, ed attribuitegli soltanto negli ultimissimi anni, ne confermano un livello di qualitä notevole: mi riferisco in par-ticolare ad un imponente busto di san Zanobi in una collezione priva-ta fiorentina (fig. 9), e ad un busto di san Giovanni Battista al Museum of Fine Arts di Detroit.12 10 «E piü adj decto [16 ottobre] soldj cinquanta decti ad Agnolo di Polo per conto di Giovan(n)i della Robia equali vanno in conto del pagamento della tavola del sagramento» (Firenze, Archivio di Stato, compagnie religiose soppresse, ms 4829; cf. Allan Marquand, Giovanni della Robbia, Princeton 1920, pp. 63-66). Con la dicitura «Tavola del Sacramento» si intendeva una tavola d’altare inglobante al suo interno un tabernacolo eucaristico, come testimoniano alcuni disegni riferibili alla bottega di Francesco di Simone ed alcune opere realizzate dalla bottega dei Buglio-ni, per esempio il Tabernacolo del Sacramento con Storie di santa Cris-tina a Bolsena ed il Ciborio fra i santi Pietro e Paolo nella chiesa di San Paolo a La Panca nei pressi di Greve in Chianti. 11 Giancarlo Gentilini, I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinasci-mento, Firenze 1992, II, pp. 282-283. 12 Per l’attribuzione del san Giovanni cf. Anna Jolly, Busto di san Giovanni Battista, in: Allan Phipps Darr - Peter Barnet - Antonia Boström, Catalogue of Italian Sculpture in the Detroit Institute of Arts, I, 2002, pp. 127-128; per il San Zanobi cf. Alfredo Bellandi, Agnolo di Polo. Santo Vescovo (san Zanobi?), Botticelli. La scultura, Venezia 2003, s. p., e Lorenzo Lorenzi, Agnolo di Polo. San Zanobi, Filippino Lippi. Un bellissimo ingegno (Prato, Antiche Stanze di santa Caterina-Museo di pittura murale, 8. 5.-25. 7. 2004, ed. Maria Pia Mannini), Firenze 2004, p. 70. 117 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 ^Page 118 RAZPRAVE La santa Caterina d’Alessandria sul mercato antiquario, dal cui commento prende il via la mia riflessione, viene messa in relazione con una Madonna col Bambino conservata al County Museum di Los Angeles e riferibile al primo decennio del XVI secolo.13 Quest’ultima fa sospettare per lo scultore un’apertura mentale ed una perizia esecuti-va superiore allo standard al quale si associa comunemente il suo nome. La Madonna del County Museum insieme ad in san Giovanni battista adolescente (Figline valdarno, collezione privata)14 testimonia un interesse per il Maestro del san Giovannino ed un contatto con Maestro dei Putti irrequieti, attivo sin dal secondo decennio del Cinquecento.15 Le mie ricerche, i cui esiti passo ad esporre nel seguito di questo contributo, percorrono qualche ulteriore passo nella stessa dire-zione di indagine, attraverso il collegamento di altre testimonianze avvicinabili a questa particolare fase della produzione agnolesca, in cui si riconosce il momento qualitativamente piü felice del plasticatore. Non credo siano necessari troppi confronti fra la santa Caterina d’Alessandria in collezione privata ed un busto di santa, che per alcuni anni è stato depositato al Museum of Fine Arts di Boston ed oggi si trova in una collezione privata americana, per capire che si tratta 13 Come il putto in terracotta sdraiato su un frammento di roccia (Amsterdam, Rijksmuseum) anche il bambino in braccio alla Vergine del County Museum è un omaggio al modello verrocchiesco riprodotto nelle incisioni di Cristofano Robetta (alias Cristofano di Girolamo del Ru-chetta), in due putti in terracotta del Ferrucci, giä al Bode Museum di Berlino, in quelli in collezione privata a Santa Barbara ed in collezione R. E. Adler di New York riferibili al cosiddetto «Maestro dei putti irrequieti», nel piccolo bronzo di inizio Cinquecento al Metropolitan Museum di New York (Rogers Fund 09.155.1) ed infine nella Madonna col Bambino di Zaccaria Zacchi conservata nella chiesa di Sant’Agostino a Massa Marittima. Per molte di queste citazioni (Robetta, Ferrucci) cf. M. W. Kwakkelstein, The use of sculptural models by Italian Renaissance painters: Leonardo da Vinci’s Madonna of the Rocks reconsidered in light of his working procedures, Gazette des Beaux Arts, CXXXIII, 1999, p. 191. 14 Entrambe le sculture sono state attribute ad Agnolo da Giancarlo Gen-tilini in Lorenzi 1998, cit. n. 3, pp. 78-79 e pp. 90-91. 15 Per quest’ultimo cf. l’apertura di Massimo Ferretti, Maestro dei Bambini irrequieti (attivo a Firenze nel secondo e terzo decennio del ‘500). Due Putti in lotta, Per la Storia della Scultura. Materiali inediti e poco noti (Torino, 23. 9.-28. 11. 1992, ed. Massimo Ferretti), Torino 1992, pp. 33-51. 118 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 ^Page 119 RAZPRAVE certamente dell’opera che lo stesso autore ha tratto dallo stesso modello (fig. 6). Il busto era giunto al Museo come dono di Charles Perkins e, nella foto riprodotta per ben due volte dal Marquand, è accompagnato da un cartellino che lo identifica addirittura con un san Giovanni Evangelista. Per il Marquand si tratta di una Maddalena e dell’opera di un assi-stente di Giovanni della Robbia. Tornando a pronunziarsi sulla scultura alcuni anni dopo, lo studioso si spinge ancor oltre, ed ipotizza un qualche, sia pur sfuggente, legame con la Maddalena di Agnolo conser-vata al Metropolitan Museum di New York. Il confronto con la santa Caterina sul mercato antiquario chiarisce anche il soggetto della scultura, evidentemente da riconoscere in un’altra versione della santa-princi-pessa. La corrispondenza palmare quasi di ogni dettaglio e la verifica che l’altezza del busto (35 cm) equivale alla metä esatta di quella della scultura giä a Firenze (70 cm), confermano la derivazione da una stessa matrice ed il taglio traumatico subìto dal busto in tempi relativamente recenti. La matrice in questione, con alcune leggerissime varianti (come l’acconciatura dei capelli), fu riutilizzata almeno in un altro caso giunto sino ai nostri giorni, una santa Caterina - stavolta indiscutibil-mente identificata dalla presenza della ruota e della corona -17 conser-vata nei depositi del Victoria and Albert Museum di Londra (inv. 7604-1861; fig. 4) dov’è catalogata con un generico riferimento alla scuola toscana, possibilmente fiorentina, di secondo Quattrocento.18 La santa 16 Allan Marquand, Della Robbias in America, Princeton 1912, pp. 120, 127 e fig. 51; Id., Giovanni della Robbia, Princeton 1920, pp. 80-81, fig. 42. Il busto infatti è tagliato ben oltre la cinta, circa a metä della figura intera. 17 Resta un mistero a quale scultura si riferisse il Marquand 1920, cit. n. 16, p. 81, elencando fra le opere riferibili a Giovanni un busto di Maddalena conservato al Victoria and Albert Museum e simile alla Maddalena di Boston. 18 John Pope-Hennessy - Ronald Lightbown, Catalogue of Italian Sculpture in the Victoria and Albert Museum, London 1964, pp. 208-209, fig. 201. Se totalmente fuori segno appare il riferimento alle Sante Dorotea e Caterina inv. 219-220 del Museo Statale di Berlino operato da Eric Mac-lagan - Margaret H. Longhurst, Catalogue of Italian Sculpture, London 1932, p. 92; risulta invece degno d’attenzione il collegamento con una statuetta raffigurante San Sebastiano ancora al Victoria and Albert Museum (inv. 7618-1861) suggerito da Charles Robinson, Italian Sculpture of the middle ages and the period of the revival of art: a descriptive catalogue of the works forming the above section of the museum, with additional illustrative notices, London 1862, p. 106. 119 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 120 Pag RAZPRAVE 3. Agnolo di Polo (e collaboratore?), Santa 4. Agnolo di Polo (e collaboratore?), Santa Caterina d’Alessandria, collezione privata Caterina d’Alessandria, Londra, Victoria and Albert Museum 5. Epigrafe, particolare della fig. 4. 120 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 121 RAZPRAVE 6. Agnolo di Polo (e collaboratore?), San- 7. Agnolo di Polo, Noli Me Tangere, det-ta Caterina d’Alessandria, ubicazione ig- taglio, Montaione (Firenze), Sacro Monte nota (giä Boston, Museum of Fine Arts) di San Vivaldo Caterina londinese, alta all’incirca come quella «fiorentina» (68,9 cm), condivide con quest’ultima anche il tipo di basamento rettangolare che costituisce un tutt’uno con la scultura, e ci è giunta in buone condizioni di conservazione, se si eccettua una rottura sul collo che ha prodotto la necessitä di un’integrazione. La statuetta doveva esser destinata all’in-serimento in una nicchia, poiché il retro non è lavorato e presenta un grosso grancio utile per fissarla ad un’altra struttura. Proprio sulla fronte del basamento, sotto i piedi della santa, gli estensori delle schede dei cataloghi londinesi, da Eric Maclagan a John Pope-Hennessy, leggono un’epigrafe, «Di. frate. Tom(maso) [lacuna] agli», antica ed in parte abrasa (fig. 5). A questo punto, tornando al percorso di Agnolo di Polo, col quale queste sculture trovano i maggi-ori punti di contatto, non si puö far a meno di notare come esse ben si confrontino, prima di tutto, con alcuni dei passaggi della decorazione delle cappelle del Sacro Monte di San Vivaldo. Il complesso di sculture e rilievi di San Vivaldo costituisce in Toscana l’esempio piü importante di una forma d’arte diffusasi soprattut- 121 O 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 122 RAZPRAVE 8. Giovanni della Robbia, Svenimento della Vergine, dettaglio, Montaione (Firen-ze), Sacro Monte di San Vivaldo 9. Agnolo di Polo, San Zanobi, Firenze, collezione privata to in ambito francescano, principalmente in Italia settentrionale fra Quattrocento e Seicento, e di cui il caso piü famoso è costituito dal Sacro Monte di Varallo Sesia. L’origine dei Sacri Monti, in cui pittura e scultura si amalgamano armonicamente, è da cercare nella richiesta da parte della religiositä popolare di rievocare il pellegrinaggio in Terra Santa, ricrean-do, con il soccorso della suggestione paesaggistica, e con una serie calco-latissima di richiami interni, sia contenutistici che scenografici, le tappe principali della Passione di Cristo.19 Non mi è possibile qui analizzare la storia e lo stato dell’eccezionale complesso di San Vivaldo, ed in questa sede è perciö sufficiente ricordare come il Sacro Monte fosse stato conce-pito sin dall’inizio nei termini di un’impresa collettiva20 messa a punto probabilmente nel primo decennio del Cinquecento.21 19 Magnolia Scudieri Maggi, L’ispirazione devozionale, La Civiltä del Cotto. Arte della Terracotta nell’area fiorentina dal XV al XX secolo (Im-pruneta, maggio-ottobre 1980 Firenze 1980, pp. 106-107. 20 Cos! Gentilini 1992, cit. n. 11, II, p. 283: «Ed è plausibile che lo stes-so Giovanni collaborasse, anche tramite qualche aiuto - come appunto Agnolo di Polo -, ai gruppi plastici, essi pure in terracotta dipinta che po-polavano le trentaquattro cappelle del Sacro Monte francescano di San Vivaldo a Montaione realizzate tra 1500 e 1516 e forse giä entro il 1513, 122 O 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 123 RAZPRAVE Nonostante che molto di questo strabiliante complesso sia ancora conservato in loco, alcune parti di esso furono prelevate per es-ser vendute sul mercato antiquario. Questa fu ad esempio la sorte del pannello con l’Incontro fra Cristo e la Samaritana al pozzo, quando, all’inizio del Novecento, la cappella in cui si trovava fu adibita dai frati all’uso di lavanderia. Finito nelle mani dell’antiquario Volpi, fu acqui-stato negli anni Venti del Novecento dal Museum of Fine Arts di Cleveland, dove tuttora si trova (inv. 1922.210). Proprio questo brano, per la figura della Samaritana, ma anche per alcuni dei personaggi minori (con la sigla verrocchiesca in quella specie di grumo ricorrente nel pan-neggio delle vesti) ben si presta, insieme a ciö che resta del Noli me tangere (fig. 7), ad un confronto con le sculture prese in esame finora22 e testimonia il coinvolgimento di Agnolo nell’équipe che prese parte alla decorazione del Sacro Monte. Dell’allestimento del vastissimo ciclo plastico fu responsabi-le un frate fiorentino di nome Tommaso, che precedentemente aveva trascorso alcuni anni a Creta e forse in Terra Santa, e che morì a Fi-renze nel 1534.23 È anche inevitabile pensare che quando, nel 1509, fra’ Tommaso divenne guardiano del convento fiorentino di San Salva-tore al Monte, si sia ricordato di Agnolo coinvolgendolo per il gruppo ma delle immagini ospitate nelle attuali 17 cappelle, modellate da alme-no cinque diversi plasticatori per lo piü modesti e collegabili anche alla bottega di Benedetto Buglioni, sembra che gli si possa attribuire in modo convincente soltanto lo Svenimento della Vergine». La presenza di Agnolo a San Vivaldo è invece sopravvalutata dal Lorenzi che isola la sua mano in ben quindici gruppi (Lorenzi 1998, cit. n. 3, p. 82). 21 Come noto da molto tempo agli studi su San Vivaldo (cf. da ultimo Gli abitanti immobili di San Vivaldo. Il Sacro Monte della Toscana, Firenze 1987, passim) un terminus ante quem è fissato al 1516 dall’indulgenza concessa dal papa Leone X ai visitatori del Sacro Monte. 22 Gentilini 1992, cit. n. 11, II, pp. 283, 374, 435. 23 Per queste notizie cf. Dionisio Pulinari, Cronache dei frati minori della Provincia di Toscana (ed. Serafino Mencherini), Arezzo 1913, pp. 494-495: «Dopo questo fra Cherubino [Colzi], fra Tommaso da Firenze, santo frate, amö questo luogo e vi durö fatica; nella cui selva ha fabbricate devotissime cappelle e oratori a similitudine dei luoghi della cittä santa di Gerusalemme dove sono tutti i misteri della Passione del Signore» citato da Antonio Paolucci, Il Sacro Monte di San Vivaldo, Antichitä Viva, XIV/4, 1975, pp. 27-40. Cf. inoltre Fausto Ghilardi, San Vivaldo in Toscana, Firenze 1895, passim; Rino Salvestrini, Montaione e la sua sto-ria, Poggibonsi 1997, pp. 125-126. 123 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 124 RAZPRAVE con la Sepoltura di Cristo in cui la sua responsabilitä è giä stata ravvi-sata sulla base dello stile. Le sculture in terracotta dipinta prese in esame in questo contributo parrebbero dunque potersi avvicinare ad un Agnolo di Polo che lavora a stretto gomito con Giovanni della Robbia, giä all’alba del XVI secolo, molto prima di quanto ci rivelava il documento reso noto dal Marquand.24 Altre sculture agnolesche giä note da tempo agli studi possono esser considerate cronologicamente contigue e stilisticamente affini a questa fase: penso, in particolare, ai due Angeli adoranti del Museo civico pistoiese o alla Maddalena e san Giovanni Evangelista dolenti della chiesa dello Spirito Santo nella stessa cittä. Il caso di Giovanni della Robbia e di Agnolo sembra riproporre quella che era stata la realtä di Andrea del Verrocchio e di Francesco di Simone: due coetanei i cui percorsi si intrecciano spesso, pur non essendo esatta-mente in un rapporto di maestro/allievo e pur avendo un potenziale artistico notevolmente diverso. Tuttavia, non vorrei tralasciare anche un’ulteriore possibi-litä legata all’identitä del frate Tommaso citato nell’iscrizione alla base della statuetta londinese. Fra le piü recenti acquisizioni sul percorso di Agnolo vi è anche la scoperta del suo trasferimento a Prato all’esordio del Cinquecento. Ben tre attestazioni documentarie lo ricordano infatti nella cittadina toscana, dove si era trasferito stabilmente, ed era impegnato a realizzare sculture in terracotta per committenze pubbliche e private. In quegli stessi anni, a Prato, lavora anche un certo fra’ Tommasino del convento dei Servi, un ceraiolo del quale sappiamo, purtroppo soltanto dai documenti d’archivio, che modellö i ritratti dei papi Giulio II, Innocenzo VIII ed Alessandro VI per la chiesa pratese di Santa Maria delle Carceri. Quest’ultima era infatti, dopo la chiesa della 24 L’ipotesi di un anticipo ai primi anni del nuovo secolo del legame professionale fra Giovanni ed Agnolo si legge anche in Paola Francioni, La Madonna del Presepe nella Pieve di Terranuova e ... Agnolo di Polo, in: Ead. - Laura Speranza, Il Restauro del Gruppo del Presepe, San Giovanni Valdarno 1997, p. 51 25 Cf. Padoa Rizzo 1995, cit. n. 5. 26 Cf. Franca Falletti, I Medici, il Verrocchio e Pistoia. Storia e Restauro di due capolavori nella Cattedrale di San Zeno (ed. Franca Falletti), Livorno 1996, p. 36 e Lorenzi 1998, cit. n. 3, p. 72. 27 Cf. Renzo Fantappie, Artisti e artigiani a Prato fra il XV e il XVI secolo, Archivio storico pratese, LXIII/1-2, 1987, pp. 23, 26. 124 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 ^Page 125 RAZPRAVE Santissima Annunziata a Firenze, la sede privilegiata per i busti in cera, della cui ampia produzione quattrocentesca ci sono giunte soltan-to sparute tracce. Il caso piü noto, quello della bottega fiorentina di Orsino Benintendi, poi passata al figlio Antonio, ha gettato luce sulla pratica di una collaborazione abbastanza sistematica di questi artisti/ artigiani28 coi colleghi plasticatori. Non stupirebbe perciö che le sante Caterine qui prese in considerazione, così vischiosamente collegate alla produzione di Agnolo nei primi anni del Cinquecento, fossero il frutto di una collaborazione fra il plasticatore ed il frate pratese. Per quanto riguarda la possibile destinazione all’interno del complesso di San Vivaldo di una di queste statuette, è facile notare come il culto della principessa, il cui corpo, dopo il martirio, fu mira-colosamente traslato sul monte Sinai,29 poteva apparire non del tutto fuori contesto nella ricreazione di un ideale pellegrinaggio in Terra Santa, a patto di non limitarlo alla sola Gerusalemme. Come informa-no le cronache del convento valdelsano infatti, nessuno dei trenta-quattro «luoghi» sanvivaldini era intitolato alla santa di Alessandria, ma le era comunque dedicata una delle cappelle sotto la loggia della chiesa, che nell’Ottocento ricadeva sotto il patronato del fiorentino Luigi Gaetani.30 Crediti fotografici / Viri ilustracij: Bildarchiv Marburg (fig. 2); Victoria and Albert Museum, Londra / London (fig. 4), Agenzia fotografica - Treviso (fig. 9). 28 Giancarlo Gentium, Il beato Sorore di Santa Maria della Scala, La Scultura. Studi in onore di Andrew S. Ciechanowiecki, Torino 1996, pp. 25-26, e Alfredo Bellandi, Plasticatori e ceraioli a Firenze tra Quattro e Cinquecento, La Grande storia dell’artigianato. Il Cinquecento (edd. Franco Franceschi - Gloria Fossi), Firenze 2000, pp. 187-223 ed in particola-re pp. 211-212. 29 Per la leggenda agiografica di santa Caterina d’Alessandria rimando alla sintesi di Maria Vittoria Brandi, Santa Caterina d’Alessandria, Bibliotheca Sanctorum, III, Roma 1962, coll. 954-978; per la sottolineatura dell’impor-tanza delle tappe ad Alessandria e sul Monte Sinai (pur lontane diverse centinaia di chilometri dalla Gerusalemme celebrata nei Sacri Monti) per i pellegrini che si recavano in Terra Santa cf. Gabriella Ferri Piccaluga, Il Monte sacro dei filosofi e la pratica del «Pellegrinaggio della conoscenza», La Gerusalemme di San Vivaldo e i Sacri Monti in Europa (Firenze, San Vivaldo, 11.-13. 9. 1986, ed. Sergio Gensini), Pisa 1989, pp. 6-7. 30 Fausto Ghilardi, Guida al Santuario di San Vivaldo, Miscellanea stori-ca della Valdelsa, XLIV/128-129, 1936, p. 60. 125 07/114-126 pisani - prelom 15.11.2004 10:01 Page 126 RAZPRAVE UDK 73(450):929 Agnolo di Polo PRISPEVKI K AGNOLU DI POLO Pricujoci prispevek analizira terakotni kipec sv. Katarine Aleksan-drijske, ki ga umetnostnozgodovinska kritika pripisuje Agnolu di Polo. Avtorica jih primerja z dvema drugima terakotama, ki izhajata iz iste predloge (ena od njiju se hrani v Victoria & Albert Museumu v Londonu). Sledi revizija kiparjeve dejavnosti v prvem desetletju 16. stoletja v Pratu: tedaj je bil verjetno že v stiku z Giovannijem della Robbia, s katerim je skorajda zagotovo sodeloval pri izdelavi kiparskega okrasja za Sacro Monte di S. Vivaldo (Montaione), morda pa je sodeloval tudi z voskarjem fra’ Tommasom iz Prata. Slikovno gradivo: 1. Agnolo di Polo, Kristusova doprsna podoba, Pistoia, Museo Civico 2. Agnolo di Polo, Marija z detetom, Arezzo, Santissima Annunziata, Cappella Spadari 3. Agnolo di Polo (in sodelavec?), Sv. Katarina Aleksandrijska, zasebna zbirka 4. Agnolo di Polo (in sodelavec?), Sv. Katarina Aleksandrijska, London, Victoria and Albert Museum 5. Napis, detajl fig. 4 6. Agnolo di Polo (in sodelavec?), Sv. Katarina Aleksandrijska, nahajališce neznano (nekoc Boston, Museum of Fine Arts) 7. Agnolo di Polo, Noli Me Tangere, detajl, Montaione (prov. Firence), Sacro Monte di San Vivaldo 8. Giovanni della Robbia, Marijina omedlevica, detajl, Montaione (prov. Firence), Sacro Monte di San Vivaldo 9. Agnolo di Polo, Sv. Zanobi, Firence, zasebna zbirka 126