L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. Gita alle spiaggie istriane da Parenzo a Duino fatta or sono duecento trentasei anni. Lettera del P. Ab. D. Angelo Grillo a Nicolò suo nipote, tratta dalla Raccolta di sue lettere stampata in Venezia nel M.DC.XVI per Evangelista Deuchino, in 4.to. — Vol. Ili, pag. 78. Già scrissi a V. S., che a'due di agosto partii per l'Istria: ora facciole sapere come a'23 dell'istesso mese mi ritrovo a Venezia di ritorno. Neil' andar in là m'imbarcai qui al Lido a buon'ora con la compagnia ; ma per non aver ritrovato vento, tutto che da noi si andasse cercando col tirare in alto, e l'invitassimo, o piuttosto insidiassimo con la vela; per quel giorno con tutto ciò non passammo oltre Caorle. Questa è città antica, e di qualche nome per la vendetta, che ancora nell'adolescenza di questa republica fecero in essa Veneziani de' Triestini, costretti per ciò a lasciar con la vita le donzelle rapite nella chiesa di Castello. Fu già saccheggiata da' Narentani; e per questi e simili altri accidenti ora ridotta in sì poco, che par piuttosto città per rispetto del vescovo e del vescovato, che per conto delle altre abitazioni; è più venerabile per l'antichità, che godibile per le fabbriche, essendo ristretta in una angusta contrada con poche case; è piuttosto scala al passaggio d'Istria, che termine di alcuna agiata dimora. Che perciò il secondo giorno assai per tempo tornammo ad ingolfare in busca del vento, invece del quale trovammo tanta calma e tanto caldo, che ci venne più coglia di nuotare che di navigare, massime che una gran testuggine, che a pelo d' acqua tutta si andava dibattendo, pareva che n' invitasse. E benché ne fosse molesto di esser tanto lontani da terra, che restassimo privi della vista di quella bella riviera. Tuttavia, considerando noi, che quel compendio di viaggio, che n'era tolto dal navigare a vela, ne veniva restituito dal tirare a golfo, ci demmo facilmente pace: e tanto più, ch'io già aveva stabilito di ristorarmi largamente di questo danno nel mio ritorno. In somma per tutto quel giorno il mare fu marina, cioè più femina che maschio, perchè i marinari all'incontro fossero più maschi alle fatiche del remo, che femine all'aiuto della vela; come appunto seguì, che perseverantemente vogando la sera del medesimo giorno, sulle vent' ore ne condussero a S. Nicolò de Oltra. Quivi raccolti con allegrezza da' nostri padri, che ci stavano a-spettando, ringraziammo Dio d'esser giunti con salute, e di avere avuto la occasione di desiderar piuttosto il vento con sicurezza di effetto e di opinione, che di far I voti, perchè cessasse con pericolo di naufragio e di sommersione. Massime che quel tratto di mare sino a Pirano non solamente non è marina, ma il più delle volte un pelago insolente e quasi sempre armato di venti e di procelle. La stagione però ne fe' la sicurtà di passarlo con poca barca, che altrimenti il passavamo con poca prudenza. A S. Nicolò riposai cinque o sei giorni, e in quel mentre fui a veder Capo d'Istria, cioè Giustinopoli, intorno tre miglia vicina per via di mare. Questa città è così detta da Giustino II imperatore, figliuolo e successore nell' imperio di Giustiniano I, che la riedificò, essendo prima stata edificata da' Colchi onde fu chiamata anco Pallade, Egida, e Capraria per lo scudo di Pallade, coperto, come si scrive, d'una pelle di capra; potendosi affermare eh' ella per la sua antichità abbia dato sino occasione di favoleggiar della sua origine; certa cosa è però, che la città di Capo d'Istria fu nominata Pallade, come si raccoglie dalla sua medesima statua, e da alcuni altri antichissimi vestigi. Ora questa città, come s' è detto, è fondata in una isoletta pochissimo distante dal continente, ed ha in mezzo una rocca chiamata Castel Lione con quattro torri, dalla quale si i passa a terra ferma con un ponte levatoio: ha buonissimo e perfettissimo territorio, e prodottivo d'olio, di vino, e di sale; e quando il suo paese fosse più abitato, sarebbe anco più fruttifero. Fruttifera nondimeno è stata sempre questa nobil patria di uomini di valore nella toga e nell'armi; e maravigliomi, come il Bolero, scrittore e compilatore di tutto un Mondo, di paese sì domestico e praticato nell' Italia, si sia lasciato uscire, che gli abitanti e naturali dell'Istria non siano nè di corpo nè di animo molto grandi, per usar le sue parole stesse; da che, e si vede e si prova tutto in contrario; perchè quanto al corpo, gì' Istriani sono di statura comune a tutte le altre nazioni d'Italia, come che l'Istria non sia fuor d'Italia, come alcuni hanno voluto ; ma come scrive il Biondo, era sino al tempo di Ottaviano Augusto conosciuta per una parte d'Italia, e Plinio la pone per l'undecima regione d'Italia, di statura dunque, come s'è detto, comune all'Italia sono gì' Istriani, cioè picciola, mezzana e grande; ma il più tra la mezzana e la grande, oltre alcuni della più elevata, da me veduti dentro e fuori della città medesima di Capo d'Istria; sì chè a parer mio, più tosto di grande che di picciola statura si potrebbono chiamar gì' Istriani, da che sul generale volesse parlarne. Quanto al rimanente poi, non so io se per poco grande di animo intenda il Botero, che gì' I-striani siano pusillanimi, vizio opposto alla magnanimità, e perciò manchevoli delle azioni virtuose e magnanime; perchè a me pare, con sua pace, che molto s'inganni, e che molto poco egli abbia praticata questa nazione, o che per avventura si sia scofdato delle quattro qualità principali, ch'escono dalla magnanimità; le quali tutte essere stat' espresse, ed esprimersi tuttavia da' magnanimi Istriani, ed in specie Giustinopolitani, torrei io a provare, quando sì fatta verità non si manifestasse di maniera per sè stessa, che non ne lasciasse dubbioso alcuno; e coloro massime, che prima di parlarne, o di scriverne volessero chiarirsene. Ma non è maraviglia, se la penna del Botero sotto la mole immensa di tutto un mondo ha potuto vacillare in sì picciola parte di esso, benché sì vicina a lui, che ben si può dire in ciò di avere egli avuto più bisogno di occhiali per veder d'appresso, che da lontano. Ma io, che vedo meglio d'appresso che da lontano, ho non solamente veduti gli Istriani magnanimi, se la cortesia è parte della magna-. nimità, ma provati ed esperimentati, e nella città di Capo d'Istria particolarmente: nella quale, per seguitare il filo del nostro viaggio, e per confermare il nostro proposito, appena entrato mi si fe' incontro il signor Ottonello Belli gentiluomo ed eccellentissimo giureconsulto, ornato delle più pulite lettere e della più cortese gentilezza; però che fattami una cortese violenza mi costrinse, colla compagnia ch'era meco, di entrare in casa sua, dove ini raccolse con larghe dimostrazioni d'amore e di osservanza, e mi fe' raccoglier da molti virtuosi gentiluomini di quella città, i quali nel breve tempo ch'io mi trattenni seco s'andarono congregando, e tutti insieme poscia mi fecero compagnia per la città, facendomela vedere assai distintamente, siccome replicarono un' altra volta, che ci fui. Indi accompagnatomi alla barca, me ne ritornai al monastero, di dove il giorno seguente levato di casa dai medesimi gentiluomini fui condotto alla villa del nobilissimo signor cavaliere Giov. Nicolò Gravisi, soggetto di cortesi e signorili maniere, espressemi in diverse occasioni, ed azioni di magnifiche e splendidissime accoglienze. Indi passai a Trieste, lontana dieci miglia dal nostro monastero, per veder quella città, la quale col nome stesso mostra le antiche ruine e desolazioni sue; da che Trieste chiamala dal latino Tergestum, altro non vuol inferire, che tre volte edificata: però famosa più per le sue perdite, che chiara per le sue vittorie, come caduta in molte calamità, e sotto molte signorie forse per difetto di pietà e di religione; ed ora si trova alla divozione dell'Arciduca d'Austria: ma però libera nel governo di sè stessa. A me non parve molto popolata, rispetto all' avere un comodo porto, e all' esser porta a tutte le mercanzie che d'Italia per via di mare passano all'imperio. Oltre che i suoi edifizi son piuttosto dimostrativi della grandezza passata, che di alcuna pompa presente, sebbene in generale mi parvero tutti assai buoni. Ha sovra un castello che la domina, ma con difese assai all'antica, cioè poco rimodernalo e di poca sicurezza potendo esser battuto da' monti vicini. Ma quivi mi fermai poco, perchè ripassando quel medesimo giorno al monastero, il seguente m'inviai verso Parenzo, fine del nostro viaggio e del nostro proponimento. Vidi nel passaggio Isola anticamente detta Alieto, situata sopra uno scoglio, che s'unisce con terra ferma col mezzo d'un ponte. E luogo tutto allegro e festivo, di civile e cortese gente, ha buonissima aria, e produce vini e melloni eccellenti. Quinci passando sopra Pirano con un vento fresco, vidi, o piuttosto stravidi, tutta quella costiera fuggitivamente sino a Parenzo; ma non così nel ritorno, ch'ebbi, pel vento contrario, occasione di osservarla pur troppo minutamente, come dirò più a basso. A Parenzo non mi fermai però più, che per veder quella città antichissima, già colonia de'Romani, ed edificata da'Colchi, ed ora pochissimo abitata per l'aria pessima. Reliquie della sua passata grandezza sono la sedia episcopale con un duomo assai onorevole, ed alcune case eminenti di bella e ricca prospettiva, e con alcune sepolture di pompa antica. Anzi che per dirla tutta la città stessa mi parve una sepoltura di cadaveri spiranti, cioè di uomini macilenti di volto, gravi di ventre, pigri di passo, mesti di vista, e quasi pallide ombre e squallidi avanzi della peste e della morte. Che però tosto che me ne passai al nostro scoglietto di S. Nicolò, lontano dalla città un quarto di miglio, tutto piantato di oliveti, dove mi compiacqui di vedere una assai bella e divota chiesa, alla quale concorrono i passaggieri, e i marinari di molti navigli, che in quel porto aspettano il tempo, e prendono i piloti per passare a Venezia: che perciò vi sorge una torre rotonda antica, già faro del medesimo porto. Quivi dimorai una nolte con un nostro padre che ci sta al governo, come che quest' ancora sia Badia e dipendente dal nostro monastero qui di S. Nicolò di Lido. Il giorno seguente facemmo vela per ritornarcene, ma ben tosto fummo costretti di ammainare, trovando sulla punta vento contrario, che col sole s'andò in maniera rinforzando, che ne convenne con le pale in terra andar misurando a palmo a palmo tutta quella riviera, che ad otto miglia per ora il giorno avanti nel-1' andare ci spariva dagli occhi. E però ebbi molto ben tempo di considerar Cittanova già edificata da' Pannoni, come scrive il Candido, la qual mi parve città vecchia, sendo parte ruinata, e parte ruinosa, come che per la medesima aria pestilente resti quasi disabitata. E veramente non mancai di cercar diligentemente la cagione di simile infezione per tutta quella costa di mare; e benché molte e da molti assai intendenti me ne fossero apportate, non però ne sono rimaso così pago, ch'abbia mancato meco stesso di andarvi filosofando intorno, e forse con frutto. Necessario è certo, che la calamità sia accidentale: che se naturale fosse non sarebbero in simili siti state fondate città ed alzali edifizi sì belli, come in alcune di esse si veggono. Ora appresso a Cittanova mezzo miglio si vede sboccare un ramo del fiume Quieto tanto nominato, e dagli scrittori chiamato ora Istro, ora Danubio, ora Neuporto; e proveggiando tuttavia ostinatamente, non fu mai possibile per quel giorno passare Uinago, terra poco abitata rispetto alla sua grandezza, che dimostra esser ella stata altre volte assai popolata e di considerazione; ma per la medesima infelicità dell'aria ed anco delle guerre ridotta al termine, in cui si trova al presente. Quivi ridottici nella chiesa principale assai ben adornata, per recitare il divino uffizio, comparve poco dopo un prete nobile di aspetto e di creanza, il quale dopo di averne mirati e rimirati ben bene: "Padri, disse, io vi conosco all'abito per monaci di Mon- » -te Cassino; e pero sendo io divotissimo dell' Ordine »vostro, ed avendo un zio abate de' vostri, e parendomi »voi persone di rispetto, pregovi a voler esser miei ospiti »questa sera; perchè sebbene per l'ora potreste andare »assai commodamente a Pirano, per il vento nondimeno non »è possibile che voi possiate passar più oltre; e stando »qui, non vi ha alloggiamento men disconvenevole alle »persone vostre della mia povera casa, la quale vi pre-»go a voller accettare qualunque ella sia». Al parlare raccolsimo noi così cortese sacerdote esser del regno di Napoli, e come ci disse poi di Potenza; e dopo l'averlo molto ringraziato, e fatta qualche resistenza per dubbio di non incommodarlo, sendo noi sei persone senza i servitori, ci valsimo della necessità per ragionevole scudo contro il sospetto di non esser più pronti nell" accettare, ch'esso largo nell'offerire; e scorgendo massime che tuttavia l'offerta derivava da vera cortesia propriamente, e non da fredda ceremonia di corte, ci diedimo quella sera per total preda della sua sincera gentilezza, non avendo però bisogno d'altro che dell'alloggiamento, che parte degli stramenti, e larga provvisione avevamo per noi e per esso in barca. E come suole spesso avvenire, che da un ragionamento s' entrò in un altro, esso reverendo sacerdote, che prete Marco Andrea Veg-giano avea nome, ed era curato di quella chiesa e pastore di quel popolo, andò raccogliendo chi mi foss' io, e nominatomi col mio proprio nome e col cognome, dopo molta riverenza, non solamente con maggior istanza replicò P invito, ma supplichevolmente, per così dire, lo fe'violento: e certo superò di gran lunga la nostra espettazione, perchè ebbimo un ottimo trattamento, e '1 tutto condito d'un generoso cuore, che gli brillava in volto : eh' è la più eccellente vivanda che possa l'invitante metter d'avanti all' invitato. Onde la mattina a buonissima ora, dopo le reciproche convenienze, e l'a-verci accompagnati alla barca, esso verso casa, e noi verso Pirano dirizzamo la prora; e sebben con molta forza di remi, con nulla però tregua di vento, che tuttavia perseverava gagliardo e contrario. Onde per assicurarci della messa, e veder se col temporeggiare il vento allentasse, prendemmo risoluzione di smontar a Salvori. Quivi mentre si stava attendendo il prete, io passeggiando e curiosando intorno intorno ad un'antica iscrizione ch'era sovra la porta della chiesa in pietra ! negra., in' accorsi quello esser il luogo della famosa rotta data dai Veneziani ad Ottone figliuolo di Federico Bar-barossa mentre perseguitava papa Alessandro III, il quale, come si dice, s'era perciò ridotto incognito a Venezia nel monastero della Carità; onde rallegrandomi che mi avesse portata la necessità, ove mi doveva portar l'elezione, mi posi a considerar ben bene la iscrizione nella qual si narrava questo fatto ne'seguenti versi: "Heus Populi celebrate locum, quem Terlius olim »Pastor Alexander donis caelestibus auxit. »Hoc etenim pelago Venetae Victoria classis »Desuper eluxit, ceciditque superbia magni »Induperatoris Federici, et reddita sanctae »Ecclesiae pax alma fuit, quo tempore mille »Septuaginta dabat centum, septemque supernus »Pacifer adveniens ab origine carnis amictae». E tanto basti, per non mi scordare del nostro proposito; al quale tornando dico, come intanto, ch'io andava pascendo gl' occhi e la mente di così famosa memoria, uscì il prete, dal quale ebbimo una messa non so, per mia vita, in che lingua, ma così inarticolata, e così scura di pronunzia, com'esso era rozzo e scuro di volto. Che a me parve appunto mezza notte a mezzo giorno; dove quel di Umago all'incontro si poteva chiamar mezzo i giorno a mezza notte, ed acciocché potessimo affermare di averlo trovato in tutto diverso, e che non è in tutto falso quel proverbio: "che brutto uccello non fe' mai bello verso», non fu mai possibile, che per i nostri da-| nari, benché largamente offerti, ne volesse allogare il suo cavallo sino a Pirano; da che vedendo noi il venlo perseverar più ostinato che mai, e '1 largo di Pirano pericoloso e intrattabile, prendemmo risoluzione di vogar co' piedi e andarcene per terra. Da che, oltre che il luogo era assai inospito per noi, sì inospito ci si fe'conoscere il prete, che piuttosto a piedi sariamo andati che rimaner ivi quella notte. E però offerendo larghi partiti a quelle genti, tanto si penò e tanto si fe', che ne furon condotti tre cavalli, che pascevano per quella campagna, sì robusti e raddoppiati di corpo, che per parer tre ca-! pre legittime e naturali, non avevano bisogno d'altro, che d'un paio di corna in testa per ciascheduno. Forniti poi d'ogni sfornimento: a chi mancavano i ferri di dietro, a chi davanti, a chi le staffe, a chi la groppiera, a chi il pettorale, sì che convenne mandarli a cercare qualche buon miglio lontano quà e là per le case di que'contadini, onde fummo costretti a penar di nuovo, e aspettar due grosse ore prima che fossero tanto all'ordine questi corsieri, che senza manifesto pericolo di romperci il collo per que' sassi e per quelle faticose e pericolose vie potessimo arrivare a Pirano, lungi per terra da Salvori quindici miglia. Così ci mettemmo in cammino su d' un cavallo da basto restìo, e senza groppiera, e gli altri sovra gli altri due alla peggio, oltre l'alternativa tra di loro ora di cavalieri, ora di pedoni. Or pensi V. S., se non ch'erano i giorni canicolari, e ardeva il cielo e la terra; senz'altro io era risoluto di far vedere alla compagnia, che ad essa non cedeva di gamba, se ben di stomaco. Perchè a raccontar quel che ne occorse per viaggio sino a Pirano sarebbe cosa da far ridere, sebben non ridevamo noi. Dirò solo, che dopo quattro o cinque miglia discesi al piano dove son le saline, in tutto si vide queto il mare, allentato il vento, e le barche navigar felicemente; e noi all'incontro tutti in acqua e tutti in fuoco, o mezzi a rosto e mezzi a lesso, pieni di smania ed affanno sfavammo sospirando la nostra barca; e tutti dolenti e confusi, più portanti che portati da quelle grame bestiole, ed assai spesso cavalieri pedestri, a passi tardi e lenti andavamo misurando quella infiammata riviera; consolandoci però di dover trovar la nostra barca a Pirano molto prima del nostro arrivo, come seguì, giungendo noi due ore dopo, con molta nostra consolazione, avanzandone anco tanto di giorno, che restammo sicuri la seguente notte di poter dormire nel nostro convento di S. Nicolò di Oltra. Or la Terra di Pirano quanto all'aria, al sito, al porto, al concorso, alla popolazione parmi la più bella, la più a-mena, la più mercantile di tutta quella parte d'Istria da me veduta. Fa il sale doppio di Capo d'Istria, come ben raccolsi dalle saline da me passate per tutto quel circuito di mare. E perchè l'ora e il tempo ne chiamavano al rimanente del viaggio, ci imbarcammo, e alle 24 ore giunsimo al monastero, dove celebrata la gloriosa Assunzione della Beatissima Vergine, licenziatomi da quei padri per tornarmene a Venezia dirizzai con la compagnia il viaggio verso Monfalcone, dove a terra a terra presi singoiar diletto di considerar distintamente quella bellissima riviera tutta vestita di viti sino al mare, cosi spesse e così folte che paiono selve, ma però così coltivate ed ordinate, che sembrano giardini. Non vidi mai certo nè la più lunga, nè la più continuata, nè la più vaga serie di vigne, ben degne d'esser, come sono, esposte al sole meridiano, per esser favorite del suo maggior vigore. Bella cosa è vedere come confinano con l'acque marine senz'alcuna offesa, per mostrarne forse che Bacco ancor ama quell'onde, per li cui campi immensi solcò invittamente tant'oltre, che ne tornò colmo di vittorie e di trionfi, e per certificarne eh' egli non era nemico dell'acqua, potendosi in somma affermare, che il vino ancora in fasce scherza con 1' acqua, e 1' acqua col vino absi/ue subjecli corruptìone. Or questa riviera vien distinta in tre contrade: cioè Grignano, Santa Croce e Prosecco, dove nasce in particolare quel vinum pucinum tanto in pregio presso gli Augusti, e da'Greci chiamato piotavo; del quale afferma Plinio, che Livia di Augusto usò ottanladue anni con tanto gusto e tanta soavità, che vinceva ogni liquore, ed era ottimo rimedio per gl'infermi. Ma, o che il tempo, il terreno, o il vino abbiano cangiato natura, o che sia stata smarrita 1' arte di farlo, a me pare non altro, che un gran vinaccio da zuppa, per non dir da zappa, e da non ci si domesticar troppo: almeno dico a me, perchè quanto a me io vorrei il vino tale, che bevendolo io, il bevesse la bocca e non la testa, e per concluderla, che fosse foco in bocca ed acqua in stomaco. Ma per tornare appunto dal vino all'acqua, cioè alla nostra navigazione, passammo noi da que-ta vaga riviera a S. Giovanni di Duino, villa arciducale, dove i signori Dalla Torre hanno un castello di pellegrino sito, e sopra una viva ed eminente rocca signoreggia il mare, dal quale poco lontano imboccammo una picciola e piacevole fiumara, della quale dimandando io i marinari, mi risposero esser la foce del Timavo, le cui fonti poco più d' un miglio erano discoste; al cui famoso nome subito risvegliato, dissi con Virgilio: "Antenor potuit mediis elapsus Achivis „IIlyricos penetrare sinus, atque intima tutus »Regna Liburnorum, et fontem superare Timavi„. Onde mi risolsi di volerle vedere, come le vidi allargate di circonferenza, ma diminuite di numero, sendo di nove, come afferma Pomponio Mela, ridotte a quattro; parte, cred' io, disfatte dagl' anni, parte dal gran flusso dell' acqua, la qual è chiara e fresca; e quivi vicine ha alcune scaturigini, che chiamano le fontanelle, ove si nutrisce buon pesce. Fiume in somma più largo di bocca che lungo di gambe; non si stendendo più che due miglia circa sino al mare; che però da Virgilio con molto giudizio fu piuttosto detto fonte che fiume, per lo quale ritornati alquanto indietro tirammo verso Monfal-cone; dove fatto un grosso miglio sul generoso corsiero delle nostre gambe, che sotto la canicola vuoi dir quattro, arrivammo con poco buon incontro, sendone interdetta la entrata nella terra, per non aver noi la bolletta della Sanità, della quale per tutti gli altri luoghi dello stato non si parlava, e neppur vi si pensava: lascio che sì bella fede di Sanità portavamo stampata in viso, che avrebbe potuto far sicurtà ad un lazzaretto di appestati. Or mentre passavamo queste difficoltà, un padre dell'ordine di S. Domenico, al quale parendo pur che noi avessimo ciera d'uomini da bene, piacque di salutarne e di farne intendere, che non essendo entro la terra alloggiamento per noi, come poco dopo noi stessi vidimo, ne offeriva il suo convento situato nel borgo ; (Borgo tale, che fa parer bruttissimo borghetto la Terra) nel quale saressimo stati con minor disagio. Questa offerta fu fatta con tanta ingenuità e con tanta cortesia, ed accompagnata da aspetto sì festivo e gioviale, che con altrettanta modestia e cortesia venne da noi accettata, protestandoci però che non avevamo bisogno d'altro che di letto, non mancandoci mensa per noi e per lui. Dirolla in breve, par che l'anima del piovano di Umago e di questo gentilissimo padre priore, che Fra Lodovico da Monfalcone si chiamava, fosse una medesima. Gli giubilava il cuore nella fronte, e l'ossequio nelle mani, col quale lasciandone, o piuttosto ritenendone e legandone, per via del Lisonzo ci voltammo verso Aquileja non molto lontana per veder le reliquie di quella città sì famosa e grande, che a tempo de'Romani fu chiamata seconda Roma abitacolo d'imperatori, sede di patriarchi, il primo de'quali fu S. Marco Evangelista; madre di santi, nutrice di patriarchi, ed ornamento d' I-talia. Giuntivi appunto altro non vedemmo di Aquileia che qualche miserabile orma di Aquileia, cioè duomo, il campanile, le mura del patriarcato, un convento di monache, ed una o due picciole contrade, mestissimo a-vanzo per avventura più della fierezza de'Barbari, che della ingordigia degli anni; per li quali par, non so come, cangiato ancora quel cielo antico, anzi ruinalo coli'istessa terra, sendoci ora l'aria quasi pestifera; onde il luogo si rende appena abitabile l'inverno, benché da Strabone sia posta Aquileia molto più lontana dal mare; ma ciò non fa caso, chè il mare fa delle alterazioni assai, massime in quel sito. Così considerando noi, come di una città già di dodici miglia di giro, appena restava tanto, che facesse pur fede ch'ella ci fu, e che servisse per funesto epitafio di quel gran cadavere sparso e disperso, dirizzammo il cammino verso Palma, per passare dall'occaso di una città all' oriente dell' altra, che con la felicissima cuna di quella, consolar 1' occhio mesto dell'infelicissima tomba di questa, come avvenne. Ecc. Di Venezia 1611.