I. ANNO. Sabato 31 Gennaro 1846. M « Monsignore Don Michele Yernè, sacerdote della diocesi tergestina, nato il dì 28 settembre 1797, ordinato il di 21 settembre 1823, Canonico scolastico, Vicario capitolare generale in sede vacante delle diocesi unite tergestina e giustinopolitana, venne nominato Proposito dell' insigne capitolo e veneranda basilica di S. Maria e S. Giusto in Trieste. Monsignor Don Tommaso Malalan, canonico nell' insigne capitolo di Trieste, ha assunto fino a regolazione la parocchia di S. Maria e S. Giusto martire, ora restituita nella veneranda basilica tergestina. Il Consigliere aulico Barone de Geringer ha trasmesso da Vienna a questa Redazione per essere passati al signor A. Covaz in Pisino vari libri di lingua daco-romana, affinchè questi possa valersene negli studi che fa di quella, tuttora parlata nella Valdarsa. È oltremodo sensibile la Redazione alle sollecitudini del nobile Barone per promuovere fra noi migliore conoscenza di una lingua che all' italiana non meno che alla latina può dare bellissimi schiarimenti, e per illustrare rimasuglio della più remota antichità, che va del pari coi più bei monumenti della provincia. E però di tanta benevole sollecitudine gli si rendono pubbliche solenni grazie. Degli scavi di Pola. I monumenti dell' epoca romana, i quali fanno di Pola la città più mirabile dell' austriaco impero, hanno persuaso I'Augusto Ferdinando I, che di persona volle visitarli nel settembre 1844, di assegnare annua somma alla esplorazione delle antiche memorie, che i frequenti ruderi coprono, e ne poggiava l'incarico al suo Governatore nel Litorale. Il quale avvisando ai mezzi più propizi onde mandare ad effetto la sovrana volontà, nominava in Pola commissione alla quale gentilmente prendevano parte l'i. r. Maggiore comandante signor de Modesti per le cose di economia, il primo tenente nel Genio militare sig. Pilhal per le mansioni d'ingegnere civile, ed il conservatore delle antichità di Pola sig. Giovanni Carrara per la direzione ed esecuzione degli scavi. Ed in Trieste chiamava il sullodato Governatore a consiglio il Direttore delle fortificazioni, capitano nel Genio militare, cavaliere de Kòrber, ed il Direttore del Museo di antichità tergestine, Dr. Kandler, riservata a sè la deliberazione di ciò che meglio conveniva disporsi. E fu tosto stanziato che agli scavi dovessero precedere esplorazioni del terreno, che le esplorazioni medesime dovessersi fare sopra pianta ipotetica dell' antica città romana, desumendola dagli attuali monumenti ancor in piedi, dalle porte esistenti, dalle traccie di muraglie e mura, dalle rovine antiche, dai rimasugli del castello nel centro della città che è del medio evo, dalle stesse costruzioni di tempi più bassi, dalle direzioni delle vie urbane e fra le case e fra gli orti, dalle indicazioni che aver si potevano su precedenti scoperte accidentali, dalle distribuzioni di antiche città provinciali, applicandole alle configurazioni naturali del terreno, alla qualità di città marittima; e ponendo in connessione la distribuzione della città medesima colle vie maggiori e minori dell' agro, la topografia colla corografia; il quale lavoro, opera di precedenti diligenze, veniva fornito dal Direttore del Museo di antichità tergestine. Contemporaneamente provvedevasi la compilazione di succinta storia ed indicazione delle antichità polensi, che vide anche la luce. La posizione della odierna piazza maggiore per rispetto all' antica città di Pola, permetteva appena il dubbio che ivi stesse 1' antico foro polense e che i templi gemini vi appartenessero; il piano sul quale posano i basamenti dei due templi, di molto rialzato in confronto del suolo attuale della piazza, ed assai più in confronto a quello più antico che si congetturava ancor esistere, facevano sospettare l'esistenza di un basamento che del foro fosse parte precipua e nobile; seppure le costruzioni sovrapposte nel 1300 e sul fine del 1600, e le tante manumissioni in parte sì frequentata di città, non avessero tolti anche gli ultimi avanzi. II giro delle mura romane di Pola era abbastanza noto, come riconoscibili sono le direzioni delle antiche vie urbane e rustiche; ed è noto puranco come nelli frequenti ristauri delle mura di Pola le muraglie antiche si coprissero di eterne muraglie moderne, mascherandone così le antiche porte; per esempio le porte Erculia e Gemina, rinvenute appunto nel sito che antiche vie erano tagliate da mura, facevano congetturare che presso S. Stefano antica porta romana stasse nascosta nelle più recenti muraglie. La porta, che nome aveva di Gemina per la doppia apertura, e per questa e per le decorazioni, e per l'inscrizione che già vi stava soprapposta, indicavasi facilmente essere già stata aperta alla via militare verso la Liburnia, come l'Aurata era alla via pel porto flanatico di Pola, cioè sul Quarnaro. Sulla sommità del colle sotto l'odierna fortezza erasi, or son pochi anni, accidentalmente scoperta altra porta; tra 1'una e l'altra sembrava naturale una via, indicata dai confini di privata proprietà comunque da molti ruderi ricoperta; simili confini segnano altre vie traversali, una delle quali guidante nel centro della città. La porta sotto la fortezza era porta da fortificazione anziché da civile edifizio, e sembrava adattata ad ingresso di Acropoli o di Campidoglio, per Io chè le era anche stato attribuito tal nome. Non meno frequenti e sicure si mostravano le indicazioni nel pomerio, sennonché sembrava più conveniente 1' ottenere certezza delle condizioni interne della città, per passare da queste all' esterne, sebbene l'Anfiteatro , il Teatro, il Ninfeo, il Campo Marzo, e fors' altro più, stassero fuor delle mura. Vennero ordinate 1' esplorazioni del terreno sulla piazza maggiore di Pola, e fra i templi gemini, il tasto delle mura presso la diruta chiesa di Santo Stefano, il denudamento delle basi delle porte Aurata, Erculia e Gemina , 1' assaggio della Via per entro la porta Gemina verso la porta del Campidoglio. Le esplorazioni sulla piazza guidarono in poca profondità di sotto l'attuale suolo al selciato antico di pietra bianca, sovrapposto a strati di cemento, sostenuto da palafitte. Questo medesimo selciato si verificò in altra parte opposta dinanzi il pubblico palazzo. Fra i due templi si scoperse un quadrilatero di muraglie grosse 16 piedi romani, per 8 alzate sopra il suolo romano del foro, rivestito in qualche parte da pietra da taglio di esatte connessioni esterne, quasi grandioso basamento, non meglio decorato che da un limbello inferiore ed uno superiore senza intagli o modanature. L'interno di questo quadrilatero è interseccato da muri non così spessi; riempiuti gì' interstizi minori con terra e rottami, il maggiore che è quadrato, nella parte postica, con olle regolarmente disposte. Questo quadrilatero tocca da un lato il tempio così detto di Diana, non così quello di Augusto, dal quale rimane distante un piede r., avanza le fronti antiche e postiche dei templi in eguale misura, per modo che i templi stanno in proporzioni col quadrilatero. L' opera di muro è regolare a piccole pietre tutte in cemento. Da queste esplorazioni si ebbe a riconoscere che i due templi, sebbene in contatto con questo altipiano, vi formano corpi separati; che il tempio di Diana posa sopra basamento dello stesso genere del quadrilatero, ma non di eguale profondità, comunque eguale sia il livello superiore di questi due basamenti; che il tempio di Augusto non ha fondazione alcuna, ma tutto posa sopra un corso di pietre squadrate, appena un piede alto, sovrapposto a macerie e rottami alti quanto il quadrilatero, nel piano superiore del quale il tempio ha comune il livello. E questi rottami da niun riparo in muro sono tenuti; soltanto fra il muro del quadrilatero e quel corso di pietre che è unico fondamento al tempio d'Augusto si veggono muretti traversali per fare contrasto a possibile dislocamento naturale del muro della cella. A S. Stefano il tasto non ha dato risultato felice. Aperta la muraglia esterna, si giunse ad un ripieno di terra e rottami, indi ad altra muraglia che è moderna, surrogata all'antica romana, e chiusa all'intuito; la muraglia e la porta vennero tolte in uno di que' tanti smantellamenti che soffrì Pola. Bensì fra i materiali del muro esterno poteronsi vedere cinque pietre che già servivano a comporre arco a bugne rilevanti e rozze, che certamente alla porta appartenevano. Il sesto di queste ha permesso di calcolare 1' apertura dell' arco, il quale in lume misurava 11 piedi romani quanto appunto la porta Erculia di cui era più antica, se al genere dal lavoro si giudica. Misurano queste pietre 14 oncie romane in grossezza, 26 in larghezza maggiore, 18 nella minore, 23 in altezza ed i lati che combacciavano sono di levigata opera. Fu denudato il terreno alla porta Erculia, messo a giorno 1' antico selciato, e la via, che si trovò munita di cordonata d' ambi i lati, per cui potè misurarsene la larghezza in quindici piedi romani. II pavimento a questa porta, come anche alla porta Aurata, e dei clivi è di pietra arenaria cilestre, di cui vi ha cava presso Gale-sano; a differenza della pietra da muro ed anche da selciato che calcarea è sempre. Alla porta Aurata, e propriamente in quella parte di essa che è 1' arco dei Sergi (dacché la porta esterna più non esiste), si mostrò doppio corso di pietre da selciato, calcare l'inferiore, a cui fu sovrapposto uno strato di arenaria. Nella porta Gemina si scoprì che alli due fornici, da cui ebbe già il nome, le quali stanno alla linea esterna delle mura, altra fornice corrisponde nell' interno, verso la città; ad una sola arcata, però di nobilissima architettura per modo che vengono a formare un corpo d'ingresso coperto di città, come oggigiorno si vede in maggiori città. Quando la porta Aurata esisteva, componevasi questa egualmente di un corpo, 1' esterno verso la campagna era a tre fornici, il medio pei carri, i laterali pei pedoni; l'interno era formato dall' arco dei Sergi; - la Gemina è a due arcate esterne ambe per carri, ad una interna ampia egualmente per carri. L'Aurata era dedicata a Minerva, come indicavala l'imagine scolpita sulla chiave dell'arco; la Gemina a Giove come ripetute teste, sebbene di rozzo ma pur romano lavoro, ivi rinvenute l'accertano. Delle quali diremo come ogni qualvolta in Istria ci accadde di vedere raffigurata la testa di Giove, sempre colle corna l'abbiam veduta. Non dubiteremmo di attribuire a questa porta il nome di Giovia, comunque volgarmente con assai probabilità si disse Albonese; come non dubitiamo potersi dare all' Aurata il nome di Minervia, quantunque Aurata si preferisse chiamarl Sembra che 1' arco del fornice interno non fosse circolare ma stiacciato; vi si ricuperarono vari pezzi e della cornice sovrapposta, e non sarebbe malagevole il ristau-rare questo interno fornice, integro essendo 1' esterno, la porta intera. La via che mette al Campidoglio dalla 'porta Giovia fu nella parte inferiore e superiore denudata, nella parte media aperta soltanto al passaggio di persona, tanta è la macerie sovrapposta. Si venne al selciato, di solita forma si scoperse in mezzo la via , corso di pietre rialzate che serviva, come sembra, di guida ai carri, affinchè o-gnuno nel muoversi tenesse la sua diretta ; si vide la testata della via che dalla porta Giova metteva verso il foro, ed è appunto a causa di questo deviamento laterale che l'apertura interna della porta Gioivia non cade ad angolo retto sulla fronte delle aperture esterne ma verso la parte piana della città dechina. La porta del Campidoglio fu denudata, nè più rimane dubbio che al Campidoglio dasse adito, e dal Campidoglio si scendesse direttamente verso l'Anfiteatro e sulla strada per Albona; una testata delle mura del Campidoglio fu toccata L'esistenza del quale Campidoglio non rechi maraviglia perchè altre città che non Roma, e di non gran conto l'ebbero; anzi di ogni colonia il Campidoglio era parte essenziale e nobilissima. Le esplorazioni e gli scavi essendosi fatti nel foro aperto, alle mura e porte della città, e su pubbliche vie, le lapide scritte, le pietre sculte non furono molte. Le quali scoperte comechè dirette non a curiosità ma a studio di cose antiche, ampia materia di considerazioni possono dare a sempre migliore conoscenza dell' antica condizione di Pola; e proverassi in oggi comunque di volo di mostrarne la pratica applicazione. Nei Cenni su Vola si è mostrato come fino dall' anno 178 avanti G. C. fosse Pola fatta colonia di cittadini romani, cioè a dire città modellata pella materiale distribuzione e pel civile ordinamento di governo sul tipo di Roma. Come in Roma il Senato, i consoli ed i tribuni, così nelle colonie erano il consiglio dei decurioni, cento di numero, i seviri, ed i due duumviri suprema magistratura, i quali al governo dell'intero comune intendevano ; però come in Roma così nelle colonie il popolo pure prendeva parte alle deliberazioni, - talvolta da sè deliberava in cose che lui solo riguardavano e che il pubblico governo non toccavano. Anche nelle colonie come in Roma v'erano patrizi e plebei, distinti per onorificenze, per cariche ed offici riservati, per ricchezza; comunque patrizi e plebei, molte cose avevano comuni. Alle radunanze che pubbliche si tenevano ed a cielo a-perto, necessaria si era una piazza pubblica, il foro, parte indispensabile e nobilissima fra quante altre come in Roma così nelle colonie. Nel foro avevano i patrizi luogo distinto da quello della plebe, separato da via, più alto per modo che da questo si potesse dominare il foro tutto, luogo cospicuo e più di ogni altro decorato. Comizio dicevasi in Roma tale parte del foro, e per luogo santissimo tenevasi, come quello nel quale vi aveva la ficaia all' ombra di cui ripararono i bambini Romolo e Remo; vi aveva il sepolcro di Romolo fondatore dell' eterna città, la lupa in bronzo che allattava i gemelli, il pozzo di Libone, le statue frequentissime d'illustri soggetti, la tribuna dalle quale 1' oratore poteva arringare la plebe se volto verso il foro, ed i patrizi se la faccia girava. Più tardi la frequenza delle statue passò alla parte inferiore del Foro, ma anche allora il Comizio fu la parte più nobile della piazza, e perciò dell' intera città. Noto è ciò di Roma, non altrettanto delle colonie le quali alla vita municipale ristrette, non ebbero quel-l'importanza che dà il politico potere. Antiche leggende decretando segni onorifici a benemeriti soggetti, ordinavano li si collocasero nella parte più celebre del foro ; P importantissima del Museo tergestino in onore di Fabio Severo , già decurione di Trieste, in allora senatore di Roma, ordinava che la statua equestre dorata di lui venisse posta: IN • CELEBERRIMA • FORI • NOSTRI • PARTE: niun luogo meglio si addiceva a questo decurione, fatto senatore, benemerito della patria, che il Comizio. In comprovazione dell' uso delle statue citerassi Plinio {llist. i uit., lib. XXXIV, 9), il quale narrando la storia di questa pratica dice: Excepfa deinde res est a loto orbe terrarum humanissima ambitione. Et jam omnium vmnicipiorum foris statuae ornamentum esse coepere, prorogarique memoria hominum, et honores legendi aero basibus inscribi, ne in sepulcris tantum lege-rentur. Honos clientum instituit sic colere patronos. Ed al 13. l'edestres sine dubio Homae fuere in auctoritate longo tempore. Eque str ìum tamen origo peri/uam vetus est, cum felini s etiam honore communicato. Queste statue e dai decurioni si decretavano, e dal popolo, siccome dalle leggende impariamo, nel modo stesso come in Roma avveniva per fede di Plinio medesimo, laddove {lib. XXXII", i