ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-03-11 UDC 321(450.34):316.343.32"15" SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500 Giuliano VERONESE Université degli Studi di Trieste, Dipartimento di Storia, IT-34100 Trieste, Via Economo 4 SINTESI Il contributo affronta il tema dei rapporti tra signori e sudditi in Friuli, una delle province venete dove l'istituto feudale era particolarmente radicato e diffuso e dove i feudatari detenevano poteri molto ampi. Nel corso del '500 tali rapporti, caratterizzati da una forte conflittualità, furono causa, insieme ad altri fenomeni di dimensione non solo regionale (banditismo nobiliare, criminalità), di una situazione che venne percepita da parte degli organi politici e giudiziari veneziani come di forte instabilità alla quale occorreva dare una risposta politica forte. Tutto cid viene analizzato anche in base alle trasformazioni intervenute all'interno della classe dirigente veneziana alla fine del '500 che determinarono profondi mutamenti nei rapporti tra centro e periferia. II 20 setiembre 1609 durante la festa del santo patrono di Clauzetto, un piccolo villaggio montano del Friuli occidentale, fu assassinato da alcuni abitanti di quel luogo un giovane del vicino paese di Vito d'Asio (ASV. CX. PC. F. 38). Il grave episodio di violenza era la conseguenza estrema di un conflitto insorto tra la casata Savorgnan e alcuni villaggi della loro giurisdizione. Le due ville di Clauzetto e di Vito d'Asio erano incluse nei feudi (rispettivamente di Pinzano, e Castelnovo),1 appartenenti alla potente famiglia feudataria friulana. Il feudo di Castelnovo, in particolare, era stato concesso della Repubblica di Venezia a Girolamo Savorgnan, insieme a quello di Belgrado, con privilegi giurisdizionali molto ampi. Un segno di riconoscimento per l'impegno profuso dal nobile friulano nella difesa della rocca di Osoppo durante la guerra che aveva con-trapposto agli inizi del '500 l'imperatore Massimiliano a Venezia.2 1 Quello che qui viene indicato come feudo di Pinzano accorpava un insieme di castelli con diversi villaggi alle proprie dipendenze. I castelli erano quelli di Pinzano, appunto, Osoppo, Ariis e Fla-gogna. 2 Mentre Massimiliano I aveva "con pottente esercito - recitano con toni apologetici i documenti annessi ad una investitura - usurpato la Città nostra di Udine, et renduta alla sua obbedienza il resto 153 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 In tali feudi i Savorgnan esercitavano poteri giurisdizionali rilevanti che riguar-davano l'esercizio della giustizia civile e penale in prima e seconda istanza, il "giuspatronato sui luoghi pii del territorio, la condotta degli ebrei, i dazi del pane, del vino, dell'olio e della carne, la posta delle pecore, la custodia di feste e sagre" (Pastore, 1994, 174). Quello di Belgrado e Castelnovo erano, infine, feudi "privilegiati": le sentenze non venivano, cioè, appellate davanti al Luogotenente di Udine ma venivano giudicate direttamente dalle magistrature veneziane (Pastore, 1994, 174). In breve i fatti di quel settembre 1609. In quell'anno erano state espletate le formalità relative all'elezione del "pievano" della chiesa di San Martino d'Asio, la pieve che raccoglieva sotto di sé le ville di Vito, di Clauzetto e di Anduins (ASV. CX. PC. F. 38). Il vescovo di Concordia, sotto la cui giurisdizione spirituale rica-devano le ville in questione, aveva promulgato il proclama che invitava i sacerdoti intenzionati a concorrere alla carica a presentare ufficialmente le loro candidature. Tra i vari concorrenti si presento anche un certo Giovanni Mazzarollo, malvisto da quelle popolazioni, ma sostenuto da Antonio Savorgnan l'allora giusdicente, che deteneva il diritto di giuspatronato su quella chiesa.3 I diversi concorrenti, pare intimoriti dalle pressioni del giusdicente, ritirarono ben presto le loro candidature e il Mazzarollo divenne "pievano" della chiesa di San Martino. Gli abitanti delle ville di Clauzetto e Anduins, quelli più convinti dell'ina-deguatezza del Mazzarollo "come di persona incapacissima a tanto carico", ricorsero al Consiglio dei Dieci (ASV. CX. PC. F. 38), ottenendo che l'elezione del Mazzarollo fosse sospesa in attesa di una ridefinizione di tutta la vicenda per via giudiziaria. della Patria del Friuli, eccettuato il suo castello et il monte di Osoppo", Girolamo con "ressoluto et costante proponimento di difenderlo intrepidamente fino che havesse spirito e vitta, trattenendo a sue spese circa 700 bocche per tal diffesa, il qual suo votto osservo effettivamente rifiutando con altissimo animo le amplissime offerte a lui fatte dalli capi dell'esercito imperiale assediante che dopo 45 giorni di assedio intesa quelli la nova di un soccorso che veniva abbandonando detto assedio con fugga disordinata che sortito il conte Gerolamo dal Castello con le forze delle sue arme li ruppe, et tolse sette pezzi di artiglieria che furono presentate qui a Venezia, qual opperationi con altre sue degne di eterna memoria furono raggione della ricuperatione et poi preservatione di detta Patria" (ASV, Proweditori sopra feudi, b. 786, investitura a Ettore Savorgnan dei feudi di Belgrado e Castelnovo del 1627). 3 Il diritto di giuspatronato dei Savorgnan riguardava anche Travesio e consisteva nella presentazione del proprio candidato alla curia vescovile. Il Vescovo o un suo vicario riconosciuta la regolarita dell'atto convocava "il collegio sinodiale degli esaminatori, composto dal canonico teologo, di un pievano e di uno scolastico, docente, che sottopone il candidato ad un accurato esame" (Lizier, 1946, 43). Approvato "cunctis votis" il candidato con la cerimonia dell' "imposizione del berretto" riceve l'investitura della chiesa (Lizier, 1946, 43). Anche la nomina dei cappellani spettava ai conti ma questi erano soliti lasciare al pievano o alla popolazione locale la scelta. Il Lizier ricorda che a meta '700 vi furono dei tentativi, da parte della popolazione di Travesio, di contestare ai Savorgnan il diritto di giuspatronato (Lizier, 1946, 44). Lizier non menziona il fatto che a candidarsi potessero essere anche sacerdoti non presentati dai conti, come invece risulta dai documenti consultati. 154 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 II Savorgnan naturalmente non era disposto a rinunciare a far valere il proprio diritto di giuspatronato. Si oppose quindi al provvedimento che era stato preso dal vescovo di Concordia di inviare un sostituto del "pievano" in attesa di una de-finizione della causa. Come ebbe modo di descrivere l'allora podesta di Vito d'Asio, Candussio Ceccon, "[il Savorgnan] ha impedito che un reverendo sacerdote posto da Monsignor Illus-trissimo Vescovo di Concordia a questa cura per modum provisionis non administra li Santissimi Sagramenti, ha fatto gettar giü con violenza le porte della Chiesa per dar il possesso al suo prete Mazzarollo" (ASV. CX. PC. F. 38). Il conte Antonio, inoltre, aveva convocato alla propria presenza sia il podesta che i giurati di Vito d'Asio "et con parole molto pregnanti et sdegnose massime verso detto Ceccon, facesse ufficio con essi, perché si acquietassero" e ritirassero la causa (ASV. CX. PC. F. 39). Le pressioni del Savorgnan se da un lato indussero gli abitanti di Anduins e Clauzetto, timorosi di ritorsioni, a ritirare le denunce, dall'altra non furono sufficienti a convincere quelli di Vito i quali, forse meno intimiditi dalle minacce per non essere sottoposti alla sua diretta giurisdizione ma a quella di un altro Savorgnan, man-tennero tenacemente le loro posizioni. La perseveranza di questi ultimi fece crescere, probabilmente, l'insofferenza delle popolazioni degli altri villaggi che si vedevano coinvolti, malgrado loro, in uno scontro con il giusdicente. Furono quindi questi attriti che, divenuti insanabili, portarono all'omicidio del figlio del podesta di Vito d'Asio, Martino. Una domenica di settembre, questi si era recato con alcuni suoi conoscenti alla sagra di Clauzetto in occasione della festa del santo patrono. Qui aveva avuto modo di litigare con alcuni abitanti del luogo. Non era fatto poco frequente che visitatori delle ville vicine fossero oggetto di provocazioni da parte dei giovani del villaggio che organizzava i festeggiamenti. Spesso le liti nascevano per cose di poco conto, qualche apprezzamento pesante su di una giovane del posto, qualche parola di troppo sfuggita ad un ubriaco ed ecco che subito poteva nascere una rissa che spesso si risolveva nella fuga dei malcapitati, magari un po' malconci per le percosse subite. Cosí era accaduto anche quel giorno ma le conseguenze erano state ben piü gravi: dopo alcune schermaglie verbali alcuni erano venuti alle mani, qualcuno aveva estratto delle armi, erano state suonate le campane a martello e l'intero villaggio sembrava essere insorto contro quelli di Vito (ASV. CX. PC. F. 39). Martino aveva avuto la peggio, su di lui si erano accaniti in molti, ferito gravemente da sassate e colpi di coltello, di lí a poco morí. Dopo una prima istruzione del processo ad opera della cancelleria feudale del Savorgnan, il caso fu affidato al Luogotenente, e successivamente, per ordine del Consiglio dei Dieci, venne sottratto dal foro di Udine per essere infine delegato al rettore di Treviso, perché, come recita il dispaccio inviato da Venezia al podesta e 155 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 capitano délia città veneta "per convenienti et ragionevoli respetti non stimiamo bene che questo caso pieno di gravi conseguenze sia espedito et giudicato in Udine" (ASV. CX. PC. F. 39). L'evidente parzialità del giusdicente, parte in causa nella vicenda, l'ampiezza del suo potere e la vasta rete di clientele cui avrebbe potuto rivolgersi in tutta la provincia, avevano spinto i magistrati veneziani a decidere per il trasferimento del processo in altro foro, esterno addirittura alla struttura istituzionale della Patria del Friuli. Si tratto di un provvedimento, a mio parere, abbastanza eccezionale in quanto andava ad intaccare le prerogative di una famiglia di feudatari tra le più importanti e potenti del Friuli, alla quale la Repubblica aveva concesso ampie autonomie nel-l'esercizio dei poteri giurisdizionali. Una diversa politica che nasceva probabilmente dall'esigenza di un maggior controllo della situazione sociale ed istituzionale della Terraferma - soprattutto nelle aree a forte presenza feudale - che rappresentava l'elemento centrale delle iniziative di un gruppo di patrizi che auspicavano la costituzione di uno Stato più forte e centralizzato. Le guerre d'Italia - sono temi noti - avevano profondamente scosso la struttura dello Stato veneziano mettendone in evidenza i limiti e le contraddizioni. In breve tempo Venezia aveva dovuto affrontare la perdita della Terraferma ad opera degli eserciti nemici, ma anche le ampie defezioni delle nobiltà cittadine e feudatarie, le ingenti spese di guerra, il diffuso malcontento delle popolazioni rurali che, sebbene spesso schierate dalla sua parte, avevano dovuto subire le scorrerie degli eserciti imperiali e francesi.4 Nel corso del '500 i contrasti che nelle città avevano contrapposto i ceti popolari ai ceti aristocratici subirono un forte ridimensionamento grazie al restringimento delle possibilità di accesso ai consigli cittadini, ma nelle campagne, soprattutto friulane, i dissidi riguardanti l'attribuzione dei poteri, le prerogative amministrative e istituzionali di feudatari e popolari, durarono ancora a lungo contrassegnati anche da fatti sanguinosi.5 Un episodio significativo di una situazione generalizzata è quello, ad esempio, accaduto a Valvasone, un antico castello infeudato alla famiglia omonima, situato nel Friuli occidentale. Qui i popolani avevano richiesto la modifica degli statuti in vigore in modo da permettere una loro maggior partecipazione alla vita amministrativa del Comune. Il conflitto si era inasprito, data la forte pressione esercitata dai feudatari sulla comunità, al punto che una ventina di capifamiglia nel corso di una cerimonia religiosa, davanti all'altare della cattedrale del paese giurarono solennemente di obbligarsi a trucidare i nobili del luogo (Bianco, 1995, 66). 4 Su questi temí cfr. Ventura, 1964. 5 Per quanto riguarda il Friuli cfr. Bianco, 1994; 1995. 156 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 Un altro esempio delle tensioni in atto è quello riportato in un dispaccio del Luogotenente di Udine al Consiglio dei Dieci, datato 17 gennaio 1519. I nobili consorti di Spilimbergo, titolari di un vasto feudo sulla destra Tagliamento, denun-ciarono al rettore i "popolari" del luogo che avevano "brusato tute le habitation et case sue, [che] erano nel castello et sachizata tuta la roba sua" (ASV. CCX. LR. 169). In Friuli l'istituto feudale era ampiamente diffuso.6 Le molte giurisdizioni laiche ed ecclesiastiche, i villaggi rurali non infeudati e le comunità, gelosi delle loro autonomie, componevano un quadro istituzionale frammentato e complesso cui si aggiungevano le autonomie dei piccoli villaggi che, sebbene inseriti all'interno di giurisdizioni, erano dotati di propri organismi di autogoverno.7 A ció si aggiunge-vano le enclaves sottoposte all'autorità imperiale che alle volte suddividevano in più parti le giurisdizioni di un medesimo feudatario. A rendere ancora più intricata la mappa dei poteri vi era anche la presenza del Parlamento che, nonostante il ridimensionamento voluto dalla Repubblica all'indo-mani della conquista, mantenne ancora prerogative legislative di un certo rilievo.8 Si trattava di poteri e privilegi che Venezia, come era sua consuetudine fare nelle terre di conquista, aveva riconfermati concedendo i propri diplomi d'investitura a feudatari e comunità. Una feudalità riottosa e turbolenta, quella friulana, ancora attratta dall'Impero se non addirittura gravitante nella sua sfera di influenza,9 come aveva dimostrato durante le guerre del primo '500, lacerata da lunghe faide che contrapponevano le une alle altre le varie casate nobiliari, violenta e repressiva nei confronti delle popolazioni suddite (Bianco, 1994, 19-47; 1995). Gli episodi di violenza sono innumerevoli. Sul finire del secolo si moltiplicarono gli omicidi e gli atti di violenza un po' dappertutto nella provincia, a Udine (soprat-tutto a causa delle profonde "inimicizie" tra cittadini e "castellani") e nelle campagne. Sia in città che nel mondo rurale i contrasti tra nobili coinvolgevano parenti e "ade-renti" delle vittime, con lunghi strascichi di violenze e lo stillicidio delle vendette.10 Violenze che suscitavano le preoccupazioni dei Luogotenenti che temevano il diffondersi e l'inasprirsi dei conflitti tra le fazioni. Cosí, ad esempio, il 26 luglio 1561 il rettore di Udine inviava un dispaccio al Consiglio dei Dieci riportando un episodio 6 Per un quadro complessivo sull'istituto feudale nella Terraferma veneziana e in Friuli cfr. Zamperetti, 1991. 7 Sull'organizzazione delle comunità di villaggio friulane cfr. Bianco, 1990; 1994. 8 Il Parlamento friulano perse i poteri relativi alla politica estera, vide ridimensionate le funzioni militari (ridotte alla partecipazione alle spese di difesa), perse la giurisdizione sui feudatari e la pos-sibilità di giudicare in seconda o terza istanza le sentenze dei giudici locali (Leicht P.S., 1955, X e sgg.). 9 E' forse banale sottolineare, sono cose infatti note, che molti nobili feudatari friulani possedevano beni sottoposti all'Impero e che diversi di loro furono alle dipendenze di imperatori. 10 Cfr., ad esempio, in ASV, CX, PC, le filze relative agli ultimi decenni del '500 e ai primi anni del '600. 157 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 accaduto in città alcuni giorni prima. I giovani castellani Lodovico Colloredo, Pietro Strassoldo e Troiano d'Arcano assalirono e ferirono in borgo Aquileia Francesco Savorgnan della Bandiera per questioni di precedenza ("oltre la gazza et inimicizia antica fra Colloredi et Savorgnani") (ASV. CCX. LR. 171). Cio che preoccupava maggiormente il Luogotenente era il fatto che "essendo questo Savorgnano de la facione de la città ad un certo modo, et di capi principali, parmi che tutta la Terra sia mossa, et vedo un bisbiglio grande, et motto di qualche momento contra li castellani, che potria facilmente parturire qualche gran disordine, essendo questa gente fiera" (ASV. CCX. LR. 171). Nonostante i tentativi di pacificazione, spesso voluti dalla stessa Repubblica e mediati da personaggi di rilievo, le faide potevano trovare brevi battute d'arresto per poi riprendere a causa di uno screzio o di una offesa. Cosí la pacificazione mediata da Francesco Barbaro tra le fazioni di Cividale, nel Friuli orientale, nel 1597 (Trebbi, 1984, 367-368), non ebbe lunga durata e il conflitto riprese vigore agli inizi del '600 con episodi sanguinosissimi, con veri e propri scontri armati combattuti nelle vie e piazze della città.11 I soprusi commessi dai feudatari nei confronti delle popolazioni suddite, i ten-tativi di allargare le loro prerogative a scapito delle comunità rurali, le faide e i contrasti di ampio raggio e le continue violenze sono tutti elementi che, pur non essendo prerogativa unicamente dei feudatari friulani, vengono segnalati a frequenze ravvicinate nelle suppliche rivolte dagli "aggravati" alle magistrature veneziane e nelle periodiche relazioni che i rettori inviavano al Consiglio dei Dieci o al Senato. A questo clima di violenza non erano talvolta estranei quei nuovi proprietari terrieri veneziani che, dopo aver acquistato ampi possessi nella Terraferma, alle volte investiti anche di diritti giurisdizionali dalla Repubblica, praticavano soprusi e violenze ai danni delle popolazioni rurali. Noto è il caso di Zaccaria Vendramin, giusdicente di Latisana, un grosso centro nella bassa friulana occidentale, che fu condannato dal Consiglio dei Dieci nel 1589 al bando perpetuo per la serie impressionante delle prevaricazioni e violenze commesse ai danni degli abitanti di quel luogo (ASV. CX. PC. R. 15).12 Se quello del Vendramin è forse da considerare un caso limite non è difficile tuttavia reperire tra gli incartamenti processuali, tra i dispacci e le informative dei rettori notizie di patrizi veneziani che nei dintorni delle loro tenute di Terraferma si rendevano autori di reati dello stesso genere. Lucio Popaite, ricco possidente pordenonese, denuncio nel 1608 al Luogotenente le violenze fisiche e morali che i suoi coloni avevano dovuto subire a più riprese dai 11 Alcuni episodi in ASV, CX, PC, 38 (1609). 12 Il Vendramin fu condannato il 13. 11. 1589 al bando perpetuo da Venezia e Dominio, con alternativa del carcere a vita. La taglia fu fissata in 1000 ducati, fosse stato catturato vivo o morto, mentre i suoi beni furono devoluti al risarcimento degli abitanti di Latisana. 158 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 "bravi" di Federico e Girolamo Dolfin, proprietari di una tenuta nel feudo di Prata (ASV. CX. PC. F. 37). Non molto lontano da questi luoghi, nel Capitanato della Meduna, Girolamo e Aurelio Morosini, figli del capitano della giurisdizione, furono denunciati al Con-siglio dei Dieci dal Luogotenente Bernardin Belegno che nel suo dispaccio per Venezia scrisse che "tanti sono gl'homicidii, ferite, sforzi, latrocinii et le esecrande bestemmie et altri nefandi delitti da loro commessi in quelle parti che non vi è luoco alcuno saccheggiato da nemici che patisca tanti mali, quanti sopportano quelle misere genti in tempo di pace" (ASV. CX. PC. F. 37). La dispersione dei poteri che la frammentazione istituzionale della Patria com-portava si traduceva, quindi, anche in un problema di ordine pubblico al quale dive-niva sempre più pressante dare una risposta efficace. Fu anche su questi temi, quindi, che si svolse il dibattito politico e lo scontro tra gli opposti gruppi dirigenti veneziani che vedrà prevalere, sul finire del secolo, il gruppo dei patrizi cosiddetti "giovani" opposto a quello dei "vecchi", fautori di una diversa concezione della sovranità dello Stato e dei modi nei quali questa doveva dispiegarsi. Profonde differenze dividevano i due grandi orientamenti della classe dirigente veneziana, si trattava "di un discrimine profondo - ha scritto Gaetano Cozzi - che non aveva come oggetto solo diverse concezioni dello stato, della sua sovranità e della sua indipendenza, cosí come dei modi in cui esse dovevano manifestarsi, badando solo alla pienezza della loro affermazione, o accettandone limitazioni in nome di altri valori, civili e religiosi; e c'era la scelta tra il privilegiare il passato, tutelando gelo-samente quanto aveva lasciato, di insegnamenti di intraprendenza e di risolutezza, di tradizioni, di cultura, di peculiare identità veneziana; o aprirsi a suggestioni di rin-novamento, schiudendo la politica e la cultura a voci nuove, secondo esigenze nuove, tenendo conto del passato nella misura in cui non compromettesse il presente e il futuro"(Cozzi, Knapton, Scarabello, 1992, 62). L'affermazione di questa nuova classe dirigente si rifletterà sul piano legislativo nell'emanazione di provvedimenti che limiteranno le prerogative dei feudatari come le leggi contro la possibilità di concedere asilo ai banditi nei propri feudi (CF, 24)13 o quelle sull'uso dell'archibugio (CF, 33).14 Un processo che porterà poi alle leggi del 1586, del 1587 e del 1625, attraverso le quali si intese sottolineare chiaramente, da un punto di vista normativo, la sottomissione all'autorità centrale dei poteri feudali. 13 La legge è del 19 settembre 1566. 14 Nel 1578 era stata emanata dal Consiglio dei Dieci una legge che imponeva ai giusdicenti di denunciare al rettore di Udine ogni caso criminale accaduto nelle loro giurisdizioni nel quale fosse stato utilizzato l'archibugio. In tali casi il giudice feudale avrebbe dovuto soggiacere al controllo degli atti processuali da parte di un auditore inviato dal Luogotenente "per suo nome ad assistere alla formazione del processo" (Ibid., p. 33, 5. 2. 1578). 159 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 La legge del 1586 venne a sancire l'indiscutibile superioritä dello Stato nei confronti dei feudatari ordinando coerentemente tutti quei principi relativi ai rapporti tra feudalitä e Repubblica sui quali era giä stato legiferato in precedenza. La realizzazione di questo obbiettivo non venne individuata in una immediata limitazione dei poteri giurisdizionali detenuti dai feudatari quanto nella riaffer-mazione del vincolo vassallatico intercorrente tra il "Principe" ed i singoli giusdi-centi. Tuttavia se da un punto di vista formale non fu messa in discussione la legittimitä del feudo e per certi versi nemmeno quella dei poteri esercitati dai feudatari, la riconferma del vincolo feudale, e quindi l'accettazione da parte dei giusdicenti di una dipendenza nei confronti di Venezia, si traducevano in un maggior controllo del-l'attivitä giurisdizionale in quanto avrebbero fornito alle magistrature centrali o periferiche gli strumenti legislativi per intervenire, con le dovute precauzioni, qua-lora fossero state ravvisate nell'attivitä giudiziaria di qualche feudatario delle irre-golaritä o ingiustizie. L'azione di Venezia si svolse tuttavia, pragmaticamente, anche su altri piani, sostenendo, di volta in volta, le istanze provenienti dal basso, ossia dai singoli o dalle comunitä fatti oggetto delle vessazioni dei feudatari. Azione non sempre lineare e priva di contraddizioni, adattata molto spesso alle situazioni particolari, valutata via via l'effettiva opportunitä di incidere piü o meno profondamente sull'esercizio dei poteri difesi strenuamente dai feudatari. Nelle campagne friulane i conflitti che contrapponevano i feudatari alle comunitä durarono a lungo, spesso fino alla fine del '500, tra interminabili vertenze giudiziarie. A Valvasone, nel Friuli occidentale, la lunga vertenza che aveva contrapposto sin dagli anni 30 del '500 i feudatari del luogo ai "popolari", alle volte scandita come ho sottolineato in precedenza, da momenti di rottura che avrebbero potuto sfociare anche in episodi sanguinosi, si protrasse per circa quarant'anni. Le pretese della comunitä riguardavano principalmente la richiesta di una maggiore autonomia nella nomina delle cariche degli ufficiali del Comune e, nel contempo, una maggiore partecipazione dei giusdicenti alle spese della collettivitä.15 Nel tempo le richieste dei "popolari" si fecero sempre piü pressanti e giunsero anche a pretendere una piü radicale limitazione del potere dei feudatari nei riguardi della convocazione del-l'assemblea dei capifamiglia e dell'esercizio dei diritti giurisdizionali dei castellani del luogo (Joppi, 1979, 37). Se Venezia alla fine del '500 venne incontro parzialmente alle richieste dei "popolari" di Valvasone, in quanto ammise la legittimitä dei diritti in materia amministrativa degli abitanti del villaggio, tuttavia dall'altra, non ritenne opportuno intaccare i diritti giurisdizionali di quella antica e potente casata. 15 Sulla vicenda cfr. Joppi, 1979. 160 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 Una convenzione fu infatti stipulata nel 1570 per porre fine "in capo de tanti anni agl'odii, alli rancori, alle differentie, et alli dispareri nostri", recita la richiesta di approvazione dell'accordo (ASV. Coll. RF. 325). La convenzione sottoposta al Collegio il 13 gennaio 1571 (ASV. Coll. RF. 324) fu effettivamente approvata solo nel 1581 (ASV. LPF. 286). I 32 capitoli del "concordium inter Nobiles Consortes Valvasoni ex una, et populares dicti loci ex altera" confermarono infatti i diritti giurisdizionali dei nobili dichiarando che "il criminal tutto aspetti, et sia solamente dei Signori Consorti" (ASV. LP. 286). Una situazione analoga, sebbene con risultati piü positivi per i popolari, e ri-scontrabile anche a Spilimbergo. Anche questo centro, come Valvasone, aveva visto la crescita, nel corso del '500, di un ceto popolare stratificato e differenziato, formato da famiglie che erano riuscite a realizzare una certa fortuna economica. Verso la meta del '500 Venezia accolse molte delle richieste che il ceto dei popolari aveva formulato contro le pretese dei feudatari del luogo. Sebbene anche in questo caso non fossero state accolte le istanze di una riduzione delle prerogative giurisdizionali dei feudatari, tuttavia venne istituito una sorta di organismo formato da alcuni deputati della Comunita con il compito di controllare l'operato dei giu-sdicenti relativamente all'amministrazione del Comune,16 cosa che evidentemente metteva in discussione parte dei loro poteri. La sentenza delle magistrature veneziane, tuttavia, non pose fine ai contrasti che anzi perdurarono ancora a lungo inasprendosi in particolare tra gli anni '30 e '40 del '600 tra ricorsi e cause processuali dove l'elemento costante era la continua pretesa di pioveghi e fazioni da parte dei consorti ai danni della popolazione di Spilimbergo e delle sue ville (Stefanutti, 1984, 99). Si tratta solo di due esempi, ma che rendono conto di come i conflitti si pro-traessero lungamente, alle volte decine e decine di anni, acutizzando odi e rancori che alle volte, non trovando altra via di risoluzione, sfociavano in vendette, feri-menti, omicidi. Spesso, pero, erano proprio questi episodi di violenza che giustificavano l'intervento di Venezia, permettendo l'intromissione delle magistrature centrali nelle pratiche giudiziarie locali. Talvolta erano gli stessi offesi, a richiedere l'intervento del Consiglio dei Dieci o che fossero delegati poteri straordinari al Luogotenente, con la consapevolezza che qualora non fosse stata accolta tale supplica la paura di ritorsioni avrebbe reso muti i testimoni. Cosí, ad esempio, il podesta di Vito d'Asio, nella vicenda che aveva contrapposto gli abitanti di alcuni villaggi del feudo di Castelnovo ai Savorgnan - come abbiamo visto -, in seguito all'uccisione del proprio figlio scrisse al Consiglio dei Dieci chiedendone l'intervento perché "formandosi il processo dal giudice di dette ville, che 16 L'intera vicenda in Stefanutti, 1984, 95-108. 161 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 sono particolare giurisdittione del medesimo illustrissimo Signor Antonio Savorgnano con testimoni interessati, inimici et sospettissimi fanno apparere quello che vogliono" (ASV. CX. PC. F. 38). Per questi motivi, continuava nella sua supplica il podesta, "convengo un'altra volta ricorrer alla suprema auttorita di questo Eccelso Tribunale. Che gia si degni di prender la nostra protettione et prostrato a terra con lagrime di sangue supplicandole a diffender la mia vita, et non permettere che sia giudicata la morte del mio povero figliolo nella Patria del Friuli"(ASV. CX. PC. F. 38). La delega ad altri fori comportava, quindi, una sottrazione dell'attivita giudiziaria ai tribunali feudali, fatto che spesso scatenava la reazione risentita dei feudatari che vedevano di fatto limitati i loro poteri. Si trattera di interventi che, nel Friuli, avranno come momento eclatante la nota vertenza tra Venezia e il Patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, relativamente alla giurisdizione su San Daniele, una delle terre che la Repubblica concesse con ampi poteri al prelato (Pin, 1985). Ma anche in altri casi la Repubblica non si fece scrupolo di intervenire pesantemente nell'istruzione dei processi nelle cancellerie feudali sia attraverso lo stru-mento della delega con poteri straordinari al Luogotenente, sia attraverso l'avo-cazione presso le magistrature centrali del caso. Cosi ad esempio nel 1614 il Consiglio dei Dieci aveva richiesto che il "famoso bandito" Nicolo Moroni, arrestato nella giurisdizione friulana di Belgrado, appar-tenente ai conti Savorgnan, fosse tradotto nelle carceri veneziane per essere pro-cessato dalle magistrature centrali della dominante. Il 13 ottobre dello stesso anno il Luogotenente era costretto a riferire al Consiglio dei Dieci che il Capitano della contea aveva opposto un netto rifiuto alle richieste dei messi da lui inviati a rilevare l'imputato ed il processo fino ad allora istruito presso la cancelleria di Belgrado (ASV. CX. PC. F. 41/II). Immediata era stata la reazione dei Capi del Consiglio dei Dieci che il giorno dopo fecero intimare ad Ettore Savorgnan, all'epoca giusdicente della contea, l'ordine di presentarsi immediatamente alla loro presenza. Il conte si trovava a Venezia e lo stesso giorno si reco presso l'"Eccelso Tribunale" (ASV. CX. PC. F. 41/II). L'incontro, come risulta dagli atti conservati nel-l'archivio della magistratura, fu estremamente umiliante per il nobile friulano. Gli fu manifestato il risentimento del Consiglio per non aver obbedito immediatamente agli ordini impartitigli e "fu appresso ammonito severamente a far si che nell'avvenire non habbino a seguir piü mai simili inconvenienti" (ASV. CX. PC. F. 41/II). Il Savorgnan aveva piü volte tentato di controbattere ai rimproveri che gli venivano rivolti e ogni volta era stato seccamente zittito dai consiglieri. Alla fine, quando gli fu concessa "licenza di poter dire alcuna cosa", al conte non rimase che sottomettersi alla volonta del Consiglio e "con parole di riverenza, et affetto disse di mai haver havuto neanche pensiero o imaginatione di scostarsi dall'obbedienza del 162 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 suo Principe, sapendo benissimo quale sia il suo debito" (ASV. CX. PC. F. 41/11). II 15 di ottobre il processo veniva recapitato al tribunale dei Capi del Consiglio dei Dieci (ASV. CX. PC. F. 41/II). Non mancarono tuttavia i "provvedimenti disciplinan" con i conseguenti strascichi processuali. Al cancelliere e al Capitano di Belgrado fu intimato, infatti, di presentarsi al Luogotenente per discolparsi dalle accuse di inobbedienza agli ordini (ASV. CX. PC. F. 41/II). Lo stesso giorno (20 ottobre), venne posta ai voti nello stesso Consiglio dei Dieci una deliberazione che prevedeva che dato il "modo tenuto nella consignatione fatta di Nicolo Moroni bandito et dovendosi oltre li termini ordinarii della giustizia contro gl'inobbedienti, haver riguardo alla conservatione della patronia, et alto Dominio della Repubblica nostra sopra quel Castello" si dovesse inviare una truppa di "cappelletti" a Belgrado con lo scopo, evidentemente, di affermare anche visivamente la presenza del potere veneziano su quel luogo (ASV. CX. PC. F. 41/II). La deliberazione non fu approvata ma nemmeno respinta, fu semplicemente rimandata la votazione. Probabilmente ad una parte del Consiglio poteva essere parso eccessivo infliggere una tale umiliazione ad una casata che si era sempre mostrata fedele alla Repubblica. Tuttavia pare significativo di un mutamento di prospettiva il fatto che una tale deliberazione potesse venire presa in considerazione. Del resto l'intromissione delle magistrature veneziane nell'attivita processuale delle cancellerie feudali si svolgeva anche su di un altro piano. L'analisi dell'attivita di una cancelleria, seppure di un piccolo feudo come quello di Zoppola, un piccolo castello del Friuli occidentale che esercitava di fatto poteri giudiziari penali fino all'ultimo supplizio, mostra come dalla fine del '500, e poi nel corso del '600, fosse sempre piü frequente l'intervento del Luogotenente nel riformare le sentenze emanate dal giusdicente o, ancora prima della formulazione della sentenza, nell'imporre tempi piü lunghi tra la proclamazione dell'imputato e la sua condanna.17 D'altra parte i feudatari friulani mantennero ancora a lungo ampi privilegi giurisdizionali, a volte esercitati al di fuori delle normative previste nei diplomi di investitura (lo dimostrano le relazioni che i Luogotenenti di Udine inviavano a Venezia), fatto che contrassegno pesantemente le relazioni con le popolazioni suddite. Ancora a meta '600 risultava difficile per i Luogotenenti esercitare un controllo efficace sull'attivita delle cancellerie feudali. Nel 1640 il Luogotenente Renier Foscarini espresse, nella relazione di fine mandato presentata al Collegio, la propria indignazione per il modo in cui veniva amministrata la giustizia in alcune giu-risdizioni della Patria che sono "senza carceri, senza ministri, senza auditori, senza cancelleria, o altro officio con che si possa convenientemente sostenere la riputazione della giustizia, et pure dalla prima all'ultima tutte con la pretesa d'essere totalmente segregate, et allontanate dal reggimento [di Udine], usurpandosi un'autorita dispotica, 17 Sull'attivita della cancelleria feudale di Zoppola mi permetto di rinviare ad un mio recente studio: Veronese, 1997. 163 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 dismettendo le remissioni de' processi, gl'avvisi di delitti gravissimi, et tutti i ricorsi necessarii, schifano la superiorità del Rappresentante" (ASV. Coll. R. 49). Nonostante questo a '700 inoltrato risulta difficile reperire un'attività processuale penale delle cancellerie feudali che si estendesse ancora ai casi più gravi che veni-vano per la maggior parte delegati dalle magistrature centrali al Luogotenente. Del resto, proprio sul finire di questo secolo un parere dei Consultori in lure metteva in discussione alcuni aspetti dell'esercizio della stessa giustizia civile del feudo di Belgrado e Castelnovo (ASV. CI. 284). Il 19 febbraio 1790 Antonio e Girolamo Savorgnan presentarono un loro memo-riale nel quale lamentavano il fatto che due sudditi dei loro feudi (uno di Belgrado e l'altro di Castelnovo) avevano presentato appello presso il Consiglio dei Dieci rispetto a due sentenze civili confermate in appello presso lo stesso tribunale feudale. I Savorgnan pretendendo di difendere le proprie prerogative illustrarono il fun-zionamento dell'appello civile nei loro feudi: le sentenze confermate in terza istanza di giudizio (ossia sentenze "conformi" nel primo e nel secondo grado di appello) non potevano essere nuovamente appellate di fronte al Consiglio dei Dieci come invece avevano fatto i loro due sudditi. I Consultori non trovarono sufficientemente giustificata, data la scarsità della documentazione, l'inappellabilità di due sentenze conformi sostenuta dal memoriale Savorgnan. Tuttavia ritennero che tale principio potesse ancora essere applicato ma aggiunsero una clausola che di fatto limitava molto il potere dei feudatari e cioè ritennero che per le piccole somme si potesse procedere nel modo indicato dai feudatari mentre per "cause grosse o allargate" gli attori avrebbero potuto in ogni caso ricorrere "al Principe" (ASV. CI. 284). Significativa, a mio parere, la giusti-ficazione addotta nel consulto: compito del Principe è quello "di suffragare, quando l'emergenze lo richiedono, li propri sudditi, mantenere l'ordine pubblico e la sociale tranquillità. Per questo riguardo si appone in tutte le investiture la condizione: salvo sempre l'alto dominio della Repubblica e superiorità dell'eccelso Consiglio de' Dieci" (ASV. CI. 284). Si trattava in definitiva di rispettare una clausola che compariva ormai da secoli nelle investiture concesse dalla Repubblica ma la sua applicazione diveniva in questo caso estremamente restrittiva. A fine '700 i rapporti tra periferia e dominante erano profondamente mutati e sebbene alcuni feudatari difendessero ancora prerogative in realtà mai abrogate dalla Dominante, tuttavia le magistrature veneziane non parvero ormai più porsi particolari scrupoli nel limitare di fatto l'esercizio di tali poteri. 164 ACTA HISTRIAE VII. Giuliano VERONESE: SIGNORI E SUDDITI NELLE TERRE FEUDALI DELLA REPUBBLICA VENETA NEL '500, 153-167 ZEMLJIŠKA GOSPODA IN PODLOŽNIKI NA FEVDALNIH POSESTVIH BENEŠKE REPUBLIKE V 16. STOLETJU Giuliano VERO1ESE Univerza v Trstu, Oddelek za zgodovino, IT-34100 Trst, Ul. Economo 4 POVZETEK 20. septembra 1609 je prišlo do izbruha nasilja na sodnem območju Pinzana pod oblastjo plemiške družine Savorgnan, ki ji je Beneška republika na začetku 16. stol. dodelila številne privilegije. Primer, za katerega se je zanimal tudi sam sodnik, ki je bil vpleten v spor z nekaterimi vasmi, podrejenimi njegovemu sodnemu patronatu, je Svet Desetih odtegnil fevdalni sodni pisarni in zanj s posebnimi pristojnostmi pooblastil rektorja v Trevisu. To je bilo pomembno omejevanje pravic te močne fevdalne družine na področju sodne oblasti. Poseg gre verjetno pripisati globokim spremembam znotraj beneškega vodilnega razreda ob koncu 16. stoletja, kar je vzpodbudilo korenite ukrepe proti fevdalni gosposki; glavni cilj teh ukrepov pa je bil dejansko, če že ne formalno, omejevanje njenih privilegijev. S tem v zvezi sta bila posebno pomembna zakona iz leta 1586 in 1587, ki sta urejala odvisnost fevdalnih oblastnikov od Princa. Se učinkoviteje pa je do omejevanja sodniških prerogativ verjetno prišlo na področju same sodne prakse, in sicer z dodeljevanjem pristojnosti osrednjim ali perifernim beneškim sodiščem v primeru težjih prekrškov in z možnostjo, ki so jo imeli "bolj obremenjeni"podložniki, da se zatečejo na sodišča Beneške republike. FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV.Coll.R. - Archivio di Stato di Venezia. Collegio. Relazioni. ASV.Coll.RF. - Archivio di Stato di Venezia. Collegio. Risposte di fuori. ASV.CI. - Archivio di Stato di Venezia. Consultori in Iure. ASV.CX.PC.F. - Archivio di Stato di Venezia. Consiglio dei Dieci. Parti Criminali. Filze. ASV.CX.PC.R. - Archivio di Stato di Venezia. Consiglio dei Dieci. Parti Criminali. Registri. ASV.LPF. - Archivio di Stato di Venezia. Luogotenente della Patria del Friuli. CF - Codice feudale della Serenissima Repubblica di Venezia, Venezia 1780. 165 ACTA HISTRIAE VII. 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