Received: 2017-06-09 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S DOI 10.19233/AH.2017.25 NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA CITTÀ E CAMPAGNA (1850-1871) Francesco TONCICH Eberhard-Karls-Universitat Tübingen, SFB 923 "Bedrothe Ordnungen", Keplerstrasse 2, 72074 Tübingen, Germania e-mail: francesco.toncich@uni-tuebingen.de SINTESI L'articolo prende in considerazione la comparsa di discorsi e pratiche politiche antislave a Trieste tra il 1850 e il 1871. Esamina alcuni esempi della libellistica di lingua italiana e i verbali del Consiglio della città di Trieste durante gli anni '60 dell'Ottocento. Inoltre, mette in collegamento gli eventi locali a Trieste (la crisi del porto franco e la comparsa dei due partiti nazionali triestini) con fattori a livello austriaco-imperiale e internazionale: lo scopo è di comprendere il tema dell'antislavismo a Trieste in un contesto più generale, evitando precedenti interpretazioni storiche di segno etnocentrico. Oltretutto, l'analisi della dicotomia mentale tra città e campagna si è rivelata cruciale per questa interpretazione. Parole chiave: antislavismo, Trieste, città-campagna, porto franco, era costituzionale, rappresentanza politica ANTI-SLAVIC NARRATIONS AND POLITICAL PRACTICES IN TRIESTE BETWEEN CITY AND COUNTRYSIDE (1850-1871) ABSTRACT The article looks into the emergence of Italian-language anti-Slavic discourses and political practises in Trieste between 1850 and 1871.1 examined some examples of Italian-language essays and the minutes of the Trieste's city council in the 1860s. Therefore, I put in connection the local events in Trieste, like the crisis of the free port and the rise of Trieste's two national parties, with factors on Austrian imperial and international level: the aim is to understand the main topic in a more general context, avoiding previous ethnocentric historical interpretations. Moreover, the analysis of the mental dichotomy between city and countryside revealed to be crucial for this interpretation. Keywords: Anti-Slavism, Trieste, city-countryside, free port, constitutional era, political representation 539 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 INTRODUZIONE Il presente saggio tenta di dare un contributo riguardo a un tema ben poco indagato dalla storiografia passata: l'antislavismo italiano nel Litorale austriaco (argomento ancora oggi particolarmente intricato e complicata da diverse e opposte letture storico-politiche etnocentriche di un unico spazio multilingue e multietnico). In particolare, l'ideologia e la pratica politica dell'antislavismo vengono lette attraverso la chiave di lettura della divisio-ne mentale tra la città e il territorio rurale di Trieste. Il saggio si sviluppa in quattro parti: la prima parte collega l'analisi delle fonti successiva ad alcuni filoni teorici e metodologici della storiografia attuale; la seconda parte funge da introduzione generale ad alcuni ambiti della situazione storica triestina tra gli anni Cinquanta e Settanta dell'Ottocento; le ultime due parti prendono in considerazione, in primis, lo sviluppo dell'ideologia antislava nella sua prima fase attraverso l'analisi di alcuni esempi dalla produzione libellistica di lingua italiana (sia nel Regno d'Italia sia nella Trieste asburgica), e, successivamente, l'utilizzo di tale ideologia come prassi politica dei partiti di maggioranza locali attraverso l'esame dei verbali delle sedute del Consiglio comunale triestino. LA GEOGRAFIA DELLA CONTRAPPOSIZIONE - ALCUNE LINEE GUIDA TEORICHE E METODOLOGICHE Nell'evoluzione della storiografia di lingua italiana relativa a Trieste e alla regione del Österreichisches Küstenland / Avstrijsko Primorje / Venezia Giulia si puô riscontare, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, la presenza di alcuni "fili rossi". Lo storico Giorgio Negrelli ha individuato nel mito dell'autonomia municipale triestina uno dei temi principali della storiografia di lingua italiana sulla storia di Trieste (Negrelli, 1978). Il mito della sovranità cittadina giocô un ruolo centrale sia nell'ideologia e nell'attività delle forze politiche della media borghesia di Trieste, sia nella successiva produzione storiografica locale italiana (Verginella, 2008). La "retorica dell'autonomia" fu coniata, già agli albori del XIX secolo, come reazione alla perdita, nel 1813, dei privilegi del ceto patrizio triestino a favore del rafforzamento del centralismo statale austriaco e del ceto cosmopolita dei commercianti dell'emporio triestino di recente formazione (Schiffrer, 1978, 53). A partire dalla concessione imperiale del nuovo statuto autonomista della città di Trieste nel 1850, il mito dell'autonomia cittadina divenne la base ideologica centrale per lo sviluppo del modello identitario della media borghesia triestina, in particolare dell'élite politica liberal-nazionale e della storiografia locale di lingua italiana: non a caso, tra gli anni Sessanta dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, la politica triestina liberal-nazionale di segno autonomista contava tra i suoi esponenti anche alcuni storici dilettanti (come per esempio Attilio Hortis, Silvio Benco, Giuseppe Cobol, Attilio Tamaro, Mario Alberti), che imposero una propria visione storiografica politicizzata e nazionalizzata della storia triestina e dell'area altoadriatica (Negrelli, 1978, 10-11). Accanto al mito autonomista, il paradigma della contrapposizione tra spazio urbano e spazio rurale in un territorio comune multietnico e plurilingue trovó la sua centralità nel processo di formazione della tradizione e dell'identità cittadina di Trieste come 540 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 "isola italiana nel mare slavo". Marta Verginella ha già messo in luce il perdurare di tale modello interpretativo di lungo periodo nella storiografia di lingua italiana su Trieste e il Litorale. A partire seconda metà del XIX secolo, questa interpretazione servi a sostenere e a legittimare la supposta predominanza politica, economica e culturale dell'"elemento italiano cittadino" sulla "campagna slava retrograda" (Verginella, 2008, 779-781). La dicotomia moderna tra spazio urbano e spazio rurale, corrispondente alla contrapposi-zione tra civiltà e barbarie, è riconducibile all'ideologica gerarchizzazione degli spazi storicamente multietnici del litorale adriatico nord-orientale che si era formata alla fine dell'epoca moderna (nella seconda metà del Settecento) nell'Europa occidentale (Wolff, 1994; Verginella, 2008, 788; Ivetic, 2014). Negli ultimi decenni la storiografia internazionale ha già iniziato a mettere in discus-sione questo paradigma interpretativo dello spazio geografico triestino basato su modelli etno-geografici fissi e binari. I cosiddetti post-colonial studies e, in particolare, la nozione di spatial turn1, hanno permesso di mettere in luce la complessità di questo territorio. In questa prospettiva, lo spazio è definito da "mappe mentali" (mental maps), spesso in contrapposizione tra loro. Inoltre, citando lo storico Jürgen Osterhammel, lo "spazio", proprio come - e forse più del - "tempo", è un concetto mutevole e sfuggente. Partico-larmente soggetto all'esperienza umana e a precisi accadimenti storici, lo spazio è più plasmabile del tempo: "Raum ist formaber als Zeit' (Osterhammel, 2009, 130). La relativizzazione della divisione in due sfere culturali e nazionali ben definite e contrapposte (città-campagna, italianità-slavità, civiltà-barbarie) di spazi multilingue e spesso etnicamente misti fornisce la possibilità di osservare e analizzare, da una nuova prospettiva, fenomeni come la sovrapposizione e l'amalgamazione di identità di varia natura (non esclusivamente politiche e sociali), la porosità dei confini tra gruppi geo-grafici, politici e sociali2, nonché comportamenti di national indifference (Zahra, 2010) o situational ethnicity (van Rahden, 2008, 89-93). Per quanto riguarda il periodo prima della cosiddetta "cristallizzazione" nazionale, risulta particolarmente difficile, se non persino impossibile, tracciare un'esatta mappatura "nazionale", perlomeno secondo categorie nazionali assolute, e questo persino per gli opinion makers borghesi stessi (Kirchner-Reill, 2012). Già nel 1912 Angelo Vivante aveva posto l'attenzione sull'esistenza nel Litorale di due fenomeni di diversa natura che sfuggivano alle rigide interpretazioni nazionalisti-che. In primo luogo, l'esistenza di una forte porosità tra i vari nuclei politici dell'arena 1 Per spatial turn si intende un nuovo approccio teorico e metodologico all'interno delle scienze umanistiche, che segue il trend generale dei cosiddetti "studi postcoloniali", e che utilizza il concetto di "spazio" come paradigma interpretativo in sede di analisi delle fonti (Bachmann-Medick, 2006, 284-328). 2 Per quanto riguarda la creazione, la mutazione e il dissolvimento di confini, sia fisici che mentali, nel ristretto spazio del Litorale austriaco, non si deve aspettare la grande rottura dell'anno 1918: come già Angelo Vivante noto nel 1912, e negli ultimi decenni storiche come Sabine Rutar hanno puntualizzato, già nel periodo precedente alla prima guerra mondiale, tra il 1848 e il 1918, si assiste a tali processi. Ad esempio, il rimodellamento della struttura del porto franco triestino e la sua successiva soppressione nel 1891 portarono a importanti cambiamenti nei rapporti etnico-nazionali nell'area triestina, nonché delle "mappe mentali" dello spazio urbano (Rutar, 2003, 25). 541 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 triestina: sul piano politico, il cambio di schieramento da parte di attori politici locali (in particolar modo tra il partito liberal-nazionale filoitaliano e quello conservatore austro-filo) non era un'eccezione, rimarcando cosi una prassi piuttosto comune di flessibilitá politico-nazionale, persino nei decenni della maggior contrapposizione nazionale. Negli anni Sessanta dell'Ottocento, ad esempio, era consueta, durante le elezioni comunali, la presenza di candidati comuni nelle liste elettorali sia del partito liberale che di quello conservatore (Vivante, 1984, 94 ss.). Anna Millo ha sottolineato come, negli anni Sessanta, le differenze di campo tra il partito liberale filoitaliano e quello lealista fossero ancora minime, mentre i due schieramenti condividevano, seppure con modalitá differenti, "il tessuto comune di cultura e di esperienze" da cui entrambi derivavano una concezione politica liberale, ereditá derivante dall'epoca dell'emporio del secolo precedente, che significava quindi il riconoscimento e la difesa della Costituzione imperiale e delle libertá civili (Millo, 2002, 186). In secondo luogo, rispetto alla composizione etnica del Litorale, gruppi di popolazioni etnicamente e linguisticamente miste, non ancora nazionalizzate e persino non classificabili secondo paradigmi etnocentrici, perlopiu stabilite nelle zone periferiche attorno ai maggiori centri urbani litoranei, furono categorizzate da Vivante con i termini "ibridismo rustico" e "ibridismo urbano" (Vivante, 1984, 180)3: tali po-polazioni miste, che spesso svilupparono identitá plurime e mutabili a seconda della situazione concreta, divennero negli ultimi tre decenni del XIX secolo uno dei principali target delle politiche dei partiti nazionali per il controllo dello spazio sociale e politico, mentre le zone periferiche furono percepite come terreno fertile per la diffusione dell'idea nazionale attraverso politiche linguistiche ed educative, volte alla creazione di differenze e di confini (Sluga, 2001, 17)4. Allo stesso tempo, tale processo di produzione di differenze culturali a livello provinciale e di parallelizzazione delle societá locali secondo linee etnico-nazionali sempre piu demarcate fu favorito (se non proprio innescato) dal processo stesso di riorganizzazione politico-amministrativa del centro imperiale viennese a partire dal Neoabsolutismus e, in maniera ancora piu accentuata, dall'apertura della fase costituzionale nel 1860. Lo stesso stato centrale austriaco, grazie al supporto delle scienze statistiche, etnografiche, storiche e linguistiche, inizio una politica di classificazione delle varie popolazioni della Mo-narchia (si pensi alle prime categorizzazioni e rappresentazioni linguistico-etnografiche delle diversitá culturali nell'impero condotte da Karl von Czornig giá negli anni '50 dell'Ottocento), che prese spesso forma come una vera e propria creazione di differenze etnolinguistiche (Nikocevic, 2006). Questo processo fu definito da Gerald Stourzh chiara-mente come una "etnicizzazione della politica" dell'impero ("Ethnisierung der Politik"), che culmino con il riconoscimento dell'equiparazione legale di un numerus clausus di 3 Sulle problematiche categorizzazioni statistiche ed etnografiche nel secondo Ottocento nell'area triestino-istriana si veda: von Czornig, 1857, VII; Nikocevic, 2006; Johler, 2012. 4 "The different languages and dialects of the Littoral and Trieste, their mixed and hybrid forms, threw into stark relief the difficulties of distinguishing absolute national differences, of matching national and racial typologies with the people they saw and the languages to which they listened, of setting on one version of a language as definitive of the national identity of a population, and of deciding which nationality was sovereign in that territory." (Sluga, 2001, 17). 542 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 nove lingue ufficialmente riconosciute nella Dezemberverfassung del 1867 e l'utilizzo del concetto moderno di "langue parlée" / "Umgangssprache" per l'organizzazione dei censimenti decennali a partire dal 1880, che si riveló essere particolarmente problemático nella realtà mitteleuropea (Brix, 1982; Stourzh, 2011). Grazie all'analisi critica del paradigma tra città e campagna, puó essere inoltre ri-pensata e reinterpretata la gerarchizzazione nelle dinamiche tra centro e periferia (von Hirschhausen, 2015, 274). All'interno dello spazio geografico triestino, le zone urbane periferiche, insieme alle loro popolazioni spesso etnicamente "ibride", divennero para-dossalmente centrali nel processo di costruzione di mappe mentali etnocentriche, come spazi polivalenti: da un lato furono visti e usati come zone di scontro, nel tentativo di tracciare confini chiari attraverso prassi politiche e culturali; dall'altro, furono percepiti e vissuti come promessa di espansione per entrambi gli schieramenti nazionali in campo (Verginella, 2008, 780). In uno spazio geografico compatto, ma fortemente differenziato etnicamente, come quello del territorio attorno a Trieste, si svilupparono "identità multiple di confine", nelle quali anche altre "identitá trasverse" giocarono un ruolo importante (come la provenienza regionale, il lavoro, l'appartenenza sociale, la cultura, la religione, il genere), le quali a loro volta diedero vita a interessanti risultati attraverso intrecci e sovrapposizioni, non solamente a carattere locale. Accanto all'importanza della lingua, della cultura e dell'acculturazione, la questione del controllo dello spazio ricopri un'importanza cruciale nella creazione di una società "immaginata" degli "italiani di Trieste", del loro rivendicato predominio politico e culturale e della loro presunta continuità storica. Sulla questione del controllo del territorio s'impernió la successiva ideologia nazionale e irredentista italiana. In tale senso il discorso antislavo e il processo assimilatorio, di italianizzazione dell'"Altro", divennero la pietra di volta del discorso identitario nazionale italiano nel Litorale austríaco, inteso spesso persino come atto performativo di auto-determinazione dello stesso elemento parlante italiano, cioè di auto-eliminazione di propri elementi "esterni", considerati come minacciosi e impuri per la determinazione del proprio "Io" nazionale5. In tal senso andrebbe letta la definizione dell'"Italianità" di Trieste proposta da Scipio Slataper su "La Voce" nel 1910: "un'italianità mista e malsicura; un'italianità che deve continuamente italianizzarsi [...]" (Slataper, 1954, 62). UN EMPORIO IN CRISI, UNA CITTÀ IN CERCA DI NUOVE IDENTITÀ Gli anni Sessanta dell'Ottocento rappresentarono un periodo particolarmente rilevan-te per la storia di Trieste e del suo territorio contiguo: il decennio dopo la conclusione del Neoabsolutismus segnó un passaggio fondamentale di svolta, durante il quale si 5 Sulla centralita delle pratiche performative nel processo di costruzione di identitá, come pure sulla natura fortemente flessibile e in continuo divenire dell'identitá stessa, si veda: Hall, 2011. Recentemente Pieter Judson ha notato quanto le politiche dei vari partiti e movimenti nazionali nella Monarchia asburgica fossero dirette piuttosto ad eliminare le forme di ambiguitá e incoerenza all'interno degli stessi gruppi nazionali (Judson, 2014). 543 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 delinearono le linee guida dei processi politici, sociali ed economici che definirono, nella loro complessità, la realtà triestina fino alla prima guerra mondiale (Cova, 2000, 1935). Jože Pirjevec, inoltre, ha constatato come proprio la cesura tra gli anni Cinquanta e Ses-santa dell'Ottocento fu centrale per lo sviluppo della propaganda antislava nel Littorale austríaco (Pirjevec, 2009, 5). A partire da questi indizi storiografici, merita, a mio avviso, gettare un rapido sguardo alle evoluzioni principali della realtà triestina tra la fine della "rivoluzione di maggio" (1848-1849) e l'inizio dell'era costituzionale nella sua forma dualista (1861-1868). L'inizio della "fase costituzionale" nella Monarchia asburgica, in seguito alla conces-sione della Oktoberverfassung nel 1860 e all'apertura del nuovo Reichsrat a Vienna nel 1861, significó un'importante apertura per i diritti di rappresentatività politica nell'impe-ro, che ebbe come conseguenza, a livello locale, l'entrata nell'arena politica triestina dei due partiti politici liberal-borghesi, accanto al già presente partito lealista conservatore: nel 1861 il partito liberal-nazionale, espressione politica della media borghesia cittadina di lingua e cultura italiana, e nel 1865 il partito dei "Narodnjaki', la rappresentatività politica dell'emergente classe media liberale di lingua e cultura slovena6. Tale processo fu inserito nella più generale tendenza alla diversificazione, interna alla società triestina, e alla politicizzazione dell'opinione pubblica durante e dopo la svolta della rivoluzione di marzo (1848-1849) (Cattaruzza, 2002, 173). Sarebbe riduttivo appiattire la creazione dei due maggiori schieramenti politici nel Consiglio comunale triestino (per lo meno fino all'avvento del partito socialista triestino) a un semplificato processo di national building, secondo schemi teleologici ed etnocentrici, che, partendo da posizioni essenzialistiche, presuppongono a priori l'esistenza indiscussa di gruppi etnico-nazionali chiusi e definiti in se stessi. Pure altri fattori determinanti porta-rono, a mio avviso, ad una bipolarizzazione monopolizzatrice dei discorsi e delle pratiche della vita politica cittadina nel secondo Ottocento. La storiografia italiana "canonica" ha considerato la propaganda antislava nel Litorale austríaco come una "logica" reazione delle élites triestine, goriziane e istriane di lingua italiana al "risveglio nazionale" slavo. Dietro a questa visione faziosa e semplificatoria, che presuppone a priori l'esistenza di un'identità "italiana" di Trieste, agirono sicuramente fattori storici ben più profondi e generali, che misero in crisi non solo la struttura economica e sociale precedente dell'em-porio triestino, ma anche quella della classe media cittadina, che si andava via via politi-cizzando. Il tutto deve, per l'appunto, essere inserito in una congiuntura storica politica di modificazione della struttura economica e sociale di Trieste e contemporaneamente di allargamento della partecipazione politica nell'Impero asburgico. Un elemento fondamentale in tale contesto è rappresentato dall'inizio della crisi di stagnazione e di ristrutturazione dell'emporio triestino, situabile grosso modo, a fasi 6 Questa "nuova" media borghesia di lingua slovena non va confusa con quella rappresentata dai grandi magnati e commercianti parlanti sloveni dei decenni precedenti, che, emigrati dalle provincie contigue dalla seconda meta del Settecento, si insediarono nel emporio triestino, facendo fortuna e integrandosi appieno nel tessuto sociale, economico e culturale dell'alta borghesia triestina parlante sia italiano che tedesco. Si veda: Verginella, 2001. 544 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 alterne, tra il 1855 fino al 1891. Dopo aver vissuto la sua fase più dinamica e creativa nel primo Ottocento (Ara, Magris, 2007, 37), il regime di porto franco attraversó una crisi di lunga durata, conclusasi con la sua tardiva eliminazione nel 1891 e con la sua radicale ri-strutturazione in porto di transito inserito in un sistema internazionale e intercontinentale di traffici commerciali e finanziari. Il porto franco triestino raggiunse il suo zenit attorno all'anno 1855, grazie ad una congiuntura economica del sistema austriaco ed europeo particolarmente favorevole, dovuta al ritorno di una certa stabilità politica a seguito dei tumulti del 1848-1849 (Vivante, 1984, 223; Rumpler, 1997, 324). La crisi cronica di sta-gnazione e riposizionamento conseguente mise in luce, da un lato, la natura artificiale del porto franco di Trieste, e dall'altro la sua inadeguatezza a stare al passo con i cambiamenti sempre più rapidi dell'economia e del nuovo assetto politico, non solo a livello imperiale, ma anche europeo. Lo sviluppo tecnologico dei mezzi di trasporto - il dimezzamento dei tempi di percorrenza delle tratte adriatiche dei vapori del Lloyd austriaco già negli anni Quaranta (Kirchner Reill, 2012, 30-38), il completamente della Südbahn nel 1857 (Artl, Gürtlich, Zenz, 2007) - e l'apertura di nuove rotte marine tra il Mediterraneo e gli altri mari - l'apertura del canale di Suez nel 1869 - portó ad una velocizzazione del commercio internazionale, che stava diventando sempre più intercontinentale. Al contempo, la rivoluzione dell'ordine geopolitico europeo, attraverso la creazione degli stati unitari italiano e tedesco, diede un impulso per la creazione di due grandi spazi di mercato fortemente concorrenziali, in un periodo di incertezza economica interna allo stato austriaco - si ricordi le crisi di stagnazione cicliche, legate pure alle crisi geopolitiche e militari degli anni Sessanta, e il grande crac della Borsa viennese nel 1873: si stima, per esempio, che la creazione del Regno d'Italia nel 1861 comportó la perdita di quasi un terzo dell'intero export triestino, rendendo cosi il mercato italiano per un certo periodo ben più attraente di quello interno austriaco (Millo, 2002, 185). Inoltre, lo stato centrale austriaco, come pure altri attori privati "esterni" (secondo l'ottica triestina autonomista), iniziarono a giocare un ruolo sempre più importante a Trieste come finanziatori del pro-cesso di ristrutturazione e riposizionamento del porto triestino7: il "capitale internazionale" investito a Trieste proveniva soprattutto da banche viennesi, praghesi o dell'area tedesca del Zollverein. Questa penetrazione sempre maggiore del capitale "esterno", e la sua sempre maggiore percezione nell'opinione pubblica triestina, mise chiaramente in crisi la tradizio-nale preminenza delle élites locali nel controllo della vita economica triestina, come pure il concetto stesso di autonomia cittadina (Andreozzi, 2003, 203-212). Un altro punto di forte interesse, che non è stato finora ancora suficientemente preso in analisi dalla storiografia, è rappresentato dagli influssi dell'annosa crisi del colera nel Litorale austriaco, in particolar modo sull'evoluzione demografica e socio-economica dell'emporio triestino. Infatti, la grande crisi colerica dell'anno 1855 (che Vivante indica 7 Dopo lunghe discussioni tra le élites economiche e politiche di Trieste e Vienna, nel 1865 furono approvati i lavori di ampliamento e ammodernamento delle infrastrutture portuali, lavori che iniziarono due anni dopo, nel 1867, e si conclusero appena nel 1883 (ritardati pure dalla grande crisi finanziaria dell'imperio del 1873). Sin da subito tali ammodernamenti si rivelarono pero obsoleti e inadeguati ad affrontare il flusso commerciale in crescita (Millo, 2002, 192). 545 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 come anno d'inizio della crisi del porto franco), che fu seguita da altre tre successive (1865-1867, 1873, 1886), rappresentó l'ondata più acuta e drammatica di un'epidemia che turbó e segnó profondamente la società locale dagli anni Trenta sino agli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo (Cigui, 2008, 462, 470). Una tale metamorfosi complessa e poliforme, che qui puó venir solamente delineata con alcuni schizzi schematici, ebbe di sicuro forti ripercussioni sulla struttura sociale triestina, attraverso un marcato processo di differenziazione sociale e politica. Vorrei qui citare, come efficace sintesi, l'analisi di Daniele Andreozzi sulla crisi tra gli anni Cin-quanta e Sessanta: "La frattura più ampia divideva proprio quanti riuscirono a mantenere un ruolo all'interno dell'area economica imperiale e quanti furono costretti ad arroccarsi nell'agone locale. Per questi la principale posta in gioco divenne quella della gestione del centro urbano e della sua municipalizzazione." (Andreozzi, 2003, 206) L'élite commerciale cosmopolita (esemplificata da due dei più importanti capitalisti triestini, Pasquale Revoltella e Giuseppe Morpurgo), la quale era stata co-artefice della grande fortuna di Trieste e del suo porto franco nella prima metà dell'Ottocento, si trovó di fronte alla necessità di ridefinirsi e ripensare la propria posizione nei nuovi circuiti commerciali e finanziari austriaci, europei e intercontinentali, in sempre più stretto contatto con le strutture dello stato centrale austriaco (Andreozzi, 2003, 203). Maggior difficoltà di adattamento, in tale situazione di riduzione e rimodellamento del mercato lavorativo triestino, l'ebbe la classe media cittadina, nata e sviluppatasi attorno alle grandi società di navigazione e assicurative triestine dagli anni Trenta. La media bor-ghesia triestina fu quella maggiormente colpita da tale crisi, e, contemporaneamente, il principale attore del processo di acculturazione e di politicizzazione dagli anni Quaranta (Millo, 2002, 209). Sarà proprio questa parte della borghesia locale che si raggrupperà attorno al programma politico liberale e autonomista comunale e svilupperà e userà poi sul piano della politica locale il primo nucleo della propaganda antislava triestina. Volendo sintetizzare, le società borghesi triestine - efficacemente raggruppate da Anna Millo sotto la definizione di "élite del potere" (Millo, 1989) - si trovarono durante il passaggio tra gli anni Cinquanta e Sessanta dell'Ottocento, sotto diversi punti di vista, in una crisi strutturale, caratterizzata e fortemente influenzata da congiunture imperiali e internazionali in sempre più rapido mutamento, che portarono le classi medie triestine di lingua italiana e slovena alla ricerca di nuovi paradigmi ideologici di riconoscimento e di autolegittimazione. La nascita di un discorso antislavo rappresentó per la società medio-borghese cittadina uno dei fattori fondamentali di coagulazione e di ricerca identitaria politica e culturale attorno alla tradizione autonomista e all'"italianità" di Trieste (soprat-tutto dopo la guerra italo-austriaca del 1866), e, al contempo, di esclusione ideologica dell'"Altro" concorrenziale (Catalan, 2015, 40). ANTISLAVISMI TRA L'ITALIA E LA TRIESTE ASBURGICA: SIMILITUDINI E DIFFERENZE Secondo un'interpretazione di Jože Pirjevec, lo sviluppo dell'antislavismo nel Lito-rale austriaco fu una conseguenza riflessa, un transfer politico e ideologico "importato" 546 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 dall'accesa diatriba sulla questione del riassetto politico e amministrativo della regione sud-adriatica in Dalmazia negli anni 1860-1861, tra intellettuali e politici di lingua italiana di segno autonomista, e quelli di lingua serbo-croata ("illirica"), sostenitori del progetto politico del "Triregno" croato (Piijevec, 2009, 3-15). La cosiddetta "battaglia degli opu-scoli" - principalmente tra, da una parte, i due autonomisti Niccoló Tommaseo e Vicenzo Duplancich e, dall'altra, l'annessionista Vinko Milic (Pirjevec, 1977, 186) - portó, da un lato, alla cristallizzazione culturale e politica di visioni stereotipate e negativizzanti verso gli "slavi" da parte italianofona, presenti in nuce già in precedenza8, mentre, dall'altro, ebbe una forte risonanza non solo a Vienna, ma pure nel Litorale austriaco. Non è lo sco-po di questo testo elencare le figure retoriche dell'ideologia antislava, le quali sono state più volte analizzate dalla storiografia recente (Collotti, 1999; Pirjevec, 2009; Kirchner Reill, 2012; Manenti, 2015; Catalan, 2015), ma piuttosto quello di toccare alcuni nodi che sembrano centrali per il processo di transfer politico-culturale tra la realtà dalmata e quella triestina, e per la sua concretizzazione come azione politica nella provincia e nella città di Trieste. Che le annate 1860 e 1861 rappresentassero una svolta per il discorso politico locale e internazionale, non in ultimo luogo per l'ideologia antislava e il successivo irredentismo adriatico, lo conferma pure lo sviluppo della pubblicistica politica nel regno d'Italia riguardo alla questione della città di Trieste e dei territori nord-est adriatici. In particolare ci si riferisce qui alla tarda produzione libellistica di Pacifico Valussi. Non si vuole entrare nei particolari della problematica evoluzione ideologica del giornalista e politico friulano, dal periodo de "La Favilla" (dove Valussi, insieme a Nicoló Tommaseo, propugnó idee e progetti politici per una fratellanza e coabitazione italo-slava nello spazio costiero adriatico compreso tra Trieste e Ragusa/Dubrovnik), fino allo scivolamento verso posi-zioni che chiameremo "pre-irredentiste" durante gli anni Cinquanta e Sessanta9 - quella trasformazione ideologica di Valussi, che Angelo Vivante, ironicamente, attribuiva al "miracolo" dell'unità politica della penisola italiana (Vivante, 1984, 69). Tale tema è stato già affrontato sotto diversi punti di vista dalla storiografia10. Ció che interessa in questo contesto è l'inizio di un discorso antislavo d'oltre confine, nel Regno d'Italia, che sicuramente fu influenzato dai dibattiti contemporanei in Dalmazia, e che ebbe una certa risonanza pure negli ambienti politici triestini. Dall'analisi discorsiva di tali libelli si possono riscontare alcuni punti di contatto e trasferimenti ideologico-culturali che 8 Nella fattispecie, ci si riferisce ai testi pubblicistici e giomalistici della generazione dei cosiddetti 'Tavillisti" (soprattutto Pacifico Valussi, Francesco Dall'Ongaro, Niccoló Tommaseo), influenzati da teorie herderiane e interpretazioni esotiche sulle popolazioni slave, considerate come popoli di "buoni selvaggi" (Kirchner Reill, 2012, 67-68, 96). 9 Il termine "pre-irredentista", qui utilizzato, si basa sull'interpretazione dello storico Angelo Ara riguardo alla nascita di un vero discorso irredentista, che e stato individuato da Ara negli scritti mazziniani dell'anno 1866, cioe nel contesto della guerra italo-austriaca che portó alla conquista del Veneto da parte italiana (Ara, 1987, 164). Inoltre si vuol essere cauti nell'uso del termine "irredentismo" per il periodo precedente alla fondazione del movimento "Associazione pro Patria irredenta" nel 1877, con il fine di evitare letture che possono retrodatare gli albori di tale ideologia secondo interpretazioni teleologiche, come ad esempio: Schiffrer, 1978. 10 Come studio esemplificativo sull'evoluzione ideologica e politica di Pacifico Valussi, si veda: Tafuro, 2004. 547 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 vennero a costruirsi in questi anni tra attori politici presentí nel Regno italiano e le nuove rappresentanze politiche e intellettuali liberali italofone dell'area nel nord-est adriatico. Negli anni 1861 e 1871, cruciali per la politica europea internazionale (unità politica italiana e quella successiva tedesca), Pacifico Valussi pubblicó due importanti libelli sul ruolo che la neonata Italia avrebbe dovuto avere riguardo all'area adriatica, in particolare sulla questione di Trieste e l'Istria - questione vista come centrale per la sopravvivenza del nuovo stato italiano sullo scacchiere internazionale (Valussi, 1954; Valussi, 1871). Soprattutto il secondo testo, L'Adriatico in relazione agli interessi nazionali dell'Italia del 1871, risulta di maggior interesse: riprende, infatti, molte tesi già esposte nel suo testo precedente del 1861, Trieste et l'Istrie. Leurs droits dans la question italienne, rafforzandole e specificandole ulteriormente alla luce della nuova situazione politica internazionale. Nel 1861 la compagine statuale austriaca sembrava a Valussi ormai a un passo dallo sfacelo economico e politico, tanto che Valussi invitava i triestini e gli altri italiani "ancora soggetti alla dominazione dell'Austria" a prendere coscienza della crisi profonda in cui si trovavano (Valussi, 1954, 19, 72). Il giornalista politico friulano, nella mutata situazione internazionale dopo il 1866 e il 1871, considera invece con maggior preoccupazione il progressivo rafforzamento e riassetto dell'Austria, l'unità tedesca e il crescente movimento panslavo. L'Adriatico nord-orientale viene qui presentato ormai come il punto di collisione delle tre grandi "nazionalità" dell'Europa centro-orientale, l'italiana, la tedesca e la slava. Si rafforzano cosi, da un lato, il concetto del ruolo civiliz-zatore dell'"italianità", e, dall'altro, quello del ruolo strategico di quest'area per l'Italia, presupponendo l'esistenza di "frontiere naturali" (Valussi, 1871, 29-30)11, intese come baluardi contro sia il "Drang nach Osteri' tedesco, sia i movimenti unitari jugoslavo e panslavo, sostenuti dalla Russia. Valussi riconosce l'impreparazione militare italiana, pure nei confronti dell'Austria, e propone quindi una politica economica e culturale forte dello stato italiano nell'Adriatico, richiamando la sua vocazione tradizionale di potenza marittima e civilizzatrice (Valussi, 1871, 9), contro "una strapotente Germania e la Slavia novella, atte a soffocare insieme sul Litorale ogni elemento italiano" (Valussi, 1871, 30). In questo contesto ormai internazionalizzato (Klabjan, 2011), si affacciano nel discorso valussiano temi spiccatamente antislavi, accanto e in concomitanza a quelli antigermanici, sempre peró presentati in una forma onnicomprensiva e vaga. Lo "slavismo" sudeuropeo, che nel testo del 1861 veniva tratteggiato ancora come una forma di inferiorità culturale e sociale, relegato alla campagna e desideroso solamente di essere assimilato al corpo dell'italianità locale12, appare a Valussi nel 1871, invece, come una concorrenza sempre più pericolosa. Il cosiddetto "risveglio nazionale" slavo nella Monarchia asburgica appare ora ben più pericoloso, in quanto possibile concorrenza culturale e sociale al predominio italiano sostenuta dalla potenza zarista, che mira al controllo delle coste e degli spazi urbani dell'Adriatico orientale: "La Russia estende ormai la sua influenza 11 Già nel precedente testo, Valussi adoperô concetti come "civilisation latine", "limites tracées par la nature", "ligne stratégique" (Valussi, 1954, 23, 35-36, 42). 12 „Les Slaves épars dans une partie de la campagne, désirent, eux aussi, se confondre avec les Italiens, qu'ils estiment et dont ils se rapprochent de jour en jour" (Valussi, 1954, 93). 548 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 suU'Arcipelago e sull'Adriatico" (Valussi, 1871, 64). In tal senso r"emancipazione" nazionale degli slavi sulle coste adriatiche diventa una vera "usurpazione" economica e politico-amministrativa. In questo discorso si palesa l'influsso dei temi principali de-rivanti dalla sopra-citata "battaglia degli opuscoli" per la questione dalmatina, adattati alla situazione triestina, istriana e fiumana: Lubiana e Zagabria avrebbero già cercato, secondo Valussi, di "usurpare" il tradizionale predominio dell'elemento italiano a Trieste e a Fiume/Rijeka, come pure in Istria, Dalmazia e persino nel Friuli orientale - sempre con il beneplacito delle amministrazioni austriache (Valussi, 1871, 55). Qui emerge una delle caratteristiche specifiche del discorso antislavo presente negli stessi anni anche nel gruppo politico medio-borghese triestino parlante italiano: il mito della doppia minaccia, slava, o meglio pan-slava, e quella (austro-)germanica, come due parti di uno stesso ingranaggio. Il ruolo degli "slavi" locali emerge qui sfuocato, non distinto, confuso in un'ottica di gioco tra grandi stati europei: gli "slavi" sudeuropei ven-gono quindi tratteggiati come popolazioni inferiori, pericolosi e incontrollati strumenti in mano a potenze internazionali, all'interno di una politica globale del "divide et impera" per il predominio dell'Adriatico (Collotti, 1999, 38). Il fatto peró che Valussi indentifichi le concorrenziali borghesie nazionali slovene e croate con le città di Zagabria e Lubiana è di particolare interesse: il pericolo del sudslavismo risiede ormai nell'elevazione culturale e politica del nemico, non più facilmente assimilabile, e che, per converso, cerca di scalzare la predominanza italiana nei centri urbani costieri - come è già accaduto un anno prima, nel 1870, con la vittoria schiacciante della Narodna stranka alle elezioni per la dieta provinciale dalmatina. Nel frattempo peró, attraverso questa simbolizzazione delle due città "slave", lo "slavismo" triestino e istriano, in particolare l'esistenza di una borghesia slovena e croata locale, vengono fatti sfumare, e persino "delocalizzati". Trieste e le città istriane, come pure Fiume, rimangono, in tale prospettiva, città puramente italiane, mentre lo slavismo, pericolosamente concorrenziale e aggressivo, viene "spostato" geograficamente verso altri centri urbani dell'entroterra, come per l'appunto Lubiana e Zagabria: in tal senso uno slavismo triestino e istriano, come elemento autoctono, cultu-ralmente e linguisticamente sviluppato, che possa avere proprie rivendicazioni politiche, sociali e culturali, viene escluso a priori dal discorso. Interessanti punti di contatto con tale discorso valussiano sono riscontrabili in un altro libello di lingua italiana, Gli slavi e lo slavismo in Trieste. Dagli scritti d'un emissario russo, pubblicato a Trieste da un certo G. E. Martelanz nel 1867, successivamente alla guerra austro-prussiano-italiana, nonché durante le difficili contrattazioni per l'Ausgleich tra Vienna e l'Ungheria. Il testo viene fittiziamente presentato come un diario personale, abbandonato e ritrovato in una locanda, non a caso, della periferia triestina, scritto da una spia russa al soldo di un comitato di San Pietroburgo in viaggio attraverso la Monarchia, con lo scopo di intercettare gruppi panslavi locali. L'agente si aspetta di trovare a Trieste una centrale del panslavismo sulla costa adriatica; ma, già al suo arrivo alla stazione ferroviaria, e in seguito esplorando la città, deve ricredersi: nessuno parla alcuna lingua slava, nemmeno i portantini alla stazione; al contrario, l'italiano risulta essere la lingua comune di comunicazione tra persone di varie nazionalità. Inoltre l'agente russo incontra per puro caso sul molo San Carlo uno "slavo" di estrazione sociale borghese, proba- 549 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 bilmente di origine slovena, il quale, durante un lungo discorso a quattrocchi nella sua abitazione privata, gli fa notare che a Trieste non vive nessun vero "slavo". Qualora ce ne fossero di slavi a Trieste, essi si vergognano di parlare la loro lingua d'origine, prefe-rendo piuttosto l'uso della lingua italiana. La popolazione triestina, multietnica, vive "in perfetta pace e armonia", senza dover mostrare alcuna specifica appartenenza nazionale, mentre l'italiano svolge il ruolo di unico mezzo di comunicazione (Martelanz, 1867, 12). Fin la gente slava di servizio, appena messo il piede sul territorio di Trieste, finge d'ignorare la propria lingua materna, e preferisce d'esternare i suoi sentimenti in italiano: in un italiano, che, a dir il vero, offende le orecchie e fa prender la fuga a chi abbia un po'si senso estetico. Quanti non v'ha qui Sloveni: mercanti, impiegati e sino scolaretti che non vogliono per niun conto sentir parlare la loro madrelingua e che rinnegano la propria nazionalitá! - E cosí anche i nostri mandriani d'ambi i sessi e persino i cosiddetti Cicci che si recano qui per lo smercio dei loro prodotti, voglion servirsi e si servono esclusivamente della lingua italiana anche nel caso che il compratore li arringasse in islavo. (Martelanz, 1867, 13) Il discorso sulla lingua italiana porta al tema centrale della propaganda antislava suc-cessiva, cioe l'"assimilazione spontanea", che Valussi nel testo del 1861 chiama "la loi naturelle d'assimilation" (Valussi, 1954, 36), rafforzata nel testo di Martelanz tramite l'uso di verbi di volontá riferiti all'uso esplicito e conscio della lingua italiana a Trieste, anche da parte di persone originariamente slave (es. "preferire", "volere"). Inoltre, l'accento sul cosmopolitismo della citta e del porto di Trieste, insieme a quello della tradizionale forza unificante della lingua italiana derivano chiaramente dal mito autonomista triestino. E proprio tale autonomia, come pure l'identitá e la "nazione" triestine, basate sul comune uso della lingua e cultura italiana e intese come "spazi" d'aggregazione sociale, trovavano proprio nello slavismo, nella fattispecie nel panslavismo russo, un fattore di forte desta-bilizzazione e frammentazione. Lo slavismo viene presentato come un corpo esterno che cerca di introdurre il bacillo del sentimento nazionale nella cittá adriatica plurinazionale, dove, invece, in base al concetto del cosmopolitismo stesso, da decenni ogni nazionalitá viene trattata allo stesso modo: Trieste sarebbe quindi un porto dedito solamente agli affari, un luogo d'incontro di molteplici nazionalitá, sotto la protezione imperiale e grazie all'uso dell'italiano come lingua franca, come lo dimostrano le diverse bandiere delle varie navi attraccate - presenti tutte, tranne quella russa (Martelanz, 1867, 8-12). In tal senso, qui sembra palesarsi un'altra forma di antislavismo, diversa nell'approccio politico da quella di Valussi: pur condividendone alcuni temi fondamentali, questo libello non puo essere acco-munato a quelli valussiani "pre-irredentisti", ma, facendo appello ai "veri patrioti" triestini contro le rivendicazioni panslave russe, si ricollega piuttosto al sentimento filomonarchico asburgico parlante italiano e all'identitá della Trieste "urbs fidelissima". Nel passaggio degli anni Sessanta, il concetto del cosmopolitismo dell'emporio sembra quindi trovare un suo punto di svolta ideologico presso la classe media borghese triestina: l'italiano, come fattore d'integrazione sociale e culturale nella "societá mag- 550 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 gioritaria" trova nell'antislavismo, durante la fase di crisi interna, un nuovo fattore tanto di autoidentificazione "al negativo", quanto d'esclusione di una nuova forma alternativa di socializzazione e acculturazione. Lo "slavismo" a Trieste viene innanzitutto escluso dialetticamente dalla zona urbana, relegato chiaramente alla zona retrostante del Carso, "cui la natura trattô da matrigna", contrapposto alla città produttiva e vitale (Martelanz, 1867, 3). Inoltre lo slavismo triestino viene inserito ideologicamente in un progetto ben più generalizzato ed esterno, nella fattispecie nel cosiddetto "panslavismo". Lo scopo discorsivo è chiaramente quello di ridurre le forme di presenza culturale e sociale delle popolazioni slave locali (quali la pubblicazione del giornale locale Primorec e l'apertura delle čitalnice) a mere apparizioni sporadiche, di ben poco conto e non radicate nella società urbana triestina, mentre nel testo non si fa parola della rappresentanza politica slovena del territorio triestino in consiglio comunale. Queste prime espressioni culturali organizzate della popolazione slovena a Trieste sarebbero organizzate da pochi "esaltati" panslavisti, esterni al corpo cittadino, presentate discorsivamente come separate e ignorate dai "veri triestini", i quali sono piuttosto intenti a condurre i propri affari (Martelanz, 1867, 11)13. Insomma, "lo Slavismo a Trieste - dal pari che il colosso russo - si erge sopra due piedi d'argilla!" (Martelanz, 1867, 13). Un dato interessante da notare in questo testo, come pure nei due testi valussiani, sono l'uso dei termini "slavo" o "slavismo" e i riferimenti alla Russia e al movimento panslavo, come termini onnicomprensivi, generalizzanti, indici di una visione comune nella pubblicistica dell'Europa occidentale dopo le prime apparizioni di una volontà d'intesa e di fratellanza tra popoli slavi, come i vari congressi slavi a partire dal 1848 (si noti che il libello di Martelanz fu pubblicato nello stesso anno del congresso slavo di Mosca del 1867)14. Come la storiografia di lingua tedesca ha ben messo in luce, questi termini generalizzanti sono indici di un atteggiamento ambivalente verso i progetti di or-ganizzazione e fratellanza linguistiche e culturali dei popoli slavi, come il "panslavismo" o l'"austroslavismo" (Wippermann, 1996; Skordos, 2014). Da un lato, la percezione e rappresentazione dell'unità slava fu ben più diffusa negli stati europei non-slavi, piuttosto che presso le comunità parlanti lingue slave (Skordos, 2014, 390): in tal senso il concetto di un'unione, linguistico-culturale o politica, serviva dialetticamente alla pubblicistica e giornalistica degli stati nazionali dell'"Europa occidentale" per scopi di auto-legittima-zione in politica estera. Dall'altro lato, l'uso ricorrente di tali termini generici rimanda alla mancanza di una forte autodefinizione della stessa borghesia intellettuale e politica parlante sloveno dell'area triestina, la quale piuttosto si riconosceva, dal 1848 fino alla cristallizzazione nazionale degli anni Settanta dell'Ottocento, nel programma d'unione sudslava. Nella prima fase dei movimenti culturali e politici sloveni dell'area triestina, i termini in lingua slovena "slovanski" e "slavjanski" ("slavo") furono utilizzati corrente-mente come sinonimi di "slovenski" ("sloveno"), sia nella stampa di lingua slovena, sia 13 Si veda il concetto del "primato dell'economia" proposto da Marina Cattaruzza nella sua interpretazione della societa triestina emporiale del primo Ottocento (Cattaruzza, 2002). 14 Sull'uso di simili termini generalizzanti e negativizzanti in una prospettiva di lungo periodo, come per esempio il termine "allogeno" durante il periodo fascista, si veda: Collotti, 1999, 53. 551 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 nelle denominazioni dei primi circoli associativi (dallo Slavjanski zbor v Trstu del 1848 alla Slavjanska narodna čitalnica del 1861), i quali presentavano tra i propri membri figure illustri dello jugoslavismo (tra cui Juraj Dobrila), e riconoscevano, oltre allo sloveno, il croato o il serbo come lingue ufficiali (Verginella, 2001, 456-458). L'ANTISLAVISMO COME IDEOLOGIA E PRASSI POLITICA TRA LA CITTÀ E LA CAMPAGNA Esattamente nella prima fase della crisi di stagnazione dell'emporio triestino, si presentarono sulla scena politica locale, accanto al partito conservatore, i due moderni partiti, di segno liberale, quello liberalnazionale di lingua italiana nel 1860 e quello sloveno dei narodnjaki nel 186515. Dopo la vittoria liberale alle elezioni del 1860 e 1862, nell'autunno 1865 il partito conservatore riottenne la maggioranza dei seggi del Consiglio comunale dopo il doppio scioglimento da parte del governo viennese dei primi due consigli liberali (il secondo nel 1865 per un atto considerato separatista). Ma, come già Vivante mise ben in luce, non esisteva ancora una chiara linea di demarcazione tra la frazione conservatrice e quella liberale: tali cambi dell'indirizzo politico di diversi schieramenti partitici sono da considerare in una dinamica ben più generale, inserita nella diatriba di lungo periodo tra il federalismo e il centralismo austriaci (Vivante, 1984, 95 ss.). Inoltre, rimane aperta alla storiografia un'analisi più puntuale sul significato del passaggio politico della rappresentanza del territorio triestino in Consiglio comunale nel 1865: in precedenza, per l'appunto, il territorio triestino fu rappresentato in sede comunale da Pietro Kandler, esponente politico proveniente pur sempre dal corpo cittadino parlante italiano, mentre, con la svolta delle elezioni locali del 1865, tale rappresentanza passó a Ivan Nabergoj, sindaco di Prosek/Prosecco, rappresentante bilingue e originario del territorio stesso. Partendo dall'analisi dei verbali delle sedute del Consiglio della città di Trieste, emer-gono la creazione e l'utilizzo pratico politico di schemi mentali e ideologici di un discorso antislavo locale, che si palesa attraverso la contrapposizione tra città e campagna. Lo scopo di creare una differenziazione sempre più marcata rispetto ad un elemento sociale e politico, percepito come estraneo culturalmente e territorialmente, sembra fosse dettata da una volontà politica concreta dei partiti cittadini, in particolare del partito liberale, che inizió ad autorappresentarsi come l'unica forza politica ufficiale in grado di proteggere quella "comunità autogovernata" sancita ufficialmente dallo statuto cittadino del 1850, e legittimata politicamente, linguisticamente e culturalmente dalla sua rivendicata continui-tà con la stessa cittadinanza triestina. Come prima linea di demarcazione tra l'area urbana e quella rurale triestina, usata politicamente dal partito liberale, s'impose la questione della lingua d'uso delle scuole pubbliche. Già alla sesta seduta del nuovo "Consiglio provinciale e municipale di Trieste", il 22 aprile 1861, fu lungamente discussa e approvata la proposta del consigliere 15 A mio avviso, rimangono peró ancora da chiarire, da parte della storiografia, le modalità della formazione di questi due schieramenti politici, come pure le evoluzioni del partito conservatore e le interazioni con gli altri due partiti nazionali triestini. 552 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 liberale Machlig per la nuova regolamentazione delle lingue d'insegnamento nelle scuole comunali, ripartite geograficamente tra la città e la campagna secondo il principio della nazionalità maggioritaria presente sul territorio. L'intento del nuovo ordinamento, pre-sentato come in linea con i principi generali contenuti nella nuova costituzione imperiale, mostró il chiaro intento di conservazione dell'identità cittadina italiana, sia dal controllo della lingua tedesca, sia dalle rivendicazioni nazionali slovene. La proposta, votata non solo dai liberalnazionali, ma anche dal partito conservatore lealista (Millo, 2002, 186), impose l'italiano come unico vecolo linguistico d'insegnamento, mentre sul Carso fu concesso il bilinguismo. La regolamentazione segnó la chiusura verso proposte e progetti precedenti per l'istituzione di scuole bilingue pure nell'area urbana, non solamente da parte di parlanti sloveno - come quelle del funzionario di polizia Janez Blazir che, in un articolo sull'"Osservatore triestino", aveva proposto la creazione di una facoltà bilingue di legge, o dello stesso Pietro Kandler, sostenitore dell'apertura di una scuola agraria italiana e slovena a Trieste (Verginella, 2001, 460, 478; Vivante, 1984, 140n). Egli [Machlig, n.d.a.] è d'avviso potersi concretare la motivazione nel modo seg-uente: "ritenuto che la nazionalità della città di Trieste e delle contrade suburbane è italiana; ritenuto che quella delle ville e del suo territorio è slava; ritenuto che l'istruzione e l'educazione per essere proficue debbano corrispondere internamente all'indole nazionale ed impartirsi nella lingua del paese ecc. ecc. Il secondo ritenuto non crede abbia bisogno di giustificazione, perché è fatto notorio essere slave le ville. Ma quantunque sia pur fatto notorio che la nazionalità della popolazione di Trieste sia italiana, pure questa città dal 1849 al giorno d'oggi assiste allo strano spettacolo di vedersi qualificata e slava e tedesca. Per quanto possa essere sensibile a queste prove d'affetto di due diverse nazioni, Trieste non è in grado di aderirvi, ma sostiene d'aver nazionalità sua propria, ricca di tradizioni gloriose, nazionalità dichiarata illustre anche non a guari nel proclama del Podestà ai propri concittadini, e questa nazionalità essere l'italiana. (Verbali, 22. 4. 1861, 30-31) La separazione chiara di due gruppi linguistici (eccetto quello parlante tedesco) e di due zone geografiche incompenetrabili viene postulata in tale discorso già in maniera essenzialistica, come un dato di fatto: "Se la slovenità delle ville territoriali è fuori d'ogni onorevole questione, vuol esserlo a ragione più forte l'italianità di Trieste" (Verbali, 22. 4. 1861, 31). In tale discorso politico e ideologico, il mito della continuità storica con Roma si lega con le moderne rivendicazioni di diritto e giustizia tra i popoli. Inoltre il richiamo alla legislazione imperiale in materia del riordino amministrativo secondo la discriminante linguistica rimanda al sopraccitato processo generale della "etnicizzazione della politica" dell'impero asburgico nella seconda metà dell'Ottocento (Stourzh, 2011). Si puó notare qui, infatti, uno scivolamento ideologico della rilevanza nell'uso della lingua italiana a Trieste: da lingua franca del cosmopolitismo triestino si passa alla lingua, da un lato, come fattore moderno di aggregazione della nuova realtà borghese cittadina, e, dall'altro, di demarcazione ed esclusione delle componenti borghesi concorrenziali, sia slovene del territorio triestino, che tedesche. Non a caso, l'anno 1849 viene letto, ideal- 553 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 mente, come l'entrata dell'idea nazionale nella minoranza slovena e la frammentazione della societá cosmopolita di lingua italiana. Ció che balza all'occhio e, inoltre, la continua dialettica della differenziazione tra spazio urbano in senso stretto, italiano a priori, e il suburbio cittadino, volutamente rimar-cato nella discussione consigliare e rivendicato con forza pure esso come italiano. Questo bisogno, soprattutto da parte liberalnazionale, di rimarcare r"italianitá" dei quartieri periferici della cittá, porta a ritenere plausibile che, giá all'inizio degli anni Sessanta, esistesse, al di fuori del consiglio comunale, una diatriba sul controllo politico e culturale di quella fascia "ibrida" tra spazio urbano e rurale. * * * E proprio nella zona suburbana, sette anni piu tardi, nel mese di luglio 1868, si arrivó ai primi scontri fisici nella sfera pubblica cittadina a Trieste. Il 10 luglio una manifesta-zione anticlericale fu organizzata da parte delle forze politiche liberalnazionali cittadine, contro il vescovo Jernej Legat e la Luogotenenza, accusata quest'ultima di sostenere la curia triestina. Due giorni dopo ebbe luogo una contromanifestazione di segno clericale, sostenuta dalle forze politiche slovene del territorio triestino, le quali sfruttarono questa occasione per poter sfilare per la prima volta in quanto formazione politica e nazionale nel centro urbano di Trieste (Cova, 2000, 1940). Il terreno di scontro locale fu rappresentato di nuovo dalla scuola pubblica, nella fattispecie dalla nuova politica scolastica sostenuta dal consiglio comunale liberalnazionale, e osteggiata apertamente dal vescovo (Winkler, 2000, 76). Al contempo, l'atmosfera politica cittadina era giá ulteriormente surriscaldata dalle imminenti elezioni per il nuovo consiglio comunale e la dieta di Trieste, previste per il marzo dell'anno successivo. La contrapposizione aumentó di violenza, fino ad arrivare agli scontri fisici per le strade del quartiere periferico di Rojano tra il 12 e il 15 luglio 1868, in occasione dell'apertura di una nuova citalinica (Winkler, 2000, 185-186). Ai violenti tafferugli, che portarono alla morte di due persone e a diversi feriti, prese parte pure la milizia territoriale / okolicanski bataljon, formata da sloveni del Carso triestino e guidata da ufficiali austriaci16. La questione scolastica e della lingua d'insegnamento nelle scuole comunali, insieme all'apertura delle sale di lettura slovene e alla lotta contro le forze claricali, divennero quindi il terreno del primo scontro violento pubblico nell'area urbana triestina17. Non e un caso che tali fatti di violenza scaturirono esattamente durante la fase piu acuta della piu generale Kulturkampf, la lunga contrapposizione tra il liberalismo e il clericalismo austriaci sul tema del concordato con la Santa Sede e sulle Religionsgesezte, che stava scuotendo la Monarchia, proprio a ridosso dell'entrata in vigore della nuova Dezemberverfassung del 1867 (Vocelka, 1978; Pirjevec, 2009, 11). In particolare, fu l'allocuzione di papa Pio IX del 1868 contro 16 I fatti del luglio 1868 a Trieste sono stati giá analizzati da Josip Merku: Merku, 2002. 17 Resta ancora da chiarire, analizzando altri tipi di fonti, chi fossero realmente le persone implicate negli scontri, e se, soprattutto, avessero piu o meno stretti contatti con le forze politiche presenti in consiglio comunale. 554 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 le nuove leggi austriache sulle libertà civili a causare la reazione indignata dell'opinione pubblica liberale e del Consiglio comunale (Millo, 2002, 187). Questi episodi di sangue portarono a lunghi dibattiti in sede comunale: l'analisi dei verbali stenografici dei dibattiti mette in luce l'evoluzione di prassi discorsive e di azione politica da parte del partito di maggioranza, volte a consolidare il proprio predominio politico e sociale, non solo in consiglio comunale, ma anche nello spazio cittadino. Gli scontri furono innanzitutto presentati dalla compagine liberalnazionale come dei tragici incidenti, che scossero la cittadinanza dopo due decenni di pace (Verbali, 18. 7. 1868, 336). Francesco Hermet, il primo leader dello schieramento liberale cittadino (rinomi-nato nello stesso anno "Società del progresso"), si erse come figura politica e morale carismatica, in grado, da un lato, di placare gli animi, e, dall'altro, di utilizzare questi fatti di violenza come occasione concreta per portare un cambiamento effettivo alla realtà politica cittadina: nella fattispecie per sciogliere la milizia territoriale, e, nel frattempo, per circoscrivere l'influenza della curia e del partito sloveno di minoranza sulla questione dell'educazione scolastica e sul controllo della municipalità. Durante l'acceso dibattito comunale, il paradigma della contrapposizione tra città e campagna entró di prepotenza nella discussione politica. Nei protocolli del consiglio comunale triestino, il termine "villico" compare costantemente, da parte dei consiglieri cittadini, utilizzato in un'accezione negativa e dispregiativa per indicare genericamente la popolazione rurale del contado cittadino e carsolino, al quale sono contrapposti idealmente la città e i suoi "cittadini" indifesi. Mentre il partito di maggioranza si erge a unica forza politica in grado di difendere l'ordine e la legge, la mancanza di sicurezza nella sfera pubblica e il senso d'isolamento della cittadinanza, da un lato, consolida il mito della "congiura austriaco-slava", e, dall'altra, legittima la pratica politica di rafforzamen-to dell'autogoverno e dell'autodifesa della popolazione cittadina (Verbali, 14. 7. 1868, 327-329; 17. 7. 1868, 331-333; 18. 7. 1868, 335-337). Egli [Francesco Hermet, n.d.a.] pur riconoscendo la legalità e la necessità della repressione, intende che questa venga fatta a norma di legge, e previe le prescritte ammonizioni, il che, secondo la voce pubblica ed i racconti di molti testimoni oculari degni di fede, non sarebbe avvenuto, ma anzi risulterebbe dalle apparenze, essere opinione generale della popolazione, che gli organi dipendenti dalla Polizia, compresa la milizia territoriale, si fossero fatto lecito di percuotere e ferire colle loro armi, non già assalitori, ma fuggitivi, e persone ancora che accidentalmente o si trovavano o passavano a buona distanza dai luoghi in cui avvennero i fatti che volevano reprimere. (Verbali, 14. 7. 1868, 328) Durante i dibatti si consolida una rappresentazione di un pericoloso nemico esterno che, nell'intento di avventarsi sulla città e i suoi abitanti, agisce secondo la sua "sete di sangue" (Verbali, 14. 7. 1868, 328). Hermet, durante i suoi interventi, accentua i tratti della contrapposizione tra città e territorio circostante, per poi legarli a un discorso di separazione e contrapposizione nazionale tra "italiani" e "slavi". Hermet, inoltre, accusa indirettamente i silenti sostenitori degli assalitori nel consiglio comunale, tanto che Ivan 555 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 Nabergoj, il capo del partito sloveno (uscendo cosi dal pressoché generale oblio al quale è relegato dalla narrazione stessa delle sedute) è costretto a esternare la speranza di un rapido ristabilimento delle relazioni pacifiche tra la cittadinanza e gli abitanti del Carso: Nabergoj "prega che, deposti gli odii verso il territorio, sieno ripristinate colla città le antiche buone relazioni, ed assicura che nessuna molestia fu fatta, (sebbene pur troppo in contrario, ma falsamente e con molto dolore dei villici si disse), né sarà fatta ai cittadini che sarebbero per recarsi nel territorio" (Verbali, 17. 7. 1868, 332). Il discorso ideologico di Hermet e degli altri consiglieri liberal-nazionali non rimane peró focalizzato solo sul terreno degli scontri locali, bensi si assiste ad un vero e proprio salto di qualità: il piano locale viene idealmente connesso con quello imperiale e persino con quello internaziona-le, facendo entrare nel discorso il tema del pericolo panslavista. Senonché i partiti politici acquistarono importanza ad essi non propria, se (come accade da circa 20 anni) sieno sorretti ed eccitati da estranee influenze, che l'oratore rinviene negli organi del Governo stesso, le cui tendenze da parecchi anni furono diverse, ora centralistiche e germaniche, ora favoreggianti lo slavismo, ora clericali, e sempre oscillanti e in contraddizione colle leggi vigenti e col bisogno di pace e tranquillità cui aspira ilpaese. Ora i partiti in minoranza, i quali da per sé non avreb-bero una certa influenza, pure volendo signoreggiare il partito più numeroso, il quale anziché partito è la vera popolazione indigena di Trieste, la cui nazionalità è rimasta da 20 secoli inalterata - è naturale che siffatte minoranze cerchino artificiosamente di comporsi a maggioranza fittizia che non pud riuscire efficace, se non con misure di oppressione. Cid si dica a Vienna, osservando francamente che le persone poste alla direzione degli affari politici amministrativi e giudiziarii della città (soggetti d'altronde come gli altri alle umane passioni) appartengono a diverse nazionalità, e molti di loro al partito ultra clericale, molti al panslavistico, i quali giovandosi degli abitanti del territorio, (come i deputati territoriali asseriscono) hanno in animo colle loro arti ed influenze di far prevalere quei principii, pei quali la civiltà ci dovrebbe venire dalle steppe della Siberia. (Verbali, 18. 7. 1868, 335-336) La retorica del "doppio nemico", come pure l'accenno marcato ai fantomatici progetti panslavi, vengono trasportati sulla scena politica locale come legittimazione ideologica di un programma politico ormai ben definito di autoconsolidamento e di esclusione sia del partito sloveno che di quello austrofilo (va ricordato che tali fatti accaddero a ridosso della tornata elettorale comunale successiva, prevista per l'inizio del 1869). Il citato discorso di Francesco Hermet del 18 luglio 1868 riassume e cristallizza alcuni dei punti cardine dell'ideologia politica antislava (e antigermanica) del partito liberalnazionale fino alla prima guerra mondiale18. Grazie a questa impostazione ideologica, che raccoglie diverse delle rappresentazioni stereotipate del nemico presenti nei testi precedentemente analizzati, il partito dei liberalnazionali passa quindi alla pratica politica. Innanzitutto, 18 Simili figure retoriche antislave perdurarono pure nella successiva propaganda nazionalista italiana prima e dopo la prima guerra mondiale (Collotti, 1999). 556 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 proclamandosi unico rappresentante ufficiale della cittadinanza triestina, il partito di mag-gioranza rivendica a sé il potere autogovernativo della città, escludendo le forze politiche giudicate "esterne" (il partito sloveno del territorio e quello conservatore austrolealista). Tale azione viene attuata attraverso, in primis, lo scioglimento delle milizie territoriali, e contemporaneamente con un controllo più diretto della questione scolastica cittadina. Inoltre, il tema dell'autonomia cittadina trova il suo posto di chiave di volta di tale azione politica di concentrazione del potere, nonché del controllo dei posti di lavoro all'interno della municipalità stessa: Hermet rivendica davanti al consiglio comunale il principio secondo il quale a partire da quel momento il comune di Trieste avrebbe dovuto assumere come funzionari comunali esclusivamente "uomini del paese" (Verbali, 18. 7. 1868, 336). I fatti di violenza del luglio 1868, seguiti dagli accesi dibattiti in consiglio comunale e dalla messa in pratica di un programma politico di egemonia ben definito, ebbero come effetto quello di cristallizzare schemi mentali e culturali precedenti attraverso pratiche politiche e ideologie da parte di due società borghesi, le quali, in un periodo di crisi e di forti rimestamenti politici, sociali e soprattutto economici, erano alla ricerca di nuo-vi sistemi di rappresentanza e di controllo della sfera pubblica e, non da meno, di un mercato del lavoro fortemente destabilizzato. Politicamente si puó affermare che dalla svolta del luglio 1868 si vennero a creare a Trieste, nel consiglio comunale come nella dieta provinciale, due partiti politici, il "partito della città" e il "partito del territorio", rappresentazioni politiche di due società che si stavano strutturando su due sfere d'in-fluenza tracciate ideologicamente su crinali linguistici e territoriali sempre più stringenti. Questi due schieramenti politici, oltre ad incarnare due orientamenti nazionali in fase di definizione, rispecchiavano due realtà sociali e geografiche che progressivamente, dagli anni Sessanta, si andavano a differenziare al loro interno e quindi a polarizzarsi l'una rispetto all'altra. Due mesi dopo i fatti di sangue del luglio 1868, che, potremmo dire, posero fine sul piano politico locale all'idea della coesistenza armoniosa e pacifica tra le nazioni del porto franco triestino, il 6 settembre 1868, ebbe luogo il primo tabor nel Lito-rale austriaco, a Šempas, durante il quale fu proclamata come fine del nuovo movimento nazionale sloveno la nascita dell'unità politica e territoriale slovena. CONCLUSIONI La nascita della propaganda antislava di lingua italiana a Trieste fu di certo un processo molteplice e poliforme, che fu influenzato da diversi fattori, sia interni che esterni alla realtà triestina, di natura economica, sociale e politica. La propaganda antislava si delineó solo in parte come (pre)irredentista e uni in sé disparate frazioni politiche ed intellettuali delle clas-si medie parlanti italiano di varie aree della costa adriatica nordorientale. La crisi politica dalmata del 1860-1861 fu percepita nel Litorale austriaco come esempio negativo di una possibile perdita della propria preminenza sociale e politica, sia dalla nuova rappresentanza politica della media borghesia triestina, sia da pubblicisti nazionalisti nel Regno d'Italia. A Trieste, infatti, le teorie antislave recepite dalla libellistica dalmato-italiana tra il 1860 e 1871 furono adattate negli anni Sessanta al particolarismo triestino, e utilizzate, accanto all'antigermanesimo e l'anticlericalismo, come cardini dell'ideologia e della 557 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 prassi politica dal partito liberalnazionale, con uno scopo molteplice19: di difesa della tradizionale autonomia cittadina, sempre più legata ideologicamente al concetto di "ita-lianità", e di rafforzamento della propria identità e del predominio sociale e politico. Sullo sfondo, a Trieste, si stagliava una profonda crisi economica e sociale, che rivoluzionó i rapporti di potere e d'interessi all'interno dell'emporio, sempre più interessato da influssi "dall'esterno", da parte del centro politico viennese e dal capitale internazionale. La figura del nemico slavo I sloveno, da cui si doveva proteggere la propria egemo-nia politica e tutta la cittadinanza autogovernata triestina di lingua italiana, fu costruita secondo mental maps proprie della propaganda antislava comune nell'area adriatica nordorientale, che prevedeva la separazione mentale di spazi geografici multietnici, se non culturalmente misti, tra aree urbane e rurali. In un periodo di forte trasformazione economica e sociale, durante l'apertura di nuovi "spazi" di associazione e di rappresen-tanza, l'antislavismo si presentó dunque come un catalizzatore di un malcontento e di una crisi interna della media borghesia cittadina di lingua italiana, e al contempo come uno strumento di autolegittimazione politica per il controllo della municipalità e la ristruttu-razione della vita pubblica cittadina: in tal senso la ricerca di una nuova identità politica si delineó come la chiusura della media-borghesia triestina dietro la difesa gelosa del particolarismo cittadino. Allo stesso tempo, va ricordato come questo schema mentale della divisione tra città e campagna fu utilizzato pure dalla stessa borghesia slovena come mezzo per il consoli-damento del proprio schieramento politico. Il ceto medio sloveno cittadino si identificó nel secondo Ottocento con il territorio, si propose come sua rappresentanza politica in sede consigliare e intensificó la sua propaganda culturale e politica proprio nella zona del suburbio e del territorio triestino, attraverso l'apertura di sale di lettura e centri culturali, con l'intento di instaurare un rapporto di fiducia con il proprio elettorato di riferimento (Verginella, 2001, 459). Non a caso la società Edinost, la prima organizzazione slovena veramente politica, fu fondata nel 1874 nel suburbio triestino, a S. Giovanni di Guardiel-la, e fu campeggiata dalla classe dei possidenti terrien del territorio triestino (Verginella, 2001, 461). In tal senso risulta chiaro come l'antislavismo rappresentó un'espressione, da parte della borghesia cittadina parlante italiano, della generale dicotomia mentale e discorsiva tra città e campagna, la quale, a sua volta, servi ad entrambe le borghesie, che si stavano nazionalizzando, a definire progressivamente i propri interessi e sfere di influenza. 19 Recentemente Tullia Catalan ha proposto un'interessante interpretazione dell'evoluzione della propaganda e delle pratiche di antislavismo a Trieste tra Ottocento e Novecento: l'antislavismo non va considerato esclusivamente come un fenomeno isolato, ma, bensi, in connessione e a confronto con altre forme di ideologie e pratiche politiche di discriminazione e razzismo come, per l'appunto, l'antisemitismo (Catalan, 2015). 558 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 PROTISLOVANSKE NARACIJE IN POLITIČNE PRAKSE V TRSTU MED MESTOM IN PODEŽELJEM (1850-1871) Francesco TONCICH Eberhard-Karls-Universität Tübingen, Forststraße 156 C, 70193 Stuttgart, Nemčija e-mail: francesco.toncich@uni-tuebingen.de POVZETEK Članek obravnava protslovanski diskurz in protislovansko politiko v Trstu od leta 1850 do leta 1871. Avtor analizira posamične razprave v italianskem jeziku in zapisnike tržaškega Mestnega sveta iz 60. let 19. stoletja. Poleg tega poveže lokalna tržaška dogajanja (krizo proste luke in oblikovanje dveh tržaških nacionalnih strank) z državnimi, cesarskimi in mednarodnimi dejavniki. Namen članka je pretresti temo protislovanstva v Trstu v bolj splošnem okviru in izogniti se preveč etnocentrično naravnanim zgodovinopisnim interpretacijam. Pri problematiziranju slednjih se je analiza dihotomije mesto--podeželje izkazala za zelo pomebno. Ključne besede: protislovanstvo, Trst, mesto-podeželje, prosta luka, ustavna doba, politično predstavništvo 559 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Francesco TONCICH: NARRAZIONI E PRATICHE POLITICHE ANTISLAVE A TRIESTE TRA ..., 539-562 FONTI E BIBLIOGRAFIA Verbali - Verbali del Consiglio provinciale e municipale di Trieste. Trieste, Lloyd austriaco, 1861, 1868. Andreozzi, D. (2003): L'organizzazione degli interessi a Trieste (1719-1914). 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