MUZIKOLOŠKI ZBORNIK — MUSICOLOGICAL ANNUAL VIII, LJUBLJANA 1972 NOTE SULLA POETICA DI BELLINI A proposito de I Puritani Pierluigi Petrobelli (Parma) La valutazione critica del patrimonio musicale che si suole definire come melodramma, e cioè dell'opera in musica realizzata dai compositori italiani nel XIX secolo costituisce un vasto, inesplorato campo d'azione per la musicologia. Quest'affermazione, che potrà forse sembrare paradossale data l'entità del repertorio e la sua stupefacente, ancor oggi crescente vitalità (basti pensare alle ricorrenti »Renaissances«, alle »riprese«, »riesumazioni« et similia che costellano le stagioni dei maggiori teatri d'opera del mondo), risulterà chiara, palmare a chiunque voglia scorrere la bibliografia (essa stessa assai smunta se considerata dal punto di vista dei contributi validi) su questo genere, sulla produzione delle figure più significative. La ragione è forse da ricercarsi proprio nella 'popolarità' del repertorio, nella presa immediata che esso può ancora esercitare (sebbene in forma meno indiscriminata di quanto si creda) su zone di pubblico certamente larghe, facendo leva soprattutto sul lato emotivo dell'ascoltatore, rivolgendosi direttamente alla sua sensibilità nella forma meno sofisticata. Questa situazione di fatto non può e non deve impedire tuttavia che il repertorio melodrammatico non possa venir accostato e valutato con agguerriti strumenti di cultura e di critica; un'analisi minuziosa e precisa delle componenti di questo fenomeno d'arte, soprattutto una rigorosa inquadratura storica di ciascuna di esse, e dell'opera complessivamente considerata, ci premetterà di conoscere il »messaggio« (un termine forse abusato, ma che non ci fa paura) che Fautore ha inteso inviarci, e di valutarne così l'importanza. Come credo di aver avuto modo di far osservare già altre volte1, questo modo di accostare il repertorio melodrammatico può causare 1 Si vedano i miei scritti: Nabucco, in »Conferenze 1966—1967«, Milano, Associazione Amici della Scala, pp. 17—47; Verdi e il »Don Giovanni« — Osservazioni sulla scena iniziale del »Rigoletto«, in »Atti del I Congresso internazionale di studi verdiani«, Parma, Istituto di studi verdiani, 1969, pp. 232—246; inoltre la conferenza: Balzac, Stendhal e il »Mosè« di Rossini, tenuta per l'Istituto di Musicologia dell'Università di Lubiana il 24 marzo 70 ampie sorprese; può rivelare nessi, connessioni insospettate, ci permette soprattutto di cogliere meglio, di conoscere ed apprezzare in forma più autentica e allo stesso modo più penetrante i valori genuini (drammatici, musicali ed anche umani) in esso racchiusi. Anche per la produzione di Vincenzo Bellini si attende un simile lavoro di analisi e di studio: pochissime sono le pubblicazioni su questo musicista che vanno oltre l'apologetica esaltazione dell'opera2, che superano il desiderio di chiarire le non sempre limpide vicende sentimentali dell'ardente catanese, che non si riducono ad una encomiastica, indiscriminata esaltazione le cui radici affondano in un'affinità istintiva di sentire più che in una concreta ricognizione di autentici valori musicali e culturali, storicamente valutati.3 Un primo, elementare passo verso un accostamento maggiormente approfondito dell'opera belliniana può essere il tentativo di ricostruire le idee del compositore sul far musica, soprattutto sul far teatro in musica, sul modo di concepire i rapporti fra la parola ed il suono, quelle idee insomma che si possono definire come la particolare »poetica« dell'artista. Prima ancora di enunciare formula- 1969, e pubblicata in »Annuario 1965—1970 del Conservatorio di musica »G. B. Martini« di Bologna, Bologna 1971, pp. 203—219. Di fondamentale importanza per il problema è lo scritto di L. Dallapic-cola, Parole e musica nel melodramma, in »Quaderni della Rassegna Musicale« 2, Torino, Einaudi, 1965, pp. 117—139. 2 La stesura di questo saggio risale alla primavera 1969; pochi mesi dopo usciva il volume di F. Lippmann, Vincenzo Bellini und die Italienische Opera seria seiner Zeit — Studien über Libretto, Arienform nud Melodik, Köln-Wien, Böhlau, 1969 (»Analecta Musicologica — Veröffentlichungen der Musikabteiliung des Deutschen Historischen Instituts in Rom« — Band 6), opera nella quale si affrontano per la prima volta con rigore di metodo e vastità di indagine alcuni aspetti specifici della produzione belliniana. Mi è gradito ringraziare in quest'occasione il collega Dr. Lipmann per i preziosi consigli e suggerimenti che ha voluto rivolgermi durante la stesura di questo lavoro. 3 II libro di F. Pastura, Bellini secondo la storia, s. L, Guanda, 1959, non affronta che raramente problemi di ordine drammatico-musicale, e più che altro in forma impressionistica; lo scritto di Ildebrando Pinzetti, La musica di Vincenzo Bellini (Firenze 1915, e poi ristampato in Intermezzi critici, Firenze, Vallecchi, s.a., pp. 33—112, e in La musica italiana delV 800, Torino, Edizioni Palatine, 1947, pp. 149—228), che pure contiene indagini assai approfondite e osservazioni di notevolissimo interesse dal punto di vista musicale, è determinato nella sua concezione e nella sua realizzazione dalla poetica del compositore italiano; Pizzetti cioè, in forma del tutto involontaria, sovrappone e in un certo senso attribuisce a Bellini la propria concezione del teatro in musica. Il volume testé uscito di Leslie Orrey, Bellini, London, J. M. Dent — New York, Farrar Straus and Giroux, 1969, costituisce un primo tentativo sistematico di analisi musicale dell'intera produzione belliniana; lavoro ricco di acute osservazioni e dal quale sarà impossibile prescindere in futuro per ogni ricerca sul musicista, questo studio espone ancora giudizi e valutazioni a carattere impressionistico, privi cioè di una rigorosa visione di sintesi del fenomeno artistioo-culturale, e presenta pure inesattezze non trascurabili sul piano storico. 71 zioni basate sullo studio degli spartiti delle opere, è necessario ricostruire queste idee attraverso la lettura di ciò che al proposito il musicista ha detto e scritto; e sebbene Bellini sia per naturale disposizione alieno da sistematizzazioni di ordine concettuale, non per questo egli è privo di una visione ben chiara e precisa sul come operare in campo artistico. È durante il lavoro di stesura della partiture, durante la collaborazione con il librettista, nell'organizzazione strutturale del testo e nel particolare momento della sua formulazione verbale che le idee di Bellini sull'opera in musica e sui rapporti parola-suono ricevono una definizione esatta, chiaramente formulata e ripetutamente ribadita. Sarà dunque dalla lettura dello scambio epistolare con i librettisti, dalle istruzioni, dai suggerimenti, dalle richieste che egli espone di volta in volta in modo esplicito, talvolta perentorio ai suoi collaboratori (tono che sorprende in un carattere come il suo, naturalmente mite, a volte persino mellifluo) che noi potremo ricavare informazioni controllabili e sicure, districandole dall'insidiosa indeterminatezza delle »leggende«.4 E non ci si sorprenda se le citazioni che costituiscono la base di questo scritto riguardano quasi esclusivamente il periodo di gestazione de / Puritani, e provengono quindi dal momento conclusivo della carriera dell'artista; tropo breve è l'arco vitale in cui l'opera belliniana nasce e si realizza perchè essa presenti mutamenti di impostazione e di soluzioni; in realtà, i medesimi principi che guidarono la composizione del Pirata valgono per i" Puritani anche se al tempo di quest'opera essi hanno assunto una forma più matura, più articolata, ed il compositore ne ha maggiore e più precisa coscienza. Semmai, ne / Puritani si possono già avvertire segni di una sensibilità nuova, l'accentuarsi di alcuni interessi che indicano le direzioni verso le quali avrebbe potuto forse aprirsi la genialità di questo musicista se avesse vissuto più a lungo. V'è poi da tener presente che le circostanze nelle quali Bellini venne a trovarsi all'epoca della composizione di quest'opera sono in un certo senso favorevoli al nostro problema. Giunto a Parigi nell'estate 1833 dopo un anno di soggiorno londinese (e dopo avervi còlto successi tanto come compositore quanto come uomo di mondo), il musicista, allora all'apice della fama, si assume l'obbligo di comporre un nuovo melodramma per il Théâtre Italien. Dato che a quel tempo i rapporti con Felice Romani, il librettista di Norma e de La sonnambula erano alquanto tesi, non gli rimance che cercare in loco un uomo di lettere che lo aiuti nella preparazione della nuova opera. Nel salotto di Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso, l'affascinante 'esule' lombarda che riunisce attorno a sé le figure più rappresentative della cultura del tempo, Bellini incontra il »poeta« che stenderà il testo di cui ha bisogno; è Carlo Pepoli, conte e letterato 4 Per le lettere di Bellini la fonte ancor oggi migliore è costituita da V. Bellini, Epistolario, a cura di L. Cambi, s. 1., Mondadori, 1943. 72 bolognese, cui Giacomo Leopardi aveva dedicato uno dei suoi Canti, e che era esule a Parigi poiché aveva preso parte ai moti di Romagna del 18315. Non abbiamo alcuna esatta informazione sulla data dei-rincontro; ma dalla corrispondenza del musicista ricaviamo con sicurezza che la scelta dell'argomento del libretto seguì, e non precedette, l'avvenimento. L' 11 marzo 1834 Bellini scrive infatti a Florimo: Frattanto voglio vedere come il conte Pepoli farà questo libro per Parigi; io spero che riuscirà, e forse assai, perché possiede un bel verso, ed ha facilità di farne6. Il musicista aveva quindi avuto già modo di 'saggiare' l'abilità del librettista7; ma che la scelta dell'argomento non fosse ancora avvenuta ce lo dice un postscriptum della stessa lettera: Pepoli mi ha proposto dei soggetti e mi par che siano interessanti. Uno forse per Parigi poiché è di una Comedia francese e l'altro per Napoli. In altra mia ti dirò se fisseremo o no uno di questi8. Il discorso è ripetuto il giorno seguente, in una lettera all'amico Barbò di Napoli: Io sono in cerca del soggetto e spero trovarlo subito, ossia scegliere in mezzo a tre o quattro che mi si propongono. Il Conte Pepoli mi scrive la poesia. Egli è ben conosciuto in Italia, e quindi è da sperare qualche cosa9. La scelta dell'autore dei versi è dunque per Bellini più importante che non la scelta del soggetto dell'opera. O meglio: la scelta del »poeta« ha la priorità (il che non significa necessariamente la prevalenza) sulla scelta del soggetto.10 Con tutta probabilità quest'ordine di scelte riflette l'iter comune agli operisti italiani del primo Ottocento; ma, a prescindere dal fatto che le frasi riportate provano in maniera difficilmente confutabile che l'ordine era effettivamente 5 Cf. F. Pastura, Bellini nella storia cit., pp. 410—411. 6 V.Bellini, Epistolario cit., p.391. 7 Secondo F. Pastura, Bellini nella storia cit., p. 411, dovrebbero risalire a questo tempo l'ode saffica Alla luna e i quattro sonetti »Amore«, »Malinconia«, »Ricordanza« e »Speranza«, per canto e pianoforte, musicati da Bellini su testo appunto di Pepoli, composizioni di cui non è stato ritrovato né testo né musica. La notizia ci viene fornita da F. Cicconetti, Vita di Vincenzo Bellini, Prato 1859. L'autografo de »La Ricordanza« è stato trovato alla Library of Congress di Washington. Cf. L. Orrey, Bellini cit., p. 160. 8 V. Bellini, Epistolario cit., p. 393. 9 V.Bellini, Epistolario cit., p.394. 10 È interessante, a questo proposito, l'affermazione sulla scelta dell'argomento da mettere in musica, contenuta in una lettera non datata, quasi sicuramente dell'aprile 1834, probabilmente diretta al Cav. Galeota: »È la cosa più difficile trovare soggetti che presentino novità ed interesse, ed è la sola ragione che fa perder tanto tempo, giacché son convinto che il libretto è il fondamento di un'opera, così ho trovato bene impiegato il tempo per la ricerca« (da: V. Bellini, Epistolario cit., p. 397). 73 quello descritto (e prove così esplicite non sono mai abbastanza preziose, soprattutto per la storia del melodramma), la prassi ci rivela da quali presupposti il musicista (tanto Bellini come qualsiasi altro suo contemporaneo) muove nel creare l'opera in musica. Il melodramma del tempo di Bellini è concepito prima di tutto e quasi esclusivamente in funzione delle parti vocali; più specificamente, è un'opera »su misura« per cantanti di cui il compositore può disporre al momento della prima rappresentazione: una volta ideata una scena, o anche semplicemente un singolo pezzo, il musicista sente il bisogno di »provare« (proprio come un buon sarto) ciò che ha scritto alla voce cui il pezzo è destinato. Ad un punto tale per cui, quando Bellini parla di una successione di scene, oppure descrive un atto intero, si riferisce sempre all'interprete, al cantante o ai cantanti che realizzeranno musicalmente gli episodi, mentre è rarissimo che egli faccia il nome del personaggio. Si vedano, come esempi estremi, la descrizone del successo della prima del Pirata: La Sortita di Rubini [fece] un furor tale che [non] si può esprimere, ed io mi sono alzato ben 10 volte per ringraziare il pubblico. La cavatina della prima donna pure applaudita; dopo un Coro di Pirati con l'Eco, il quale ha fatto un piacer tale per la novità di avere immaginato l'eco così bene [...] segue dopo scena e duetto di Rubini e Lalande, che alla fine il pubblico gridando tutti come matti hanno fatto un tal fracasso, che sembrava un inferno; dopo segue la cavatina di Tamburini, la quale sebbene applaudita piace poco — infine attacca il finale ed il largo è stato stimato molto per lo gran lavoro di arte, e facendo pure effetto pel canto principale che domina, fu applaudito molto [. .-].11 e la descrizione a Florimo della struttura complessiva de / Puritani: 1° Atto 1° Introduzione composta di coro militare, preghiera Puritana e coro di Paesane ec. ec. 2° Cavatina di Tamburrini 3° Duetto fra Lablache e la Grisi 4° Coro e cavatina d'un sol tempo per Rubini 5° Finale — composto d'un quartettino brillante // d'un terzetto di due tempi non lungo ed il largo secondo tempo è d'un effetto grande, se non m'inganno, (si può chiamare duetto questo perché è fra Tamburrini Rubini e la 2da donna, e questa ha qualche parola qua e là) e poi d'un Largo concertato ove non ho che i due bassi e la Grisi coi cori, e la Stretta del finale —. 2do Atto 1° Coro e Romanza di Lablache 2° duetto dei due bassi 3° terzetto di due bassi e la Grisi questo è come il quartetto della Nina, ove questa ha tutto quindi sembrerà una scena per lei piuttosto 4° Coro dell'Alba o libertà ec. 5° Scena di Rubini 11 V. Bellini, Epistolario cit., pp. 26—27. 74 6° Finale — composto d'un duetto fra la Grisi e Rubini d'un pezzo d'insieme, e cabaletta infine per la donna.12 E in questa stessa lettera, subito dopo, parlando della composizione: Nel 1° atto è tutto composto e strumentato fuorché il terzetto e quartettino nel finale ed il duetto di Lablache e la Grisi, e non l'ho istrumentato poiché Lablache è giunto l'altro j eri, e né la Grisi né Rubini sono ancora a Parigi ed ho bisongo che glieli provi prima.12 Parlando, sempre a Florimo, del progetto di portare / Puritani a Napoli invece di scrivere un'opera nuova, Bellini propone la Mali-bran per la parte di Elvira, e dice: [...] io sarò obbligato a lasciare Parigi subito andato in scena con i Puritani [.. .1 venire in Napoli e adattare alla Malihran e al resto della compagnia tale opera, forse componendo qualche pezzo nuovo quando io lo creda necessario d'unita alla Malibran, che sarà consultata da me pienamente, e così farne un'opera quasi nuova per le trasformazioni che gli farei soffrire: tutto questo si farebbe nel tempo istesso che s'incomincierebbero le prove per andare in scena, il più presto possibile [...].13 Conseguenza immediata di questo modo di concepire il teatro in musica è la struttura del tessuto melodrammatico. Questa dev'essere determinata dalla continua alternanza di timbri vocali, e perciò di momenti affettivi differenziati ma non contrapposti, soprattutto non necessariamente connessi da una stringata dialettica scenica. Ogni atto si suddivide pertanto in tante sezioni, in tante »scene« distinte, in ciascuna delle quali la voce del cantante, e la »situazione« che essa delinea (o, meglio, che attraverso di essa viene delineata), deve avere una preminenza assoluta, e dev'essere in sé formalmente conclusa. E poiché lo stato d'animo fondamentale di ciascuna di queste »situazioni« si deve realizzare in modo nettissimo, evidente attraverso l'esposizione vocale (e lo strumentale avrà allora funzione d'accompagnamento, di un necessario, ma discreto, discorso a latere) bisogna che la parola, che il verso scolpisca con la pia grande evidenza il momento scenico, la sostanza sentimentale dell'episodio. È questo che Bellini chiede a Pepoli; ma il nobile bolognese non può accontentarlo che in parte: Pepoli lavora, e mi costa assai fatica il portarlo innanzi; la pratica gli manca, ch'è gran cosa.14 E più avanti: Pepoli mi serve con vera amicizia e non vi è male in tutto ciò che m'ha fatto: è migliore di qualunque altro, ma non è Romani, e Romani non si trova facilmente.15 12 V. Bellini, Epistolario cit., pp. 438—439. 13 V. Bellini, Epistolario cit., pp. 454—455. 14 V.Bellini, Epistolario cit., p.401. 15 V. Bellini, Epistolario cit., p. 439. 75 La facoltà che Romani possedeva in sommo grado era anzitutto la capacità di definire esattamente la »situazione« affettiva (intesa soprattutto in forma paradigmatica, come modello astratto di situazione) attraverso i versi che occorrevano al musicista: È vero che la malattia di Romani va cedendo di giorno in giorno; ma pure andando di questo piede, non sarà mai nel caso di applicarsi che fra dieci o più giorni. E se volessimo augurarci del male, non vorrei che si mettesse in istato di non potermi egli scrivere il libro, e allora sì che sarei disperato; perché per quanto Rossi potrebbe farmi un buon libro, pur non di meno mai potrebb'essere un verseggiatore come Romani, e specialmente per me che sono molto attaccato alle buone parole: che vedi dal Pirata come i versi e non le situazioni mi hanno ispirato del genio, in particolare: Come un angelo celeste, e quindi per me Romani è necessario.116 L'esatta dizione dell' »affetto« è quindi ancora più importante del contenuto della scena, del momento drammatico che in essa viene realizzato. In secondo luogo Romani aveva sempre in mente la destinazione pratica dei suoi versi, sapeva cioè che eran versi per musica, per cantanti, e sapeva inoltre adattare la vicenda a questa imperiosa necessità: Pare che tanto Romani che io, e l'istesso Pollini pendiamo per la Straniera d'Arlincourt e tu stesso me ne hai somministrato l'idea in una tua. Romani non seguirà affatto la commedia, ma riunirà quasi tutte le migliori situazioni del Romanzo, come a dire [...]: L'arrivo d'Artur all'isoletta di Montolino — l'incontro d'Artur con la Straniera alla fontana — Il riconoscimento di Valdebourgo con la Straniera sua sorella ed il duello con Artur — Il giudizio — L'imeneo — e la morte d'Artur e della Straniera. Tutto ciò sarà diviso forse in quattro atti piccolissimi, per dare la verisimiglianza de'tempi ed i luoghi. Romani ne è impegnatissimo, ma dice che senza un bravo tenore per la parte d'Artur sarà una faccenda seria, poiché allora sarà obbligato di dare la parte d'Artur a Tamburini, la parte della Straniera alla Lalande, quella d'Isoletta alla Unger, e la parte di Valdebourgo che è interessante assai, che venendo Rubini, si darebbe a Tambur-rini, si darà a Reina, e quella di Montolino ad un secondo Basso, e la parte dell'abate di S. Irene a Biondini. — Il soggetto se verrebbe Rubini mi darebbe la speranza di quasi esser certo della riuscita, poiché è abbondante di situazioni, e tutte nuove, grandiose; ma senza Rubini io sono precipitato [...].17 Il musicista concepisce quindi l'opera come un susseguirsi di »situazioni«, di momenti astrattamente intesi, concatenati fra di loro da una tenue vicenda, e privi soprattutto di tensione interna. Sarà procedendo esattamente in questa direzione che Bellini sceglierà lo argomento per / Puritani: 16 V. Bellini, Epistolario cit., pp. 157—158. 17 Lettera a Florimo, senza data, ma risalente al settembre 1828, all'epoca dell'ideazione de La straniera; da V. Bellini, Epistolario cit., p. 146. 76 Lascio aperta la lettera a mio Zio diretta18, perché la leggiate per avere un'idea del soggetto che scriverò per la nuova opera di Parigi; a voi replico che sono contento assai. Un interesse profondo, combinazioni che sospendono l'animo e l'invitano a sospirare per gl'innocenti che soffrono senza alcun carattere cattivo che procuri tali sventure, ma il destino ne è creatore e quindi le commozioni sono più forti, perché non si trova umano riparo per far cessare la sventura. Il mio soggetto è di questa natura, e spero moltissimo: prima, che m'ispiri; secondo che facci profonda impressione unito alla mia malinconica musa.19 Ciò che induce Bellini a scegliere l'argomento della pièce di d?An-celot (che riecheggia alcuni episodi centrali di Old Mortality, il romanzo di Walter Scott pubblicato in Italia col titolo / puritani di ScoziaP è la presenza di »situazioni« altamente patetiche, tutte però contenute in un'atmosfera di favola lontana, e tutt'altro che calate nella tensione di un dramma vero e proprio. In quale filone, a quale tradizione questa trama si riallacci, ancora una volta è il compositore stesso che ce lo dice: Ti giuro che se il libretto non sarà capace di profonde sensazioni, è pieno però d'effetti teatrali pel colorito, e posso dire essere il fondo del genere come la Sonnambula o la Nina di Paisiello, aggiunto a del militare robusto e a qualche cosa di severo Puritano.21 Bellini stesso è pertanto cosciente del fondamentale tono di favola della vicenda, alla quale guarda con occhio alquanto distaccato, nel senso che ogni partecipazione »soggettiva«, di impianto cioè romantico, alle emozioni ed ai sentimenti dei personaggi è completamente assente. Non a caso quindi il compositore indica La sonnambula come antecedente immediato della sua ultima opera, e La Rina pazza per amore di Paisiello come archetipo remoto, come esemplare della tradizione da cui la sua concezione del teatro in musica proviene senza soluzione di continuità. 18 Questa lettera, che contiene un riassunto preciso della trama de / Puritani, è stata rintracciata da Pastura, e pubblicata nel suo Bellini secondo la storia cit., pp. 412—413. 19 V.Bellini, Epistolario cit., p.395. La lettera, datata Parigi 11 aprile 1834, è diretta a Santocanale. 20 La scelta del titolo dell'opera sembra sia stata fatta proprio tenendo presente questa coincidenza, mentre non vi è alcuna connessione diretta fra il romanzo ed il libretto: »Se il titolo Puritani gli facci ombra, che gli diano quello d'Elvira oppure Le teste rotonde ed i Cavaleri. Quest' ultimo è troppo lungo, noi abbiamo scelto il primo perché è celebre pei Puritani di Valter-Scott [sic]« (lettera a Florimo del 21 novembre 1834; da V. Bellini, Epistolario cit., p. 470). 21 Lettera a Florimo del 4 ottobre 1834, quando cioè la stesura de / Puritani era avviata alla fine. Da V. Bellini, Epistolario cit., p. 442. Nelle lettere di Bellini vi sono per lo meno altri cinque riferimenti precisi alle analogie di soggetto e di situazioni con l'opera di Paisiello; cfr. pp. 429, 452, 455, 486, 487. 77 È opportuno sottolineare poi la continua preccupazione, da parte di Bellini, delle reazioni del pubblico. La scelta dell'argomento, la struttura del libretto e quindi l'articolazione dell'intera opera, il linguaggio da impiegarsi nella concreta realizzazione delle linee vocali, tutto viene deciso tenendo presenti le possibili reazioni degli spettatori. La necessità di una comunicazione diretta, al livello del sentimento, anzi nella sfera di alcuni, ben determinati sentimenti (non certo i più forti), crea il bisogno della chiarezza assoluta nella delineazione del discorso verbale, prima ancora che in quella del discorso musicale. A questo punto sorgono i contrasti con Pepoli il quale, esperto letterato e incline alle raffinatezze, aveva cercato di imporre al musicista una propria visione della poesia. Non abbiamo, ovviamente, alcuna testimonianza diretta di queste discussioni, ma le possiamo facilmente dedurre dalla conclusione di esse, e cioè da una lettera che Bellini, ancora all'inizio del lavoro di collaborazione, invia al »poeta« : Scolpisci nella tua testa a lettere adamantine: II dramma per musica deve far piangere, inorridire, morire cantando. Difetto il volere condotta eguale a tutti i pezzi, ma necessita che tutti questo sieno di una certa maniera impastati da rendere la musica intellegibile con la loro chiarezza nell'esperimersi, concisa come frappante. Gli artifizi musicali ammazzano l'effetto delle situazioni, peggio gli artifizi poetici in un dramma per musica; poesia e musica, per fare effetto, richiedono naturalezza e niente più; chi sorte di questa è perduto, ed alla fine avrà dato alla luce un'opera pesante e stupida che solo piacerà alla sfera dei pedanti mai al cuore, poeta che riceve alla prima l'impressione delle passioni; e, se il cuore è commosso, n'avrà sempre ragione in faccia a tante e tante parole che non potranno pro un'h.22 Per conquistare il suo pubblico Bellini non conosce quindi altre armi che la commozione, l'esaltazione del lato affettivo, ed il melodramma non è che un susseguirsi di situazioni sentimentali fisse, chiaramente delineate nella loro configurazione psicologico-sentimen-tale, ciascuna esattamente conclusa entro il giro della situazione, cui corrisponde un'altrettanto ben definita e altrettanto ben conclusa forma chiusa sul piano musicale. Ritorniamo per un momento a quanto è stato detto più sopra sull'atteggiamento del compositore (e del prediletto librettista Romani) verso i cantanti, e sulla fondamentale influenza esercitata da quest'atteggiamento nei confronti della sostanza musicale: vedremo allora che la concezione dell'opera in musica come unità articolata di parti differenziate ma non necessariamente contrastanti, e la posizione del musicista verso gli interpreti vocali sono in fondo fenomeni complementari, si determinano cioè a vicenda, ad un punto per cui l'uno può essere considerato contemporaneamente causa ed effetto 22 Lettera a Pepoli del maggio 1834, ma senza data; cfr. V. Bellini, Epistolario cit., p. 400. 78 dell'altro. Questo stato di cose si riflette direttamente sul processo compositivo del musicista. È significativo infatti che di Bellini non si possieda, e non si abbia nemmeno notizia di alcun abbozzo riguardante un'opera intera, bensì soltano di frammenti di abbozzi, in forma di fogli di musica contenenti melodie annotate dal compositore prima della concezione dell'opera, ed utilizzate solo in un momento successivo, una volta trovato il punto, la »situazione« appropriata cui adattarle.23 Il modo di concepire la creazione musicale corrisponde alla struttura stessa del melodramma, e ne influenza l'organizzazione complessiva. Perciò, se le esigenze di alternanza nel 'colorito' sentimentale lo richiedono, o anche quando vi sia necessità di conseguire un determinato effetto sul pubblico, un brano, una scena può essere tranquillamente trasportata da un punto all'altro della vicenda, col rischio talvolta di urtare contro la verisimiglianza o persino contro la credibilità. Esigenze di questo genere si presentano fin dall'inizio della stesura de / Puritani; il 30 maggio 1834 Bellini scrive a Pepoli: Oggi spero finire di mettere in partitura l'introduzione; ma dubito che Virino di Guerra sia di troppo e penso che potrei piazzarlo nel corpo dell'opera, se la situazione lo domandi, in caso che veramente fosse superfluo ove ora si trova, per avere con ragione fatto un coro principale del »quando la tromba squilla« ecc.24 La storia di questo Inno di guerra può essere assai indicativa per ricostruire la tecnica compositiva di Bellini. Il coro, che doveva in parte realizzare il colorito »militare robusto« di cui il compositore parla a Florimo25, era stato inserito nello svolgimento dell'azione da Pepoli, e di questi rispecchiava i sentimenti patriottici; doveva essere invece fondamentalmente estraneo alla concezione melodrammatica ad anche agli ideali di vita di Bellini26. A causa dello sviluppo assunto dal coro »Quando la tromba squilla« e poiché i due pezzi avrebbero avuto affinità assoluta di carattere, Unno di guerra dev'essere spostato. Nelle lettere del musicista immediatamente seguenti quella ora citata non si parla più di questo brano; lo si ritrova invece nella lettera a Florimo del 21 settembre quando, nello schema complessivo 23 Si veda ad esempio la riproduzione in fac-simile di fogli autografi che si trovano al Museo Belliniano di Catania in F. Pastura, Bellini se-condo la storia cit., di fronte a p. 385 e a p. 400. Ed anche la lettera a Lamperi del 14 giugno 1834: »Novità non ne ho: solo che ho composto quattro pezzi e son sempre travagliandomi la testa per trovare quei tali motivetti che paiono rari ora in Europa« (da V. Bellini, Epistolario cit., pp. 404—405). 24 V. Bellini, Epistolario cit., p. 403. 25 Vedi lettera del 4 ottobre 1834, citata più sopra. 26 Si veda la lettera a Florimo del 26 maggio 1834: »Quest'inno è fatto pel solo Parigi, ove si amano pensieri di libertà. Hai capito? Per l'Italia Pepoli cambierà egli stesso tutto l'inno e non nominerà neanche il motto libertà, e così cambierà se nell'opera vi saranno frasi liberali; quindi non ti prender cura, che il libro sarà accomodato, se lo vorranno dare a Napoli« (Da V. Bellini, Epistolario cit., p. 401). 79 dell'opera, il »Coro dell'alba o libertà ec.«27 occupa il quarto posto nella successione dei pezzi del secondo atto: viene cioè dopo il »terzetto di due bassi e la Grisi«, quel brano che nella versione definitiva dell'opera diventerà la grande 'Aria della follìa' di Elvira, »Qui la voce sua soave«, accompagnata dai »due bassi«. Sempre nella lettera a Florimo del 21 settembre, Bellini dichiara che »è ideato il coro di Libertà«, mentre invece egli deve »comporre di pianta il duetto [dei due bassi] e il terzetto«; questi brani egli si propone di portarli a termine, ultima fatica, una volta terminate le parti solistiche e le parti corali;28 notiamo en passant che questa selezione nell'ordine di composizione dei brani ha appena ricevuto l'approvazione di Rossini.29 Ma già il 10 ottobre Bellini, insofferente di questo coro che egli sente fondamentalmente come un'intrusione all'equilibrio formale e sentimentale della sua opera, scrive a Florimo: [...] vedo d'ora che [nel libretto] non vi sarà nulla d'immorale, ne di politico: un solo coro, che Pepoli ha voluto infilzarci, e che io toglierò di pianta o farò cambiare le parole, ed è quello di cui t'inviai la poesia, che era nel lo atto e che ora vuole mettere nel 2do (quello dell' Alba ec.).30 A questo stadio della composizione sembra che l'idea di inserire il coro in un punto qualsiasi dell'azione sia interamente accantonata, o comunque che la »situazione« patriottica che esso realizza venga decisamente scartata dal musicista. Eppure non è così. Una volta giunto il momento di mettere in musica il »duetto dei due bassi«, proprio alla fine quindi del lavoro di composizione, l'idea, soprattutto la »situazione« che quel coro rappresenta tornano alla ribalta. Descrivendo a Florimo, il 21 dicembre, la reazione degli esecutori di fronte alla musica che egli ha appena terminato di comporre per loro, Bellini dice fra l'altro: Tamburrini e Lablache [= »i due bassi«] avranno poco nel 2do atto; poiché di solo non possono cantare che sopra un duetto con cori, che io non invio in Napoli, primo perché non sarebbe nella capa- 27 Che questo brano corrisponda all' Inno di guerra si può dedurlo da un'annotazione di Florimo, il quale nel riportare il testo della lettera del 26 maggio 1834 a lui diretta, riassume così questo punto della trama dell'opera: «Qui si racconta l'argomento de' Puritani, e si trascrive la poesia dell'introduzione, dalle parole- »All'erta« alle parole: »All'alba sor-Florimo, Firenze, Barbèra, 1882, p. 413). gerà — Il sol di libertà« (da,:Bellini — Memorie e Lettere, a cura di F. 28 »Se domani mi farai trovare il duetto il cor dell'alba, e poi subito lavorerai nel finale, ti sarei tenuto, poiché vorrei presto scrivere quanto ho di già composto, per poi pensare ad ideare il duetto dei due bassi, ed il terzetto; pezzi che farò in ultimo, dopo aver tutto compito il resto« (Lettera a Pepoli del 19 settembre 1834; da V. Bellini, Epistolario cit., p. 433). 29 »Ho detto tutto ciò a Rossini, come domandargli un avviso, ed egli mi rispose che fò bene a finir prima tutto e comporre in fine i due pezzi sud. tti« (V. Bellini, Epistolario cit., p. 439). 30 V. Bellini, Epistolario cit., p. 452. If cita di Porto e Pedražzi, e poi perché entrano ed amor di patria e Libertà, ec. ec. quindi Tamburrini e Lablache faranno il muso per il 2do atto, ma che fare?31 Che cos'è avvenuto? Il duetto, che il compositore si era riservato di mettere in musica per ultimo, è divenuto ora un »duetto con cori«: si è svolta, per così dire, un'osmosi di »situazioni«, per cui il »militare robusto« che doveva realizzarsi nel coro è stato trasferito nel duetto, divenendone la parte finale; il coro non è stato ancora messo del tutto da parte, ma la sua funzione è divenuta marginale: il coro accompagna, non ha più un rango solistico. La »situazione« che doveva inizialmente prender forma neh" Inno di guerra (o »Coro dell' Alba o libertà«) si è trasferita nella stretta conclusiva del duetto, il brano forse più celebre di tutta l'opera, »Suoni la tromba, e intrepido«. Inoltre (e questa è un'ulteriore prova del processo di osmosi fra le due »parti« dell'opera) il duetto, che nel piano complessivo dell'opera esposto il 21 settembre a Florimo occupava il secondo posto del secondo atto, occupa ora il quarto, proprio quello assegnato nello schema la »Coro dell' Alba o libertà. Notiamo infine come persino alcune parole di questo coro scomparso siano entrate nella stretta, parole, si noti bene, che non fanno alcun senso con la »situazione« così com'essa si presenta ora, e che addirittura non compaiono nei libretti a stampa contemporanei alle prime rappresentazioni de / Puritani in Italia, ma soltanto nello spartito: Suoni la trombe, e intrepido Io pugnerò da forte, Bello è affrontar la morte Gridando: libertà. All'alba! Ma già al 5 gennaio l'idea del coro viene definitivamente eliminata, o per lo meno la lavorazione del duetto è assai vicina alla versione definitiva: Lavoro àncora pel duetto dei due bassi, che è d'un liberale che fa paura, e poi devo, e voglio fare una sinfonia [. ..].32 Poco prima di andare in scena (la prima rappresentatione dell'opera ha luogo il 25 gennaio) Bellini sta ancora lavorando e questo duetto, e sollecita Pepoli facendo appello (con quanta poca partecipazione, lo possiamo dedurre dalle confidenze con Florimo) ai sentimenti patriottici del suo collaboratore: [...] avrei necessità di farti aggiustare qualche verso nel duetto che ho quasi finito, ed è venuto magnifico e ìò squillo delle trombe farà tremare di gioia i cuori liberi che si troveranno in teatro [.. .].33 31 V. Bellini, Epistolario cit., p. 492. 32 V. Bellini, Epistolario cit., p. 489. Lettera a Florimo. 33 V. Bellini, Epistolario, cit., p. 499. 6 Muzikološki zbornik 81 E indubbiamente, in quanto a effetto,^ Bellini vedeva proprio giusto, perché fin dalla prima rappresentazione si verificò quanto il compositore desiderava: 2° atto (l'opera l'abbiamo divisa in tre atti, mettendo l'aria della Grisi [¦— »Ah, rendetemi la speme«] avanti il due to [sic] dei due bassi: e dopo [abbiamo messo] tal pezzo che chiude il 2do atto, perché non vi era effetto che potea resistere a quello che fa tal duetto [...]. Non ti posso dir nulla poi dell'effetto dei due bassi. Tutti i francesi erano diventati matti, si fece un tal rumore, tali gridi, che essi stessi erano meravigliati d'essersi talmente trasportati; ma dicono che la stretta di tal pezzo attacca i nervi di tutti, e veramente, perché tutta la platea all'effetto di tale stretta s'[è] alzata in piedi, gridando, reprimendosi, tornare a gridare [...].34 Le »situazioni«, isolatamente considerate e realizzate poi in ben differenziate »parti« musicali, sono la base su cui Bellini costruisce il suo melodramma; per mezzo di questi differenti momenti egli compone il variegato mosaico del discorso operistico. Le voci dei solisti hanno una decisa preminenza nell'economia complessiva dell'opera e all'interno dei singoli brani ad esse affidati; numerose tuttavia sono le componenti di cui Bellini si serve per porre maggiormente in risalto l'espressività del personaggio, per commuovere con effetto lo spettatore. Si osservi infatti come, fatta eccezione per l'aria di Riccardo nel primo atto, »Ah, per sempre io ti perdei« nessuno degli episodi vocali de / Puritani sia affidato esclusivamente and una voce: il solista viene ad unirsi, specie nelle sezioni conclusive delle singole strofe, ad uno o più personaggi presenti sulla scena, oppure al coro, o ad entrambi. Non è mia intenzione sviluppare questo particolare punto; desidero però affermare che la complessità dei livelli dal punto di vista vocale corrisponde ad una pari complessità (anch'essa relativa e funzionale, ma pur sempre complessità) sul piano dell'armonia, come pure su quello della strumentazione. L'idea di un melodramma organizzato come una serie di distinte »situazioni« attraverso le quali il virtuosismo canoro degli esecutori possa commuovere il pubblico non è certamente caratteristica individuante della poetica belliniana. Ma non credo che questo modo di operare sia stato dichiarato con tanta evidenza e con tale chiarezza di concezione da alcun altro musicista, e nella realizzazione musicale, nel vivo del tessuto sonoro ad opera del musicista catanese esso acquista una inconfondibile fisionomia. Ci sono inoltre alcuni momenti de / Puritani che preannunciano, a mio avviso, orizzonti ed interessi diversi, che tendono a mète più ampie che non la semplice commozione patetica dello spettatore. Non dimentichiamo l'estrema funzionalità di questa commozione: per il compositore, essa era il mezzo più efficace e diretto per ottenere un successo con il pubblico. 34 Lettera a Fiorimo del 26 gennaio 1835; da V. Bellini, Epistolario cit., p.501. 82 In quest'opera Bellini prende coscienza dell'ambiente fisico, dello spazio entro il quale i suoi personaggi vivono e si muovono, entro il quale le »situazioni« si svolgono. La determinazione musicale di questo spazio non era certo mancata nemmeno nella produzione precedente / Puritani fin dall'epoca del Pirata: si pensi al coro d'inizio di quest'opera, con gli effetti d'eco atti a creare appunto la »distanza«, e quindi lo spazio; la necessità di determinare musicalmente l'ambiente fisico aveva raggiunto punte assai suggestive, ad esempio nell'inizio de La sonnambula, con la disposizione del coro e l'impiego della banda alVinterno; oppure nel primo atto di Norma, quando ancora la banda interna ed il coro determinano nella maniera più efficace la dimensione della foresta druidica. Mai tuttavia si era avuta una definizione spaziale così complessa, così differenziata come nella scena d'apertura de I" Puritani. Lo spunto iniziale è già presente nella didascalia di Pepoli: Spazioso terrapieno nella fortezza. Si veggono alcune cinte, torri ed altre opere di Fortificazioni con ponti levatoi ec. Da lontano si scorgono assai pittoresche montagne, che fanno bellissima e solenne veduta, mentre il sole che nasce va gradatamente illuminandole, e poscia rischiara tutta la scena. Sopra i bastioni si veggono cambiare le sentinelle. Se ripensiamo all'inesperienza teatrale del librettista ed al carattere della collaborazione con il compositore, è assai plausibile, tenendo presenti le analogie che questa scena può in un certo modo presentare con altre scene d'inizio di opere belliniane, supporre chela determinazione dell'ambiente fisico, dello sfondo naturale e psicologico in cui si colloca la vicenda sia dovuto più alla volontà del musicista che non a quella del »poeta«. Dopo le successioni di accordi in for tis simo, quasi una »Toccata avanti il levar della Tela«, che aprono T Introduzione, la frase che inizia con lo squillo »puritano« affidato ai corni viene iterata con una insistenza che va ben oltre la semplice necessità espositiva (e difatti quest'iterazione riesce incomprensibile se la si ascolta al di fuori della viva realizzazione scenica); il nucleo sonoro dei corni ha la funzione di creare, nel tempo, il tono e il significato che il musicista vuol attribuire all'ambiente iri cui si svolge la vicenda; una volta affermato il »severo puritano«, la dimensione sonora viene definita attraverso una interessantissima serie di accorgimenti susseguentisi in crescendo. Dapprima i cori disposti all'interno in varie posizioni si scambiano richiami isolati, messi nella massima evidenza da intere battute di pausa; la ripresa in orchestra della frase dei corni si alterna e si affianca a questi appelli delle sentinelle che, intensificati nella dinamica, sfociano neh" »Allegro sostenuto e marziale«. Il punto di sutura fra in due momenti è costituito da un dialogo di tamburi, anch'essi dislocati in posizioni diverse a diverse distanze dagli spettatori; e il coro, per cantare il »Quando la tromba squilla«, deve situarsi, per esplicita affermazione del composi- 6* 83 tore, »fuori, sulla Scena, vicino alla ribalta«. Al termine di questo coro, che è certamente la prima affermazione di »militare robusto«, un nuovo 'interno', preannunicato dai rintocchi della campana, serve non solo a definire ulteriormente, ma anche a caratterizzare la dimensione sonora deirambiente: è la »Preghiera puritana«, eseguita dai solisti e accompagnata soltanto dall'organo: essa si staglia netta nell'atmosfera di aurora serena che le parti precedenti hanno chiaramente delineato, ed è anch'essa incorniciata all'inizio e alla fine dalle interiezioni e dal dialogo di Bruno e dei soldati, immobili e silenzioni al proscenio mentre essa si svolge. Il coro di Castellani e di Castellane, un »Allegro brillante« che conclude l'Introduzione, si apre esso pure con una anticipazione interna del motto che To caratterizza: »A festa!«, affidata ai Soprani primi. La controprova dell' interesse crescente di Bellini per gli 'interni' atti a stabilire e definire lo spazio sonoro è costituita dalla parte centrale del duetto fra Giorgio ed Elvira, sempre nel primo atto; quando Giorgio ha narrato alla nipote il dialogo con il padre di lei, e l'acconsentire di questi al matrimonio con Arturo, l'esclamazione del basso viene interrotta dal risuonare dello squillo dei corni dietro la scena (»odesi fuor della fortezza un suon di corni da caccia«) che conduce alla ripetizione esatta della frase »puritana« dell'introduzione; psicologicamente questo momento rappresenta l'avverarsi di quanto Giorgio ha narrato alla nipote: Arturo giunge per unirsi a lei; ma la dimensione sonora, venendo il saluto dei cavalieri puritani al »prode e nobil Conte« dall'interno della scena, acquista una forza evocativa, una convincente energia di altissimo livello. Nel momento culminante, di capovolgimento della »situazione«, Bellini allarga e sfrutta al massimo lo spazio sonoro per sottolineare il passaggio dal dubbio, dall'angosciosa speranza alla certezza esultante. L'analisi di questo nuovo atteggiamento belliniano35 potrebbe proseguire avendo come oggetto l'inizio del terzo atto, dal temporale al declamato di Arturo, interrotto dapprima dal canto, ancora una volta interno, di Elvira, e poi dai richiami dei soldati che lo ricercano e lo inseguono: una scena di una complessità drammatica davvero avvincente, articolata con un dosaggio sapientissimo dei coloriti e delle »dimensioni« . Con queste pagine si è voluto semplicemente proporre alcune osservazioni sorte da una lettura attenta e comparativa dello spartito con cui il musicista di Catania concluse la troppo breve carriera; si è cercato al medesimo tempo di indicare alcune direzoni secondo le quali uno studio del melodramma ottocentesco potrebbe condurre ad un maggiore apprezzamento sul piano culturale di questo complesso fenomeno d'arte. 35 Un esempio non indifferente, cui certamente Bellini ha molto guardato per il problema dell'efficacia espressiva degli ,interni', è costituito dal Finale del 2° atto del Guillaume Teli, la scena del giuramento. 84 POVZETEK V pricujoci razpravi skuša avtor na podlagi Bellini j evih zapiskov in korespondence v zvezi s »Puritanci« rekonstruirati nekatere skladateljeve poglede, ki bi lahko pomagali do jasnejšega ocenjevanja Bellini j evega dela. Kot navaja avtor, je znacilno za Bellini j a, da je najprej iskal libre-tista in šele potem doloceno snov. V tedanjem casu je bila navada vecine skladateljev, da so pisali opere za pevce. Zanimivo je, da je Bellini pri komponiranju oper šel celo tako dalec, da je omenjal le imena pevcev in le redko kdaj imena nastopajocih oseb. Po Bellini j evem naziranju mora biti opera sestavljena iz nenehnega menjavanja glasov in njihovih barv, kar doloca emocionalne momente dela. Bellini j ev koncept opere je vrsta posameznih custvenih situacij, od katerih je vsaka zakljucena zase in ima v glasbi ustrezno zakljuceno obliko. Takšno pojmovanje ni specificno samo za Bellini j evo operno umetnost, vendar je važno vedeti, da ni to pri nobenem drugem skladatelju tistega casa tako ocitno kot prav pri Belliniju. V tej zvezi opozarja avtor na dejstvo, da niso znane skice za nobeno Bellinijevo opero v celoti, ampak le fragmenti, ki jih je skladatelj zasnoval, preden je imel idejo celotne opere in ki jih je uporabljal šele pozneje, ko je našel zanje primerno situacijo. Koncno poudarja pisec še Bellini j ev smisel za glasbeno slikanje prostora, v katerem se te situacije razvijajo. V tem oziru pa je dosegel svoj višek prav v svoji poslednji operi »Puritanci«. 85