II. ANNO. Sabato 5 Giugno 1847. M 3G — Sulla pianta materiale della città di Trieste. (Continuazione.') La città Teresiana così ampliata non ebbe a dir vero nel suo interno quella distribuzione che unisse le parti a' centri comuni sociali, e che provvedesse nel suo interno ai bisogni di consorzio urbano; ebbe soltanto confinazione la quale suppliva il difetto di mura divenute ormai inutili per la sicurezza pubblica dovunque aumentata, e fu questo il letto del torrente maggiore come in oggi si vede, che va quasi in tutta la sua estensione, scavato in sostituzione del letto che correva diritto nel canal grande, e che formava fosso, ed il vallo o le mura erano supplite da filari di case. La piazza delle legne collocavasi entro la novella città, la quale aveva ingresso al capo interno della via della nuova barriera; il ponte detto della fabbra era quasi porta che metteva nelle campagne verso Chiadino superiore; il ponte detto poi di Chiozza metteva nella valle dei SS. Giovanni e Pelagio; il ponte presso alla caserma metteva sulla strada postale di Vienna; il ponte alla Gran Czara sulla strada del Friuli per Prosecco: aperture tutte che dovettero lasciarsi perchè queste strade esistevano precedentemente ed erano prodotto di necessità. Prima che sorgesse la città Teresiana tutte queste strade concorrevano alla porta di Triborgo, e tanto è vero che nel disporre la nuova città non si seguirono le linee di movimento dalla campagna alla città, in quanto che la strada principale d'Istria e del territorio verso Bagnoli e Dollina non aveva comunicazione alcuna colla città nuova prima che si aprisse la salita del molino a vento; bensì colla vecchia per Ponzano e per la valle di S. Michele entrando per la porta di Cavana. Gli ingressi alla città non ebbero proprio nome nè decorazione alcuna, tranne le due principali che avevano una trave mobile su d'un perno simile ad ordigno per trarre acqua dai pozzi. Un solo mercato ebbe questa città, quello cioè delle legna da fuoco, e questo ancora comune colla città vecchia, e di antichissimo praticato, dislocato soltanto in tempi recenti. Mancato il desiderio di costituire della novella città proprio corpo sociale che avrebbe dovuto sottostare nel penale e nel politico a ciò che è oggidì Governo provinciale, nel giustiziarlo al Tribunale mercantile, nel finanziario alle autorità camerali; e pronunziato che le due città avessero comuni ordinamenti ed amministrazione, la città vecchia conservò la preminen- za civile; in questa risiedevano le autorità tutte, o talmente in prossimità da non ritenersi collocale fuori, perfino la dogana fu nella città vecchia; in questa la piazza nobile, i convegni pei piaceri della vita, il teatro, i mercati, gli alloggiamenti pei soldati, i pubblici magazzini, e, diciamolo pure, il cimitero. Il solo ridotto pel ballo fu nella nuova, genere di divertimento in lutto l'anno, divenuto sorgente di reddito, e di pernizie al popolo che vi si abbandonò a dismisura. I soli Greci a-prirono loro chiese nella nuova città; i Protestanti, gli Elvetici preferirono la vecchia. L'amalgamazione delle due città, delle quali l'una doveva essere tedesca, l'altra italiana, non tolse che 1' Erario Camerale fosse proprietario del fondo, e provvedesse a proprio dispendio per quelle necessitudini che sono di comune, siccome l'acqua, gli scoli, il selciato, ed altre, obblighi che passarono nel comune appena nel 1819 insieme a quel reddito che ne formava la dotazione; appena nel 1819 s'avverò la perfetta comunione fra le due città. Il rione de' Santi Martiri del quale pen-savasi fosse il primo a coprirsi di edifizi, fu invece l'ultimo, e sì poche erano più tardi le premiere speranze che l'imperatrice ne fe' dono di parte a privata persona; il rimanente appena nel 1819 fu dato al comune della vecchia città. Il pensamento di Maria Teresa, grandioso pei suoi tempi e ritenuto più che sufficiente per quella condizione cui si credeva dovesse arrivare 1' emporio nel massimo suo stadio, futuro già, non era insufficiente in sul finire del secolo passalo; nel 1784 disponevasi novello rione fra la città ed i Santi Martiri coi terreni avuti dai conventi soppressi dei Cappuccini e dei Minori Conventuali, al quale fu dato il nome di Giuseppe II, e che il volgo dice Giuseppino, e le costruzioni avviaronsi tosto; ma ristretto si era il terreno, di poco momento. Nel 1792 disponevasi novello rione che prese il nome dall' imperatore Francesco, rione che il volgo chiama Fran-ceschino, e lo si dispose col procedimento tenuto per la città Teresiana comperando il terreno, preparando le vie, alienando i fondi destinati a costruzione; assai ripro-mettevasi da questo rione; cinquantanni più tardi le aspettative non giunsero a totale maturità di effetto ; perchè il popolo eeguì piuttosto gli impulsi naturali che lo chiamavano a costruire piuttosto in altri luoghi. Ed è singolare che in Trieste siasi voluto tramandare la memoria di Maria Teresa, di Giuseppe II, di Francesco I, di Ferdinando I, onorando degli augusti nomi parti di città ed un bosco, e del fondatore del porto franco altra memoria non s'abbia che del Lazereto, e questo pure non già Lazereto Carlo VI s'intitola, sibbene di San Carlo (ed è il vecchio), per cui col procedere del tempo si attribuirà dato il nome forse per onore al grande arcivescovo di Milano. Il molo San Carlo non deve il suo nome all' imperatore, sibbene ad una nave da guerra affondatasi in quel sito, e che aveva nome S. Carlo. Come singolare si è che dell'imperatore .Carlo siavi memoria in una colonna sulla piazza che sorregge la statua di lui, e nei dipinti della sala della Borsa, nessuna memoria pubblica vi sia di quella gran donna, onore degli Absburgici, la quale fu madre a Trieste, savissima esecutrice ed ampliatrice delle paterne volontà. Colla disposizione dei rioni Giuseppe li e Francesco I cessano le previdenze dell'autorità per ampliare le costruzioni; il popolo aveva ricevuto l'impulso, aveva secondato ad ogni potere le sollecitudini del governo, era maturo di progredire per propria iniziativa, per proprio diretto interesse, nel quale se non eccedette nel complesso dei tempi, fu impaziente a'periodi che dir potrebbersi ricorrenti, non lasciando, come suol dirsi, tempo al tempo. Nei primi anni del secolo presente per privata diligenza si disposero novelli rioni, v' ebbe il rione che dissero Commerciale, quasi una parte materiale di città potesse darsi a traffico, v'ebbero i rioni Tommasini, Loi, Chiozza, Riai, Conti, e tant' altri che non sappiamo perchè si dicessero da alcuni borghi, mentre la città non aveva più mura, se non fosse per ripetizione di ciò che videsi in città murate. In còlle suburbano prossimo v' avevano casolari di poveri braccianti, crebbero a rione numeroso di edifizi e di popolo, e fu dato il nome di sfregio Rena nuova, convertito poi dall' uso in legittimo, sorgendo quartiere non calcolato. Dei rioni progettati non tutti ebbero effetto, quello dell'Acquedotto sorse precipuamente a merito della famiglia Chiozza posseditrice di vasti terreni, la Madonnina, la barriera vecchia; furono più graditi quest' ultimi a segno che i caseggiati si dilungano anche sul monte e si estendono al di là delle sette fontane. Quel rione che primo calcolavasi che dovesse sorgere nel novello emporio, quello cioè dei SS. Martiri, fu l'ultimo e riuscì il più nobile e più gradito. Meno in questa parte di città, le mosse si diressero nelle parti più piane; è singolare cosa che il colle su cui sta il castello - che meglio avrebbe convenuto per le classi inferiori, che va ormai a collocarsi nel centro della città, e che per la ventilazione sembrava richiamare 1' attenzione - sia ancora deserto di abituri. Singolare fenomeno il vedere estesa la città per modo tale oltre i confini che segnava Maria Teresa, che quella piazza la quale era estrema, la piazza delle legna da fuoco, per poco non sia il centro, ed è ormai mercato di vittuarie frequentato e gradito ; ed il vedere ancora entro l'ambito di quello che si assegnò intorno il 1820 a pomerio o ad area di città, campagne e giardini e villette; tanto è difficile il prevedere le mosse future, ed il volerle contenere con dispositive! Ciò che fu disposto a città è tuttora campagna; ciò elio fu assegnato alla campagna è città; la fronte verso il mare è segnata da limiti impreteribili, ma fra terra i caseggiati si dilatano, e non può prevedersi a quanto giungeranno. La quale aggiunta spontanea alla città Teresiana se lascia a desiderare quei pubblici luoghi che sono indispensabili siccome piazze e mercati, pure nel suo spontaneo ordinamento segue linee naturali di ricorrenza a centri comuni per cui le confinazioni della città Teresiana riescono di pregiudizio, ed è manifesto il desiderio di toglierle; nè mancano in queste distribuzioni naturali pregi che nelle artifiziali si desiderano. Avverrà di Trieste quello che succede colle lingue; la grammatica si forma più tardi e serve a correggere gli errori parziali; colle grammatiche non si potrebbe creare lingua alcuna. Ma non è di ciò che oggidì intendiamo discorrere. Nel-1' antica città sembra essersi preso a norma pei pubblici di regolare la larghezza delle vie strettamente secondo il bisogno di allora, di dare loro larghezza adatta al clima per cui nè i rigori del verno nè gli eccessi della state, nè l'infierire di borea avessero a recare disagio e nocumento; ampia la piazza e decorala, non radi i mercati (erano 6000 gli abitanti). Le case per la classe povera o mercenaria, piccole, piccoli i locali, spesso solide a sufficienza; la collocazione di queste sul monte le dispensava da maggiore aria nelle stanze medesime. Le magioni dei ricchi (erano 6000 gli abitanti) ampie, disposte a comodità; ampie le scale, le sale, le stanze; evitata la monotona uniformità de' locali, fornite di cortili: ed esistono tuttora, sebbene nessuna forse in istato com' erano. Allorquando Carlo VI visitò Trieste colla sua corte, cogli ambasciatori, poterono tutti collocarsi convenientemente. La città Teresiana preferì larghe le vie (36 piedi), non curò piazze nè pubblici edifizi decorati, preferì l'uniformità; non curò nè l'azione dei venti, nè l'azione del sole: dall'uniformità ne venne che le condizioni di un' isola furono le condizioni di tutte. Le case dei maggiorenti (e non furono molte) solide e su tipo che mostrava anche nell' esterna decorazione di alcune agiatezze, somigliando a palazzi. Il più delle case assai uniformi, non alte le stanze, basso il pianterreno, in aspetto di agiatezza, però più aspetto che sostanza, nè fornite di quelle comodità che a famiglia si addicono; economia di luogo quanto mai possibile anche a pregiudizio di agiatezza, di luce e d'aria nell'interno; stile variato per cui si riconosce il decennio di loro costruzione. Le opere troppo spesso di economia gretta, spinta poi a segno da essere peggio che economia. V' hanno costruzioni grandiose nelle quali la grossezza dei muri è simulata; due facciate di pietre, cattive pur queste, in mezzo rovinacci alla rinfusa. Le case più antiche dell'emporio furono in cotto, più tardi in arenaria di pessima qualità e di minute dimensioni, la pietra bianca non adoperata che per contorni, mai per rivestitura di muro. Nei rioni (non compreso quello di S. Giacomo) migliori talvolta le costruzioni, e le case medesime. In questi ultimi decenni l'architettura urbana fu generalmente più solida, più avvenente, più comoda; e se le forme adoperate fino dal principio del secolo riuscirono più sode, l'interna distribuzione migliorò d'assai, le dimensioni crebbero e per altezza e per larghezza. Degli edifizi pubblici non vogliamo tenere parola più che per dire che gli antichi della città vecchia, quelli del principio del secolo, sono quasi i soli, le private comodità prevalsero al pubblico ornato. Ma basti celi' architettura pubblica e privata, e vengasi al proposto del presente articolo. Li novella città occupa tutta l'antica Valle del Rivo circondita da colline e monti che impediscono ogni movimento di aere dal mare verso terra se non è furia di tramontana, e che la difendono dai venti dal di fuori; a-perta assii a borea. Se le alture del Carso fossero rivestite di boscaglie, come possono esserlo e lo erano, nè la bors sarebbe sì impetuosa, nè sì frédda; s'aggiunga che, stretta la Valle del Rivo fra il fdone che da Montebello scende per la fortezza al Campomarzo, la bora ingolfata in questa stretta accresce d'impeto, e per le ripercussioni dei lati delle colline del Castello e di Scorcola, prende agitazione tumultuaria. Imperciocché la bora nel suo corso somiglia precisamente nel movimento a corrente di acqua, e segue le leggi di questa, siccome per più esperimenti siamo fatti certi. Il filare di colline da S. Giacomo al Campomarzo toglie molto di sole alla città, la quale, piana coni' è, non ne risente l'a-zione; larghe le vie e le più lunghe poste appunto nella direzione di essere infilate da borea, il freddo si manifesta maggiore di quello lo comporterebbe la posizione. Da che ne viene che durante l'inverno nella città nuova il soggiorno riesce spiacevole al forestiero ; la città vecchia all'incontro offre migliore riparo. E di rincontro nell'estate il calore è soverchio pel niun movimento dell' aere, per le nude alture del Carso di pietra calcare, che eccessivamente si riscalda, per le vie ampie che espongono al sole troppa superficie; la città vecchia all' incontro offre temperatura più mite. Neil' estate, quando più calda è la temperatura, la città bassa è involta in aere sì crasso che veduto da lontano sembra nebbia, comunque stando nella città non la si vegga, e quando non soffi vento da terra, la si vede durare più che non convenga; e spesso alzata che sia alcun poco per l'azione del sole non avendo allra via, scendere per l'insellatura di S. Giacomo al Navale San Marco, quasi bacino d' acqua che si scarichi per apertura; ma non si scarica al di sotto della altezza della insellatura. Il Maestrale che domina sulla spiaggia istriana, appena si fa sentire a Trieste, e non agisce che sulla prima fronte delle case al mare, sul rimanente della città non agisce. Le fabbriche che si aumentano accrescono la nebbia pel fumo dei camini; e quando questo fumo arrivi a sollevarsi al di sopra del filone di colline, lo vedemmo trasportato ad assai miglia di distanza, a sei ad otto, e questa crassizie nell' aere andrà coli' aumentarsi delle industrie sempre più accresciuta. La configurazione della Valle del Rivo fa talmente sensibile il calore, che città più meridionali, ma di libero movimento dell'aria non ne sentono di sì affannoso, quand' anche il termometro noi segni; ed in eguale modo agisce pel freddo. Quale influenza eserciti sulla salubrità questo aere denso nell'estate, quest'impeto di borea nell'inverno che penetra attraverso i tessuti più fitti, lasciamo che i medici lo dicano; a noi che niun altro documento abbiamo .fuor che le liste dei morti, ci sia lecito dubitare del nome delle malattie appostevi, tanto più che un' inesattezza in questa indicazione del fatale passaporto non è di impedimento a passare la barriera vecchia per essere recati a Sant'Anna. Bla ben noi diremo che la lun- ga dimora in aere aperto e libero ci fa sentire facilmente la differenza. Ed ora verremo a parlare d'altra valle nella quale a nostro vedere meglio sarebbesi collocato l'emporio, se maggiore arditezza, o migliore convincimento dei futuri destini di Trieste avesse avuta la compagnia orientale, e quegli altri qualunque che ebbero incarico dall'imperatore di disporre la novella città; intendiamo cioè di parlare della Valle del Broletto, o come oggi ha nome, del Navale di S. Marco; e dapprima toccheremo dei pregi di mare. È questo un seno naturale di mare a semicerchio che sembra quasi dalla natura disposto ad essere porto, per poco che 1' arte vi venga in soccorso, e naturalmente si presenta a quelli che dalle punte di Salvore si dirigono a queste parti. Ricordiamo di avere veduto nella nostra gioventù naviglio inglese che per la prima volla veniva a queste regioni dall'America, entrare nella valle di Muggia, e salutare quella piccola città mai sospettando che l'emporio stesse nascosto dietro il promontorio di Campomarzo. Facile e diretto ne è 1' approdo venendo dalle punte, facile e diretta l'uscita verso le punte perchè niuna necessità di girare facendo cammino. Direttamente vi si entra collo scilocco; e quando imperversa borea ed i navigli diretti per Trieste non giungono a doppiare il Campomarzo e la lanterna, gettano il ferro sull' estremità di questo seno, in sito che è buon tenitore e sicura stazione; e se non giungono ad assicurarsi su questo promontorio devono correre fino al porto della B. V. delle Rose di l'irano, seppure non passare le punte di Salvore e recarsi più abbasso sulla costa istriana. Lo scilocco non agita questo seno, protetto dai triplici promontori di Muggia, di Pirano, di Salvore; non l'agita la tramontana perchè difeso dal promontorio di S. Andrea; sente soltanto, sebbene non con gran impeto, il mare che viene da Salvore, ma le punte sono sì disposte che non vi entra 1' empito direttamente, e facile sarebbe difendersene con braccio di molo che dall'estremità verso ponente girasse verso Servola. Niun torrente vi mette foce, niuna corrente vi deposita sostanze, per cui nè interrimento si è fatto da diciasette secoli a questa parte, all' infuori del naturale scendere della terra dalle colline al mare, nè ve ne ha a temere pel futuro. V' ha poi che questo porto è collocato in seno ampio e profondo, nella valle di Muggia, che somiglia a porto amplissimo, il quale addentrandosi verso Zaule, verso S. Clemente offre seni e calle frequenti ampie, utilizzabili per quei tanti usi che vasto emporio esige. Borea, che dappertutto domiiia, domina qui pure, con ciò però che scesa dal Carso, viene tenuta più alta dalle sommità del filare circostante di colline, e, non istretta in gole, prende corso largo regolare, contrastato soltanto nelle parti più prossime al promontorio di Muggia dalle allure di questo. Ed allorquando nel porto di Trieste la bora nei frequenti vortici percuote il mare in modo da sollevarne sprazzo denso di acqua; in questo seno nelle parti più prossime a terra scorre più regolare, e sarebbe poi trattenuta se le alture che circondano il seno offerissero maggiori ostacoli per cui la bora dovesse tenersi più alta. Il terreno che circonda il seno è adattato a pian- tarvi emporio e città; imperciocché sul mare puossì guadagnare terreno con interrimento fino al punto in cui I' acqua è più profonda (nè vi ha tema di diminuire il seno di mare); nella parte piana possono aprirsi facilmente canali, se facile e ripetuto scarico vogliasi dare ai navigli ; vi ha spazio sul dorso delle colline più dolci di collocare la città; sul dorso delle più alte, di collocare i rioni pei braccianti e pei mercenari; sulle sommità più alte, le ville di piacere, i casinetti di campagna prossimi e sempre in prospetto della città. Nei prossimi seni e di Sorvola e di Garizole e di Zaule e di S. Clemente facile sarebbe il collocamento o di Navali, o di Lazereti, o di depositi grandiosi. Nè la difesa militare sarebbe impedita, perchè le alture che circondano il seno offrirebbero facilità ad opere di fortificazione. Queste medesime colline aprirebbero propizio accesso a strade pel di fuori, le quali appunto pel lento declivio possono svolgersi in modo da riuscire pressoché piane e per distanza più lunga e più propizia alzarsi sulle alture del Carso. La città medesima nella parte in collina può disporsi facilmente in modo che vie longitudinali riescano facili a correre; le traversali die-110 pronta comunicazione comunque non altrettanto dolce. E tanta è la estensione di queste colline che amplissima città puossi collocare dilungandola verso le due estremità. La quale se qui fosse collocata pensiamo che per più titoli dovesse meritare elogio. Imperciocché anche oggidì in aperta campagna la temperatura nell'inverno è assai più mite che non nella Valle del Rivo, e migliore sarebbe se coperta da edilizi; nell'estate il calore non è sì intenso perchè aperta è la vallata, e non e-sposla alla ripercussione del calore dalle sommità del Carso, che non si vedono se non da un lato ed a grande distanza; i venti frequenti da maestro e da levante hanno più libero corso e più facilmente i primi la purgherebbero dalle esalazioni della regione più depressa. In bellissimo aspetto in forma anfiteatrale si presenterebbe a quelli che vi giungono dalla parte del mare; e dalla città medesima si avrebbe bellissimo prospetto dei caseggiati, del porto, del seno, delle colline poste di rimpetto, del golfo intero fino a Pirano. Grande giovamento ne verrebbe alla città medesima ed all' agro circostante più che noi possa 1' odierna Trieste, perchè sebbene la distanza dall'una all'altra sia breve, pure anche le brevi distanze se altre condizioni offrono, sono cause piccole di grandi effetti; lontano dagli occhi lontano dal cuore, é trito proverbio e sempre vero. Imperciocché più agevolata sarebbe la comunicazione con Muggia, colle vallate di Dollina, di Ospo, con Capodistria medesima; e mentre la città ne avrebbe vantaggi per le cose di mercato, per le altre necessitudini della vita, li ricam-bierebbe col propagare la coltivazione, col diffondere le arti, con migliore agiatezza. È vero pur troppo che la grande distanza che è fra le agiatezze, la comodità, il lusso della città, e la deiezione, la rozzezza dei villaggi prossimi è dovuta alla mancanza di pronte e facili comunicazioni; da quest'altro lato le comunicazioni sono facili per la via del mare, e gli abitanli esperti nelle cose di marina. Muggia, che oggidì è forestiera a Trieste, sarebbe borgata di questa ed intimamente collegata; la possidenza di terre necessaria od almeno utile ad em- porio sarebbe certo più frequente nei Triestini daquesto lato, ed aperta la via a più famigliarizzarsi on una provincia la quale ha la naturale attitudine di essjre l'agro della grande città, a cui per le vie d;l mare la natura 1' ha congiunta. Maggiori piacevolezze darebbero certamente il mare e la terra da questo lati) offrendo i piaceri della marina e della campagna, la qual« è tutt'all'ingiro continuata in forma di semicerchio, più bello a vedersi che non le estremità di filoni che concorrono a fare capo nella Valle del Rivo ad ineguali distanze ; più bella, più spontanea la vegetazione delle colline perchè tutte rivolte a mezzogiorno, e disposte in clivi per lo più dolcissimi. La città medesima offrirebbe forse più belli agi e più gradita stanza, perchè tolte in gran parte quelle monotone regolarità di linee rette, e di piano ristretto fra colli; ne verrebbe non so che di pittoresco che rallegra, offrirebbe scelta svariata di dimora; e col prospetto continuo dell'intera città e del porto, e del seno, e della terra provinciale nell' intero complesso, disporrebbe più facilmente gli uomini a quella unità di pensamento che è sempre potentissimo mezzo ad imprese di comune utilità. Non già che noi siamo per biasimare ciò che si è fatto nella città odierna; troppa esperienza abbiamo per conoscere il merito di chi dal nulla l'ha chiamata ad esistenza, e troppo sappiamo quanto difficile sia lo staccare gli uomini dalle loro prossimità, dalle loro inveterate abitudini, per islanciarli ad opere ardite e novelle. Non già che al pensamento nostro vogliamo attribuire il merito di un pensiero perfetto; troppa esperienza abbiamo per conoscere quanto facile sia l'imaginare, e come le imaginazioni sieno affini ai sogni; troppo sappiamo quanto difficile e quasi impossibile sia all'uomo il rilevare, e ponderare tutte le condizioni materiali e virtuali, il che appena è dato alla generalità, seppure è dato in ogni tempo. Ma i pensamenti per imperfetti che siano, i sogni medesimi guidano talvolta a migliori cose che dapprima noi si creda, e non abbiamo trepidazione di comunicarli ad altri, tanto meno che a noi sembra che la città si diriga a raggiungere la Valle del Broletto, e ad unirla alla Valle del Rivo sembra a noi che per ispontaneo impulso il pensamento si rivolga là dove ci pare deve rivolgersi. Già la città allunga le sue braccia per la via della Madonnina e pel rione S. Giacomo alle alture che dominano la Valle del Broletto; già nella Valle del Broletto si è formato navale che progredisce di opere e di fabbricati; già dal Navale si dirige una via cominciata verso le alture di S. Giacomo per unirsi alla città; già alle sponde della Valle del Broletto si fissa colonia di artieri marini; breve passo manca perchè la città sia congiunta a questo seno di mare, e coli' aperta congiunzione si avviino quei mezzi che le distanze fanno ancora più brevi, e questa è tale che può ridursi a brevissima per opere artifiziali che tolgano la salita o con celerità di passaggio, o con arditi tagli o forazioni di terreno. E non appena sarà aperta la facile comunicazione che per questo Iato scenderanno borgate al mare di Muggia, umili dapprima, di artieri, ma su quei còlli non conosciuti nè pregiati abbastanza sorgeranno casinetti, e queste prepareranno la via a cose maggiori, e queste borgate seguiranno quelle condizioni che natura ha imposto, e trarranno profitto di quanto natura ha disposto. I destini di Trieste furono fissati alla pacificazione europea del 1814; essa è emporio austriaco e lo sarà stabilmente; essa ha la destinazione di congiungere per le vie del commercio e della navigazione l'Oriente alla Germania. Menti ponderatrici seppero ravvisare questa nobile destinazione e fatti pronti i mezzi della navigazione a vapore che avviando le relazioni a stabilità congiungono le provincie orientali con questo emporio; il governo austriaco protegge l'impresa, che ora noi più non diciamo ardita se non peggio; la città medesima ne conobbe tutta l'importanza e per quanto è in lei vi concorre. Ciò è fatto e non tarda a portare effetti, che si manifesteranno in proporzioni geometriche, non sì repentini come forse si vuole, ma certi, perchè le relazioni vengono appena, se non sempre creale, assai di frequente sviluppate, e le provincie di fuori devono appena abituarsi a movimento inusitato e per l'addietro temuto. Già menti ponderatrici tentano di fare di Trieste mezzo di comunicazione fra l'Indie ed il nord dell' Europa, e se quell'effetto che si ebbe in mira non dovesse in tutto raggiungersi, altro utilissimo e forse non minore se ne avrà dalla miglior conoscenza che si ebbe di condizioni non peranco avvertite. Già l'impero Austriaco progredisce siffattamente nel promuovere le industrie, i commerci, le arti, i mezzi di ravvicinamento preferiti e richiesti dal secolo; che se fare ne volesse ostentazione, e se aggradisse che sia dato fiato alle trombe, maggiore ne sarebbe il grido che altri stati fanno di sè medesimi. Quelle incertezze, quelle difficoltà che per sì lungo tempo fecero trepidare per 1' esistenza di Trieste, cessarono; le condizioni politiche nell'Adriatico sono assicurate, l'emporio di 60,000 abitanti creato dal nulla, e si può dire a ragione rifatto dal 1814, è un fatto compito che non può più togliersi, è un fatto che promette i migliori risultati; l'Austria non può permettere che 1' opera alzata con tanta fatica, con tanti dispendi, con tante cure, l'opera che è tutta austriaca, non abbia a raggiungere quella destinazione che ebbe; i pensamenti unilaterali svariati che potrebbero nascere saranno sempre subordinali e spariranno dinanzi a quella ferma volontà di avere emporio austriaco. L'Adriatico è austriaco e lo è stabilmente, le coste orientali del golfo che assicurano la navigazione sono a perpetuità unite coi destini dell' impero, nè più si avvererà che d'Austriaco altro non sia su questo golfo, che piccolo seno, povero di persone, e di marina; Trieste raggiungerà i suoi destini, e più sollecitamente forse che altri il pensi. L'emporio s'accrescerà ai 150,000 abitanti, e forse progredirà, ma al di quà di questa cifra non sarà per arrestarsi; la quale cifra noi la deduciamo dalle condizioni delle provincie cisdanubiane che fanno capo in Trieste, dalle condizioni dei paesi che devono ricorrere a questo emporio. Questa cifra noi la deduciamo dagli e-sempi della storia delle città nell'Adriatico che già trattarono lo stesso commercio, e non intendiamo comprendervi quel di più che può venirne da condizioni diverse da quelle di emporio, ma che di frequente vi vanno congiungendosi. E ne tiriamo conferma dai fatti della storia moderna; in meno che una sola generazione il numero del popolo si è più che raddoppiato; pure le trepidazioni erano grandissime, i mezzi più scarsi che oggidì, le menti meno disposte, le condizioni esterne non sì favorevoli, lo spirito del popolo più ristretto negl'individui, che rivolto alla generalità; Trieste non era trent'anni fa come è oggidì la capitale naturale di quanta è costa austriaca all' oriente dell'Adriatico, centro di ogni commercio; non erano allora disposte le menti a riconoscere questo centro in Trieste, nè le menti in Trieste erano pronte a riconoscere questa centralità e ad agirvi in conseguenza. Questa centralizzazione è fatto compito che sì facilmente non può togliersi; il pubblico di Trieste non considera più straniere le condizioni esterne che possono influire non già su individualità, ma su generalità. Trieste prende parte precipua agli studi pel taglio dell'Istmo di Suez, insieme alle grandi nazioni d' Europa. Questo spirito nel pubblico che seconda le intenzioni del governo e le manda per ciò che a lui spetta ad effetto, è arra che le condizioni di Trieste si avviano a stabilità, perchè governo e popolo agiscono concordemente nelle viste di pubblico ben essere generale. Sì, la città andrà aumentandosi di popolo, di caseggiati e di opifizi non con quel repentino precipitare che porta sinistri, ma con quel continuo agire che è appena visibile nel movimento, e che dopo giro d'anni arreca sorpresa nel considerare il punto a cui seppe giungere. Sì, la città, l'emporio andrà aumentando, e la Valle del Broletto ne diverrà un ramo, il seno di mare secondo porto. Ed il modo di giungervi non sarà avvertito, pure sarà efficace, dapprima navale semplice, poi borgata di artieri navali, poi officine minori per uso di marina, poi officine maggiori per meccanismi, poi depositi, poi stazione di navigli da guerra, se non austriaci almeno esteri, poi frequenza di caseggiati, poi pentimenti del fatto, dispiacere del non fatto, poi rifazione di opere. Non sorgerà a città da sè, ma sarà continuazione di città fino al mare, sarà parziale riparazione di ciò che non s'ebbe coraggio di fare cento e più anni fa, e si avvererà in parte quell'erroneo detto che l'antica città stesse anticamente nella Valle del Broletto. Sugli inni sacri nella lingua del popolo cantati in Trieste. Fino all'anno 1785 la chiesa tergestina non tollerava altri cantici nelle chiese fuor di quelli in lingua latina, e che dal Rituale romano venivano od ordinati od ammessi. Durante le messe basse non si tollerava canto, nelle messe solenni cantava il clero, o la cappella soltanto. Giuseppe II ordinò l'introduzione del canto nella lingua del popolo, e dal popolo medesimo nelle processioni pubbliche, durante le messe solenni e durante le benedizioni vespertine, durante le messe basse, escluse soltanto le pontificali. Gli inni furono dall'imperatore commessi all' abbate Denis, la musica all' Heyden perchè si voleva che poesia e musica fossero di insigni autori. Quest' ordine venne introdotto in Trieste immedia- tamente dopo la Pasqua del 1785; nella chiesa di S. Antonio nuovo si cantò in tedesco, nella chiesa di S. Antonio vecchio in islavo, nella chiesa di S. Pietro in italiano; S. Giusto e S. Maria Maggiore seguirono l'antico costume; la scolaresca senza distinzione di nazione cantò in tedesco, meno il Ginnasio che cantava spesso in latino. La poesia per la chiesa italiana, o per S. Pietro, venne scritta dal famigerato abbate Giovambattista Casti, del quale testò leggemmo sull' Osservatore Triestino che negli ultimi suoi dì riconoscesse a merito di un benemerito e pio nostro i suoi errori. Di altro abbate, di Lorenzo da Ponte veneziano, udimmo che, o fosse per fare qualche inno, o P avesse fatto, ma non ci fu dato di verificare la cosa. È quello stesso da Ponte che gettato il collaro e presa a moglie una cuoca, fuggì in America, ove morì vecchiardo insegnando e promovendo le lettere italiane. I quali nomi qui annunciamo per la fama che ebbero ambedue di valenti poeti, ambedue furono poeti di corte, ambedue per breve tempo, ed a buona fortuna, giacché gli scritti posteriori dell' uno, la vita successiva dell' altro mostrarono di qual pelo fossero. Supponiamo che gli inni slavi sieno venuti dal Car-nio; dalla Pasqua del 1785 lino aldi d'oggi continuossi il canto nelle chiese e nelle processioni, e nel frattempo ne fu ampliato l'uso e nella cattedrale ed in pubblici stabilimenti. Sennonché il canto tumultuario di ragazzi ignari della musica, lo stridere anzi che il cantare; la musica non sempre adatta all' indole del popolo, sembrarono difetti che certamente non si vollero da quell' Ordinanza che precettò il canto, che anzi se la legge volle che si cantasse, non volle che si stridesse. Sappiamo di certa scienza che or sono cinque anni il Municipio desiderava che la volontà della legge si adempisse in modo migliore, e desiderava che la scolaresca venisse ammaestrata nel canto di chiesa; non ebbe effetto per allora il divi-samento. E quando, or sono tre anni, si adottavano a spese del comune le scuole di canto col metodo del Wil-liem, la chiesa non fu dimenticata, e fu necessità allora che venissero officiati di scrivere inni alcuni valenti, i di cui nomi non importa di declinare, giacché se un nome dovesse dirsi sarebbe quello dei corpi e delle autorità che proposero e promossero la cosa. Non in tutte le occasioni si fa uso nemmeno dai fanciulli della lingua volgare, p. e., nell'ingresso solenne di Monsignore i fanciulli cantavano in latino : - Veni Creator Spiritus; si canta poi nelle chiese in italiano, in tedesco, in islavo. STORIA NATURALE. Rottile domestico. Togliamo dal giornale LA STIRIA n.° 50 alcuni pensieri su d'un semovente parassito che vive nella società umana. La storia naturale non si è, per quanto è noto, occupata di questo genere di animali; per lo che un saggio anche incompleto, non tornerà malgradito. Il nome tecnico e le caratteristiche essenziali sono: Homo bestialìs loquax et scribens. Il nome volgare varia e non è bene fissato; in qualche luogo lo chiamano Paglietta, in altri Mangiacarte, in altri Azzeccagarbugli, in altri Contraffacente, talvolta in uno stesso luogo gli danno più nomi; però è stato verificato che sotto questo nome si indica lo stesso animale. Appartiene alla famiglia dei rettili e propriamente alla specie delle vipere domestiche. La parte imbecille del popolo lo tiene per animale innocuo, e quando s'accorge che succhiando il latte delle armente, queste isteriliscono e vanno in consunzione, ne attribuisce l'effetto alle streghe; ed è tanto radicata questa credenza, che spesso gli viene posto in serbo del latte già smunto affine possa satollarsene. Il Paglietta è animale bassissimo, imperfetto; ha denti assai acuti coi quali rode i fili della legge che tiene unita e regola la società. Ha particolare tendenza di rodere questo filo col quale poi si impingua, e nel roderlo manda talvolta un suono che si crederebbe tut-t'altro che rosicchiatura, e rode in modo che sembra anzi volere meglio disporre i fili, e togliere quelli che sono di imbarazzo. La bava che stilla dai denti è venefica assai, appena toccata ogni vita, ogni attività morale va languendo fino ad estinguersi totalmente. È di un udito finissimo, al che specialmente contribuiscono le orecchie assai lunghe; ogni minima parola del cittadino che non sia frutto di pieno suo contentamento, suona nelle sue orecchie come solenne lagno ; e viene rimandata in forma di querele, di ricorsi, di de-nuncie che inaspriscono gli animi, impediscono il loro ravvicinamento, fanno perdere tempo, fatica, pazienza a chi deve occuparsene, e tolgono nelle corporazioni e spesso in tutto un comune la pubblica pace. Spesso avviene che il modo di udire di quelle orecchie si propaga per epidemia in orecchie di simile conformazione di altri animali. Gli occhi suoi sono piccoli. Si giudicò lungo tempo che non avesse facoltà visiva, deducendolo dal mordere, insudiciare, pungere, ferire, uccidere che fa così alla cieca; però novelle osservazioni ed esperimenti hanno posto fuori di dubbio che abbia vista, ma di indole tutto particolare. Esso vede dappertutto inconvenienti, ingiustizie, torti, disordine, illegalità, imperfezioni di ordinamenti, arbitri se non peggio nelle autorità dello stato superiori ed inferiori; lo sguardo suo è impudente, impertinente, provocante, insistente, venefico. Nella campagna e nei luoghi piccoli porta l'effetto dello sguardo che si attribuisce al basilisco, specialmente su certo genere di uccelli siccome i merli, gli allocchi, i cuccoli, perfino i dindi; li incanta, e se li pappola tutti intieri anche colle piume, quanti ne vengano. E quegli stessi che arrivano a resistere contro Io sguardo, ed a dare di gambe, ne vanno di mezzo colle penne maestre, colla pace domestica, e perfino colla salute. La sua lingua è peggio che tutto e se ne serve come di pugnale, di ascia, di sega, è appuntita e assai mobile. Colla lingua può imitare il canto delle Sirene, e porta 1' effetto che chi si lascia sorprendere viene trascinato nella pozzanghera della inobbedienza, della immoralità, della perdizione. La sua lingua non rispetta nè autorità temporali, nè ecclesiastiche, e parla di tutto con vergognosa osservanza, con incredibile impudenza. La profanazione delle cose più sante, delle cose di maggiore ordine ed interesse, sono come un cancro che si diletta di propagare. Nella forma esterna somiglia molto al camaleonte; da esami anatomici si è potuto verificare che il cuore è formato da pietra infernale; nello stomaco non si potè rinvenire altro che sedimenti di articoli mal digeriti di legge, e di antiquate forinole; il cervello offre assai irregolarità, simile a quello dell' asino per la facoltà di ostinazione, a quello dell' irco per la tendenza a dare di cozzo, a quello del bufalo per la smania di calpestare il fango come qualunque oggetto prezioso; vi si scorgono patentemente le inclinazioni del gatto, della volpe; però le sostanze cerebrali sono in continua fermentazione, e l'involucro è formato con patenti ed ordinanze male comprese. L'attività di questo animale consiste nell'imbrogliare le cose, nel turbare la pace, nello suscitare malcontento, nell' accecare, nell' ingannare, nel pervertire, nell' agitare quella parte del popolo che lo crede giovevole perchè lo lusinga, perchè approva le abberra-zioni degli uomini, ed insegna a deludere la legge, a circuire il buon ordine. Va in cerca degli allocchi, e, posto che abbia piede nella sua stanza, fruga nelle carte, nelle lettere confidenziali per trovarvi quelle promesse, confessioni, trasgressioni, per farne argomento di contesa, per saziare la sua avidità inesauribile; pronto poi di tradire il suo allocco per darlo ad altro purché vi sia da mangiare. Fra i modi di uccidere quest' animale dannoso, la luce del sole è di sicura efficacia, ma di poco risultato perchè gli idioti cercano di tenerlo all'oscuro, o di coprirlo d' altre vesti. Esso poi fugge la luce del sole, e lavora all'oscuro, tenendosi nascosto, e meglio nodrito, fino a che il troppo credulo non s' accorga del quanto che gli arreca, il che succede quasi sempre tardi. Ma fino a che la razza di quegli uccelli, a spese dei quali vive, non vorrà persuadersi della venefica sua natura, e non crederà ai consigli di quelli che per loro bene l'avvertono di indole sì pestilenziale, non è a sperare di vederli distrutti. Della chiesa di S. Francesco in Pola. Le instituzioni monastiche del secolo XIII nella cristianilà, specialmente quelle che ebbero vita e nome da quel Moriconi che poi fu santo ed ebbe nome di S. Francesco d'Assisi, hanno gravissima importanza storica nel giudicare delle condizioni civili delle città, nelle quali ebbero a fissarsi. Ed in questa provincia l'ordine dei Francescani surrogò quegli antichissimi conventi dei Benedettini, i quali erano assai numerosi nella provincia, più che il si possa credere. L'istituzione dei conventi di Benedettini rimonta per alcuni ad epoca sì remota, che ogni notizia storica andò smarrita; e di molti la memoria non giunse fino a noi. A giudicare del loro numero ne accenneremo alcuni come la sola memoria ci soccorre. V'erano Benedettini a S. Giovanni di Tuba al Tima-vo, a S. Giovanni presso Trieste, ai SS. Martiri di Trieste, a S. Nicolò d' Oltra, e forse a S. Pietro di Barbati di Capodistria, a S. Basso, a S. Lorenzo di Pirano, a S. Pietro di Montrin di Buje, a S. Stefano di Umago, a S. Giovanni di Daila, a S. Pietro di Cittanova, a S. Michele di Sottoterra, a S. Nicolò, a S. Pietro d'Altura di Parenzo, a S. Maria di Orscra, a S. Andrea di Rovigno, a S. Michele di Valle sull'isola dei Brioni, a S. Michele, a S. Maria, a S. Andrea di Pola, a S. Maria di Verino, a S. Michele di Pisino, a S. Petronilla di due Castelli, a S. Michele di Leme, a S. Lorenzo, a S. Elisabetta, a S.Dionisio di Montona, presso Pietrapelosa, presso Bellai, a S. Giacomo al Palo al Quarnero, e tanti altri su questa spiaggia e nell' interno che o non conosciamo, o non ricordiamo. Di quali condizioni civili od ecclesiastiche die-no indizio questi frequentissimi conventi, fra' quali insigni abbazie, non è il luogo di parlare dacché preferiamo in oggi dell' ordine Francescano. Del quale noteremo come in ogni precipua città vi fosse convento, e ve ne fossero anche presso le residenze di grandi baroni fino dai tempi dell' instituzione dell' ordine. Ed a questi conventi vediamo affezionarsi non la plebe soltanto, ma anche la nobiltà, ed ogni ordine di cittadini; divenire i conventi quasi conservatori di instituzioni che si volevano tramandare, depositari di documenti; divenire le ehiese ed i chiostri custodi di insigni memorie nelle tombe, nei monumenti, nelle leggende frequentissime, per cui le chiese nell'interno e nell'esterno i chiostri divennero quasi panteon di uomini illustri e distinti. Non diremo di S. Croce di Firenze, o d' altre chiese di Francescani in Ravenna, in Venezia od altrove, ma ricorderemo invece del convento di S. Francesco di Trieste, nel quale i nobili antichi in-stiluirono fino dal 1246 una fraglia diretta a mantenere integra 1'avitica nobiltà; nel quale insigni famiglie prepararono le loro tombe; ricorderemo il convento di S. Francesco di Capodistria, nel quale fra le illustri persone erano sepolti quel Filippo Arcelli, il quale nel 1420 compiè la conquista dell'Istria per i Veneti sul patriarca di Aquileia, ed altro principe del sangue dei re di Francia. Ogni città municipale ebbe proprio convento, Trieste fino dal 1229, Capodistria dal 1265, Pola prima del 1270, Parenzo in epoca che ignoriamo, però antecedente al 1282. Più tardi l'ebbero altri luoghi, Pirano nel 1301, Muggia nel 1388 e tutti questi furono propriamente di quella famiglia che ebbe nome di Minori Conventuali. Nelle città municipali la posizione non fu la stessa da per tutto; in Trieste si collocarono fuori delle mura della città, ed egualmente in Capodistria; in Parenzo ed in Pola entro le mura, di che dovrebbesi cercare ragione, non già nelle istituzioni dell' ordine, il quale straniero alle cose mondane prendeva stanza egualmente nelle città municipali come nei luoghi feudali, fra i poveri come fra i ricchi, ma piuttosto dovrebbene cercare ragione nelle peculiari circostanze di cadauna città. Ma in tutte le città maggiori e minori i chiostri e le chiese erano pagine scritte sulla pietra dei fasti municipali, erano materiali per la storia provinciale. Pur troppo queste pagine vennero a' giorni nostri cancellate, nè ci è noto se siasene conservata copia. In Pola il convento dei Francescani era nell'interno della città, sul colle, fra il castello e la residenza dei Sergi, nobile e potente famiglia che alle ricchezze univa esercizio di pubblici poteri. Conviene ritenere che la chiesa fosse dapprima umile come il convento, seppure non era questa quella chiesa ben più antica detta di S. Giovanni che poi venne incorporata al chiostro. Nel 1270, per le discordie cittadine, ammazzati i Sergi durante la processione del Venerdì santo, un solo fanciullo di questi venne salvato da un frate francescano e portato oltre Siana nei possessi della famiglia, e vuoisi che questi fatto a-dulto alzasse in benemerenza la chiesa; certo si è che in parte del chiostro vedesi ancora inciso in marmo lo stemma della famiglia. L'anno della costruzione della chiesa non è a noi noto; dal confronto con altro edifizio di Pola di data certa, dalle caratteristiche lo poniamo in sul principio del secolo XIV, e l'edilizio è certamente dei più memorabili della provincia. La chiesa è a una sola nave di pietra squadrata, di sì perfetta costruzione nelle muraglie che nè un solo strapiombo si vede, lunga la chiesa ben ventidue tese viennesi. Le tre nicchie sono ad opera di volto di perfettissimo lavoro nello stile che dicono gotico; gotico si è il portale ricco di intagli, e di bellissima apparenza; sul portale stavano tre statue, una delle quali era poi presso al duomo. Notiamo che nel lato della chiesa verso la pubblica via, v'era poggiuolo al quale si saliva per iscala collocata nell' interno della chiesa, quasi da quel poggiuolo si predicasse all' aperto o si desse benedizione. Il pavimento era tutto di tombe, il pulpito medesimo era un'arca adoperata più tardi per quell'uso; sulle muraglie della chiesa Ieggevansi grafite le memorie di persone che vi stavano sepolte; sulla facciata della chiesa vi ha memoria d'un concilio provinciale tenutovi nel 1406. Dànno luce alla chiesa un occhio sulla facciata, finestre strette e lunghe nei lati, e nelle tre cappelle. Ecco qualche inscrizione che potemmo leggere nel chiostro in carattere romano. f S. DOMINI PETRI DE ISEMBARDIS DE LAVDE CIVIS POLE IVRIS PERITVS ET EREDVM EJVS. f CLAVDITVR HIC NICOLAVS DE CAMPO QVI FRANCISCVM TOTA MENTE DILI-GEBAT DEVOTA SPERANS PER EVM PROPICIVM HABERE DEVM. Ed in caratteri gotici quadrati assai difficili: A. DNI. M. CCCCXXXIII HIC JACET M. PETRVS ////ATICHA CVJVS ANIMA RE-QVIESCAT IN PACE IOCONDA. Su d'un'arca: SEPVLTVRA D. ANDREAE ET DNI. 10-NATHAE OTINTARELI EJVS FILII. FACTA M. CCC. XXXVIII Diamo la pianta della chiesa.