ACTA HISTRIAE VI. ricevuto: 1998-03-20 UDC 329.15(450):341.222(450:497.1)"1944/1947" IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO E LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947) Marco GALEAZZI Fondazione Istituto Gramsci, IT-00153 Roma, Via Portuense 95/c SINTESI II saggio analizza la política del PCI di fronte alia questione di Trieste, che costitui un nodo cruciale delle relazioni internazionali nel secondo dopoguerra. Dopo aver esaminato gli acuti contrasti che opposero i comunisti italiani e jugoslavi nel 1944-45, la ricerca si sofferma sul tentativo, spesso contraddittorio, di Togliatti di giungere a una soluzione bilaterale del problema giuliano, anche sulla base della più recente documentazione d'archivio: in particolare, viene ripercorsa l'attività diplomatica svolta dal segretario e da alcuni dirigenti del PCI (tra cui Reale) nel corso dei negoziati di pace e sino all'incontro con Tito del novembre 1946. Togliatti fu sempre consapevole del nesso tra le vicende interne e internazionali e cercó, con esiti talora ambigui, di far convivere il carattere nazionale e democratico e l'internazionalismo del PCI. "Di tutti gli aspetti del problema internazionale quello più spinoso è Trieste. Noi dobbiamo difendere la nostra italianità; ma la Jugoslavia ha da difendere il suo avvenire perché è da Trieste che è partito il movimento di tradimento contro di lei. La questione di Trieste verrà risollevata e noi non abbiamo ancora studiato a fondo come vi risponderemo". In queste parole pronunciate da Togliatti in una riunione della Direzione Nord (FIG, APC, VD PCI, RDN, 5.8.1945, 17), è l'esplicita ammissione delle aporie e dei dubbi dei comunisti italiani di fronte alla questione di Trieste, che costitui un nodo cruciale della politica internazionale del PCI e - forse - il più arduo banco di prova della sintesi tra identità nazionale e internazionalismo per il "partito nuovo" togliattiano. Non si vuole, in questa sede, esaminare la genesi e la natura della svolta di Salerno, definita da Di Nolfo (1985) un "problema internazionale" e sulla quale non esiste ancora oggi unanimità di giudizio tra gli storici, divisi tra coloro che insistono sull'autonomia e originalità della proposta togliattiana, senza tuttavia negare il peso del legame con l'Unione Sovietica, e quanti sostengono che a determinarla fosse Stalin, con uno schematismo che sembra talora appartenere alla 157 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESnONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 lógica délia guerra fredda.1 Non è possibile tuttavia prescindere da quell'episodio nell'esaminare la politica del PCI di fronte alla questione giuliana, nella quale più precario appare l'equilibrio tra il riconoscimento dell'egemonia sovietica sul movimento comunista e l'esigenza di un radicamento del partito nel tessuto vivo della società italiana. Sono noti gli interventi di Ercoli da Radio Mosca e da Radio Milano - Libertà nel 1941-42, nei quali il capo del PCI invitava i lavoratori ad una lotta unitaria con i partigiani jugoslavi contro il nazifascismo (cf. Galeazzi, 1991, 186). Questo obietivo era da considerarsi assolutamente prioritario rispetto alla soluzione delle questioni territoriali, che doveva essere rinviata alla fine della guerra : una tesi sostenuta sia da Togliatti sia dai vertici del movimento comunista, come risulta dal messaggio di Dimitrov a Quinto(Massola) e Birk (Kardelj) del 17 marzo 1944 (Gibjanskij, 1997, 176). Sebbene nel marzo-aprile di quell'anno la tattica del PCJ apparisse più sfumata, sino a consentire un'intesa con il CLNAI, nel corso dell'estate i dirigenti jugoslavi mostrarono di non voler dare seguito agli accordi di aprile, invitando i comunisti italiani a porsi alle dipendenze militari del IX Corpus sloveno, ed affermarono in modo inequivocabile la propria volontà di annettere i territori dell'Istria, del Litorale adriatico e la stessa città di Trieste (Pallante, 1980, 175 sq.). Edvard Kardelj, in una lettera del 9 settembre, riprendendo le tesi già formulate nell'aprile da Tito (Gibjanskij, 1997, 182), esprimeva seri dubbi sul futuro democratico del paese confinante: "Noi non possiamo aver alcuna fiducia nell'Italia attuale, non solo a causa della sua posizione politica nei confronti della Jugoslavia, ma bensï anche in relazione alle prospettive dello sviluppo interno dell'Italia" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 9.9.1944). Ribadendo la propria posizione nazionalista e di classe, il dirigente sloveno rifiutava di separare le responsabilità del fascismo da quelle del popolo italiano e negava l'esistenza di un problema nazionale : con l'inserimento delle terre di confine nella nascente Repubblica Federativa Jugoslava gli italiani avrebbero avuto "molti più diritti e condizioni progressiste che non in un'Italia rappresentata da Sforza e da altri simili elementi imperialisti" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 9.9.1944). Da parte loro, i rappresentanti del PCI rimproveravano ai comunisti jugoslavi di non aver informato Ercoli e di non essersi accordati con lui sulla questione del confine orientale, nonostante Tito avesse avuto l'opportunità di incontrare Togliatti nell'agosto 1944 durante il suo soggiorno a Roma (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 17.10.1944); sottolineavano la maggiore utilità politica e militare di un'orga-nizzazione autonoma del PCI rispetto alla richiesta di affiliazione al PC sloveno; 1 Sul nodo della svolta di Salerno si vedano, fra gli altri: Agosti (1991); Narinskij (1994); Aga Rossi, Zaslavsky (1994); Vacca (1994); Gualtieri (1995); Agosti (1996); Aga Rossi, Quagliariello (1997); Aga Rossi, Zaslavsky (1997); Gori, F., Pons, S. (1998). 158 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 esprimevano un fermo disaccordo circa l'annessione della regione e di Trieste alio stato jugoslavo (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 6.10.1944): tale controversia andava risolta all'indomani della conclusione del conflitto, laddove, in quella congiuntura politica, essa avrebbe finito col favorire la reazione nazionalista e col compromettere l'obiettivo primario della "mobilitazione delle masse nella condotta vittoriosa della guerra contro il nazifascismo" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 16.8.1944). Il quadro veniva ulteriormente complicato dalla vicenda di Vincenzo Bianco, gia rappresentante del PCI presso il Comintern, e dalla "Riservatissima" del 24 settembre con cui l'esponente comunista, a nome del Comitato Centrale, sottoscrisse l'impegno per l'annessione del Litorale Adriatico e di Trieste alla Jugoslavia e per il passaggio delle unita partigiane operanti nella regione sotto il comando del IX Corpus sloveno (FIG, APC, Materiali VG, MF 93, 24.9.1944). Come risulta dalle sue lettere inviate al vertice del PCI, Bianco appare critico nei confronti della decisione del PCJ: "La questione di Trieste non e cambiata per quanto concerne la nostra e la loro posizione - egli scrive - Il problema deve essere risolto dopo e non oggi. Ció se fosse risolto come vogliono loro, compromette(sic) il nostro partito, sia di fronte al CLN che di fronte al paese (...) Perció terró duro e non mollero di un millimetro" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 8.9.1944). Né Bianco manca di obiettare che"e molto strano che Tito, che fu a Roma, non abbi (sic) parlato con Palmiro" (FIG, APC, Materiali VG, MF 93, 8.9.1944). Su questo punto egli insiste, rivolgendosi a Kardelj: "La cosa ancor piü dispiacevole e che: né voi né il compagno Tito non avete pensato di avvisare il compagno Togliatti delle vostre decisioni. Se ció fosse stato fatto, dal compagno Ercoli avremmo certamente avuto una sua, che ci avrebbe di molto aiutato a risolvere tutti i problemi, e per me in modo particolare" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 15.9.1944). Pur dissentendo radicalmente dalla condotta dei compagni sloveni, che avevano sconfessato gli accordi precedentemente conclusi, Bianco esprimeva tuttavia la con-vinzione che la guerra stesse assumendo "un carattere sempre piü di classe", tra-endone alcune inevitabili conclusioni: "Comprendo tutta la responsabilita politica che mi sono assunto nei confronti del nostro Partito e del popolo italiano - scrive a Togliatti - Non potevo oppormi alle giuste rivendicazioni nazionali d'un popolo che combatte eroicamente contro il nostro nemico comune, e non potevo dividere (...) la citta di Trieste e altri centri dal loro naturale retroterra (...). La soluzione, dal punto di vista della situazione nostra, di partito, non mi garba. Ma ho tenuto conto della situazione politica e dei rapporti di forza nel momento attuale e della funzione di avanguardia cui e assurta la Jugoslavia di oggi, degli interessi della nostra Patria socialista e del futuro prossimo del nostro 159 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 paese" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 15.9.1944). Sebbene consapevole della delicatezza della sua iniziativa e desideroso di met-tersi in contatto con Togliatti, Bianco confidava forse nell'accordo tra il capo del PCI e la dirigenza jugoslava come legittimazione del proprio operato. A tale proposito, si puo ritenere che gli jugoslavi (appoggiati dai sovietici) mirassero a forzare la situazione e a porre il PCI, e lo stesso Togliatti, dinanzi al fatto compiuto. In tal senso, la scelta dell'interlocutore non era certo casuale: la firma di Bianco, ossia del rappresentante del PCI a Mosca al momento dello scioglimento della Terza Inter-nazionale, su un documento tanto impegnativo quale quello dell'annessione avrebbe dovuto costituire una garanzia di autorevolezza e di credibilità presso il centro interno del PCI. La linea adottata dagli jugoslavi è stata definita "un impasto tra una visione della lotta politica concepita come rigido scontro tra classi antagoniste e una interpretazione in chiave nazionalistica dell'autonomia da Mosca nella elaborazione di un programma nazionale" (Gualtieri, 1995, 71). Nondimeno, essa registrava un notevole consenso sia alla base sia al vertice del PCI. Nella lettera inviata al Comitato centrale del PC sloveno (17 ottobre 1944) (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 17.10.1944), i dirigenti italiani avevano criticato la decisione unilaterale degli jugoslavi di annettere la Venezia Giulia e Trieste; ma nelle loro valutazioni è evidente l'ambiguità: l'annessione veniva ritenuta inaccettabile dal punto di vista tattico, non strategico, e l'errore compiuto da Bianco con la "Riservatissima" era considerato di metodo più che di sostanza ("per le direttive non c'è nulla da dire, ma la firma è sbagliata perché abusiva") (Gualtieri, 1995, 78-79). La suggestione dell'esempio jugoslavo doveva essere assai diffusa tra i comunisti italiani, come avrebbe con-fermato la conferenza dei Triumvirati Insurrezionali del Veneto del novembre (Ragionieri, 1971, 369). Tutta la complessa vicenda testimonia in quale precario equilibrio e fra quante difficoltà Togliatti fosse costretto ad agire. La prospettiva di una rivoluzione democratica e antifascista in Italia, la creazione di un partito nazionale e di massa non traevano certo alimento dall'intransigenza jugoslava. Ma a determinare la sua con-dotta concorrevano altri fattori, legati alle contraddizioni della strategia antifascista del movimento comunista (cf. Hobsbawm, 1981), destinate a durare ben oltre il 1945. Tali limiti si ritrovano nell'atteggiamento di Togliatti, che restava pur sempre uomo del Comintern, legato alla versione staliniana del leninismo, anche se animato da un prudente realismo e non direttamente controllabile da Mosca, come ebbe a dire Stalin a Churchill nei colloqui dell'ottobre '44 (Ellwood, 1977, 108). Alla metà di ottobre (probabilmente il 17) vi fu l'incontro di Bari tra Togliatti, Kardelj e Dijlas, del quale si possiede un resoconto, redatto probabilmente dallo stesso Kardelj, che scrive: "Sono stato alla riunione con Ercoli assieme a Dijlas. Abbiamo discusso su tutto, durante quattro ore: il Litorale, Trieste ecc. La riunione si svolse con il perfetto 160 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 accordo su tutte le questioni. Senza obiezioni egli e d'accordo che Trieste faccia parte della Jugoslavia, pero ci consiglia di svolgere una tale politica nazionale che soddisfi gli italiani" (FIG, APC, Materiali VG, MF 104, 19.10.1944). Il 19 ottobre, poi, Togliatti invio (attraverso il dirigente sloveno) a Bianco le ormai notissime direttive in sei punti con le quali invitava a favorire l'occupazione della regione giuliana da parte delle truppe di Tito e a creare a Trieste organismi di potere democratico e popolare attraverso la collaborazione tra le formazioni parti-giane italiane e slovene (cf. Spriano, 1975, 437-438)? Sul succedersi di tali avvenimenti sembra opportuno svolgere alcune consi-derazioni. 1) Il resoconto di Kardelj costituisce una fonte parziale, che esprime il punto di vista jugoslavo, mentre allo stato attuale non vi e alcun documento che confermi la disponibilita di Togliatti alla cessione di Trieste. D'altra parte, lo stesso leader sloveno nelle sue memorie fornisce una interpretazione diversa dell'episodio, af-fermando che Togliatti in quella circostanza suggeri di rinviare tutte le questioni irrisolte alla definitiva vittoria contro il nazifascismo (Kardelj, 1980, 38-41). 2) Nelle direttive inviate a Bianco il 19 ottobre e evidente la deviazione dalla strategia unitaria elaborata da Togliatti (Gallo, 1979, 99-130); non credo tuttavia che vi si possa leggere il sostegno all'ipotesi annessionistica. E' probabile che il segretario del PCI volesse sfruttare la situazione militare, favorevole all'Armata Rossa e all'esercito jugoslavo, per avviare in Italia esperienze politico-istituzionali alternative a quelle previste dagli anglo-americani,in una fase in cui "la sfida poteva essere accettata", come avrebbe dichiarato egli stesso al Comitato Centrale del luglio 1947 (FIG, APC, VCC, 1.7.1947).3 3) Nella sua ricostruzione dei rapporti tra PCI, PCJ e PCUS, ricca di nuovi spunti interpretativi e di significativi contributi documentari, Leonid Gibjanskij afferma che nella lettera indirizzata a Dimitrov il 9 febbraio 1945 il segretario del PCI "stava cercando di recedere dalla posizione presa durante l'incontro con gli jugoslavi nell'ottobre 1944" (Gibjanskij, 1997, 192). In realta, Gibjanskij non sembra tener conto del succedersi delle iniziative dei dirigenti italiani e, in primis, dello stesso Ercoli. Nel corso dell'inverno, l'evoluzione delle vicende interne e internazionali suggeriva maggiore prudenza, attenuando gli ottimismi sul futuro della Grande Alleanza: di tale mutato scenario era pienamente consapevole Togliatti, che rilanciava l'ipotesi unitaria di fronte ai rischi "di una nuova, estrema acutizzazione della situazione politica" (FIG, APC, CT, SD, 14.12.1944) per l'assetto futuro del paese, inscindibilmente legato all'equilibrio dei 2 Delle direttive di Togliatti Bianco sarebbe venuto a conoscenza solo il 14 dicembre. Si veda in proposito Gibjanskij (1998). 3 Si veda anche il rapporto dello stesso Togliatti ai quadri della Federazione di Milano (FCI, APC, CT, SD, 21.7.1946) 161 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 rapporti politico-diplomatici tra le grandi potenze. Tale determinazione valeva, naturalmente, anche in rapporto al problema di Trieste. Stalin, pur favorevole alle mire jugoslave su Trieste, nei colloqui con Hebrang giudico "smodate" le ambizioni di Tito verso gli stati limitrofi (Gibjanskij, 1998, 102). A partire dalla fine del 1944, la politica estera sovietica sembrava muoversi in direzione della logica delle sfere d'influenza (Pons, 1998, 46). In tale contesto, veniva meno l'interesse dell'Urss per l'Italia, estranea alle mire geo-politiche del Cremlino; e, nonostante le critiche jugoslave al PCI, la sostanziale moderazione della strategia unitaria di Togliatti incontrava il favore di Stalin e dell'ambasciatore Kostylev (Pons, 1998, 51) Attorno all'affaire Bianco permangono interrogativi ancora irrisolti: sospeso dall'incarico dalla Direzione del PCI il 18 gennaio 1945 (FIG, APC, VD PCI, 18.1.1945; FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 21.2.1945), non fu sostituito da Massola ma (temporaneamente) da "Marina" (Maria Bernetic), come conferma egli stesso in una lettera del 21 febbraio nella quale annuncia di essere in procinto di recarsi a incontrare Ercoli (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 22.2.1945). Restano da comprendere le ragioni dell'atteggiamento di Bianco, che sembra ignorare le decisioni della direzione, e del perché di un intervallo di tempo cosí lungo, non spiegabile solo con le difficolta di comunicazione connesse con gli eventi bellici. Con ogni probabilita, egli riteneva di godere ancora del sostegno dell'Urss e della leadership del movimento comunista, come sembrano testimoniare i contatti con Dimitrov, in quegli stessi giorni (Gibjanskij, 1998, 98). Nei toni delle sue lettere di "congedo" si puo cogliere un'enfasi "rivoluzionaria" e classista sul ruolo di avan-guardia della Jugoslavia di Tito e sulla lotta dal basso "per la democratizzazione dei CLN" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 22.2.1945), che varca gli orizzonti, pur sfumati, della linea di Togliatti. Oltre alla gia rilevata ambiguita della strategia del movimento comunista, si puo cogliere, quale possibile chiave di lettura dell'intera vicenda, una diversa sensibilita sulle prospettive della Resistenza tra Togliatti, da un lato, Secchia, Longo e lo stesso Bianco, dall'altro, che operano al Nord, nel fuoco della guerra partigiana. "Qui si combatte -commenta Bianco - ci sono i nazifascisti. Laggiü vi e, per cosí dire, la normalita" (FIG, APC, Materiali VG, MF 093, 8.2.1945). A conclusioni analoghe era giunto Longo, secondo il quale "le cose sarebbero andate diversamente se i capi dei partiti, da Nenni a Togliatti e(sic) tutti gli altri si fossero trovati anche loro nel Nord, alla testa della Resistenza" (Amendola, 1979). Nei primi mesi del 1945, anche alla luce di tali elementi, la questione di Trieste diveniva un banco di prova decisivo per la politica di Togliatti, che doveva con-frontarsi sia con le forze conservatrici interne, che rimproveravano ai comunisti italiani un'insufficiente difesa dell'interesse nazionale, sia con l'aperta ostilita degli Alleati e segnatamente della Gran Bretagna, disponibile a sostenere le tesi jugoslave al fine di provocare una crisi nelle file del PCI (cf. de Castro, 1981, 203). Le 162 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 indicazioni del partito circa il destino di Trieste e della Venezia Giulia erano generiche e non prive di evidenti ambiguità: da un lato, Togliatti polemizzava assai duramente con chi, come il ministro Gasparotto, voleva impedire l'azione congiunta delle forze partigiane italiane e jugoslave nella lotta antifascista (ACS, PCM, VG, 7.2.1945);4 dall'altro, avvertiva come l'intransigenza dei comunisti jugoslavi rendesse sempre più difficile l'azione del PCI, acuendone l'isolamento. Come ricorda Gibjanskij, i primi due quesiti rivolti da Togliatti ai dirigenti sovietici nel febbraio e nell'aprile 1945 non ebbero risposta e il terzo, alla metà di maggio, in cui si adombrava l'ipotesi di fare della città giuliana un territorio autonomo, fu respinto dall'URSS (Gibjanskij, 1998, 99-106). Secondo lo storico russo, "ora che la questio-ne stava prendendo un andamento sempre più indesiderato, Togliatti si adoperava affinché i sovietici ordinassero subito a Belgrado di rinunciare e di procedere per una sistemazione di compromesso del problema triestino più accettabile per l'Italia" (Gibjanskij, 1997, 97-198). E' storicamente comprensibile che il capo del PCI puntasse sull'appoggio dell'URSS per attenuare l'intransigenza jugoslava. Ma la situazione, in quella delicata fase, non gli era favorevole: il giudizio negativo espresso da Stalin sulla proposta di Togliatti era in sintonia con le divergenze esistenti in seno al PCI sul problema giuliano, specie all'indomani della fine dell'occupazione titina (Gibjanskij, 1998, 108)5 e creava nuove difficoltà al leader comunista, che non poteva accettare il punto di vista dell'URSS di fronte a un'opinione pubblica italiana sensibile alla propaganda nazionalista. E' a tale scopo che egli si adopero per indicare una soluzione di compromesso (più favorevole all'Italia) con Tito, col quale avrebbe avuto, in quegli stessi giorni, alcuni contatti (Gibjanskij, 1998, 108). Tuttavia le prese di posizione dei dirigenti del PCI non erano solo tattiche: il voto unanime del consiglio dei Ministri del 3 e del 12 maggio (Galeazzi, 1991, 197), in cui si condanno l'occupazione jugoslava di Trieste, e la successiva polemica di Togliatti nei confronti di Tito (Galeazzi, 1991, 198) discendevano altresi dalla vo-lontà di difendere l'interesse del paese. Nello stesso senso va probabilmente inter-pretata la missione di Di Vittorio a Mosca (agosto 1945), con l'invio di un memorandum di Togliatti a Stalin, che conteneva la proposta di concedere a Trieste e al territorio circostante, attraverso negoziati diretti tra i governi italiano e jugoslavo, una piena autonomia in vista di un successivo plebiscito, e nel quale Gibjanskij ha invece colto il consenso alla cessione del capoluogo giuliano alla Repubblica Federativa Jugoslava (Gibjanskij, 1997, 200-203)6 Nei suoi colloqui moscoviti, Di 4 Per una valutazione del documento mi permetto di rinviare al mio saggio (Galeazzi, 1995b). 5 Si veda, ad esempio, il dibattito nella direzione del PCI, all'indomani della fine dell'occupazione di Trieste, nel quale Longo affermó tra l'altro: "Sulla questione di Trieste ci siamo fatti battere per ignoranza. Circolano molte storie a questo proposito. Sono necessarie due cose: 1) documentazione, 2) dare le ragioni del nostro atteggiamento" (FIG, APC, VD PCI, 9.6.1945). 6 Analogo giudizio è espresso da Aga Rossi, Zaslavsky (1997, 141-142). 163 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 Vittorio, pur dichiarando di volersi attenere alie indicazioni che sarebbero venute dall'Unione Sovietica, non mancava di sottolineare le conseguenze negative del perdurante atteggiamento di Belgrado : nonostante l'accento posto sulle "simpatie generali" dei popoli della Venezia Giulia nei confronti della Jugoslavia socialista,il leader sindacale sembrava tener conto soprattutto degli orientamenti prevalenti nella societa e tra le forze politiche italiane, ai cui occhi la posizione dei comunisti rischiava di apparire "antinazionale" (Di Vittorio, 1998, 242-244) (anche se tale considerazione non sposto la linea del Cremlino a favore delle tesi del PCI). La distensione internazionale costituiva una conditio sine qua non della strategia unitaria di Togliatti e l'acuirsi dei contrasti in seno alla Grande Alleanza rischiava di compromettere la prospettiva di una rivoluzione democratica auspicata dal leader del PCI (Galeazzi, 1994, 71), il quale -inoltre- gia nell'agosto 1945 sembrava prevedere i rischi latenti "di una guerra tra Russia e Jugoslavia" (FIG, APC, VD PCI, RDN, 1945). Non si puo, a tale proposito, escludere che la sibillina considerazione del segretario traesse origine dalla conoscenza dei contrasti tra Stalin e Tito, culminati con il forte discorso del maresciallo a Lubiana (Pons, 1998, 58) e faticosamente composti grazie alla mediazione di Kardelj (Gibjanskij, 1945, 55-78): l'inattesa reazione degli occidentali all'occupazione di Trieste induceva Stalin a privilegiare il dialogo con gli Alleati, rinunciando a sostenere in toto le aspirazioni espansionistiche di Tito (Gibjanskij, 1945, 55-78). In un recentissimo saggio, basato su una ricca e sin qui inedita documentazione d'archivio, Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky hanno posto l'accento sulle aporie e contraddizioni delle proposte formulate da Togliatti nelle sue missive al capo del PCUS (Gibjanskij, 1945, 55-78), argomentando tra l'altro: "L'appoggio incondizionato alle rivendicazioni territoriali jugoslave da parte sovietica non lascio all'inizio alcuno spazio di manovra al PCI che dovette accettare tale linea, anche a costo di gravi lacerazioni interne. Il partito infatti si trovo nella difficile condizione di dover dimostrare ai sovietici la propria determinazione a porre gli interessi di classe sopra a quelli nazionali ma, cosí facendo, compromise l'immagine del "partito nuovo" come partito nazionale costruita da Togliatti" (Aga Rossi, Zaslavsky, 1997, 139). Tale tesi appare schematica e unilaterale: senza mai venir meno all'esigenza di unita del movimento comunista né porre in discussione il primato dell'URSS e del PCUS, Togliatti si batté per favorire e realizzare un radicamento del suo partito nel tessuto della democrazia italiana e, come si vedra piü avanti, sul difficile problema giuliano non rinuncio neppure a sostenere l'interesse del proprio paese anche laddove cio avrebbe reso meno agevole l'opzione internazionalista. Del resto, anche se le fonti russe reperite dai due autori contribuiscono a colmare le lacune esistenti sui rapporti tra il PCI e il PCUS, finora noti solo attraverso l'archivio dello stesso PCI e le fonti occidentali, sembra che i rapporti dell'ambasciatore Kostylev e il diario di 164 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 Dimitrov possano convalidare solo in parte le conclusioni cui Aga Rossi e Zaslavsky giungono nel loro saggio, e cioè che "la politica del PCI era diretta in quegli anni da Mosca" (Aga Rossi, Zaslavsky, 1994, 977). Si tratta, in sostanza, di una forzatura interpretativa, ben al di là del significato autentico dei documenti citati. In primo luogo, i rapporti di Kostylev esprimono il punto di vista dei sovietici e sono una testimonianza soggettiva e di parte. Il quadro sarebbe più completo ove si tenesse conto anche delle posizioni formulate nei documenti interni del PCI (verbali della direzione, del comitato centrale e della segreteria, riunioni dei gruppi parlamentan): si tratta infatti di ambiti ristretti, le cui conclusioni erano circondate da riserbo e, per quanto si sa, non emerge da essi nulla che confermi quanto sostenuto da Kostylev. Inoltre, la "doppiezza" del PCI, sinora considerata solo nel senso di una limitata lealtà democratica verso il proprio paese, dovrebbe valere come chiave interpretativa anche nei confronti dell'URSS : in altri termini, non si puo escludere che le affer-mazioni dei leader del PCI, pur autentiche, rispondessero all'esigenza di far giungere a Mosca un messaggio coerente con le analisi e gli orientamenti sovietici, ma che poi, nella prassi concreta, essi seguissero un'altra via, tattica e strategica. A partire dall'estate 1945, comunque, il PCI assunse un atteggiamento più univoco, di fronte alla duplice pressione della classe operaia giuliana e delle forze moderate e conservatrici interne. Togliatti, dopo aver proposto sulle colonne dell' "Unità" l'internazionalizzazione di Trieste (Togliatti, 1945), sconfesso pubblicamente i comunisti triestini, sostenitori dell'annessione alla RFJ, proclamando apertamente l'italianità di Trieste e mostrando di comprendere la volontà del popolo italiano che rivendicava l'appartenenza della città allo stato italiano (Togliatti, 1974). Né egli rinunciava al progetto di negoziati bilaterali italo-jugoslavi. La ricostruzione com-piuta da de Castro nel suo monumentale studio sul problema di Trieste (de Castro, 1981)7 sembra convalidare solo in parte la tesi di Aga Rossi e Zaslavsky secondo la quale l'ipotesi di trattative dirette avrebbe incontrato "una accoglienza negativa" da parte di De Gasperi (Aga Rossi, Zaslavsky, 1997, 143). Dell'impegno assunto dal PCI a difesa del ruolo dell'Italia in vista della Conferenza di Parigi sono prova evidente le polemiche che, nella primavera del 1946, opposero i comunisti italiani agli jugoslavi. In un discorso del gennaio, Tito aveva ribadito i diritti politici ed economici del suo paese sulla Venezia Giulia e sul Litorale Adriatico, precisando fra l'altro che "L'Italia non ha il diritto di chiedere queste regioni, perché fu quella che ci attacco, non solamente, ma dichiaro pure la guerra alle altre Nazioni Unite. Per noi la 7 Nelle pagine dello studioso e diplomático istriano non sembra emergere un giudizio cosí tranchant come quello di Aga Rossi e Zaslavsky a proposito della linea adottata dal governo italiano sul contenzioso italo-jugoslavo. 165 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 linea Wilson non esiste" (FIG, APC, Materiali VG, MF 097, 31.1.1946)? A questa e alle successive affermazioni dello statista jugoslavo, appoggiato dai comunisti francesi, s'incaricava di replicare Togliatti, il quale, ribadendo che in Italia era in atto un'autentica "rivoluzione democratica" e non un semplice mutamento governativo, difendeva le scelte del suo partito: "La posizione da noi presa per Trieste si differenzia da quella assunta dai compagni jugoslavi e dai compagni francesi e il fatto che questi compagni abbiano preso una posizione diversa dalla nostra non ci ha per niente turbati come comunisti, perché noi abbiamo sentito che, come comunisti italiani, dovevamo prendere questa posizione. Noi comprendiamo la posizione assunta da loro, ma chiediamo che loro comprendano la nostra (...). Se ci fossimo isolati dalla comunità nazionale italiana, assumendo una posizione uguale a quella della Jugoslavia, non avremmo reso nessun servizio né al popolo italiano né a quello jugoslavo, perché nella comunità nazionale italiana sarebbe mancata quella forza che ispirasse l'interesse della solidarietà internazionale, e noi saremmo stati isolati nella ricerca di una miglior pace per l'Italia, nella quale non avremmo potuto avere nessuna parte" (FIG, APC, CT, SD, 7.8.1946). Come risulta dall'indagine di Gibjanskij, Togliatti cerco di premere sul PC bulgaro perché Dimitrov in qualche modo influisse sulle decisioni di Stalin orientandolo a favore del PCI (Gibjanskij, 1998, 115). Inoltre, stando alla ricostruzione dello storico russo, Tito avrebbe "rimproverato" Stalin per il suo diminuito sostegno alla causa jugoslava (Gibjanskij, 1998, 118), negli stessi giorni in cui fervevano i colloqui in vista del trattato di pace. Sul negoziato parigino e sull'evoluzione delle relazioni jugo-sovietiche esiste una bibliografia vastissima.9 Per quanto attiene al ruolo del PCI, di notevole interesse è la testimonianza di Eugenio Reale, ambasciatore a Varsavia e membro della delegazione italiana alla conferenza di pace, nonché autorevole esponente comunista. In una lettera del 19 giugno'46 indirizzata a Togliatti, egli scrive di aver proposto ai sovietici alcune possibili "contropartite italiane per un atteggiamento sovietico a noi più favorevole sulla questione di Trieste, e cioè l'impegno a non partecipare ad alcun blocco antisovietico, la firma di un trattato di amicizia subito dopo la pace, la concessione di speciali facilitazioni in Tripolitania" (FIG, APC, CT-S, 19.6.1946). Come ricorda lo stesso Reale, Molotov, pur comprendendo l'importanza del problema per il PCI, invitava i comunisti italiani a battersi per l'indipendenza del proprio paese e a "non dare eccessiva importanza alla questione di Trieste" anche se questa avesse finito col "diventare jugoslava". Commentava ancora Reale: 8 Discorso tenuto dal Maresciallo Tito nella seduta di entrambe le Camere (31 gennaio 1946) (dalla "Tanjug"). Nei mesi successivi, Tito non rinunciô a ribadire le proprie rigide posizioni sul problema del confine orientale. Si veda in proposito il saggio di Gibjansky (1998, 112). 9 Si vedano tra gli altri: Molotov (1949); Dedijer (1952); Bass, Marbury (1962); Duroselle (1966); de Castro (1981); De Robertis (1983); Valdevit (1986); Gori, F., Pons, S. (1998). 166 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 "Ho l'impressione che le nostre proposte tentino i russi - che bellezza fare un nuovo tiro agli anglo-americani ancora più grosso di quello del riconoscimento del governo italiano nel'44!- ma che essi siano impegnati troppo a fondo nella questione di Trieste con gli jugoslavi" (FIG, APC, CT-S, 19.6.1946). Di li a poco vi sarebbe stata la missione parigina di Togliatti (agosto'46), di cui era stato informato preventivamente De Gasperi e con la quale il leader del PCI cerco di attenuare l'intransigenza di Belgrado anche attraverso la mediazione di Molotov (Caprara, 1978, 123). Di fronte alla proposta di internazionalizzazione di Trieste approvata dai Tre Grandi (inclusa l'URSS, sempre meno disponibile a sostenere in modo incondizionato le ambizioni di Tito) e ai rischi crescenti di divisione del-l'Europa in blocchi contrapposti, appariva necessario un "coup de theatre" che potesse favorire una soluzione bilaterale del contenzioso su Trieste al di fuori di un diktat delle potenze occidentali. A una simile iniziativa Togliatti fini con l'aderire anche sulla base dei rapporti inviatigli da Reale sui colloqui italo-jugoslavi in corso a Parigi. Nelle note del diplomatico vi era un giudizio severo sulla condotta del governo italiano in materia di politica estera, ma anche la percezione dell'esistenza di margini per un accordo tra Roma e Belgrado. "Gli jugoslavi che ho visti (...) ieri sono ben disposti a trattare ed animati delle migliori intenzioni-scriveva Reale il 21 settembre- Se mons. Montini non dará ordini in contrario ad Alcide, penso davvero che si potrebbe giungere ad un risultato favorevole. So che i russi hanno insistito molto presso gli jugoslavi e han dato loro consigli di moderazione" (FIG, APC, CT-S, 21.9.1946). Di li a qualche giorno, pur continuando a polemizzare con il governo italiano per la sua "debolezza", in termini più consoni ad un uomo di partito che a un ambasciatore, Reale si dichiarava del parere "che i Quattro, per farla finita una buona volta e indurre gli jugoslavi a firmare, potranno fare qualche grossa concessione, per esempio Gorizia. In trattative dirette, da fare subito, io credo che gli jugoslavi,i quali hanno grandi speranze ma nessuna assicurazione da parte russa, si contenterebbero di meno, pur di uscire dalla situazione difficile in cui si trovano" (FIG, APC, CT-S, 21.9.1946): Queste valutazioni non dovettero essere ininfluenti sulla missione di Togliatti a Belgrado; conclusasi con un sostanziale fallimento, essa fu allora liquidata come un baratto inaccettabile e successivamente valutata in modo diverso (talora riduttivo) dagli storici (cf. Gambino, 1978, 281-285). Nel loro recente saggio, Aga Rossi e Zaslavsky ricostruiscono la fase preparatoria dei colloqui tra Tito e Togliatti, sulla base di una documentazione sin qui inedita. Ma le conclusioni cui essi giungono appaiono non convincenti. L'iniziativa di Togliatti sarebbe consistita nel proporre uno scambio tra Trieste e Gorizia e avrebbe avuto uno scopo propagandistico e tattico, volto a indebolire la strategia degli "imperialisti anglo-americani" e il ruolo di De Gasperi e della DC (Aga Rossi, Zaslavsky, 1997, 167 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 145-147). In realta, tale ricostruzione non aggiunge molto alia conoscenza di un episodio non pienamente chiarito in sede storica, data la mancanza dei verbali dell'incontro di Belgrado. Da un lato, infatti, viene confermata la contraddittorieta delle proposte del PCI, il cui scopo consisteva probabilmente nel tentativo di "sottrarre l'Italia al rischio di trovarsi in prima linea sulla frontiera della guerra fredda" (Pupo, 1979, 110). Dall'altro, permangono dubbi circa l'intenzione di Togliatti di operare un baratto tra Trieste e Gorizia (cf. Aga Rossi, Zaslavsky; Gibjanskij), stando almeno alla testi-monianza di Caprara, secondo il quale Togliatti avrebbe criticato Tito proprio per la volonta di ottenere Gorizia (Caprara, 1980). Leonid Gibjanskij fornisce elementi di interesse alla ricostruzione del complesso mosaico: in base ai documenti da lui pubblicati, alla vigilia dell'incontro di Belgrado, sul tavolo delle trattative vi erano il piano elaborato da Kardelj, fondato sull'ipotesi di un condominio italo-jugoslavo sulla citta giuliana e del quale forse Togliatti era a conoscenza, e le proposte di quest'ultimo, miranti, piü che a conseguire un risultato favorevole, a "smascherare gli imperialisti" anglo-americani, a rafforzare il PCI sul piano interno e a tutelare gli interessi dei due paesi, salvaguardando gli spazi di una collaborazione tra le rispettive diplomazie. Sebbene-come rileva Gibjanskij- nel corso dei colloqui Tito avesse attenuato la precedente intransigenza, tuttavia gli esiti del vertice furono deludenti (Gibjanskij, 1998, 122-125). Certamente, il segretario comunista non prevedeva l'ampiezza delle critiche mossegli da Nenni e dall'opinione pubblica (Aga Rossi, Zaslavsky, 1997, 146), anche se non si puo non ricordare l'iniziale, sia pur cauto, interesse espresso dal governo italiano per l'ipotesi di un negoziato diretto tra i due stati confinanti (de Castro, 1981, 515-518). Uno dei risultati cui egli mirava era quello di presentare il proprio partito come una forza garante degli interessi nazionali. Ma, pur in presenza di quest'obiettivo tattico, la sua azione non era solo il frutto della subalternita alle direttive sovietiche e derivava anche dalla preoccupazione di evitare il diktat delle grandi potenze e di offrire all'Italia condizioni di pace meno severe di quelle che sarebbero state imposte nel febbraio '47. L'insuccesso della sua missione, nella quale pure doveva aver riposto molte aspettative (cf. Galeazzi, 1995a, 105), non fece che acuire il pessimismo di Togliatti sui futuri scenari interni e internazionali: l'esistenza di blocchi contrapposti e il delinearsi "dell'imperialismo USA" erano dati oggettivi di cui egli prendeva realisticamente atto (FIG, APC, CT, SD, 19.-21.11.1946). La firma del trattato di pace, che sanciva la nascita del Territorio Libero di Trieste(rimasta peraltro sulla carta) faceva del nodo giuliano "un relitto della guerra fredda" (cf. de Castro; Duroselle; Valdevit) che le potenze occidentali avrebbero inteso restituire alle diplomazie di Roma e Belgrado, per tutta una prima fase ridotte al rango di 168 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 comprimarie. ITALIJANSKA KOMUNISTIČNA PARTIJA IN TRŽAŠKO VPRAŠANJE (1944-1947) Marco GALEAZZI Fondacija Gramscijev inštitut Rim, IT-00153 Roma, Via Portuense 95/c POVZETEK V mednarodni politiki KPI je predstavljalo tržaško vprašanje kritično točko in morda najtežjo preizkušnjo za sintezo med narodnostno identiteto in interna-cionalizmom togliattijevske "nove partije ". V skladu z vrhovi komunističnega gibanja je Togliatti med drugo svetovno vojno nenehno poudarjal prednost antifašističnega boja pred ozemeljskimi vprašanji, ki naj bi jih reševali po koncu vojne. Kljub predhodnim dogovorom z IANOO (CLNAI) pa so bili jugoslovanski komunisti septembra 1944 trdno odločeni, da Julijsko krajino in Trst priključijo Jugoslaviji. Vodja KPI Vicenzo Bianco je, ne glede na dvome in pomisleke, presodil, da je treba "pravične zahteve" KPJ podpreti. Čeprav je Leonid Gibjanskij na podlagi Kardeljevega pisma trdil, da je Togliatti na srečanju s Kardeljem in Djilasom v Bariju oktobra pristal na predajo Trsta Jugoslaviji, ni med viri nobenega dokumenta, ki bi tako hipotezo potrjeval. Kot kaže, tudi direktive z 19. oktobra ne dokazujejo, da bi Togliatti podpiral priključitveno možnost, čeprav predstavljajo presenetljiv odklon od smernic, ki jim je sledil po svoji vrnitvi v Italijo. Pozimi 1944 je sekretar KPI sicer potrdil svojo celostno strategijo, pri tem pa je vse previdneje tehtal razvoj mednarodnih odnosov, odločilnih za demokratično prihodnost Italije. Ob koncu "affaire Bianco" je bilo jasno, da stališča na vrhu KPI niso enotna, saj se je morala soočiti z notranjimi konservativnimi krogi in z jugoslovansko nepopustljivostjo. Sicer pa glede vprašanja Julijske krajine ni manjkalo dvomov in nejasnosti. Sele konec 1945 se je Togliatti jasno izrekel v prid pripadnosti Trsta italijanski državi, čeprav se v tistih mesecih ni odpovedal polemikam, tudi ostrim, z vodstvom v Beogradu. Leta 1946, na predvečer mirovnih pogajanj, je komunistični sekretar vodil intenzivno diplomatsko dejavnost, usmerjeno v obrambo italijanskih interesov. Od tod tudi poskus, da bi vprašanje vzhodne meje reševali z italijansko-jugoslovanskimi bilateralnimi pogajanji, kot je razvidno iz opomb Eugenia Realeja in iz novembrskega srečanja s Titom, ki se je zaključil neuspešno. Tržaško vprašanje se je razrešilo z ukazom velesil. Kljub pomembnim virom, ki so jih Aga Rossi, Zaslavsky in Gibjanskij odkrili v moskovskih in beograjskih arhivih, pa je teza, po kateri naj bi KPI postavila razredne interese pred nacionalne in s tem izvajala politiko SZ in Stalina, omejevalna in ideološka. 169 ACTA HISTRIAE VI. Marco GALEAZZI: IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO A LA QUESTIONE DI TRIESTE (1944-1947), 157-172 FONTI E BIBLIOGRAFIA ACS - Archivio Centrale dello Stato, PCM - Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1944-1947, VG - Venezia Giulia, busta 1.6.1.25049, Togliatti al Presidente del Consiglio I. Bonomi, 7 febbraio 1945. Agosti, A. (1991): I dubbi di Togliatti. L'Unità, 28 ottobre 1991. Agosti, A. (1996): Togliatti. Torino, UTET. Aga Rossi, E., Zaslavsky, V. (1994): L'URSS, il PCI e l'Italia:1944-1948. Storia contemporanea, 6. Aga Rossi, E., Zaslavsky, V. (1998): Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca. Bologna, Il Mulino. Aga Rossi, E., Quagliariello, G. (a cura di) (1997): L'altra faccia della luna. I rapporti tra PCI, PCF e Unione Sovietica. Bologna, Il Mulino. Amendola, G. (1979): I contrasti tra Secchia e Togliatti (1944-1954). Rinascita, 4 maggio 1979. Bass, R., Marbury, E. (a cura di) (1962): Mosca - Belgrado. 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