received: 2006-09-14 UDC 323.12:340(450.341=214.58) original scientific article "CONSIDERATA LA MALA QUALITA DELLI CINGANI ERRANTI". I ROM NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA: RETORICHE E STEREOTIPI Benedetto FASSANELLI IT-00198 Roma, Via Lima 22 e-mail: be.beto@mclink.net SINTESI L 'intervento cerca di leggere il rapporto tra rom e giustizia a partire dalla legi-slazione cinquecentesca in materia di cingani. Essa e caratterizzata dalla previsione di severe misure penali, cui pero sembra corrispondere un'irrilevante attivita giudiziaria. Gran parte dell'attivita repressiva, infatti, era "delegata" ai privati ed adeguatamente incentivata da misure premiali e impunita. Il bando cui sono ex lege sottoposti tutti i rom, diventa, quantomeno nelle retorice criminali delle magistrature veneziane, il "luogo per gli zingari". La vita al bando, per i rom, banditi pressoche da tutti gli stati di antico regime, non puo che svolgersi all'interno di confinipreclusi o in transito su di essi. Parole chiave: cingani, cingari, zingari, rom, Repubblica di Venezia, secolo XVI, bando "CONSIDERING THE BAD QUALITY OF THE ROVING CINGANI". THE ROMA IN THE REPUBLIC OF VENICE: RHETORIC AND STEREOTYPES ABSTRACT The article represents an attempt to read the relationship between the Roma and justice from 16th century legislation concerning the 'Cingani'. The examined legislation is characterized by severe potential legal sanctions, which are, though, only accompanied by negligible judicial activity. To a large extent, in fact, repressive actions were assigned to private parties and encouraged by awards and impunity. The ban that ex lege affected all Roma became, at least within the crime rhetoric of the Venetian magistracy, the "place for Gypsies". For the Roma, banned from 139 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 nearly all states of the ancient regime, life in exile could not be lived elsewhere than within the defined borders or transiting along them. Key words: Cingani, Cingari, Gypsies, Roma, Republic of Venice, 16th century, ban CINGANO, CINGARO, ZINGARO, ROM Le parole cingano o cingaro, che si incontrano più frequentemente nelle fonti cinquecentesche, cosi come i termini zingaro o rom usati oggi, hanno valore di etnonimo - cioè di nome di popolo - solo nel vocabolario dei non zingari. Queste denominazioni vengono comunemente utilizzate per riferirsi, più o meno cosciente-mente, a quello che in realtà è un insieme vasto e variabile, una pluralité di gruppi culturali anche molto diversi tra loro e che nel proprio linguaggio, spesso, non si denominano in questo modo. Secondo l'antropologo Leonardo Piasere, i termini "zingaro" o "rom" vanno considerati come "categorie politetiche", ossia categorie non ben definibili e i cui elementi costitutivi si assomigliano in qualcosa ma per tratti diversi (Piasere, 2004, 15-30). Questa breve premessa non è affatto avulsa dalla ricerca storica sulla presenza delle popolazioni di cultura romaní in Europa occidentale. Infatti, una delle prime preoccupazioni delle cosiddette società ospitanti rispetto ai rom è stata "classificare" e assegnare loro un posto e, come ricorda Mario Sbriccoli, "definire è decidere" (Sbriccoli, 1991, 10-12). Le popolazioni rom sono presenti in Europa occidentale almeno dai primi decenni del XV secolo (la prima testimonianza italiana è del 1422; Muratori, 1751, 288-290) e fin da subito si delineano i tratti di un'immagine dello zingaro frutto allo stesso tempo di curiosità, sospetto e timore. Soprattutto a partire dal XVI secolo, eruditi di diversa provenienza si preoc-cupano di spiegare l'origine degli zingari attraverso similitudini con altri popoli e formulando ipotesi varie in cui descrizioni mitiche e leggendarie si mescolano tra loro e con elementi del racconto di sé che le popolazioni rom offrivano a giusti-ficazione della propria presenza e del proprio modo di vita (cfr. Piasere, 1988; 1996; 1998). Da questa pluralité di fonti gli zingari risultano essere originari quando della Persia, quando della Nubia, dell'Egitto, della Boemia,... Nel XVI e nel XVII secolo fioriscono anche un genere letterario - la zingaresca - e una cospicua produzione di commedie che hanno come personaggio principale una zingara - ricordo la famosis-sima Gitanilla di Cervantes del 1613 e, forse prima nel suo genere, La Zingana scritta dal rodigino Gigio Artemio Giancarli nel 1545. Se i testi dotti esprimono la preoccupazione di "catalogare" e spiegare tale sorta di genti, le commedie sembrano più interessate a descrivere la presenza rom tra le 140 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..139-154 cosiddette societa ospitanti. Gli elementi cruciali dello stereotipo - erranza, furto, inganno, chiromanzia - sono presenti ma inseriti in una normalita quotidiana: la zingara legge la mano, truffa i contadini con storie e giochi d'azzardo, ma e parte di contesti relazionali verosimilmente non troppo lontani da quelli reali. Quanto alle attenzioni rivolte ai rom dalla chiesa della controriforma, essa sembra non voler rilevare una "specificita zingara" circa le supposte magherie attribuite alle donne cingare. Non si conoscono processi contro zingare per chiromanzia e anche i pochi manuali di confessori e inquisitori che se ne occupano sembrano preoccuparsi prevalentemente della diffusa superstizione dei credenti che prestavano attenzione a pratiche divinatorie altrimenti considerate come mere occasioni di divertimento. Sulla definizione di questa immagine ha un peso rilevante la produzione normativa degli stati di antico regime. L'enfasi punitiva della legislazione veneziana rap-presenta uno dei punti piu elevati delle politiche repressive contro i cingani assunte dagli stati italiani di antico regime. IL CINGANO: CRONOLOGIA DI UNA STRATIFICAZIONE SEMANTICA La figura criminale del cingano si definisce in tre diverse deliberazioni del Senato prese tra il 1549 e il 1588. Da quest'ultima data fino alla caduta della Repubblica, le magistrature che delibereranno sulla presenza di popolazioni rom non si disco-steranno piu dall'immagine antropologico-criminale tratteggiata nella seconda meta del Cinquecento.1 1549. Cingani: erranti e vagabondi Il 21 dicembre 1549 il Senato, considerato il "molto danno e non poco dispiacere" provocato ai sudditi dalla "prattica de i cingani erranti, che vano alloggiando in campagna, et nelle ville del Stato Nostro", concede ai rettori di Terraferma dieci giorni di tempo per "mandarli fuora dalli Territorii a loro commessi" (ASV, 5, cnn). L'erranza e il vagabondaggio sono i soli elementi che descrivono la prattica delli cingani ma tanto basta. E, per ribadire sia la pericolosita sia il divieto di farli entrare nei dominii veneziani, il Senato si assume l'esclusiva facolta di concedere licenze di transito ai rom, vietando a chiunque altro di rilasciare tali patenti tanto scritte quanto in voce.2 1 II proclama dei Dieci del 22 setiembre 1786, che sospende le misure premiali per "i fermi de' fanciulli" cingani, richiama ancora la parte del luglio 1558 (ASP, 1, cnn). 2 La pratica di concedere patenti in voce era evidentemente diffusa e destinata a sopravvivere come testimonia la vicenda di Rinaldo di Paolin Cingano, accusato nel 1583 di abitare a Montagnana senza permesso: ASV, 2, 25v-26r; Fassanelli, 2003. 141 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 1558. Impune occidi. Cingani e crimini atroci Una decina di anni più tardi, nel luglio del 1558, questa immagine del cingano subisce una pesante variazione. Il preambolo della nuova deliberazione del Senato lamenta la presenza, nonostante il precedente decreto di espulsione, di "cingari er-ranti", la cui "mala qualità" è causa di "molestia, danni et molti disturbi" (ASV, 6, cnn). La pessima abitudine dei rettori di concedere indebite licenze "di poter transitar per tre giorni sotto la sua giurisdittione" è all'origine della presenza di queste genti che "vanno vagando per li luoghi nostri [...] con danno de molti, et universal murmuratione". Ma è la sezione sanzionatoria e punitiva del testo a presentare novità e ad offrire gli elementi che permettono di rilevare le mutazioni avvenute, a livello profondo, nella concezione della figura criminale. I pregadi deliberano la revoca di ogni patente fino ad allora concessa "sotto pena alli cancellieri, o altri Ministri" che ne facessero di nuove "de immediate privatione della cancellaria, o altro uffitio, che havessero, e di non poter in perpetuo più essercitar alcun uffitio del Dominio nostro". Ai rettori viene reiterato l'ordine di "far uscir ditti cingari" ma il termine ora è perentorio: "subito, et immediate". Quanto ai "clandestini", essi "siano, et esser s'intendino in-corsi alla pena di esser posti al remo nelle galee nostre de condenati, ove habbino a servir alla cathena per anni diece continui". La severità della pena prevista per gli zingari appare con tutta chiarezza se si considera che, solo qualche mese più tardi, nel gennaio del 1559, il Consiglio dei dieci stabilirà che nessuno "possi esser condennato di vogar in ferri nelle galee de condennati per più tempo, che per anni dodeci" (Leggi criminali, 1761, 49r; cfr. Viaro, 1980, 400). La parte stabilisce in dieci ducati la taglia da pagare per ogni rom consegnato alla giustizia, e, infine, precisa che "li ditti cingari, cosi huomeni, come femine, che saran-no ritrovati nelli territorij nostri, [possono] esser impune amazati, si che li interfettori per tali homicidij, non habbino ad incorrer in alcuna pena" (ASV, 6, cnn). Le parti veneziane in materia di cingani sono senz'altro espressione della graduale svolta autoritativa ed egemonica che si registra a partire dal secondo Cinquecento (Sbriccoli, 2005, 167-169; Povolo 2004, 75-81). Anzi, in un certo modo, esse anti-cipano "liberamente", perché non latrici di conseguenze politiche, le misure punitive che saranno adottate contro quelle categorie criminali "sfuggenti" che, come nel caso del vagabondo-bravo, trovano un loro "ruolo sociale" e una ragione d'essere nello spazio multiforme del banditismo.3 3 Con "multiforme" si vogliono sottolineare sia la condizione di banditismo come "sistema di reati" (Lacchè, 1988, 92), sia le combinazioni delle possibili implicazioni - politiche, sociali, criminali -sottostanti al fenomeno. Sull'uso del termine banditismo cfr. Sbriccoli, 1986, 479-481. Circa gli "scivolamenti semantici" che subisce la figura del vagabondo cfr. Meneghetti Casarin, 1984, 21-46; le parti in materia di vagabondi e sette armate del 20 febbraio 1567 m.v. (ASV, 3, 88r-89r); parte in materia di vagabondi e bravi, 15 aprile 1574 (ASV, 4, 122v). 142 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 L'esplicita previsione dell'impune occidi sancisce l'eccezionalità del crimine e, in quanto misura straordinaria, connota di per sé la figura criminale: la aggrava e, allo stesso tempo, pone l'espulsione in secondo piano nella strategia penale-repressiva dedicata agli zingari.4 Il bando dei cingani, quindi, ricopre più un significato preven-tivo-intimidatorio che sanzionatorio. La vera sanzione, quella comminabile, è la condanna al remo, o la morte, per chi viene ritrovato entro i confini: l'impune occidi sembra allora invocata non tanto come corollario del bando, quanto come strumento proprio per l' estirpatione delli cingani dal territorio dello stato. In questo senso, vale la pena accostare la previsione del 1558 in materia di cingani alla parte del 16 dicembre 1560 con cui i Dieci stabiliranno che gli autori di delitti atroci, "banditi e non banditi", se "ritrovati in flagrante crimine, essi possano in quell'istante esser impune presi, e morti" (Leggi criminali, 1761, 50).5 L'impunità è concessa non solo contro i banditi, o meglio, non in virtù del bando, quanto della flagranza e dall'atrocità del delitto. 1588. Cingano latro Il terzo momento normativo in materia di cingani preso in esame è la deli-berazione del 24 settembre 1588 con cui il Senato reitera e conferma le misure stabilite trent'anni prima (ASV, 7, cnn). Grande attenzione è rivolta ancora alle deficienze del sistema repressivo, cui si aggiungono meno velate accuse nei confronti di presunti complici "che tengono poco conto della giustizia" dando ricapito ai cingani e partecipando ai loro latrocinii, a tutto svantaggio dei "poveri contadini, et altri, che ricevono da loro molti danni". Contro questi fiancheggiatori viene introdotta la pena "di servir per anni tre in galea alla catena", commutabile ad arbitrium del rettore "secondo la qualità della persona" in questione. I pregadi esplicitano il dovere delle comunità di partecipare alla cattura dei cingani che capiteranno nel loro territorio. Un episodio riconducibile a questo quadro "relazionale" si era verificato nell'estate del 1587, quando il capitano di campagna di Verona denunciava la protezione offerta ad una compagnia di rom dall'intera comunità di Zevio che, sindaco e capitano della cernide in testa, "sostenta detti cingari, et li favorisse in loco de descassarli" (ASV, 1, 3r). 4 Sbriccoli attribuisce all'impune occidi, e agli specialia in genere, un ruolo fondamentale nella costruzione di un sistema di "garantismo per la repressione" basato sulla coazione dei "privati" e sul sistema premiale (Sbriccoli, 1986, 497). 5 La parte, le cui previsioni penali-premiali erano state ridimensionate nei mesi successivi alla pro-mulgazione, venne ripresa nell'aprile del 1574, lo stesso giorno in cui i Dieci tornavano a deliberare anche contro bravi e vagabondi (Leggi criminali, 1761, 61v). 143 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 Una figura crimínale La figura criminale del cingano, forse più di altre tra quelle previste dalle legis-lazioni di antico regime, fatica a vedere affermati e riconosciuti caratteri propri, ad essere fattispecie compiuta, dotata di una dimensione presente negli enunciati legis-lativi. Il contenuto informativo dei testi normativi, infatti, è sommario, appiattito tra le pre-conoscenze e l'inevitabile futuro segnato dalla previsione penale. La stessa indeterminatezza definitoria è ravvisabile nei due passaggi dedicati ai rom dalla Prattica criminale di Lorenzo Priori. Il cancelliere veneziano parla di zingari una prima volta in chiusura del paragrafo dedicato ai casi e alle condizioni necessarie per il rilascio di salvicondotti (Priori, 2004, 38-41). All'elenco di eccezioni procedurali previste, l'autore, all'ultimo, aggiunge che: "Né anco possono i zingari esser introdotti ne i territorii, in pena alli cancellieri che scrivessero salvicondotti di privatione perpetua de' loro officii come nella legge 1558 15 luglio" (Priori, 2004, 41). La precisa citazione sembra ribadire lo stato di eccezione cui i cingani sono sottoposti: anche se si trovassero nelle condizioni previste da uno dei casi di salvacondotto non potrebbero, in ragione di una particolarità a priori, beneficiare di alcuna deroga alla norma che li pone al bando da tutte le terre e i luoghi. O meglio - ma il pratico veneziano non ritiene importante darne avviso - essi possono ottenere licenza rivolgendosi al Senato: la deroga puó essere concessa solo dal sovrano. Priori torna a parlare di cingani e lo fa parafrasando i termini della deliberazione del 1558 (Priori, 2004, 191). Significativo, invece, è il luogo in cui ne parla: il capitolo sul furto semplice. I rom, nonostante l'imprecisione del termine ladri usato dall'autore, sono, quindi, essenzialmente dei futres. Dello stesso parere sembra essere anche Giovanni Bonifacio, altro prattico veneto che si dilungó nell'esaminare "diligentemente l'intera materia dei trafugamenti" (Bonifacio, 1599). I cingari, spiega l'assessore, "con consumata abilità sottraggono le cose degli altri agli stessi proprietari, e hanno questo scopo principalmente le loro donne. Per far questo più agevolmente, professano la chiromanzia, e mentre fingono di predire il futuro alle donne credulone, osservando le loro mani, reggono marsupi, fazzolettini, guanti, e cose simili, e le fanno sparire con la massima destrezza".6 L'autore prosegue la sua trattazione raccontando un aneddoto quasi boccaccesco: ne sono protagoniste una zingara-ladra-(falsa)incantatrice e una donna sprovveduta e pronta a sottomettersi ad un improbabile incantesimo necessario ad allontanare dal marito mercante una immaginaria meretrice sua amante (Bonifacio, 1599, 389-390). 6 "Eadem furandi impunitas tolerari viderur in illo vagantium genere, qui Cingari appellantur, si módica furantur, dum mira arte res alienas ex ipsismet hominibus surripiunt, & praesertim illorum femin® id assequuntur, quod ut facilius efficiant, chiromantiam profitentur, credulisque mulieribus, dum futura prffidicere fingunt, illarumque manus inspiciunt, & detinent, marsupia, sudariola, chirotecas, & similia quam dexterrime surripiunt." (Bonifacio, 1599, 389). 144 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 Bonifacio, che a differenza di Priori deve essersi soffermato su alcune delle coeve ricostruzioni delle origini degli zingari, conclude la sua trattazione azzerando ogni argomento "culturale" e negando l'alterità dei rom, a suo avviso frutto di camuf-famento: esotismo e diversità sarebbero un mero artificio, un travestimento dietro cui fures nostrates celano "l'arte di rubare" (Bonifacio, 1599, 390; cfr. Piasere, 1988, 113-119). Nella sua estrema conclusione Bonifacio ribadisce che è il furto -sostanzialmente connotato dall'inganno - il crimine principale degli zingari. "Il furto - spiega Priori - è un tuore quel d'altri nascostamente et senza arme, et è delitto grave quando è fatto in robba d'importanza" (Priori, 2004, 184). Il furto puó essere semplice quando "non è alterato da mala qualità" o composito quando con-giunto, aggravato da un altro reato come, nel caso del latrocinio, l'uccisione o l'intenzione di uccidere il derubato (Priori, 2004, 184-193). Il latro agisce con violenza e, solitamente, sulla pubblica via, mentre il fur - come ricorda anche Priori - non usa armi, né affronta le vittime a viso aperto, preferendo agire nascostamente -clam et occulte (Lacchè, 1988, 98-103). L'azione descritta nella querela contro due cingare accusate di furto a Formi-ghedo nell'estate del 1587 (ASV, 1, 2rv) pare tratta direttamente da una prattica criminale: le donne entrano in casa travestite per celare la propria identità, rubano e fuggono. Anche nelle descrizioni proposte da Bonifacio, il furto, praticato dietro il paravento della chiromanzia, vuole essere non manifesto. Alla destrezza del furto - azione nascosta che ha successo quanto più resta incognita - si oppone la violenza del latrocinio - azione manifesta. Nonostante sia il furto semplice il reato normalmente attribuito ai rom, nei quarant'anni che trascor-rono tra la parte del 1549 e quella del 1588, la figura criminale dello zingaro viene costruita intorno ad un sostanziale riferimento alla violenza: l'immagine del cingano-vagabondo si arricchisce prima dei tratti cupi del crimine atroce, cui rimanda l'impune occidi, per approdare poi all'altrettanto evocativo accenno al latrocinio. "Una turba di gente mal vivente e vagante". Ovvero della paura. Nei preamboli delle leggi in materia di cingani si allude genericamente alla violenza. Una violenza supposta e mai puntualmente descritta ma che appare intimamente collegata alla dimensione collettiva: la paura è causata dal gruppo, dalla compagnia, dalla forza numerica. Venezia, a suo dire preoccupata per la pace delli "boni, et quieti" sudditi, vieta in più momenti la possibilità di camminare armati "in compagnia di più di quatro" (ASV, 3, 88r). Ovviamente le descrizioni delle compagnie rom sono includibili in questo modello di "comitiva criminale". Il turbamento della quiete, il "danno grandissimo di detti territorii" è opera del "molto numero" di cingani (ASV, 7, cnn - parte 24 settembre 1588). La categoría criminale è coniugata al plurale: la dimensione collettiva presume il dolo e la premeditazione. 145 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 Tanto accanimento retorico e - potenzialmente - punitivo sembra perô spropor-zionato rispetto al "potenziale offensivo" e alle modalité criminali dei gruppi rom. Gli archivi delle magistrature - cittadine e venete - restituiscono una quantità di carte criminali inerenti a fatti di sangue che ben giustifica l'aggettivo violenta attribuito alla società di antico regime (Fosi, 1985). Ora, in tutta questa violenza, le popolazioni rom dell'Italia centro settentrionale sembrano ricoprire una posizione defilata e marginale.7 Altre testimonianze, più tarde, offrono brani di queste retoriche del pericolo -non necessariamente immotivate. Nell'agosto del 1688, Antonio Pero "habitante nella Mota di Moncelese", in una supplica ai capi del Consiglio dei dieci, dichiara di essere insidiato da "Polo Rovere' e compagni cingani ch'uniti in grosso numero s'attrovano in quelle vicinanze" (ASP, 2, cnn). I Dieci non mancano di scrivere ai rettori di Padova raccontando "le vessationi che vengono pratticate da cingani a sudditi con continue molestie et insulti" - peraltro mai descritti - ed eccitando lo zelo dei rettori affinché i cingani siano arrestati o scacciati "a giusta consolatione di cotesti popoli" (ASP, 2, cnn). Un secolo più tardi, il pericolo e la generica violenza sono, ancora, i tratti principali dell'immagine di un'altra compagnia rom che si muove, nell'estate del 1786, nelle campagne ad est di Padova, tra Oriago, Gambarare e Bottenigo - ossia tre dei quattro luoghi preclusi a tutti i banditi. Tre "ducali per l'arresto de cingani" testimoniano i movimenti geografici del gruppo e quelli semantici delle retoriche (ASP, 3, cnn). Di fronte al palesarsi delle difficoltà della giustizia ad avere ragione di una compagnia di diciotto cingani - tra uomini e donne - i Dieci ricorrono al consueto inasprimento delle espressioni verbali, confermando la tendenza degli apparati politici e giudiziari dello Stato marciano a supplire agli scarsi risultati delle forze di giustizia con affermazioni retoriche proprie di una politica penale affidata in buona parte a strumenti premiali e alla coazione dei privati nella repressione (Povolo, 2003b, 214; Basaglia, 1986, 425; Lacchè, 1988, 53). Ancora nel Settecento, gli autori delle pratiche criminali descrivono i cingani rifacendosi ad un immaginario pre-giudiziario plasmato sulla proverbiale criminosità dei cingani, criminosità che, perô, viene rappresentata ricorrerrendo all'accostamento con altre icone delinquenziali. Infesti e vaganti: sono questi i connotati del pericolo atribuiti alle compagnie di rom in antico regime associate indistintamente a bravi, 7 Nelle sentenze della Corte pretoria di Padova emesse tra il 1579 e il 1622 ho incontrato un solo reo cognominato cingano: Paulo Cingano da Este arrestato, processato e rilasciato pro nunc nel dicembre 1608 per via di uno svaleggio con violenze alla casa di due donne - ed è da verificare se l'appellativo cingano possa valere come etnonimo (ASP, 4, 80v-81r e 104rv.). Il tribunale del Podestà di Padova aveva giurisdizione sul Territorio per reati di una certa entità e per tutti i casi che venivano ad esso delegati dalle magistrature veneziane. È possibile, quindi, che l'assenza di cingani sia imputabile pro-prio al fatto che i reati - di basso rilievo - e la condizione dei rei - anch'essa non rilevante - non necessitassero l'intervento del giudice veneto e della sua corte: la presunta pericolosità delle compagnie di cingani ne uscirebbe comunque indebolita. 146 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 vagabondi, pitocchi, mendichi, prostituti, ubriachi ed "altre persone sospette" (Barbaro, 1739, 204-205; Valli, 1789, 104-105; Grecchi, 1791, 282-285). Fama, presunzione, repressione, eccezione Il "bando" a cui gli zingari sono ex lege condannati mette in atto una prima distin-zione tra il cingano e la figura del bandito cosi come a Venezia era comunemente intesa, ossia del condannato al bando propter delictum o per contumacia. Nel luglio 1587, gli stessi rom che avevano trovato ospitalità a Zevio vengono brutalmente fermati ed arrestati nei pressi di Bonavigo mentre scendevano l'Adige verso il Polesine. Durante i costituti è il giudice del maleficio di Verona a dover spiegare ai rei che "essendovi prohibito il starvi se intende che ne siate banditi", affermazione cui Andrea Cingaro risponde prontamente "non siamo banditi altrimente, che non habbiamo amazzato alcuno" (ASV, 1, 11r): al di là della buona o cattiva fede dei rei, la misura di espulsione cui sono sottoposte le popolazioni rom si distacca in modo cosi palese dalla normale fisionomia del bando ad personam da poter essere apertamente contestata. Se lo stereotipo crimínale del cingano resta particolarmente impreciso, e se il cinganismo non è un reato in sé formulato, cionondimeno essere cingano è un reato. Il cingano è descritto dalle leggi e nelle pagine di giuristi e prattici come un flagello la cui sciagurata prattica è capace di rompere la pace pubblica. L'apparato legislativo analizzato, per quanto scarno, rivela uno stretto rapporto tra stereotipo, previsione penale e fama. Le deliberazioni cinquecentesche in materia di cingani del Senato veneziano, come altre coeve prodotte in Italia, sembrano intente ad amplificare un generico allarme più che a decifrare specifici reati. Di conseguenza i caratteri dello stereotipo, amplificati dalle funzioni preventive-definitorie degli strumenti repressivi, assumono di per sé il valore di pubblica fama. La dimensione collettiva dello stereotipo criminale comporta, infatti, la condivisione della fama: essa ricade su tutti coloro che alla categoría sono ricondotti, annullando, in questo modo, la differenza tra stereotipo - non solo pre-giuridico ma anche pre-esperienziale - e fama - legata ad una conoscenza se non diretta almeno non remota del caso concreto. Il carattere straordinario delle pene e il corollario dell'impune occidi concesso agli assassini di cingani sono parte di un'involuzione punitiva comune ai sistemi giudi-ziari di antico regime e che si basa sull'eccezionalità dei mezzi repressivi posti in atto per contrastare un fenomeno criminale che sembra crescere parallelamente alle aspirazioni di controllo del territorio da parte degli stati. La sostituzione della regola con l'eccezione - "ordo est ordinem non servare" - si concretizza nel ricorso costante a riti processuali inquisitori, nella concessione dell'impune occidi, nell'adozione spregiudicata di una politica penale premiale che mobilita l'azione privata - derogando le misure in materia di armi - promettendo benefici sia in termini materiali che di sconti di pena (Povolo, 2004, 75-81). 147 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 BANDO: IL POSTO PER I CINGANI L'esito del processo di classificazione-decisione cui sono sottoposti i cingani è, quindi, il bando. È la figura del nemico pubblico, intelleggibile nel livello determinante e profondo dei testi analizzati, a motivare la pena. Esiste, infatti, una duratura relazione di corrispondenza tra la pena del bando e il crimine di rottura della pace. Nel XVI secolo il bando, pur mantenendo marginali - ma non irrilevanti - funzioni di mediazione, è una pratica penale stabilizzata soprattutto come strumento di "tutela delle prerogative sovrane" e come pena contro i contumaci (Povolo, 1997 e 2004; Cavalca, 1978, 254-256; Sbriccoli, 2005, 164-168). Nonostante le trasformazioni semantiche e le diverse interpretazioni che nel corso dei secoli animarono il dibattito su questo istituto, sembra individuabile una linea di continuité tra il bando moderno e i suoi due antenati tipologicamente più prossimi: il fridlosigkeit ("perdita della pace") germanico e l'exilium romano nella forma dell'açua etigni interdictio (Lacchè, 1988, 360; Cavalca, 1978, 58-83). Il concetto di hostis, nella duplice accezione di straniero e di nemico, è centrale nella configurazione dell'istituto. Nemico è il traditore di Roma (perduellis): l'esiliato, il fuggiasco.8 Ma nemico è anche, nel mondo germanico, chi disobbedendo al bando, nel senso di comando sovrano, viene espulso - bandito - dal Bund. Il friedlos, il "senza-pace", "è nemico di tutti, ciascuno puó ucciderlo, rendendosi cosi esecutore del provvedimento di bando" (Cavalca, 1978, 36). Il problema della fedelté all'ordinamento rappresenta, daU'antichité ad oggi, il tratto costante dei rapporti tra il potere e quei segmenti di societé - "minoranze" per utilizzare un termine convenzionale, ma avvicinandoci alla contemporaneité si potrebbe parlare più generalmente di individui - che sono portatori di culture diverse da quelle dominanti. Qual è lo status dei cingani? Erranti, vagabondi, mal viventi. Il testo della de-liberazione del Senato in materia di cingani del 1549 sembra, con le sue glosse e correzioni, indicare la precisa volonté dei pregadi di sancire l'attenté di queste genti rispetto a tutto ció che di fisico, umano, simbolico puó essere riferito al concetto di Stato nostro. I cingani sono altro: forse foresti, senz'altro sono un corpo estraneo a quello ordinario, diverso e spaventevole ma anche abituale, elemento stabile del panorama sociale e culturale, oltre che geografico. Le cronache che descrivono i cingani abbondano di tinte forti, degne dei personaggi di Rebelais: chi le legge puó immaginare stranieri esotici, dall'aspetto e dai modi animaleschi, dediti al furto, 8 Circa i diversi significati attribuiti alla contumacia cfr. Cavalca, 1978, 23-26; Lacche, 1988, 361. In eta moderna la contumacia del reo e generalmente valutata come ammissione di colpevolezza, cfr. ad es. Priori, 2004, 57. 148 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITA DELLI CINGANI ERRANTI" ..139-154 all'inganno e alla chiromanzia. E l'immagine netta di uno stereotipo impreciso, confermato nella semplificazione operata dalla retorica criminale. Di fronte a situazioni difficilmente riconducibili al modello di fedeltá - fondato su determinate pratiche sociali, religiose, materiali,... - il potere sovrano cerca strumenti per normare l'anomalia. In questi casi, il bando puo essere il luogo di eccezione in cui relegare - formalmente ma non senza provocare effetti reali - il non conforme. Il bando inteso come "relazione di eccezione" definisce, secondo Agamben, una "soglia in cui vita e diritto, esterno e interno si confondono" (Agamben, 1995, 34). Il bandito non e dentro l'ordinamento ma non e neppure escluso da esso giacché a tenercelo legato e proprio la relazione di bando-eccezione. E cosi nel caso dei rom il bando e il luogo necessario all'ordinamento per poterli "pensare": li include attraverso un'esclusione. La giustizia ha bisogno del bando per ordinare e decidere delli cingari, per col-locarli in uno spazio di riferimento che altrove non trova, per mantenere la coerenza dell'ordinamento di fronte al paradosso dell'anomalia. Confini e transito: luoghi e modo del bando Se su un piano politico-filosofico il bando e una costruzione utile a formalizzare un modello di inclusione escludente, esso definisce, concretamente, uno spazio materiale di vita i cui limiti fisici vengono espressi in negativo: "Il bandito viene espulso da un luogo, la cittá, ed e inviato altrove da esso" (Boccato, 2004, 596). Se i confini sono una condizione essenziale del bando, la loro declamazione nella sentenza - o nel bando generale come nel caso dei cingani - non e sufficiente ad individuarne il tracciato. A rendere particolarmente ostica l'individuazione del confine reale - di cui le popolazioni "incluse" conoscono solo alcuni segmenti (Boccato, 2004, 606) - e la fascia di quindici miglia entro cui il bandito non puo mettere piede: il confine viene esteso dal bando, reso bidimensionale.9 A fine Cinquecento, i cingani sono giá stati espulsi da tutti gli stati dell'Italia centro settentrionale: l'altrove non qua intimato nei comandi dei sovrani e pressoché 9 L'estensione all'esterno - per quindici miglia - dello spazio del bando testimonia la dimensione creativa del comando sovrano. L' "eccezione sovrana", spiega Giorgio Agamben, è capace di "creare e definire lo spazio stesso in cui l'ordine giuridico-politico puo avere valore. Essa [...] non si limita a distinguere cio che è dentro e cio che è fuori, la situazione normale e il caos, ma traccia tra essi una soglia (lo stato di eccezione) a partire dalla quale interno ed esterno entrano in quelle complesse relazioni topologiche che rendono possibile la validità dell'ordinamento. L' 'ordinamento dello spazio', in cui consiste per Schmitt, il Nomos sovrano, non è, per tanto, solo 'presa della terra' (Landnahme), fissazione di un ordine giuridico (Ordnung) e territoriale (Ortung), ma, innanzitutto, 'presa del fuori', eccezione (Ausnahme)" (Agamben, 1995, 23). 149 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 onnicomprensivo.10 Per i cingani la pratica dei confini, di questi lembi di terra am-bigui, luoghi di malinteso, assume per forza di cose un significato proprio in ragione della funzione di soglia, seppure imprecisa, che essi svolgono. La pratica di questi spazi indefiniti, favorita dall'ignoranza generale riguardo ai limiti fisici di una giurisdizione, consente sia di tenere aperte le vie di fuga, sia di giustificare la presenza in transito tra il dentro e il fuori. Se il bando, infatti, è il posto per i cingani, il transito è la dimensione della vita al bando. Il transito permette di essere presenti senza stare, di tornare, di andare, di praticare un territorio. La compagnia di cingari fermata nel Veronese nell'estate del 1587 andava in transito: aveva attraversato i confini fluviali dello snodo Adige-Mincio-Garda e quelli interni del Veronese e si stava dirigendo, via Adige, verso il Polesine, altrove: "siamo venuti da Saló, et andavimo verso Rovigo; et noi altri non stiamo in questi paesi" (ASV, 1, 10v; corsivo mio). Ma il transito non puó essere inteso come sinonimo di fuga né è possibile immaginare un'esistenza in fuga. Che la pratica dei cingani con i sudditi della Repubblica non si possa liquidare solamente con gli aggettivi utilizzati nelle retoriche criminali è cosa scontata da dire ma difficile da provare. La presenza di rom -testimoniata da tracce deboli -, la loro esistenza in un ambiente comunemente pensato come ostile, non poteva prescindere da una capacità di vivere lo spazio geografico e relazionale in maniera "creativa". Le pratiche della vita materiale - dai mestieri alle modalità della presenza - sono il risultato di scelte e valutazioni legate alla congiuntura (Piasere, 1999, 21-35). La mobilità cui i rom sono costretti dal bando, come le forme di stanzialità - più estranee all'immagine stereotipata del cingano che alla realtà - possono essere considerate come pratiche - quotidiane - di resistenza. Resistenza in vita e resistenza ai processi di controllo mediante i quali i centri di potere cercano di imporre un sistema di relazioni di dominio dal quale i rom si "chiamano fuori" (Asseo, 1989). Il transito, allora, puó essere pensato come una delle possibili forme di abitare luoghi definiti da altri, organizzati da altri, divisi in proprietà e giurisdizioni da confini che non sono i propri. Il transito disegna una geografía parallela i cui riferimenti sono diversi perché interpretati a uso proprio. I luoghi frequentati non sono casuali, le persone incontrate nemmeno. Le attività economiche dei rom non sono di tipo "autarchico" ma relazionale - commercio, gioco della corrizuola, chiromanzia,... - e anche il furto, attività principale allo sguardo esterno, ha bisogno, a suo modo, di un idoneo contesto di applicazione. 10 Sulla legislazione contro i rom degli stati italiani in età moderna, cfr: Aresu, 2002; Arlati, 1989; Campigotto, 1987; Luciani, 1995; Martelli, 1996; Pastore, 1989; Spinelli, 1978; Viaggio, 1997; Za-nardo, 2003; Zuccon, 1979. 150 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÀ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 Il transito e le pratiche che esso comporta possono essere tracce di un modo creativo di vivere il bando, di reinventare il senso di una condizione imposta ma alla quale i banditi si sottraggono.11 "UPOŠTEVAJOČ KRIMINALNO LASTNOST NOMADSKIH CIGANOV". ROMI V BENEŠKI REPUBLIKI: RETORIKE IN STEREOTIPI Benedetto FASSANELLI IT-00198 Rim, Via Lima 22 e-mail: be.beto@mclink.net POVZETEK Med 15. in 16. stoletjem se je izrisal lik Roma kot 'človeškega tipa' in 'zločinske kategorije'. Kot tujci, ki jih je zaradi odsotnosti njihovega 'izvornega prostora' težko kategorizirati, so Cigani dojeti, v negativnem smislu, kot 'tujek' v običajnem telesu. Kronisti, književniki in učenjaki jim skušajo pripisati izvor, zaradi česar se pojavijo številne domneve in razlage s prizvokom mita in legende, obtežene z 'orientalizmi' ante litteram. Medtem pa ljudsko gledališče uprizarja pripoved o problematičnem odnosu med temi čudaškimi ljudmi in ruralnim svetom, prežetim z vraževerjem. V 16. stoletju so bili določeni ključni elementi beneške zakonodaje na področju Ciganov: izgoni, določitev strogih kazni in dopustitev nekaznovanosti morilcev Ciganov, ki so jih zalotili na beneškem ozemlju. 11 Si tratta di un'ipotesi interpretativa che muove dall'incrocio tra le risultanze di questi anni di ricerca sul "banditismo dei cingani', da un lato, e, dall'altro, le descrizioni delle pratiche di "degagizzazione" dei roma dell'Italia settentrionale proposte da Piasere (1999, 95-118). L'antropologo afferma che la visione dicotomica che i roma hanno del mondo - diviso in un'umanità dei roma e in un'umanità dei gage, ossia di tutti coloro "che non sono riconosciuti come roma" - è creata o si riproduce intorno alle modalità di fruizione del mondo: "questa dicotomia è marcata dai due avverbi po gagikáne, 'come i gage', 'da gagio', e porománe, 'come i roma', 'da rom'. [...] La differenza sta nel fare la stessa cosa o nell'usare uno stesso oggetto in modo diverso: non po gagikáne ma po románe. [...] Fare qualcosa po románe significa semplicemente 'degagizzare' quella cosa. A seconda del contesto e degli elementi su cui si opera, l'impegnativo lavoro simbolico di degagizzazione puo essere del tutto momentaneo, di medio o di lungo termine" (Piasere, 1999, 101). Credo che sia difficile trovare altre compagnie di banditi che vivono come i rom: capaci di resistere in continuità, di riprodursi, insomma di vivere il bando come condizione permanente. I banditi - soli o riuniti in bande - vivono il bando come eccezione e con-ducono una vita eccezionale che diventa mitica quando la fama raggiunge Venezia e da li si diffonde in ogni angolo dello stato. La durata in vita delle bande di banditi, ricorda Claudio Povolo, difficilmente superava i due o tre anni (Povolo, 2003b, 214). Affermare per sottrazione che esista una specificità romanes nel vivere il bando è forse ancora "scientificamente" rischioso, seppure verosimilmente possibile. Ricostruire una realtà come il bando vissuto dalle compagnie rom in antico regime, per nulla, o poco documentata, è un'operazione delicata, ma su cui vale la pena lavorare prendendosi cura del fragile rapporto tra fonti e interpretazione (Povolo, 2003a, 136-138; Ginzburg, 1984, 148-150). 151 Benedetto FASSANELLI: "CONSIDERATA LA MALA QUALITÁ DELLI CINGANI ERRANTI" ..., 139-154 S politično-filozofskega vidika ima razglas, mišljen kot odnos izvzemanja (Agamben), pomembno vlogo, saj omogoča, da sodna ureditev "razmišlja" o prisotnosti, ki je drugače nepredstavljiva: z drugimi besedami, ureditev Rome vključuje preko uredbe, ki jih izključuje. Razglas postane kraj, ki ga Ciganom namenja oblast (tako v Benetkah kot drugje). Romi v svetu nejasnih meja ustvarjajo geografijo gibanja in ustaljenosti, pridobljeno na prostoru strpnosti in represivnih prazninah. Ta fizični in odnosni prostor jim omogoča, da se z malce več možnosti soočajo s človeškim in kulturnim okoljem, za katerega se zdi - če beremo represivne ukrepe in sodbe, ki so jih izrekli poznavalci in izobraženci - da ne omogoča nikakršnega preživetja. Ključne besede: Cigani, Romi, Beneška republika, 16. stoletje, razglas FONTI E BIBLIOGRAFIA ASP, 1 - Archivio di Stato di Padova (ASP), Foro criminale del Malefizio (FCdM), b. 4. ASP, 2 - ASP, FCdM, b. 11, f. 9. ASP, 3 - ASP, FCdM, b. 11, f. 280. ASP, 4 - ASP, Foro criminale, raspe, b. 3, r. 3. ASV, 1 - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Avogaria di Comun (AC), Miscellanea penale, b. 130, f. 26. ASV, 2 - ASV, AC, Miscellanea penale, b. 210, f. 10. ASV, 3 - ASV, Consiglio di dieci (CD), parti comuni, r. 28. ASV, 4 - ASV, CD, parti comuni, r. 31. ASV, 5 - ASV, Senato terra (ST), f. 10. 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