received: 2006-09-14 UDC 930.85:343.5(450.82)"15" original scientific article L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI DI UN DELITTO D'ONORE DEL XVI SECOLO Enza PELLERITI Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Storia e Comparazione degli Ordinamenti Giuridici e Politici, IT-98122 Messina, Piazza XX Settembre 4 e-mail: enza.pelleriti@unime.it SINTESI L 'efferato delitto di Laura Lanza La Grua, signora di Carini, avvenuto la sera del 4 dicembre 1563, fu avvolto subito da un alone di mistero e di verità celate, tanto da tra-sformarsi rapidamente in leggenda. La fantasia popolare, persuo conto, si affiancava alla memoria ufficiale, quasi per una sorta di comune congiura del silenzio a protezio-ne del prestigio di una delle famiglie più importanti della classe dominante siciliana. Teatro della vicenda è il castello di Carini, negli anni in cui la Sicilia giaceva sotto il tallone dei vicerè spagnoli e dei loro feudatari. Gli attori sono: don Cesare Lanza, suo genero don Vincenzo La Grua Talamanca, la moglie di quest'ultimo, Laura, che sembra avesse concesso il suo amore al cugino Ludovico Vernagallo, ricco possidente. L 'assassinio di Laura Lanza si iscrive senza dubbio fra i delitti d'onore. Secondo l'antica legge dell'onore maritale, già rintracciabile nella celebre "Lex Iulia de adulteriis " del diritto romano, poi nelle norme di Ruggero II sull'adulterio, recepite anche dalla costituzione di Federico II, "Si maritus uxorem in ipso actu adulterii de-praehenderit tam uxorem quam adulterum occidere licebit, nulla tamen mora protracta ". Il marito dunque che avesse sorpreso in flagranza d'adulterio la moglie e l'amante poteva uccidere entrambi. Proprio questi testi allegava il padre di Laura, Cesare Lanza, quando reo confesso, raccontava in un esposto al sovrano Filippo II il delitto commesso. Al tempo stesso la storia della signora di Carini richiama il gioco complesso dei rapporti familiari nella società siciliana di antico regime. Si sono voluti qui rivisitare quei fatti ripercorrendone le fonti più differenti che ne hanno tracciato il profilo e la storiografia principale. In questo modo si è inteso di tracciare, non solo un bilancio delle interpretazioni che hanno scandito quella tragica vicenda, ma anche tentare un 'inedita indagine sul significado delle rappre-sentazioni, oltre che giudiziarie anche letterarie e visuali, che si sono susseguite, as-solvendo nel loro insieme ad una paradossale funzione di supplenza nella costruzio-ne di una verità mai completamente accertata, perché velata dalle ragioni dell'onore della famiglia e dalle interpretazioni di un certo romanticismo antropologico. Parole chiave: delitto d'onore, famiglia, Sicilia, secolo XVI 453 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..453-470 THE BITTER CASE OF LADY CARINI: REPRESENTATIONS OF A CRIME OF HONOUR FROM THE 16th CENTURY ABSTRACT The atrocious murder of Laura Lanza La Grua, Lady of Carini, during the evening of 4 December, 1563, was rapidly shrouded with mystery and concealed truths, and thus rapidly transformed into a legend. The course of popular fantasy accompanied the official memory in a kind of common conspiracy of silence in protection of the reputation of one of the most important families of the Sicilian dominant class. The event happened at the Carini Castle when Sicily was under the rule of Spanish viceroys and their feudal lords. The actors were: don Cesare Lanza, his son-in-law Vincenzo La Grua Talamanca, and wife of the latter, Laura, who seemed to have given her heart to her cousin Ludovico Vernagallo, a rich landowner. The murder of Laura Lanza can undoubtedly be described as a crime of honour. According to the old law of marital honour, which can be traced in the famous "Lex Iulia de adulteriis" of Roman law, and, as well - borrowed from the constitution of Federico II - in the rules of Ruggero II: "Si maritus uxorem in ipso actu adulterii depraehenderit tam uxorem quam adulterum occidere licebit, nulla tamen mora protracta". Therefore, a husband who surprised his wife and her lover in an obvious act of adultery could kill them both. These were the texts that Cesare Lanza, Laura s father, relied on in a statement made to King Phillip II when admitting his act. Concurrently, the story of Lady of Carini also depicts the complex nature of family relations in the Sicilian society during the old regime. Examining a variety of sources that have delineated its historiographic profile, here the story will be visited again. Not only will the interpretations that followed the tragic event be presented, but the importance of judicial, literary, and visual representations, whose integrated analysis can supplement missing information in the construction of a never ascertained truth, covered with a veil of family honour and interpretations produced by a kind of anthropological romanticism will also be researched. Key words: crime of honour, family, Sicily, 16th century 454 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 IL MISTERIOSO "CASO" DELLA BARUNISSA DI CARINI "1563. Sabato a 4 di dicembre. Successe il caso della signora di Carini". Cosi annotavano gli autori dei Diari della citta di Palermo (Paruta, Palmerino, 1879, 25). "Il caso? Ma che caso fu mai?" Si chiederá retoricamente, circa tre secoli e mezzo dopo, Salomone Marino.1 Fra queste due scarne annotazioni, la notizia del delitto, asetticamente riportata nelle cronache del tempo, e l'interrogativo, un po' enigmatico, dello studioso del folklore siciliano, si pone il tema di queste note. Le problematiche che vorrei evidenziare attengono a due questioni principali: il contesto del delitto, con le sue numerose varianti descritte dalle fonti, e i dubbi sulle modalitá dello stes-so, che ad un certo punto sembrerebbe addirittura aver riguardato due vittime e due moventi differenti. Iniziamo dalla prima questione. Teatro del delitto e il castello di Carini nella Sicilia occidentale, e siamo al tempo del governo vicereale spagnolo. I personaggi coin-volti sono: donna Laura Lanza, il cugino Ludovico Vernagallo,2 il marito Vincenzo La Grua, barone di Carini3 e il padre don Cesare Lanza,4 barone di Mussomeli, figlio del ben noto giurista catanese Blasco Lanza.5 Secondo la versione piu attendibile,6 1 Cfr. sul punto Salomone Marino, rist. anast. del 1993, relativa all'edizione del 1914, 71, che cosi commentava la tragica vicenda: "Né scrittore né altra memoria del tempo ne dà chiarimento o indizio: misterioso silenzio si stende intorno, bujo assoluto copre tutto. Segno evidente, che del Caso non si puó e non si deve parlare [...]. Che ragioni serie di convenienza e di paura fermavano la penna al Cronista, insolitamente qui diventato conciso e enigmatico". Salomone Marino, viene definito "uno dei più emi-nenti studiosi di folclore", che operarono tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Questi dedicó, infatti, più di un quarantennio allo studio e alla raccolta di documenti relativi alla storia della Baronessa di Carini, al fine di una ricostruzione più "genuina" possibile (Pagliaro, 1973, 190 ss.). 2 Notizie sulla vita e la personalità di Ludovico Vernagallo, si possono leggere in Baviera Albanese, 1992, 234. 3 Sulla famiglia La Grua vedi San Martino De Spucches, 1924, 276-277. 4 Sulla figura di Don Cesare Lanza, barone di Trabia e di Mussomeli e sulle alte cariche rivestite in campo politico e amministrativo, cosi scriveva Vincenzo Di Giovanni: "D. Cesare Lancia, conte di Mussomeli, fu in gran venerazione appresso tutto il popolo, per aver governato come pretore con tal sagacità, facendo le provvigioni a tempi congrui, in tanto che a tempi suoi mai si vidde patirsi calamità. Difese i privilegi a tempo di Giovan di Vega vicerè con tale animosità, che sebbene colui s'alterasse vedendolo opposto al suo volere, si rimise al fine, e ne lodó lui per uomo invitto, magnanimo e forte" (Di Giovanni, 1872, 375). Vedi, pure, Salomone Marino, 1993, 60-61 e Baviera Alba-ese, 1992, 228 ss. 5 Blasco Lanza, giurista catanese, uomo di legge di indiscusso valore si trasferisce a Palermo dove vive nell'orbita della Corte Regia. Per consolidare la sua ascesa sociale lega in matrimonio il figlio Cesare, ancora bambino, a Lucrezia Di Gaetano, ricca ereditiera di Catania, vedova e molto più grande di lui. Su Blasco Lanza cfr. Romano, 1979; vedi, inoltre, Giovinazzo, 1996. 6 Sulla vicenda della baronessa di Carini e le diverse varianti mi limito a segnalare: Pitrè, 1870; Pitrè, 1891; Barcellona Passalacqua, 1901; Galante, 1909; Natoli, 1910; Salomone Marino, 1993; Pagliaro, 1956; Rigoli, 1960; Pagliaro, 1973; Baviera Albanese, 1992; da ultimo Russo, 2006, 257-260. 455 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 documentata nelle fonti d'archivio pubblicate da Adelaide Baviera, la notte del 4 di-cembre del 1563 Don Cesare Lanza arrivava a Carini, proveniente da Palermo, con l'intento di comprovare un triste sospetto che suonava ingiurioso per l'onore della fa-miglia, disposto anche ad uccidere la figlia e il cugino Vernagallo, ove, mutandosi il sospetto in realtà, li avesse sorpresi in flagrante infamante adulterio. Qualche tempo prima, infatti, era stato messo a conoscenza della relazione clandestina della figlia da un frate del vicino convento dei Carmelitani il quale, approfittando della fiducia con-cessagli dalla baronessa, si era insinuato nella sua vita privata e ne aveva carpito l'in-timo segreto. Pertanto, il barone di Mussomeli, giunto nottetempo al castello di Carini, lo cir-condava con la sua compagnia di armati7 per impedirne l'uscita a chiunque e quindi si introduceva di forza nella stanza della figlia. Avendola trovata con l'amante, la uc-cideva trapassandole il cuore con la spada. Contemporaneamente, secondo la stessa versione sarebbe stato il La Grua, che accompagnava il suocero, a vendicare l'offesa uccidendo l'amante di Laura. Confrontando le varie fonti narrative, il contesto del delitto peró sembra allargarsi e si complica ulteriormente. Un primo problema riguarda il ruolo giocato dal marito nel delitto. Infatti una versione, la più nota, vuole che il La Grua abbia partecipato al-l'uccisione degli amanti. Tale versione risulterebbe suffragata dal ritrovamento presso l'Archivio di Stato di Palermo, di un memoriale a difesa, redatto dallo stesso Cesare Lanza, padre della vittima.8 La memoria contiene la dichiarazione del barone che rie-voca l'episodio, precisando che usava abitualmente fare visita alla figlia, ma in questo caso di averla colta in flagranza di adulterio, insieme al genero che lo accompagnava. Il barone affermava di aver sorpreso, "li ditti baronissa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussi subito in quello stanti foro ambo doy ammazzati" (Baviera Albanese, 1992, 217). Ció che il Lanza non chiarisce riguarda la specifica parte assunta dal genero nei due omicidi. Per questo aspetto, in cui finivano per intrecciarsi presto storia e leg-genda, forse è proprio la tradizione popolare a fornire utili elementi di conoscenza. In alcuni componenti poetici subito scaturiti dall'immaginazione popolare, colpita dalla 7 Sul punto vedi Pagliaro, 1973, 192, il quale sottolinea che il Lanza, in qualita di capitano d'armi, dis-poneva di una guardia armata. 8 Baviera Albanese ha trovato presso l'Archivio di Stato di Palermo (Real Cancellería reg. 410, c. 249 e Protonotaro del Regno, reg. 328, c. 303 - esecutoria a favore di Cesare Lanza - Real Cancellería reg. 410, c. 230 e Protonotaro del Regno, reg. 328, c. 273 - registrazioni a favore di Vincenzo La Grua) un documento di grande interesse, registrato per ben quattro volte, nel quale lo stesso Cesare Lanza rac-conta il fatto, in una supplica indirizzata a Filippo II di Spagna, dove chiede l'impunita per il delitto commesso. In esso "é consacrata [...] la storia autentica della tragedia di Carini narrata da colui che di essa fu senz'altro il maggiore protagonista e cioé di Cesare Lanza, omicida e padre dell'infelice vittima". Il memoriale é ora pubblicato nel suo saggio dedicato alla triste vicenda (Baviera Albanese, 1992, 216). 456 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 tragedia umana, il fatto di sangue, ripreso poi più volte, sarà rappresentato prospet-tando, quasi seguendo una strana logica rappresentativa, una sorta di divisione dei compiti: Cesare Lanza avrebbe vendicato l'onore della casata, uccidendo la figlia; Vincenzo La Grua, invece, avrebbe ucciso l'amante della moglie per vendicare il proprio onore personale (Baviera Albanese, 1992, 217). Dall'altra parte, la correità fra genero e suocero risulta dallo stesso memoriale a firma di quest'ultimo, allegata come forte argomento a propria difesa. Se infatti era giustificabile e lecito, secondo il diritto allora vigente, che il marito uccidesse la moglie e l'amante colti in flagrante, poteva destare qualche perplessità la pretesa del padre in presenza del legittimo marito dell'adultera, di uccidere la figlia, sposata e, par-rebbe, madre di sei figli.9 LE VARIANTI DEL RACCONTO A complicare ulteriormente la scena interviene una variante della ricostruzione ufficiale tramandata dalla fantasia popolare, per cui ad uccidere il Vernagallo sarebbe stato, invece, un anonimo compagno d'armi del Lanza, questa volta non con la spada, arma per eccellenza dei nobili, ma con il pugnale, l'arma vile comunemente utilizzata dai sicari.10 Anche in questo caso, tutto ció sarebbe riconducibile ugualmente alle ragioni del-l'onore e alle strategie familiari del barone Lanza. Di certo c'è che la più attendibile delle fonti storiche disponibili, ovvero il memoriale di Cesare Lanza, omette ogni dettaglio utile a ricostruire con puntualità le modalità del delitto, lasciandone i con-torni alquanto oscuri (Baviera Albanese, 1992, 238). Proprio l'incertezza sull'evento suggerisce di non trascurare due ulteriori ipoteti-che ricostruzioni, anch'esse attestate dalla tradizione dei cantastorie e dalle narrazioni popolari. Nella prima, donna Laura, sorpresa dal padre in compagnia dell'amante, immaginandone le intenzioni, lo avrebbe implorato di concederle la grazia di potersi confessare prima di morire. Possibilità che le veniva crudelmente negata. Anzi, nel trafiggerla, il barone avrebbe esclamato con disprezzo: "Grazia è il sangue che lava l'onore" (cosi Baviera Albanese, 1992, 236). Laura, crollando al suolo, nell'estremo 9 Cesare Lanza, quindi, nel memoriale poneva l'accento sulla casualità della coincidenza tra la sua consueta visita alla figlia e la scoperta casuale del flagrante adulterio. Tuttavia, Baviera Albanese, nel suo scritto afferma: "[...] ci sembra legittimo supporre che tutta l'azione fu, tra suocero e genero, concordata nei più piccoli particolari secondo un ben preciso disegno" (Baviera Albanese, 1992, 235); vedi, inoltre, Pagliaro, 1973, 215. 10 Sul punto Salomone Marino affermava: "Sua Signoria il Barone [...] scanna di propria mano la figlia: con la spada peró, l'arma dei nobili, chè l'alterigia di casta ei non smette in si tremendo frangente. [...] Il Vernagallo ei fa scannare dal satellite con l'arma dei sicari, il pugnale: e precisamente col terribile smagghiaturi, come portano varj testi" (Salomone Marino, 1993, 144). 457 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 tentativo di sorreggersi, cercava di appoggiarsi alla parete della stanza, lasciandovi l'impronta indelebile - che tuttora si puó osservare - della propria mano. Seconda l'altra versione, invece, sarebbe stato il padre a porre deliberatamente sul muro l'impronta della propria mano, intrisa del sangue della figlia. Ció avrebbe avuto il significato di un singolare contrassegno dell'esecuzione, da farle valere come am-monimento rivolto agli eredi della baronía. Vari studiosi privilegiano quest'ultima ipotesi, poiché risulta più in linea con le simbologie del tempo e, come scrive Salomone Marino, con la peculiare considerazione riservata in quel secolo all'onore fami-gliare (Salomone Marino, 1993, 11S). Questa varietà di scenari disegnati dai documenti d'archivio, dalle cronache coeve e dalle ricostruzioni popolari letterarie, fanno sorgere peró ulteriori questioni. La vicenda ha suscitato l'attenzione anche di Giovanni Gentile (sul punto cfr. Gentile, 1963, 141-144). In suo saggio, il filosofo si chiedeva infatti che cosa avesse potuto spingere il Lanza ad agire improvvisamente in maniera tanto repentina e drastica, se è vero che, aggiungeva, la relazione tra gli amanti si protraeva da ben venti anni! Lo stesso si chiedeva ancora come poteva conciliarsi la passività del marito, ovvero Vincenzo La Grua nel punire la moglie, a fronte della persecutoria severità esercitata nei confronti dei figli da lui diseredati in quanto ritenuti adulterini. Il La Grua,11 infatti, era quasi costretto a riconoscere quale figlio legittimo il primogenito maschio di nome Cesare, per evitare l'estinzione del suo stesso casato nella linea diretta maschile (sul punto vedi Salomone Marino, 1993, 92; cfr., inoltre, Albanese, 1993, 250-251). Cesare, cui il padre donava, con altri beni, anche il castello e la terra di Carini, conservandone l'usufrutto, restava peró, come è stato efficacemente scritto, un "fantoccio prigioniero" del genitore, tanto da rigettare il cognome della madre, che pure gli sarebbe spettato di diritto. Non meno duro era il trattamento riservato ai cadetti Ottavio e Tiberio ai quali si concedevano solo gli "alimenti necessari".12 Per rispondere alle giuste osservazioni del Gentile, si è tentato di richiamare altri elementi che arricchissero il quadro complessivo nel quale si collocava il fatto di sangue. Fra questi sono state ricordate le distinte psicologie e i diversi temperamenti del padre e del marito di Laura: il primo autoritario e violento, il secondo debole e di fatto dipendente, sia sul piano materiale che simbolico, dalla baronia del suocero, nei confronti della quale continuava a nutrire grandi aspettative. Del resto prima della data del matrimonio, avvenuto "alla prima ora della sera del 21 settembre 1543, nella 11 Vincenzo La Grua si risposo ben due volte nella speranza di avere altri figli maschi, eredi legittimi, ma il suo desiderio non si realizzo. Sul punto vedi Baviera Albanese, 1992, 250-251; cfr., inoltre, Salomone Marino, 1993, 92; Pagliaro, 1973, 192. 12 Solo negli ultimi anni di vita il barone cederá ai figli la dote della madre, lasciando che nei pubblici atti si dichiari che essi erano figli legittimi: "ex eo etcondam illustre Domina Donna Laurea La Grua et Lancea olim eius prima uxore". Cosi, Salomone Marino, 1993, 94-95. 45S Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 gran sala del sontuoso palagio cittadino dei La Grua", il giovane Vincenzo non sem-brerebbe avere ricoperto ruoli significativi o incarichi di qualche rilievo indicativi di una personalita matura e affidabile. Dopo il matrimonio, invece, egli compariva in numerosi atti notarili come associato al suocero in affari di vario genere, nei quali in-vestiva capitali che per lo piu provenivano dalla dote della moglie, la cui ricchezza gli aveva permesso di risollevare le sorti economiche della propria famiglia. La dote infatti che Cesare Lanza aveva assegnato alla figlia era cospicua: quattromila quattrocento onze in denaro e beni mobili, biancheria preziosa e gioielli principeschi. Dal canto suo, il marito, secondo gli usi delle famiglie nobili siciliane, aveva costituito alla moglie un dotario di mille onze.13 Alla luce di queste annotazioni sulla personalita dei due protagonisti, appare maggiormente comprensibile l'intervento del padre della donna nella punizione di un'offesa legata ad una tresca, che probabilmente era stata scoperta dal marito, diso-norato prima e piu di ogni altro dall'adulterio. Si puo, quindi, ipotizzare che Vincenzo La Grua, consapevole della propria inferioritá nei confronti del suocero, non abbia avuto l'energia necessaria, o il coraggio per risolvere da solo l'incresciosa vicenda. Probabilmente, quando questa era diventata insostenibile per la sua dignitá e per il decoro del casato, si era deciso a ricorrere al suocero nel quale riconosceva evidentemente il capo assoluto della famiglia, invocandone l'intervento riparatore (Baviera Albanese, 1992, 235). L'offesa al suo onore e al nome dei La Grua derivava dalla ba-ronessa che, al medesimo tempo, infrangeva l'onore dei Lanza di cui il barone Cesare era garante. Nel groviglio fra storia e leggenda c'e spazio anche per un intrigante dubbio ri-guardante l'identitá della stessa vittima. La versione piu accreditata, che identifica in Laura Lanza, moglie del Barone La Grua, l'uccisa, si fonda sui registri della Chiesa di Carini, ove sono annotate al 4 dicembre 1563 le morti di Laura e di Ludovico: "A di 4 Dicembro vij Indictionis 1563. Fu morta la spettabile Signora Donna Laura La Grua. Sepeliosi a la matrj ecclesia [...] Eodem. Fu morto Ludovico Vernagallo" e da questi e suffragata. Nello stesso giorno dell'accaduto il cappellano aggiungeva nel libro parrocchiale, accanto ai due nomi, un'interessante annotazione "pietosamente [...] quella Croce, che la pia consuetudine del popolo tributa agli spenti di morte violenta sul posto dell'eccidio e che in quell'esecrando Caso non pote tributare" (Salomone Marino, 1993, 85-86). Non trova concreta conferma nelle fonti un'altra tradizione, 13 A tal proposito Baviera Albanese, 1992, 231, sottolinea che il "sistema dotale seguito in Sicilia dalle famiglie fedeli alle vecchie tradizioni era quello del diritto giustinianeo a cui era stato aggiunto l'uso del "dotario", che veniva costituito dallo sposo a favore della sposa per lo più sui propri beni allodiali. La dottrina considera questo istituto derivante dal diritto barbarico secondo cui lo sposo comprava il "mundium" della donna". Su tale sistema detto "secundum morem graecorum" o alla greca vedi La Mantia, 1866, 156; Romano, 1994, 100 ss. 459 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 meno nota ma tramandata anch'essa dal racconto popolare, secondo la quale la vitti-ma sarebbe stata non la madre, ma la giovane figlia di Laura e Vincenzo La Grua, di nome Caterina, colpevole soltanto di amare un altro componente della famiglia Ver-nagallo, ostile da sempre ai Lanza, di nome Vincenzo.14 Tra le maglie intrecciate delle due tragiche vicende, recentemente lo studioso pa-lermitano Lillo Pinnavaia ha ipotizzato che quest'ultima tesi sia priva di fondamento, in quanto la primogenita di Laura (tra l'altro di nome Eleonora) nata il 16 giugno del 1549, avrebbe avuto solo quattordici anni nell'anno del tragico delitto. Ludovico, in-vece, alla stessa data, ne avrebbe avuti trentasei. In tal caso la differenza di età appare forse eccessiva anche per quei tempi e non sufficiente a giustificare la verosimiglian-za della relazione (Pinnavaia, 2004, 64). Quest'ipotetica versione puô servire a non riprodurre esclusivamente le notizie contraddittorie sul delitto riportate dai cronisti e alimentate dalle stesse famiglie, favorendo una più attenta consultazione degli atti di battesimo, matrimonio e morte, conservati a partire dal 1524, presso la Chiesa Madre di Carini. Proprio tali ricerche possono farci pervenire a una conclusione sorprendente (Pinnavaia, 2004, 62), ovvero che i delitti perpetrati nel Castello possano essere stati due, consumati in tempi differenti. Il primo, avvenuto nel 1563, avrebbe riguar-dato Laura Lanza, l'altro sarebbe stato compiuto più tardi nel 1565 contro Ninfa Ruiz, seconda moglie del La Grua.15 Seguendo questa recente suggestiva ricostru-zione, si viene a conoscere un nuovo inquietante dettaglio. Il La Grua avrebbe ucciso anche la figlia nata prematura e ritenuta illegittima. Per occultare poi questo delitto, egli avrebbe manomesso le date degli atti di nascita e di morte per imputare i due de-cessi alle tragiche complicanze del parto (Pinnavaia, 2004, 63-64).16 Accogliendo tali ipotesi il cerchio si allarga lentamente dalle vicende sentimentali al campo dei rapporti e delle politiche familiari della società siciliana di fine Cinque - 14 Lo stesso Salomone Marino muta opinione cerca il delitto nel corso delle edizioni della propria opera. L'autore in definitiva pubblica due versioni del "caso" tra loro molto diverse. La prima, che è contenuta nelle due edizioni del 1870 e del 1873, è fondata sul presupposto che la protagonista, di nome Caterina, fosse la figlia giovinetta del barone di Carini, uccisa dal padre. La seconda, invece, pubblicata come terza edizione nel 1914, è fondata sul delitto della baronessa Laura, moglie de La Grua, morta per mano del padre don Cesare Lanza, insieme con l'amante, Ludovico Vernagallo. 15 Vincenzo La Grua si sposerà per la terza volta l'11 marzo 1566 con Paola Sabia, vedova di Francesco Spigola, dalla quale si separerà, senza aver avuto figli, pochi anni dopo il matriomio. Vedi Baviera Albanese, 1992, 250-251; cfr., inoltre, Salomone Marino, 1993, 92; Pagliaro, 1973, 192. 16 Ad un esame del registro della Madre Ecclesia, il giorno della morte della neonata risulta un "20" malamente corretto in "23". Il sospetto del Pinnavaia è che non sia un errore del redattore ma un tentativo di accostare la data di morte della piccola a quella di Ninfa Ruiz avvenuta il 24 novembre, e cosí registrata: "Add! 24 (ditto) novembro 1565 fu morta la S. signura donna Ninfa Lagrua baronissa di Carini figlia di lo. S. Salvatore don Alfonso di ruize e si sepellio a la Matri Ecclesia". Cosí madre e figlia risulterebbero morte per complicanze sopravvenute. Infatti, l'irrefrenabile emorragia post-partum, causa la morte rapida della puerpera e non dopo quattro giorni. Sono queste le considerazioni che portano il Pinnavaia a sospetti inquietanti sull'ulteriore omicidio (cosí Pinnavaia, 2004, 63-64). 460 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 cento. Emerge, in primo luogo, il dissidio personale e politico tra le famiglie La Grua e Vernagallo. Quest'ultima infatti "parteggiava per la faziosa Messina, mentre il barone di Carini era un alto magistrate a Palermo". L'amore dei due giovani (siculi Giulietta e Romeo) avrebbe dunque trovato l'ostacolo maggiore proprio in quell'anti-co antagonismo. Per un altro verso, la notizia dell'uccisione dell'ipotetica Caterina sembrerebbe stata fatta circolare con la complicità di entrambe le famiglie coinvolte, allo scopo di celare la verità sulla baronessa di Carini, ritenuta scandalosa per il buon nome dei Lanza come dei La Grua. Infatti, un conto era ammettere l'esistenza di un amore im-possibile e colpevole, ma libero da vincoli matrimoniali, altro conto era giustificare un amore adulterino, che non solo comprometteva l'onore delle casate, ma faceva du-bitare della legittimità della prole del barone, con conseguenti complicazioni eredita-rie (Pagliaro, 1973, 192). Nella stessa prospettiva si potrebbe ipotizzare che, tanto per nascondere l'onta dell'adulterio quanto per evitare problemi successori, le due famiglie avrebbero con-giuntamente rimaneggiato (sul punto cfr. Salomone Marino, 1993, 86; vedi, pure, Pagliaro, 1973, 218), se non addirittura distrutto, i documenti ufficiali. In particolare avrebbero alterato l'albero genealogico dei La Grua, aggiungendovi ad arte anche una immaginaria figlia primogenita di nome Caterina. Alla stessa regía di falsificazione è forse riconducibile la data di morte di Donna Laura spostata in avanti, al mese di marzo del 1564. Si tratta di aspetti di rilievo che manifestano le difficoltà della storiografia nel ri-costruire la vicenda impiegando fonti e testimonianze di natura diferente e contrad-dittoria: dai diari manoscritti alle cronache dell'epoca, alle numerose fonti normative e giudiziarie. In questi documenti pare rintracciabile la silenziosa complicità delle famiglie e, a un tempo, l'influenza della figura dominante del "padre assassino" a cui si riconduceva, in ultima analisi, la responsabilità della morte di Laura. La polarizzazione dell'attenzione da parte dell'opinione pubblica, fin dai giorni successivi al delitto, sul barone Lanza, piuttosto che sul marito, suggerisce altresi la centralita della dimensione familiare e cetuale quale contesto obbligato in cui inqua-drare l'efferato crimine (a tal proposito vedi Pagliaro, 1973, 222; cfr., inoltre, Baviera Albanese, 1992, 236). UN DELITTO D'ONORE: I PROCEDIMENTI A CARICO DI CESARE LANZA E VINCENZO LA GRUA. Su questa falsariga si possono riprendere alcuni aspetti delle fonti normative che disciplinano il delitto d'onore ma rispecchiano anche le regole cetuali e istituzionali della società siciliana di antico regime. Sullo sfondo di questa legislazione è pari-menti opportuno menzionare il richiamo ad alcuni tratti della legislazione romanisti- 461 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI 453-470 ca in materia di adulterio, (lo ius commune) puntualmente invocata, nel corso della vicenda giudiziaria, pur con alcune importanti modifiche. Conformemente alla versione ufficiale documentata dalle fonti, che riconosce in Cesare Lanza l'autore del delitto, troviamo nei suoi confronti un procedimento giudi-ziario da parte della magistratura regia. Lo stesso Lanza presentava altresi un memoriale a Filippo II, per sfuggire alla iurisdictio della Gran Corte Criminale.17 Ció è at-testato dallo stesso documento, contenente il memoriale pubblicato dalla Baviera Albanese. Nel rivendicare, abilmente, solo a sé la responsabilità del fatto criminoso, il barone sottolineava la circostanza della scoperta casuale della tresca e l'intervento in flagranza dell'adulterio, evitando di soffermarsi sui dettagli e le modalità del fatto criminoso (Baviera Albanese, 1992, 237). Il barone di Mussomeli mirava altresi a dimostrare la piena legittimità della re-azione del genero. Cosi si legge nel documento: "[...J già che questo caso è permesso de li legi et constitutioni del Regno et perció non è delitto et quando delicto fosse -como non è - il fisco non tiene actione contra di lui in virtù di ditto privilegio di Palermo et stanti molti altri ragione et respetti et la remissione generale fatta a quel regno, sia servito ordinare che non sia molestato esso supplicante et il detto baron de Carini suo genniro et che se li cancelli il bando et se li restituiscono li beni quando se li havesse proceduto a la confiscacioni di quelli per haverse venuto a presentare a Vostra Magestà et ultra si iusto li recivirà a gratia; ut Deus. [...J".18 Va ricordato, a questo proposito, che la legislazione vigente in Sicilia, risalente nel suo nucleo più antico a Ruggero II, recepita nel Corpus delle costituzioni fridericiane,19 non puniva il marito che uccideva la moglie e l'adultero colti sul fatto, ma di contro comminava la pena severissima prevista per i lenóni a quei "mariti che riteneano la moglie e la-sciavano fuggire l'adultero" (La Mantia, 1866, 176). Da questa norma, che agli occhi della Chiesa poteva apparire ingiusta autorizzando l'impunità di un assassino, derivava la piena legittimità dell'azione de La Grua (Baviera Albanese, 1992, 238; sul punto cfr. Muta, 1644, 672; Intriglioli, 1609, 308; Candini, 1798-1807, 235 ss.). Tuttavia, come scrive la Baviera Albanese riportando la disposizione testuale, la reazione del marito doveva manifestarsi contro 17 Sulla complessa tematica della iurisdictio mi limito segnalare: Calasso, 1953; Costa, 1969; Tarello, 1976, 53 ss. 18 Il testo integrale del memoriale è riportato da Baviera Albanese, 1992, 216-218. 19 Cfr. Le Assise di Ariano (in Zecchino, 1984, 52-56): "[...] Si maritus uxorem in ipso actu adulterii deprehenderit tam uxorem, quam adulterum occidere licebit, nulla tamen mora protracta. [...] XXXI. De adultacio. Lex maritum lenocinii pena cohercet qui uxorem in adulterio deprehensam, retinuerit, adulterumque dimiserit, nisi forte sine sua culpa ille diffugit". Le norme sull'adulterio di Ruggero II sono riportate nelle Costituzioni fridericiane: "De pena uxoris in adulterio deprehense. Idem Rex Rogerius [...] De pena mariti ubi adulter, aufigit. Idem Rex Rogerius [...] culpa sua difïugit", cosi in Fonseca, 2001, CC. A tal proposito vedi pure La Mantia, 1900, 45, dove tali norme sono riprodotte nelle "Antiche Consuetudini di Messina" (La Mantia, 1900). 462 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 Fig. 1: Castello di Carini. Sl. 1: Grad v Cariniju. gli amanti "deprehensos in ipso actu adulterii", non appena presa coscienza del fatto, ovvero "nulla mora protracta" (Baviera Albanese, 1992, 238 ss). Ai silenzi del memoriale del Lanza, si aggiunga la circostanza delle testimonianze reticenti della servitù. Tutto ció, da un lato aprirà la via ad una esecutoria viceregia con valore di grazia20 nei confronti de La Grua, dall'altro darà inizio a una complessa vicenda processuale nei confronti del Lanza, il quale ribadirà tenacemente di "aver agito secondo le leggi e le costituzioni del Regno, sostenendo che il suo atto non co-stituiva delitto" (Baviera Albanese, 1992, 240-241). In realtà il Lanza, che verrà col-pito dal bando quale contumace per non essersi presentato in giudizio, costruiva la propria autodifesa, richiamando costantemente la Lex Iulia de adulteriis, all'interno della complessa società cetuale del suo tempo. In essa una pluralità di ordinamenti e di poteri, con le loro rispettive giurisdizioni, si contendevano il campo: la Gran Corte Criminale e il vicerè di Sicilia da una parte, le prerogative cittadine e nobiliari da un'altra e infine anche le strategie della Corona di Spagna. Evidentemente, sia il vicerè duca di Medinaceli21 che la Gran Corte Criminale, non credevano pienamente alla tesi difensiva del Lanza. Quest'ultimo, come si è det- 20 Baviera Albanese, 1992, 240, sottolinea che il matrimonio del La Grua con la sorella del Protonotaro del Regno, Ninfa Ruiz, é avvenuto il 21 ottobre 1564, prima ancora della concessione dell'esecutoria. 21 Sull'istituto del Viceré di Sicilia, cfr. Giardina, 1931, 189-294. 463 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..453-470 to, aveva fatto esplicito richiamo, non solo alle costituzioni regie, ma anche alla "Lex Iulia de adulteriis cohercendis " (sul punto vedi: IIO, 1; Baviera Albanese, 1992, 241; Cantarella, 1995, 255 ss.; Spagnuolo Vigorita, 2002, 25 ss.) Secondo quest'ultima, il padre poteva uccidere impunemente la figlia e l'amante complice solo se esistevano determinate condizioni, tra le quali lo scoppio d'ira provocato dall'improvvisa scoperta del rapporto illecito e dalla flagranza dell'adulterio, nella casa propria o nella dimora del genero. Peraltro, sempre secondo quella legge, solo al pater familias era concesso di uccidere gli adulteri per salvaguardare l'onore della famiglia (cfr. IIO, 2; inoltre vedi Cantarella, 1995, 257). Tanto la legislazione quanto la cultura giuridica siciliana avevano accolto manife-stamente quelle antiche disposizioni romanistiche (cfr. Baviera Albanese, 1992, 243), pure mantenendo qualche incertezza nell'attribuire al padre della donna sposata lo stesso ius extreme corrigendi che si riconosceva al marito. A conferma di questo orizzonte prodotto dalle interpretazioni, si puó ricordare come nei commentari di Andrea d'Isernia al Liber Constitutionum si trovassero affermazioni contrapposte. In-fatti se in alcuni luoghi si sosteneva espressamente che: "patri non licet occidere", e di conseguenza l'impunità per l'uccisione degli adulteri competeva solo al marito, mentre al padre o agli altri parenti si riservava una semplice diminuzione di pena, in altri passi si dichiarava apertamente la tesi opposta: "Si maritus invenerit uxorem cum adultero [...] licet ipsum interficere et idem in patri [...] pater filiam adulteram in actu adulterii deprehensam nullo alio actu in medio interveniente potest occidere in domo sua et gener potest occidere adulterum nulla mora protracta [...]" (Utriusque Siciliae, 1690, 569 e 573). Pertanto, il ricorso alla fonte normativa romana, che riconosceva al padre un consistente potere punitivo nei confronti della figlia sposata, ri-sultava perfettamente funzionale alla difesa del barone assassino. Da parte sua, il barone di Mussomeli, mostrava di possedere buone cognizioni giuridiche, irrobustendo la propria linea difensiva con il rigettare la contumacia, in quanto non poteva considerarsi tale il soggetto che si presentava spontaneamente al sovrano, fonte suprema di ogni giustizia. Il Lanza richiamava, inoltre, il celebre "pri-vilegium aureum" di cui godevano i cittadini palermitani, i quali non potevano essere richiamati in giudizio e perseguitati, ad istanza del regio Fisco, se non per alcuni reati gravissimi e tassativamente indicati. Questa argomentazione appariva valida e giuri-dicamente ineccepibile, poiché l'omicidio per causa di onore non rientrava fra i delitti classificati gravissimi e ancor di più nella fattispecie mancava la querela della parte offesa (sul punto cfr. Giurba, 1626, 443). Quest'ultima circostanza probabilmente si spiega con le pressanti intimidazioni esercitate dai Lanza nei confronti dei Ver-nagallo, i soli che avrebbero potuto reagire per vendicare il loro congiunto. (Baviera Albanese, 1992, 244-245). 464 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI , 453-470 Fig. 2: Stemma della famiglia La Grua. Sl. 2: Grb družine La Grua. Contraria al Lanza era stata invece la severa ipotesi accusatoria del vicere Medi-naceli. Infatti egli intendeva sottoporlo alla procedura "ex abrupto et dispensativo modo", prevista contro i facinorosi, per escludere l'imputato dai benefici del rito ordinario. Il giudice, nella fattispecie, in forza del solo sospetto di colpevolezza, avreb-be potuto applicare all'imputato la tortura che, com'e noto, era parte costitutiva della verítatis indagatio, ovvero quasi una sorta di pena anticipata prima ancora della con-clusione del processo (Barreca, 1977, 4). Da una prospettiva esattamente rovesciata rispetto a quella del vicere si poneva il Supremo Consiglio d'Italia.22 Il parere, espresso dal massimo organo consultivo della Corona spagnola, era diretto ad informare e a orientare la decisione di Filippo II sul "caso" Lanza, allegando argomenti di natura politica e giuridica. Il testo, ritrovato presso l'Archivio di Simancas, riconosceva nel Lanza il principale autore del fatto di sangue, tuttavia, nonostante l'adulterio fosse notorio e pubblico, poneva in evidenza 22 II Supremo Consiglio d'Italia si trovava a Madrid e accentrava tutte le amministrazioni dei domini italiani. Esso era formato da governatori spagnoli, due ministri napoletani, uno milanese e uno siciliano. Sul Supremo Consiglio d'Italia vedi Giardina, 1938, 521-526. 465 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI 453-470 la sua sostanziale legittimità in difesa dell'onore, ma con un'ulteriore argomentazione giuridica finiva per attribuire al genero, piuttosto che al barone, la responsabilità del-l'omicidio. La consulta concludeva suggerendo a Filippo II di ordinare al Vicerè il procedimento per via ordinaria.23 Queste soluzioni indicano, con chiarezza, l'esisten-za di interessi convergenti tra il Supremo Consiglio e la nobiltà del Regno. In parti-colare, come ha asserito Camillo Giardina, si esprimeva in questo caso la pratica cor-rente di una comunicazione diretta tra la corona spagnola e la nobiltà siciliana che finiva per aggirare sistematicamente i poteri del Vicerè. A questo proposito si puó rile-vare come la nobiltà siciliana si muoveva dichiaratamente per censurare la politica del vicerè agli occhi di Madrid: "i Signori dell'Isola tenevano intelligenza con i Reg-genti, sia per affari propri, sia per soddisfare alla loro naturale inclinazione di essere perpetui censori delle azioni del Vicerè" (Giardina, 1931, 276). Per finire, alcune considerazioni di carattere generale. In primo luogo, in assenza delle scritture della Gran Corte Criminale, non si puó affermare con certezza che il Lanza sia stato mai sottoposto a processo formale presso quel tribunale, né si puó sa-pere se sia stato davvero condannato oppure assolto (Baviera Albanese, 1992, 245). La certezza riguarda piuttosto l'emanazione dei provvedimenti liberatori, adottati dal sovrano nel 1564, nei confronti di entrambi i protagonisti della vicenda.24 Cesare Lanza otteneva a suo favore un ordine di cancellazione del bando, con annullamenti di ogni effetto pregresso. In secondo luogo, appare sintomatica la circostanza della partenza, quasi conte-stuale, del vicerè Medinaceli dalla Sicilia. Forse è ipotizzabile qualche collegamento con i provvedimenti di Filippo II, che, smentendone l'iniziativa giudiziaria nei confronti del nobile siciliano, sortivano l'effetto di una vera e propria rimozione antici-pata dell'uomo di governo dalle sue funzioni. Da parte sua, Cesare Lanza tornava clamorosamente nel 1566 alla ribalta della scena politica siciliana, assumendo, via via, le cariche di pretore, capitano d'armi e vicario di Palermo (a tal proposito cfr. Baviera Albanese, 1992, 246; vedi, inoltre, Barreca, 1977, 6). La famiglia dello stesso barone, nel frattempo, intrecciava im-portanti alleanze con esponenti dell'alta nobiltà. Le altre figlie più giovani, per esem- 23 A tal proposito Barreca, 1977, 5, osserva che "la procedura ex abrupto era esclusa dal rito di Alfonso, e più volte il Parlamento aveva chiesto che essa non venisse applicata in special modo nei riguardi di persone di condizione elevata"; vedi, inoltre, Baviera Albanese, 1960, 152-153. 24 Il La Grua veniva graziato con la seguente formula: "Sua illustrissima et reverendissima Dominatio providet et mandat quod Magna Regia Curia super exequutoriis concedendis debite provideat [...] et volentes nos, ut tenemur, regiis parere mandatis ad supplicacionem dicti spectabilis don Vincentii La Grua et Manriques baronis Careni tantum providimus et ita harum serie vobis et unicuique vestrum dicimus, commictimus et mandamus expresse quatenus eidem spectabili baroni Careni suisque procu-ratoribus tantum exequamini, compleatis et ad unguem observetis et preinsertas regias secretas litteras iuxta earum seriem, continentiam et tenorem pleniorem non secus agatis agive permictatis ratione ali-qua sive causa [...]" (Baviera Albanese, 1992, 239). 466 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 pio, nate dal matrimonio con Castellana Centelles si sarebbero sposate con illustri personaggi della cittá,25 mentre la memoria del tragico fatto di sangue sembra allon-tanarsi per sempre dai destini della casata. Resta, infine, una divaricazione fra le certezze della giustizia ufficiale, che assol-veva il Lanza, e la tradizione popolare, che continuerá ad interrogarsi sull'uccisione della baronessa di Carini, riservandole la propria pietas. L'intera vicenda, comunque, parrebbe potersi ricondurre al quadro tardo feudale della societá siciliana del Cinquecento. In questo contesto si deve naturalmente tene-re presente tutto il peso ambiguo del radicato "codice dell'onore" che pervadeva l'immaginario collettivo, proiettandosi nella stessa normazione. Si puo segnalare, inoltre, quanto questo concetto di onore non riguardasse tanto il singolo individuo, ma fosse piuttosto un valore collettivo e condiviso dai sodalizi familiari e dalla so-cietá tutta. Questo valore interveniva a proteggere la coesione della famiglia non solo come un principio etico, ma anche come un elemento di tutela della dimensione naturale ed economica del feudo (sul punto vedi Povolo, 2000, XXI ss). E' in questa prospettiva che si puo ulteriormente spiegare la singolare centralitá riservata a Don Cesare Lanza nelle rappresentazioni della vicenda, che la tradizione provvedeva a ricreare puntualmente. Il barone identificava un vero e proprio paterfamilias, che all'occasione poteva divenire, a un tempo, signore e giudice carnefice, a difesa del nome del casato. In questo modo gli affetti e la vita quotidiana di ciascun componente della famiglia si risolvevano nella dimensione di ceto, nel pluralismo dei poteri e delle regole nella societá. GRENAK PRIMER GOSPE IZ CARINIJA. REPREZENTACIJE ZLOČINA IZ ČASTI IZ 16. STOLETJA Enza PELLERITI Univerza v Messini, Oddelek za zgodovinski in primerjalni študij pravnih in političnih ureditev, 1T-98122 Messina, Piazza XX Settembre 4 e-mail: enza.pelleriti@unime.it POVZETEK Nečloveški zločin očeta nad hčerjo, Lauro Lanza, ki se je zgodil v Cariniju na večer 4. decembra 1563, je bil takoj ovit v skrivnost in zamolčane resnice, tako da je hitro postal legenda. Skozi stoletja je ljudska domišljija s svojimi pripovedmi in preko brezštevilnih pouličnih pevcev po svoje napajala zgodbo o zaroti molka, ki jo je najprej zahtevala ena od najpomembnejših družin vladajočega sicilijanskega sloja, da bi zaščitila svoj ugled. 25 Margherita sposava Gerolamo Filangieri, conte di San Marco, Diana invece Ponzio Valguarnera conte D'Asaro (Baviera Albanese, 1992, 248). 467 Enza PELLERITI: L'AMARO CASO DELLA SIGNORA DI CARINI. RAPPRESENTAZIONI ..., 453-470 Prizorišče dogodka je bil grad v Cariniju v času, ko je bila Sicilija podvržena Španiji. Kronike in sodnijski viri nam predajajo imena in osebne zgodbe tistih, ki so bili junaki tega dogodka: don Cesare Lanza, njegov zet don Vincenzo La Grua Tala-manca, Vincenzova žena Laura, obtožena prešuštva z bratrancem Ludovicom Verna-gallom, bogatim posestnikom. 'Primer' gospe iz Carinija nedvomno še danes, po štirih stoletjih, vzbuja zanimanje in emocije, in to tako zelo, da še vedno navdihuje razprave med znanstveniki ter literarna in umetniška dela. Poraja se vprašanje o razlogih za to nikoli pomirjeno e- koč v mračno družbeno obsodbo, kakor tudi ni več kaznivo dejanje. V drugi polovici 16. stoletja pa je bilo, nasprotno, vprašanje moževe in družinske časti kar najbolj zaščiteno na osnovi zakona, ki ga je izdal Friderik II. - si m ar it us uxor em in ipso actu adulterii deprehenderit tam adulterum quam uxorem uccidere licebit, nulla ta-men mora protracta - in je povzemal še starejšo tradicijo ukrepov proti prešuštvu, ki jih je potrdil Roger II. Cilj tega prispevka pa ni ustaviti se zgolj pri obračunu zgodovinskih in sodnih interpretacij, ki so zaznamovale tragično zgodbo baronice iz Carinija, temveč tudi preučiti smisel reprezentacij, literarnih in vizualnih, ki so si sledile skozi čas in so v očeh javnosti prevzele paradoksalno funkcijo nadomeščanja pri konstrukciji nikoli razkrite resnice. Ključne besede: zločin iz časti, družina, Sicilija, 16. stoletje FONTI E BIBLIOGRAFIA Candini, F. (ed.) (1798-1807): Codex juris siculi academicus et forensis, I. Palermo, 235 ss. Di Giovanni, V. (1872): Del Palermo restaurato, in Opere storiche inedite sulla città di Palermo ed altre città siciliane, pubblicate sui manoscritti della Biblioteca Co-munale, precedute da note e per cura di G. di Marzo, I. Palermo, 375. Fonseca, C. D. (ed.) (2001): Friderici II. Liber Augustalis. Le Costituzioni melfitane di Federico II di Svevia. Riproduzione ed edizione del Codice Qq.H.124 della Biblioteca Comunale di Palermo. 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