ACTA HISTRIAE VI. ricevuto: 1997-11-25 UDC 331.105.44:329(450.361 Trieste)"1945/1948" SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE Tristano MATTA Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, IT-34136 Trieste, Salita di Gretta 38 SINTESI Il contributo non intende tanto riproporre l'ormai ben conosciuto andamento delle lotte sociali nel dopoguerra triestino, ma piuttosto il rapporto che attorno ad esse si è andato via via creando tra la classe operaia, le organizzazioni sindacali ed i partiti. Accanto ad aspetti propri della soggettività operaia, che qui vengono sommariamente rievocati attraverso l'uso, si pure in chiave riduttiva, della categoria interpretativa della "lotta di classe", l'accento è posto soprattutto sul peso che i conflitti ideologici e politici che la città ha conosciuto nel lungo dopoguerra hanno avuto nel condizionare le stesse lotte operaie. L'analisi si sofferma in particolare sulla contrapposizione, caratteristica della storia locale, tra l'organizzazione sindacali a guida comunista. i Sindacati Unici, e quella che raccoglie i lavoratori che si riconoscono nel fronte italiano, Camera del Lavoro, individuando di esse strategie di penetrazione, modalità organizzative e differenze sul piano rivendicativo. Questo intervento tratta di operai e sindacati. Non perché, come il malinconico professor Alassio dei racconti satirici di Domenico Starnone, il sottoscritto sia l'ultimo rimasto a pensare che la classe operaia sia il motore della storia. Ma in quanto ritengo che quella del punto di vista della classe operaia e del sindacato, a Trieste e dintorni, nell'immediato secondo dopoguerra sia una angolazione, forse circoscritta, ma comunque di grande interesse e rilievo - qualcuno direbbe "emblematica" - per evidenziare la complessità del periodo in questione. E stato già opportunamente sottolineato in altri interventi il dovere di non di-menticare che in quel dopoguerra Trieste era terreno di uno scontro senza possibilità di mediazione tra chi voleva imporre l'affermazione del proprio sistema sociale e politico (della propria concezione del mondo) e chi, per ragioni anche diverse, vi si opponeva. La complessità di questo scontro si coglie meglio, a mio parere, se ci si sforza di tenere presenti motivazioni e spinte di tutti gli attori, di tutte le forze in campo. E certamente gli operai giuliani un ruolo, e non tanto marginale, ce 117 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 l'avevano: se non altro perché molti di loro riempivano le piazze, scioperavano, e andavano a scrivere sui muri di Trieste e di Monfalcone "Hočemo Tito" (e siccome erano in buona parte italiani, lo facevano talvolta con qualche errore ortografico...). Il núcleo del mio contributo al dibattito è dunque costituito da una ricostruzione del rapporto tra classe operaia e organizzazioni sindacali negli anni dell'immediato dopoguerra a Trieste ed in esso l'accento è posto soprattutto sui condizionamenti che il conflitto ideologico/politico ha esercitato sulle lotte operaie, snaturandole ed in una certa misura strumentalizzandole. In conclusione porro alcune questioni, in termini molto problematici, che sottopongo alla riflessione comune, anche come percorso di una possibile discussione. Analisi e riflessioni che propongo non sono, mi pare opportuno sottolinearlo, riferibili alla condizione della classe operaia istriana, per la quale il discorso da farsi è certamente ben diverso. Il lungo dopoguerra, che dagli anni immediatamente successivi al conflitto pro-trae i suoi effetti fino agli anni Sessanta, costituisce per il modo del lavoro triestino una lunga stagione di lotte. Si tratta, com'è naturale di lotte in difesa del-l'occupazione, per miglioramenti salariali e contrattuali in genere, di natura quindi eminentemente sindacale, ma anche - e, almeno per un certo tempo, soprattutto - di lotte profondamente segnate dai conflitti ideologici e politici che la città ha conosciuto in quella durissima e lunga fase della sua storia. Si puo affermare, anzi a mio parere, che le vicende del conflitto sull'appartenenza territoriale della città e delle soluzioni date nel tempo alla "questione di Trieste" abbiano talmente coinvolto anche il mondo del lavoro ed i conflitti ad esso legati da condizionarne in modo determinante la realtà, soprattutto fino alla metà degli anni Cinquanta. Nel periodo che va dal 1945 al 1948, sul quale intendo qui brevemente sof-fermarmi, la subordinazione delle lotte sindacali al livello politico appare quasi totale e si individua in particolare nell'uso delle masse lavoratrici come strumento diretto di pressione, nell'abuso dello sciopero politico, nello stretto controllo dei vertici sin-dacali da parte dei partiti e nella sostanziale mancanza di democrazia nei luoghi di lavoro. Il contesto sociale in cui questi fenomeni si verificano è quello di un mondo del lavoro in crisi, che anticipa per certi versi caratteristiche che coglieranno in un secondo tempo il resto d'Italia, diviso tra una componente di "colletti bianchi" che via via acquista un peso crescente, e che qui, probabilmente per effetto ancora una volta delle lacerazioni politico-ideologiche, appare per certi versi più "moderata" che altrove, ed una classe operaia in fase di lento ma inarrestabile declino. Una classe operaia, come ha efficacemente sintetizzato Luigi Ganapini, "complessivamente statica nella sua composizione e lentamente trascinata verso l'invecchiamento, con-dizionata tanto dall'evoluzione economica a crescita zero quanto da più sottili e complesse strategie aziendali". Una classe operaia che - oltre a subire anch'essa i 118 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 pesanti condizionamenti del conflitto político - appare costantemente arroccata nella difesa del posto di lavoro e del proprio orgoglio professionale sotto le insegne del sindacato e rappresenta quasi, afferma ancora Ganapini, "uno stereotipo per la com-battività e la forza del suo impegno sindacale e politico [...] per l'orgoglioso atteg-giamento di difesa della propria capacità professionale e per la convinzione (cui il padronato sembra aderire) che su questo tipo di valori debba impiantarsi ogni tentativo di rilancio della capacità produttiva dei settori in cui essa vive; uno stereotipo infine per la sconfitta ineluttabile che l'attende" (Ganapini, 1986, 17). Sconfitta che nell'immediato dopoguerra viene letta come conseguenza del venire meno dell'ipotesi politica ed ideologica "rivoluzionaria" cui classe operaia e sindacato a guida comunista sembrano affidare le proprie speranze, ma che negli anni Cinquanta e Sessanta sarà piuttosto conseguenza del lento processo di deindustrializzazione e terziarizzazione della città e della crisi definitiva del modello industriale centrato sull'industria pubblica e sul ciclo cantieri-porto-marineria. E dalle strutture dell'"Unità Operaia-Delavska Enotnost" che, com'è noto, nasce a Trieste nel maggio 1945, durante il periodo dell'occupazione della città da parte delle forze armate jugoslave, il sindacato comunista che assume la denominazione di "Sindacati Unici" (Su). Quest'ultima è frutto dell'erronea traduzione dal croato della denominazione dei sindacati "unitari" jugoslavi, ma nell'errore involontario è presente la sostanza del tipo di organizzazione che si vuol creare: il sindacato di tutti i lavoratori, iscritti o no, di stampo sovietico, con carattere spiccatamente " di classe", organo del governo socialista, con compiti quindi sia di rappresentanza dei lavoratori che di controllo del processo di ricostruzione e di sviluppo nella prospettiva di un'economia pianificata. Se nella fase dell'occupazione jugoslava l'egemonia di questa organizzazione, soprattutto nelle grandi fabbriche, non trova ostacoli, la situazione si modifica a partire dall'instaurarsi del Governo Militare Alleato, che nel procedere allo sman-tellamento degli organismi del cosiddetto "potere popolare" istituiti nei quaranta giorni di occupazione, adotta ben presto una politica del lavoro che prevede un brusco ridimensionamento del ruolo del sindacato, per il quale il Gma è disposto a riconoscere esclusivamente compiti di rappresentanza e tutela dei lavoratori aderenti in materia contrattuale e salariale. Per i Su è molto difficile adattarsi a questa nuova situazione: sorti come "organo di governo" e di partecipazione, non sono disposti ad accettare il ruolo riduttivo di sindacato "tradeunionistico", secondo il disegno del Gma. La resistenza alla politica degli angloamericani, del resto, si inquadra nella impostazione politica complessiva del Partito comunista e dell'Uais (Unione antifascista italo-slava) che in questa fase è quella di premere direttamente sul Gma attraverso scioperi politici in difesa degli organismi del "potere popolare" posti in liquidazione. Nei mesi da giugno al settembre 1945, nelle parole d'ordine miranti alla mobilitazione della classe operaia per gli scioperi contro il Gma, accanto agli 119 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 obiettivi dichiaratamente politici sono presentí anche alcune rivendicazioni di carat-tere economico (adeguamento degli approvvigionamenti alimentari, premio di "fine guerra"), ma è significativo il fatto che il sindacato deleghi all'Uais e al Comitato di Liberazione, promotori ed organizzatori degli scioperi, il compito di avanzarle. In questo quadro, la nascita nel luglio 1945 di un'organizzazione sindacale alternativa ai Sindacati unici, con caratteristiche interclassiste, legata ai partiti del fonte italiano, i Sindacati giuliani (che assumeranno a partire dal novembre successivo la denominazione di Camera confederale del Lavoro, a sottolineare la rivendicata di-scendenza dall'esperienza sindacale prefascista), non rappresenta quindi la rottura di un'unità sindacale politica e di programma, qual è in Italia quella della Cgil unitaria scaturita dal Patto di Roma, che a Trieste non esisteva, ma l'incrinatura di una egemonia di fatto esercitata sul mondo operaio dal sindacato a direzione comunista e la possibilità di dare voce in campo sindacale alle diverse istanze di quelle categorie di lavoratori, in particolare del terziario, che in buona parte non si erano riconosciute nella centrale dei Sindacati unici, di cui non condividevano le istanze ideologiche di fondo né la scelta filo-jugoslava. I Sindacati Giuliani si costituiscono proprio tra le categorie del pubblico impiego e dei servizi che vedono nella nuova organizzazione anche un più valido rappresentante contrattuale nei confronti delle proprie amministrazioni (che hanno sede in Italia). Ma lo schema di una rottura del mondo del lavoro secondo un fronte rigidamente classista, che vede i Sindacati unici quali rappresentanti dell'intera classe operaia e per contro i Sindacati giuliani come rappresentanti delle categorie impiegatizie e "piccolo borghesi", è accettabile solo per breve tempo, perché già alla fine del 1945 si assiste al progressivo costituirsi di Commissioni interne della Camera confederale del lavoro (Ccdl) all'interno delle fabbriche, in contrapposizione ai Comitati di fab-brica dei Su. La nascita delle Commissioni interne della Ccdl avviene in un clima di forti ten-sioni, agevolata dal garantismo creato dal Gma, ma proprio per questo interpretata dagli avversari come un momento della controffensiva padronale e governativa. E una lettura parziale, che non tiene conto, tra l'altro, del fatto che durante la lotta di liberazione legami con settori della classe operaia erano stati stabiliti anche dai partiti del Cln, che avevano ispirato il programma del "Fronte Operaio Giuliano". Questi partiti (socialista, Partito d'azione) sono nel giugno 1945, assieme al presidente del Cln, mons. Marzari, allora esponente principale della Dc e sostenitore dell'adesione alla Cgil, i promotori del nuovo sindacato, nel quale è quindi presente fin dalle origini come componente di rilievo la tradizione solidaristica cristiana. Oltre a questi legami creati nella resistenza, la Ccdl, inoltre, trovava seguito tra quelle componenti della classe operaia - minoritarie certamente nelle grandi fab-briche - che rifiutavano le discriminanti ideologiche e nazionali poste dai Su ed ac- 120 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 cettavano quelle di segno contrario della nuova organizzazione. A favorire l'adesione al nuovo sindacato è poi, neanche tanto paradossalmente, la stessa azione dei Su. L'abuso dello sciopero politico e i ritardi di quest'ultimo nell'elaborazione di una linea rivendicativa in grado di cogliere e rappresentare le esigenze immediate dei lavoratori provocano l'avvio di uno scollamento il cui primo segnale puo forse essere individuato già nell'insoddisfacente partecipazione allo sciopero politico indetto dall'Uais il 14 dicembre 1945 per protesta contro la sospensione del quotidiano in lingua slovena "Primorski dnevnik" da parte del Gma. Il fatto è che è estremamente difficile per i Su concepire i termini di una efficace azione rivendicativa sul terreno squisitamente sindacale in un fase in cui la linea del partito comunista e dell'Uais stabilisce che la lotte operaie non devono portare a miglioramenti entro il sistema capitalistico, del quale non si deve ammettere il ritorno, ma all'affermazione dei poteri popolari, in ultima analisi all'annessione alla Jugoslavia socialista. La totale subordinazione a questa impostazione limita la capacità contrattuale e rivendicativa dei Su oltre che la rappresentatività e lo spazio all'interno delle stesse fabbriche, a favore della Ccdl. Le voci critiche che all'interno dei Su si levano contro di essa sono emarginate e private delle funzioni dirigenti, come avviene nel 1946 per Ernesto Radich (Sema-Bibalo, 1981, 123). Nei durissimi mesi del 1946 - ma tale clima si manterrà fino al 1948 - la classe operaia triestina appare pienamente coinvolta nella radicalizzazione dello scontro politico, che si ripercuote anche nelle fabbriche, dove alla Ccdl che cerca adesioni anche in forza del suo riconoscimento ufficiale da parte della Cgil unitaria (gennaio 1946) e costituisce le sue Commissioni interne, i Su rispondono con un ostru-zionismo talora intimidatorio che raggiunge in alcuni casi anche il livello della violenza fisica. Cominciano, in questa fase, a delinearsi anche marcate differenziazioni tra i due sindacati sul piano rivendicativo. Esse appaiono del resto anche fortemente carat-terizzate "politicamente" presso entrambe le parti. Mentre, infatti, la Ccdl mostra di fare costante riferimento nell'impostazione delle sue linee rivendicative a quanto accade nel resto d'Italia, tentando di trasferirne i contenuti in sede locale, i Su pon-gono fortemente l'accento sulla specificità della situazione di Trieste, per la quale ipotizzano un possibile sviluppo solo nell'unione con quello che essi considerano il suo retroterra "naturale" (la Jugoslavia), sottovalutando l'inserimento di fatto delle principali aziende triestine nel quadro economico italiano, attraverso l'Iri. Del resto il legame con quel retroterra si sta spezzando definitivamente: nel-l'estate del 1946 si giunge alla soluzione dell'internazionalizzazione della città con la costituzione del Territorio libero di Trieste, che allontana ulteriormente l'ipotesi di una soluzione jugoslava. E cio mentre una componente significativa del gruppo dirigente delle organizzazioni del movimento operaio triestino continua ad essere espressione di un'esperienza politica che da quel retroterra proviene e al quale 121 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 continua a richiamarsi: quella del movimento di liberazione sloveno. L'equivoca identificazione tra obiettivi di politica sindacale e indirizzi ideologico-politici contribuisce, in questa fase di formazione, al diffondersi tra i lavoratori di una peculiare concezione del sindacato, che si tradurrà in due caratteristiche distinte, ma tra loro connesse, destinate a segnare per lungo tempo in particolare modo la militanza nei Su, ma dalle quali non si puo dire del tutto esente neppure la Ccdl: la confusione dei ruoli tra partito e sindacato ed il prevalere delle motivazioni di carattere ideologico nell'adesione all'organizzazione. L'interferenza continua che il movimento sindacale triestino deve subire, nella sua fase di ricostruzione, da parte delle segreterie dei partiti, contribuirà all'irrigidimento della contrapposizione tra le due organizzazioni, in una polarizzazione del confronto che lascerà poco spazio a forme di mediazione, e si cristallizzerà in uno stato di pressoché totale incomu-nicabilità tra i vertici dei Su e della Ccdl. E cio nonostante la composizione della base degli aderenti presenti un'articolazione che non riflette del tutto questa realtà. E il caso di sottolineare, a questo proposito, che all'acuirsi di questa confusione dei ruoli tra piano politico e piano sindacale contribuiscono certamente anche le carenze che si evidenziano nei rapporti tra le strutture di fabbrica e gli organismi dirigenti delle organizzazioni, che funzionano in maniera del tutto verticistica. Le Commissioni interne ed i Comitati di fabbrica, privi di autonomia contrattuale e di influenza sulle scelte politiche del sindacato, non costituiscono uno strumento di partecipazione, ma quasi esclusivamente di organizzazione, mobilitazione ed indi-rizzo. Sulle questioni contrattuali e sulle decisioni in merito agli scioperi vengono regolarmente scavalcati o ignorati dalle segreterie. Una breve parentesi in questo quadro di dura contrapposizione e di incomu-nicabilità tra le due organizzazioni si verifica con l'importante esperienza della Commissione centrale di Intesa sindacale, la commissione paritetica costituita su iniziativa della federazione Sindacale mondiale e della Cgil, allo scopo di promu-overe una prima struttura in vista della realizzazione dell'unità sindacale. Avviata tra forti diffidenze (in particolare dei rispettivi partiti di riferimento) la Ccis - che si riunï dal novembre 1946 all'ottobre 1947 - rimane fin dall'inizio bloccata tra opposte pregiudiziali, nonostante le spinte dal basso (soprattutto ad opera dei quadri di fabbrica) sollecitino gli sforzi unitari (Sema-Bibalo, 1981, 149-184; Matta, 1986, 337-342). D'altra parte, la nuova crisi politica legata all'entrata in vigore del Trattato di pace (15 settembre 1947) riporta il clima dello scontro politico a Trieste al livello dei mesi più caldi. La contrapposizione tra il partito comunista, fautore ora dell'attuazione piena del territorio libero, ed i partiti del blocco italiano, che protestano per la ces-sione alla Jugoslavia dell'Istria e spingono per l'immediato ricongiungimento della città e della "zona B" all'Italia, si fa acuta e coinvolge in continue manifestazioni di segno opposto anche le organizzazioni sindacali. Il già difficilissimo progetto uni- 122 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 tario della Ccis - reso del resto meno plausibile dal contemporáneo incrinarsi del modello da cui traeva ispirazione, per effetto delle lacerazioni che si aprono in questi mesi nella Cgil unitaria e che preludono alla rottura dell'unità sindacale anche in Italia - naufraga e viene cosí a sancire in modo definitivo quella spaccatura che continuera a segnare la storia del movimento sindacale triestino fino agli anni Settanta. In conclusione, alcune considerazioni in termini problematici, come prean-nunciato. In esse faro riferimento alla categoria della "lotta di classe", intesa non come modalità necessaria ed universale del conflitto sociale né come consapevolezza da parte della classe operaia di un presunto proprio ruolo storico da svolgere per la costruzione di una società diversa, ma molto più banalmente come la spinta all'anta-gonismo sociale cui la classe operaia stessa era condotta, in una ben determinata contingenza storica, dalle condizioni materiali di vita, dalla disciplina di fabbrica e dalla rigida gerarchizzazione sociale. Ritengo infatti che questa bistrattata categoria interpretativa - forse un po' troppo affrettatamente emarginata nell'analisi storica - se usata in maniera non meccanicistica, né esclusiva, possa ancora aiutare, accanto ad altre, a comprendere alcuni aspetti problematici delle vicende storiche di cui ci occupiamo. Negli ultimi anni, in esse si sono soprattutto scandagliate in modo estremamente approfondito la dimensione nazionale (intesa come conflitto di etnie in un'area di frontiera) e la dimensione geopolitica soprattutto dal punto di vista della rivalità di poteri stato-nazionali sul medesimo territorio. Questi filoni interpretativi non sono in grado di spiegare fino in fondo scelte e comportamenti della classe operaia (soprat-tutto l'adesione massiccia alla scelta "jugoslava" circa l'appartenenza statale della città di Trieste e del suo territorio) che rappresentano in quel contesto un importante dimensione del conflitto in atto. Esse tendono a ridurne il ruolo a quello di massa di manovra. Come si è visto dalle considerazioni che ho svolto sulla politica delle organizzazioni sindacali, certo quest'ultimo aspetto appare come un dato vistoso e in certi momenti caratterizzante. Ma, a mio parere, sarebbe importante anche rilevare segnali ed elementi propri di una dimensione soggettiva della classe operaia stessa in quanto tale e non solo in quanto base di massa di uno schieramento politico. Distinguere nell'intreccio tra lotta di classe, lotta nazionale e guerra civile, proposto nell'ormai classica definizione della complessità della resistenza italiana elaborata da Claudio Pavone, in queste terre di confine è estremamente difficile in generale, ma qui paradossalmente più semplice che altrove, almeno per certi aspetti particolari. In termini schematici, se per il proletariato sloveno e croato la tensione tra dimensione classista e nazionale è in un certo senso risolta nel programma del movimento di liberazione guidato da Tito, per quello italiano prevale nettamente la dimensione di classe: solo cosí si spiega - e non solo con la lunga tradizione internazionalista delle avanguardie politicizzate - l'adesione di parte consistente di quel proletariato al progetto jugoslavo, che esso interpreta essenzialmente e sog- 123 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 gettivamente (non solo per cedimento alia propaganda) se non come palingenesi sociale, almeno come rivincita sul piano sociale. Né va del tutto perso di vista il riferimento alle condizioni materiali di vita: per collocare correttamente nel loro contesto scelte che oggi potrebbero apparire incomprensibili o solo frutto del-l'accecamento ideologico, bisogna rifarsi alle reali condizioni di vita della classe operaia sotto il fascismo, durante la guerra e nell'immediato dopoguerra. (Utile, a questo proposito, rileggere le ricerche - richiamate in bibliografia - di Galliano Fogar sulla classe operaia del monfalconese tra le due guerre, quella dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia sull'Istria tra le due guerre ed il volume curato da Annamaria Vinci su Trieste in guerra). Anche nell'immediato dopoguerra le prospettive che a questa classe operaia paiono aprirsi nella situazione contingente, in termini di benefici economici e posti di lavoro, non sembrano ancora tali da far prevalere piuttosto altri criteri e valori rispetto al potente richiamo allora rappresentato dalla auspicata costruzione del "paradiso" socialista. Questo aspetto mi pare ben colto, a posteriori, dalla sceneggiatura del film di propaganda Aquila, girato da Herbert L. Jacobson nel 1951 in occasione dell'apertura della raffineria di Aquilinia, che lo rovescia a scopo propagandistico per sottolineare proprio il ruolo di pacificazione sociale giocato dal rilancio economico industriale favorito dal Gma e la sua capacità di sottrarre all'influenza comunista settori crescenti della classe operaia. Sono numerosi gli indizi che a mio giudizio vanno in questo senso: da quelli macroscopici, come l'adesione massiccia degli operai del monfalconese al programma di ricostruzione della nuova Jugoslavia socialista che sfocerà nella tragica esperienza del cosiddetto "controesodo", all'adesione significativamente più alta al progetto della "settima federativa" nelle aree depresse del basso Isontino che non in altre. Ma vanno considerati anche altri spiragli significativi, quali la denunce delle dirigenze aziendali sull'immediato allentamento della disciplina di fabbrica, lo spazio che la stampa comunista dedica ai segnali anche minori di una prospettiva di cambiamento dei rapporti nelle gerarchie sociali (cronache di feste di fabbrica con presenze di operai e dirigenti, ecc.). L'idea, continuamente ribadita dai vertici dell'Uais che a Trieste si sia più avanti sulla strada della rivoluzione è certo un tema agitatorio e di propaganda, ma per una certa fase almeno essa trova un certo riscontro presso la base operaia. Vi è, come ho accennato, nelle lotte del dopoguerra un'indubbia continuità con l'esperienza resi-stenziale: nei comportamenti e nelle modalità. Stenta invece a penetrare la nuova linea del Pci, anche per le sue stesse ambiguità. Un altro elemento rilevante da tenere presente, in questo tentativo di individuare la dimensione soggettiva del comportamento operaio, è poi anche il fatto che valori e parola d'ordine "nazionali", apparivano agli occhi del proletariato italiano screditati irrimediabilmente dal ventennio fascista. 124 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 Per la fase dell'immediato dopoguerra, si potrebbe ritenere che l'ipotesi rivo-luzionaria rappresentasse un miraggio potente in grado di catalizzare l'attenzione e le energie della classe operaia. Come si evince dall'analisi che ho proposto a proposito del ruolo del sindacato, questo miraggio perderà rapidamente il suo potere di at-trazione e la classe operaia si accorgerà abbastanza presto del ruolo a lei in prevalenza assegnato di strumento di pressione da far valere nelle piazze, per prenderne progressivamente le distanze a vantaggio della difesa dei suoi interessi più specifici e concreti sul terreno della fabbrica e delle lotte salariali. A posteriori, questo disincanto sarà poi confermato dalla facilità con cui la stragrande mag-gioranza di quel proletariato abbandonerà l'ipotesi jugoslava dopo 1948, scelta che mi pare riduttivo spiegare con ragioni quali la disciplina di partito, la fedeltà al mito dell'Urss e meno che mai con il prevalere di spinte nazionali. SINDIKAT IN SOCIALNI BOJI V TRSTU V POVOJNEM OBDOBJU Tristano MATTA Deželni inštitut za zgodovino osvobodilnega gibanja v Furlaniji-Julijski krajini, IT-34136 Trieste, Salita di Gretta 38 POVZETEK V spor med Italijo in Jugoslavijo zaradi teritorialne pripadnosti Trsta je bilo takoj po vojni močno vpleteno tudi delavstvo, tržaški delavski razred in sindikalne organizacije. V prispevku je posebej pozorno obdelano obdobje 1945-1948, v katerem je bil sindikalni boj odkrito podrejen političnemu sporu, ki je bil takrat v teku. To velja tako za Enotni sindikat pod vodstvom komunistov, delujoč v okviru opozicije, ki sta jo do ekonomsko-socialne politike Anglo-Američanov vodila Italijansko-slovenska antifašistična zveza in komunistična partija, kot za njegovega tekmeca, filo-italijanski sindikat (Sindikati Julijske krajine, kasneje Delavska zbornica). Za obe organizaciji je bil značilen močan vzajemni antagonizem, v prispevku pa sta predstavljeni z vidika organiziranosti, posebnosti njunih privržencev, razlik v politiki doseganja zastavljenih ciljev in vpliva, ki so jih nanju imeli omenjeni politični boji. Globok razkol med tržaškim delavstvom, ki je izšel iz tega in v času katerega ni zaznati niti kratkotrajne sindikalne enotnosti (najbolj zgovorno o tem priča propad Osrednje komisije sindikalnega sporazuma v zimi 1946-47), je trajal dolgo, tudi še po rešitvi tržaškega vprašanja, in je bil vse do sedemdesetih let značilen za sindikalne odnose in za spore na delavskem področju, ki ga je opredeljeval sicer zelo bojevit delavski razred, vendar v nepreklicnem zatonu. V študiji je na koncu zelo sintetično izpostavljena potreba po upoštevanju nekaterih vidikov, ki 125 ACTA HISTRIAE VI. Tristano MATTA: SINDACATO E LOTTE SOCIALI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA A TRIESTE, 117-126 so posebej značilni za delavstvo in ki lahko pripomorejo k razjasnjevanju odločitev in k njihovi umestitvi v nacionalni spor, ki je takrat pretresal Trst. FONTI E BIBLIOGRAFIA Bednarz, F. (1980): La Nuova Camera Confederale del Lavoro di Trieste. Spunti per l'utilizzo di alcune fonti di archivio. 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