ANNO XIV Capodistria, 1 Febbrajo 1880 N.r0 3 LA *... » " *>«?*}; i 'if. **rr&m?n fst ■■ «.. C* Àil*J VX AiWJjJ..- I i.i.'rti!'-. f | ;f jj.ujuj, in" .: rii'oo t I •' : -ulti usi DELL' ISTRIA fi «OC <•-(•iti iì'-.y ai .nix- ì il? ■ : ninnili >niiefl nooii ■-:-r——-rm—:- ■ ! ,,- Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre iu proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono, presso la Redazione. «•no 1< itndÌM Ut Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. J- Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. -_ W» l.X.v EFFEMERIDI ISTRIANE Febbrajo 1. 1307. — Certo Nicolò di Gorizia si sommette fin da ora alla sentenza che il patriarca sarebbe per pronunciare contro di lui in pena de' molti iusulti commessi sul territorio patriarcale contro il vescovo di Capodistria Pietro Manomesso. - 9, XXXI, 190. 2. 1564. — Cormonsio. Il vescovo di Trieste, Giovanni do' Betta, riconcilia la chiesa di Sant'Adalberto e vi consacra tre altari. - 31, 44. 3. 1264. — Aquileja. Il patriarca Gregorio, accon- sentendo alla supplica della città di Capodistria di poter avere un podestà veneziano, lo propone ai deputati di quel Comune, Leazario de Zillacco e Bernardo Belgramoni tra i nobili Giovanni Badoer, Giacomo Delfin e Angelo Morosiui ; i deputati domandano la conferma del Badoer, ove gli piacesse d'accettare la carica; e non accettandola questi la conferma del Delfin, ecc. - 6, 1, 27 e seg. 4. 1279. — 11 senato delibera che il podestà da eleg- gersi per Capodistria abbia per i suoi viaggi di andata e ritorno, sia per mare che per terra, lo stesso soldo ch'ebbero i suoi predecessori o capitani-rettori di detta città. - 6,1, 142. 5. 1291. — Venezia. Capitolare stabilito pel capitan.) di Moccò: che si tenga forte contro ogni aggressione di Trieste, faccia giustizia alla contadinanza, non accetti in castello gente forestiera (tranne i conestabili), destini a que' di Moccò un luogo di sicurezza o in Capodistria o in Muggia, abbia anuue lire 601 di piccoli coll'obbligo di avere seco tre servi armati, che sieno di Venezia, e 32 custodi a difesa de' fortilizii, non abbandoni il castello prima dell'arrivo del suo successore. - 6, I, 165. 6. 1289. — Venezia. Il maggior consiglio elegge i consiglieri del doge, Pierazzo Gradenigo e Pietro B^seio, a consiglieri dell'esercito diretto per l'Istria. - 6, I, 158. 7. 1464. — Albona. Il Comune invia a Venezia To- maso Luciani e Cosimo Vuragovino, perchè quel senato confermi la deliberazione del consiglio con la quale rinunciava al diritto 8. 1319 tyi 4fìÙ't di eleggersi il podestà. - 22, II, 269. 7. 1806. — Il principe Eugenio dichiara l'Istria Ottava Provincia degli Stati ex - veneti - 1, III, 20. — Veuezia. Coucordio fatto tra Pola e la Repubblica, iu virtù del quale gì' Istriani vengono esonerati dal dominio di Pola ed assoggettati ai rispettivi loro podestà. - 6, I, 86. 8. 1349. — Muggia. Il vicario di Lodovico della Torre, vescovo di Trieste, espoue al messo patriarcale i motivi per i quali aveva lanciato interdetto su Trieste e territorio; ribatte le ragioni adotte dal decano della cattedrale al patriarca qual seconda istanza. - 21, 114. — Aquileia. Leonardo, eletto arbitro per appianare le questioni derivate dalle rappresaglie fatte da taluni di Capodistria (a capo dei quali stava Facino Muzio) a danno del prevosto di S. Stefano in Aquileia, sentenzia che il Comune di Capodistria debba risarcire i danni al prevosto entro al dì 29 del venturo settembre, e pronuncia inoltre che i clerici debbano rispettare i vicendevoli diritti. -6,1, 28 e seg. . — Il senato delibera che il capitano da eleggersi per l'Istria non rimanga iu carica che un anno solo e abbia ad attenersi al solito capitolare. - .6, I, 157. — Veuezia. Dei 300 consiglieri, 226 votano per l'annessione del castello di Montona e suo terriIorio alla Repubblica; si promette di mandarvi un podestà. - 6, 1, 140. — Udine. Don Golfardo paga al cardinale Pietro Colonna in nome del vescovo di Cittanuova Canciauo 1' affitto di certe terre, spettanti al Colonna e situate nel teritorio emoniense. - 13. — Il senato ordina al podestà di Capodistria di mettere in pieno ordine il castello di Moccò e di provvederlo d' ogni occorrente. - 6,1, 168. — Il senato ordina ai podestà iu Istria di non muovere guerra a chicchessia ove prima non gli annuncino la causa e quindi nou ne abbiano ricevuto il potere. - 6, I, 144. (M. V.) — Il senato ordina di rinchiudere in una stanza in San Giorgio di Venezia il conte di Duino, arrivato dall'Istria, e di farlo sorvegliare attentamente di giorno e di notte. — 11, V, XXI, 63. b 9. 1264. mioouA o jaW&uìj il il/: uiiì «fiq 9 .(.is-tunV 10. 1287. -iS 11. 1276. jXJJ,Ì ndaLi isj'd« éb no ni »d- ■ 12. 1322. US 911 iiev 13. 1291. 14. 1281 14. 1347. SS l'J9 tic.KG Del decadimento dell'Istria1' Le repubblichette istriane, impedite di estendere il loro dominio nella campagna baronale, avrebbero dovuto ben presto spegnersi quasi soffocate in quel serra serra, se non avessero avuto dinanzi il libero mare. Ma non passò molto che qui s'incontrarono con le galere di Venezia, la quale, trovandosi nelle stesse condizioni, aspirava pure ai dominio di quello. Naturale quindi il convergere delle forze allo scopo comune: teuere libero da pirati le acque dell'Adriatico; e naturale pure la stipulazione di trattati, di contribuzioni tra le città istriane e Venezia: trattati tra eguali, tributi d'onore, non già di sudditanza, e considerati quali mezzi necessari per raggiungere il comune intento, o qualche volta imposti dal più forte al più debole, e accettati, quaudo come una necessità, quando quale nn male minore in vista di quel gran bene: la sicurtà della navigazione. Ed a ciò fare i Comuni nostri avevano libera la mano. Già nei secoli ottavo e nono per la fiacchezza degli imperatori bizantini, per la tarda ed imperfetta conquista dei Longobardi, come si vide a suo luogo, e per le concessioni di Carlo Magno che non potè o non volle imporre la costituzione feudale a tutta la provincia, i nostri Comuni liberi ed affrancati esercitavano il diritto di guerra ed alleanza; e nello stipulare quanto meglio loro couveniva usavano per formalità una frase, che dicesse liberi i diritti del re; ma nello stesso tempo promettevano di operare sciolti dagli ordini suoi, (ab-sque jussioue imperatori»). (2) Già nella pace formatasi l'anno 813 tra Michele imperatore bizantino, e Carlo Magno, questi rinunziò alla Venezia marittima; e l'Istria continuò a contribuire a Venezia navi, vino, olio, canape; e i marittimi si obbligavano a tenere libero da' pirati il mare di qua d'Ancona e di Zara. E con Venezia battevano i nostri i Saraceni sotto Ancona, (872) gli Slavi alle coste dalmate, (887) gli Ungheri al porto di Albiola (906). Sono questi i più antichi e gloriosi patti di alleanza tra l'Istria e Venezia, e degni di essere bene considerati dagli storici. E questo dico a quegli storici, e per conseguenza a' que romanzieri e poeti, i quali descrissero la nostra provincia come un barbaro nido di pirati. Singolare e veramente triste fortuna questa de' poveri istriani, i quali per secoli oppressi dai pirati d'oltre Quarnero, e i più esposti quindi per la vicinanza ai loro assalti, di assaliti apparvero assalitori, e come tali, confusi coi loro più efferati nemici ! (3) Qualche fatto parziale, ingrandito dalla fantasia de' poeti non dà alcun diritto a uu così universale giudizio. Ed auche si ha ad avvertire che come le guerre e le conquiste si condn-cevauo in que' secoli barbari non certo coi temperamenti dell'attuale civiltà, così e peggio dovea avvenire sul mare! Perciò il nome di pirata non fu sempre sinonimo di ladro, come masnadiero non sempre di assassino. Il diligentissimo Kandler, combattendo l'antica accusa (1) Continuazione. Vedi i Num. 23, 24; 1, 2. (2) Porta Orientale. Prodromo cit: pag. 46. (!!) L'arte ha fatto suo prò largamente di questo errore storico. Non si scrive romando con la scella nell'Istria, o rappresentazione drammatica, od opera in musica, senza che gli autori, per conservare il presunto colore locale, non rappresentino l'Istria quale un paese selvaggio, orrido per boschi e caverne ripiene di ladri e di assassini. Chi passò la parte fu il Caprantca nella sua Novella — La festa delle Marie, ove ne sballa di grosse sul conto di questa povera Istria. ' * -1 S: : - : e risalendo ab ovo così scrive : — Certo è che ben prima della conquista fattane dai Romani, gl'Istriotti battevano assiduamente il mare; accusati di esercitare la pirateria; ma questa non poteva essere disgiuntala navigazione pacifica siccome fu anche dei Greci infami per la pirateria (4) Seguono altre alleanze tra l'Istria e Venezia. Capodistria nel 932 mette in iscritto l'antica alleanza con Venezia. Dell'anno stesso è altro trattato tra il marchese, i nostri Comuni e Venezia; anzi gì' Istriani pattuiscouo che se il re comandasse di far guerra ai Veneti, ne darebbero loro contezza. (5) Così nel 992 le città marittime riconfermano gli antichi patti con Venezia: riconferme, alleanze, patti, giovi notarlo, tanto più cari, perchè oltre render libera ai nostri la navigazione, davano loro l'occasione di affermare sempre più la loro indipendenza, e il diritto di stringere alleanze absque jussione imperatoris. Che poi con queste alleanze i nostri non intendessero di legarsi le mani, uè di promettere cieca obbedienza a San Marco; cbè non tutte le città della nostra costa fossero costanti in questi trattati, lo si dimostra indirettamente dalla frequente ripetizione degli atti stessi: prova sicura di non fermi propositi nei nostri, e del bisogno che perciò Venezia sentiva di rammentare loro i passati concordi, concordi uon dissimili dalle alleanze delle città lombarde, che dalle preste paci passavano alle non meno preste guerre, cessato fosse il comune pericolo. Nè mancano le prove dirette. L'antica capitale della provincia, Pola, sentivasi umiliata da Venezia, che tirava a sè il commerciS e la navigazione. Usa dipendere da Roma prima poi da Ravenna, uon poteva, non voleva riconoscere tanta potenza e forza nella nuova capitale: credere che l'abbia riconosciuta di subito è uno sconoscere la storia, e negare i fatti posteriori che ci accertano di una lunga resistenza dell' infelice città, resistenza che finì con la sua quasi totale rovina. E noi rechiamoci ad onore di questa sua resistenza. Pola non venne meno alla sua dignità; e mantenne saldo secondo lo spirito dei tempi, I' onore del nome istriano. Pola prima, e poi Capodistria rappresentarono iu questa lotta con la prepotenza di Venezia la stessa parte di Lodi e Como con Milano : gì' Istriani, giovi ripeterlo, non furono in questo differenti dagli altri Italiani. — Nou sappiamo con certezza, scrive il Kandler, quali scissure abbia avuto Pola cou Venezia intorno la metà del secolo XII ; antica cronaca manoscritta l'accusa di aver corsi i mari, di essersi posta alla testa di un movimento di tutte le città istriane tosto dopo la prima crociata; talché vi erano cento legni che 1' Adriatico rendevano male sicuro. 11 doge Domenico Morosi ni spedì una flotta al castigo degli Istriani. Pola fu presa ed abbandonata al saccheggio ; e questa è forse la prima sventura, che la conduceva a deperimento (6). (4) Notizie storiche di Montona. Op. cit pag. 25. (5) Porta Orientale, pag. 48. Prodromo cit. (6) Vedi Notizie storiche di Pola Op. cit. pag. 54. L'illustre Carlo Combi nega il fatto nella Porta Orientale (pag. 51) come contrario al suo asserto; ed in prova cita nuove alleanze delle città istriane con Venezia precisamente di que' tempi, la promessa di mantenere l'onore di San Marco (retinere honorem B Marci) e di ottemperare al doge chiamato: totius Histriae dominatori. Troppi onori e troppe nuove promesse che provano tutto il contrario;e sono le conseguenze appunto di una sconfitta; e nuovi oneri con la politica del Vaeh vietisi Leggansi i documenti tratti dal Codice diplomatico, e riportati nelle Notizie storiche di Pola (pag. 272 e Ma la resistenza dei nostri diverrà più decisa e forte, quaudo Venezia tenterà di mutare i' alleanza e il protettorato in sudditanza. Se alleanza e protettorato, benché utili, nou furono sempre bene accetti agli Istriani; meno ancora il dominio; nè si lasciarono mettere il piede sul collo; ma da veri italiani, italiani del secolo 13, ignari dei sentimenti moderni, valorosamente resistettero-Se non che qui la loro resistenza trova uu naturale alleato nel patriarca d'Aquileja; anzi spesso l'odio istriano a San Marco si va trasformando in un apparente ossequio al meno aborrito giogo patriarchino, del quale ora abbiamo quindi a parlare prima di venire alle conseguenze volute dal propostoci argomento. VII I Patriarchi d' Aquileja, quasi tutti di nazionalità tedesca dopo il mille, iu conseguenza di queir infiltramento dei tempi di Ottone I., già potenti nell' Istria per le percezioni fiscali conseguite da Enrico IV nel 1077, e per nuove regalie avute iu dono dai marchesi, cercavano ogni occasione per esteudere il loro dominio sulla nostra penisola. E il loro governo o sgoverno che fosse cominciò nel 1208 con Volghero, a cui fu favorevole il fatto del trovarsi 1' ultimo marchese laico, Enrico III, in opposizione con l'imperatore Filippo di Svevia. Ma gì' Istriani abituati ad avere nel marchese lontano un'autorità più nominale che di fatto, non ne vollero sapere di un marchese vicino e patriarca. Quindi guerre, interdetti, scomuniche che per molti anni tennero agitato il paese, finche nella pace di san Gei mano (1230) Federico II, allora inclinato a stiingere accordi con la chiesa, favorì le ìagioni del patriarca accordando a questo il diritto di nominare i consoli, e i rettori delle città e castelli dell' Istria. Era un passo indietro, una grave reazione, uno sconoscere i patti di Costanza e gli effetti della Lega alla quale i nostri avrebbero, secondo accreditate tradizioni, preso parte, vincendo nelle acque di Salvore le galere imperiali guidate dal figlio del Barbarossa. Diedero quindi nell' armi, e per due secoli combatterono con varie fortune, i patriarchi marchesi: ed ecco così la povera Istria devastata e presa tra due fuochi. Di qua i Patriarchi con le loro pretese ed ordinamenti baronali ; di là i Veneti con le angherie di mare ; ed un destreggiarsi quindi degl' Istriani tra 1' uno e 1' altro partito, secondo meglio giovava alla causa della libertà, e non già per amore di Santo Ermagora o di San Marco: santi prepotenti entrambi e di quelli che si 75; e si vedrà che questi trattati del 1145 e del 1149 hanno tutto il carattere di un'imposizione di guerra. Quale poi sia stata la causa di questa è ignoto a! Kandler; non è però difficile rilevarlo dai documenti stessi. Nel primo documento si legge — l)e dationibus civitatis, videlicet majaticum, et prò unaquaque porta civitatis starium unum de vino quod soliti fuerant ipsi Vendici persolvere, omnia eis de cetero pretermittimus; et in omni nostrum tenumentum tamin civitatem quam extra cioita-tem sine omni datione preter portatiam ire et redire debent. E nell'altro documento — Et umnes Veneti salvi et securi et sine omni datione in omnibus nostris districtis in mare et in terra esse debent. La si è capita l'antifona? San Marco vuol andare e venire da prepotente senza pagare dazi a nessuno. La prima causa adunque di guerra tra Pola, anzi tra l'Istria e Venezia, (perchè nei citati documenti gli stessi oneri, sono imposti anche ad altre città) fu adunque il diritto che gì' Istriani voleano esercitare sulle loro acque, e di riscuotere i dazi, precisamente il diritto esercitato poi da Venezia. dipingono con la testa alta e con la spada in mano. (1) I Patriarchi di fatto furono sì introduttori di nuove forme restrittive della libertà, e di costituzioni alla tedesca; (il loro rappresentante non chiamavasi già vicario, ma ricario da voce tedesca richter) ma non isdegnarono di venire a patti col partito popolare ogni qualvolta si presentasse occasione di opporsi al temuto San Marco. E i Veneziani dall'altra parte, se miravano a togliere le istituzioni provinciali e la libertà di navigazione, anche potevano apparire liberatori con gli ordini e le leggi antigermaniche. Quindi si spiegano le guerre frequenti, gli ammutinamenti e i partiti che per due secoli straziarono il paese; e i rapidi passaggi da parte patriarcale alla veneta, specialmente nelle due città principali della provincia: Pola e Capodistiia. Pola, come è naturale, più che ogni altra città combattè Veneziani e Patriarcali, per conservare la sua indipendenza. Perciò, non curandosi dei patti giurati nel 1145 e nel 1149, negò nel 1241 il tributo a Venezia e fu perciò assalita dal doge Giacomo Tiepolo. Quindi nuovo trattato, o meglio dedizione dei consoli promettenti concordiam et conciliutionem domino duci Venetiarum, che si compiacque di accoglierli sotto le grandi ali del suo perdono; pi acuì t ipsos misericorditer ri ci per e. Altroché spontanee dedizioni ! (2) Ma rodendo il freno, ecco che pochi anni dopo, e precisamente uel 1264 tutto ciò non le impedì di darsi invece al patriarca Gregorio con atto scritto e rogato alla presenza del vescovo di Concordia vicedomino, dei signori Mavnardo de Piata, Artuico de Porcillis (conte Porzia) Bertoldo de Piris, Heniico de Mels, Walterobertojdo de Spin-nerberg ecc. ecc. (vedi bei nomi da conservarsi con tanta cura) promettente pei Polesi Dominus Monflo-ritus, si respira! (3) Così con questo Monfiorito comincia la potenza della famiglia dei Sergi in Pola, che aspirano al dominio della città, e che donati dal patriarca di vari feudi, s'impadroniscono del castello, e hanno quindi il cognome di Castropola. Ma ai Sergi si oppongono i Ionatasi altra famiglia potente, ed aspirante anche essa al dominio, e con feroci intendimenti, che dimostrano però l'antica energia degl'Istriani, ordiscono una congiura. e danno nelle armi il venerdì santo del 1271 durante una processione. (4) I Sergi vengono estermiuati (1) Prepotente fra tutti il Beato Bertrando, che per sostenere i pretesi diritti della sua chiesa devastò l'Istria e il Friuli, finché, messosi a capo delle sue banae, in ima sortita dal castello di Spilimbergo, fu assalito dal Conte di Gorizia, e nella mischia ucciso. (2) Il documento tratto dall'archivio generale di Venezia è riportato nelle Notizie Storiche di Pola a pag. 282. È un documento singolare dell'astuzia e prepotenza veneta. Anche è importante quale testo di bassa latinità, e del volgare nostro che fa capolino nei cognomi. Vi si legge per esempio Petrus de Moscardino, Andreas Buberius, Petrus Boccanigra, Jacobus de Te-genzo, Dominicus Trafolus, Odoricns Boteglarius ed altri che potrebbero dare occasione a molti studii di lingua e raffronti. Di cognomi tedeschi neppur uno ! E storpiature del cognome preposto al nome, come barbaramente e officialmente oggi si usa in Italia, neppur uua. (3) I nomi tedeschi del Friuli ed italiani dell' Istria sono documento delle differenti condizioni delle provincie sorelle. Nel Friuli di fatto prevalse 1' elemento feudale. (4) Fatto eminentemente drammatico, che dovrebbe ispirare i nostri giovani maestri di musica Giovannini e Smareglia meglio dei soliti romanzi e delle leggende scandinave. Un amore tra due giovani delle famiglie rivali, la congiura, la processione, un mistero celebrato nell'anfiteatro; l'odio di parte covato sotto il cappuccio da personaggi che rappresentano scene della passione: tutta roba da mettere assieme un libretto d' opera di effetto sicuro. ad eccezione di un fanciullo, salvato dalla pietà di un frate. Ed i Veneziani stanno a vedere, e soffiano un po' nel fuoco, finche la povera città stremata di forze, saccheggiata ed arsa dai Genovesi (1328), divisa dai partiti, pur di hon cadere del tutto nella Soggezione dei Sergi rifatti più potenti, compila nel 1331 la spontanea dedizione alla repubblica veneta! (5) __(Continua) P. T. (5) Veggasi nelle IVoti/.ie Storiche «li Poi» il relativo documenta a pag. 301, altro capolavoro di sapienza politica espressa con frasi melliflue e bibliche 1 cittadini di Pola, dice il testo stanchi di sopportare le gravissime tribolazioni attendentes ptenitudinem gratiae et fontem clementiae Ducalis Dominii, quae cooptatos erigit, devios ad stutum salutatevi reducit. . . . nec denegat auxilium et miscricordiam implorantibus...... deliberuverunt se totaliter èubmittere. ... E via con questo stile da gazzetta officiale del 48: tanto è vero che non c'è proprio nulla di nuovo sotto il sole. ___ NESAZIO Venezia, Gennaio 1880. Caro Madonizza, Rompendo un lungo, o, come voi dite, un troppo lungo silenzio, domando quartiere nella Provincia, non per me, ma per due miei e vostri amici carissimi, 1' avvocato Scampicchio e il capitano R. F. Burton. Già da tre mesi tengo una loro lettera che avrei mandato subito al vostro giornale, se non mi avesse sedotto il desiderio di accompagnarvela con un po' di premessa e commento. Ma a fare ciò, coi debiti riguardi verso il pubblico, mi occorreva qualche libro e qualche memoria che non avevo meco in Bassano dove ricevetti la detta lettera, e dove avendo trovato, nella pubblica biblioteca, dei mss. che si riferiscono all'Istria, mi sono trattenuto fino alle prime nevi Ritornato in Venezia ebbi altri impedimenti, che sarebbe noioso ed inutile qui sciorinare, e così dall' ottobre siamo arrivati al gennaio. Che volete? anch'io, pigmeo, sono come tanti grandi in balìa degli eventi, e quasi giorno per giorno mi accade di non poter fare ciò che vorrei. Ma entriamo nell'argomento. Si tratta della nostra capitale (non adombratevi), della capitale dell'Istria preromana, dai romani distrutta e poi dai romani stessi rifatta; sì tratta della regia di Epulo nostro, dell' ultimo rifugio della indipendenza istriana, del sito ove si chiusero con tremenda e pietosa catastrofe le ostilità e le lotte durate per oltre quarant'anui tra gli- antichissimi Istriani e la prima potenza del mondo. Gl'Istriani perdettero allora la indipendenza, ma tratti nel largo campo della civiltà mondiale, divennero membri di un grande consorzio, cittadini, quasi a dire, di Roma. Dalla caduta di Nesazio incominciò per l'Istria una nuova era di civiltà, di fortuna, di gloria. ù stato un gran fatto pel nostro paese ! Dopo Livio molti antichi e moderni lo narrarono e lo commentarono, ma pigliata la cosa alla buona e portata sul terreno veramente pratico, a me sembra che il migliore e più spiccio e più sicuro commento lo abbiamo oggi negli avvenimenti recenti dell'Asia e dell'Africa. Là pure si è lottato e si lotta prò aris et focis con mezzi inuguali, con valor disperato, tra un pugno di gente e le maggiori potenze del secolo, là pure si alternano vittorie e sconfitte, atti di barbarie da far inoridire ed eroismi degni di miglior sorte, là pure in ultimo prevale la forza e rimane soccombente il diritto. "Il inondo è vecchio, e tal fn ognor suo modo., Se non che le stragi della spada e le ruiue del cannone saranno compensate, è a sperarsi, dai pronti beneficii della civiltà che non può non infondere nuova vita ai paesi ed ai popoli vinti. — La civiltà è essenzialmente espansiva e quindi conquistatrice, e quando batte 1? ora chi non 1' accetta spontaneo, deve fatalmente subirla. Tale è il destino dell'uomo e dei popoli! A questo prezzo soltanto il mondo si sostiene e va avanti. — Bisogna però che il mondo civile smetta il mal vezzo di maledire ai caduti : bisogna che sia giusto coi vinti e che si adatti ad ammirare il valor sventurato. Dica Livio, lo storico dei vincitori, che Epulo è stato un barbaro; i fatti da lui stesso narrati dimostrano che fu un grande uomo in pace ed in guerra. E di questo dobbiamo noi tener conto. La conquista romana è stata un gran fatto, ed anche un fatto, se badiamo agli effetti, fortunato per noi, ma la storia del nostro paese non incomincia dalla conquista romana. La resistenza fatta dagli Istriani e il modo di questa dimostrano ch'essi non erano allora un branco di animali ciascuno occupato della propria pastura, ma uu popolo. Quindi la ricerca del sito della loro capitale non è una ricerca oziosa ed inutile, è un passo per risalire più alto. La capitale di un popolo è il centro della sua vita, è come il cuore, come il cervello dell' uomo, e quindi dalla sua postura ed ampiezza, dalla sua struttura e compagine, dai suoi avanzi emergono necessariamente, o certo si possono trarre indizii sicuri dell'essere di cotesto popolo, del suo modo di essere, delle sue abitudini, dei suoi costumi, delle arti, delle industrie, delle relazioni, dei commerci ch'esso ebbe con altre genti vicine e lontane. — La ricerca dunque del sito ove sorse e risorse Nesazio e dei suoi avanzi, non è tema ozioso, i ripeto, ma è argomento che deve stare a cuore d'ogni istriano il quale abbia coscienza di sè e si rispetti, chè i ricordi gloriosi del passato sono fonti di gloria per l'avvenire. Chi dimentica o sprezza il passato della patria sua, prepara danno e vergogna ai suoi figli. Il sito di Nesazio fu in altri tempi soggetto di studii, ma fatti, come allora solevasi, nelle chiuse stanze degli eruditi senza visitare il terreno, ne sortirono ipotesi strane e opinioni che non resistono alla critica più elementare. In epoca recente il nostro Kandler, di indimenticabile memoria, dopo lunghi studii sulla faccia dei luoghi e nei libri, e più lunghe meditazioni su notizie, su fatti, su indizii raccolti da lui, o a lui da altri somministrati, diresse l'acume del suo ingegno a Isacium, ai campi Isacii, a Vi-saze presso altura di Pola, e là, disse, cercate, là troverete le traccio e dell' antichissima e della rediviva Nesazio. Visitato il sito dagli amici Covaz e De Franceschi e da me (1866-1868) accettammo un dopo l'altro, nell' ordine indicato, e confermammo colla scoperta di nuovi segni la ragionata ipotesi del nostro duce e maestro. Rivisitato nel 1877 da me, dal Oovaz, dall'avvocato Scampicchio, dall' assessore provinciale Dr. Amoroso e dall'ingegnere Mattiassi di Pola, abbiamo in base a nuove osservazioni e scoperte riconfermato l'ultima previsione del Kandler già morto. Chi volesse seguire la via percorsa da questa idea troverà: — nell'Osservatore Triestino anno n. un cenno dei primi rapporti fatti allaGriunta provinciale dai nominati Oovaz e De Franceschi; — nelle Notizie storiche di Pola (tip. Ooana, Parenzo 1876 pag. 139-40) il concetto del Kandler compendiato in un articolo -- Nesazio - tolto al Codice epigrafico istriano che conservasi manoscritto nell'archivio provinciale, nonché a pagine 141-44 uno studio del De Franceschi intitolato — Bove sorgessero le città di Nesazio Mutila e Faveria; — e nella Provincia dell' I-stria, anno 1878 N. 6 e 7, le osservazioni, deduzioni e conclusioni fatte da me e avvalorate dal concorde parere dei signori Covaz, Scampic-chio, Amoroso e Mattiassi, in una mia Relazione alla Giunta provinciale datata 30 ottobre 1877. Infine molte particolarità, e intorno all'origine prima dell'idea e intorno a circostanze di fatto, si trovano riassunte in una corrispondenza che il Oovaz fece seguire a detta mia Relazione e che trovasi parimenti nella Provincia del 1878 al n. 8. — Quanto io stesso avevo notato e raccolto nel 1868 è rimasto inedito, ma dovrebbe esistere nella Corrispondenza del Conservatore, dacché egli stesso ne fa parola nell'or citato suo articolo Xesazto, e dopo di lui anche il De Franceschi. Ad onta di tutto ciò restava ancora nella mente di alcuni qualche non irragionevole dubbio da sciogliere, qualche difficoltà da superare, specialmente in riguardo al fiume praeterfluentem moenia ricordato con tanta precisione da Livio. — La nuova ispezione fatta adesso dagli amici Scampicchio e Burton, i nuovi e sempre maggiori indizii da loro raccolti sul luogo, e le osservazioni, e i confronti e le deduzioni da essi fatte al lume della scienza e della pratica, sciolgono a mio giudizio quei dubbi e tolgono le ultime difficoltà. Leggete con attenzione la loro lettera tanto evidente e vi persuaderete che se non si può dire accertato assolutamente il sito di Nesazio a Visaze, certo la probabilità è portata all' ultimo grado e sarebbe colpa ora il non sostituire alla penna la marra e non andar a tastare materialmente il terreno seguendo le traccie già segnate dai cercatesori. A questo punto, secondo il mio primo concetto, avrebbe dovuto terminare la premessa e incominciare il commento col quale avevo pensato di portar la questione sul campo strettamente pratico dando maggiore sviluppo alle osservazioni e alle conclusioni delia citata mia Relazione. E spinto dall' amore che porto al mio paese, e quasi dire valendomi del diritto che esso mi dà, avevo pensato d' insistere che sia data mano all' opera al più presto possibile e perchè a cose mature ogni procrastinazione riesce dannosa, e perchè le circostanze eccezionali dell' anno domandando imperiosamente lavori straordinarii, la sarebbe questa una bella occasione di soccorrere quei poveri cerca-tesori che inconsci, ci hanno appianata la via e che sono stretti, come sento, dai più urgenti bisogni. Se non che una novella ricevuta di questi giorni, lieta novella, mi fa smettere intieramente questa seconda parte. — Mi fu riferito che pochi giorni prima, pochi dopo dello Scampicchio e del Burton il sito di Visaze, e le adiacenze Gradina e Glavizza (così delle dai nuovi coloni dalmati che abitano quel territorio), furono visitate dall' egregio Carlo De Franceschi e da suo figlio Giulio, ai quali si sarebbero accompagnati i signori Tommaso Sottocorona e dottor Cleva medico in Dignano. Mi fu riferito in pari tempo eh' ebbero la buona sorte di trovare qualche nuova iscrizione e qualche frammento di statue, di capitelli, di colonnine, frammenti che raccolti dal sig. Sottocorona sarebbero stati da lui collocati a pubblica vista sopra un poggiuoto o terrazzo del suo stabilimento bacologico presso Dignano, e che il De Franceschi di tutto ne abbia fatta ampia Relazione alla Giunta provinciale. — Ciò posto, io rinunziò lietissimo la parola, perchè sono certo che all' amico De Franceschi, tanto erudito, appassionato e pratico delle cose nostre, nulla sarà sfuggito di quanto io avrei potuto dire, come sono certo che avrà detto molte cose che a me, anche per la lontananza di tempo e luogo, sarebbero probabilmente sfuggite. Valetevi dunque di questa buona notizia per interessare lo stesso De Franceschi e la Giunta a concedervi la pubblicazione del suo Rapporto e lasciate eh' io chiuda oggi col porgere agli amici Scampicchio e Burton pubbliche grazie per la lettera che hanno indirizzato a me e eh' io rimettendo a voi, intendo appunto di cedere al pubblico, il quale accetterà, spero, le loro e le mie conclusioni, e accettandole darà forza alle comuni proposte a vantaggio della scienza e a consolazione di quei poveri abitanti. Tomaso Luciani Albona, 9 Ottobre 1879 Carissimo Luciani Le discordi opinioni sulla posizione precisa dell'antica Nesazio, ed il desiderio di verificare se le ricerche fiuora praticate potevano condurre ad uno scioglimento razionale e definitivo della questione, ci indusse a riunirci in A'bona per proseguirle sulle traccio degli studii fatti dal Kandler, dagli amici Covaz e De Franceschi e da voi stesso, prima solo, poi associato ad altri conoscenti ed amici. Lasciando da parte le digressioni, vi diremo che ai 4 corrente di buon mattino, quantunque soffiasse forte il vento, e minacciasse la pioggia, ci siamo messi sulla via rassicurati dai nostri barometri che andavano innalzandosi a vista d'occhio. Le previsioni si avverarono perchè, dopo un' ora di cammino il cielo si è rasserenato e la bora si fece più forte. Giunti al porto del Traghetto nella Valle di S. Giorgio,alle ore 9 a. m. circa, dopo un breve riposo in casa del bravo l'ilota - Guardiano Domenico Viscovici Zupanetto, prendemmo posto iu una barchetta dirigendo la prora verso il porto di Badò. Ma noi avevamo fatto i conti senza la patria bora che, dopo vani conati dei nostri bravi marinai, ci costrinse a piegare a destra e a prender terra sotto Casteluuovo. Licenziata la barca, facendo di necessità virtù, abbiamo preso la via del monte verso Castelnuovo. Abbiamo detto preso la via per farci intendere, perchè a dire il vero su quel pendio non esisteva neppure la traccia di un viottolo. A Casteluuovo ci siamo fermati solo quel tanto che ci fu necessario per prendere cognizione dei luoghi e della migliorerà da seguire per giungere al più presto sotto Altura. Lasciati quindi i nostri piccoli bagagli all' osteria di G. Scalainera al-bonese, ci siamo incamminati, passando per Caruizza e lasciando da parte Momorauo, alla villa Vareschi. Partiti da Vareschi alle ore 1 p, m. dopo un quarto d'ora di cammino circa, siamo giunti iu vista della tanto aspettata Valle di Badò e ci siamo messi in posizione di poterla a tutto nostro agio dominare dall'alto. Il capo della Valle è formato dalle coste di Momorauo. Marzaua e Monticchio e forma un alveo in direzione generale da N. a S. È cosa fuori di dubbio che anticameute tutti quei pendii e la vallata istessa erano coperti da fitte boscaglie e che il torrente il quale oggi scorre lungo la stretta e sinuosa Valle di Badò, per lo passato, in epoche remote, doveva essere un fiumicello abbastanza importante. Nessuna meraviglia adunque che quell' acqua scorrente sopra un terreno cretaceo assai poroso, (calcare ippuritico) nel volgere degli anni e dei secoli sempre più incassata e abbassata sia poi uscita più sotto presso il mare al porto di Badò ove da poco, per quanto ci fu raccontato dalla Guida presa ai Vareschi, fu da un sacerdote edificato uu molino. Il mare anche a Badò, come in altri luoghi della spiaggia adriatica, giungeva anticamente ad una posisene più alta. L' elevazione lenta e secolare del terreno ad opera del fiumicello ha cooperato alla formazione di quella palude che si vede nella Valle di Badò presso al mare e che fu da noi visitata nell'agosto del 1876. Questa palude rende l'aria di quel luogo assai malsana, di che ce nw siamo accorti appunto nel 1876, perchè tutti i membri dell' unica famiglia cbe abita quel luogo deserto portavano scolpito sul volto il segno della malaria; come abbiamo dovuto convincerci che all' epoca della dominazione romana l'aria cattiva non aveva ancora fatto capolino in quella amena posizione. In fatti, senza tener conto di altre traccio di romane abitazioni nei dintorni, abbiamo potuto rilevare qualmente la casa del nostro o.spit.e, un Lovranese, era stata costruita precisamente sugli avanzi di una antica Villa romana, che 1' acqua potabile gli veuiva fornita dall'antico impluvio romano e che perfino l'acqua stessa veniva estratto della cisterna a mezzo del vecchio conduttore nella sottoposta cantina, colla sola aggiunta di un moderno rubinetto d' ottone. Ma lasciando di favellare della parte bassa ritorniamo a Badò superiore proseguendo alla meglio a descrivere quel tratto di regione che si offerse ai nostri sguardi cupidi dalla dominante posizione sopra descritta. — La ripida discesa ci fece scorgere il panorama della riva sinistra ovvero occidentale della Vallata stessa. Nella parte superiore ci si presentarono siili' orizzonte gli aberi e le case di Altura, più sotto il piccolo gruppo di case e le torre dette Glavizza, e infine sopra un terzo piano ancora più basso, 1' altipiano di Visace formato da una lunga striscia terminata al nord ed al sud da due burroni. Subito sotto ha il suo principio l'attuale strada che rasenta Visace diretta per Altura e Monticchio e che anzi potrebbe senza molte difficoltà essere ritenuta la vecchia strada costruita sulle traccie dell'antica romana. Montati sull'altipiano di Visace, conosciuto da tutti gli abitanti del luogo e dei contermini villaggi sotto questa denominazione, fu nostro primo pensiero di esaminare accuratamente la conformazione del terreno. Il burrone del nord è chiamato attualmente Braga Mon-tisca, quello del mezzogiorno, eutro al quale si trova un campo detto Gradina, la Regnovizza; i fondi coltivati siti intorno alla Draga Montisca sono nominati Campi di S. Giovanni (Ivatisca Gniva), ed i terreni pure messi a coltura all' ingiro del capo Regnovizza sono detti Campi di Santo Antonio (Antonsca Gniva). Questi due burroni di secondaria importanza che traggono la loro origine a Visace e corrono quasi paralleli da occidente ad oriente vanno a cadere nella vallata principale di Badò, disegnando la forma dell' altipiano di Visace. Per quanto la brevità del tempo ci ha concesso di esaminarli, nei due burroni del nord e del sud non potevano mai esistere sorgenti d'acqua perenne, ma erano percorsi da semplici torrenti. La faccia orientale posta di fronte alla Valle di Badò misura ia lunghezza tre quarti di chilometro. Prima di ogui altra cosaci ha colpiti una muraglia diroccata che attraversa Visace nella parte superiore da N a S eretta a difesa della parte più alta verso Altura e Monticchio, ove l'attacco riusciva assai più facile. Fortuna volle poi che da recente i proprietarii dei fondi di Visace, spinti forse dalla speranza di trovar tesori, eseguirono qua e là degli scavi su vasta scala, mettendo allo scoperto grosse fondamenta, macerie, au-tiche cisterne, pietre lavorate, cornici, avanzi di colonne, capitelli, embrici e perfino anche una iscrizione che abbiamo rilevato e che non manchiamo di riportarvi qui sotto: Un altro piedestallo consimile, ma senza inscrizione, fu pure uotato nelle vicinanze del primo. Le fatiche di quei villici non andarono perdute, perchè cogli escavi si sono procurati cementi e malte da cui ritrassero una eccellente sabbia da fabbrica e colle pietre lavorate di non comuui dimensioni un materiale prezioso. Se gli scavi fossero praticati in proporzioni maggiori, specialmente nella parte centrale dove fino alla profondità di molti metri sempre si trovano avanzi di vecchie costruzioni, egli è certo che molta luce potrebbe essere fatta e tolte parte almeno di quelle du-biezze che finora lasciavano incerti gli archeologi sulla posizione dell'antica Nesazio. Sarebbe quindi cosa consigliabilissima di praticare un taglio sull' altipiano di Visace da NE a SO scavando un largo e profondo fosso in quella direzione ; ciò che potrebbe esser eseguito a cura del Municipio Polense d'accordo colla Giunta pro- vinciale, coll'incarico al signor Ingegnere municipale Mattiassi dell'esecuzione dei rilievi e disegni di quella interessante posizione, come voi ne avete già fatta la proposta nel 1877, nella vostra Relazione alla Giunta provinciale. Sulla carta dello Stato maggiore la posizione di Visace è indicata sotto la denomina/,iona di M. Gradino. Ed a proposito della Carta suddetta ci sia permesso di notare come nella sua compilazione occorsero in quanto a nomenclature molti e gravi errori assai dannosi a chi è costretto di valersi nelle escursioni della medesima. La denominazione tanto interessante dal lato storico di Visace non avrebbe dovuto mancare, perchè, come abbiamo osservato, tutti la conoscono in quei luoghi. Così al porto del Traghetto sul Canale dell'Arsa dove ha sede 1' Ufficio di sauità si trova la chiesa di S. Giorgio e non già di S. Antonio come erroneamente sta scritto sulla carta militare. Ma torniamo al nostro principale argomento. La posizione da noi finora descritta, la più elevata, costituiva indubbiamente la città alta o superiore, (come a cagione d'esempio Muggia vecchia), mentre più sotto si scorgono ancora dai tre lati verso i due burroni e la grande valle di Badò, le gradinate ove i cotti e frantumi di mattoni, embrici ed altri rimasugli di fabbrica non lasciano alcun dubbio sulla esistenza della città bassa, inferiore (Muggia nuova). Dalla parte della valle di Badò là ove la discesa si fa più ripida, le acque trascinarono al basso tutti gli avanzi antichi e la costa è proprio messa a nudo. Qui dobbiamo notare un fatto a cui nessuno finora ha posto mente. La città alta veniva alimentata d'acqua dalle pioggie mediante le cisterne di cui alcune esistono tuttora e furono anche messe allo scoperto dai padroni dei campi, mentre la città bassa, la più vasta e più abitata, mancava affatto d'impluvii di cui non se ne riscontra alcuna traccia, ed era proveduta d'acqua dal vicino fiumicello della vallata di Badò. Chi ha visitato altre antiche città, specialmente in Asia, coinè a cagione d'esempio Palmira, non può dubitare della giustezza delle nostre induzioni. Anche Palmira è divisa in alta e bassa, ed ogni casa della città superiore ha la sua cisterna, quando invece alla città bassa somministrava l'acqua il vicino sottoposto fiumicello. Dalle notizie storiche si rileva avere i Romani presa la città di Nesazio deviando l'acqua, operazione che sarebbe stata eseguita senza che gli assediati se ne fossero accorti. Chi ha visitato Visace da ogni lato, chi scendendo nella Valle di Badò la percorse tutta come noi, non trova alcuna difficoltà alla esecuzione di questo stratagemma, essendo cosa facile che i Romani abbiano tirato e innalzato un argine dietro una delle svolte al nord della vallata, tagliando così il corso dell'acqua e , facendola correre verso l'oriente. Questa ben ponderata operazione di guerra privava la numerosa popolazione della città bassa dell'acqua, la quale non potendo essere fornita dagli impluvii, costrinse la città alla resa. Lasciando quindi impregiudicata la questione, se Visace fosse stato prima, e nell'epoca preistorica uno dei soliti Castellieri, riteniamo in seguito alle nostre induzioni di poter ragionevolmente conchiudere, che iu quella località sia stata eretta la vecchia Nesazio istriana e poscia, sulle macerie della prima, costruita la romana. Ultimate le nostre ricerche, fecimo ritorno a Ca-stelnuovo senza volgere i passi in Altura e Monticchio, sapendo come le cose più rimarchevoli erano state da voi rilevate e riportate nella Provincia. Ci dolse però che la stanchezza, causata dal forzato cambiamento nel nostro programma, costringendoci a fare a piedi la via che dovevamo percorrere in barchetta, e facendoci per di più perdere uu tempo prezioso, ci abbia tolta la possibilità di visitare Momorauo e gli altri luoghi vicini. La mattina dei 5 ottobre poi, accompagnati da due Aibonesi domiciliati a Castelnuovo, dirigemmo i nostri passi a Castelvecchio di cui rimangono alcuni avanzi, e che posto sopra uu promontorio che quasi cuneo si a-vanza sul canale dell'Arsa, domina tanto la parte interna verso l'ovest, quando l'esterna girante la PontaUbas al sud lungo le così dette Merlare. Quel castello ora quasi intieramente diroccato doveva essere il nido di qualche vecchio ladrone che stava in agguato in attesa della preda per piombarle addosso appena entrata nel sottoposto canale. Avendo poi rilevato die sopra il molino Blas vi era una località appellata Grande Castelliere (Vela Gradina), abbiamo diretti verso quel sito i nostri passi e vi giungemmo alle ore Ila. m. circa. — La valle di Blas è formata da un cuneo sui fianchi del quale scorrono due torrenti che arrendile vanno a cadere nell'Arsa. — Sotto le case dei Oragli, e proprio sul burrone del nord, che si deuomina di S. Lorenzo, corre una grossa muraglia senza cemento in direzione da nord a sud, nella, lunghezza di metri 250 e nella larghezza di 8 metri circa, a difesa della parte più vulnerabile del Castelliere, avendo alle spalle una piccola depressione di terreno che leggermente s'innalza verso la terra ferma. Il Castelliere si estendeva all'est della grande muraglia in una pendenza verso la base del cuneo. Le mura ai fiauchi e sotto il Castelliere, sebbeue molto dameggiate dal tempo e dalle intemperie, perchè sul pendio del burrone, pure lasciano scorgere ben pronunziate e non dubbie traccie del loro corso. I cocci sono i soliti degli altri Castellieri, assai rozzi, formati d'argilla mista a sabbia di spato calcare, e si trovano ili grandissima copia raccolti dalle acque sotto al Castelliere. L'osservazione del nostro amico Covaz esistere oggidì fabbriche di pentole a Castelnuovo, le quali su per giù sono di una pasta eguale a quella dei Castellieri, ci fece venire la voglia di prendere informazioui sul modo di fabbricarle, e di instituire un confronto fra le vecchie e le nuove. A Castelnuovo sull'Arsa quasi ogni famiglia fabbrica pentole, ma con una semplicità veramente preistorica. Si scava l'argilla che a filoni si trova in un burrone della sottoposta costiera, la si impasta con sabbia di spato calcare, le si dà la forma, e dopo aver per qualche giorno asciugato il materiale pronto, lo si abbrucia malamente in piccoli forni comuni atti appena ad arrostir bene il parie. Acquistata una di queste pentole nuove, dopo averla spezzata l'abbiamo messa a raffronto coi cocci trovati tanto a Visace quanto nella Vela Gradina. I vecchi, i preistorici nou iscapitauo punto nel confronto quauto a finitezza di lavoro coi nuovi. Discesi poscia a molino Blas, abbiamo dovuto convincerci che l'amico nostro De Franceschi aveva mille ragioni per sostenere che la vasta città di Nesazio non poteva essere stata costruita iu quel luogo, mancandovi assolutamente P area necessaria per una grande città e per far scorrere un fiumicello che i Romani hanno deviato prima di prenderla. Le sorgenti attorno al molino Blas sgorgano tutte al livello del mare, cosa assai comune del resto alle sponde orientali dell'Istria e perfino della isole del Quarnaro. Ultimata la nostra gita ci siamo restituiti in Albona prendendo la strada delle Stallìe e Carpano. Lunedì poi dopo una visita al Castelliere d'Ersisehie, fatti praticare qua e là degli scavi nel terriccio nero che circonda il Castelliere e ne traccia il contorno, e raccolte molte ossa e cocci, ci siamo lasciati nou senza tenerci impegnati di nuovo nella prossima primavera di fare assieme una escursione luogo 1' altipiano del Monte Sissol in cerca di nuovi e per rivedere i già noti Castellieri. Osiamo sperare che questi brevi cenni riusciranno graditi a voi ehe fino dai più teneri anni vi siete dato con amore e perseveranza alio studio delle cose patrie. Ricevete frattanto una stretta di mano. dai vostri sinceri amici e f. bubton a. scampicchio Seguono alcune note del Luciani che saranno stampate nel prossimo numero. La Redazione. NOTIZIE L'Illustrissimo sig. Riccardo Bazzoni, podestà di Trieste, quale preside del Comitato di beneficenti* a vantaggio dei poveri di Trieste e dell'Istria, ba trasmesso a la Giunta Provinciale in Parenzo, fiorini mille, cioè fiorini £00 destinati dagli oblatori espressamente per i poveri dell'Istria, e fiorini 800 a titolo di antecipazione del Comitato di beneficenza, della somma raccolta e da raccogliersi. — Nel far inserire nell' Osservatore Triestino del 23 p.p. gli analoghi documenti, la Giunta provinciale vi aggiunse la seguente diohiaraziouo: In tale occasione la Giunta provinciale ben Sicura di interpretare i sentimenti di riconoscenza di tutti gì' Istriani, rivolge a codesto Illustrissimo signor Podestà, alla spettabile Commissione di beneficenza, ed a tutte le corporazioni e persone, che coli le loro caritatevoli orierte tanto grandemente contribuirono a rendere meno dure le sorti del povero in quest'anno di somma angustia, le più sentite azioni di grazie; assicurando elle couie viva e perenne rimana la memoria non verrà neppur inai meno negli Istriani quell'affetto che ormai iu-dissolubilmente li lega alla città di Trieste. LA GIUNTA PROVINCIALE DELL'ISTRIA Parenzo 21 Gennaio 1880. Nuova pubblicazione Ci scrivono da Parenzo in data del 28 d, come coi tipi G. Coana sia ultimata la stampa dell' opera già annuziata nel nostro periodico (an. XIII, n. 15) JL' J STRIA NOTE STORICHE DI £arlo de Franceschi ^Segretario emerito DELLA JjIUNTA PROVICULE ISTRIANA. e come ai primi del corrente ne incominciela la distribuzione ai Signori Associati. Quest'opera del diligente e consenzioso nostro Storiografo è divisa in 44 capitoli; cioè due di più degli annunciati nel Manifesto d'Associazione, e conta 503 pagine jn 8° grande.