NNO XXIII. Capodistria, 1 Settembre 1889. N. 17 LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e qua-irimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso !t Redazione. A PROPOSITO DI MARINO MOROSINI limo conte feudale dell'isola di Cherso e del suo successore Il Lucio (.De regn. Dahn. ecc., ediz. Vienna, "168) basandosi sulle parole (ch'ei riporta) d'un mista veneto (eh' ei non nomina) dice, che morto urino Morosini, sopranominato Bazedg (tanto il •onista citato quanto il Dandolo hanno Bezeda — séda ? — parola) i Chersini spedirono a Venezia degli fasciatori, aftinché chiedessero un conte che du-se in carica due anni (e non tutta la vita, come tt lo addietro) ; che la domanda venne accolta fa-irevolmente, e che il primo conte biennale si fu lirea Doro. Correva l'anno 1304. p 11 Farlati (Illyr. sacr., V, 197) ripete le stesse ff e finisce cosi : «Haec ex monumentis Venetis Mmaticis». Coli'aiuto dei documenti pubblicati dal prof. S. liubich (Monumenta ecc.) si può dimostrare che èst'asserzioni sono del tutto erronee, e viceversa: che i Chersini chiesero a Venezia un conte bien-ile prima della morte di Marino Morosini, cioè, 11'anno 1301; II, che la di lui morte avvenne nel 102. e non nel 1304, come dalle asserzioni suddette irrebbe; III, che il primo conte biennale si fu Giano Zeno (1302-1304?) e non Andrea Doro; e IV, ( un Andrea Doro (probabilmente lo stesso cui alile il Cronista veneto) fu bensì conte di Ragusa esso a poco in quegli anni là, ma non lo fu di terso quando che sia. Almeno ciò non apparisce da menti. Desta pertanto per lo meno un po' di iraviglia, che il Prof. S. Petris toccando questa lestione nel suo ultimo lavoro : Lo statuto dell'isola \ Cherso ed Ossero (cfr. Progr. del ginn, di Capod., 89. p. 36), nel mentre cita quale fonte cui attinse suoi documenti il voi. I dei Monumenta ecc. del iubich (il qual voi. I, sia detto per incidenza, fu iblicato ancora nel 1868) ripeta nell'anno di gra-1889 nè più nè meno di quanto affermò il Lucio idi tre secoli fa!!! Ma lasciamo le persone e velilo alle cose. Essendo le seguenti noterelle tratte dal voi. I iMonumenta ecc. del Gliubich, basterà che ne inibì la pagina. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. 1301, 23 Marzo, Venezia. «Quod detur comes illis de Cherso ad duos annos cum salario ... sicut habebant alii comites qui erant ad duos annos, cum illa familia et conditione quibus erant alii comites ad duos annos»... (p. 193). Che anche prima di quest' epoca la contea di Cherso fosse stata governata dai conti biennali, magari precariamente, risulta non solamente dalle parole sopra riportate, ma anche dal seguente deliberato del 1268: «Quomodo comitatus Chersi esse debeat ad tempus duorum annorum» (p. 104). 1302, 5 Gennaio, Cherso. Marino Morosini «.comes totius Ausseri insule», giacendo ammalato nel palazzo comunale di Cherso, di notte, interrogato dai presenti . .. rispose, che' si diceva saldato in pieno «tara de regaliis domini ducis, quarn de suo salario» .. . (p. 197). Quest' è 1' ultimo atto pubblico di Marino Morosini, il quale, o in qualche mese seguente del 1302, o nei primi mesi del 1303 passò a miglior vita. Eccone la prova: 1303, 11 Giugno, Venezia. «Cum egritudo invaserit nobilem virum Jacobum Geno (tableau !) comitem Chersi» ... (p. 202). Altro che Andrea Doro primo conte biennale nel 1304 !! E qui finirebbe il mio compito; se non che, visto che sono nell' argomento, completo 1' articolo con alcune brevi noterelle tolte dallo stesso voi. 1. 1306, 6 Settembre, Venezia. Dovendosi eleggere XX Savi per decidere su alcune cose risguardanti il re di Serbia, «inter quos sint tres comites Ragusii, qui fuerunt, scilicet domini Nicolaus Quirino, Ma-rinus Georgio et Andreas Doro» ... (p. 212). Se 1' ordine in cui sono disposti questi tre ex conti di Ragusa corrisponde all'ordine col quale tennero la carica, Andrea Doro sarebbe stato conte di Ragusa presso a poco negli anni indicati dal Cronista veneto, (1304-6 ?) il quale avrebbe preso un qui prò quo nella destinazione. Nel 1309 Andrea Doro era di nuovo conte di Ragusa, perchè in data 19 Febbraio di quell' anno il doge spedisce una lettera per certi affari : «Andree Dauro corniti Ragusi» (p. 235). Provato cosi che il successore di Mar. Morosini, il quale come si sa represse la rivolta di Capodistria nel 1278 (cfr. De Franceschi, p. 135; Romanin, II, 309) fu Giacomo Zeno e non Andrea Doro, voglio ancora dimostrare che quest' ultimo non fu neppure uno dei primi successori dello Zeno e quindi con tutta probabilità non fu mai conte di Cherso. 11 successore dello Zeno fu Rizzardo Quirini (1305-1307?) Che nel 1305 egli fosse già conte di Cherso appare dal fatto, che in questa veste egli in quell' anno riforìhò lo Statuto di Veglia (cfr. Vinciguerra, Information ecc. cap. II). Nel Maggio del 1307 egli era ancora conte di Cherso, perchè in data 5 il doge P. Gradonico gli affida l'incarico di pacificare i Vegliani coi loro conti: «commisimus nobili virò Rizzardo Quirino, de nostro mandato corniti Ahserensi, quocl acl insulam Vegle se- tramfèrrei*.....(p. 214). Vi restò di certo ili tale carica fino a tutto Dicembre 1307, mentre nel biennio 1.508-10 resse la contea Bartolomeo Contarmi, come dal seguente documento : 1307. 27 De-■ cembre>--Venezia. «Ctim pon'eretur, quod nobilis vir . Baftholomfttìs Contàreno iturus Comes Chersii, qui teiietur tenere in: domo duós equos, absolvatur prò primo anno occasione foni et palcarum que inveniri non possunt ; et alio anno teneatur servare suam corata isstonem»-. (p.'223). ■ Trieste 23 Agósto 188$. G. V. '•-••'; -itù.--.——1—--:-— • -Sono trascorsi ventanni da che su queste pagine un egregio giovane comprovinciale propugnava con. vivacità e forza d'argomenti la necessità di costituire. un associazione del progresso in una serie di- Ietterei di un- utopista, coni' erano intitolate, dirette- aita redazione; molti anni dopo l'associazione ebbe forma e si chiamò, società politica istriana. Òggi .lo stesso patriotta, maturo d'anni e di esperienza, ci dirige la lettera che segue ; la quale più di quanto possa apparire ha relazione con le idee svolte veiifaiiiii or sono. Se allora propugnava di fondare un associazione tra provinciali, oggi predica che. 1'associazione, costituita sappia reggersi e consolidarsi.. - Per raggiungere questo supremo intento, se occorre la mente direttiva degli nomini maturi, hort "occorre meno il concorso delle giovani forze, è dà queste anzi ci attendiamo, nella incertezza e apatia morbosa in cui pare caduta la nostra provincia, le proposte di una vita più operosa e lo svolgiménto, del conseguente programma, ed i propositi di concordia. ■Al Direttore della "Provincia,,. RIFLESSIONI MELANCONICHE DI UN VECCHIO Caro Amico. Poiché mi hai trascinato sulla scena, sono obligato parlare, e lo faccio a malincuore, perchè temo forte che non arriverò a farmi intendere. Io sono oramai un uomo d'altri tempi e non capisco affatto quello, che oggidì con disinvolto eufemismo si chiama evolusionel per me, in materia di principj, non vi ha evoluzione' possibile; le cose sono quello che sono, e, come da Adamo in poi il bianco è stato sempre bianco, cosi, a mio avviso, il bello non è diventato il brutto e quel eh1 era il vero una volta, non ha cessato di essere il vero anche oggi, solo perchè molti anni sono passati. Parlo del vero assoluto ; che quanto al vero relativo, sarebbe un altro pajo di maniche. Ma questi, che a me sembrano aforismi, non persuadono più i giovani, ai quali sorridono altri ideali, e di qui nasce la difficoltà di intendersi. C' è poi una seconda difficoltà, che si aggrava sopra la prima e non dipende dalle persone, ma è insita nelle cose, di cui si deve discorrere, nei tempi, nei luoghi, in cui il discorso si fa ; più che dire, bisogna accennare, e se il leggitore non sa capire tra le righe, buona notte, si resta al bujo come prima, anzi peggio. Tuttavia mi proverò, e se tu vorrai publicare queste mie riflessioni, forse mi riuscirà, se non di persuadere qualcuno, almeno di chiarire il mio concetto I di spiegare perchè io sia andato sulle furie, leggendo, compiegato nel tuo giornale, quel disgraziato foglietto giallo, che conteneva il manifesto di una nuova Guidi Scematica istriana-dalmata. Premetto che io non ho nessuna antipatia per I Dalmati e per la Dalmazia; è un paese, che stimo-j rispetto, come si stimano e rispettano le persone oneste. Ma dallo stimare e rispettare al lasciarsi confondere 4 trasmutare nella persona, che si stima e si rispetta, ci corre un abisso. Tu hai stima e rispetto per chi sa quante brave persone di tua conoscenza : ma non paj questo consentiresti a rinunziare al tuo nome, al tuo io e accetteresti di portare il nome loro e di essere confuso con loro. E infatti i Dalmati non hanno mai chiesto, nè permesso di essere chiamati Istriani ; sono Dalmati,.e per tali vogliono essere conosciuti e riguardati. E hanno ragione. Perchè noi dovremmo pensare j agire altrimenti ? A questa prima ragione d'indole generale, la quale fa sì che due provincie contermini possano beuissimo amarsi e stimarsi reciprocamente, senza che perciò la; personalità dell'una venga confusa e assorbita in quellaj dell'altra, si aggiunge per noi Istriani un altro motivo infinitamente più impellente a consigliarci, a importi anzi-colla forza di un sillogismo categorico la più assoluta separazione della Dalmazia. È una storia vecchia, sulla quale s' è stancata la pazienza dei nostri più boi nemeriti; e riesce veramente mortificante il dover ritornare oggi sopra argomenti, che si avrebbe diritto di credere passati oramai in succo e in sangue, e rifar la lezione a chi dovrebbe saperla a memoria fin dalle fasce, Chi accetta quella teorica geografica, secondo cui la penisola italiana finisce all'Isonzo, può benissimo meravigliarsi che si faccia tanto chiasso perchè uno stampatore qualunque ha messo in un almanacco il nome dell'Istria accanto a quello della Dalmazia, come se fossero le parti di un tutto; per costui al di qua dell'Isonzo comincia l'Illiria, della quale l'Istria e la Dalmazia sono due provincie, e l'appellativo di illirici, che molti tuttodì ci danno, è bene applicato, esatta espres- ione di un esatto coucetto geografico. Ma allora, -sic-:ome la logica ha le sue esigenze imprescindibili, bisogna essere anche pronti e riconoscere che hanno ragione coloro, i quali trattano questa nostra patria come terra ilava, considerano noi come invasori e, invocando le ra-[ioni del numero e quelle della giustizia, ci intimano di sottometterci a loro, ovvero di sgomberare. Costoro lono logici : data la premessa, filano tutte le conse-[uenze, che ne derivano, e giungono a quell' ultima, ìlie ho accennato. Ma se invece si crede che Iddio con immortali Caratteri di monti e di marine Ha segnato le patrie, « si guarda a quella vecchia cerchia delle Alpi, che dal Colle di Tenda si svolge in vasto giro fino all' ultimo sprone del Monte Maggiore, si dovrà riconoscere iie tutte le terre comprese entro questo baluardo na-arale appartengono a una sola unità geografica, e che ier converso non vi possono essere ascritte quelle, le inali restano fuori di tale cerchia. E ne consegue che l'Istria, la quale è al di qua delle Alpi, appartiene geo-[raficamente all' Italia ; la Dalmazia, che è al di là, non ippartiene all' Italia Sono dunque due concetti non paragonatoli, due cose disformi, che non hanno alcun punto Ji contatto fra loro, e sbaglia — a dir poco — chi le rad ravvicinare e fondere in uno. Mi diranno che tutto ciò è risaputo, e che non falera la pena che io mi anfanassi a sfondare una porta aperta. Se fosse vero, saremmo pienamente d' accordo, e ^non mi sarei certo preso la scesa di capo d'indirizzi questa predica. Il male però è che la cosa non è posi liscia, come taluno, forse, può supporre. Senza ri-lordare ciò, che molti egregi comprovinciali dissero e ferissero prima del 1856 per mettere in chiaro il grossolano errore, che commette chi dell' Istria e della Dalmazia fa due provincie sorelle, mi basti richiamare alla tua memoria la Porta Orientale e quel manipolo di valorosi. che si stringeva intorno a quell'annuario. Essi le quelli, che, più giovani, si rannodarono più tardi con loro, picchiarono insistentemente questo chiodo e i superstiti — poiché i più sono oramai trapassati — lo picchiano ancora. Ma, sappiatelo bene e figgetevelo nella ^emoria, il frutto è scarso, non corrisponde alle fatiche Barate ; e oggi ancora, pur troppo, accade spesso di trovare in libri e giornali italiani le più strampalate notizie sul conto nostro. Dice il Caprin in quel suo ultimo e simpatico libro sulle Marine Istriane: "Alcune pecchie e recenti publicazioni, trattando dell'Istria, dimostrarono che gli autori si valsero della prima stampa ^capitata loro fra mani, o che, visitando i luoghi, riportarono una impressione raccolta forse dalle risposte ,del locandiere,. E dice, pur troppo, vero, e se ne noi una prova recentissima, non hai che a leggere uno ei più diffusi e dei meglio scritti giornali d'Italia, il Fan-ifl del 26 Luglio passato. L Ora sapete voi a quali conseguenze può portare ìperduranza di questo .errore? Lo sapete? Pensateci, Iforse le troverete. Io qui non posso dirvele tutte; ma iene richiamerò una, una sola, che ho già accennato, ed è che, se non si protesta con ogni energia contro chiunque per ignoranza, per basso spirito di lucro o per passione politica fa opera di sbattezzarci e lavora, conscio o inconscio, a farci passare per quello, che non siamo, si perde il diritto di combattere coloro, che da qualche tempo si posero a insidiare la nostra nazionalità. E mi pare che ce ne sia d' avanzo. Le condizioni della nostra provincia sono oggimai fatte gravissime. Una sola via di salvezza veggo ancora aperta : la concordia più piena, più intima, più operosa fra tutti quelli, e non sono molti, che compongono la classe dirigente ; la energia più costante nel difendere il nostro patrimonio più prezioso, l'unico anzi, che ci sia rimasto, e non solo contro li apostoli esotici dello slavismo, ma altresì contro la leggerezza di quei nostri, che, ciechi dell' intelletto e sviati da mire personali, potessero, forse iuvolontarj, favorire 1' opera dei nostri nemici. Un almanacco non è un documento diplomatico, non muta la posizione delle Alpi, siamo d' accordo ; ma se lo si lascia venir fuori proprio in casa nostra a sostenere fin dalla copertina un errore fondamentale, di massima, se anzi gli si facilita indirettamente la diffusione, esso diventerà domani un' arma contro di noi. E noi non siamo tanto forti, da poter sfidare tutte le offese e vedere con animo tranquillo che i nemici nostri trovino delli alleati perfino nel campo nostro. Ecco perchè io sono uscito fuor de' gangheri, vedendo che la Provincia accordava l'appoggio della sua publicità a un libro, che ribadirà un vecchio e pericolosissimo errore a nostro danno, e indirettamente quindi lo raccomandava ai suoi lettori. Sono cose strane, inesplicabili. La Provincia ha raccolto la tradizione della Porta Orientale; è suo debito di mantenerla pura; se non sa farlo, meglio che muoja. Meglio infatti, mille volte meglio il silenzio che un vaniloquio inconscio e compromettente. Tu ti lagni che io ti abbia sospettato. No, io non ho sospettato e non sospetterò mai di te, perchè ti conosco. Ma i tuoi sentimenti sono cosa tua personale nota soltanto ai tuoi amici ; quel che va per le mani del publico, quel che resta, è il giornale. E se il giornale tace, quando dovrebbe parlare, se anzi col suo contegno lascia adito alla supposizione che approvi ciò, che dovrebbe biasimare, il giornale ha torto, vien meno al suo dovere, tradisce il suo programma. Non è impresa facile oggidì lo scrivere in Istria un giornale, che tenga fede alle proprie convinzioni, senza urtare nei mille scogli, di cui è seminata l'acqua infida, in cui esso deve navigare. Lo so ; ma ciò non vuol dire che per non vedere li ostacoli si abbia a chiudere li occhi. Bisogna studiare, meditare osservare prima di scegliere la propria via ; ma poi proseguirla animosamente. E un posto di combattimento, un posto d' onore e bisogna tenerlo. Del resto, la Provincia, o io m'inganno, deve raccogliere intorno a se il fiore dei nostri giovani, ed essi, associati in un nobile intento, animati da quello zelo infaticabile, che è dote preziosa dei loro verdi anni, renderanno più facile alli anziani l'opera comune. Giacché la concordia, condizione indeclinabile di riucita, è alla sua volta soggetta a un' altra condizione evidente : che i giovani, contenti di mettere l'opera loro a vantaggio del bene generale, si lascino guidare da chi ha più anni, più esperienza, più autorità di loro. A ciascuno il suo posto: abbiamo ancora in Istria, laddio-mercè, de' patrioti generosi, avanzi di venti battaglie, commilitoni di que' nostri indimenticabili, che furono Combi, Madonizza, Belli, Gravisi, Bartole, Barsan ; ad essi spetta di pieno diritto la condotta suprema sì nella Dieta, che nella Società Politica o ne' giornali ; li altri li seguano: farebbero atto di ribellione, se pretendessero mettersi al loro posto. E d'altra parte, le nostre schiere non sono così numerose che possano, senza grave jat-tura, scindersi. Non saran soverchie tutte le forze, di cui potremo disporre, per resistere a un nemico baldanzoso e favorito, pur troppo, di mille ajuti diretti e indiretti. Una diecina d' anni fa, la Provincia iniziava l'anno nuovo con un articolo intitolato Concordia. Non ricordo più 1' articolo, ma ricordo che cominciava con questa citazione di Sallustio '.concordia res parvae crescimi, discordia maxumae dilabuntur. A dieci anni di distanza quella sentenza dello storico latino è, pur troppo, ancora e anzi più che mai opportuna. Figgetevela in mente, traetene le conseguenze, e non date ai vostri nemici, che vi stanno osservando col ghigno sulle labbra e la speranza nel cuore, lo spettacolo dei proverbiali capponi di Renzo. tuo aff.mo G. B. 2ST o tizi e La onorevole presidenza della società politica i-striana ha deliberato, che l'invito per la continuazione del congresso di Parenzo, anziché a domicilio dei soci segua mediante avviso da inserirsi a suo tempo nei periodici P Istria ed il Giovine Pensiero, e ciò a risparmio di tempo e di spesa. La decorsa ultima domenica di agosto venne inaugurato nella vicina Isola il gruppo locale „Pro Patria". Così al progresso materiale della piccola città alla quale siamo legati da tante simpatie, vediamo di pari passo prendere sviluppo anche le manifestazioni di civiltà; e- gli arditi pescatori così bene descritti dal Ca-prin, e i bravi agricoltori, si unirono agli artigiani più svegli, con lo scopo di prender parte più viva negli interessi generali, e migliorare le condizioni del loro bel paese. La festa sul mare ebbe luogo come annunziata a Pirano domenica 25 p. d. L'Indipendente ne ha pubblicato una bella descrizione che avressimo riportata se ci fosse rimasto spazio, onde dimostrare, per quanto è dato a noi, con quanto interesse e plauso dev' essere accolta la felicissima idea di ritornare agli antichi usi, alla festa veneziana per eccellenza, la regata ! Sono belle e interessanti le regate delle società di canottieri, ma per le stesse e molte altre ragioni, non meno belle e utili sonò le regate alle quali possa prendere parte la nostra popolazione marineresca, con le sue barche. E applaudiamo ai bravi giovani del club Salvore di Pirano per la lodevole iniziativa, e desideriamo che 1' esempio giovi. ----- Per il giorno 7 p. v. alle ore 11 a. m. venne convocato in Parenzo il congresso annuale ordinario della società istriana di archeologia e storia patria, c( seguente ordine del giorno : 1. Resoconto morale della società per gli ani 1887 e 1888. 2. Esposizione dei conti consuntivi degli anni 189 e 1888, e di quelli di previsione per gli anni 188 e 1890. 3. Elezione della direzione per la durata del V anno sociale. 4. Eventuali proposte di singoli soci. Nolla seduta del Comitato permanente del Con siglio agrario provinciale, del 3 agosto, venne deliberati di tenere l'adunanza plenaria del consiglio il giorn dell'apertura della Dieta col seguente ordine del giorni 1. Comunicazioni della Presidenza; 2. Relazione generale sulla attività del Consigli nell'ultimo periodo 1888-89; 3. Discussione di quelle eventuali proposte eh pervenissero alla Presidenza entro il termine fissato di Regolamento ; 4. Domanda all'eccelso i. r. Ministero d'agricoltur affinchè voglia appoggiare la concessione temporane della coltura del tabacco nei territori tìllosserati di Si ciole e Val di Fasano, quale espediente per render possibile la ricostituzione dei vigneti coli' impianto ( viti americane innestate: 5. Proposta d' una mozione tendente ad ottener che il Regolamento della Dieta provinciale venga mo dificato nel senso, di equiparare il Consiglio agra/ provinciale alla Camera di Commercio ed Industria, ni diritto all' elezione diretta di due suoi deputati nel sei della Dieta. ------1 Appunti bibliografici Le origini dei canti popolari latini cristiani Studio di Arturo Pasdera. Torino. Loeschei 1889. (Estratto dalla Rivista di Filosofìa e d'Istruzione classica anno XVII fascicolo 11 e 12 Un fascicolo di pagine 63 in sedicesimo. Degli scritti del signor Pasdera, nostro coni provinciale, professore erudito e valente negli stili classici, altra volta si è detto negli Appunti della Provincia. Ed ecco un nuovo frutto del suo ingej gno — Le origini dei canti popolari latini crii stiani. — L' argomento è importantissimo e degni di studio. Come bene osserva l'autore, e come da resto a tutti è noto, le disquisizioni sulle proda1 zioni intellettuali dei secoli di mezzo, se erani tenute in generale in poco conto, ora sono in onore e di ricerche sulle origini, sulle fonti delle lette rature moderne, o di una data forma della letteratura ne abbiamo forse anche troppe. Comunque sia, uni storia delle origini dei canti popolari latini cri stiani non fu fatta ancora compiutamente!, e fora piena non si potrà dare mai. Questo adunque del Pasdera è un tentativo; ed anche, per essere giusti, conviene subito notare che il presente studio fa parte d' altro suo lavoro Sui canti popolari latini del Medio-evo che egli spera fra non molto di poter condurre a termine e pubblicare. Come è, questo brano intanto va lodato per copia d'erudizione : quanto fu scritto in proposito dai Tedeschi: Ebert, Kaiser, Thierfelder, ecc. ecc. e dai nostri: Bartoli, Labanca, ecc. ecc. ... è ben noto al diligente professore, e non vi ha dubbio che nel promesso lavoro di molte cose accennate si farà una più larga pertrattazione, ed altre verranno ommesse per non ledere 1' economia dello scritto. La sua opera poi sarà certo proficua se vorrà guardarsi da due difetti del presente studio. E sono: Primo. Un sentimento assoluto, e un dommatismo dirò così scientifico, per cui l'autore esce dal suo argomento, e invece di darci 1' origine dei canti cristiani, pare voglia indirettamente fare propaganda al Renan ed ai critici tedeschi. Secondo. La poca conoscenza delle fonti cristiane, e specialmente dell' inno liturgico, officiale quale è al presente, e in cui vi è qualche traccia della primitiva popolarità nel senso e con quelle restrizioni che accennerò a suo luogo. Per provare come i primi canti popolari latini (e in ciò sono in parte d'accordo con lui) abbiano origine dal popolo, e sieno un prodotto extra-officiale, uno sforzo naturale dei nuovi sentimenti e delle idee, di cui ì primi cristiani avevano piena la mente ed il cuore, l'autore poggia subito i piedi su di un falso terreno, e scrive. — „La lirica religiosa non è subito innologia liturgica, ned è sempre nè tutta liturgica."' — E come le religioni onde nasce sono in generale opera di popolo e più di tutte la cristiana, così essa è prima di tutto e soprattutto opera del popolo, svoltasi per fatto naturale." (pag. 10). A sostenere 1' origine naturale del cristianesimo (il cristianesimo sempre esistente, prima come annunzio poi come realtà è un opinione secondo il Pasdera da lasciarsi ai sopran-naturalisti, pag. 36) 1' autore scrive che nelle adunanze dei primi fedeli non c' era nulla di liturgico che vi si attendeva solo alla distribuzione dei soccorsi, e alla lettnra delle epistole dirette al sodalizio, che d'una gerarchia non c' era segno, e che quella buona gente dei dodici apostoli non avevano fatto nulla di nulla, prima di San Paolo, il quale sarebbe, secondo la più strampalata ermeneutica, il vero fondatore del Cristianesimo (17). E tocca via di questo tenore. Qui non è luogo di una polemica religiosa. La più elementare cognizione della storia cristiana e dei libri santi è sufficiente a diradare 1' errore. E in quanto a quella buona gente dei dodici apostoli, oh che ! la Pentecoste non conta più nulla ? (Atti Apostoli II). Paolo poi, il fondatore del Cristianesimo secondo il Pasdera, proprio nella lettera a quei di Efeso, più volte citata in questo studio, dice a chiare parole — „Ed egli (Cristo) costituì apostoli altri Profeti, altri Evangelisti, altri pastori e dottori per il perfezionamento dei santi, pel lavorìo del ministero ecc. ecc. (Cap. IV, Ile 12). Se la provvidenza, (cosa detta e ridetta) si è poi nell' esplicazione dei principi, nell' educazione del mondo, adattata al grande principio pedagogico del fare un passo alla volta, e se a Paolo toccò 1' ardua impresa di predicare il Vangelo ai gentili non per questo è logico dire che il cristianesimo fu opera umana, e Paolo il fondatore, come non sarebbe logico il credere Galileo creatore del sole, perchè gli è toccato quello che gli è toccato per annunziare agli orbi la verità. Davvero che i dom-matisti della scienza e gli avversari per sistema del soprannaturale danno qualche volta del capo in un cattivo muro. Le menti più elette, i più forti ingegni da San Paolo al Rosmini, da Dante al Manzoni hanno in tutti i tempi creduto all'esistenza del soprannaturale; ci crede perfino oggi Ausonio Franchi, ritenuto il più forte razionalista, e che fece testé ampia ritrattazione de' suoi errori. Anche questo per Iddio ! è un fatto storico che il positivismo non può nè negare, nè ragionevolmente spiegare a meno che non si voglia credere ad un rammollimento cronico per secoli della sostanza cerebrale, e che San Paolo, il Rosmini, Dante e il Manzoni siano stati tutti imbecilli. Torniamo a bomba. L'ipotesi dell' origine dei canti latini cristiani poggia sul falso, 1' argomento non regge. L'antico inno cristiano potrà essere benissimo di origine popolare; ma il complesso dei sentimenti e delle credenze religiose manifestate negli inni è soprannaturale, è opera di fede. Cristo e non il popolo ne è in questo senso il vero e primo autore. Se nou che giova intendersi meglio su questa origine popolare, e fare una qualche distinzione. A dimostrare l'origine popolare degli inni latini cristiani il Pasdera si fonda su di un passo di San Paolo nella lettera a quei di Efeso, e che suona così. — „E non vi ubbriacate col vino nel quale è lussuria, ma siate ripieni di Spirito Sauto, — parlando tra di voi con salmi ed inni e canzoni spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori al Signore. — (Cap. Y, 18, 19)." — Qui non si tratta di un innologia liturgica; sono inni che si cantavano non solamente nelle chiese, ma e nei campi e sul mare, lavorando e navigando; ognuno ne compone . . . ognuno vi trasfonde le proprie idee ed i propri sentimenti; ed il popolo accoglie e rigetta, muta, accorcia, allarga, corregge." (pag. 11). E non è già questa un'alzata d'ingegno del Pasdera. Quando si pensi alla vita dei primi cristiani, e alla grande influenza del dogma, allora così vivamente sentito, non si può non accettare le idee dell' autore. Si aggiunga che, su per giù, tale è il senso dato a questo passo, dal commentatore ben noto — P arcivescovo Martini, sulla cattolicità del quale nou si può mettere dubbio. Ma il Pasdera, sempre dominato dall' idea fissa dell' origine popolare del cristianesimo e dell'esclusione del soprannaturale, subito aggiunge: — „Che là ci sia un ordine o precetto chiesastico, come vuole qualcuno la è cosa da non mettere neppure in consulta . .. L'apostolo in quelle due lettere discorre unicamente di cose che riguardano alla vita privata de' suoi fedeli." (pag. 40). E più sotto: „Tali precetti non si danno per via di scritti; nè a lui (Paolo) spettava di darne." Paolo, rispondo, come apostolo, e con la coscienza del suo dovere ben conosceva P origine dell' autorità sua che era riconosciuta pienamente e rispettata da' suoi figli spirituali. Peggio poi dove il Pasdera dice che in queste due lettere (agli Efesini ed ai Romani) parla unicamente di cose che riguardano la vita privata. L' erroneità .di queste parole è evidente, quando si leggano i primi capi della lettera stessa agli Efesini. Nel capo primo spiega l'esaltazione di Cristo resuscitato e costituito capo di tutta la chiesa. (Altro che Paolo fondatore !) E nei seguenti via via con 1' autorità d' apostolo e la piena convinzione tocca dei dogmi fondamentali del cristianesimo; quindi passa ai precetti morali, non di una morale indipendente e campata in aria, si noti bene, ma logica conseguenza dei principi di fede, e si passa a dare precetti e consigli di vita privata a chi sa benissimo di avere altri doveri pubblici verso la grande società dei fedeli. Questo è unicamente il senso delle parole di Paolo. Toccato di questo difetto dello studio del Pasdera, passo a dire del secondo: la scarsa conoscenza delle fonti, e specialmente dell'inno liturgico officiale quale è ancora il presente. La differenza tra gli inni popolari e liturgici è ammessa dall'autore stesso, e con molta erudi- zione ne discorre, specialmente alla fine del lavoro dove tratta dell'antichissimo inno angelico il Gloria1). Rimane sempre il desiderio di un più ampio svolgimento della materia. Gioverà che nel promesso lavoro l'autore largamente esamini come l'inno liturgico abbia influito sui canti popolari e viceversa ; ma per ciò fare conviene che egli si spogli del pregiudizio accennato, e ritenga ben fermo che pei canti liturgici un' autorità diretta e vigilante certo ci doveva essere, per non ammettere locuzioni dubbie, o inconvenienti alla maestà del rito cristiano. Nè con ciò intendo si abbia a priori ad escludere ogni influenza di popolo sulla liturgia: al popolo certo appartenevano e dal popolo sortì molti santi patri antichi, e non è giusto, non è secondo la storia credere che il clero pure non abbia avuto i suoi poeti. L' autore giustamente riconosce che la poesia ha echeggiato nei canti delle catacombe, considerando la perfezione d' 1111 antichissimo ritmo, quale è l'inno a Dionisio martire, e i versi per la giovinetta Agnese, „giojello di luce purissima, lavoro tra i più graziosi di quanti poi ingiustamente si raccolsero sotto- il nome di Sant'Ambrogio." (pag. 34). Ma la perfezione (il Pasdera lo vorrà certo riconoscere) non è ordinario distintivo della poesia popolare; e toccherà a lui col suo buon gusto, con la sua erudizione cercare in detti inni il movimento spontaneo, naturale del popolo, e distinguere il tocco posteriore d' una mano autorevole e correttrice. Lo stesso dicasi per l'inno bellissimo agli innocenti. Il concetto Aram sub ipsam simplices Palma_ et coronis luditis. è grazioso, ha un non so che di fresco, ed infantile ; ma certo vi è passata sopra una lima autorevole e classica. La stessa ignoranza poi, come bene avverte il Pasdera, del vero autore di un dato inno, dimostra da ultimo l'esistenza di un'autorità che, accogliendo una produzione privata, faceva scomparire il nome del poeta, e rendendola proprietà di tutti, le dava la sacra nota della cattolicità. Così avviene a un dipresso anche ai noslri giorni. Chi sa dirmi 1' autore del Heilig dolce risonante tra gli orrori dello Spielberg e che commoveva quella santa anima del Pellico ? E da qui a qualche anno nessuno saprà forse che i canti sacri, soliti a cantarsi a Trieste durante la messa, furono composti per ordine del governatore Stadion, approvante il ') Non è però solo nelle prime parole del Gloria che si accenna all'Evangelo (Luca 12... 14) ma anche nel Qui tollis (Giovanni I. 29); e tutto l'inno ha un movimento di stile biblico e movenze salmitiche che attestano la veneranda antichità. vescovo Raunicher, dal noto poeta Francesco Dall' Ongaro. Da ultimo un attento esame degli inni più antichi (e tali sono quelli delle officiature, dominicali e feriali) indicheranno qua e là al critico l'origine popolare e un eco lontano della semplice musa cristiana. Ecco qualche esempio: —Il gallo canta, ritorna la speranza, sorgete — Ecco la luce, albeggia al popolo, viene Cristo; via la notte, le tenebre le nubi. (Feria IV, Laudes)-. Altrove la turba pare risponda all' avviso di Paolo — Già Cristo, ci richiama alla vita ed esclama: Casti, retti, sobrii vigilate. Più tardi l'imitazione classica, è evidente, e l'inno rasenta l'ode oraziana: segno di una dotta mano; ma allora il popolo, non ha più parte attiva come nei primi tempi, preti e frati mormorano le loro preghiere in una lingua non più intesa: tra le navi della vecchia basilica e il presbiterio è sorto un muro di divisione. Perfino il vero spirito Cristiano si ricerca invano qualche volta nei nuovi inni. Santa Marina è pregata di mandare tutti i malanni nei confini dei barbari — in fines age Threidos. — E nell' inno alle Vergini c' è uno spruzzolo di comicità. «Dovunque vai, o Cristo, le vergini ti seguono correndo e cantando." . Post te canentes cursitant E qualche frate burlone sorridendo pare voglia aggiungere e commentare corrono acciabbattando. Dal sin qui discorso panni si possa conchiudere : cauti popolari latini cristiani ci furono anche prima d'Ambrogio nelle famiglie cristiane; e prima di lui salmi ed inni nelle chiese. I canti popolari hanno di certo influito sull' inno liturgico ; ma per essere ammessi alle chiese ricevettero l'approvazione della vigilante autorità. .E il Pasdera senz' altre preoccupazioni, nè prò nè contro., accolga semplicemente i falli e su questi fondi le sue disquisizioni. Ai lettori poi chiederei venia, di averli con simile argomento annojati, se il dispetto di cose ecclesiastiche non fosse un pregiudizio come ogni altro, e non li conoscessi per prova tolleranti e studiosi. Albino Zenatti. Arrigo Testa e i primordi della lirica italiana. Lucca, Tipografia Giusti 1889. (Estratto dagli Atti dell' Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti). Un fascicolo di pagine 4L Ed ecco qui altro lavoro, sulle origini non già della lirica di chiese, ma sui primordi della lirica italiana. Fino a pochi anni or sono, non ci voleva molto abaco a sciogliere un tale problema. La li- rica era nata, così si credeva da tutti, alla corte di Federico II; "Ma in questi ultimi tempi, nei quali gli antichi canzonieri poterono essere meglio e più compiutamente conosciuti, coteste asserzioni tradizionali non appagarono più i curiosi. Per fuggire gli errori vecchi (così il Zenatti) credo però si cada in nuovi e più gravi, quando si rinunzi anche all' origine antica della nostra cultura, per ritenere che gl'incunaboli di essa vadano cercati anziché a Palermo a Bologna,,. Dando poi un colpo alla botte, ed uno al cerchio, ribattuta la contraria opinione 1' autore conchiude — Antica, cortigiana, ghibellina rimane adunque 1' origine della nostra lirica colta. La quale dalla corte di Federico e di Manfredi si diffuse ben presto, per tutta Italia e fu coltivata particolarmente da uomini di legge. A ciò contribuirono varie circostanze; l'incontrarsi di molti studenti nel giure di Bologna, e più ancora il frequente tramutarsi di detti podestà col codazzo dei loro famigliari, da uno ad altro comune. Non è una opinione azzardata, non provata con la storia alla mano. E qui seguono fitte citazioni dimostranti i gravi studi del bravo professore. Un Orfìno da Lodi, giudice ghibellino scrisse un rozzo, ma curiosissimo poema — De regimine et sapientia potestatis, in cui si raccomanda al podestà di distrarsi coi suoni, coi canti, col lusso e col donneare. Rimatori furono Giovanni Quirini, veneziano, forse podestà di Trieste nel 1305, Monfiorito da Coderta che ebbe le podesterie di Pola e di Trieste nei primi decenni del secolo XIV; e molti, altri, Nè questo connubio del codice col rimario, avvenne solo nel 1300, se nel secolo decimosesto troviamo un Giovanni Tazio Giu-stinopoìitano. Nella sua — Imagiue del Rettore della ben ordinata città ') — vuole il podestà sappia di lettere così latine come volgari, e si diletti "in^ torno i leggiadrissimi sonetti e le altre rime del Petrarca,,. L'argomento, si osserverà, è indiretto, perchè qui si parla di podestà del 1300 e del 1500; mentre a sostenere l'asserto conveniva citare nomi di podestà rimatori del 1200. Ed ecco che il bravo Zenatti passa a discorrere diffusamente di un Arrigo Testa rimatore ducentista e legale alla corte di Federico II. E se di podestà rimatori che vissero nel secolo seguente tenne parola, fu per mostrare come le tradizioni anteriori continuassero per molto tempo. Ma come già si è detto di sopra, non perciò nega ') La imagine del rettore della ben ordinata città di Giovanni Tazio Giustinopolitano. In Venezia appresso Gabriel Giolito di Ferrar» MDLXX1II. Di quest' opera non fa cenno lo Stan-covich; rammenta però altre due di argomento affine: onde si. capisce che il Tazio fu il mentore dei magistrati. quanto si è creduto finora, e per amor del nuovo non inventa ipotesi strane. Questo rimanga ben fermo: podestà e frati in campi diversi ajutarono nel secolo XIII il primo germogliare delle rime volgari; ai primi la lirica colta, antica, mondana, ai secondi la popolare, morale e religiosa. E se la prima non ebbe veramente origine siciliana, perchè non tutti siciliani quelli che la coltivarono, pure nacque, per protezione di principe alla corte di Federigo. In fondo è la sentenza di Dante.• Quia regale solium erat Sicilia, factum est ut quidquid nostri praedecessores vulgariter pro-tulerunt, sicilianum voeetur : quod quidem retine mus, et nos, nec posteri nostri permutare valebunt. "E questo sia suggel che ogni uomo sganni„. Ancora una parola di encomio ai due bravi istriani che fanno nel vicino Regno onore al paese. P. T. Manuale di Pedagogia Pratica — esposto in dieci temi secondo i programmi ministeriali. — Libro di lettura per la classe terza normale e per le famiglie. Lodi tipo-litogr. C. DC1PAV01889.1) Raccomandiamo ai nostri maestri, lo studio del Manuale di Pedagogia Pratica del nostro professore Paolo Tedeschi; il libro non è fatto soltanto per i maestri, P egregio autore lo compose anche per le famiglie, lo raccomandiamo dnnque anche alle buone madri. E ben più autorevole della nostra raccomandazione, riportiamo quelle di riputati organi. Ecco cosa ne scrive il direttore della scuola normale di Bari nello Spartaco del 3 Agosto. „Libri di pedagogia non mancano certamente in Italia, anzi abbondano in modo mirabile; ma non sono tanto frequenti le opere pedagogiche che siano inspirate a retti principii scientifici per guisa che siano feconde di vera utilità nel campo delle pratiche applicazioni. Egli è per questo che con viva compiacenza segnaliamo agli studiosi questo libriccino del prof. Tedeschi, valente quanto modesto insegnante nella Scuola Normale di Lodi. È un operetta senza pretese, ma che rivela nel suo autore una conoscenza profonda delle discipline pedagogiche ed un'esperienza consumata e sapiente nell'arte educativa. Il prof. Tedeschi con molto senno non entra nelle questioni metafisiche, nè nelle discussioni accademiche, le quali per lo meno sono inutili; egli non segue, come tanti pedagogisti, le teorie più o meno innovatrici o dissolvitrici degli stranieri, egli, fedele ai principii scientifici della scuola italiana, ne fa nel suo libro assennatissime applicazioni e ne deduce utilissime conseguenze. La sua opera è divisa in dieci capitoli, in ciascuno dei quali sono svolte le parti più importanti del programma di pedagogia per il corso superiore; e sono svolte con ordine e chiarezza ammirabile, con grazia 1) Per ordinazioni rivolgersi dal libraio Benedetto Lonzar in Capodistria, il prezzo è di lire it. 1.50. di lingua ed eleganza di stile. Perciò questo non può non tornare di grande vantaggio alle scuole ed alle famiglie-Mi piacquero, sopra gli altri, gli articoli ove si tratta dei vari periodi e della durata dell'educazione; saggie considerazioni ho trovato là ove si parla dell' azione armonica della scuola e della famiglia nel campo educativo ; veramente inspirati a nobili ed elevati ideali •sono i capitoli in eui si ragiona del carattere morale. „Mi è caro perciò tributare queste pubbliche lodi all'esimio professore, che ha voluto giovare all'incremento della coltura pedagogica, pubblicando questa operetta, frutto preziosissimo di lungo studio e grande amore. E gli auguro con tutta l'anima che il suo ottimo manuale di pedagogia venga dagli studiosi giustamente apprezzato e sia adottato nelle scuole normali come libro di lettura.* Riportiamo in aggiunta il seguente giudizio che abbiamo letto nel Risveglio Educativo di Milano del 15 Agosto. „Modo d'insegnarla grammatica, il bello scrivere, la storia, la geografia ; questioni che si agitano sull'enciclopedia delle scuole elementari, sull' efficacia educativa, sull'autodidattica, scuola, famiglia carattere: ecco in pochi termini la materia trattata in questo volumetto con senno illuminato e pratico e con forma seria e spigliata." ———-———--——•--- PUBBLICAZIONI È uscito il fascicolo I, (gennaio-giugno 1889) Volume XV, nuova serie àeAVArcheografo triestino, edito, per cura della Società del Gabinetto di Minerva. È un volume in quarto di circa 340 pagine, del quale, per oggi, ci limitiamo ad indicare il contenuto: Attilio Hortis. Castellani Bassianensis Venetianae pacis inter Ecclesiam et Imperatorem libri II, pubblicati per la prima volta. Joppi Dr. Vincenzo. Documenti goriziani del sec. XIV (cont.). Vassilich Giuseppe. Da dedizione a dedizione, appunti storico-critici sulle isole del Quarnero. Morteani Prof. Luigi. Contratto dei sali stipulato fra Venezia e Pirano nel 1616. Ristauro della Cattedrale di S. Giusto. Relazione della Commissione delegata dalle Società d'Ingegneri ed Architetti, Circolo Artistico e Gabinetto di Minerva (con una tavola). Pervanoglù Dr. Pietro. Le Gorgoni, illustrazione di alcune terrecotte acquistate dal Civico Museo d' antichità di Trieste (con due tavole). Swida prof. Francesco. Regesto dei documenti conservati nel Museo provinciale di Gorizia. Frauer Emilio. Traccie di popolazioni semitiche in Italia. Ascoli G. I. Il dialetto tergestino. Joppi Dr. Vincenzo. Del dominio dei patriarchi d'Aquileia in Trieste dal 1380 al 1382. Maionica prof. Enrico. Le antiche epigrafi aquile-jesi, osservazioni sull'opera "Corporis inscriptionum la-tinarum supplementi italica,. Relazione dell' annata LXXVIII della Società di Minerva letta dal Presidente L. Dr. Lorenzutti nel Congresso generale del 28 giugno 1888. Rivista Bibliografica.