L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 18 Settembre 1847. M 56 — 57. Monsignor Vescovo in Pirano. Chiarissimo Signor Redattore. PIRANO, li 14 settembre 1847. Non credo estraneo alla tendenza del foglio suo ciò che sono per iscrivere, ed in ogni caso ella potrà farne queir uso che più vorrà, dettata essendo la presente però da un cuore che sente tutto, che onora la patria nostra comune. La visita che va facendo alle parocchie della diocesi 1' amatissimo nostro vescovo, riesce dovunque quasi una ovazione, un trionfo rallegrato dall' amore e dalle esterne dimostrazioni del buon popolo istriano, solito a venerare nel proprio pastore il ministro di Dio. Mi trovava a Isola nel momento in cui il dì 8 corrente verso il tramontare del sole fra il suono dei sacri bronzi, lo sparo dei mortaretti, gli evviva del cuore, fa-cevasi l'incontro delle barchette messe a festa circondanti una galleggiante riccamente addobbata, e da cui discendeva a terra Monsignor Legat, il quale nel commosso animo suo impartiva a quella devota popolazione prostrata le benedizioni del cielo. Io credo in gran parte dovuto alle cure dell' ottimo........ l'ordine, la concordia, la solennità di quell'arrivo, che poteva eguagliarsi ad un formale ingresso, come pure le unanimi dimostrazioni d' affetto del giorno 9, quando avviavasi verso Pirano che moveva ad incontrarlo al confine del territorio colla Spettabile Rappresentanza Comunale, col Reverendissimo Capitolo, e coi notabili suoi cittadini. Dopo 1' Ave Maria della stessa sera sentiva il buon Piranese dagli evviva che di colle in còlle ripetevansi, e che dai monti alle valli echeggiavano, e dal suono dei sacri bronzi, il solenne arrivo di Monsignore, e prevenendolo col desiderio accorreva ad unirsi in quella effusione del cuore, che sarà sempre la più sublime di tutte le dimostrazioni d'un popolo. Io non Le dico qual fosse 1' animo del venerato Pastore quando dal còlle di S. Nicolò discendendo colle autorità locali fra la folla del popolo colle torcie accese che lo accompagnavano, vide la bella illuminazione della città sottoposta, e specialmente nella via del suo passaggio alla chiesa ed alla parocchiale abitazione formicolante di gente d'ogni età, d'ogni sesso, d'ogni condizione: nè della musica dei dilettanti le terrò parola, i quali lo festeggiavano sul piazzale della Sanità coi musicali concenti, nè potrei ritrarre l'allegria ed il commovimento che spirava dall' aspetto d' ognuno quando poteva beatificarsi di mirare il volto commosso ed atteggiato a pietà del venerando Pastore benedicente. Grande, sublime è il sentimento del popolo, ed io dirò pur sempre: Beato chi lo intende e lo può a suo tempo eccitare. Il giorno IO, indossati gli abiti pontificali, moveva processionalmenle Monsignor Vescovo dalla parocchiale abitazione per la piazza e per la contrada messa a festa, alla Collegiata insigne di S. Giorgio, dove celebrò la messa accompagnata qui per la prima volta dai sacri cantici, che tanto promuovono la divozione, e dopo la visita ai Sacri Altari, e prima di impartire il sacro cestna, 1' ottimo Prelato fece spargere all' affollato popolo dolci lagrime di pietà e d'amore con una breve allocuzione. Oh perchè non posso io ridirle quelle care parole che sul suo sacro labbro uscivano da un cuor palpitante di cristiana carità e compreso dalla santità della sua divina missione! Ricordo che egli raccomandava la concordia e la pace nelle famiglie, la reciproca indulgenza, l'educazione della prole e quella carità verso il povero di cui i Piranesi avevano dato bellissimo esempio nella erezione della Casa di Bicove-ro, che sarebbero in seguito per sostenere; lodava la religiosa pietà e la decorazione di quella chiesa collegiata; fece conoscere però il sentito bisogno della devota popolazione che fosse ampliata, e 1' augurio espresse ed il suo desiderio di vederla raccolta nei vincoli della religione e della fratellanza, ricevere la sua benedizione in una chiesa più capace al primo suo ritorno quando verrebbe per la seconda volta alla visita della Diocesi. Si rendessero cari a Dio ed agli uomini nell'amore e per 1' amore cristiano che nelle sante opere si manifesta. Dovessero precedere i sacerdoti con una vita intemerata e santa, e coli'esempio delle azioni virtuose ad edificare il gregge loro affidato, e si congiungessero colle sollecite loro cure nella orazione del popolo per implorargli dal Signore forza a disimpegnare le gravi incombenze dell' augusto suo ministero. Procedeva nelle ore pomeridiane alla visita delle altre chiese delle quali trovò di lodare la decenza con cui sono tenute, fece visita alle scuole, dove istituì sperimento della dottrina cristiana in tutte le classi, si recò alla recente Casa di Ricovero ed al vecchio Ospitale intrattenendosi coi poveri ricoverati come un padre coi figliò Nel giorno 11 fu ricevuto dalla religiosa famiglia dei Conventuali nella chiesa di S. Francesco a benedire le due nuove campane che segneranno l'epoca fortunata della prima visita del nuovo Pontefice della Diocesi, e che per la prima volta suonarono a festa colle altre tutte al momento dipartite. Lasciò in tutti il caro Pastore gran desiderio di sù, si popolò di nuovo il colle dove torreggiano le mura de' buoni Tiranesi auguranti ogni prospero evento, e dodici legni lo accompagnarono di nuovo a Isola dove era aspettato colla commozione del cuore. Il di Lei fratello presentava Monsignore, non potendolo d'oro e d'argento, d' un pastorale del regno vegetabile cresciuto su que' colli, e fu assai gradito da lui perchè gli animi gentili ricevono anche i piccoli doni della natura e dell' alletto con gratitudine. Un arco improvvisato d'edera e d'alloro col motto: AL SVO DILETTO PASTORE BARTOLOMEO ISOLA DEVOTA sorgeva nel luogo donde commosso si congedava dal popolo Monsignor Legat entrando nella galleggiante con sei barchette che la rimurchiavano verso Capodistria fra gli evviva degli Isolani e fra le care parole di meritato e corrisposto affetto del Reverendiss. Capitolo e dei notabili cittadini che da Pirano Io avevano seguito, fra lo sparo dei mortaretti ed il suono de' sacri bronzi accompagnato dagli auguri più sinceri di cuori riconoscenti. Oh possa ad ogni tuo passo spuntare un fiore, ad ogni detto una lagrima, ad ogni ojiera tua un sentimento, o vero Apostolo di Gesù Cristo, ed il cielo voglia benedire e prosperare le tue sante intenzioni allo spirituale vantaggio di quelle diocesi che la Provvidenza ti affidava, perchè ne ristorassi i lunghi danni, e ne promovessi i vantaggi col miglioramento religioso intellettuale e morale dei credenti. Ma non più, Chiarissimo Signor Dottore, che troppe anche Le saranno sembrate le mie parole. La posso assicurare però che molto avrei ancora ad esprimere, e che non la finirei più se dovessi in tutta 1' estensione manifestarle quei sentimenti di venerazione che Le professo e che mi fanno essere orgoglioso d'essere con Lei Un vero Istriano N. P. anche questa pietra sola mostra che a quel fiume si tributasse P onore che gli Antichi diedero ai fiumi maggiori. L'altra divinità è del tutto provinciale; nel museo di Lubiana leggemmo memoria in aretla alta due piedi e sei oncie, larga dodici: ADSALLVI AVG•SAC G CAECINI ///AVSTINV Adsallni Augustae Sacrum Gajus Caecinins Fauslinus dedicata alla medesima divinità sebbene diversamente latinizzata. L'altra inscrizione a^la Sava è pure votiva alla stessa divinità Adsalluta: ADSALLV TEAVGSAC OCELLIO DASTRICI MARCEL LI • SER V • S • L • M Adsallu-tae Augustae Sncrum O ce It i o Dnstrici Marcelli Servus v. s. 1. m. La dedica un servo di Decio Astricio Marcello, o Dastri-cio Marcello, ambedue nomi sospetti perchè facilmente latinizzati dai nomi celtici Dastrix Marx; il servo di questi avrebbe avuto il nome dagli occhi piccoli e che in latino dicevasi propriamente Ocella. Tre leggende attestano il culto prestato a divinità il cui nome non si legge altrove. E memorabile in tutte queste inscrizioni0 la mancanza di punti per separare le parole. Di S. Pelagio patrono di Cittanova e di S. Fiore. Inscrizioni antiche alla Sava. Ci vennero comunicate due inscrizioni sopra arette esistenti alla Sava, nella direzione da Lubiana verso Ralschach in località detta Klempass, arette piccole ambedue essendo la prima alta poco più di undici oncie, 1' altra dieci misura viennese. Sulla prima a caratteri a stento percettibili sta scritto: SAVOETA/// SALLVTA/// SACI///// PNSCVI ///////// V S L M Savo et Ad-sallutae sacrum P. N. S. cum suis votlim solvit libens merito È un voto che persona la quale credette velare il prenome, nome e cognome colle sole iniziali, scioglieva colla famiglia al fiume Savo divinizzato e ad altra divinità provinciale cui davano nome Adsalluta. Non ci è noto che su altra pietra figuri il nome del dio Savo; Nel farci a pubblicare alcune notizie sull'episcopato Einoniense, in occasione che Monsignor Vescovo prendeva possesso della santa Chiesa Tergestina, ci mosse e-sultanza d'animo, la quale nel breve tempo concesso alla redazione ed alle stampe non permise che le cose in allora per noi dubbie venissero poste in quella luce che sarebbe stato nostro desiderio. In quello stampato fu detto che le vicende di S. Pelagio patrono della santa chiesa emoniense, fossero incerte, e venimmo al sospetto che Cittanova al pari di altre chiese istriane prendesse a patroni, santi o martiri di altri luoghi in mancanza di propri. Questo non era più che sospetto; sennonché avendo poi avuto agio di consultare e ponderare altre circostanze, siamo indotti a dichiarare precipitoso anche quel semplice sospetto, e ci è gratissimo il debito di sostituire migliori indicazioni, quantunque non sì complete come sarebbe nostro desiderio, e come speriamo di averle, se altri vorranno esserci cortesi di opera e di consiglio. Vi fu tempo in cui si ritenne, e vi sono tuttora persone le quali pensano essere il culto dei Santi cosa di religione soltanto, e gli atti che si hanno delle loro gesta, pie credenze, che fuor di chiesa non hanno credibilità, e ricusano di trarre dal culto e dalle memorie dei santi, argomento di storiche convinzioni. La quale opinione è fallace, imperciocché le vicende della chiesa sono vicende storiche al pari di quelle d'altre insti-tuzioni, e mentre giovano a risalire fino all' origine di nostra santa religione, concorrono mirabilmente a persuaderne le verità attestate da serie di secoli suggellate col sangue; mantenute integre e tramandate a noi dal sapere e dalla pietà; mirabilmente giovano a conoscere le condizioni profane dei tempi, e da queste traggono sussidio in conferma. Inesplicabile contraddizione si fu quella di riguardare siccome fonti storiche credibili le carte, le leggende, le pietre scritte, le tradizioni di qualche oscura società, o combriccola; il giurare nelle parole di qualche cronichista, di qualche carta antica; ed il negligere del tutto le memorie e le tradizioni di una santa congregazione, la quale fondata sulla verità, ebbe scopo e debito di riconoscere e di seguire la verità. Che se ciò che vi ha di umano in tali memorie ha dovuto talvolta soggiacere ad errori ed equivoci, molto più è ciò avvenuto delle memorie profane; ma è ben possibile di giunger a separare per le vie della critica ciò che vi ha di interpolato o di erroneo, da ciò che vi ha di sincero, tanto nelle storie sacre che nelle profane; né vi ha ragione di escludere le memorie di chiesa da siffatto esame, quasi non potessero reggervi, o non meritassero di alzarsi a monumenti storici. Di Cittanova si è assai detto, e per volerla antica città, e per volerla affatto novella, surta per le rovine di aitra vicina o lontana che fosse. Dissero che il nome di Cittanova venisse dato dopo la distruzione dell'antica città di Emonia, la quale avrebbe dovuto sorgere ove poi fu il Castello di S. Giorgio, e che avesse il nome di Novetium; dissero quelli che nella condizione di vescovato volevano sconoscere la prova di antica città, che il vescovato fosse trasportato da altrove, dall' Emonia Saviana, per la distruzione di questa. I monumenti materiali che in gran copia sopravanzano o si rinvengono, dimostrano che l'isola o penisola sulla quale ora !sorge Cittanova, accenna ad esistenza di città in questo sito, fino da' bei tempi dell'impero romano; e ne' tempi inferiori, e più tardi ancora; l'attitudine a città è \ comprovata dall'odierna sua condizione economica; ramo novello d'industria da pochi anni attivato ed alacremente promosso insieme alla coltura dei campi, giova a propagare gli agi, i piccoli commerci, il popolo, contro l'opinione di quelli che credono alla malaria, siccome a causa di depressione, di ignavia e di conseguente povertà; e Cittairova per propria solerzia si avvia a riprendere quella posizione che è conseguenza dell'agro circostante, e che altravolta ebbe prospera. Guido da Ravenna che ripeteva portolani ed itinerari assai più antichi di lui, la chiamava nel VII secolo, Neapolis, che è quanto dire Cittanova, prova che questo nome le era proprio in epoca anteriore a sovversione che si vorrebbe opera di Ungheri. Il nome di Novetium che si vorrebbe a lei già proprio, è ben più antico del tempo di Guido. NOVAS, NOVESIVM, NOVATIVM, NOVANA sono nomi frequentissimi del I secolo di nostra era, che si riscontra in ogni parte dell'impero romano e che indica novello stabilimento fatto dai Romani in terra che era d' altri ; NOVATIANVS é nome perfino di- persona. No-vatium o Novetium indicherebbe nuova città, non già nel senso materiale di ricostruzione di case diroccate, ma in senso di nuovo ordinamento civile, per coloni trasportativi ed uniti a comune diverso dall' esistente. Non vi sarebbe contraddizione a ritenere che il comune novello, composto di nuovi abitanti trasportati d'altrove, avesse il nome di Novetium, siccome nome vojgaye, tradotto in Neapolis da prete Guido, e che la città .conservasse il nome nobile e più antico di Emonia; accadde che, conservato questo secondo dalla chiesa e dai vescovi in ogni alto pubblico redatto in lingua latina, venisse adoperato l'altro frequentemente dal volgo, per cui appena nelle leggende su marmi e nelle carte da tramandarsi alla posterità si conservava il nobile di Emonia. Vediamo difatti pure nel medio tempo, anche più tardi conservarsi questo doppio nome, Cittanova nel linguaggio volgare, Emonia nel linguaggio nobile. Vi fu chi credette 3! leggiere in carta del mezzo tempo Veglae E-monae, e l'interpretò per vecchia Emona, deducendo che due ve ne fossero, 1' una vecchia a S. Giorgio, 1' altra nuova in Cittanova; ma fu equivoco: poiché quel diploma parla di due luoghi diversi, di Vegla che non potrebbe tradursi per vecchia, in carta che usa latino corrente, e di Emona, l'uno castello o villa dell' agro e-moniense, 1' altra città. Sofferse in vero Cittanova grandissima depressione, ma fu questa assai posteriore alla fondazione del vescovato che ebbe sempre nome di Enionicnse; fu questa in tempi ne'quali la provincia tutta ebbe a decadere, e sul finire del medio evo, Cittanova fu invero trattata allora come cava di pietre, ed antiche lapidi vi si trassero trasportandole per l'agro in quei siti, ove l'aere non esigeva quelle avvertenze che la dejezione o l'ignoranza trascurava, derideva, e non poteva osservare. Passarono queste lapidi nelle ville prossime, assai propizie nella povertà o nell'avarizia, perchè belle e riquadrate. Però rimasero in Cittanova e nel più prossimo dintorno abbastanza monumenti o scritti o d'altro genere che attestano fantiča condizione di città romana, di comune libero, condizione che conferma nella presenza di vescovo, nelle instituzioni di chiesa propria, che soltanto si fondavano dove vi avevano comuni nobiliari, o liberi. Questa condizione avrebbe conferma se vi avessero propri martiri, o santi municipali; imperciocché è noto che la religione cristiana si diffuse dapprima nelle classi inferiori delle città, poi nella classe distinta. Gli abitanti dei pagi, che è quanto dire delle ville, più tardi si convertirono, dal che venne il nome di pagani, a quelli che si ostinavano a perseverare negli antichi errori. Gli antichi agri delle città erano ripartiti in territorio od agro colonico (oggidì diremmo contrade esterne) che consideravasi appendice delle città; in pagi o maggiori distretti (distretti si dicevano fino alla fine del secolo passato) suddivisi in vici (ville diremmo oggidì). Un martire municipale nei tempi delle persecuzioni, e prima che venisse data pace alla chiesa (nel-l'anno 313 di nostra èra), sarebbe testimonianza della • condizione di città in quella nella quale avesse vissuto e patito. Le memorie dei nostri santi martiri erano consegnate allo scritto, in tutte le chiese, fino da'tempi antichissimi; ma sgraziatamente non se ne fe' calcolo in tempi recenti, intendiamo nei due secoli che ci precedettero, ed andarono perduti in provincia; forse vi è ancora possibilità di averne traccia altrove. Quelli soli dei santi di Trieste giunsero fino a noi (per quanto ne abbiamo scienza), e questi sono bellissimi e sinceri documenti, mirabilmente concordanti colle notizie profane che si hanno dei tempi e dei luoghi, sono monumenti storici preziosi. A' tempi del vescovo Tommasini (or sono duecento anni) vi aveva nella chiesa di Cittanova antico antifonario nel quale si leggevano le gesta di S. Pelagio; quel libro non è più, per quanto ne sappiamo. Altra leggenda trovavasi registrata in libro che esisteva in Parenzo e del quale non sappiamo cosa sia avvenuto. La perdita di siffatte memorie è di pregiudizio; quantunque le leggende non fossero già autografe, ma copie di copie, e per la imperizia di amanuensi nel leggere specialmente antichi nomi propri, o di cariche o di luoghi, nel decifrare le abbreviature, nel comprendere antiche formule di dire, vi si fossero intrusi errori di scrittura, o vi si fossero fatte interpolazioni di pensieri pii; anche copie siffatte offrono possibilità di riconoscere la primitiva lezione od il testo originario, e per altri monumenti giungere alla loro rettificazione. Ma del lesto della passione di S. Pelagio nuli'altro è a noi pervenuto fuorché la chiusa, la quale anzi accresce pel sapore di genuinità il desiderio di ciò che è perduto. — Acta sunt liaec apud civitatem Hemoniae, et non longe a mare ejus sepultus est in nomine Domini Jesu Christi. Gli scritti del Tommasini e le tradizioni permettono di raccogliere le seguenti memorie. Santo Pelagio era nativo di Emonia, cittadino, figlio di Pedolo e di Claria, nobili e ricchi che professavano la fede cristiana. Per dire con le poche parole degli atti dei martiri triestini, i genitori suoi sarebbero stati illustrissimi et vatde dirites; il santo poi a parentibus christia-nus. Le quali indicazioni fanno conoscere che esso proveniva da famiglia decurionale. Ursicino, prete, P ebbe in educazione, come sembra, lino dall' infanzia. Nelle persecuzioni mosse a' tempi dell' imperatore Decio (nel 250) si mostrò assai pietoso verso i suoi provinciali, che molto avevano avuto a sofferire. Nella persecuzione di Numeriano (nella quale soffrì martirio S. Servolo di Trieste nel 283) venuto in Cittanova il prefetto Evilario per sevire contro i cristiani, assistè questi ad ogni potere, poi spontaneamente denunciò di essere cristiano. Resistette al terrore del carcere, al comando di sagrificare agli idoli, ai flagelli, alle stragi dell' eculeo, ai tormenti dell' olio bollente, al ludibrio mentr' era trascinato per le vie della città. Dannato poi a morte, fu colpito di spada, come si conveniva a nobile cittadino, fuori delle mura della città presso al mare in luogo pubblico, cioè, come pensiamo noi, nel campo dei giustiziati. Uranio, che lo confortò in carcere, raccolse di notte il corpo, raccolse il sangue in ampolla, e seppellì con onore il corpo in sepolcro nascosto agli altrui sguardi. La morte avveniva nel dì 28 agosto del 283. La tradizione costante vuole seguito il martirio nel sito ove poi surse cappella che dissero di S. Croce, e durava ancora nel principio di questo secolo, fra la strada pubblica ed il mare, presso alla chiesa del Santissimo Crocefisso. Le quali notizie e tradizioni attestano che S. Pelagio visse e mori in Cittanova, in quella medesima città che qualcuno pensa essere stata edificata per le rovine di Emonia che si vorrebbe collocata altrove. A ragione quindi S. Pelagio veniva scelto a patrono della città e della diocesi; altrettanto avveniva in Trieste di S. Giusto che fu cittadino e martire, senza che avesse nè ordini sacri, nè fosse vescovo. S. Pelagio era patrono di tutta intera la diocesi; S. Massimo, che è altro santo di Cittanova, non lo fu che della sola città. A ragione il vescovo Adamo nel rifare il sepolcro in cui collocava i Santi Pelagio e Massimo, vi scriveva : f ANNO • DONEČE INCARNATIONIS • M • C • XL • VI VI • ID • OCTOB • RECDITA ST HAEC • SCORY CORPORA • PELAGII • ET • MAXIMI • TPR DONI • ADA • EP? attribuendo a S. Pelagio il primo onore come sempre ebbe ad attribuirglielo la chiesa Emoniense. Or vogliamo avvertire cosa che non sembra accidentale. La cappella sotterranea o confessione del duomo di Cittanova, l'unica che si conservi in provincia (dacché quella di Capodistria venne tolta col riedificarsi del duomo in novella forma nel secolo passato), rappresenta, come è stile, una catacomba, di quelle nelle quali solevano onorarsi gli avanzi dei martiri; il corpo di S. Pelagio riposa in questa cappella forse in arca modesta, la quale serviva da mensa di altare. Nel 1146, a' tempi del vescovo Adamo, il corpo di S. Pelagio insieme a quello di S. Massimo si collocarono in arca semplice sì, però marmorea, sollevandola con quattro colonnette poste agli angoli per modo che il coperchio dell' arca superasse la volta della cappella ed uscisse nel-l'abside della chiesa superiore per modo da soprapporvi immediatamente mensa da altare. L'arca venne alzata sullo stesso piano ove posava 1' antica nella cappella, come lo indicano le quattro colonne centrali che sostengono la volta. Nel pavimento della cappella sotterranea si veggono pietre antiche anche intagliate a segni mistici cristiani, e sotto l'arca del Santo agli angoli quattro lapidi, delle quali tre sono scritte, e sulle quali si posarono colonne, non già della volta ma dell' arca medesima. Queste lapidi scritte si manifestano per tratte da altro luogo dove segnavano il sito di sepolture; però la loro collocazione non sembra del caso, dacché si avrebbe facilmente potuto selciare tutta la cappella sotterranea con lapidi scritte, che si vedevano e si vedono ancora sparse in altri luoghi profani. Su di una si legge: ms . p l o t 1 v s mn . f . pvp . aed poTesTaTe.v.p sini . eT . vxorI volvnTiliae m . f . priscae Pietra questa che in origine era collocala in piedi, non distesa, e nella quale si discorre di un Manio Plotio figlio di Manio, ascritto alla tribù Pupinia (quindi cittadino romano), insignito dell'autorità edilizia, che essendo vivo fece a sè la tomba ed alla moglie Voluntilia Prisca. Era questo personaggio indubbiamente di Emonia, i cui cittadini ascrivevansi alla tribù Pupinia; e presso Citta-nova vedemmo P inscrizione sepolcrale del figlio di que sto medesimo Plozio, nella quale si segnava la tribù. Su altra leggesi: C • CLEPIVS • T • F • PVP SENECIO ■ V • F • SIBI • ET T • CLEPIO • TOMMO • PATRI CLEPIAE • SP • F • MENDAE et . siqv1s meorvm " nomine clepivs . erit . ei. locvm. hvmandi do .item . locvm.ossibvs.ponvnd1s Questa pure, che è maggiore e più decorata dell'altra, stava in origine rizzata. Colonna sovrapposta impedisce di rilevare tutto lo scritto. Pure si apprende che questo Clepio Senecione, ascritto alla tribù Pupinia costruiva il sepolcro al padre, a sua moglie e ad altre persone ancora; anzi assegnava il sito da tumulare a qualunque dei suoi che portasse il nome familiare di Clepii. La terza segna: T V M FL VRSICINO CENT • STABVLI DMAVRELIA SVE EIA CONIVX AM MANTISSIMO • AT QVE • CARISSIMO CONIVGI FECIT Quest'ultima nella forma dei caratteri si mostra inferiore alle due precedenti e posteriore di età. — Aurelia Sueia fece il tumulo a Flavio Ursicino centenario delle scuderie imperiali. — 11 vescovo Tommasini nell' indicare i nomi dei genitori di Santo Pelagio scrive - Pedolo e Ciarla ; lo Schonleben ed il Valvassor, eh' ebbero sott' occhio altre leggende che non quelle vedute dal Tommasini, scrivono l'elutio e Claria od Hilaria, e questi e quello ripetono nomi forse viziati, dacché nè Pedolo nè Pelusio sono nomi familiari romani. Ursiniano si dice il pio sacerdote che educò Pelagio nella santa religione, raccolse le reliquie, e le compose in un'arca segretamente. Non sarebbe improbabile che la vera lezione dei nomi fossero Plotius, Viepiù ed Ursicino; e che gli Emoniensi allorquando posero in onorevole luogo la tomba del santo martire loro patrono, la circondassero di lapidi sulle quali segnavasi il nome familiare del padre e della madre, e del pio sacerdote; quantunque non fossero queste le lapidi fatte in onoro nè del padre, nè della madre, nè del maestro, che vissuti e morti cristiani non posero segno pubblico di loro tomba. Le lapidi gentilizie del santo confermerebbero che proveniva da persone di rango distinto in Emonia, e di non comuni dovizie. Comunque sia, può ritenersi che S. Pelagio fosse cittadino e di famiglia decurionale di Emonia istriana, che visse in Emonia nella seconda metà del terzo secolo, che in questi tempi v' avevano cristiani ed anche sacerdoti; che vi fosse congregazione cristiana, il che concorda colla storia che attribuisce al santo vescovo di Aquileia, Ilario, la propagazione del cristianesimo nell' I-stria; che narra di S. Donato come venisse chiamato dalle congregazioni sofferenti dell' Istria a confortarle nella fede minacciata dalle persecuzioni. Siffatte congregazioni si composero nelle città, le quali ebbero appunto per la condizione di città, titolo ed episcopato; nelle sole città avevano domicilio i decurioni; nelle città i cristiani sofferirono il martirio, e di S. Pelagio conosciamo perfino il sito ov' ebbe tagliata la testa. Gli scrittori del Carnio degli ultimi secoli decorsi attribuirono l'onore della patria di S. Pelagio ad Emonia SavTana, perchè_ negarono l'esistenza di altra città di questo nome alla spiaggia istriana. Ma alle deduzioni ed induzioni di essi, tratte soltanto dal nome di Emonia, noi opporremo altre argomentazioni ben più certe; la pratica della chiesa, anteriore e posteriore alle loro conchiusioni. La chiesa Lubianense non novera fra. L suoi patroni S. Pelagio, nè nella città, nè nell'agro; nè il duomo moderno, nè P antico tributarono mai cullo speciale a questo santo, al quale nessun altare era alzato nel duomo, nessuna fraglia per onorarlo, nè potremmo persuaderci che le devastazioni patite nelle irruzioni dei barbari ne avessero fatto perdere la memoria. Imperciocché altrettanto non è avvenuto di altre città del Norico e delle Pannonie, che conservarono la memoria ed il culto dei propri martiri siccome avvenne di Siscia, di Celleia, più remote e non meno illustri di E-monia Saviana, per tacere di altre chiese più lontane. S. Quirino, S. Massimiliano sono tuttora in onore in quelle regioni, ambi martiri del quarto secolo. Di Cittanova all'incontro costante ed antico è il culto e in grande onore, nella città ed anche nell'agro; in Triesle v' era antica chiesa di cui ora appena si conserva il titolo di S. Pelagio; nel territorio di Duino, in quella parte ove già era antica borgata romana, e sono frequenti le anticaglie, il titolare è lo stesso S. Pelagio di Cittanova. Le testimonianze che provengono da culto antico e costante, sono di grandissima autorità, e noi non dubitiamo che se gli antichi nostri monumenti scritti non fossersi lacerati e dispersi come cose superflue; se la loro mancanza venisse supplita da carte che altrove si custodiscono, se ne avrebbe ottima conferma e verrebbero tolte quelle dubbiezze che provennero dal trarre notizie piuttosto che dalle nostre memorie, da quelle di altri soggetti di egual nome, ma più chiari per lavori di dotte persene, e che vanno attribuiti ad altre regioni. E giacche ci accadde di parlare di un santo emo-niense, non possiamo trattenerci dal fare menzione di altro che la tradizione, consacrata dallo stampato di più scrittori, annuncia siccome vescovo di Cittanova, cioè del ìieato Fiore. Versi tratti dall'Antifonario di Pola, favoritici dalla gentilezza di quel Monsignore Preposito reverendissimo, darebbero notizie diverse da ciò che la tradizione annuncia, notizie che in oggi non sapremmo nè schiarire nè conciliare con ciò che ne sappiamo; contenti di dare al pubblico documento di non lieve importanza. Di S. Fiore ci è nolo più precisamente soltanto quanto registrasi nei dialoghi di anonimo sulle antichità di Pola pag. 132. — "II santo prelato, essendo stato „col suo arcidiacono a visitare i santi luoghi di Gerusalemme, tornandosene finalmente con vento favorevole „verso la sua diocesi, poiché vide non essergli dato di „sperare per mezzo lo spargere del sacro ed innocente „suo sangue rendere illustre tributo al suo amato Cristo, „arrivò alla gran città di Pola, e queste sono le formali „parole: Curri ciutem diebus aliquot secundis flatibxis ad-„navigassent ad magnarti Polae civitatem, prospere per-..venerunt; erat namque civilas Polae valde famosa, Tutpote quae imperiali s et regia et tam tempore quam „■dignitate tìomae filia vocabatur, citjus civitatis magni-..ficentia testabatur aedificiorum et aedium structura, „■singulariter adrrdr arida v. Appena potremmo persuaderci che nessuna persona nella provincia conservi fra vecchie carte qualche vita sincera dei santi nostri provinciali, se non in pergamene del medio tempo, almeno in apografi desunti da carte più antiche. La religione, la storia, ne trarrebbero vantaggio; noi facciamo calde preghiere ai possessori di volerle consegnare alle stampe, fosse anche in questo foglio, per vantaggio comune. In festo S. Fiori Episcopi et Confessoris. Ecce Flos odoris miri Polae datus in odorem: Odoratu cuique viri Mutat labem in pudorem. Dat odorem flos in Pola Dum invigilat doctrinae, Qui contempta terrae mola Totum confert se divinae. Flos, egressus de radice, Polam quaerit refragare, Cuique statum illa vice Mors petebat naufragare. Odor flori sparsus extra Multos movet ad sequelam, Ponentes se in parte dextra Spondet omnibus medelam. Agri florem redolentis Monstrat Christus gratiose, Dum Polensis durae genlis Lustrat corda luminose. Legi divinae reditus Ipsam ex fervore, Sic scrutabatur coelitus Quod plenius erat rore, Nec gravabatur penilus Allectus ex dulcore. Flos florere voluit In Civitate Polae, Qui non pallere monuit Abjecta carnis mole. Pastor datus pascit oves Regionis Trevisinae, Fugat morbos et languores Suae carnis labe sine. Verbo pascit et doctrina Florus suo studio, Quos cernebat fame bina Lapsos in tripudio. Vita Flori parit partum Austera poenitentia, Aquam brevem, panem arctum, Sumit benevolentia. Cepit Florus sedem deserere Sepulcrum perecturus, Ut Christo se possit inserere Ibidem moriturus. Vadit Jerosolimam In spiritus fervore, Qui partem novit optimam Eligere de rore. Sua meruit sancta devotio Dum sacra loca quaereret, Ut suorum optata lotio La tu m Christus tribueret. Florus cum Polae veniret ad portum Audivit sibi placita, Qui letanter intrat in hortum Mente soleri, tacita. Yicum sibi construit Ut Fasanae colonus, Et ibi multos instruit Sicut doctor bonus. Archidiaconi servilia Mirae devotionis Praestabatur beneficia Optatae salvationis. Gaude Pola, gaude semper, Tanti Fiori prodigiis, Qui te sanat incontancter A penis et flagitiis. Materiali per la storia della navigazione nell' Adriatico. (Contiti, e fine. Vedi i num. 53-54 e 55.~) Bisogna prima vedere se per la capitolazione della pace l'Illustriss. Dominio sia privato di libertà di far ogni sorte di provisione, e dar quegli ordini che a lui pare in questo Golfo come padrone e possessore del medesimo, e prima stabilir questo punto, e conosciutosi che possa fare ogni cosa disputar poi se lo deve fare. L'ordine vuole, che prima si conosca quello che può fare e poi quello che deve fare; e benché più d'una volta abbi detto ed approvato fondatamente per la prova che l'Illustriss. Dominio possa fare ogni ordine nel detto suo Golfo ed in Venezia medesima, come può fare la Maestà Sua negli stati suoi propri; ed ho anche aggiunto, che non credeva che si potesse farmi alcuna risposta, non è però mai stata dall' eccellente Rapido incontrata questa difficoltà, eh' è la principale e dalla quale il tutto dipende, ma sempre ha divertito la causa nel distinguere e fare tre considerazioni così diverse, e non s' è avveduto che meno di tutte le altre cose si può difender questa opinione che si debba pagar dazio in un caso e nell'altro, non perchè il capitolo della pace dice assolutamente, e senza alcuna distinzione: Quod omnes subdi/i, libere, tute, et secure, etc. Se quella parola libere comprende esenzione da' dazi, bisogna che i sudditi siano esenti in ogni caso da essi dazi per esser messa in generale ed assoluto e senza alcuna retribuzione o limitazione; se anche non comprende esenzione da'dazi, non gli fa esenti in alcun caso. Nè anche s'è avveduto, che nel secondo capo egli prende un grand' errore, presupponendo che se per fortuna le navi entrano nei porti non debbano pagar dazio per non essere venute in quello dell' Illustriss. Dominio di sua volontà, ma violentemente e con suo dispiacere, non considerando che quando entrano nel Golfo entrano in quello dell' Illustriss. Dominio, ; e vi entrano di volontà, e per sua elezione e commodità, che altramente non possono far il viaggio; però subentrati nel Golfo sono obbligati alle leggi ed alli dazi dell'Ili.mo Dom. per esser entrati nel suo; e quando poi vanno nel porto per fortuna, non è vero che entrano in quello del l'Ill.mo Dominio sforzatamente perchè già v' erano entrati di sua spontanea volontà e per utile suo, e se dopo la fortuna li manda da un luogo ad un altro dell'Illustriss. Dominio non è in considerazione, ma si considera solamente il principio quando vennero in quello dell' Illustriss. Dominio, che fu quando vennero in Golfo, e questo è 1' errore, e però si vede che per molti rispetti questa distinzione non può stare in modo alcuno; e perchè esso eccellente Dottore si è molto affaticato in mostrare che non è onesto che le navi vadano in Venezia, e che non è lecito che le navi che entrano nei porti per fortuna paghino dazio volendo ridurre tutta la disputa a termine d'onestà, tuttoché ora di ciò non si tratti, ma solo di ciò che si può fare di ragione, voglio però mostrargli, che non solamente l'Illustriss. Dominio ha la ragione dal canto suo, ma 1' onestà ancora, e dove il detto Rapicio m'ha molte volte interpellato se mi par onesto che i naviganti siano sforzati a tórsi fuori del viaggio per andar a Venezia, e se sia onesto, che agli afflitti e sbattuti dalla fortuna sia dato 1' aggravio di pagar dazio ; gli rispondo con l'interpella-zione medesima se par onesto a Sue Signorie Eccellentissime, se gli par onesto, dico, che l'Illustriss. Dominio già tante centinaia d'anni abbia speso tanto danaro, e fatti perire tanti de' suoi sudditi per difendere il medesimo Golfo e dai corsari e da altri; se è onesto, che ogni anno gli sia necessario mantenere l'armata con tanta sua spesa in detto Golfo per tenerlo purgato da quella maledizione de' corsari, che senza questa cura e difesa dell' Illustriss. Dominio nessun naviglio potrebbe uscire di porto che subito resterebbe predato. Se è onesto, dico, che l'Illustriss. Dominio con tante fatiche e spese si sia fatto padrone del medesimo Golfo, acciò che gli altri a suo bell'agio possano navigare senza alcuna ricognizione. Ma dico appresso, dopo che si vuol pur discorrere d'onestà, che l'eccellente Rapicio mi risponda se gli par onesto che dove i sudditi dell' Ill.mo Dominio sollevano pagare lire 2:5 di dazio per ogni migliaio di piombo, ora da Ministri Cesarei sono costretti a pagaie lire 47:5 eh'è venti volte più di quello che solevano pagare, e lo stesso praticano nei dazi de' rami e degli stagni; e se gli par onesto che della biada della quale si soleva pagare soldi 5 lo staio, gli sia fatto pagare soldi 49, e similmente de' bovi a' quali in più volte sono tanto accresciuti li dazi che pagano 5 ducati al paio; dazio grandissimo, che tutto cede in danno dell' Illustriss. Dominio, perchè ha convenuto far diffalchi ai beccari nel dazio di Venezia. Sono anche accresciuti li dazi del vino, de'legnami e delle tele, e d'ogni altra cosa un quarto od un terzo di più di quello solevano pagare, non come alle volte si suol fare per bisogno di denaro, ma sono talmente accresciuti, che dove si pagava uno, i sudditi dell'Illustriss. Dominio ne pagano 15 e 20, e questo è stato fatto principalmente nelle, cose che sono necessarie al vivere, come sono la biava e le carni, nelle quali pare che l'onestà ricercasse che si do- vesserò meno aggravar di dazio che le altre merci; e vorrei che mi fosse detto, se egli è così onesto, perchè si duole e s' esclama contro l'Illustriss. Dominio, e se ad esso Dottore par così disonesto che uno sia obbligato d'andar a consegnarsi con le merci ad un luogo deputato dal Signore, perchè non gli par disonesto che i i sudditi dell'Illustriss. Dominio, quali solevano condurre le ferrareccie comperate negli stati di Sua Maestà per quelle strade che più gli piacevano senza pagar nessun dazio, da alcuni anni in qua siano costretti a consegnarle ai luoghi deputati, e pagar lire 27 di dazio per migliaio; e lo stesso si può dire delle altre merci sopra le quali l'imperatore ha posto nuovi dazi; e se il dottor Rapicio ovver altri vorranno drittamente considerar quello eh' io rappresento, conosceranno chiaramente, che ciò che fa l'Illustriss. Dominio sia giustissimo e onestissimo, perchè i sudditi di Sua Maestà sieno assai manco aggravati negli stati veneti di quello che i sudditi della repubblica siano negli stati cesarei; e per far vedere, Clarissimi Signori Commissari, che non fu mai causa nella quale si trovasse così compiutamente la ragione da una parte, e così manifesto il torto dall'altra, voglio che si conosca e si metta in elezione degli avversari che eleggano ciò che vogliono, e diano quella interpretazione alle capitolazioni della pace che più a loro piace, non ne sapranno ritrovar una che non li condanni, e non sia con suo manifesto danno. Interpello però l'eccellente Rapicio, e tutti gli altri Eccellenti Dottori, che mi dicono come vogliono intendere il capitolo della pace; poiché se dicono che per quella parola libere s'intenda esser detta libera la navigazione ed esente dai dazi, mi dicano se vogliono levar i dazi ai sudditi dell'Illustriss. Dominio, e restituirgli lo scosso contro questa intelligenza? Ma non mi rispondono, che vuol dir se non che questo non si può più accettare perchè sarebbe di troppo pregiudizio all' utile e all' onore di Sua Maestà; ma mi dicano se vogliono eleggere la via di mezzo, cioè che quella parola libere non significhi tale esenzione, ma che si debbano riscuotere con molta modestia e rispetto, gli dimando se vogliono principiar a ritrattare quello che di più sono accresciuti i dazi negli stati di Sua Maestà di quello che sieno in quelli dell'Illustrissimo Dominio, perchè negli stati di Sua Maestà non vi è dazio che non paghi 15 e 20 volte di più di quello che solevano pagare, e negli stati dell'Illustriss. Dominio non vi è dazio che paghi due volte tanto come pagava, e però prima bisogna uguagliarsi, e poi disputare d' onestà e discrezione. Ma nè anche a questa in-terpellazione ini rispondono, che vuol dire che nemmeno si può accettar questo secondo partito; onde chi non vuol accettar nè l'uno nè 1' altro, è pur necessario concludere che la capitolazione non ha alcuna esenzione, e però la dimanda deve essere reietta, e per forza deve seguir la sentenza contro i medesimi. Nè crederò giammai che si trovi alcuno che tanto si discosti dall' onestà e dal dovere, e sia così privo di rossore che voglia sostenere che quella medesima capi- tolazione con quelle stesse parole faccia l'effetto di donar ad una parte libera l'esenzione, e aggravar l'altra di gravezze insopportabili. Ma queste sono cose troppo lontane dalla giustizia e dall' onestà, e però si deve confessare che la dimanda fatta da' Cesarei è contro tutte le leggi del mondo, e contro il giusto e l'onesto, e contro ogni dovere, e che non può nè deve esser ammessa; e se la Maestà Sua fosse stata da' suoi ministri fedelmente e con sincerità informata dello stato di questa causa, non avrebbe mai permesso che in suo nome fosse stata fatta questa dimanda; e se saranno ben intese le sopradette ragioni, non crederò mai che Sua Maestà permetti che più oltre si proceda, ma gli imponerà perpetuo silenzio. Come potrà un imperatore così giusto e religioso e d'una vita così esemplare, comportare che in suo nome sia ricercata una cosa nella quale per molti anni abbia osservato e fatto osservar il contrariò? Come vorrà che in suo nome sia fatta una dimanda la quale essendo ammessa ed esaudita, prova di necessità che egli contro ogni dovere e giustizia abbia riscosso dai sudditi dell' Illustriss. Dominio due milioni d'oro e conseguentemente li tenga contro coscienza, e sia obbligato alla restituzione? Come permetterà che sia fatta questa dimanda che gli apporterà di danno 70 in 80 mille ducati all'anno, per dar una piccola esenzione ai suoi sudditi? Come vorrà egli che in suo nome sia ricercata l'esenzione a'suoi sudditi negli stati dell'Ili.mo Dom., mentre i suoi Ministri nello stesso tempo, e forse in questa ora medesima, riscuotono i dazi, e rilevantissimi, dai sudditi dell'Illustriss. Dominio, e ciò in virtù d' un capitolo di pace, che non dà maggior privilegio nè maggior esenzione ai sudditi della Maestà Sua di quello che dia ai sudditi dell'Illustriss. Dominio? Nè alla gran bontà e infinita prudenza di Sua Maestà potrà parer cosa ingiusta e fuori del dovere, che, avendo lui così accresciuti i suoi dazi e facendo pagar ai sudditi dell'Illustriss. Dominio 20 volte di più di quello pagavano e che solevano pagare, voglia adesso che si paghino i medesimi dazi con poco accrescimento; e quanto all'ultima parte dell' eccellente Rapicio, nella quale si è espresso che alla buona intelligenza e alla lunga amicizia che passa tra essi Principi conviene usar la cortesia acciò che si conservi la pace eternamente. Siamo d' accordo, e la sento con tutto il cuore, ma non s'aspetta a me il trattare di questa materia, perchè ho intrapreso solamente di far conoscere ciò che ricercano la. ragione e la giustizia. Ho bene gran desiderio che la pace sia perpetua e che sempre più si vadano augumentando l'amore e la benevolenza con li mutui buoni offici tra essi Principi, e in ciò non cedo ad alcuno; ma non potendo io operare di vantaggio, ho pregato e sempre pregherò il Signore Dio che illumini e inspiri le Vostre Signorie Clarissiine, Signori Commissari, e metti in animo di Sua Maestà e di Sua Serenità d'abbracciar quella strada che vaglia per stabilimento della pace, per accrescimento d'amore e di benevolenza tra essi Principi, e quiete universale dei sùdditi dell' uno e dell' altro Principe.