received: 2008-02-23 UDC 325.4:340.141(635) original scientific article L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO Isabella ROSONI Università di Macerata, Facoltà di Giurisprudenza, Dipartimento di Diritto Pubblico e Teoria del Governo, I-62100 Macerata, Piazza Strambi 1 e-mail: isabellarosoni@libero.it; i.rosoni@unimc.it SINTESI Nel XX secolo, nella Colonia Eritrea, la raccolta delle fonti consuetudinarie fu organizzata dagli amministratori coloniali italiani per essere utilizzata all'interno di un più ampio progetto di codificazione coloniale che avrebbe riguardato i cittadini europei ed i sudditi indigeni. La raccolta produsse un corpus consuetudinario organizzato secondo i criteri della riconoscibilità e della somiglianza con le passate tradizioni europee. L'effetto finale dell'operazione fu la creazione di una tradizione, spesso di pura invenzione, che fini per essere riconosciuta (e quindi legittimata) anche dalle successive generazioni di studiosi eritrei. Parole chiave: colonialismo, diritto consuetudinario, consuetudini, colonia eritrea, codici coloniali THE INVENTION OF COMMON LAW ABSTRACT During the 20th century, the Italian colonial administrators organised in the colony of Eritrea a gathering of common law fonts for the purposes of a much broader project, that of colonial codification that would concern the European citizens and the indigenous subjects. The gathering generated a common law corpus organised according to the criteria of recognisability and similarity to past European traditions. The final result of the operation was the creation of a 'tradition', often purely invented, which ended up acknowledged (and therefore legitimated) even by subsequent generations of Eritrean scholars. Key words: colonialism, common law, customs, colony of Eritrea, colonial codices 577 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 DIRITTO DELLE CULTURE EGEMONI E DIRITTO DEI POPOLI SUB-ALTERNI Nel discorso coloniale dell'Europa dell'Ottocento la percezione dei popoli africani è ancora quella di popoli selvaggi e primitivi. La loro cultura, in una prospettiva assolutamente eurocentrica, è percepita come "tradizionale". E' come se il mondo giuridico europeo fosse ancora fermo al tempo delle grandi scoperte geografiche, rafforzato, in questo dalla convinzione tipica della scienza ottocentesca, della esistenza di gerarchie biologiche e quindi culturali. In questa ideale tassonomia l'Africa si collocherebbe in una posizione arretrata, è infatti, ancora a metà del secolo, un continente quasi sconosciuto. Di qui il luogo comune del discorso coloniale: la colonizzazione durera fino a che l'opera di civilizzazione (il noto, pesante fardello dell'uomo bianco) sia compiuta (Rosoni, 2006, 27-46). L'atteggiamento è condiviso da tutto il mondo europeo, dalla intera tradizione giuridica che deriva dallo ius commune. Questo vale per la Francia, dove i cultori del diritto razionale non potevano dare importanza a soluzioni inconciliabili con la loro filosofía, ma vale anche per quei paesi influenzati dal movimento che per brevità de-finiamo Romanticismo. Quando, nell'Ottocento, la scuola storica (Savigny) ricollega il diritto alla specifica cultura dei singoli popoli, la storia del diritto, una disciplina che si forma proprio in questo momento, immagina uno sviluppo degli istituti e della sensibilità giuridica di tipo evoluzionistico: i popoli primitivi rappresenterebbero, in una ideale gerarchia, le fasi più arcaiche del diritto. L'idea dell'evoluzione conteneva sia l'idea di progresso: l'ascesa da un modello inferiore a un modello superiore, sia l'idea che il progresso dovesse fatalmente seguire un unico itinerario, quello europeo. E' per questo che le forme giuridiche, le istituzioni e le norme dei popoli africani vennero assimilate a quelle del diritto "barbaro" germanico.1 In altre parole la concezione evoluzionistica del diritto interpretava ogni fase di sviluppo del diritto come prodotta univocamente dalle situazioni e dai bisogni propri della fase precedente. Il diverso carattere di due diverse esperienze giuridiche si ridurrebbe al diverso gradino da esse occupato nella scala del progresso, e le espe-rienze extraeuropee sarebbero semplicemente delle forme giuridiche arretrate (Sacco, 2007, 40). 1 Cosí i primi manuali di storia del diritto, per es. (Patetta, 1890). 578 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 Fig. 1: Asmara, abitazione tradizionale. SI. 1: Asmara, tradicionalno bivališče. In un contesto culturale come quello coloniale questa concezione si collocava perfettamente all'interno della ideologia gerarchizzante, razzista, organicista, in una parola, discriminatoria. Questo fece si che i colonizzatori, quali che fossero le convinzioni politiche o le professioni ideologiche sostenute nella patria d'origine: radicali, liberali o demo-cratiche, dessero per assodato il diritto delle razze superiori a dominare i popoli di civiltà inferiore per un periodo di tempo indeterminato e comunque molto lungo, che sarebbe durato fino a che questi ultimi non avessero raggiunto un grado, ai loro occhi accettabile, di civiltà. La convinzione della superiorità culturale del modello europeo era rafforzata dal fatto che la dimensione territoriale del potere politico, imprescindibile e quasi osses-siva per lo Stato occidentale moderno, non aveva avuto una analoga rilevanza per le entità politiche dell'Africa precoloniale che invece presentavano poteri sovrapposti e ripartiti tra autorità diverse secondo uno schema che spesso ha indotto la com-parazione con la modalità organizzativa del potere in epoca feudale (fatto questo che rafforzô il pregiudizio evoluzionistico). 579 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 Come è noto, nel vecchio continente, gli Stati nazionali nacquero da lunghi processi attraverso i quali venne progressivamente ridotta la frammentarietà territoriale dell'epoca medievale e il potere politico si concentró gradualmente nelle mani di autorità nazionali sovrane. I nuovi confini territoriali furono tracciati a seguito di conflitti e negoziati. I complessi apparati burocratici vennero costruiti per gradi ed estesi ai nuovi territori per consolidare il controllo centrale sulle rispettive popo-lazioni. Tutti questi processi fecero si che nelle diverse regioni e comunità si formassero a poco a poco identità comuni. Tali trasformazioni richiesero un lungo arco di tempo. Il processo ebbe inizio nella fase conclusiva del Medioevo, percorse tutta l'età moderna, e portó alla formazione dello Stato contemporaneo occidentale ottocentesco. Uno Stato in grado di assicurare la protezione esterna ed interna degli abitanti, vale a dire in grado di esercitare una violenza legittima. Una organizzazione statuale investita della rappre-sentanza giuridica e politica del paese, anche a tutti gli effetti internazionali, vale a dire riconosciuta dalla società internazionale degli Stati. Diversa la condizione del continente africano. Nell'Africa precoloniale gli Stati che potevano vantare alcune di queste caratteristiche erano soltanto due: la Liberia e l'Impero etiopico. Tutti gli altri erano entità politiche ignorate dal diritto internazio-nale. Si trattava di Regni o Principati che avevano un carattere indefinito dal punto di vista territoriale, oppure di "società senza Stato" o "acefale". In entrambi i casi l'esercizio della sovranità avveniva sulla popolazione e non sul territorio. A partire da una certa data (per convenzione dalla rivoluzione francese) lo Stato europeo assunse il potere di creare diritto e lo fece per mezzo dei propri organi specializzati. Il diritto nacque dunque da fonti autoritative, la creazione spontanea, popolare, venne rinnegata, cosi come venne negata ogni immanenza nella società di un diritto non verbalizzato. Con la colonizzazione lo Stato europeo, parlamentare e legalista (lo Stato di Diritto/legislatore), con il suo diritto ufficiale si trovó in collisione con il diritto informale e spontaneo delle etnie coloniali. La visione scientista e ottocentesca dello Stato, come creatore unico e assoluto di tutto il diritto, risultó fatalmente incoerente con la prospera vitalità degli ordini giuridici fondati sulla tradizione, spesso tollerati ma mai completamente riconosciuti dallo stato colonizzatore. E' all'interno di questo quadro che nacque la riflessione sulle forme di dominio coloniale. Quando le potenze coloniali dovettero affrontare il problema dello sfruttamento delle colonie, emerse fin da subito l'urgenza di creare un sistema amministrativo che permettesse di trasformare la colonia in un oggetto di dominio da organizzare e di cui disporre in favore della madrepatria, sia in relazione al territorio sia in relazione alle popolazioni native (Rosoni 2005b). L'operazione di creazione di un diritto coloniale che potesse essere applicato agli europei emigrati in colonia e agli autoctoni aveva 580 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 peró dei costi: se i cittadini europei non avrebbero mai accettato di sottoporsi a un diritto extraeuropeo, avrebbero peró accettato che i nativi restassero sottoposti al loro diritto ancestrale. Il mantenimento di due ordini di diritti aveva peró bisogno di una giustificazione teorica. Per ridurre la Colonia a oggetto di dominio, lo Stato europeo dovette operare anche in senso culturale, elaborando la nozione di inferiorità biologica, nozione che prevedeva anche una cura: la civilizzazione. I medici, gli scienziati, gli intellettuali, i giuristi si lanciarono in questa gara per fare da mosche cocchiere al potere politico e offrirono una legittimazione teorica al declassamento giuridico della Colonia.2 Mentre per i cittadini europei valeva la legge ordinaria, per gli altri, i sudditi, coloro che non condividevano i valori della civilizzazione o della pace sociale, va-leva un proprio diritto fatto di eccezioni e privo di garanzie. Di conseguenza, non tutti gli individui che abitavano in colonia godevano della stessa condizione giuri-dica. Il diritto coloniale, non solo penale ma anche civile, si articolava infatti in due settori: un diritto per gli europei e un diritto per gli indigeni. Coesistevano in questo modo, in colonia, due ordini di diritti civili: il primo, dato dalle leggi europee, si riferiva ai cittadini, l'altro, dato dalle consuetudini locali, regolamentava la vita civile dei sudditi. Questi, di fronte allo Stato colonizzatore, erano privi di diritti soggettivi ma conservavano, sia pure senza garanzie legali, le proprie istituzioni e il proprio diritto, specie in relazione al diritto di famiglia, allo statuto personale e successorio, ad alcuni gradi di giurisdizione in materia civile. Per il diritto penale invece si optó per un diritto redatto velocemente, perlopiù disponibile soltanto in decreti (e non in leggi), frutto del lavoro dell'esecutivo, dei ministeri delle Colonie, degli Esteri o della Guerra, dispotico fino alla brutalità. Nella assimilazione dell'indigeno al nemico il diritto penale coloniale assomigliva molto agli ordinamenti penali bellici e a quelli delle successive dittature europee, tanto che oggi la ricerca penalistica lo considera il padre del c. d. diritto penale del nemico.3 L'operazione venne facilitata dal fatto che il potere tradizionale non si lasciava inquadrare secondo l'idea della separazione dei poteri. Esso era poco compatibile con certe idee sulle garanzie individuali dei soggetti. Il potere africano tradizionale, in-teso come divino o come sacrale, non si basava su supporti di potere impersonali e autonomi, come quello europeo, ma era carico di elementi extragiuridici e si legava alla persona. 2 Per fare un esempio, Lombroso sottolinea la somiglianza fra il comune delinquente, il mongoloide e il negroide. L'antropologia e l'antropologia criminale, scienze che si formano in quegli anni, assimilano la popolazione della colonia alla popolazione criminale: esseri biologicamente inferiori, creature subumane destinate per questo alle istituzioni totali. (Lombroso, 1884, 248 e 295). 3 Mi riferisco alla teoria del cosiddetto "diritto penale del nemico" illustrata da Günther Jakobs a partire dal 1985 (Jakobs, 2003). 581 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 Fig. 2: La mappa della Colonia Eritrea. Sl. 2: Zemljevid kolonije Eritreje. Infatti in Africa non si puó parlare di una figura unica di soggetto di diritto, ma se mai di molte disparità di trattamento. Si distinguevano il libero e lo schiavo, le etnie egemoni e quelle subalterne, i nobili e i comuni, gli appartenenti alle varie caste e i sottocasta. Come è noto l'unificazione del soggetto di diritto - una conquista europea relativamente recente - comportó, nell'Europa che usciva dall'Antico Regime, la eliminazione del particolarismo giuridico caratterizzata dalla frammentazione delle figure giuridiche (nel Medioevo e nell'Antico regime si aveva tutta una serie di diritti, privilegi, oneri, situazioni personali ecc.). L'imposizione del diritto europeo avvenne in parte in modo manifesto, in parte seguí procedimenti tortuosi ed avvenne in un modo che potremmo definire pre-terintenzionale. Si sottoposero conflitti da sempre soggetti al diritto tradizionale a giudici stranieri, inadatti ai conflitti da dirimere; si previdero procedure giudiziarie straordinarie; si vietó di dar corso in giudizio a soluzioni contrarie all'etica e al buon costume, intendendo con ció il sentimento etico europeo. In breve, in larga misura, il carattere benefico e civilizzatore del modello venne riconosciuto come tale solo nella visione europea. 582 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 In parte l'imposizione ottenne il risultato voluto e cioé la civilizzazione giuridica dei popoli colonizzati, ma nonostante questo gli autoctoni continuarono a praticare, più o meno nascostamente, il proprio diritto. Tuttavia, spesso, le amministrazioni coloniali europee, impegnate nella gestione di terre e di popoli coloniali riconobbero un certo peso al diritto tradizionale e, allo scopo di utilizzarlo per la politica di indigenato, o anche soltanto per conoscere la mentalità, gli usi, le concezioni dei popoli che erano chiamate ad amministrare, si rivolsero a studiosi specialisti del settore e, quando questi mancavano, agli stessi funzionari coloniali perché raccogliessero e stilassero un corpus di norme consue-tudinarie. Ma, nel momento stesso in cui le tradizioni vennero messe per iscritto e codificate, persero la loro principale caratteristica, la flessibilità, legata alla identità delle comunità cui appartenevano, e si trasformarono in un modello consuetudinario inventato, che diede luogo a un nuovo e immodificabile corpus di tradizioni. La registrazione e la codificazione dei costumi e delle tradizioni africane ebbe cosi l'effetto di cristallizzare pratiche che erano sempre state flessibili. Infatti la con-suetudine non è una regola osservata da tempi immemorabili, radicata in una ottem-peranza protratta per ere lunghissime, e perciô statica e immutabile; viceversa è caratterizzata dalla spontaneità. La consuetudine si crea, si cambia, si rovescia più rapidamente della legge (Sacco, 2007, 7S). Le prassi consuetudinarie infatti, avevano fino ad allora regolamentato le società africane proprio grazie alla adattabilità e alla elasticità tipiche delle culture orali (Carbone, 2005, 36). L'operazione di codificazione delle consuetudini, messa al servizio della logica amministrativa, ebbe il potere di creare contrapposizioni fra gruppi linguistici, etnie, società statuali e senza Stato, e di spezzare quei continua culturali, quei sincretismi, che caratterizzavano la società e la cultura africana (Amselle, 1999). L'antropologia applicata sorse e si affermé in quel momento storico proprio in risposta alle esigenze dei governi coloniali e, in generale, il contributo da essa dato alla conoscenza della realtà africana fu positivo; tuttavia la stessa selezione delle tradizioni da codificare, fatta in buona misura secondo i criteri della riconoscibilità e della somiglianza con le passate tradizioni europee, contribui a innescare veri e propri processi di etnogenesi. A questo proposito la situazione postcoloniale é significativa. Se le potenze europee si erano orientate in favore del modello giuridico metropolitano e avevano agevolato la scomparsa o comunque l'erosione e il superamento del diritto tradizio-nale locale, le ex colonie indipendenti fecero lo stesso. Là dove gli europei avevano distinto, e perciô applicato il loro diritto all'europeo e il diritto locale all'autoctono, le ex colonie avvertirono il disagio del doppio binario giuridico come una patente di inferiorità rilasciata ai nativi e generalizzarono l'applicazione del diritto europeo. 5S3 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 Tuttavia le regole ancestrali continuarono a regolare, sia pure informalmente, la vita delle comunità africane. Gli esiti di questa battaglia di retroguardia apparvero evi-denti negli ultimi decenni del secolo appena passato: oggi infatti, in molti paesi africani, la riproposizione del vecchio diritto tradizionale sembra prevalere, in una ideale gerarchia delle fonti, su quello europeo. Paradossalmente, il tentativo di recupero del diritto tradizionale, e l'emergere di un nuovo orientamento giuridico che vede con favore il ritorno alle norme consuetudinarie, si appoggiano entrambi sulla possibilità di attingere all'unica fonte accessibile della memoria precoloniale costituita in buona parte dalle raccolte dei diritti consuetudinari messe a punto, all'inizio del secolo scorso, dai funzionari coloniali europei. IL CASO ITALIANO: UN DIRITTO PER LA COLONIA ERITREA Quando, all'inizio del XX secolo, sembró finalmente giunto a maturazione il processo di codificazione coloniale che avrebbe collocato la nostra nazione al livello delle altre potenze europee, l'amministrazione coloniale italiana, al fine di regolare le relazioni degli abitanti della Colonia Eritrea, progettó la creazione di un "nuovo diritto coloniale" (Rosoni, 2005b; Rosoni, 2006). Il nuovo diritto, che avrebbe dovuto regolare le relazioni degli abitanti della colonia, non poteva essere integralmente né quello italiano, né quello delle varie stirpi indigene. Il primo infatti non si adattava completamente alla semplificata vita giuri-dica degli italiani in colonia; il secondo, perlopiù consuetudinario, era in uno stato di continua trasformazione interna, complicato sia dalle mutate condizioni della vita degli indigeni, sia dalle esigenze del costume europeo che non avrebbero permesso il mantenimento di alcune parti delle leggi consuetudinarie locali. Il nuovo diritto sarebbe stato quindi un diritto a due teste, nel quale sarebbero confluiti elementi di diritto patrio e di consuetudini locali. La compilazione di un "diritto italiano semplificato" venne affidata a una commissione di giuristi italiani che vivevano e lavoravano in colonia, essi avrebbero dovuto modificare i codici già vigenti in Italia (civile, penale, di procedura civile, di procedura penale, commerciale) al fine di renderli più agili, più spediti e di facile applicazione, meglio adatti alle condizioni della vita in colonia.4 Il compito di censire il diritto consuetudinario 4 La Relazione sommaria che accompagnava il progetto del codice civile eritreo aderiva peraltro perfettamente al discorso politico e giuridico sui due livelli di civiltà. "Esse [le modifiche] non creano un insieme di diritti civili, che sia inferiore a quello degli europei. All'opposto, esse sono ispirate al rispetto delle coscienze religiosa degli indigeni, delle loro tradizioni secolari, e mirano ad agevolare i loro rapporti giuridici. Essi [gli indigeni], come gente meno evoluta, hanno bisogno di leggi più semplici, meno formali, più generose di tutela da parte dell'autorità, più confacenti al diritto naturale ed alle attuali loro condizioni sociali. Sicché essere sottoposti al loro diritto speciale non costituisce per essi una condizione di inferiorità, ma uno stato giuridico in cui godono una maggiore tutela della 584 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 locale fu invece affidato ai funzionari coloniali che amministravano le regioni e i distretti di recente creazione.5 In Eritrea, prima della occupazione italiana, la legislazione statale era sporadica, frammentaria, contraddittoria. La legge religiosa, sia cristiana che musulmana, godeva di un ristretto campo di applicazione. Accanto a leggi consuetudinarie scritte, come il Fetha Negast (letteralmente Leggi dei Re, la antica raccolta di leggi di origine araba in vigore presso le popolazioni abissine),6 una fortissima presenza di norme trasmesse oralmente accentuava e aggravava la disomogeneità dell'ordina-mento giuridico delle popolazioni eritree. I capi indigeni, nell'amministrare le giustizia, seguivano una procedura passata al vaglio dei secoli che aveva dato vita agli istituti del diritto consuetudinario. Il diritto consuetudinario delle popolazioni eritree aveva trovato parziali codificazioni in "statuti", trasmessi prevalentemente in forma orale, che avevano il carattere di patti concordati tra le stirpi che li applicavano. La storia - quasi unica in Europa - dei codici coloniali eritrei è nota. Il tentativo di creare un nuovo diritto a due teste, nel quale sarebbero confluiti elementi di diritto patrio e di consuetudini locali, falli. I nuovi codici non vennero mai né pubblicati, né applicati, a causa della pretestuosa mancata traduzione nelle due lingue letterarie indigene, l'amarico e l'arabo (Martone, 2002, 34). Ma di quel grande lavoro che impegnó, agli inizi del '900, molti autorevoli giuristi e molti funzionari coloniali, restano le raccolte delle consuetudini tradotte in lingua italiana dalla nostra ammi-nistrazione. legge. In tal guisa si afferma di fronte ad essi l'equità dell'ordinamento giuridico. Se in qualche disposizione gli interessi della civiltà europea esigono una speciale protezione, in tutta l'opera della codificazione appare costantemente il pensiero di agevolare gli indigeni nella lor vita giuridica, anche nei rapporti con gli europei" (Commissione eritrea, 1905, 9). 5 L'operazione fu avviata da Ferdinando Martini, primo governatore civile della nostra colonia che, a questo proposito, scrive: "Persone competenti e sperimentate, particolarmente adatte per speciali studi e per lungo soggiorno nella Colonia, a questo delicato compito, avrebbero dovuto raccogliere, ordinare, porre a confronto con le norma scritte tali consuetudini esaminandole con vivace senso critico [...] A questo scopo si dimostró di grande utilità pratica l'accurata conservazione e la sistematica raccolta delle massime giurisprudenziali , che si possono trarre dalle sentenze pronunciate man mano dai funzionari togati o ammini strati vi, i quali [...] dovevano per necessità mettersi in contatto diretto coi popoli soggetti [...] per conoscere con grande esattezza il diritto consuetudinario indigeno, trasmesso oralmente di generazione in generazione e gelosamente conservato dagli anziani delle singole tribù e dei vari raggruppamenti" (Martini, 1913). Su Ferdinando Martini vedi (Rosoni, 2005a). 6 Il Fetha Negast venne tradotto per la prima volta in italiano nel 1899 dal professor Ignazio Guidi (Guidi, 1899). Venne poi compendiato, sulla base di questa traduzione, da L. De Castro (De Castro, 1912). L'opera venne edita sotto gli auspici dell'Istituto coloniale Italiano, e preceduta da una prefazione dell'on. Enrico Ferri. Un secondo compendio, che si basa sempre sulla traduzione del Guidi, venne curato da Rossi Canevari (Rossi Canevari, 1936). 585 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 Molti amministratori coloniali si improvvisarono antropologi, etnologi, giuristi, con risultati spesso sorprendentemente brillanti, basti ricordare figure come quella di Carlo Conti Rossini, che svolsero quel compito con la competenza di una solida formazione professionale e finirono per dedicare gran parte della propria vita allo studio delle popolazioni abissine (Conti Rossini, 1916; 1937). Gli autori sono prevalentemente funzionari coloniali, come Gennaro Di Stefano (1S9S), Dante Odo-rizzi (1906), Alberto Pollera (1913), Ilario Capomazza (1909; 1910; 1912). Alcuni furono magistrati, inviati nel corso della loro carriera a ricoprire incarichi coloniali (vedi Martone, 2003), come ad esempio William Caffarel (1913a; 1913b), Mariano D'Amelio (1911, 312-333), Ranieri Falcone (1903; 1904; 1906), altri furono medici, inviati in colonia con l'incarico di ufficiali sanitari, come Lincoln De Castro (1912), altri ancora, come Ruffillo Perini (1905), furono militari, appassionatisi nel corso delle campagne d'Africa alla storia delle popolazioni locali, altri ancora furono noti orientalisti come Ignazio Guidi (1S99). Infine fu spesso il governo della colonia a farsi promotore della raccolta delle fonti di diritto consuetudinario (Governo della Colonia Eritrea, 1909a; 1909b). Anche in questo caso l'operazione di raccolta delle fonti consuetudinarie produsse un diritto consuetudinario delle popolazioni che nella maggior parte dei casi fu una vera e propria "invenzione". Contribui a creare e codificare una tradizione anche là dove questa era inesistente, embrionale, o aveva caratteristiche "fluide". Anche la necessità della amministrazione coloniale di suddividere i territori in aree il più possibile omogenee provocó la separazione artificiale degli individui che vivevano in quelle terre. Questo tipo di intervento, frutto di una politica maturata nel corso della esperienza amministrativa europea, ebbe conseguenze inaspettate nella tradizione culturale africana. Gli amministratori, posti di fronte alla necessità di sud-dividere il territorio, si affidarono al lavoro degli antropologi coloniali. Questi misero in campo una "ragione etnologica" che favori la definizione, quando non la cre-azione, di identità culturali omogenee, specifiche, uniche, ottenute applicando le logiche classificatorie e separatrici della loro disciplina alla descrizione di strutture sociali, attività economiche, pratiche religiose del gruppo umano preso di volta in volta in esame, e trattato come se si trattasse di una unità coerente, un caso unico. Si formó cosi una scienza coloniale delle etnie che, ignorando la trama che univa le società precoloniali, si costrui su un nuovo modello rispondente alle esigenze indicate dai funzionari coloniali. "In un certo senso l'Africa viene inventata dall'Eu-ropa con la mediazione dei sistemi concettuali e scientifici che appartengono alla cultura europea". La rappresentazione dell'Africa che ne usci diede l'impressione di "essere più vera persino della realtà", tanto che neppure gli africani, a cominciare dalle élites intellettuali, riusciranno a farne completamente a meno (Calchi Novati, Valsecchi, 2005, 31. Ma vedi anche Mudimbe, 19SS; 1994). 5S6 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 IZUM OBIČAJNEGA PRAVA Isabella ROSONI Univerza v Macerati, Pravna fakulteta, Oddelek za javno pravo in teorijo vlade, IT-62100 Macerata, Piazza Strambi 1 e-mail: isabellarosoni@libero.it; i.rosoni@unimc.it POVZETEK Smo v koloniji Eritreji na začetku 20. stoletja, ko je italijanska kolonialna uprava z namenom urejanja odnosov med prebivalci kolonije osnovala načrt za "novo kolonialno pravo": pravo iz dveh virov, ki bi združevalo elemente domovinskega prava in lokalne običaje. Nalogo oblikovanja "poenostavljenega italijanskega prava" so zaupali komisiji italijanskih pravnikov, ki bi morali spremeniti v Italiji že veljavne kodekse (civilni in kazenski kodeks, kodeks civilnega in kodeks kazenskega postopka, trgovinski/gospodarski kodeks), tako da bi jih prilagodili pogojem v koloniji. Nalogo popisati lokalno običajno pravo pa so dobili kolonialni funkcionarji, ki so upravljali nedavno ustanovljene regije in okraje. Pred italijansko zasedbo je bila v Eritreji poleg pisnih običajnih zakonov, kot je Fetha Negast (dobesedno Kraljevi zakoni, stara zbirka zakonov arabskega izvora v veljavi med abesinskim prebivalstvom) zelo močna prisotnost ustno prenesenih norm. Tovrstno običajno pravo je bilo deloma kodificirano v "statutih", ki so se povečini prenašali ustno. Zbiranje in prevajanje virov običajnega prava, ki jo je vodila italijanska uprava, je prispevalo ko oblikovanju in kodificiranju tradicije tam, kjer je bila ta prej neob- - čajno pravo prebivalstva, ki je v večini primerov predstavljalo čisto pravi "izum" v procesu kolonialne kodifikacije. V trenutku, ko so bile napisane in kodificirane, so tradicije namreč izgubile svoje glavne značilnosti - fleksibilnost, prilagodljivost in elastičnost tipične za pretežno - va, kije povzročil nastanek novega in nespremenljivega korpusa tradicij. -- kretizmi, ki so bili značilni za te družbe in kulture. Tudi potreba kolonialne uprave po razdelitvi ozemlja na karseda homogena področja je povzročila umetno delitev med posamezniki, ki so živeli na teh ozemljih. Tovrsten poseg, sad politike, kije dozorela v teku evropske upravne prakse, je imela nepričakovane posledice za afriško kulturno tradicijo, ki je etnološki argument osvajalca asimilirala in vzela za svojega. Portret afriške kulture, kije iz tega izšel, je dajal vtis, "da je bolj resničen od resničnosti", 587 Isabella ROSONI: L'INVENZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, 577-590 tako da niti sami Afričani, začenši z intelektualnimi elitami, niso mogli shajati povsem brez njega. Ključne besede: kolonializem, običajno pravo, običaji, kolonija Eritreja, kolonialni kodeksi FONTI E BIBLIOGRAFIA Caffarel, W. (1913a): La legislazione dell'Eritrea. In: Martini, F. (ed.): L'Eritrea economica: prima serie di conferenze tenute in Firenze sotto gli auspici della società di Studi Geografici e Coloniali. Novara, De Agostini. Caffarel, W. (1913b): Schema generale di un progetto di legislazione penale per le tribù indigene della Colonia Eritrea. In: Martini, F.: Relazione sulla Colonia Eritrea del Regio Commissario civile Ferdinando Martini per gli esercizi 1902907 presentata dal ministro delle colonie (Bertolini) nella seduta del 14 giugno 1913, in AP, Camera, legislatura XXIII, sessione 1909-13. Vol. II. 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