PROGRAMMA DELL' L R. GlOiSIO SOPERIOBE DI CA PODI STRIA ANNO SCOLASTICO 1879-80 PARTE I. „La Dalmazia nella prima metä del XIV secolo“ — Disserta-zione del Prof. Stefano Petris. PARTE ü. „Alcuni riflessi sulle modalitä meglio opportune a promuovere la sorveglianza domestica della gioventü studiosa“ — del Direttore ginnasiale G. cav. Babuder. PARTE UI. Notizie intomo al Ginnasio, dello stesso. CAPODISTSIA TIPOGRAFIA PRIORA & PISANI 1880. XX / / Direzione dell’i. r. Ginnasio Superiore di Capodistria ed. La Dalmazia nella prima metä del XIT secolo. Sullo scorcio del XIII secolo 1’ üngheria e Venezia, gelose pel possesso dell1 Adriatico, occupavano la Dalmazia ed erano tutte e due avvolte in lotte civili; la prima per la successione al trono, la seconda per riforme nella sua costituzione republicana. Tali lotte importanti per le loro conseguenze nel paese ove si eombattevano, non lo furono meno in Dalmazia per l’influenza che vi esercitarono sulle condizioni politiche.!) In üngheria con Ladislao IY ucciso dai Cumani spegnevasi la linea diretta degli Arpadi (1290) e saliva al trono la linea cadetta con Andrea III, nepote di Bela IV, figlio cioe di Stefano e Tomasina Morosini, il quäle Andrea detto il Veneziano come quegli che era nato da madre veneziana, era stato chiamato dall’istesso Ladislao in üngheria e destinato a succedergli. Mentre perö riconosciuto da un piccolo partito regnava dal 1290-1301, facevano valere i loro diritti sul trono d’ üngheria come feudo deli’ impero e della Chiesa Rodolfo imperatore e papa Nicolö IV; ne riste dal far valere i suoi Maria, sorella del morto Ladislao, sposa a Carlo II d’Anjou re di Napoli. Maria trasmetteva questo suo diritto al figlio primogenito Carlo Martello, il quäle veniva riconosciuto da molti magnati ed incoronato dall’istesso pontefice Celestino V. successore di Nicolö come re d’ üngheria, rilasciava privilegi alle cittä dalmate per farsi riconoscere da queste specialmente col soccorso dei potenti conti di Bribir. Senonche morto Carlo Martello prima ancora di Andrea senza aver potuto nemmeno varcar 1’ Adriatico (1295), rimasero i suoi diritti sull’üngheria al figlio Carlo Eoberto, il quäle appoggiato dai papi Bonifazio VIII, Benedetto XI, Clemente V e dai conti di Bribir in Dalmazia, malgrado i diritti che vantavano sul trono degli Arpadi Alberto imperatore, Venceslao di Boemia ed Ottone diBaviera, i quali due ultimi erano stati anche incoronati, dopo molte e lunghe lotte (1301-1310) fu riconosciuto a re d’ üngheria (1310) ed incoronato ben quattro volte. Con lui sali al trono la famiglia degli Angioini che in linea maschile regnö dal 1310-1382.2) Fu una lotta aspra di cui, come sempre, approfittarono i partiti specialmente in Dalmazia per ischiacciarsi osteggiandosi a vicenda, ed i nobili e grandi vassalli a danno dei piccoli municipii. Ne minore, abbenche d’altro carattere, er.a la lotta che si combatteva contemporaneamente a Venezia. Signora dell’Adriatico e del commercio del Levante per trattati cogli imperatori greci e coi Sultani deli’Asia, delle isole deli’Arcipelago, di Candia, della costa istriana e delle isole della Dalmazia, Venezia a eni affluivano le merci del piti lontano Oriente, le eni navi solcavano perfino i mari di Francia ed Inghilterra, ricca, popolata, potente mentre chiusa in se stessa, nulla si curava delle lotte ehe insanguinavano le cittä italiane divise in partiti, fu sullo scorcio del XIII secolo sull’ orlo della rovina per le usurpazioni del Maggior Consiglio. Kiformata la costituzione federativa dei tribuni coll’elezione del doge per accla-mazione popolare, Venezia dopo 1’ anno 697 era quasi una monarchia, i poteri del capo della quäle erano appena bilanciati dalle assemblee generali del popolo. Mentre nelle altre republiche italiane a rivoluzioni sanguinose si succedevano e leggere e radicali riforme che d’un tratto mutavano lo stato delle singole cittä, a Venezia dove la nobiltä non era tracotante e riottosa, ma tenace nei suoi diritti, queste si succedevano sorde e lenti. II potere monarchico dei dogi rispettati e temuti, ehe si credeva potesse degenerare in tirannide, fu limitato giä nel 1032 dal Consiglio dei Pregadi3) e piti tardi (1173) dal Maggior Consiglio. Era questo un corpo ehe, composto di 480 cittadini nominati da 12 tribuni (2 per ogni sestiere della cittä e quindi 40 cittadini per ogni sestiere prendevano parte al consiglio), doveva rappresentare il popolo nel govemo dello Stato e sorvegliare il doge ed il Cosiglio dei Pregadi; era il legittimo sovrano, rappre-sentante la nazione, di cui il doge era il presidente. H suo potere durava un anno e 1’ultimo di settembre di ciascun anno si doveva passare ali’ elezione dei cittadini per un nuovo Maggior Consiglio. II doge non piti per acclamazione, ma doveva venir eletto in un modo complicatissirao4) adatto solo per Venezia, dove, da quest’epoca, il doge era una creatura del Maggior Consiglio, un fantoccio in abito di porpora e di broccato col corno tempestato di gemme, preceduto da trombe d’argento e da ceri accesi; spogliato della sua autoritä, fu in compenso cinto di un’ inutile e ridicola pompa ed il potere giudiziario affidato alla Quarantia.5) Ma dipendeva dai membri del Maggior Consiglio che fungeva in quel dato anno il riconoscere o meno i nuovi membri eletti per il nuovo Consiglio ehe stava per fungere, e siccome secondo 1’ uso delle antiche republiche il Consiglio maggiore era composto di cittadini illustri per natali, cosi Venezia era divenuta una republica aristocratica. In appresso a poco a poco il diritto di prender parte a questo Consiglio sovrano fu limitato sempre piti. Nel 1271 ne furono esclusi i bastardi6); dopo il 1286 dovevano prendem parte quelli soltanto, i di cui a vi vi eran seduti; e quando nel 1289 moriva il doge Giovanni Dandolo e sotto il dogado di Pietro Gradenigo (1289-1311), prima podesta di Capodistria, scoppiava e flniva la guerra con Genova7), il doge nemicissimo della casa Tiepolo, amata dal popolo8), propose delle leggi per cui si doveva escludere per sempre il popolo dal Maggior Consiglio, leggi, alle quali tenne dietro in appresso la cosi detta Serrata del Maggior Consiglio (serrada del mazor consejo 1319). Tale atto non fu 1’ opera di un giorno, come vuole il Laugier, ma di lunghi anni e giä nel 1296, 28 febbrajo era stato decretato essere eleggibili nel Maggior Consiglio soltanto quei cittadini, che ne erano membri in quest’ anno o che vi erano seduti nei quattro anni precedenti. II doge che lo avea appoggiato, ed al quäle anzi si doveva tale cangiamento, per rendersi popolare o scemare almeno in parte il malcontento che tale legge dovea produrre nella plebe, propose che annualraente da tre elettori del Gran Consiglio venisse fatto un elenco di nuovi membri, i quali col consenso della Quarantia potessero venir eletti a membri del Maggior Consiglio. Sarebbero stati questi i „homines novi“ di Roma ma anche tale decisione fu limitata nel 1298, essendo stato deciso di nominare persone che giä avessero preso parte al Consiglio o di cui i maggiori vi fossero seduti, e nel 1300 tale legge fu del tutto cassata"). Cosi la republica diveniva veramente aristocratica; il popolo comprendeva che lo si voleva escludere dagli affari dello stato, che lo si voleva spogliare (lei suoi diritti, ed alcuni plebei in prima, indi alcuni tra gli stessi nobili, che col favor popolare cercavano di rendersi potenti, tramarono contro lo stato. La congiura di Bocconio, Giuda e Baldovino plebei fu sventata ed i congiurati ebbero mozzo il capo (1304).10) Piü pericolosa fu quella tramata da Bajamonte Tiepolo, congiura che non avea per iscopo di riformare la costituzione, ma, fingendo una riforma, volea fondare un’ oligarchia col soccorso di facinorosi plebei e nobili ambiziosi. A tale congiura a mio avviso non erano estranei, come verrö dicendo, i bribiresi nella Dalmazia, ed, ove fosse riuscita, avrebbe opportato immenso danno a Venezia per la perdita della Dalmazia. H possesso della Dalmazia intanto era diviso sulla fine del XIII ed al principio del XIV secolo appunto fra questi due stati nel cui seno abbiamo veduto succedersi tali lotte. Venezia possedeva tutte le isole dalle coste orientali dell’ Istria fino a Ragusa con Zara e Ragusa, l’Ungheria tutto il litorale dalmato e la Dalmazia interna; la republica faceva governare i suoi possessi da conti in parecchie isole con titolo ereditario e quasi altretanti signori feudali1 ’) — 1’ Ungheria da bani col titolo di bani di Croazia e Dalmazia e tale titolo veniva portato molte volte dal principe ereditario, di cui la Croazia e Dalmazia sembra sieno state, come oggi si direbbe, appan-naggio. Quelle isole in cui i conti veneti non aveano ancora fondato un potere ereditario, venivano govemate da nobili veneti col titolo di Conti, nominati ogni biennio da Venezia nel Maggior Consiglio con potere politico-militare e giudiziario in affari criminali; il conte percepiva un annuo soldo dal comune stesso delle isole, non doveva stringer parentado cogli isolani, ne invitarli a banchetto od esserne invitato e non poteva ricever doni, doveva infatti astenersi da qualunque siasi atto per cui potesse venir tacciato di parzialita dagli isolani, di troppa potenza da Venezia. Esercitava il suo potere secondo gli statuti dell’isola,12) la quäle in affari amministrativi reggevasi con un Consiglio composto di nobili con potere legislativo, con due o piü giudici ehe insieme al Conte giudicavano sulle questioni che non fossero criminali.13) In riguardo all’amministrazione e legislazione erano quasi altretante republiche aristocratiche e la nobiltä ne era rispettatissima.14) I boschi e le saline erano devolute al publico fisco e le singole isole davano aleune navi equipaggiate per le imprese nel Levante; i cittadini di Venezia vi godevano franchigie come quella per la compera ed esportazione di čarne e vino.15) Reggevansi cosi anche Zara e Ragusa, le due cittä piü impor-tanti per la republica, siccome quelle ch’ erano gli scali d’ unione del commercio veneto coll’Ungheria e coi paesi della penisola del Balcan; ma i cittadini, piü colti e piü ricchi tra quelli delle isole per il commercio coi popoli vicini, erano piü tenaci della loro libertä e mordevano il freno loro imposto da Venezia che, essendone informata, avea diviso il contado di Zara fra coloni veneziani, costretto Ragusa a pagar imposte e tutte e due a dar ostaggi.16) Le cittä litorali soggette airUngheria, fra queste Spalato, Traü, Sebenico, erano una specie di municipii senza aver pero 1’ energia ed il sentimento di libertä dei comuni italiani. Donate dai singoli re di larghi privilegi,17) il dominio straniero pešava tanto poco su di loro ed erano tanto lontane dal centro politico ehe, lungi dal sentire il peso del dominio ungherese, sembravano ne fossero patrocinate contro Venezia; si governavano indipendentemente con proprie leggi e statuti, con un consiglio, i giudici, il conte, ed il rettore.18) I giudici, erano a preferenza due e nobili scelti fra i cittadini; il conte un potente signore dell’intemo con potere militare. Egli riceveva stipendio dalle cittä che dovea difendere da aggressioni dei nemici; insieme al vescovo dovea venir confgrmato dal re, nominato perö dalle cittä e cosi il vescovo; il re poi poco si curava di confermarli, per cui da questo lato le cittä erano propriamente signore assolute; a rettore o podestä cioe capo deli’ amministrazione comunale, veniva quasi sempre eletto dal consiglio uno straniero ed a preferenza un cittadino delle vicine cittä italiane, colle quali le dalmate erano in continue relazioni commerciali, cosi Ancona, Bari, Brindisi. Prestavano omaggio al re e pagavano nn tributo o regalie a piacere, quasi un dono, quando il re si fosse preša la briga di scendere in Damazia o vi avesse mandato i suoi castellani.,0) Non erano abbastanza forti, — perche divise, — da emanciparsi dal dominio straniero, da opporsi agli ambiziosi e riottosi conti deli’ interno, ed abbastanza cara aveano la loro libertä per non darsi del tutto a Venezia. Erano ricchissime di beni comunali aumentati da donazioni dei re, e tali beni non essendo bene delineati e limitati davano motivo a lotte fra le stesse cittä.20) Lontane dal mezzo di sviluppare una potenza propria per 1’ ariditä stessa del suolo, per gli elementi contrarii che costituivano la loro popolazione, inette per anco a dar sviluppo all’ industria,21) si contentavano di quel poco die poteva loro venir offerto dal suolo; per la loro posizione geografica accarezzate e dall’ Ungheria e da Venezia, tutte e due gelose del dominio nell’ Adriatico, ma piü propense al dominio ungherese (almeno a quest’ epoca) che al veneto, perche Venezia era loro troppo vicina e 1’Ungheria troppo lontana per tenerle soggette e dipendenti. Delle condizioni in cui si trovavano 1’Ungheria, Venezia e le stesse cittä dalmate, approfittarono in Dalmazia i potenti conti di Bribir per fondarvi un regno indipendente. I bribiresi portavano in origine il nome di Frangipani (Frango panes), nome questo che in appresso cangiarono in quello di Subich e Bribir.22) II capostipite di tale famiglia nella Croazia e Dalmazia sembra sia stato Nicolö Frangipani detto anche Borna (dal francese borne-confine), che sotto Carlo magno era conte del limen croaticum o Lika e che mori l’anno 821, mantenendosi fedele sempre ai Carolingi in quelle guerre che, suscitate da Liudevito, principe dei Croati interamensi, aveano devastato la Croazia; anzi il principe ribelle fu vinto da Nicolö. Dei suoi successori si conoäce Ladislao suo nepote, i di cui discendenti cangiarono il nome loro in quello di Subich; quindi Vinchizo che estendendo sempre piü i suoi possessi sul mare favori, per farsi sempre piü ricco e potente, le piraterie dei Narentani a danno di Venezia e cosi il di lui figlio e successore Marmogna (f 1110). II figlio di questo, Stefano, fondöpresso Scardona un munitissimo castello ch’egli chiamö Bribir23) (donde conti di Bribir o bribiresi) le cui dipendenze fece popolare e lavorare da abitanti trasportativi da Bribir del Vinodol mentre sede della sua potenza era Modrussa. Ebbe due figli, Doimo e Stefano II; Stefano ricevette circa il 1180 il castello di Bribii-, Doimo l’isola di Veglia, di cui erano stati giä investiti i Frangipani circa.il 1000 con Dario Frangipani, della linea che abitava a Venezia. I figli di Stefano furono Stefano III, Bribigna, Obrad e Budislavo; Stefano ebbe due figli, Stefano IV e Giacomo, Bribigna egualmente due, Gregorio e Daniele, dei quali il primo era conte di Spalato ed. in lotta con Boyzin conte della Lika.24) Stefano IV, conte di Lika e Bribir (chiamato anche Stipco di Bribir) fu riconfermato da Bela IV l’aimo 1251 nell’investitura del castello di Bribir per l’ajuto prestato al re all’epoca dell’irruzione mongolica dopo la battaglia al castello di Gelen o Grobnico e nel tempo istesso eragli stata conferita la carica di bano della Croazia e Damazia, — premio dovuto ai suoi meriti ed a quelli in parte dei suoi maggiori.25) Signori i bribiresi di vaste possessioni lungo la costa da Sebenico a Spalato e nelle terre della Bosnia e Croazia, eransi essi distinti per pietä, religione e giustizia.20) Morto Stefano IV (1258) il figlio di lui Paolo, ambizioso ed astuto, cercö sempre piü di estendere tali possessi e approfittando della propria potenza e delle condizioni politiche della Dalmazia, tanto fece valere la sua influenza nelle singole citta, memori delle virtü di suo padre,27) ehe queste lo nominarono a lor conte. 11 debole govemo dei successori di Bela favori i suoi piani e quelli dei suoi successori ed i bribiresi, dimentichi delle virtü dei loro avi, divennero prepotenti ed ambiziosi per 1’ insaziabile avidita di dominare, e ben presto oggetto di odio e di sprezzo. Assunse Paolo il titolo di Bano di Dalmazia e Croazia e di Signore della Bosnia siccome quegli che avea comperato parte di questo regno da re Ladislao IV, il quäle se ne era impadronito nella guerra contro Milutin Urosc (chiamato anche Stefano IV), re di Serbia dopo la morte diNicoslao.2s) Costrette dalla forza le cittä litorali eleggevano a conti i signori di Bribir, fratelli di Paolo, cosi Gioachino fu conte di Spalato (1271), Mladino conte di Trau (1276) e di Spalato (1282). Gregorio conte di Trau, Almissa e Sebenico col titolo di conte di tutte le cittä marittime (1282). A tanto era giä šalita la potenza di Paolo che, per meglio riuscire nei suoi piani, collegatosi, a quanto sembra, alla famiglia dei conti Kadcich, si impossessö di Almissa facendone un nido di rapine, ed incoraggiando le piccole cittä alla pirateria mettendole a parte dei lucri, costringeva le maggiori a pagar a Venezia i danni, che i suoi bravi arrecavano alle navi venete sull’ Adriatico.29) Tanta era 1’ inettitudine di Ladislao, ehe Paolo costringeva gli abitanti di Scardona a vendergli aleune possessioni e li assolveva poi dali’ obbligo di pagare le regalie ai castellani regi (1284).30) Intanto moriva Ladislao il Cumano e faceano valere i loro diritti sul trono degli Arpadi, Andrea il Veneziano, 1’ imperatore e la Chiesa; anzi il pontefice Nicolö IV faceva incoronare a re d’ Ungheria da un suo legato, Carlo Martello, che a sua volta, perche figlio di Maria degli Arpadi, levo pretese al trono.31) Paolo s’avvide che appoggiando gli Angioini avrebbe di molto accresciuto la sua potenza e si sarebbe resa Hgia la casa di Anjou, alla quäle per riuscire nelT intento era indispensabile la potenza e 1’ influenza di una ricca e potente famiglia in Dalmazia. Celestino V, eletto per opera del re di Napoli Carlo II a pontefice, dopo un interregno di due anni dalla morte di Nicolö IV, incoronava di nuovo a Roma Carlo Martello, che per rendersi care le cittä litorali, e specialmente Spalato, concedeva loro privilegi (1292) e vi mandava suoi messi per eccitarle a prestargli soccorso. Queste perö si rifiutarono di riconoscerlo a re.32) Principale avversario dei Martello era l’arcivescovo di Spalato, e Paolo per favorire il re ed insieme estendere la sua potenza, lo consigliö a voler far deporre 1’ arcivescovo di Spalato col pretesto ch’ egli, senza nessun motivo, non volea assecondare il desiderio degli abitanti di Sebenico di aver un vescovo.33) Paolo sperava che in tal modo, coli’ appoggio dei clero, avrebbe fatto di Sebenico il centro della sua potenza, e Carlo non riste dall’ abbraciar il consiglio dei conte per la ragione istessa, tanto piü che eragli facile riuscire nell’ intento, perche sapeva che il pontefice, ligio a Carlo di Napoli, dove anzi avea posto la sua residenza, non si sarebbe opposto ai / suoi piani. Ma Celestino V intanto, quell’istesso che come dice Dante avea fatto „per viltade il gran rifiuto“ abdicava (13 die. 1294), venivagli eletto a suceessore 1’ astuto ed energico Bonifazio VIII, e moriva pochi mesi dopo Carlo Martello. Dopo la morte del pretendente, Carlo Roberto suo figlio fe valere a sua volta diritti sull’ Unglieria, e Paolo lo appoggiö; Spalato fu costretta a ricever a suo primate Pietro de’ Minori Osservanti, confessore di Maria degli Arpadi, malgrado ehe la cittä, libera nell’ elezione del suo arcivescovo, avesse eletto 1’ arcidiacono Jacopo. Sebenico otteneva a vescovo fra Martino d’ Arbe. Quindi mentre mandava il figlio Giorgio in Italia per condur con barche armate Carlo Roberto in Dalmazia, Paolo si accampava a Conjnsko, a pocbe leghe da Spalato, in luogo ricco di pascoli, attendendo 1’ arrivo di Carlo e quando vide la flotta ehe si avvicinava, s’ appressd a sua volta alla cittä, ehe costretta dalla forza ed eccitatavi dali’ arcivescovo, malgrado protestasse, dove rieevere il nuovo re (1300).34) Cosi Paolo rendevasi colpevole di fellonia e per ambizione ed aviditä di potenza tradiva il principe, i cui avi aveano colmato di benefizii la sua famiglia; egli veniva premiato pel soccorso prestato al nuovo principe, quando Carlo Roberto 1’ anno 1302 lo investiva del possesso della Bosnia. Senonche le cittä litorali benche non si opponessero colla forza (ed anche volendo, non lo avrebbero potuto) al nuovo re, non volevano riconoscerlo e quando Carlo Roberto partitosi da Spalato con poco seguito giungeva a Zagabria, moriva Andrea III (1301) e scoppiava nuova lotta fra Alberto, papa Bonifazio e Venceslao di Boemia, le singole citta litorali, non essendovi un re legittimo e riconosciuto, ed approfittando deli’ assenza dei bribiresi occupati nelle guerre di Bosnia, serivevano nei publici documenti „sede vacante“; tanto cara aveano la loro libertä, tale era la paura di Venezia e tanta la fedeltä verso 1’Ungheria. Appena allorche il pontefice Bonifazio VIII nel maggio del 1303 minacciava di scomunica quelli che si rifiutavano di prestar omaggio al suo protetto, le cittä dalmate, che pur sempre erano in relazioni com-merciali coli’ Italia inferiore ed aveano conchiuso leghe cogli Angioini, spintevi dal clero, riconobbero il nuovo re. Dopo tante usurpazioni, tante angherie e vessazioni, Paolo oramai vecchio, per rassodare la potenza dei suoi col favore del clero o forse anche per sentimento religioso, si die a fondare conventi e chiese, e quando sua sorella Stanislava fece ergere non lungi da Scardona un cenobio (1304) indossando ella stessa il sajo francescano, egli sollevö di molti balzelli il comune di Scardona e regald il convento di ricchi doni e di terre. Orsola, moglie di Paolo, vi fe innalzare allato la Chiesa di S. Giovanni Battista e diede principio alla fabbiica di un convento per i frati Minori, compiuta poi da Paolo, il quäle a sua volta fe edificare un convento a Knin e die’ opera a rintuzzare la baldanza degli eretici della Bosnia ed Erzegovina coli’ eccitare Pietro IX, arcivescovo di Spalato, a ripristinare i vescovadi di Macarsca e Duvno. Si diede quindi ad una vita ritirata, lasciö il potere al figlio Mladino e mori 1’ anno 1312, nel mese di maggio.35) Era Mladino giovane di fieri spiriti e bellicoso; cresciuto fra inganni, soprusi e ladronecci prosegui sulla via tracciatagli dal padre, ma piü ardimentoso di lui e meno accorto condusse la casa di Bribir, se non a rovina, a molta decadenza. Carlo Roberto intanto era stato bensi riconosciuto a re (1316) ed incoronato ad Alba Reale, ma il potente conte Matteo di Trencsin col soccorso di nobili banditi, deciso di non voler riconoscere il nuovo re, con rapine e devastazioni poneva a sacco il temtorio della Waag ed impossessavasi di Comom, mentre Demetrio suo fido andava eccitando a rivolta i Sassoni di Kaschau. Carlo portö guerra al conte e lo sconfisse a Roszgon; ma oppresso un nemico ne sorgeva subito un altro — i re di Serbia invadevano 1’Ungheria ed i figli del conte Pietro Petheunch gli si ribellaväno.36) Queste lotte tenevano occupato Carlo in Ungheria dal 1311-1321 e permettevano invece a Mladino di estendere la sua potenza. Sicuro che Carlo non avrebbe fatto opposizione ai suoi piani e perche non poteva e perche tendevano, come Mladino diceva, a rassodare la potenza degli Anjou in Dalmazia, congiurö col cugino Bajamonte Tiepolo a danno di Venezia. Infatti a Venezia il partito aristocratico andava ogni giorno consolidando i suoi poteri a danno della plebe; 1’aristocrazia, non piü come nei secoli anteriori, diveniva proterva, sorretta dall’istesso doge, ed il malcontento nella plebe s1 aumentava sempre piü, per la mala riuscita dell’ impresa di Ferrara e la scomunica del potefice. Era morto il 1 gennajo del 1308 Azzo VIII marchese d’Este, signore di Ferrara e Rovigo, cognato di Carlo Roberto, lasciando a suo successore il nepote Folco, figlio legittimo di Fresco, bastardo del marchese. Francesco ed Aldovrandino, fratelli di Azzo, vedendosi privati dell’ eredita che loro spettava per diritto, ricorsero per soccorso al pontefice Clemente V, promettendogli di riconoscere Ferrara come feudo della Chiesa; Fresco ai Veneziani, i quali cogliendo 1’ occasione s’ impossessarono di Castel Tealdo e nominarono Podestä di Ferrara Giovanni Soranzo, che fu poi doge. II pontefice eccitö la republica a ritirarsi dali’impresa, sostenendo essere Ferrara feudo della Chiesa, ed i veneziani risposero col fortificare i loro presidi di Tealdo. Ferrara, soccorsa da Dalmasio de Banholis, avventuriere catalano in servigio della corte di Roma, preše le aimi e mentre il pontefice scomunicava la republica (17 marzo 1309), i veneziani venivano cacciati da Tealdo ed il Pelagraa, legato potificio, sconfiggeva la flotta veneta sul Po (28 agosto 1309).37) Terribile fu la scomunica pontificia per i suoi effetti, venivano sciolti i sudditi dal giuramento di fedeltä e, fra le altre cose, veniva proibito a qualunque di vender merci ai veneziani o di comperarne da questi. L’ira di Clemente V contro Venezia era stata suscitata da Roberto di Napoli, investito ora anche di Ferrara, il principe guelfo che aspirava all' acquisto d’ Italia e che di questo modo favoriva indiret- tamente i piani di Mladino di Bribir. E non sarebbe arrischiato il supporre li favorisse direttamente e ehe Roberto intento a procacciare il regno di Napoli al figlio Carlo, avesse cercato di favorire il nepote Carlo Roberto nell’ acquisto di Žara e delle isole della Dalmazia, affinche rinuneiasse ai suoi diritti su Napoli. Infatti morto Carlo II di Napoli (5 maggio 1309), Carlo Roberto fece valere i suoi diritti sul regno delle due Sicilie; impegnato pero nella lotta in Ungheria non pote opporsi ali’incoronazione di Roberto a re di Napoli (agosto 1309). Certo e ehe 1’ astuto Mladino approfittö del malcontento scoppiato a Venezia per la scomunica del pontefice e si congiunse a Bajamonte Tiepolo per rovinare la republica. Era Bajaraonte (Boemondo) figlio di Giacomo, il quäle avea sposato una figlia di Stefano IV di Bribir e eugino quindi di Mladino; erano i Tiepolo signori di vaste terre in Dalmazia e Bajamonte nel 1301 era stato podesta di Sebenico. Conosceva egli molto bene le condizioni politiche e sociali della Dalmazia e deciso di fondare a Venezia un’ oligarchia e di appoggiare i piani ambiziosi del eugino, congiurö per rovesciare la republica, suscitato dal patriarca d’Aquilejae dai Padovani; Mladino voleva fondare la propria signoria in Dalmazia, Tiepolo a Venezia.38) Unitosi ai nobili di Casa Querini, ai Badoer, Basilio (Baseggio), Dauri, Lombardi, Barocci, a plebei malcontenti, soldati forestieri e facinorosi d’ ogni specie, occupo coi suoi Rialto e la camera delle biade la sera del 15 giugno 1310 per impossessarsi alla mattina della Piazza S. Marco. Ma il doge ebbe tempo di opporgli resistenza; furono sbarrate le vie ehe conducono alla piazza ed i congiurati, vedendo inutili i loro sforzi, nel terzo giorno promisero al doge ehe sarebbero andati in esilio nel luogo ehe al consiglio sarebbe parso migliore. Tiepolo, fuggito da Venezia, andava eccitando il legato pontifieio ed i principi italiani contro la republica, quindi si ritirava in Dalmazia ed e probabile ehe ispirato da Roberto di Napoli, e questi da Mladino e Tiepolo, avesse il Pelagrua ordinato quell’ inqui-sizione, per cui si doveva ricercare se in Dalmazia „post prohibitionem Domini Papae aliquid venetis venderetur, vel ab eiisdem emeretur“ inquisizione questa, che ledeva sommamente gl’interessi mercantili specialmente di Zara, la quäle, suscitata da Mladino, colse ora il destro per ribellarsi a Venezia a grande gioja del conte, ehe sperava cosi veder compiuto il suo desiderio e riusciti i suoi piani.39) Zara d’ altronde, dopo la ribellione del 1242 a Venezia, non era piü la cittä protetta o alleata della republica, ma era a questa dipendente e soggetta; senonche, ricca pel commercio, che ora riceveva grave scapito coli’ inquisizione del legato, abitata a preferenza da cittadini della vicina Italia, ella aspirava ardentemente a libertä. Sapeva ehe libertä od alleanza non avrebbe potuto ottenere da Venezia, alla quäle Zara era indispensabile porto nella Dalmazia litorale e, non essendo abbastanza forte per opporsi alla republica, si diede all’Ungheria, che sapeva avrebbe rispettate le sue franchigie, sancite dai re Arpadi. Se fosse riusciuta la congiura di Tiepolo, Mladino non sarebbe ricorso al mezzo di suscitar la rivolta a Zara, ma se ne sarebbe impadronito colla forza; fallita perö la congiura, si decise di eceitar la cittä a ribellione per raggiungere almeno in parte lo scopo suo. L’11 maržo del 1311 alcuni plebei, prezzolati da Mladino, fecero scoppiar un tumulto nella piazza contro il conte veneto Michele Morosini, ehe a stento pote fuggire dal suo palazzo e rifuggiarsi presso i nobili di casa Saladini e quindi uscir da cittä trasvestito da monaco. La plebe perö facea prigioni i suoi consiglieri Giovanni Giustiniani e Marco Dandolo, eccitava il consiglio a radunarsi ed a dichiararsi per 1’ Ungheria, spedir a Carlo ambasciatori Stefano deli’ ordine dei Predicatori e Martino di Zara ed eleggere a conte Mladino di Bribir, ehe d’ or innanzi negli atti pubblici portö il nome pomposo di „banus Croatorura, Comes Jadrae, Piinceps Dalmatiae et secundus bosnensis banus“.40) Mladino fe nota a Carlo la ribellione non volendo tutt’ad un tratto ribellarsi al re, sperando anzi da questo per tale fatto qualche nuovo favore e Paolo, suo padre, seriveva al pontefice in Avignone pregandolo di soccorso. Ma Carlo Roberto non bene ancora rassodato sul trono, in lotta col conte di Trencsin, non pote portarsi in Dalmazia per soccorrere Zara, ehe sapeva sarebbe stata assediata da Venezia e si accontentö di serivere alla republica intimandole di non molestar Zara, clie era cittä deli’ Ungheria, fingendo di non ricordarsi clie Bela IV avea rinunciato ai diritti sopra di Zara riservandosi quello della „yratarina“ (30 giugno 1244). Moriva intanto il doge Gradenigo e venivagli eletto a successore Marino Giorgi (22 ag. 1311-1312), il quäle rispondeva al re in data 4 ottobre 1311 sostenendo i diritti di Venezia sopra Zara; con nuovo seritto Carlo faceva valere i suoi ed il Giorgi gli rispondeva rivendi-cando, anche con speciali istruzioni date air ambasciatore a Buda Nicolö Grimani, con parole forti e recise i diritti della republica (nov. 1311 e ott. 1312).41) Ma mentre Carlo Roberto si accontentava di protestare, Venezia spediva fin da principio una flotta a Zara comandata da Bortolomeo Micheli coi sopracomiti Marco Giustiniani e Marino Bembo, i quali cinsero la cittä d’ assedio, intercettando il grano ehe vi veniva portato per via di mare e quando moriva il Giorgi e gli succedeva nel dogado Giovanni Soranzo (1312-1329), la republica si decise di stringere sempre piti la cittä d’ assedio e sollecitar la fine della guerra. Nel giorno 14 gennajo 1313 Clemente V assolveva dalla scomunica i Veneziani, che per ingraziarsi il pontefice aveano ricusato soccorso ad Enrico VII imperatore contro Roberto di Napoli, anzi Dalmasio de’ Banholis del contado di Roussilon, capitano generale del pontefice o meglio di Roberto di Napoli a Ferrara, nel maržo del 1313 passava al soldo di Venezia, dalla quäle giä nel febbrajo del 1312 avea avuto il privilegio di cittadinanza.42) Dalmasio e »Bompaon de Catalonia“ con 3000 catalani, mercenarii famigerati per le ruberie nelle guerre d’ Italia a quest’ epoca, sulla flotta veneta comandata da Beletto Giustiniani, resosi famoso a sua volta nell’Arcipelago per le rappresaglie contro i Greci, sbarcö a Vra, isoletta presso a Nona; fermatosi cola otto giorni, mosse su Zara, ed eretto un forte accampamento, cinto di fossa e steccato, assediö la cittä dalla parte di settentrione mentre il Giustiniani 1’ assediava dalla parte di mare (giugno 1313). Biusciva pero a Mladino con un esercito di croati e tedeschi di stabilire un campo fortificato di fronte ai catalani in modo che questi si trovavano nel mezzo nel caso avessero voluto assalir la cittä. Dalmasio perö non tentö neppure di assalir la piazza; di rado soltanto s’era venuto a qualche scaramuccia e ciö nelle sortite per provedere foraggio quando Dalmasio, che per tre mesi soltanto avea prešo il soldo, spirato 1’ingaggio, si rivolse a Venezia chiedendo venissero aumentati gli stipendii a lui ed ai suoi. La republica si rifiutö di farlo, come rifiutö di accettare il consiglio di Mladino di farsi Zara alleata ed amica piuttosto ehe soggetta; Dalmasio allora per i patti giä conchiusi con Mladino, fingendo di assalir la cittä, abbandonate le trincee, entrö a Zara e preše servigio al soldo della cittä con annui fiorini d’ oro 5000, che furono a lui subito esborsati. La notte stessa di quel giorno i Zaratini, approfittando della cireostanza ehe le navi venete, sbattute da una tempesta, erano lontane 1’ una dali’ altra ed in alto mare e che il Giustiniano sempre malato dovea starsi rinchiuso nella sua cabina, assalirono la nave capitana e quella dei due sopracomiti e il Giustiniani, fatto prigione, mori nelle prigioni di Zara prima ancora ehe venisse firmata la pace.43) Vedendo la republica ehe 1’ impresa contro Zara minacciava di fallire e che Carlo Boberto, riuscito vincitore nella lotta contro il conte di Trencsin, avrebbe potuto portarsi in Dalmazia, si decise di ricuperare la cittä piu ehe coli’ armi, coli’ oro e cogli onori. Mentre la flotta comandata da Vito da Canal assediava Zara, il doge trattava con Dalmasio, da lui conosciuto nella guerra di Ferrara, e con Mladino, dei quali il primo, come tutti gli avventurieri, cercava danaro, il secondo sapeva ehe anche dalla resa di Zara sarebbe a lui ridondato vantaggio. Egli lo cercö di cogliere, tanto piu che non eragli riuscito di far della cittä un suo possesso, come avea da principio stabilito, perche anche Dalmasio pagato molto bene da Zara gli si era opposto coi suoi. II conte consigliö quindi i Zaratini alla resa e nel settembre del 1313 Zara si arrese a patto che Venezia dovesse soltanto confermare il Conte veneto ehe doveva venir eletto dal Consiglio di Zara ed insieme a tre giudici della cittä (egli non dovea quindi aver consiglieri veneti) esercitare il potere giudiziario in aflari criminali, Zara infatti diveniva cosi alleata e non soggetta di Venezia.44) Fallito a tal modo il piano di Tiepolo, era fallito in parte pur quello di Mladino perche Carlo Boberto, non fidandosi del conte di Bribir, e non potendo soccorrere d’ altronde la cittä, si rivolse allo zio Boberto di Napoli, il quäle procurö che prendesse servigio al soldo di Venezia Dalmasio suo condottiere a Ferrara, perche questi tradisse Venezia e si opponesse ai piani del bribirese a Zara.45) E a Mladino riusci di vantaggio la dedizione condizionata della cittä, dedizione da lui stesso consigliata, quando s’ avvide ehe i suoi piani avrebbero potuto abortire del tutto. II conte si meritava con ciö il favore di Carlo Roberto, al quäle sarebbe stato piü facile in appresso assoggettare la cittä, senza venir a lotta coi veneti ehe cosi tacitamente rinunciavano ai loro diritti su Zara, diritti sanciti anche da Bela IV, e il favore di Venezia che preferi la dedizione condizionata alla perdita assoluta della cittä. Mladino ne fu rimeritato dalla republica col titolo di patrizio veneto (28 maržo 1314) 4r‘) ed ora, appoggiato al favore di Carlo e piü ancora a quello di Venezia, si die a tiranneggiare in Dalmazia; la repubblica lo lasciö fare perche sapea ehe le angherie del conte sarebbero ridondate ad utile di Venezia. — Infatti i fratelli di Mladino intanto, cioe Giorgio II, Gregorio, Paolo ed i suoi nepoti Paolo, Giorgio, Mladino, Deodato, erano sempre ancora conti or deli’ una or deli’ altra delle cittä litorali ehe essi governavano a lor talento, vessandole con onerosissime imposte ed odiose contribuzioni, e Mladino cercö di approfittarne per rendersi signore di Traü, come lo era gia di Almissa e Scardona. Comandö quindi a Trau, di cui era podestä Matteo Zori e conte Paolo, fratello di Mladino, di rilasciargli un foglio bianco in cui avrebbe esteso a suo piacere gli articoli di una nuova costituzione per la cittä; i traurini si opposero al suo comando e spedirono ambasciatori a lui il vescovo Liberio e Daniele Vitturi, (il Farlati dice „Danielem Jacobi“) per pregarlo di voler rispettare le franchigie della cittä, che non avea per nulla demeritato il favore del re d’ Ungheria. Mladino perö si rifiutö di accogliere gli ambasciatori e il 23 maggio 1315 pose assedio alla cittä dalla parte di terra, mentre suo fratello Giorgio 1’ assediava dalla parte di mare con barche armate ad Almissa e Scardona,47) ed i cittadini distruggevano i conventi posti fuori della cittä perche non cadessero in mano dei bravi di Mladino i ricchi arredi sacri delle chiese. Credeva Mladino che a tale apparecchio di forze la cittä si sarebbe arresa senza oppor nemmeno resistenza; ma Traü si rivolse per soccorso a Venezia ed il conte, temendo di perdere tutto il prestigio in Dalmazia se fosse venuto a lotta aperta colla republica e di attirarsi l’ira di Carlo Roberto per la perdita della cittä, di cui senza dubbio si sarebbero impadroniti i veneti, si decise di ritirarsi dali’ assedio constringendo perö i cittadini ad esborsargli 10,000 libre. Sembrogli invece miglior consiglio di sguinzagliare i suoi bravi e di trattare coi piü influenti cittadini promettendo loro doni ed onori nel caso le singole cittä si fossero date a lui. Quindi mentre suo fratello Giorgio dava privilegio di esercitar pirateria ai corsari di Almissa e della Poglizza,48) egli trattava con Stefano Manolesso, figlio di Matteo, podestä di Trau (30 maggio 1315). I pirati di Poglizza ed i Morlacchi, fatti forti delle concessioni, penetravano nelle chiese, rubandone gli arredi sacri, e siccome Mladino si era cosi alienato 1’ animo del clero, che per tali suoi atti apertamente lo biasimava e gli suscitava le cittä, egli appoggiava gli eretici, mentre i suoi bravi sfogavano la loro rabbia contro i conventi e le chiese. Mladino stesso a suo talento insediava e cacciava dalle loro sedi vescovi ed abbati e le strade erano infestate da ladroni. Arrogavasi possessi di ricche famiglie coll’uccideme i capi accusandoli di tramar contro 1’Ungheria, e facea assassinare i figli di nobili famiglie a lui dati in ostaggio.49) Carlo Boberto intanto 0 non voleva credere agli arditi piani dei bribiresi o non voleva, non ancora ben rassodato sul trono, farseli nemici tanto piü ehe 1’ appoggio di Mladino eragli ora indispensabile in una guerra contro Milutin Urosc, re di Serbia, il quäle erasi impossessato del banato di Machovo; Milutin, ehe contemporaneamente era in lotta con Filippo di Taranto zio di Carlo Roberto per 1’Albania, fu sconfitto da Carlo per opera specialmente di Mladino e di suo fratello Paolo e Carlo, costretto di far ritorno in Ungheria per la ribellione dei figli del conte Petheunch, investi della maggior parte della Bosnia 1 bribiresi.50) (1319). Pero 1’anno 1318 avea mandato in Dalmazia il vescovo Agostino di Zagabria dalmata di nascita. Lo scopo deli’ ambasciata del vescovo s’ era di eccitare le cittä litorali a non darsi a Venezia e mantenersi invece fedeli al re d’Ungheria.51) Ma non bastavano le sole ammonizioni e le savie parole del vescovo perche le cittä potessero difendersi contro le usurpazioni dei bribiresi, ehe faceano vil merce delle cose piü sacre, e terminata la spedizione di Carlo Boberto contro la Serbia, vedendo Mladino ehe il clero eragli nemico, si decise di appoggiare con maggior energia gli eretici della Bosnia e suscitare cosi un’ orrenda lotta nella Dalmazia, tanto che il pontefice Giovanni XXIII gli serisse da Avignone, esortandolo a migliori consigli e Paolino Draseovich della nobile famiglia dei conti di Knin, vescovo di Scardona, a sua volta gl’ indirizzo una lettera minacciandolo di scomunica. Mladino gli rispose coll’ingiungere ad un suo nepote di uccidere il prelato, il quäle infatti fu trafitto nel suo palazzo di Scardona dai bravi di Mladino.52) I piani di Mladino perö dovevano andar a vuoto. Venezia, ehe spiava 1’ occasione di impossessarsi della costa dalmata, e molto piü potente di Mladino, facea in modo ehe le somme cariche nelle cittä venissero coperte da suoi partigiani; cosi a Trau fu scelto a rettore Marco Vitturi, cugino del vescovo Lampridio, figlio di Giacomo patrizio veneto, ehe sposatosi a Bona Cega era ricco di vaste possessioni nel comune della cittä. A Sebenico, morto il vescovo Fra Martino, veniva eletto Grisogono Fanfogna, canonico di Zara ed a conte Budislao di Corbavia, parente di Jwan Babonich, signore di Bosnia.53) Era il Babonich cognato di Enrico di Gorizia, amicissimo a quest’epoca di Venezia, e molto bene conosciuto dalla republica, contro la quäle e in favore della quäle avea combattuto col cognato Enrico le guerre d’ Istria.54) Žara poi eccitata da Venezia, consigliava le cittä a conchiudere alleanze fra di loro per opporsi agli arditi piani dei bribiresi, e Mladino, mentre indanio s’ affaticava a che Stefano Manolesso riuscisse eletto a rettore della „sua cittä di Trau“, che com1 egli diceva non voleva assogettarsi al suo „paterno dominio“, eccitava Spalato a dargli soccorso dicendo che Zara, di cui Spalato era gelosa, voleva procacciarsi un’ egemonia in Dalmazia, egemonia di cui poi avrebbero approfittato i veneti a danno delle cittä litorali. Zara infatti, che Mladino voleva costringere ad eleggere a suo giudice il eugino Bajamonte Tiepolo, conchiuse lega con Sebenico (24 gennajo 1320) e Venezia stessa si accinse a prestar soccorso agli abitanti di Sebenico, i quali conchiusero pure un’ alleanza con Traü (gennajo 1322). Sebenico allora fu cinta d’assedio dal conte 1322); la cittä si difese molto bene e Mladino, fatti uccidere i fratelli Cosa, Saraceno Michele ed Elia da Sebenico i quali aveano contro di lui tramato, dopo essere stato per parecchi mesi sotto le mura della cittä distruggendo le messi ed i campi, fu costretto a levar 1’ assedio e portarsi contro Traü, alla quäle riusciva di trar alla sua alleanza anche Spalato per consiglio di Venezia il cui doge scriveva (5 aprile 1322) agli spalatini pregandoli di non appoggiare i nemici delle due cittä. Traü si difese come Sebenico anzi riusciva ai traurini di impossessarsi col soccorso di Venezia e di Spalato anche di Almissa.65) Cosi riuscivano a vuoto i piani di Mladino e Sebenico e Traü, temendo l’ira del conte, abbandonate da Carlo Roberto sempre in lotte nell’ Ungheria, si decisero di darsi a Venezia a patto che venissero rispettate le loro franchigie e venissero riconosciuti da Venezia i diritti che sulle cittä dalmate vantavano i re d’Ungheria e precisamente come diceva 1’ atto di dedizione „ Salvis honorificentiis et iuribus Domini Regis Hungariae quae haberet, vel deberet habere“; divenivano cosi cittä protette e non essendo abbastanza forti da opporsi ai piani dei bribiresi, preferirono naturalmente il pratrocinio veneto, (ch’ esse come si vede dalla clausola perö non desideravano sapendo che Venezia le avrebbe ben presto spogliate della loro libertä municipale), al tirannico dominio dei Subich. — Cosi il Cronista veneto anonimo: Item in questo tempo algune terre di Dalmatia, che iera in grandissima desolation, non possando li Cittadini dentro habitar ne viver, con ogni humiltade e reverentia se sottomese spontaneamente sotto laprotetion del ditto Dose, enefö prima Sebenzani in MCCCXXII, del mese de Marzo con molti patti et condition, et per lo mazor Consejo de Venetia, per la forma de patti, per quattro man de eletion li fo mandado per so Conte primieramente Dardi Bembo; quelli de Traü se sottomese in lo ditto Millo, e fö li mandado per Conte per lo modo antedito, Marin Morosini.56) Cosi fallivano i piani di Mladino, mentre Venezia riusciva invece al possesso di due importanti cittä della Dalmazia litorale e per meglio mantenersi al possesso, consigliava Traü ad eleggere a suo conte Paolo di Bribir che mortalmente odiava il fratello Mladino e ad allearsi cogli altri conti deli1 interno, cioe con Nelipzio conte di Knin e Budislao e Gregorio conti di Corbavia.67) Mladino si vedeva abbandonato, da tutti odiato e deluso nelle sue speranze; si risolse quindi di rivolgersi a Carlo Roberto col consigliarlo di venir in Dalmazia ad assoggettare le cittä ehe s’ erano date alla republica, come se queste non si fossero poste sotto il patrocinio veneto per isfuggire alla sua tirannide. Ma Carlo Roberto, che finalmente liberato dalle lotte interne non avea piü bisogno dei bribiresi in Dalmazia, sapendo ehe Mladino era stato la cagione della perdita delle cittä lito-rali, diede ascolto bensi al messo di Mladino, il fratello Giorgio, ma si decise di scendere in Dalmazia con un' esercito per por fine alle tirannidi dei bribiresi, e nel tempo istesso serisse a Venezia da Temesvar (3 Agosto 1321) ringraziando per gli ajuti prestati alle cittä dalmate e chiedendo ehe la repubblica non volesse usurparsene aleuna.58) Intanto i conti deli’ interno, capitanati da Jwan Babonich, sconfiggevano Mladino a Bliscaed il conte veniva costretto a ritirarsi a Clissa ove attese, essendo partiti i nemici, 1’ arrivo di Carlo, eh’ egli sperava lo avrebbe soccorso contro essi. Ma Carlo Roberto era molto bene informato delle crudelta e del despotismo di Mladino; indamo con ricchi doni egli si presentd al re, accampato a Knin (Ottobre 1322); il conte fu fatto prigione e, stretto in catene, fu condotto in Ungheria ove sembra anche sia morto. — Carlo non abbastanza forte, perche privo di flotte, per cimentarsi giä allora in una lotta contro Venezia, si accontentö di riconoscere e sancire i privilegi delle cittä dalmate tra le quali Sebenico, ehe a lui avea mandato ambasciatori Gregorio Cortese ed il notajo Giovanni de’ Carrari da Treviso, e quindi fe ritomo in Ungheria, nominando a bano di Dalmazia Jwan Babonich (28 ottobre 1322).59) Non solo 1’ impossibilitädi impadronirsi delle cittä dalmate, ma la sconfitta toccata agli eserciti ungheresi ed austriaci ad Ampfing (28 Settembre 1322) aveano costretto Carlo Roberto a ritornarsene in Ungheria. Infatti Carlo avea prestato soccorso a Federico il bello d’ Austria contro Lodovico il bavaro dopo la morte di Enrico VII (1313), perche il bavaro avea in pensiero di investire del Brandeburgo il figlio Lodovico ed accrescere in tal modo sempre piü sua potenza. Sconfitto Federico d’ Austria e fatto prigione, Carlo Roberto temeva ehe il bavaro non volesse muovere contro 1’Ungheria e far valere su questa i diritti dell’impero. Cercö quindi di suscitare contro l’imperatore il pontefice Giovanni XXII, ancora residente in Avignone ehe, eccitato anche da Roberto di Napoli, scomunicö il bavaro ed eiesse ad imperatore Carlo di Francia (1324). Giovanni di Boemia della časa dei Lussemburgo (chel’anno 1309 avea avuto quel possesso) s’uni a Carlo Roberto ed al principe di casa d1 Austria contro le prepotenze del bavaro, il quäle veniva costretto a dar la libertä al prigione Federico il bello (Aprile 1325). Pero morto Leopoldo „il fior di cavalleria“ ed Enrico, i fratelli Federico ed Alberto d’Austria divisero fra di loro i possessi austriaci (1327) ricusando di dare ali’ altro, Ottone, perfin quello eh’ era stato a lui assegnato dal padre Alberto I imperatore. Ottone si rivolse allora per soccorso a Carlo Roberto ed a Giovanni di Boemia, i quali penetrati con due eserciti nell’Austria costrinsero Federico, ehe portava il titolo di imperatore, ed Alberto, a cedere al fratello Ottone la parte del retaggio paterno (1328). Dell’ assenza di Carlo Roberto approfittö Giorgio di Bribir, fratello di Mladino, per far risorgere la potenza dei Cribiresi. Comincio egli col portar gnerra a Spalato ehe, fatta alleanza con Trau e Sebenico, aveä soccorso le cittä contro Mladino e s’ era anzi impoSsessata di Almissa, avendo avuta come sembra, se non 1’ alleanza, almeno pero la protezione del Babonich stesso, ehe tendeva a raggiungere a sua volta ciö che non era riuscito di raggiungere a Mladino. II 15 aprile del 1323 irruppe Giorgio nel territorio di Spalato asportandone graa quantitä di bestiame; i cittadini fecero una sortita con 1200 soldati suonando a stonno le campane e Giorgio, per coglierli alla sprovveduta, finse di fuggire oltre Salona; gli Spalatini lo inseguirono fino quasi al munitissimo castello di Clissa. Ma il conte volta la faccia al nemico, lo assali con tale impeto ehe gli spalatini, datisi ad una fuga disperata, a stento poterono salvarsi in cittä e piü di 150 furono i morti e prigioni, fra i quali parecchi nobili.60) Spalato pensando a ragione ehe il conte avrebbe tratto profitto della vittoria riportata, si decise di chiedere il soccorso di Nelipzio conte di Knin col mezzo del vescovo di Knin Nicolö, abbate di S. Stefano, da Spalato.01) Ma Carlo, sapendo quanto eragli nociuto il soccorso prestato da stranieri alle cittä litorali, temendo anche clie Spalato, oppressa dal bribirese non si desse alla republica e volendo nel tempo stesso punire il Babonich ehe agiva in dalmazia a tutto vantaggio di Yenezia, nominö a bano Nicolö, conte di Vesprim ehe, con un esercito di Ungheri e cumani (10 ag. 1323),mosse alla volta della Dalmazia.02) Ne il re d’Ungheria s’ingannava. II Babonich gli si oppose al passaggio della Kulpa; fu sconfitto pero ed ottenne di ritirarsi nei suoi castelli della Croazia, e Nicolö mosse allora alla volta di Spalato ove fu ricevuto con grande onore dalla noblita e dal clero. Senonche i conti croati, usi da molto tempo a vivere indipendentemente, subornati da Venezia o dal Babonich stesso, aveano in animo diribellarsi al bano, il quäle, saputa la cosa, si decise di far ritorno in Ungheria. Giorgio di Bribir attendeva soltanto la partenza del bano per riaprir la campagna contro Spalato e riacquistare la Bosnia, di cui Carlo Roberto avea investito, dopo la morte di Mladino, Stefano Kotro-manovich, di schiatta ungherese, uomo ambizioso e potente e ehe nei puhlici atti si intitolava, Principe di Bosnia, Ussora e Sala e conte di Chelmo.63) Alleato al suo parente Federico Frangipani conte di Veglia e ad aleuni cittadini di Žara, malcontenti del freno che Venezia andava a loro a poco a poco imponendo, Giorgio il 7 giugno del 1324 con molti soldati della Culmia, della Poglizza e Bosnia mosse contro Knin e s’ accampö a Topoglie. La egli arrischiava le sorti della casa di Bribir. Nelipzio, unitosi al Voivoda Giorgio Mihoilovich, lo assali presso Topoglie; Giorgio fii sconfitto e, fatto prigione, fu consegnato agli spalatini insieme a Bajamonte Tiepolo, mentre i suoi fidi sbosnesi fuggivano oltre i monti.04) Sembra perö che sia stato di nuovo consegnato a Nelipzio perche quando fra la contessa di Bribir, moglie di Giorgio, e gli spalatini fu conchiusa la pace, Giorgio trovavasi prigione a Knin. Certo e che il 5 marzo del 1325 fu conchiusa una pace fra gli spalatini e la contessa per cui dovevano venir posti in libertä i cittadini di Spalato, prigioni dopo il fatto di Clissa, e la cittä doveva invece pagare una certa somma di denaro. Ma Nelipzio voleva succedere nel retaggio di tirannide lasciato dai bribiresi, dei quali restavano Paolo conte di Clissa, differente a quanto sembra per carattere dai fratelli, e Gregorio conte di Ostrovizza. Nelipzio dunque cominciö col far edificare sul torrente Cicola un castello ora detto Clucich, per impedire il transito delle merci che per la via di terra passavano a Sebenico, taglieggiando cosi i mercadanti a grave scapito della cittä. I cittadini di Sebenico si rivolsero allora per soccorso ai veneti, i quali penetrati per mezzo di una scala a corda entro il castello, ne scacciarono il presidio e smantellarono in parte le mura di cinta. Carlo Roberto si decise di por riparo fin da principio alle angherie del conte e mandö in Dalmazia il bano Michele (1326) tanto piü che Zara, spinta da Venezia a restituir a Sebenico le isole di Zuri e Morter per le quali Zara avea avuto da combattere tante lotte con Sebenico, tendeva giä di nuovo a ribellarsi a Venezia.05) I conti Babonich, e per proprio conto e perche pagati dalla republica, gli opposero resistenza; furono perö costretti a ritirarsi ed il bano, unitosi a Stefano Kotromanovich ed a Federigo Frangipani, che voleva liberar Giorgio dalla prigionia di Nelipzio, mosse verso Zara. Dice il Madio che il bano vi fu ricevuto con grande onore; ma e certo che non avendo abbastanza eserciti per opporsi ai bribiresi ed a Nelipzio, lasciato un presidio a Bihacz, fece ritorno in Ungheria. Cosi Spalato, abbandonata dali’Ungheria, temendo e di Nelipzio e dei Bribiresi, si decise a sua volta di darsi a Venezia e con Spalato anche Nona, salvi sempre i diritti deli’ Ungheria. II cronista veneto anonimo cosi racconta la dedizione: Ancor in questo tempo (nov. 1327) le Cittade de Spalato e de Nona, li qual iera in estrema et chattiva condition, per lo modo che de soura e ditto de Sebenico e Trau, vedendo le ditte Cittade, sottomesse al Comune de Venetia, de chattiva condition essere vegnude in bona condition, et in brieve tempo, desse le do Cittade, con le condition e patti delle altre do prenominade e questo fö in 1327 che si de Spalatini in lo mese de Settembrio e fö li mandato per so conte Marco Fuscarini“. — In appresso affinche cessassero le cagioni di liti fra le cittä litorali, Venezia le costrinse a conchiudere vicendevolraente delle alleanze (decembre 1327) e fe in modo ehe venissero appianate le differenze fra Paolo di Clissa e Nelipzio di Knin (gennajo 1328); probabilmente in quest’incontro fu lib»erato dalla prigionia Giorgio di Bribir ehe mori nel 1332. Siccome pero Bajamonte Tiepolo era quello che specialmente suscitava contro Venezia i bribiresi, il consiglio dei dieci diede ordine ai conti veneti delle cittä litorali di procurare con qualunque mezzo la morte del Tiepolo, ehe pero sembra sia morto di morte naturale presso i suoi parenti i bribiresi (gennajo 1329).fif>) Dopo tante lotte le cittä dalmate potevano sperare si schiudesse per loro una nuova era di felicitä; libere dalle imposizioni onerose dei conti, dalle piraterie degli Almissani e Poglizzani, poterono dar maggior ineremento al loro commercio sotto il patrocinio di Venezia, men tre colla dedizione alla republica s’ accresceva anche la prosperitä dei singoli comuni ehe non aveano piü bisogno di tm conte lautamente salariato, con potere militare, per difenderle dai nemici esterni; Carlo Roberto invece per i piani temerari dei rapaci conti di Bribir perdeva la Dalmazia, il possesso piü importante per l’Ungheria. Venivagli con ciö preclusa la via del commercio col Mediterraneo, il bacino, per dir cosi, della coltura e colla perdita dell’Adriatico il ponte che legava il Napo-letano ai possessi della corona di S. Stefano, in un epoca in cui la Dalmazia era per Carlo Roberto di speciale importanza. Era morto addi 10 novembre 1328 Carlo duca di Calabria, figlio unico di Roberto re di Napoli, lasciando due figlie Giovanna e Maria. Carlo Roberto, spogliato dei regno di Napoli dopo la morte dell’ avo Carlo II (1309), fece valere anche in questa occasione i suoi diritti sul trono delle due Sicilie, diritti che non potevano venir dichiarati nulli dall’ arbitraria aggiunta fatta da papa Bonifazio VIII all’ atto d’ investitura dei regno delle due Sicilie a Carlo I d’ Anjoti, emanato da Urbano IV (1264) e sancito dal suo successore Clemente IV (1265). Si diceva in questo: Si comes (Carlo d’Anjou) regniun a nobis receperit. descendentes per rectam lineam ex eodem et ipsius haeredibus, Siciliae regibus, mares et feminae in eodem regno succedent. Quindi quando moriva re Carlo II (1309), figlio dei vincitore di Manfredi e di Corradino, per le bolle di Urbano IV e Clemente IV, dovea a lui succedere il nepote Carlo Roberto, figlio di Carlo Martello (morto 1295), primogenito di Carlo II, il quäle Carlo Roberto rappresentava veramente la linea diretta maschile. Ma Carlo Roberto a quest’ epoca era in Ungheria, re rieonosciuto da pochi magnati ed occupato nelle lotte contro il conte di Trencsin e Roberto, secondogenito di Carlo II, ne approfittö per farsi incoronare a re di Napoli da Clemente V (agosto 1309). Vero e che Carlo II avea lasciato il regno per testamento (16 marzo 1308) al figlio secondogenito Roberto, anziche al nepote che aveva giä a quest’ epoca il regno d’Ungheria; ma Carlo II non avea il diritto di farlo per le bolle citate di Urbano IV e Clemente IV e perche era illegale 1’ aggiunta fatta alle suaccennate bolle da papa Bonifazio VIII (1297). In questa si diceva: Is autem de praedictis liberis primogenitus intelligatur et in eodem regno tibi sit successor et heres, quem mortis tuae tempore priorem gradum et majorem natu reperire continget.07) Ma come papa Bonifazio VIII avea fatta 1’ aggiunta alle bolle originarie d’investitura del regno delle due Sicilie per ingraziarsi Carlo II dopo la prigionia del romito di Morone, cosi ora Clemente V, che per primo risiedette ad Avignone, vedendo 1’ Italia scissa in partiti e prossima la spedizione di Enrico VII imperatore, sapendo che ove avesse incoronato a re Carlo Roberto d’ Ungheria, avrebbe perduto e' lo Stato della Chiesa e la sua influenza in Italia (perche il re d’ Ungheria non avrebbe potuto far guerra al Lussem-burghese, come quello ch’ era avvolto in continue guerre nel regno, che a fatica si poteva dire conquistato), contro ogni diritto incoronö a re Koberto di Napoli, che infatti d’ ora innanzi fu il piü valido appoggio dei pontefici in Italia.08) A quell’ epoca dimque, come si e detto, Carlo Roberto s’ era accontentato di protestare intitolandosi perö sempre Principe di Salerno e di S. Angelo, e s’ avea avuto in compenso i soccorsi dello zio nelle lotte contro Venezia. Ora perö alla morte di Carlo duca di Calabria (1328) la cosa si cangiava; si spegneva con lui anche la linea regnante maschile indiretta, e Carlo Roberto ne colse 1’ occasione per far valere i suoi giusti diritti, temendo non facessero valere alla loro volta i loro cugini Luigi, Roberto e Filippo di Taranto e lo zio Giovanni di Durazzo per i suoi figli Carlo, Luigi e Roberto. Fu appoggiato dal Pontefice Giovanni XXII, che schiavo di Roberto di Napoli per i soccorsi da questo prestati al pontefice contro Lodovico il bavaro in Italia, cercava ora di opporre a Roberto, divenuto potentissimo in Italia, il cavalleresco Giovanni di Boemia, sempre avido di avventure.'19) II pontefice propose quindi a Roberto di Napoli di sposare la nepote Giovannaad Andrea figlio minore di Carlo Roberto ed unire cosi i diritti delle due linee sul trono delle due Sicilie.70) Avveniva questo l’anno 1332 essendo stato Carlo Roberto impedito di far cid prima da una guerra infelice contro Michele Bessaraba, voivoda di Valachia (1330) e contro gli absburgi (1331). Roberto di Napoli acconsenti alla proposta del pontefice e per non farselo nemico e perche troppo splendida e voluttuosa era la vita dei suoi nepoti, cresciuti fra i vizii e le immoralitä per l’educazione loro impartita dalle rispettive loro madri Catterina di Valois ed Agnese di Perigord. Carlo Roberto finalmente avea ottenuto ciö che era stato suo desiderio fin dalla morte dell’avo Carlo II, ed ora si decise di passar in Dalmazia per andar a Napoli e sposare il figlio minore Andrea alla cugina Giovanna. Intanto nella Dalmazia le cittä litorali, patrocinate da Venezia, che per govemarle secondo le loro leggi aveva fatto trascriver queste in Codici, chiamati Statuti, prosperavano ognor piü, libere dalle angherie dei conti deli’interno. Ma la republica temeva sempre per i suoi nuovi possessi, ora specialmente che Carlo Roberto s’era deciso di andar in Dalmazia, anzi voleva mandar a lui ambasciatori, come si arguisce dalla lettera di Federigo Frangipani al doge Francesco Dandolo (1328-1339), successore del Soranzo, lettera dalla quäle si deve ritener pure che Carlo Roberto avesse voluto passar in Italia su navi a lui somministrate dal Frangipani, signore di Modrussa e quindi vassallo deli’ Ungheria, come lo era di Venezia per Yeglia; tanto era sicuro che le cittä litorali si sarebbero rifiutate di riceverlo dopo aver esperimentato il patrocinio di Venezia.71) Ma s’ingannava; e quando nell’ agosto del 1333 egli giungeva a Modrussa con piccolo, ma splendido corteo, i cittadini di Spalato gli mandarono ambasciatori Teodosio Alberti e Pietro Franceschi con ricchi doni pregando volesse sancire i loro antichi privilegi. Carlo accolse con molta premura gli ambasciatori ed ebbe cari i doni, ma si rifiutö di confermare i privilegi a Spalato, rispondendo agli spalatini in data 17 agosto, „Privilegia quaedam vestra ad praesens, propter quod nequivimus confirmare, dictis Domino Archiepiscopo cum cüctis suis sociis verbo-tenus recitabit cum caeteris responsis“.72) Carlo Roberto rifiutö probabilmente la sauzione dei privilegi alla cittä di Spalato, perche temeva di Venezia e voleva procurarsi il Napoletano prima di muover guerra alla republica, o prima che questa gliel’intimasse a lui se si fosse accinto alla conquista delle cittä litorali. Che se egli col rifiutö dato a Spalato avesse voluto rinunciare indirettamente alla Dalmazia, non avrebbe accolto favorevolmente gli ambasciatori come lo fece „munera grata habuimus, gratiorem tarnen vestrae fidelitatis constantiam“. Temeva ancora che la potente republica non appoggiasse qualche pretendente sul trono di Napoli, che finalmente egli stava per conseguire, e non si opponesse a lui nel varcar 1’ Adriatico; d’altronde avrebbe sancito i privilegi di Spalato forse nel solo caso che tutte le citta dalmate gli avessero spedito ambasciatori per la conferma dei privilegi e per prestargli omaggio. Da Modrussa passö Carlo Roberto nell’ Apulia e sbarcö a Viesti, ricevuto da Giovanni principe di Acaja e duca di Durazzo, suo zio, ed a Nola dal re Roberto, che da lä lo accompagnö a Napoli, dove il 27 settembre 1333 sposö il figlio Andrea, di sette anni appena, a Giovanna, che contava appenna un lustro, figlia maggiore del defunto duca di Calabria e nepote quindi del vecchio Roberto, il quäle addotava a figlio il pronepote Andrea e lo nominava a suo successore al trono insieme a Giovanna.73) Poco dopo fece ritorno . in Dalmazia coli1 intenzione di ripristinam il dominio ungherese. A far ciö sembrogli buon partito quello di nominare abano di Dalmazia Paolo di Bribir, signore di Ostrovizza (1334), che non solo mai avea preso le armi in favore dei fratelli contro 1’ Ungheria, ma anzi aveva combattuto contro il fratello Mladino in favore di Trau. Sapeva il re che Paolo per ridonar nuova vita alla decaduta potenza della sua famiglia avrebbe fatto di sua possa per distruggere la baldanza degli altri conti, e che beneviso alle cittä litorali, egli avrebbe potuto non tutto ad un tratto, ma a poco a poco guadagnarsi in queste un partito in favore deli’ Ungheria. Carlo veniva intanto chiamato in Ungheria perche eletto quäle arbitro in una questione fra Luthero, gran mastro deli’ ordine teutonico, e Casimiro di Polonia, cognato di Carlo Boberto, perche i Bussi e Tatari infestavano i confini del regno e perche gli premeva 1’ alleanza di Giovanni di Lussemburgo contro gli Absburgi, che dal Bavaro aveano ricevuto la Carinzia e Carniola (2 maggio 1335) dopo aver costretto Margherita Maultasch a far divorzio dal giovanetto Giovanni Enrico di Boemia. Yenezia allora cercö di farsi amico Nelipzio conte di Knin per poter opporlo a Paolo di Bribir, in caso egli si fosse deciso di assalire le cittä litorali in favore deli’Ungheria anzi per abbattere la sua potenza prima ancora che si decidesse alla lotta. Quindi consiglid Trau, Sebenico e Spalato a rinnovare la lega conchiusa giä nel 1332 contro Mladino figlio di Giorgio, signore di Clissa, per il passaggio di certe vie presso il castello del conte; Mladino fu sconfitto, il castello distrutto (1337). In appresso il re, vedendo che la potenza dei bribiresi non era tanta da poter opporsi altre cittä litorali, scrisse ai traurini di non unirsi ai nemici dell’Ungheria; sembra che i traurini gli abbiano risposto, lagnandosi di Mladino e che allora il re a sua volta avesse scritto avendo piena fiducia in Paolo di Bribir, al conte Giorgio di Croazia, della famiglia Gussich, di assistere i bribiresi. Questi, a far risorgere la potenza della loro casa, si unirono in alleanza con Stefano Kotromanovich, ed Elena, sorella di Mladino, si sposö a Vladislao, fratello di Stefano.74) Ma mentre riusciva a Carlo Boberto di procacciare fin d’ ora al figlio Lodovico dopo la morte di Casimiro di Polonia questo regno (7 maggio 1330), cosa che diffatti avvenne alla morte di Casimiro (1379), ultimo rampollo dei Piasti, Nelipzio di Knin, cangiando tutto d’ un tratto politica, voleva in Dalmazia assoggettare le cittä litorali, certo dell’ appoggio dei bribiresi, coi quali nel 1338 avea fatto pace, restituendo loro Ostrovizza per mezzo di Andrea vescovo di Scardona. Cominciö quindi col permettere al nepote Costantino Drascovich, conte di Clara, di riedificare il castello distrutto dai veneti sul torrente Cicola nel comune di Sebenico, donde il conte uscendo poneva a sacco il territorio della cittä. Yenezia allora uni di nuovo le cittä marittime in una lega alla quäle accedettero anche i bribiresi, intenti d’ ora innanzi a sedare i tumulti in Dalmazia in favore di Carlo e dei conti Gussich; ma mentre si combatteva, il 16 luglio del 1342 moriva Carlo Boberto,75) e succedevagli il figlio Luigi (luglio 1342 sett. 1382) giovane di appena 16 anni, ma come dice Fessler „uomo per energia di carattere, vecchio per senno e dignitä della persona.“ ErainfattiLuigi bello della persona, coraggioso e risoluto; di nobili sentimenti, di educazione elevata, univa alla coltura italiana, la maschia fierezza e lo spirito cavalleresco degli ungheresi; come guerriero e come uomo di Stato. ebbe in tutto il medio evo pochi principi che lo somigliassero, a suoi tempi a solo rivale Rodolfo d’Austria. Incoronato il 21 luglio 1342 ad Alba Reale dali1 arcivescovo Stefano Csanddy di Thelegd, ricevette subito 1’ om-maggio anche di Alessandro Bessaraba, figlio di Micbele, principe di Valachia, e assettö gli affari nella Transilvania, malcontenta del go verno tirannico del Voivoda Tomaso Farcas, col deporre questo ed affidare il goveruo del paese al nobile Nicolö Pecseitli della famiglia dei conti di Kont. Ma fu specialmente nell’acquisto del regno di Napoli ch1 egli moströ le dotti di grande uomo di stato; acquisto, a conseguire il quäle, črede Luigi gli dovesse essere indispensabile la Dalmazia, soggetta ora a Venezia. Moriva, pochi mesi dopo 1’ incoronazione di Luigi, Roberto re di Napoli (14 genn. 1343) e secondo il suo volere dovea succedergli il nepote Andrea come re e la figlia Giovanna col titolo di regina; siccome pero i principi erano ancora raiuorenni, stabili ehe lo stato dovesse venir governato da un consiglio di reggenza composto da Sanca, regina, Filippo di Sanguinetto, Filippo di Cabasole, Goffredo di Marsan e Carlo Artus lino a ehe i principi avessero raggiunto l’etä di venticinque anni.71’) Cosi gli Anjoü d’ Ungheria aveano ottenuto il loro intento; la corona di Napoli ritornava con Andrea alla linea diretta e rimanevano esclusi i principi di Taranto ed i duclii di Durazzo. Ma era Roberto, il precettore di Andrea, quello che veramente governava lo stato, e dinanzi al piccolo monaco francescano tremavano i grandi del regno e 1’ istessa regina veniva da lui trattata con molta alterigia. Catterina di Valois, madre dei principi di Taranto, ed Agnese di Perigord, duehessa di Durazzo, cercarono allora d’influire presso il pontefice affinche dichiarasse nullo il testamento di Roberto ; la prima per mezzo del re di Francia, la seconda col soccorso del Cardinale di Telleyrand, suo fratello, al quäle il pontefice dovea il suo innalzamento alla cattedra di S. Pietro. E Clemente VI (1342-1353), successore di Benedetto XII, eccitato dalle principesse francesi, riferendosi alle bolle di Urbano IV e Clemente IV, pretese con diritto spettare a lui il governo delle due Sicilie, durante 1’ etä miuore dei principi e a ben conoscere le condizioni della corte di Napoli, la piü colta ed insieme la piü corotta d’ Europa, vi mandö il Petrarca, che avea vissuto a Napoli durante il regno di Roberto, per di cui mezzo anzi era stato incoronato in Campidoglio. Ed infatti la corte di Napoli a quest’ epoca era splendida e voluttuosa. Giovanna e Maria erano dotate di straordinaria bellezza; ma giovinette ancora, oltremodo leggere, di nulla si curavano che di giostre e di tornei, caccie e danze; educate nell’arte di piacere, sapevano affascinare coi loro vezzi ammaglianti quanti loro si avvi-cinavano. II carattere di vanitä e leggerezza che le due principesse aveano ereditato dalla madre, veniva in loro quasi educato dalle zie Catterina ed Agnese e dalla loro fida Fillippina la Catanese, donna di bassi natali, che era venuta in grande stima alla corte. Andrea col suo carattere serio, coi suoi modi aspri, veniva considerato come straniero alla corte e Catterina di Taranto appoggiava gl’illeciti amori del figlio Luigi colla regina Giovanna, mentre Agnese cercava di sposare il figlio Carlo di Durazzo a Maria, e tutte e due allo scopo di procacciare la corona di Napoli ai loro figli. Ma il re Luigi ebbe avviso di cid ehe si tramava contro il fratello Andrea dali’ istesso Carlo di Durazzo (1343), geloso del cugino Luigi di Taranto, ed essendosi 1’ astuta Giovanna rifiutata di andar in Ungheria, ove Luigi 1’ avea invitata come si deve ritenere dalla lettera di Bartolomeo Frangipani al doge giugno 1343, credendo che piü che un esercito avrebbe influito sull’ animo di Giovanna la voce autorevole della suocera, mandö la madre Elisabetta a Napoli (luglio 1343) e serisse ai Zaratini chiedendo apprestassero le navi per la regina.77) Elisabetta, accompagnata dal Palatino Nicolo Gilet e da altri baroni ungheresi parti da Segna; a Manfredoma fu ricevuta dalla corte e il 24 luglio fu a Napoli. A por fine alle mire ambiziose di Catterina e di Agnese propose Elisabetta che Andrea e Giovanna venissero dichiarati maggiorenni e, incoronati a re, regnassero in comune; tutti accondiscesero ed aderirono al consiglio di Elisabetta specialmente Catterina, perche sapeva ehe Giovanna non avrebbe tollerato di dividere il potere col marito e ne sarebbero nate delle lotte di cui ella avrebbe approfittato a vantaggio del figlio Luigi. Furono infatti mandati ambasciatori al pontefice in Avignone, affinche accon-sentisse egli pure alla preša misura, ma Clemente non si decise di aderire al desiderio di Elisabetta, spintovi dal Cardinale di Telleyrand, e la regina d’ Unglieria, ehe s’ avvide benissimo delle reti ehe venivano tese al figlio, si decise di ricondurlo seco in Unglieria. Tante furono allora le preghiere di Catterina di Taranto che Elisabetta, contando sulla fede e sulle promesse d’ onore dei baroni napoletani, prima ancora ehe giungesse mi a risposta qualunque di Clemente, il 24 febbraio del 1344, parti da Napoli „remanente, come dice il Gravina, itaque duce Andrea velut agniculo inter lupos.“ Era appena partita la regina Elisabetta clie il potefice, come avea detto di fare, mandö il legato Almerico quäle governatore del regno col potere di incoronare Andrea a re, il quäle dovea portar questo titolo come titolo d’ onore, m a dall’incoronazione non poteva a lui derivare un diritto di successione sul trono di Napoli (5 febb. 1344).7S) II pontefice s’era deciso di fare ciö per aceondiscendere almeno in parte alle preghiere di Elisabetta d’ Unglieria, della regina Sancia e dell’istesso Luigi, come si scorge dalla lettera indirizzata dal pontefice ad Andrea, mentre nel tempo istesso Carlo di Durazzo rapiva Maria, sorella di Giovanna, ela sposava, spintovi dalla madre Agnese, clie cosi offendeva la casa degli Anjoii di Ungheria, perche Maria era stata promessa sposa a Luigi d’Ungheria, Malgrado poi gli ambasciatori di Luigi avessero esborsato al pontefice le 44 mila marclie d’argento, Clemente, cangiato pensiero, proibi la promessa incoronazione di Andrea, si rifiutö di riconoscere la successione al trono di Napoli nella linea diretta rappresentata da Andrea e invece il 28 agosto del 1344 per ordine del pontefice Giovanna prestava il giuramento di vassallaggio dinanzi al legato Almerico, mentre Andrea era soltanto spettatore nella sala e firmava 1’ atto col solo titolo di re di Gerusalemme e Sicilia. Cosi dunque gli Anjou d’Ungheria, perdevano i diritti su Napoli, diritti ch’ essi credevano di aver riacquistati col matrimonio di Andrea con Giovanna e col testamento deli’ istesso re Roberto. Ma piü ehe le arti delle principesse francesi e di Cecilia di Comminges, aveano influito sul pontefice le parole di Venezia, che per 1’ unione delle due case d’ Anjoü di Napoli e d’Ungheria, vedeva minacciati i suoi possessi in Dalmazia. II pontefice, appena assunta la tiara, per mezzo di Enrico patriarca di Costantinopoli, avea conchiusa una lega col re di Cipro e coi Gioanniti di Rodi contro i Turchi, i quali prima sotto Osman (f 1326) poi sotto Orcan, approfittando delle lotte scoppiate a Costantinopoli dopo la morte di Andronico III (1341), fra il successore Giovanni V Paleologo e Giovanni Kanta-cuzeno suo tuttore, s’ erano impossessati di tutta 1’ Asia occidentale fino all’ Arcipelago, dell’antica Asia classica e cristiana.70) Ma nulla si poteva contro gli Osmani, che ben piü degli Arabi minacciavano 1’ Occidente cristiano, senza il soccorso della potente republica di Venezia, e Clemente giä il 2 Novembre del 1342 avea mandato il cardinale — legato Guglielmo Curti a Venezia, onde chiedere soccorso contro gl’ infedeli. Subito dopo la morte di Roberto di Napoli Venezia rispose di accedere ali’impresa e Clemente stabiliva ehe Venezia dovesse fomire 6 galee „non contando quelle che dovrebbero apprestare gli abitanti di Negroponte.“ (8 agosto 1343). II pontefice dunque temendo ehe se riusciva a Luigi di riunire Napoli all’Ungheria non volesse forse dichiararsi sciolto dali’ obbligo di vassallaggio verso la chiesa romana, e non volendo inimicarsi Venezia di cui avea bisogno nell’impresa contro i Turchi ed ora sua alleata, si decise non solo di revocare il comando dato al cardinale Almerico di incoronare Andrea, ma anzi di permettere ehe la sola Giovanna prestasse il giuramento di fedeltä e vassallaggio. E Venezia mentre, temendo dei suoi possessi in Dalmazia, consigliava e pregava Clemente a non riconoscere i diritti della linea diretta degli Anjoü su Napoli, cercava di premunirsi nella Dalmazia stessa contro gli eventuali piani degli Angioini e vi rassodava la sua potenza. Si trattava deli’ esistenza politica di Venezia perche Luigi, signore di ambedue le coste deli’Adriatico, avrebbe potuto chiudere Venezia nelle sue lagune, limitare il suo commercio alla sola costa istriana, costringere Venezia, in lotta coi potenti Signori della Scala, a divenire tutt’ al piü una povera dominatrice di paludi alla costa orientale deli’ Italia. A Luigi, parente dei Volois di Francia, avrebbe potuto riescire di abbattere in Italia la potenza dei pontefici e di fare dell’Ungheria un regno potentissimo colla coltura italica. Era allora doge di Venezia Andrea Dandolo (1343-1354) successore di Bartolomeo Gradenigo, quell’istesso Dandolo a cui dobbiamo la „Storia di Venezia“ uomo coltissimo e, come dice il Sanuto „letterato e amantissimo della republica, peri-tissimo nelle divine ed umane scienze.“ II Dandolo dunque consiglid le cittä maritime, i bribiresi ed i conti Gussicli ehe, come si disse, erano in lotta contro Nelipzio, a conchiudere la pace per opporsi al nemico comune ehe, come diceva il doge, non avrebbe tardato ad assoggettarli del tutto e privare anche le cittä della loro autonomia. II 12 Ottobre del 1343 fu conchiusa la pace e siccome il castello di Knin, possesso di Nelipzio, era la chiave della Dalmazia e premeva quindi alla republica di avere nel conte non un alleato, ma un suddito, Nelipzio fu costretto a versare a Venezia lire 20,000 verso interesse ed altre 10,000 come malleveria per 1’ osservanza del trattato e risarcire a quelli di Sebenico il danno loro apportato con 13,000 lire pagabili anche con bestiami; nel trattato di pace erano inclusi Paolo conte di Ostrovizza, Mladino conte di Clissa e Scardona e Gregorio conte di Corbavia, e Venezia ancora, per farsi amici ed alleati i conti deli’ interno, concedeva ai bribiresi ed a Nelipzio stesso il privilegio di cittadinanza interna ed esterna con bolla d’ oro, Dicembre 1343.80) Indi mandö pressidii a Nona, preparo una flotta ehe doveva osservare le coste della Dalmazia temendo di Zara, di Ancona, alleata di Luigi, e piü ancora del Patriarca di Aquileja, il quäle, in lotta sempre colla republica per i possessi deli’ Istria (ehe il Patriarca faceva devastare dai suoi, riversandone la colpa su bande armate e guidate da Guglielmo Piscazer) e per quelli di Cavolana e Bibano, su quel di Treviso, meditava di far alleanza con Luigi d’Ungheria.90) Premeva piü di tutto a Venezia di farsi amica la rivale Genova e Alberto III di Gorizia; colse quindi 1’ occasione di conchiudere un’ alleanza con Genova quando Corrado Cigala andö a Venezia per consigliare la republica ad una azione comune contro il sultano della Crimea (Giugno 1344), e die fine alla guerra col conte Alberto IV di Gorizia (III d’ Istria) con patti per quest’ ultimo poco onorevoli in veritä perche restavano in possesso di Alberto bensi tutte le sue terre, ma il conte in compenso non doveva favorire i nemici della republica, aiutarla invece coli’ offrirle i suoi servigi in caso di guerra anche fuori dell’Istria. (21 agosto 1344). l0°) Cosi erasi premunita la republica contro Luigi d’ Ungheria, il quäle prima di tentare un’impresa arrischiata si decise di impossessarsi di Knin, apparecchiarsi il terreno per il riacquisto della Dalmazia, osservare le intenzioni, i piani, i desideri delle cittä litorali ch’ egli sperava si sarebbero sollevate contro Venezia ed influire nel tempo stesso, coli’appressarsi dei suoi eserciti, sulla corte di Napoli. Nicolö Frangipani, bano di Slavonia, nel settembre 1344 con un esercito di 4000 uomini mosse quindi direttamente su Knin, ch’ egli sperava non gli avrebbe opposto resistenza perche, morto Nelipzio (1344), Vladislava di Bribir, sua vedova, era tuttrice del giovane figlio Giovanni e signora del fortificatissimo castello. Ma Knin era posto sulla vetta d’una ertissima rupe e diffeso a sua volta da forti staccati specialmente (la quello pošto sul monte Spas e quindi non poteva cosi facilmente venir prešo. Stabil! il bano di costringere il castello alla resa colla fame e, meutre alcuni soldati combattevano valorosamente per impadronirsi delle fortificazioni di Spas, altri distruggevano le messi, tagliavano le viti, abbruciavano i villaggi. Vladislava, ridotta a mal partito, si rivolse al bano per trattare di pace; egli pero rimando gli ambasciatori dichiarando ehe si rivolgessero direttamente al re. E Luigi, temeudo di «na sollevazione dei bribiresi in favore della sorella e forse dei seereti soccorsi di Venezia, vedendo ehe le cittä litorali non aveano neppur raandato i loro ambasciatori al campo di Knin per pagar le regalie e ehe si appressava 1’ inverno, si decise di farsi amica la contessa e di perdonare; comandö al bano di lasciar im presidio nel castello e di ritirarsi oltre la Sava.101) Intanto Giovanna di Napoli continuava nella sua leggerezza del vivere, e Catterina di Volois continuava sempre ancora insieme a Filippina la Catanese ad ispirare in Giovanna avversione ed odio contro il marito, anzi di tanto avea Andrea perduta la sua autorita, ehe dovea rivolgersi alla regina per farsi un abito. Questa d1 altra parte pregava conti-nuamente il ponteiice a dichiararla maggiore, mentre Agnese di Perigord, a vantaggio dei suoi figli i duchi di Durazzo, per mezzo del cardinale di Telleyrand, suscitava il pontefice a difterire 1’incoronazione dei giovani sposi, sperando ehe Giovanna non avrebbe figli ed il trono potrebbe toccar in sorte al figlio Carlo, sposato come si disse, alla rapita Maria, sorella della regina. Ma il pontefice, credendo ehe gli affari del regno avrebbero potuto influire sulla regina in modo eh’ ella desistesse dal suo modo di vivere, il 18 Novembre del 1344 la dicliiaro maggiorenne, consigliandola ali’ amore e rispetto verso lo sposo, a formare un eonsiglio di uomini saggi, rissoluti, virtuosie governare con giustiziaeforza.102) Clomente invece s’ingannö; Giovanna, divenuta signora, perseverando nel suo eontegno disdicevole, sciupava i tesori accumulati dallo zio re Roberto ; Andrea, dimenticato da tutti, veniva considerato come barbaro, rozzo, intruso e gli ambasciatori di Luigi non potevano ottenere, malgrado le somme esborsate e raccolte con stento in Ungheria, ehe suo fratello non solo venisse incoronato, ma neppure dichiarato maggiorenne (aprile 1345). Ma non era riuscita vana del tutto 1’impresa del bano Nicolö in Dalmazia. Oltre al possesso del castello di Knin era a lui riuscito di trar vantaggio delle liti esistenti fra Costantino conte di Clara della famiglia Drascovieli e la zia Vladislava di Knin, e Costantino, prendendo partito per 1’Ungheria, per sollevare nuovi torbidi in Dalmazia, avea ricostruito sul torrente Cicola il castello di Klucich a danno di Sebenico. Venezia comprese il piano del re d’ Ungheria e mandö subito, dietro reclami del conte di Sebenico Giovanni Morosini, il notajo ducale Marco Zane a Vladislava obbligandola di costringere il nepote a distruggere il castello e prowedere alla sicurezza delle strade e del commercio. Vladislava si obbligö di fare quanto gli comandava la republica (23 marzo 1342) e cosi ella rendeva infruttuosi i piani del re d’Üngheria, anzi per consiglio dei conti Gussich, cacciava dal castello il presidio ungherese lasciatovi 1’anno antecedente dal bano Nicolö.103) Oltre a ciö la republica rinnovö 1’ alleanza con Genova (2G maggio 1345) e per avere, come altre volte (1202), un soccorso nei Crociati nel caso che fosse riuscito a Luigi di impossessarsi della costa della Dalmazia, aecondiscese ben volentieri alla pregbiera del suo alleato Clemente VI, di prestare aiuto ed approntare le navi per il trasporto dei crociati, che sotto Umberto Delfino di Vienna (Francia) dovevano muövere contro i Turclii.104) Luigi allora credette buon partito di andar egli stesso in Dalmazia sperando che un piü forte esercito e la sua presenza, avrebbero ottenuto ciö che solo in piccola parte era riuscito di raggiungere al bano Nicolö e in Dalmazia e a Napoli. — Con un esercito di 20,000 combattenti nel luglio del 1345 mosse alla volta della Dalmazia e si accampö a Bihäch fermandosi 18 giorni. Scopo della spedizione era quello di impossessarsi del castello di Knin e ricevere 1’ ommaggio dei conti croati e delle cittä dalmate; infatti Giovanni di Kuin, vedendo di non poter opporre resistenza agli eserciti di Luigi ed a quelli del bano Stefano Kotromanovich, si portö al campo del re Luigi con ricchi doni, cedette al re il castello, e Luigi, per premiarlo, lo invcsti in compenso di alcuni castelli sul fiume Cettina. I conti Gussich, e con loro tutte le cittä croate e le dalmate deli’ interno, prestarono omaggio al re e le istesse cittä litorali, spiute da Venezia che non voleva assalire, ma essere assalite, mandarono i loro ambasciatori al castello di Bihäch. I soli conti di Bribir si mantennero fedeli alla republica, poco temendo del re che non avea in pensiero di scendere al mare, non fidandosi della fedeltä delle cittä litorali; e non avendo una flotta per poter far guerra a Venezia, che del resto non avea dato almeno apparentemente occasione ad una lotta, Luigi, sicuro del possesso di Knin e della fedeltä dei croati, dopo aver lasciato presidii nelle singole cittä croate e nei punti piü importanti del paese, fece ritorno in Ungheria.105) Ma anche Zara, desiderosa sempre di scuotere il giogo veneto, avea mandato ambasciatori al campo di Bihäch tre nobili Martinusio de Butovan, Michele di Biagio de Soppe e Nicolö di Marco de Gallellis con ricchi doni. Infatti, come si disse, Zara dopo la ribellione dell’anno 1311 era alleata piü che soggetta a Venezia; la republica, che avea aderito ad una pace vantaggiosa per Zara temendo di Carlo Roberto d’Ungheria (1311), avea cercato perö subito dopo di ristabilire con Zara le antiche relazioni di sudditanza, avea costretto i Zaratini a cedere a Sebenico le isole di cui si disse, ed era stata obbligata infine non piü ad una dipendenza condizionata, ma ad una vera sudditanza. Zara avea cercato di ribellarsi, ma Venezia vigilava troppo attentamente i suoi passi perclie ad ella fosse possibile di scuotere il giogo veneto, ne d’ altronde erasi fidata perclie Carlo Roberto mai avea mandato un forte esercito in Dalmazia, esercito sn cui Zara avesse potuto contare. Ora perö, divemita piü potente e sapendo che Luigi, desideroso di passar a Napoli, avrebbe sentito molto volontieri la sua defezione dalla republica, mando ambasciatori al re, al quäle avea giä prestate navi per il passaggio di sua madre nell’ Apulia. E Zara era divenuta anche potente; avea molto commercio col Levante, colla Spagna e colle isole del bacino occidentale del Mediterraneo, un proprio arsenale con due grosse galere, ed il suo porto era frequentato dalle navi degli stati del mezzodi d’Europa e da ricchi commercianti. Quando Luigi chiese loro navi i Zaratini gliele concessero senza nemmeno chiedere il consenso di Venezia e, aspirando ardentemente ali’ indipendenza, contavano su Luigi d’ Ungheria. Senonche il re era giä partito alla volta deli’ Ungheria e gli ambasciatori dovettero far ritorno senza aver ottenuto lo scopo. n dado era cosi oramai gettato, ed i Zaratini se non si fossero apertamente ribellati a Venezia, dovevano attendersi dalla republica una severa punizione. Ritornati gli ambasciatori essi furono molto male accolti in citta; fu loro rimproverato di aver perduto tempo per via e cosi essersi la citta attirato il castigo della republica, mentre non era sicura dell’appoggio deli’Ungheria. Venezia che comprendeva quanta importanza avea per lei Zara specialmente a quest’ epoca, temendo a ragione per il possesso della Dalmazia, armd 5 galee sotto il comando del capitano di mare Pietro da Canal, il quäle salpö alla volta di Zara recando seco lettere del doge, colle quali si esortava i Zaratini a perseverare nella fedeltä alla republica.106) 11 Canal intanto visitava anche le altre citta della Dalmazia per comando della republica, decisa di prevenir Zara e di giuocar seco lei di politica, faceva prigioni quanti zaratini gli riusciva di aver in sue mani ed eccitava Pago, sulla quäle isola Zara diceva di vantar dei diritti di possesso, a darsi a Venezia; Pago si diede a Venezia e il Canal fece prigioni i Zaratini ehe si trovavano sull’ isola. Quindi fortificö Nona ponendovi un grosso presidio di infanteria e cavalleria, ingrossato da uomini d’ arme di Ragusa, Spalato e Trau e il 12 agosto del 1345 con dieci galee chiuse il porto di Zara. I cittadini mandarono al Capitano generale loro ambasciatori Bivaldo di Gregorio de Botono e Gregorio di Francesco de Carbonasi col conte veneto Marco Cornaro per chiedere ragione del procedere ostile da parte della republica. II Canal tratenne pero il Cornaro e uno degli ambasciatori finche si recassero sulle navi venete le robe del conte di Zara. Furono queste trasportate sulle navi venete, ed ai nuovi ambasciatori Pietro de Matafarro e Martinussio de Butovan, fu risposto che per comando del doge avvenivano quelle cose e ehe la republica era decisa di procedere con tutto il rigore contro Zara, sapendola amica ali’ Ungheria, anzi desiderosa di ribellarsi al dominio veneto# H giorno stesso (e il cronista non dice quäle) presentossi al Canal il padre Nicold di Veglia pregandolo a nome della citta di permettere che alcuni ambasciatori si portassero a Venezia per promettere al doge che Zara avrebbe fatto tutto ciö ehe le sarebbe stato imposto, purche fosse conveniente al suo onore. Ottenuto il permesso, furono scelti ad ambasciatori 1’ arcivescovo di Zara Nicolö, Martinussio de Butovan e Tomaso di Jacopo de Petrizo. Poche ore dopo perö il Canal comandö ehe tutti i veneti abitanti in Zara dovessero entro quattro giorni uscire dalla cittä, ordinando ancora ehe verrebbe considerato come nemico della republica colui, ehe non avesse abbandonato la cittä ribelle entro il tempo stabilito. Intanto non cessavano i veneti dal far prigioni i cittadini di Zara ed anzi di opprimerli e vessarli come avvenne ad alcuni ehe, di ritorno in cittä dalle loro possessioni, furono (sempre secondo il cronista anonimo) uccisi, altri gettati in mare, altri tenuti prigioni. Non mancarono allora i Zaratini a mandar nuovi ambasciatori al Canal, esortandolo a miglior consiglio fino al ritorno degli ambasciatori spediti a Venezia; quei raessi perö non doveano ritornar cosi presto. II Capitano generale a tutta risposta fece noto ai Zaratini che, avendo pieni poteri, intendeva che i cittadini di Zara demolissero le fortificazioni della cittä, ne abbattessero le mura e si assoggettassero del tutto alla republica veneta. Piuttosto che attenersi a condizioni cosi vili decisero i Zaratinid i difendersi, e, munita la cittä e raccolte vettovaglie per ben diciotto mesi, si ribellarono apertamente a Venezia (16 agosto 1345) e spedirono ambasciatore a Luigi d’Ungheria Francesco del fu Paolo de Giorgi a chiedere soccorso. II Giorgi fu ricevuto con grande onore dal re a Wischegrad e s’ ebbe promesse di pronto soccorso anzi Luigi comandö ai bani di Bosnia e Slavonia di tener pronti degli eserciti per muovere in soccorso di Zara; e il re avea avuto nuova oecasione di procedere a tal modo. Spinto dagli ambasciatori di Luigi, che non voleva aver indarno esborsato i quarantaquattro mila marchi d’ argento, vedendo che colla dichiarazione di maggiorenne fatta a Giovanna ella, trascinata sempre piü dalla passione, continuava nel suo biasimevole contegno, temendo che Luigi non volesse appoggiare il bavaro contro il quäle avea il pontefice rinnovate le censure di papa Giovanni, e combattere contro Carlo di Lussemburgo, proposto da Clemente ad imperatore, non volendo d1 altronde farsi del tutto nemica Venezia, Clemente VI erasi deciso di far incoronare Andrea a re d’Ungheria. Ma, spinto da Telleyrand e piü di tutto perche non si unissero coli’ incoronazione di Andrea i due regni degli Angioini, decise che questa incoronazione non doveva dar al nuovo re nessun diritto alla successione, ma che anzi nel caso Giovanna fosse morta senza figli, il trono avesse dovuto passar alla sorella Maria, moglie di Carlo di Durazzo, Questa bolla fu emanata dal pontefice il 20 settembre, ma tanto Luigi, che Venezia e Giovanna da quasi due mesi prima ne aveano saputo il tenore. Luigi dunque malcontento di questa decisione del pontefice per cui veniva escluso suo fratello ed egli stesso dalla successione, non solo accolse favore- volmente il Giorgi e gli promise soccorsi, ma si uni anclie al Bavaro ed ai duchi d’Austria, alleati alla lor volta al Patriarca di Aquileja.107) Venezia poi, sapendo ehe Luigi non si sarebbe certo accontentato della decisione del pontefice, e temendo quindi di perdere la Dalmazia, mandava i suoi provveditori Pietro Gradenigo, Marco Celsi e Nicolo Sanudo in Dalmazia per conchiudere alleanze coi conti croati promettendo loro onori e ricchezze. Ma i soli bribiresi risposero in favore di Venezia, perche cercavano con ogni mezzo di impossessarsi del castello di Knin, per poter con cio far fronte all’Ungheria e rinnovare i piani ambiziosi di Mladino. Infatti il 13 settembre 1345 Mladino conte di Clissa, Almissa e Scardona facendo anche pei fratelli Paolo e Deodato, ed il procuratore del conte di Ostrovizza, Paolo di Bribir, conchiusero con Venezia un trattato per il quäle i bribiresi si obbligarono di assistqre i Veneziani contro Žara e contro tutti i loro nemici, Venezia a sua volta promise ai bribiresi ehe li ajutera ad impadronirsi del castello di Knin, sotto certe condizioni, li accoglierä sotto la sua protezione ed accorderä loro la sua cittadinanza, soccorrendoli se 1’ esercito unglierese assediasse le loro castella e saranno eompresi nella pace ch’ essa conchiuderä con Zara. Quindi si rivolse a Stefano re di Servia per prorogare il trattato commerciale ehe stava per spirare e chiedere la sua alleanza; il re rispose promettendo ehe avrebbe mandato 500 armigeri in soccorso di Venezia contro Zara.108) Ma la bolla pontificia, emanata nel 20 settembre e il di cui tenore era, come si disse, giä prima conosciuto, fu funesta per le sue conseguenze a Napoli. Colla decisione del pontefice d’ un tratto svanivano i piani con tanta cura orditi dali’ ambiziosissima Catterina di Volois; vedeva ella ehe suo figlio Luigi di Taranto veniva privato del tutto della corona di Napoli e che questa, al peggior caso, sarebbe passata ai discendenti di Maria e di Carlo di Durazzo, ch’ ella odiava con tutta 1’ anima. Decise quindi di disfarsi del principe ungaro, sapendo ehe dopo la sua morte Giovanna non avrebbe atteso a lungo per sposare Luigi di Taranto. Unitasi quindi alla catanese, tramö una congiura contro la vita di Andrea e trovö subito molti fautori fra i nobili stessi ehe temevano 1’ ira di Andrea ora ch’ egli stava per essere incoronato, il quäle Andrea anzi, a preparar quasi i nobili del regno alla vendetta ch’ egli meditava contro di loro e render la pariglia per gl’ insulti ricevuti, compariva in publico con una bandiera dove 1’ arma di Napoli ed Ungheria era sormontata da una scure e da una manaja in campo nero. Ma Catterina lo prevenne, e 1’ infellice Giovanna, conscia della sorte ehe attendeva il marito, acconsenti tacitamente al suo assasinio. I congiurati erano il conte d’ Artus e Bertrando di lui figlio, Tomaso e Massolo della Lionessa, camerieri di Andrea, Cafkrello Caralfa, il conte di Eboli, il conte di Tralizzo, Raimondo di Catania, il gran maresciallo Giacopo Capanno, il conte della Stella, Pace di Turpia, Nicola di Merizzano e Filippina la Catanese, cameriera della regina, e sua fida mezzana. Fu invitato il principe ad una partita di caccia ad Aversa e passo la notte colla regina nel monastero di S. Pietro di Morone. Venuta la mezzanotte del giorno 18 settembre 1345, Andrea fu svegliato col pretesto che a Napoli fosse scoppiato un tumulto; uscito appena dalla stanza, fu assalito dai congiurati, ehe avendo tentato invano di gettargli al collo un lacio di seta, mentre si difendeva lo spinsero verso il balcone e stramazzatolo giu nel sottoposto giardino, alcuni ehe v’ erano appostati, presolo pei piedi e pel collo, lo strozzarono.103) Tutta 1’Europa innoridi a tanta barbarie e Luigi, saputa larcosa dall’istesso Carlo di Durazzo, desideroso di vendicare la morte del fratello e far valere i suoi diritti su Napoli, spedi ambasciatori a papa Clemente ad Avignone per chiedere ehe Giovanna venisse dichiarata deposta dal trono, affidato il figlio del morto Andrea, Carlo Martello, alle eure deli’ ava Elisabetta e venisse nominato egli od il fratello Stefano areggente (Nov. 1345).110) Ma Clemente s’avvide che se avesse fatto tali concessioni a Luigi avrebbe nel tempo istesso riconosciuti validi i suoi diritti su Napoli, e quindi, mentre colla bolla del 2 febbrajo 1346 comandava aspra vendetta degli assassini e la poneva ad effetto, seriveva il 14 maržo a Luigi non poter privar Giovanna del regno ch’ ella possedeva per diritto di ereditä, ma ehe se Luigi od il di lui fratello Stefano avessero potuto dare sicure prove della compartecipazione di Giovanna ali’ assasinio di Andrea, poteva Luigi essere sicuro del grato animo del pontefice verso gli Anjou. Era questo, secondo il re d’ Ungheria, un insulto ed egli rispose armandosi poderosamente per acquistar Zara e con questa il possesso della costa dalmata per passar a Napoli, ed insignorirsi del regno delle due Sicilie specialmente col mezzo di una ilotta che non poteva venirgli somministrata ehe dalle citta litorali della Dalmazia, sperando che queste al suo appressarsi lo avrebbero accolto con somma allegrezza. Prima ancora perö ehe Clemente avesse seritta la bolla del 2 febbrajo, Luigi conoscendo il carattere tenace del pontefice avea rinnovata V alleanza coll’imperatore e con Alberto d’Austria (14 die. 1345); avea seritto a Giovanna, ehe s’ era scusata presso di lui deir assasinio dello sposo, una lettera celebre pel suo laconismo: Johanna ! inoridita vita praeterita, ambitiosa continuatio potestatis, negleeta vindicta et exsecutio subequuta, te viri tui necis arguunt consciam et fuisse partecipem“ ed avea assicurato frate Marino, ambasciatore dei Zaratini al re, ehe sarebbe venuto con potentissimo esercito in soccorso di Zara (Nov. 1345). Continuavano intanto i veneti a stringer d’ assedio la citta e Marco Giustiniano, Capitan di terra, accampato con 20,000 uomini a Nona, rapiva il bestiame e bruciava i villaggi intorno a Zara, mentre questa faceva prigioni alcuni abitanti di Trau che per passar a Venezia insieme ad altri ambasciatori delle citta litorali per rinnovare il giuramento di fedeltä, s’erano ancorati colle loro navi „in valle Magistrorum,“ e chiudeva il porto con una solidissima catena, ehe andava fino al castello. I Zaratini aveano spedito il 1 settembre 1345 ambasciatore anche ad Andrea di Napoli, Bartolommeo di Pietro de Storadis e s’ aveano avuto dali’ infelice re promesse di soccorso, promesse che Andrea, trucidato pochi giorni dopo dai suoi assassini, non pote pur troppo mantenere; ma aveano avuto in compenso lettere da Luigi ehe promettevano soccorso (25 agosto). Stefano bano di Bosnia, giä spedito dal re in aiuto della cittä assediata, comperato dali’ oro della republica, s’ avvanzava perd a passo lento per cui gli assediati nulla potevano ripromettersi da lui. Anzi egli erasi fermato a Mogorova Draga colla scusa che gli mancavano vettovaglie e ehe il suo esercito era troppo debole per poter assalire il veneto, fortificatissimo nelle trincee di Nona da do ve anzi non voleva uscire ed appressarsi alla cittä, per prender di mezzo Luigi nel caso fosse sceso in Dalmazia, o costringerlo a dividere le sue forze. Saputa pero i veneti la morte di Andrea, si decisero di sollecitar 1’impresa ed assalire la cittä prima che Luigi si fosse appressato. Quindi, lasciato il campo di Nona, il Giustiniani fece erigere dalla parte di Levante di Zara una fortificatissima bastida presso alla fontana e per opera di Nicolö Querini si impossessö dei Castelli di S. Cosma e Damiano e di quello di S. Michele, mentre dalla parte di tramontana la cittä veniva stretta da un tale Pietro delle fanterie con soldati lombardi, di Eomagna e Toscana e dai tre fratelli Buondelmonti di Firenze con trecento masnadieri „i quali fiorentini, dice il Villani, al continuo dalle mura erano rimbrottati da’ Giarattini, ehe si partissono dal loro assedio, eh’ erano loro amici, e andassono a farsi sconfiggere a Lucca e servissono i Veneziani ehe gli avieno traditi alla guerra di Messer Mastino“ alludendo alla guerra combattuta fra Venezia e Firenze contro Mastino della Scala per il possesso diPisa (1336-1339) Zara attendeva inutilmente che Stefano si avvanzasse coi suoi eserciti, e spedi nuovi ambasciatori al re a Wischegrad Francesco Giorgi, Paolo de Grubogna e Černe de Fanfogna colla preghiera ehe volesse eccitare il bano a muovere in soccorso della cittä. Luigi, saputa in questo mezzo la morte obbrobriosa del fratello, rispose ehe egli stesso sarebbe andato in Dalmazia con un forte esercito e pregava gli ambasciatori ad inspirare coraggio e fiducia agli assediati. Zara allora cercö 1’ alleanza di Ancona e Luigi quella di Genova, del Patriarca di Aquileja e dei Signori d’Italia; di Genova, perclie in questo tempo le relazioni fra le due republiche non erano amichevoli come per lo innanzi per il fatto ehe i veneziani aveano occupato Smirne; col Patriarca sempre ancora in lotta con Venezia per i possessi delFIstria; i Signori d’Italia erano alleati di tutti quanti volevano opporsi alla potente republica, specialmente dali’ epoca in cui ella avea cominciato ad estendere i suoi possessi sulla terra ferma con Treviso ed influire sulle cose d’ Italia coli’ alleanza con Firenze contro gli Scaligeri in favore dei Carraresi di Padova. A Venezia riusci perö di staccar Ancona dali’ alleanza con Zara e mandö contro Zara Capitano di mare Marin Faliero quindi Pietro Ciuriano con 31 nave e tre Provveditori per impedire a ehe la flotta genovese movesse in soccorso della cittä assediata, col comando pero di non opporsi a questa se Luigi avesse avuto 1’intenzione di imbarcare i suoi soldati sulla flotta Genovese per recarsi a Napoli senza soccorrere Zara.111) Ma temendo di Genova volle Venezia alaeremente spingere 1’impresa ed al Ciuriano riusciva infatti il 23 gennajo del 1346 di rompere la catena ehe chiudeva il porto; un assalto del nemico al castello fu pero respinto con vero eroismo, il quäle s’ accrebbe ognor piü quando il 3 maržo i Zaratini ricevevano una lettera di Luigi in cui il re, facendo valere i suoi diritti sulla cittä, prometteva che non avrebbe tardato di molto a scendere in Dalmazia.112). Era andato traendo alle lunghe 1’impresa contro la Dalmazia perche, come Venezia, voleva essere sicuro dei suoi alleati, attendeva la primavera e trovava difficoltä di radunare un potente essercito. II 27 maggio con un esercito di 100,000 uomini, ungheresi, bosnesi, cumani, croati e tedeschi, per la maggior parte cavaleggieri, Luigi s’ avviava alla volta della Dalmazia e poneva il suo campo a Semelnici, sette miglia lontano da Zara, mentre il conte di Fondi invadeva il Napoletano e la flotta Genovese comandata da Simone Vignoso dovea assediare113) Terracina. Iconti croati, quelli di Bribir in ispecie, temendo ora del re, abbandonate le parti della republica, chiesero grazia e la ottennero. 1 Zaratini accolsero il re colle piü vive mani-festazioni di gioia, gli offersero le chiavi della cittä e Luigi, tenuto consiglio coi Zaratini (essendogli riuscito di entrare in cittä travestito) giurö o di liberare Zara o di voler restar sepolto sotto le sue rovine, e comando al bano Stefano di Bosnia di assediare le trincee ehe il Giustiniani avea fatto erigere dalla parte di terra contro Zara. Furono quindi fatte avvanzare contro le trincee nemiche undici potentissime macchine da guerra, inventate da certo Francesco delle Barche, macchine ehe lanciavano pietre del peso di 1431 libre o secondo il Daru di libre 3000 ed i lavori venivano coperti e difesi per opera di un drapello di cavalleria unghera ehe con continui assalti alle bastide venete, teneva occupati i soldati nemici. Intimorito il Giustiniani da tanto apparato di forze, prima di venir ad un fatto decisivo, mandö ambasciatori al re per trattare un’ armistizio ovvero la pace. II re pero si rifiutö di riceverli ed il capitano veneto decise allora di ricorrere ad altri mezzi; il bano di Bosnia ed il voivoda Lazkovich, pagati con grande somma di denaro, promisero che non avrebbero porto mano ali’ esercito zaratino nell’ assalto delle trincee, assalto nel quäle doveva venir appoggiato dali’ esercito del re, il quäle s’ era deciso di por fine ali’ impresa senza indugiare piü a lungo. II 1 luglio del 1346 i cittadini di Zara, usciti in numero di 3000 diedero 1’ assalto al campo fortificato dai veneti, traendo seco macchine da guerra. La lotta impegnatasi fu quanto mai aspra; i veneziani giä cedevano quando il Ciuriano fe uno sbarco, appoggiato dal Giustiniani e dal Canal, ehe combatteva nell’ esercito di terra, i quali fecero alla lor volta nna sortita dalle trincee con 6000 soldati. II bano Stefano ed il voivoda non si mossero coi loro eserciti, ed i zaratini, malgrado il loro valore, preši di mezzo, dovettero abbandonare 1’ impresa e, vinti, poterono a stento ritirarsi a Zara. Luigi stesso, anziche rauovere in favore della cittä contro i veneti col suo esercito ancora intatto, si ritirö a Vrana e il 13 luglio, dopoche i veneti ebbero rifiutata la sua mediazione, fece ritorno in Ungheria. Zara, abbandonata a se stessa, priva di vettovaglie, stremata di forze, divisa in partiti per i tumulti della plebe, si decise ciö nulla meno di resistere ancora; qnando perö i veneti eressero una nuova bastida, non potendo procacciarsi le vettovaglie e sapendo inutile per esperienza il soccorso deli’ esercito ehe il bano, per comando di Luigi, conduceva contro i veneti, i cittadini, tenuto consiglio, si decisero di arrendersi e spedirono ambasciatori a Venezia, Gli ambasciatori perö ebbero in risposta ehe la cittä doveva arrendersi a diserezione della republica; e Zara si arrese a diserezione 21 die. 1346. II Giustiniani, distrutte le bastide, dopo aver ricevuto in ostaggio 66 nobili, entrö in cittä con 400 fanti e 200 cavalli e dalla republica vi fu nominato a conte ed a suoi consiglieri Marino Speranzo e Giacopo Delfino. Cosi si arrese Zara, ehe d’ or’ innanzi perduta la sua potenza, e del tutto soggetta alla republica di Venezia e non piü cittä alleata o dipendente a condizioni; cessano per Zara i suoi piani di egemonia sulla Dalmazia litorale, le sue idee di grandezza e potenza e con queste 1’ ardente desiderio di franchige, per le quali avea gareggiato nei secoli antecedenti colle cittä lombarde. Gli storici ungheresi o non indagano la cagione per cui Luigi, forte di tanto esercito, abbia fatto ritorno in Ungheria senza proseguir nell’ impresa, o si sbrigano coli’ affermare ehe, tutto intento nel voler vendicare la morte del fratello, abbia lasciato 1’impresa per darsi a tutt’uomo alla conquista del regno di Napoli, quasiche la spedizione di Luigi in Dalmazia con un esercito cosi poderoso, abbia avuto luogo a solo scopo di soccorrere Zara. E infatti gli storici ungheresi parlano di questa spedizione di Luigi come non fatta allo scopo di varcar l’Adriatico e muovere direttamente su Napoli, ma ali’ intento unicamente di favorire Zara ed acquistar la Dalmazia, ehe a lui sarebbe riuscito possesso importantissimo se unito a Napoli. Ma non sarebbe cosa arrischiata se si volesse asserire ehe la spedizione di Luigi in Dalmazia era stata intrapresa soltanto allo scopo di passar a Napoli; Zara doveva venir preša unicamente perche era il porto su cui doveva venir imbarcato 1’ esercito, o per facilitare 1’ impresa nella Dalmazia col possesso di Zara, perche caduta Žara, le altre cittä, cosi sperava Luigi, avrebbero scacciati i conti veneti e si sarebbero dati ali’ Ungheria e quindi avrebbe Luigi ottenuto porti e n a vi per passar in Italia. E ehe la spedizione doveva aver di mira Napoli, ce lo prova il fatto deli’ alleanza con Genova e col conte di Fondi, alleanza di cui non parlano gli storici ungheresi a quest’epoca. Senonche lo Stella „Annales genuenses“ all’anno 1346, senza far cenno di im’ alleanza di Luigi con Genova, dice perö ehe la flotta genovese s’ impadroni di Sessa e Terracina, e il Villani al cap. 75 ehe il conte di Fondi „nipote che fu di papa Bonifazio VIII a petizione del re d’Ungheria preše Terracina ed il castello d’Itri presso Gaeta“.114) II piano di Luigi era di far invadere il regno di Napoli dalla parte della Romagna dal conte di Fondi e, mentre i genovesi dovevano soccorrere il conte con una flotta alla riva occidentale deli’ Italia, 1’ esercito ungherese doveva sbarcare alle coste deli’ Apulia. Anzi, prevedendo il caso ehe le cittä litorali non avvessero bastanti navi per traghettare un esercito tanto potente, o ehe gli fosse fallita in parte 1’impresa in Dalmazia, Luigi avea combinato ehe parte della flotta genovese si portasse nell’ Adriatico; infatti dice il Caroldo ehe Venezia mandava il Ciuriano in Dalmazia, come si disse, per impedire a ehe la flotta genovese entrasse nell’ Adriatico o portasse soccorso a Zara, ma non si opponesse a questa se Luigi voleva passar su navi genovesi nell’ Apulia. Ma il piano del re doveva fallire. Alla sua venuta in Dalmazia le cittä litorali, temendo 1’ ira di Venezia, si mantennero fedeli alla republica pensando ehe, partito appena Luigi, ed occupato in una guerra in Italia, i conti croati avrebbero potuto approfittare della sua assenza come una volta i conti di Bribir, ai quali Ultimi, signori ancora di vaste terre, non sarebbe stato difficile di rinnovare le tirannidi Mladino e di Giorgio. E vero ehe con un esercito cosi potente egli avrebbe potuto costringere le cittä litorali ad arrendersi; ma quest’ esercito era composto per la maggior parte di cavallieri, pochi erano i fanti e con tale esercito egli non poteva arrisciarsi all’ assedio di una cittä per vedersi sconfitto, come non si arrischid di soccorrere Zara coi suoi soldati e lasciö che il solo bano di Bosnia combattessse in favore della cittä, altro argomento questo per provare che Luigi voleva passare col suo esercito intatto a Napoli. Anche la mala fede dagli alleati lo costrinse a far ritorno in Ungheria. II Vignoso, preša Sessa e Terracina, mosse colle sue navi alla volta di Levante ove il 16 giugno pose assedio a Scio; da ciö si scorge ehe Genova poco si curö del trattato quando il conte di Fondi erasi a sua volta impossessato di Terracina, e volle piuttosto ehe le sue navi s’impadronissero deli’importante isola di Scio, senza salir 1’Adriatico a vantaggio di Luigi. Ma piü ehe la mala fede di Genova e l’oro stesso di Venezia, avrä contribuito al ritorno del re in Ungheria la lotta scoppiata fra il pontefice e Lodovico il bavaro imperatore, alleato come abbiam detto di Luigi. Lodovico imperatore infatti era stato nuovamente scomunicato dal pontefice e deposto; anzi un partito ligio a Clemente 1’11 luglio 1346 avea pronunciato a Rense la deposizione deli’imperatore ed eletto invece a tale Carlo margravio di Moravia, figlio di Giovanni di Lussemburgo. Luigi dunque, non avendo abbastanza vettovaglie per i suoi eserciti, tradito da Genova, dagl’istessi suoi consiglieri comperati dalla republica, abbandonato dalle cittä litorali, si decise di far ritomo in Ungheria, sapendo ehe nell’ iraperatore avrebbe avuto un ben piü possente alleato che in Genova e nel Patriarca di Aquileja. Di piü egli sapeva che l’impresa contro Venezia in Dalmazia richiedeva molto terapo per venir condotta a fine e, deciso di non inimicarsi Venezia per poter passar oltr’Alpi in Italia, si ritirö dali’ assedio abbandonando Zara al suo destino, riserbandosi di far valere i suoi diritti sul litorale dalmato a miglior occasione. E Venezia comprese che il re non erasi ritirato dall’ impresa perche sconfitto, raa piuttosto che avea a suo vantaggio giuocato un mal giuoco a Zara e fatto tacitamente un favore alla republica per non farsela ostile, avendo divisato di passar a Napoli attraversando 1’Italia piuttostoche l’Adriatico. Cosi nella prima metä dal XIV secolo la Dalmazia, oppressa dalla tracotanza dei conti di Bribir, lontana dall’ Ungheria, che sola poteva difenderla contro i piani ambiziosi dei conti croati, non avendo in se stessa elementi bastevoli per far valere la libertä a cui aspirava, si vide alla fine suo malgrado costretta a cercar il patrocinio della republica di Venezia, la quäle circa il 1350 era colla caduta di Zara, signora assoluta di tutta la costa dalmata. Perö 1’ Ungheria non recedeva perciö dai suoi giusti diritti sulle cittä litorali, che anzi nella lotta dieci anni dopo scoppiata fra Venezia e Luigi d’Ungheria, la republica si vedeva costretta a cedere alla corona di S. Stefano non solo il litorale dalmato, ma tutte le isole dal Quamero alle bocche di Cattaro (14 die. 1357). Prof. STEFANO PETRIS. NOTE. ’) Scopo dell’attuale lavoro si e quello, di ordinäre non solo e sviluppare (come si poträ scorgere di leggieri da chi si vorrä dar la pena di scorrere un lavoro di erudizione attinto a quelle fonti che potevano venir tra le mani in una cittä di provincia), ma di concatenare gli avvenimenti seguiti in Dalmazia con quelli che stanno a nostro awiso in relazione ed ebbero luogo negli stati vicini od interessati. Quindi il lavoro avrebbe potuto essere voluminoso e non limitato alla cerchia ristretta di un Programma, potendosi dire nuovo per riflesso alle fonti, a cui si attinse, le quali narrano, ma non indagano, se i fatti siano in relazione con altri, di cui possono essere conseguenza. Le fonti sarebbero: Fessler „Die Geschichte der Ungern und ihrer Landsassen“. Fejer „Codex diplomaticus Hungariae“. Pray „Annales reguin Hungariae“. Katona „Historia critica regum Hungariae stirpis mixtae“. Endlicher „Monumenta arpadiana rerum hungaricarum“. Joh. Lucius „De regno Dalmatiae et Croatiae“. Mica Madius de Barbazanls „De gestis romanorum imperatorum et summorum pontificum“. Thomac Archidiaconi spalatensls „Historia salonitanorum ponti-iicum atque spalatensium“. Anonymus „De Obsidione Jadrensi“. Bomnian „Storia civile ed ecclesiastica della Dalmazia“. Lago „Memorie sulla Dalmazia“. Fabianicli padre Donato „Storia dei frati minori in Dalmazia e Bossina“. Farlatl „Illyricum sacrum“. Pejacsevicli „Historia Serviae“, Scliimeck „Politische Geschichte des Königreiches Bosnien und Rama“. Du Fresne „Illyricum vetus et novum sive Historia regnorum Dalmatiae, Croatiae, Slaviae, Bosniae, Serviae atque Bulgariae“. Kerceslicli „De regno Dalmatiae, Croatiae, Sclavoniae notitiae praeliminares“. Rattkay „Memoria Begum et banorum Dalmatiae, Croatiae“. Schafitrick „Acta Archivii veneti spectantia ad historiam Serborum“. Ljub ich „Monumenta spec-tantia historiam Slavorum meridionaliuin“. Kavagero „Storia della republica veneziana“ Marin Sanuto „Vite dei duchi di Venezia“. Marin „Storia civile e politica dei commercio dei veneziani“. Vettor Sandi „Storia civile di Venezia“. Laugier „L’istoria della republica di Venezia“. Daru „Histoire de la republique de Venise“. I libri cominemoriali (lella republica di Venezia. Sismondi „Storia delle republiche italiane“. Muratorl „Annali d’Italia“. Albertinus Mussatus „De gestis italjeorum“ Giorgio Stella „Annales genuenses“. Giovanni e Matteo Villani „Le Cronaehe“. Chronicon Estense (Muratori „rerum italicarum scriptores T. XV.“) Cortusii Patavini „Historia de novitatibus Paduae ecc.“ (Murat. T. XH.) Andreae Danduli „Chronicon“ colla continuazione dei Caresino (Murat. T. Xn.) Dominici de Gravina „Chronicon de rebus in Apulia gestis“. Chronicon estense (Murat. T. XV). Andrea de Gattaro „Storia Padovana“ (Murat. T. XVII). ecc. ecc. 2) v. in proposito il bellissimo lavoro dei professore cav. Krones „Der Thronkampf d. Premysliden u Anjous in Ungarn 2 Theile 1868“; Mailath „Geschichte dar Magyaren“ vol. III. Horvath „Geschichte der Ungarn“. T. ü. 3) II consiglio dei Pregadi, istituito dal doge Domenico Flabenigo (Fla-banico 103‘2) era coraposto in origine da cittadini ehe il doge sceglieva a suo talento e „pregava“ lo consigliassero negli affari dello Stato. Sembrando perö al Maggior Consiglio clie con tale scelta arbitraria del doge egli potesse formarsi un partito a lui ligio e tramare cosi eontro la sicurezza dello Stato, tale Consiglio nel 1229 fu composto di 60 membri, ehe venivano annualmente nominati dal Maggior Consiglio e stavano sotto la presidenza del doge col diritto di proporre leggi ed ammetterle quindi alla sanzione del Consiglio Maggiore; avea cura del commercio e delle relazioni degli altri stati. v. Vettor Sandi T. II parte I lib. IV. cap. 2 §. 1. Marin vol. II. lib. IV. cap. VI. pag. 284. 4) Morto il doge si radunava il Maggior Consiglio ed in questo venivano estratti a sorte con palle d’oro trenta membri, ehe estratti a sorte si riducevano a nove. Questi doveano sceglieme quaranta, ridotti poi a dodiei, i dodici ne nominavano venticinque, di nuovo ridotti a nove; questi ne eleggevano quaranta-cinque, ridotti ad undici, i quali ne sceglievano quarantuno che, con maggioranza di venticinque voti doveano eleggere il doge. v. anche Daru Tome premier, livre V dove c’ e annessa la carta ehe parla deli’ „Ordine deli’ elezioni e sorti per la creazione del serenissimo doge de Venezia“. 5) La Quarantia era un tribunale composto da quaranta membri e fu istituito nel 1179 sotto il dogado di Auro Mastropiero (Malipiero) come quello dei tre inquisitori del doge defunto. Cosi il doge, come a Roma i re e poi i consoli, fu privato del potere giudiziario di cui poteva abusare ed affidato ad un corpo di cittadini, i quali perö erano membri del consiglio maggiore. 6) v. Marin op. cit. vol. IV. lib. II cap. 1 pag. 143; colla legge 5 Ottobre 1273 che diceva: quod bastardi non eligantur de M. C. nec in offitio quod sit de M. C. Vero e ehe con tali leggi non si avviliva la maestä del Consiglio sovrano, ma la republica diveniva sempre piü aristoeratica, la plebe (e a Venezia non si poteva parlare di un „populus“ nel senso romano) era del tutto esclusa dal govorno dello Stato. 7) Era questa la seconda volta che Venezia veniva alle mani con Genova. La disfatta dei Veneziani guidati da Andrea Dandolo a Curzola per opera di Lamba Doria (1298) e la pace indi conchiusa fra le due republiche per mediazione di Matteo Visconti, sembra abbia tanto interessato la plebe ehe questa non si c uro a provedere a ehe si restringessero i poteri deli’ aristocrazia. v. Sismondi vol. II. cap. XXVIII. s) Giacomo Tiepolo avea rinunciato all’onorevole carica di doge ehe gli era stata offerta dal popolo per la sua mitezza e giustizia. II Gradenigo lo odiava perche, di principii assolutistici, vedeva di mal occhio ehe la plebe appoggiava il liberale Tiepolo; cosi almeno la maggior parte degli storici veneziani. II Daru T. I livre VI non si arrischia di dar un giudizio: „II serait difficile de dire quel sentiments 1’y determindretn“. Non cosi il Laugier, il quäle fa succedere i cangiamenti nella costituzione della republica in un sol giorno. v. Laugier T. IH. libro X. 9) v. per tali modificazioni il Sandi, Marin, il Chronicon del Dandolo, Navagero, Marin Sanuto ed il Sismondi. Non mi fu dato di poter aver tra mani il Bomanin „Storia documentata di Venezia“ dal quäle avrei potuto attingere molte cose ehe si riferiscono e a Venezia e alla Dalmazia; cosi, per ciö ehe si riferisce a quest’ ultima, non ho potuto procurami il lavoro del Cattalinich „Storia della Dalmazia“ ne quello del Kreglianovicli-Albinoni. 10) II Navagero lo dice all’anno 1299; II Marin nel 1304. M) Tali erano stati i Micheli-Frangipani ed i Morosini a Cherso ed Ossero fino all’anno 1305 ed erano all’epoca di cui si parla i Giorgi a Curzola, i Frangipani a Veglia e molte altre nobili famiglie veneziane nelle isole deli’ Arci-pelago. Concedeva la republica feudi a certe famiglie ed in prossimita di quei luoghi il cui possesso era difficile venisse mantenuto, per aver in tali famiglie appoggio contro altri potenti. II feudo era d' altronde condizionato avendo dintto il vassallo di vivere secondo le sue leggi e statuti e di veder rispettate le sue franchigie. In quei luoghi ove queste non venissero rispettate era libero al popolo di rivolgersi al Maggior Consiglio di Venezia, come ne fa fede il ricorso dei cittadini di Cherso ed Ossero contro il conte Marino Morosini. v. „I libri Commemoriali della republica di Venezia“. T. I v. I üb. I pag. 5 al N. 10 e Ljubich dal Codice Trevisaneo vol. I pag. 136. 12) In riguardo agli Statuti delle cittä dalmate si osserva che essi vengono redatti dalle singole cittä appunto nel XIV e XV secolo. Cos'i nel 1305 viene redatto lo Statuto della Brazza, 1310 quello di Lagosta, nel 1322 quello di Trau, nel 1331 il conte Giovanni Loredan fa compilare quello di Lesina, nel 1345 quello di Meleda. Le leggi di consuetudine nell’isola di Curzola erano state raccolte in uno statuto giä nel 1214 ed e quindi il piü antico della Dalmazia. Sarebbe veramente interessante uno studio sui singoli statuti delle cittä dalmate per la costituzione, usi, costumi e per la lingua stessa in cui sono scritti. Quello appunto di Meleda, che come dissi e il piü antico, al Capitolo XVI parla „Dela podesta delo patre et dela matre“: Ordinemo e Statuimo che lo fiolo uxurato vel non uxurato, viuendo lo padre ouer la madre se la madre non e non possa domandare alehuna parte se non cum voluntade delo patre o dela matre se lo padre non e...........: lo fiolo sia tegniudo de rejeuer quella parte. Cos'i quello di Cherso stampato per la prima volta ed unica a Venezia nel 1640 dove parla „Dela pena ä chi butta el fazzol ouer velo ad alguna Donna de bona farna“ Cadaun ehe animosamente e con fraude butterä ad alguna Donna de bona fama el fazzol ouer uelo de cauo e rechiamo fazza la inzuriada e prouerä con un testimonio degno di fede, sia condannado in bisanti dodese. E cos'i via. In proposito dei poteri del conte, delle sue attribuzioni e diritti, veggansi gli statuti di Trau al lib. I. cap. 5 in Lago vol. I, e 1’ atto di dedizione delle cittä dalmate a Venezia nel 1332 in Mica Madio, Lucio, Katona T. I cap. 102 pag. 443, cap. 102. Pray Pars. II, lib. I pag, 15 e seg. ’3) Che il potere criminale o meglio il giudizio su crimini spettasse al Conte, malgrado le singole cittä volessero farlo valere come loro diritto, si vede dal consulto di Rizzardo Malombra v. I libri Comm. T. I, vol. I. pag. 146 e Ljubic vol. I. pag. 282. 14) Cosi al capitolo 45 degli Statuti di Trau si diceva che nessuna donna potesse entrare ne in palazzo, ne in loggia per far testimonianze; ma se nobile doveva venir interpellata in casa sua, se popolana nella chiesa di S. Maria della Piazza. Le chiese dunque erano piü democratiche e meno rispettabili delle case dei nobili! V. Lago vol. I. pag. 225. 15) I lib. Comm. T. I vol. I pag. 110 N. 487, pag. 138 N. 612, lib. I. Le cariche amministrative erano: II Conte, il Consiglio, i Giudici, il Tesoriere del Comune, il Giustiziario, i Consiglieri, Cancelliere e Maestro soprastante deli’arsenale. Officiali minori: il medico, chirusico, i plazzai, cursori, ripuarii. Vedi per aleuni ceni sulla costituzione delle cittä dalmate nel medio evo, Dr. Gustav. Wenzel „Beiträge zur Quellen Kunde der dalmatinischen Rechtsgeschichte im Mittelalter“ nel vol. ü. fascicoli I e II dell’ „Archiv für Kunde österreichischer Geschichts-Quellen“ anno 1849. Non so poi qual pregio possa avere 1’opera di autore anonimo „De juribus et statutis municipalibus regnorum Dalmatiae, Croatiae et Slavoniae“ citato nel „Catalogue embrassant Les litteratures Hongroise et Transylvanienne et. des pays voisins“ edito da List e Franck librai a Lipsia, libro che non mi fu dato perö di poter consultare. 16) Zara assoggettata nel 1202, e poi di nuovo nel 1243, dove dare ostaggi e pagare annualmente mille pelli di coniglio; Ragusa, soggetta per la seconda volta dopo l’anno 1232, dove dare 12 ostaggi e pagare ogni anno perperi XII. Vedi Giustiniani „Storia di Venezia“ pag. 38 ed il Codice Trevisaneo pag. 222; Lago vol. I pag. 181 e 194. 17) I re ungheresi per rendersi amiche le cittä dalmate concedevano loro larghi privilegi. Cominciö Colomano (1108) col „Privilegium libertatum“ di Trau, Spalato e Sebenico. Questi privilegi furono poi confermati da Geiza II (3 maggio 1143), da Stefano III (1199) da Bela III (1186) da Andrea H 1299, 1207 (ad Almissa) e 18 Gennajo 1215, da Bela IV (1251), da Stefano V (1270), da Ladislao IV (1284) e lo furono poi da Carlo Roberto stesso 1311 a Zara e 1322 alle altre cittä dalmate). Conf. Katona, Endlicher, Pejer. Comm. della repub. T. I libro U, Ljubic e un lavovo dell’autore nel Programma dell’i. r. Scuola reale Superiore di Pirano anno 1872-73 per i privilegi di Colomano, privilegi ai quali si riferiscono tutti gli altri. 18) Dell’indipendenza munieipale ne fa fede 1’alleanza conchiusa fra Spalato e Sebenico dall’una e Carlo d’Anjou re di Napoli per reprimere le piraterie degli Almissani (1274), le loro lotte contro questi insieme ai veneti, ai quali anzi Almissa si arrese per poco tempo (1282), le guerre fra le singole cittä; cosi nel 1239, 1244, 1276, 1283 fra Tran, Spalato e Sebenico v. Lucio lib. IV. cap. IX e Lago vol. I. 19) Queste regalie consistevano nel versare (2/3 al re, */3 al bano) il denaro esatto dagli stranieri pel diritto d’entrata nel porto, pagare parte del reddito della tasse incassate dal comune per gli animali e merci esposti in vendita al mercato, e di quelle ritratte del dazio imposto sulle čarni e sul vino. Altra imposta sembra sia stata quella della „vratarina“ (vrata-porta) in uso ancora dal tempo dei re Croati per la qualc si pagava una tassa per il commercio ehe si faceva alle porte della cittä od in luoghi chiusi. II diritto di 2/3 del redditodella „vratarina“ s’era riserbato anche Bela IV.* nel la pace conchiusa con Venezia (30 giugno 1244) a Zara; da ciö si scorge ehe tale contribuzione veniva pagata anche sotto il dominio ungherese. 20) Prima i re Croati, poi gli ungheresi furono larghi di donazioni alle chiese e cittä. Fra gli altri si distinse Bela IV. il quäle nella dieta di Klobuk (Castelnuovo di Trau 1251) donava alla cittä di Traii la terra di Bristivizza. E non erano beno determinati i confini delle singole cittä tanto anzi che queste si rivolgevano ai singoli rc perche le regolassero. Cosi Bela IV. nel 21 novembre 1251 determinava e designava i confini del territorio di Sebenico, e prima ancora (1243) avea determinato quelli di Nona v. lib. Comm. T. II, vol. III, lib. V, pag. 212 e seg. e „Monum. Hung. hist. diplom. XI 314. I confini di Trau, per esempio, andavano da una colonna sotto Castrog presso il comune di Spalato fino alla villa di Smoquiza; appartenevano a Trau: il monastero di S. Pietro di Clobozizo, la villa Biacii, le Chiesa di S. Vitale e di S. Giorgio, i pascoli Divulii, il campo di Trau, Mezolino fino a Smoquiza con tutte le loro pertinenze (Comm. T. I. vol. I, pag. 170, N. 3) Zara, ehe tendeva ad una egemonia sulla Dalmazia, era sempre in lot-ta con Pago (v. le continue liti nei Comm. T. I, e II. vol. I. e III.) e con Sebenico specialmente per i possessi di Zuri, Iarte e Scrimac. 21) L’ industria in Dalmazia a quest’ epoca era proprio nulla. Si distingueva perö in commercio il rame di Ragusa, il quäle veniva anche raffinato a Venezia. Cosi nei „Comm. T. I. lib. II pag. 187 N. 79 del vol. I. 22) Certo e oscura la derivazione della famiglia dei conti di Bribir ehe pur ha tanto figurato nella Storia della Dalmazia nel XIV secolo, e soltanto quä e cola ho potuto attinger qualclie notizia sparsa. V. I)u Presne, Kereslich, Rattkay, Parlati, Lucio. 1’Arcidiacono, Mica Madio e Cubieh „Notizie naturali e storiche sull’isola di Veglia“ II Fabianich dice ehe eapostipite sia sta to il conte Daniele. 23) Bribir e ora un villaggio poco abitato pošto fra Zara e Scardona. Nulla avanza piti oggi dei castello dei conti ad eccezione di un grosso muro sul colle vicino alla nuova chiesa parrocehialc, muro ehe a quanto sembra servi di fondamenta al castello di residenza dei Conti. Cosi il Lago vol. I pag. 197. 24) v. Tomaso arcidiacono cap. XXIX e specialmente XXXHI. „Hic erat vir potens, et dives et in administrandis rebus satis circumspectus et strenuus“. Tomaso Alberti, Arcidiacono di Spalato, era nato in questa cittä nel 1200; il suo lavoro piti importante e appunto la „Historia major et minor Salonitanorum pontificum et spalatensiuni“ lavoro di grande importanza per la Storia della Dalmazia dal secolo X al XIII. Mori 1’8 maggio del 1268. 55) V. 1' atto d’investitura di Bela IV a Stefano di Bribir in Katona vol. V. Fejer, Ljubich, Pray e Lucio al Cap. IX. lib. IV. II Lucio, diligcntissinio raccoglitore dei monumenti storici della Dalmazia, nacque non si sa in qual anno (sembra nel 1603) da nobilissima famiglia di Trau una delle sei famiglie romane (Ablasia, Caelia, Cega, Claudia, Lutia, Statilia) della Provintia. Studio a Roma filosofia e giurisprudenza ed ebbe ad amico 1’ Ughelli. Ritomato in patria si die con cura indefessa agli studii storici, a rovistar pergamene dei municipii, dei conventi e scrisse la storia „De regno Dalmatiae et Croatiae“ in sei libri, divisi in capitoli, cdita per la prima volta ad Amsterdam nel 1666 e da lui stesso curata. Altre opere minori ci rimangono del Lucio fra le quali la „Vita S. Johanni Ursini“ vescovo di Trau e molti frammenti storici si dovrebbero trovare a Roma nella biblioteca vaticana. Sembra sia morto, esule a Roma, nel 1679. 2e) II Fabianich dice infatti che i bribiresi si distinsero per singolari virtü ; consta nullameno dalla Storia della Dalmazia ch’essi, contemporaneamente ai Kadcich d’Almissa esercitassero la pirateria. Cosi nel 1177 „Piratae qui erant in sagctti (!) a comitis (!) de Sevenico (e Sebenico apparteneva ai bribiresi) derubavano Raimondo, arcidiacono del pontefice Alessandro HI. che dal re Ruggero di Napoli veniva mandato al pontefice profugo a Venezia, con 60 monete d’argento. I conti si sarebbero chiamati Nestros e Poclat. Vuole poi il Lago che anche Pribislavo ed Ossore, signori di Brazza, sieno stati della famiglia di Bribir mentre 1’Arcidiacono al cap. XXXVI dice cspressamente che erano da Almissa quindi della famiglia Cacich „Tenebant autem eo tempore (1249) insulas Faron et Braciam Pribislavus et Ossor, filii Malducis de Almisio v. Lago vol. In pag. 196. 27) Per i vantaggi ritratti dalla Dalmazia durante il mite govemo di Stefano IV di Bribir vedi Lucio lib. IV cap. IX. 28) v. Pejacsievich 210, 230, Schmeks e Kovacich „Vestig. Com.“ 172; Fessler vol. III, 91 e 92 e Bomman T. II 238. 29) I bribiresi a quest’epoca erano signori di Almissa; non ho potuto constatare se perche la famiglia Kadcich siasi forse estinta in quel ramo o perche abbiano ottenuto quel possesso col matrimonio di Giorgio figlio di Paolo, primo conte di Almissa, con Elena dei Kadcich. v. Marcus Marulus „Regum Dalmatiae et Croatiae Gesta“ nella tabella genealogica dei Bribir, tabella che comincia con Stefano IV. II Marulo era nato il 18 agosto del 1450 a Spalato e mori il 5 gennajo 1524 e di lui, oltre 1’ opera citata, ci rimangono molti epigrammi e parecchie lettere che si riferiscono alle cose di Dalmazia. — Infatti il Lago riporta dal Kreglianovich una tregua conchiusa fra Giorgio di Bribir conte di Almissa e Giovanni Contarini conte di Zara (1292) nel cimitero di S. Giacomo presso il porto di Zara. Un tale atto non lo trovo riportato in nessuna Storia o raccolta di documenti da me consultata; e sembra d’altronde insusistente perche ne Venezia ne Zara avrebbero a tal epoca fatto pace con un pirata a meno che Giorgio non volesse forse appoggiare e Venezia e gli Angioini per l'acquisto della Dalmazia per deludere poi entrambi. Ciö non toglie che i bribiresi a tale epoca non fossero stati signori di Almissa. Fra gli altri confr. I lib. Comm. alla parola „Almissa“ nel T. I vol. I. — I Kadcich o Cacich erano famiglia ungherese o secondo altri bosniaca che circa il 1160 erasi stabilita presso Almissa; divenne a poco a poco potente in modo che i re ungheresi scelsero dal loro seno anche i bani di Bosnia, come Bela III, il quäle aveva nominato Kulino a bano di Bosnia. Subito esercitarono i Cacich la pirateria e dilatarono in appresso i loro possessi fino a Macarsca; Venezia fece loro guerra accanita e costrinse di associarsi a lei anche Ragusa; Pribislavo e Ossore figli di Molducco fecero guerra a Spalato (1240) e Ossore, figlio di Predan a Ragusa (1246), tanta era la potenza di questa famiglia! Circa il 1270 i bribiresi erano dunque in possesso di Almissa e Paolo incoraggiava gli abitanti alla pirateria; assali la Brazza e ne incendiö gli edifizii puhlici e tanto l’andö vessando che insieme a Lesina (1278) si vide costretta a darsi a Venezia, la quäle costrinse poi gli Almissani ad accettare un conte veneto, ehe fu poi eacciato. La sete di potere in Paolo non si potiva estinguere e corseggiava colle sue barehe armate l’Adrictico a danno di Venezia; non potendo pero sostenersi contro la republica, le eittii, di cui egli od i figli erano conti, portavano la pena della sua smisurata ambizione tanto ehe furono costrette di pagare a Venezia grosse somme di denaro in risarcimento dei danni recati da Paolo e dai suoi ai sudditi della republica. v. I lib. Comm. T. I vol. I pag. 16, 90. Sehafarick fas. II pag. 604; la lettera di Rainer Zeno a Spalato, gli atti di Traii, 1’alleanza con Carlo d’Anjou (di cui sopra) e quella fra le stesse citta in Lucio lib. IV. 30) v. Lucio lih. IV. Cap. Vlil. I singoli atti di franchigie sono dati a Scardona, ehe d'ora innanzi seinbra sia stata la residenza dei bribiresi. 31) v. Mica Madio in Schwandtner „Scriptores rerum Hungaricarum vol. III. p. 637“ Eodera tempore (1290) Rex Ladislaus a Cumanis Ungariae occiditur et Andreas de Moresinis de Venetia, per matrem in Regem Ungariae coronatur „(Cap. I). „Et tune Carolus Martellus in Regem Ungariae coronatur“ (Cap. II). Viveva il Madio nella prima metä del XIV secolo; la sua operetta, che comprende soli XXIX Capitoli (dal 1290-1329), e spoglia di arte oratoria e di sfoggio di scienza, ma serve moltissimo come fonte per la Storia della Dalmazia. 32) v. Lucio lib. IV. cap. X. Da un frammento dei Consiglio di Trau, riportato da Lucio, si vede che Carlo Martello avea tentato di sbarcar in Dalmazia dal Napolitano e che avea segreti maneggi con Paolo di Bribir. Concesse un privilegio agli abitanti di Spalato da Nocera in data 27 Giugno 1292 col quäle vuole che essi „de pertinentiis Regni Ungariae bene tractentur“. 33) V. Bomman T. II. lib. Vll, 234, Farlati vol. III, Fabianich. v. I parte I. 3‘) V. Lucio lib. IV. cap. X, Bomman vol. ü. lib. Vll pag. 237, Mica Madio cap. IH, IV, e V. Spalato perö non voleva accogliere il seguito di Carlo Roberto. „I spalatini rispettosamente l'accolsero, e si scusarono che avendo prestato giuramento di sudditanza al re Andrea, sin tanto ch’egli viveva, non avrebbono potuto riconoscere lui per Re, ne ricever il suo esercito entro le mura: che per altro se egli avesse voluto sbarcarsi con poca servitü, sarebbe il ben accolto come un Principe viandante“. Bomman. E il Madio (Cap. III) Anno Domini M.C.C.C. mense Augusto, tempore Bonifacii Papae, D. Carolus, Nepos Caroli Regis Siciliae, per mare cum galeis Spalatum applicuit, ubi per menses vel fere duos stetit. Egrediensque de civitate Spalatensi, in comitatu Pauli bani versus Ungariam. — Anno Domini MCCCV111 mense Junii Dominus Legatus (Gentile, legato di Clemente V) intravit Spalatum . . . postea abiit in Ungariam, et fecit coronari regem Carolum. E che Paolo abbia mandato il figlio Giorgio in Dalmazia lo vediamo anche dai Frammenti dei Consiglio di Trau, riportati dal Lucio lib. IV. cap. X. 31) v. Farlati, vol. V. Fabianich vol. ü. Lago vol. I Bomman. 36) v. Fessler vol. III. parte III 84 e seg. Mailäth vol. III. Pray Parte II e Bonfinius „Rerum hungaricarum decades IV et dimidia, libris XLV comprehensae“ Decade II lib. IX pag. 248; lavoro di poco merito in riguardo alle veritä dei fatti. Era italiano il Bonfini e viveva alla corte di Mattia Corvino. Thurocz. „Chronica hungarorum“ P. II c. 90. Timon „Epitomae Cronologica“ p. 44, Pajacsevich p. 219-244. 37) Fra gli storici della Dalmazia v. Madio, che viveva a quest’ epoca, al Cap. V. citato da nessun storico che scrisse su questa guerra. v. ancora Sismondi vol. II, Muratori vol. XLU, Chronicon Parmense T. 9 Rerum italicarum scriptores; Chronicon Bononiense T. 18, Navagero, Marin Sanudo, Marin, Annales Estense T. 15. Raynaldus „Annales Ecclesiae“. 38) Infatti Ottobono Patriarca di Aquileia era in lotta a quest’epoca con Venezia per i possessi deH’Istria; anzi erasi combattuta fra i veneti ed Enrico conte d’Istria, che comandava gli eserciti dei patriarca, una battaglia presso Castelvenere, e nel giugno dei 1310 era stata conchiusa la pace. I Padovani d’altra parte erano in continue lotte con Venezia per la regolazione dei Brenta e per il commercio che veniva lor tolto coli’occupazione di Medoaco. V. De Franceschi „L’Istria, Note storiche“ cap. XX111 pag. 150 e Marin vol. V, cap. III. — Deila congiura del Tiepolo ci parla anche il Madio al Cap. V. dal quäle appunto ho creduto di poter aver la sicurezza che Mladino sia stato partecipe della congiura: difatti egli al cap. XX111 dice parlando di Giorgio fratello di Mladino „quia conabaris erigere Bajamonte in magno statu qui inimicabatur et persequebatur duceni venetorum“. 39) Tanta importanza sui destini di Venezia dovea aver la congiura di Tiepolo che il Marin sulla fede di Lorenzo de Monaci dice che „molte cittä d’Italia e di Germania credendo che a quella occasione del destino di Venezia fosse deciso, tra depositi, crediti cd effetti per due milioni di ducati da essa ne trassero“ Tiepolo consigliö di nuovo il Patriarca di Aquileja ad una guerra contro Venezia; la republica seppe perö evitare la lotta collo spingere Enrico d’Istria contro Ottobono e conferire al primo la cittadinanza veneta. V. Marin vol. V. lib. I pag. 170 e De Francesehj 1. c. iu) v. Madio cap. V Anno Domini MCCCXI mense Martii, civitas Jadrensis a Dominio Veneto fuit rebellata, subiieiens se Dominio Pauli Bani et suorum filiorum. Albertinus Mussatus lib. II. Navagero (Pietro Gradenigo doge) Marin Sanudo e 1' Anonimo: Zara rebella discazando lo so conte M. Michiel Morosini, lo qual fö ascoso per favor de Nobel de Zara in la casa dei Nobel della che nomeva Saldin de Saladini e con cauto muodo vestido a muodo di frate insi fuor della terra, et scapolo, li consejeri del dito Conte fö Zan Zustignan, e Marcho DaDdolo, retegnudi e mesi in prexon. v. Lucio lib. IV. cap. Xll. In riguardo al nome di „bosnensis banus“ questo titolo era stato conferito da Carlo Boberto a Paolo di Bribir: Paulo, Croatarum et maritimo bano, Bosnae banatum perpetuum et haereditarium Carolus donat (1308). Kerclieslich pag. 101 in Katona vol. I pag. 135.