Esce nna volta per settimana il SabbatO. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proporzione._ L'abbonamento non va pagato adaltri che alla Redazione. ■ • ii patti fra marchese d* istria, CONTE, VESCOVI, MAGNATI E PAESANI. nel principio del secolo XII. II Professore Abbate Pirona da Udine venne al possesso di un brandello di pergamena, fatalmente mancante del di più di scritto, sul quale stavano registrati i patti corsi fra un Marchese d'Istria il cui nome cominciava colla W, il Conte Engelberto, i Vescovi, i Magnati, i paesani, le città, le castella e le ville del Marchesato. La carta passata dal Pirona al Professore Abb. Bianchi pur di Udine, diligentissimo raccoglitore dei monumenti scritti del tempo in cui i Patriarchi di Aquileja figurano grandemente fra i principi della terra, la pubblicazione dei quali documenti fatalmente sospesa, sarebbe non soltanto di bel sussidio agli studi storici, ma di onore alla Patria del Friuli; il Professore Bianchi ce l'ha gentilmente comunicata, di assenso del Pirona, perchè l'amore ai belli studi dei due Professori, ed il desiderio di mostrare illustre come è la patria, non è deturpato da letteraria avarizia, o da vile egoismo. Noi pubblicamente rendiamo loro grazie di ciò, e toccando quel brandello le cose d'Istria, usando delle illimitate facoltà dateci, lo facciamo di pubblica ragione, accompagnandolo di qualche povero schiarimento, se tale lo è, o non piuttosto il contrario. Questa, che, seguendo il titolo datole nel documento medesimo, noi diremo Cartula, non contiene che poche linee di scritto, il più fu tolto per taglio di forbice e fu destinato od a ballocco, od a farno schiena di legatura di libro, o sacco per conservare vischio, oppur colla da pittori, od altro di simil fatta. La gentilezza dei Professori ci forni non solo apografo; ma anche I' originale ad ispezione, e dalla forma della scrittura noi la giudichiamo del principiare del secolo XIII, del 1200 e qualche anno. Facilmente saressimo tratti a credere dottato anche il testo in questo tempo, nel quale v( era un Conte Engelberto d'Istria che nel 1204 lè pece e riconobbe il dominio Aquilejese, che stava allora nelle inani del Patriarca Wolchero, che fu e si disse Marchese d'Istria ; quello stesso Conte Engelberto, fratello di Mainardo Conte di Gorizia che ebbe tomba nel!' insigne Badia di S. Pietro in Selve nel 1220, e per la di cui anima la Contessa Matilde donava Ravanzolo presso Montona ai Monaci di S. Pietro affinchè pregassero. Ma non è di questo En- ■ u > ,) gelberto che parla la Cariala, nè il Marchese W è il Patriarca Wolchero, néil testo della Cartula è l'autografo dei patti, e ne diremo le ragioni. Il Patriarca Wolchero era di diritto e di fatto Marchese d'Istria, come i successori suoi fino a Lodovico de Tech, espulso; ed alla conquista di tutto il Marchesato come era allora, fattane nel 1410 dai Veneziani; ma non fu stile dei Prelati di tacere la dignità loro di chiesa, per ostentare soltanto il titolo di dominazione laica che avessero ; e se di questa fecero uso, come lo fece il Patriarca Wolchero, Io fu sempre insieme e secondariamente a'ia loro dignità ecclesiastica: meglio se la dominazione laica non era propria della persona privata del Prelato, ma della prebenda ecclesiastica. Abbiamo veduto parecchi atti laici dei Vescovi di Trieste, in cose di semplice governo civile, e si indicano : Vescovi di Trieste, senz' altro, e quando nel secolo XIV per le controversie insorte, vollero nell' uso del titolo laico, avere durevole prova del loro dominio si dissero Conti, però sempre : Episcopus e Comes; così quelli di Capodistria si dissero: Episcopus Justinopolitanus, et Comes An/ignani, quelli di Cit-tanova : Episcopus Aemoniensis et Comes 8. Laurentii in Dayla; quelli di Parenzo: Episcopus Parentinus et Comes Ursariae; quelli di Pedona: Episcopus Petinensis et Dominus Oollogoritiae. I Patriarchi d'Aquileja, cominciando appuuto dailo stesso Wolchero, si dissero Patriarcha, Marchio Islriae e più solitamente Patriarchìi, titolo che mai ci è accaduto di vedere ommesso. E citeremo il Beatissimo Padre, il quale Papa e Sovrano, non altro titolo usa o gli vien dato negli atti civili che quello di Summus Pontifex. In atto che il Patriarca aveva se non dato, certamente aderito, nel quale la sua persona ripetutamente si nomina, non avrebbe desso tollerato che la dignità sua venisse tacciuta, nè il rispetto dovuto avrebbe concesso che gli altri intervenuti in quella carta non glielo das-sero, appunto a quel Patriarca che fu il primo ad avere il domiuio dell' Istria, in nome della sua Sede Aqui-lejese. Il Patriarca Wolchero, appena salito il soglio coniò moneta, la quale valeva per tutti gli stati da lui posseduti; i Patriarchi erano gelosi di questo diritto regale proprio soltanto dei baroni maggiori e del quale né in Friuli, nè in Istria, altri godettero fuori che i Vescovi di Trieste; i Conti d'Istria coniarono moneta appena essendo Conte Alberto II, come congetturiamo noi, per questa provincia, nessun' altro barone istriano coniò mai moneta per l'Istria ; i Patriarchi erano sì gelosi della loro zecca, che trattando coi Veneti della cessione di alcune città dell'Istria, volevano che vi avessero corso anche dopo la cessione, le monete aquilejesi; in carta del Patriarca Yolchero per l'Istria Tunica valuta èi'A-quilejese. Nel patto all' incontro della cartula, ove non un privato, ma il marchese patteggiava, ove patteggiava non per un atto singolo transitorio, ma per atti rinno-vantisi e per tempo lungo, si fa cenno di monete Veneziane, non di Aquilejesi. La Cartula non è lo scritto originale dei patti ; vi si manifesta un' omrnissione di voce; altre ommissioni vengono supplite con aggiunte ; ciò che non si sarebbe tollerato in rogito originale. La Cartula è una copia di carta più antica fatta nei primi anni della dominazione dei Patriarchi, per servire di materiale a conferma o modificazione di simili patti che fecero i Patriarchi; ed è per ciò che stava già nell'Archivio dei Patriarchi,nel quale non passarono le carte dei Marchesi di libera nomina od ereditari che li precedettero. Diffatti nel 1212 il Patriarca Volchero rinnovava cogli istriani simili patti; nel 1238 i baroni istriani pretendevano maggiori poteri^ che poi non ebbero ; nel 1246 il Patriarca Bertoldo confermò o rinnovò simili patti, così del 1256 il Patriarca Gregorio, così forse altri dei quali non abbiamo notizia. È naturale che i Patriarchi dovendo mantenere, o volendo anche modificare i patti degli antichi Marchesi, ne prendessero conoscenza. Il Marchese W della Cartola era quindi un laico, non un Patriarca d'Aquileja, e dominava in tempo nel quale era Conte d'Istria un Engelberto. Nella serie dei Marchesi d'Istria troviamo di nome che comincii colla W un Wintero del 933, un Wodolrico dei Zeringen dal 1040 al 1060, figlio della nota Contessa Azzica che donò Leme ai Benedettini, ed il figlio di questo Wodolrico I che fu Wodolrico II dal 1090 e che si crede morto intorno al 1108, di che non si ha certezza. Ed il primo Conte d'Istria di nome Engelberto sarebbe quello diOr-temburg della Casa degli Eppenstein che fu fratello bastardo di Enrico Marchese, al quale, divenuto duca di Carintia nel 1090, usurpò il Marchesato, cui facevano corona i Vescovi ed i Magnati istriani, quel medesimo che venuto a giornata campale nel 1112 al Timavo ai confini del Marchesato per provare colle armi il diritto al Marchesato, ; soccombette e venne a trattative ed aggiustamento, avendo la Contea d'Istria, fatta vacante nel 1099 per la Morte del Conte Cacelino, e della quale era non sappiamo se pretendente od altro un Enrico di Lurn, che non conosciamo chi fosse fra il 1075 ed il 1100» Sarebbe questo Engelberto (che, spurio, portò forse. nello stemma usato anche da un suo successore e che sta tuttora sul palazzo di Pola, la sbarra di illegittimità) il fondatore della essa dei Conti d'Istria, e-stinta in Alberto III nel 1374, cui subentrò per patto di reciproca eredità la Casa di Asburgo, sarebbe questo Engelberto ;il fondatore nel 1134 dell'Abbazia di S.Pietro in Selve,'ove dispose le tombe della famiglia, sua, che esistevano ancor saranno cent'anni, ma che oggidì per i mancati tentativi di averne notizia, devono dirsi e nulle leggende & nelle scolture irreparabilmente perdute. ' ' Il Marchese Wodolrico della Cartula sarebbe il II, destinato dal Duca Enrico di Canntia, fino dal tempo in cui ebbe la corona ducale, contrariato dal Conte Engelberto, ma col quale poi si pacificò, e fu riconosciuto ; sarebbe quello stesso Wodolrico che si mostrò largo colla chiesa d'Aquileja (il patriarca d'Aquileja era, pur di nome Wodolrico, fratello di Enrico duca, ambedue figli del duca Marquardo) che non ebbe figli, al pari del suo benefattore duca Enrico, il quale Wodolricc ionò ad Aquileja nel 1101 S. Quirieo, nel 1202 tutta la valle d' Arsa, le castella intorno Pinguente, il Carso da Buje a Sdregna ed altre baronie spartì tra i suoi fedeli. È naturale che tra questo Marchese Wodolrico, ed il Conte Engelberto fondatore della dinastia ereditaria d'Istria, si facessero patti, a fissazione dei nuovi prin-picì di governo, e questi patti stavano registrati in diploma, della quale la Cartula dà copia di alcuno poche linee. Se fosse integra, si vedrebbe il tempo e le persone tutte; però il tempo preciso ad anno non sapessimo indicare, per l'imprecisione di note croniche di altri fatti o documenti. Imperciocché sembrerebbe verosimile che questi patti si segnassero nel 1112 quando fu fatta pace tra Marchese e Conte; ma noi abbiamo motivo di dubitare che tanto si tardasse dal 1090 cioè fino al 1112 di risolvere colla spada la questione del Marchesato; d'altra parte le donazioni fatte da Wodolrico nel 1102 alla Chiesa d'Aquileja non sarebbero certo indizio che con queste si cattivasse il Patriarca Wodolrico il quale combattè al Timavo contro Engelberto; l'anno di morte di Wodolrico sebbene indicato 1108 non è certo. Per lo che siamo costretti ad indicare l'epoca senza nota cronica precisa, però della prima quindicina del secolo XIII al tempo della adottata eredità della Contea d'Istria. Dalla Cartula apprendiamo che fra le figure maggiori del Marchesato, v' erano il Marchese, il Conte, i Magnati; fra le figure minori, i paesani, le città, le castella, ed i villaggi. Noi pensiamo che in queste indicazioni di figure si abbia un elemento della condizione sociale della provincia al principiare del secolo XIII, prendendo a base che questi elementi sieno quelli stessi dei Parlamenti 0 Placiti provinciali. ■'•■■ 11 primo parlamento 0 placito per udire le lagnanze degli Istriani contro gli amministratori della provincia è degli anni 804 ed in questo prendevano sede il Duca, suprema magistratura, i Vescovi ai quali Giustiniano a-veva accordato poteri'di buongoverno, i primati e gli eletti dalle città e dai castelli , io numero determinato. In quel torno di tempo non vi avevano altro figure pubbliche che Vescovi, Comuni tanto per sè questi ultimi che per i territori di loro giurisdizione, ed il Duca il quale teneva sotto proprio governo quei territori che non e-rano in governo dei Municipii. : Nel parlamento dell' 804 non si vedono figurare i provinciales, i grandi possidenti cioè dell' agro che non era municipale, l?ensì i pri-mates, fra i quali però non sembra potersi comprendere che o i decemprimi dei Consigli Municipali, 0 le primarie dignità dei Consigli, non i possessores 0 provinciales dei . tempi romani, assorbiti forse dal: potere del duca. Gli agri giurisdizionali dei comuni non .sembra che sieno stati restituiti ai. Comuni da Carlo Magno; gl'imperatori successivi li .diedero invece ai Vescovi delle città ampliando così i poteri temporali di questi. -La prima donazione (comedicevano) di siffatti agri è dell' 844-855 in cui Lattario e Lodovico diedero ai Vescovi di Trieste l'agro fra Opchiena e Lonche, e come sembra anche al Vescovo dj~Pola parecchi agri. Del 911 Berengario donò al Vescovo, di Trieste i due Castelli di Verino; del 929 Ugo ai Vescovi di Trieste, Umago, Sipar, Padana, a quelli di Parenzo, Pisino ed altri ancora; del 948 Lottano diede ai Vescovi di Trieste l'alto dominio della città; del 983 Ottone diede ai Vescovi di Parenzo, Orsera;del 1038 Corrado, ai Vescovi di Cittanova, S. Lorenzo di Daila ; del 1067 Enrico sette agri al Vescovo di Frei-singen; e cosi avanti per modo che al fine del secolo XI, era assai donato in proprietà o delle chiese o di gran baroni dai Re e dagli imperatori; ed in questo secolo cominciano le donazioni od investite ad altri baroni minori. Di etti fatti in nome del Marchesato, o di parlamenti se no ha memoria, d' uno del 933 al quale intervengono il Marchese, i Vescovi, lo cariche maggiori urbane, i corpi delle città e dei castelli; di altro del 990 nel quale figurano il Marchese, i Vescovi, i Magistrati supremi della città, similmente del 993. Il Conte d'Istria non figura che in un solo atto, però pensiamo fosse come Vicario del Marchese, intendiamo cioè del Conte d'Istria. Imperciocché sembra a noi che questo ministoro di Conte e di Contea significhi il diritto di basso governo sugli agri rustici che non erano in condizione di comuni autopolitici ; per cui ebbero officio di Conti anche i vescovi che avevano agri in propria giurisdizione, come l'ebbero anche dcuni comuni, sebbeno i comuni mai usassero questo titolo e non sempre i vescovi, ed il nome di Conte d'Istria fosse di carica per quei distretti che non erano dati con diritto di comitato ad altre persone. Lo stesso diritto di basso governo che il Conte aveva negli agri a lui assegnati, l'avevano i comuni autopolitici. L'alto governo spettava al Marchese soltanto, come già lo spettava ai Praesides Provinciarum dell' impero romano, la giustizia penala di crimini. Questa giurisdizione del Marchese, si vede nella Cartula conservata a lui, integra in tutto il territorio del Marchesato da Duino a Fianona ; in epoche più tarde vedesi il Conte d'Istria esercitare nella Contea quelli stessi diritti che nella Cartula sono di esclusiva attribuzione del Marchese; più tardi veggonsi i Vescovi di Trieste esercitare 1' alla giustizia penale, e così altri baroni maggiori ; ma di tutti dicevasi dei Patriarchi Marchesi che l'autorità proveniva da questi; sicché potrebbe suppursi con fondamento che ai tempi della Cartula i poteri dei baroni maggiori non arrivassero all'alta giustizia. Però vi erano di questi baroni maggiori, e come pensiamo di quelli che non soltanto possedevano la terra nobile, ma che vi esercitavano giustizie pari a quelle che godevano i comuni liberi se non maggiori; mentre i baroni minori non avevano insieme colla proprietà nobile la giudicatura, di qualunque grado fosse. Tale diversità di condizione nei baroni si ò conservata nell'Istria fino al secolo presente, avanzo certamente dell'an- tica, in paese che nou aveva finallòra subito repentini e radicali cangiamenti come avvenne nella prima quindicina del secolo presente. Questi baroni maggiori sono quelli che nella Cartula si dicono Magnales ; quali fossero questi lo ignoriamo ancora ; certamente lo furono i signori di Momiano che avevano estese possidenze, e dicevano di sò domus nostra; quel pezzo di pergamena stoltamente lacerato dalla Cartula, conteneva nelle segnature i nomi di questi Magnales; Magnates erano i vescovi possessori di baronie, tma questi formavano braccio da sé. :> , '. }> • i I paysani della Cartula non sono già i contadini che dicevansi villani; essi erano i provinciales, od i possessores honorali dei Romani; quelli che ammessi^ più tardi nei parlamenti baronali, si dissero in tedesco con semplice traduzione di voce Landmann, più tardi Land" stand, i nobili provinciali. Pensiamo che li dicessero paysani !perchò pagisani, voce questa osata in luogo di pagani, o perchè quest'ultima voce avesse ormai esclusivamente significato religioso, o perchè pagani intendessero gli abitanti, non i grandi possidenti dei pagi. E pagi intendevasi ciò che i Tedeschi dissero Oauen, distretti frazionari di provincie-o quasi, non aventi propria condizione municipale, ma soggetti ad altri, sia a municìpio, sia a Prefetto; suddivisi i pagi in vici, da cui le vicinie, primo grado ed indispensabile di comune, dei quali rimasero traccio nei così detti Sotto-comuni, che duravano e crediamo durino ancora. I delitti dei paesani, secondo la Cartula venivano puniti, non da un giudizio di loro pari, ma dal Marchese; nemmeno il Conte aveva giurisdizione. Da due carte, sebbene posteriori, abbiamo conoscenza dei delitti riservati ali'alta giustizia, ed erano l'omicidio semplice, l'omicidio proditorio, il furto, l'assaltamento di strada, lo sforzo di donna, l'incendio; se del solo omicidio si fa cenno nella Cartula, ciò avviene a nostro pensamento perchè gli altri delitti non erano frequenti, od i paysani si tenevano incapaci a commetterli. Ma la Cartula è troppo mancante, perchè si possa supporre che di altri non abbia parlato. Nella Cartula crediamo dovere notarsi come Marchese, Conte, Vescovi, Magnati giurassero a Dio di difendere i paesani, la città, le castella, le ville; e che altrettanto venisse giurato, soltanto dai paesani, però in mano dei primi, il che è segno in questi di preminenza, nel Marchese cioè, nel Conte, nei Vescovi, nei Magnati ; ò segno che i paesani sebbene inferiori di rango, non fossero affatto privi di poteri nei loro predi, preparando così quel rango maggiorerch'ebbero più tardi, e quelle pretese alle regalie maggiori che con tanta insistenza pretesero durante il governo dei Patriarchi. Di questi paesani abbiamo notizia in altra carta di tempi più tardi che abbiamo pubblicato nel primo anno dell' Istria, e della quale torneremo a parlare oggi. Le città dell'Istria dei tempi della Cartula sono note: Trieste, Giustinopoli, Emona, Parenzo, Pola, Pe-dena; pari a queste in poteri, ma inferiori in rango sebbene di poco, vjnno collocate le terre, jPirano, Albona, Muggia, Umago, poi le castella Rovigno, S. Lorenzo, S. Giorgio o l'antico Nesuzio; le altre Castella erano in dominio di baroni fossero maggiori o minori, alcune dulie- quali da antica miglior condizione ridotte soggette. Anche delle ville si fa menzione nella Cartula, lo quali tutte erano toggette sia ai baroni, sia ai comuni. La classe dei rustici era da antico distinta in tre categorie __ coloni negli agri colonici o propri dei comuni liberi _ censiti adscriptitii e tributarli, schiavi da per tutto. Il colono era veramente libero e parificato all'inquilino di una casa, pugava il fitto convenuto, nulla più. I censiti od ascrittizi non erano liberi totalmente, non erano schiavi ma quasi, perchè non avevano padrone personale, la terra era loro padrona, questa non potevano abbandonare, da questa non potevano essere separati ; ma non potevano nemmeno essere vendute. I tributarli pagavano la capitazione, segno di coraggio — degli schiavi non occor dire. Le leggi dei Codici Teodosiano e Giustinianeo avevano molto alleviato la condizione personale dei villici, e tolta la soggezione personale, li avevano posti in quella condizione di sudditi baronali, che fu tanto argomento di incertezze nell' Istria in quest'kultimo trentennio e che per le nuove leggi cessò interamente. Le carte dei secoli IX. X. XI. ed anche posteriori, fanno conoscere in Istria la presenza di queste specie di rustici, ma anche dei servi che non cessarono si tosto, onninamente. Nei patti fra Lottario ed i Veneti nell' 846 si vietava il trasporto di schiavi cristiani. Nel 944 i Veneziani proibivano ai propri di comperare schiavi in Istria, e di trasportarli su navi venete. Ancor nel secolo XIV si hanno traccie di schiavi, e leggi cho vietavano le vendite senza intervento dell'autorità; ma non è nostro proposito il dire degli schiavi, nè lo è della Cartula di occuparsi di loro; la Cartula parla di ville che formando vicinie erano corpi morali. Or diremo qualcosa sul contenuto delia Cartula. Il Marchese Wodolrico, il Conte Engelberto, i Vescovi, i Magnati dell'Istria giurano di difendere tutti gli uomini delle città, delle castella, delle ville, i quali con giuramento si adatteranno a quelle promissioni, contro qualunque li volesse molestare, e promettono farlo di buona fede e senza frode alcuna, per tutto il tempo convenuto terranno ferma e valida la carta dei patti. Giurano di mantenere lo stato migliore dell'Istria ed il di lei onore. » I provinciali, i possessori dei predi nobili giurano altrettanto facendone promissione al Marchese, al Conte, ai Vescovi, ai Magnati, e tanto meglio, quanto che in ciò fare tutti promuoveranno in buona fede e senza frode l'onore del Marchese d'Istria.aDeterminano che se uno dei provinciali uccidesse l'altro contro diritto e senza giudizio, cioè a dire non in duello legittimo, ciò che Dio allontani, saranno condannati nella vita e nei beni, dei beni una metà verrà aggiudicata agli erodi del morto, l'altra caderà al Marchese ed al luogo ove sarà commesso 1'. omicidio, salvi altri diritti del Marchese. L* omicida sarà considerato nemico del Marchese e di tutti i provinciali dell' Istria in perpetuo, fino a che non rientri in grazia dei parenti dell'uccisa; e j non possa essere accolto sulle terre dei provinciali^Scoprendosi l'uccisore e venendo mossa querela] contro di lui se lo possono arrestare, e sottoporlo ad esame, o consegnarlo »1 Nuncio del Marchese il quale dovrà fare giustizia su di lui. E se 1' omicida si scusasse asserendo di aver commesso l'omicidio in difesa di propria vita non potesse sostenere combattimento, in allora il Marchese col comune di quel luogo dovrà sostenere il combattimento mediante campione . ........ perdere, o la ricupererà sborsando quaranta lire di valuta veneziana, a......del Marchese, e dal luogo Il rimanente dei patti che è il più, è desiderato, non disperando di potervi in qualche parte supplire altrimenti. Imperciocché, come accennammo più sopra, riteniamo questa Cartula siccome copia dei patti convenuti durante il governo dei Marchesi laici della provincia, prodotta ai Marchesi Patriarchi ad oggetto di ottenere conferma od ampliazione di questi. Abbiamo accennato cho siffatte ampliazioni o conferme furono dato dai Patriarchi, ed è speranza che di queste si rinvengano esemplari. Le Carte dell'Archivio Patriarcale di Aquileja andarono divise, ma forse a torto si piangono tutte perdute; quelle che formavano l'Archivio patriarchino dell'Istria e che stavano in Capodistria, vennero tolte dal Governo Veneto e trasportate a Venezia nel Secreto di quella Repubblica, cho a togliere questioni forse a lei importune, vuoisi che interdicesse la comunicazione e l'uso di quelle carie a qualunque. Delle carte le quali formavano l'Archivio dei Patriarchi, alcune sono nell'Archivio Aulico, altre forse nell'Archivio Veneto; ma i Capitoli di Udine e di Cividale sebbene destinati a carte di chiesa soltanto, ne hanno che se non fossero di diretto sussidio, lo darebbero grandissimo per via incidentale. Assai carte giravano or son cent'anni per le mani di privali, forse non tutte perite ; gli archivi dei Conti d'Istria, dei Conti di Gorizia non sono forse del tutto periti; gli Archivi dei Comuni furono distrutti in questo secolo, cosi quelli delle Abbazie, dei Conventi e di alcuiii vescovati soppressi, ma non tutti, chè nell'oscurità e nel silenzio scappò qualcuno dalla generale distruzione; e f' è usata nel resto, il non hauersi mai pensato d'introdurre in tutia quella Prouincia alcuna delle Religioni riformate, et uigilanti nella cura delle anime, come Giesuiti, Theatini, ò simili, la mala uita che hanno menato et menano hnggi di Fratti dell' altre Religioni, con esempio pernicioso ò di scandalo perpetuo sono causa di tutti questi mali; et l'unico rimedio consiste nel leuar tutte le deficoltà, cho impediscono la residenza del Patriarca, e farlo attendere poi ad una diligentiss.ma ui-sita, e riforma; perchè in quella Prouincia con non minore studio s'hanno à piantare i ripari contra il Torrente dell'Heresie che p. quella uia lontano di sbocare in Italia; che le fortezze contra la potenza Turchesca, che da quella parte medesiman.te machina la rouina d'Italia. Ne ui sarà difesa alcuna bastante, chi non attende à placare l'ira di Dio, con leuar L peccati et estirpare l'Heresie, quali si uide per lunga proua, che oue habbitan apparecchian l'allogiam.to al Turcho, eh' è uero flagello della Diuina Giustitia. Questa longa diceria è stata in parto necessaria poiché si uinga ad intender bene lo stato della controuer-sia Aquileiense, et in sieme il gran bisogno, eh' è d'accomodarla per quello, che appartiene all' honor di Dio, alla conser.e delle giurisdit.i Ecclesiastiche, alla salute dell' anime, et alla publica sicurezza di tutta Italia. Descenderò hora à considerare più particolarm.te le deficoltà che si sono fin qui incontratte in quella re-stituz.e e qualche mezzo, mediante il quale esse si potessero leuare in questo tempo. L'ultimo tentativo, che fu fatto a questo proposito segui l'anno 1580 per commandamento della S.ta memoria di Papa Gregorio XIII col Sereniss.mo Arciduca Carlo che sia in Cielo, à cui per mezo di mons. Malas-pina Nuncio di S. S.tà residente à quella Corte fecce metter in consid.e, che non coueniua alla pietà della Casa d'Austria tener occupata una città della Chiesa, che ella non si poteua possedere con giusto titolo. Ne il Patriarca non haueua hauuta colpa alcuna all'occupata di Marano; e però non doueua esser punito de fatti d'altri; E quando ben fusse stata la colpa sua, che non doueua pregiudicare ai Sucessori. Che U ritenere Aquileia causaua, che i Patriarchi non vi rissedeuano e di qua poi haueuan origine l'Heresie, l'intermissione del culto Diuino, la caduta della disciplina Ecclesiastica, e tanti altri mali, che tornauano in danno notabile della propria casa d'Austria. Che sua Altezza non poteua far cosa più degna della magnanimità sua più conforme alla sua pietà, religione, e giustitia, più utile all'anime de suoi Popoli che restituire quella Città alla Chiesa, e dar in questo modo, esempio à gli altri Prencipi Christiani di ciò, che loro conuenga in simil caso. Che con questo faria à sua Santità cosa gratiss.ma, la quale le mostra-ria aH' incontro ogn' effetto della sua benigna uolontà, come haueua fatto per l'adietro. Quest' off.o parue all'Arciduca Carlo, et ai Ministri suoi più vehemente e più efficace, di quello che haueriano uoluto, tutta uia nella risposta che diedero in scritto non sepero assolu-tam.te denegare la restitut.e, se bene s'andauano schermendo con uarij pretesti, dicendo p.ma Che sua Altezza si marauigiiua che à Lei fosse chiesta Aquileia, mentre staua impegnata nel difendere i suoi confini dal Turco, et à Veneiinni, che haueuano occupato al Patriarca l'intiero Ducato di Friuli, et il Marchesato d'Istria non si dicesse parola; che se bene nella transat.e che fu fatta l'anno 1445 eoa Ludouico Padouano Patriarca fu à lui lasciata libera da ogni Dominio superiore Aquileia con l'altre duo Torre; con tutto ciò il Senato n' essercitaua la superiorità come prouano con uarie scritt.e et uari argomen.ti; onde ermiuan, cho la mnd.ma superiorità che si havevano riservuata, ò usurpata i Vene-tiani, restasse trasferita per le capitolationi di Vuormatia nel Imp.re Carlo V. ; se bene nel Conuento seguito in Trento del 1535 fossi poi dichiarato in contrario per haver datto ad intendere il Patriarca, che non haveva riconosciuto, ne in Aquileia, ne ne gli altri luoghi assi-gnatili alcun sig.re sourano eccetto il Papa ; il che però per le ragioni locate inanzi diceuano non essere uero-che con alcuna delle sopradette transattioni, o capitolationi non s'haveva à pregiudicare all"Imperio, dal quale era chiara cosa, cne fin al detto tempo del 1445 tutti i Patriarchi haueuano riconosciuto in feudo il Ducato di Friuli, et il Marchesato d'Istria, nel modo, chà da Conrado Imp.re n'era stata inuestita quella Chiesa ; ma che poi in qualunque modo ciò sia la sentenza di Trento haueua hauuto il suo effetto; perche era cosa chiara, che dopo quella i Patriarchi haueuano liberam.ie posseduta Aquileia: però che ella fosse tornata in mano di Sua Altezza douersi imputare ai medesimi Patriarchi, li quali doppo, che segui il tradimento di Marano, ò per paura ò per altro l'abbandonarono; si che non ui rimasero ne Magistrati ne officiali, ne Cittadini. Onde i Ministri del Imp.re per dubio, che con danno loro ella non cadesse in mano de nemici l'occuparono in tal modo, e consolidarono al sourano Dominio di Sua Maestà il mero e misto Imp.ri», che apparteneua à Patriarchi, e cosi consolidato se l'hanno mantenuto fin à questo tempo, che basta ad una indubitata prescrittone con buuna fede, e con giusto titolo, che però essendo la medesima Città lasciata dall' Imp.le Ferdinando hereditaria »d esso Arciduca Carlo non ritrouerà sua Altezza Consigliere fedtle, e deuoto suo, che la persuada à uolersene spogliare assolutami, massime che ne anco potria farlo senza il consentim.to de stati di Goritia; de quali quella Città già tanto tempo è fatta membro, ne senza approbat.e della M.tà dell' Imp.re e forse de gli ordini dell' Imperio per quel ches'é detto di sopra., (Continua).