Received: 2015-04-10 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 UDC 930:32(450)"19" SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA... L'ITALIA E IL "CONFINE ORIENTALE": RIFLESSIONI SULLA STORIA E SUL SUO USO PUBBLICO Mila ORLIC Università di Rijeka, Facoltà di filosofia, Dipartimento di storia Sveucilisna avenija 4, 51100 Rijeka e-mail: orlicmila@gmail.com SINTESI Questo saggio si propone di discutere criticamente alcuni degli intricati nodi che in Italia hanno legato - e per molti versi continuano a legare - storia e memoria delle tragiche vicende dell'Alto Adriatico nel corso del Novecento. La questione della memoria viene analizzata all'interno di una doppia prospettiva, l'una sociale - attraverso le esperienze delle comunità degli esuli nel dopoguerra - e l'altra istituzionale - attraverso l'impatto della legge per il "Giorno del ricordo" sulla costruzione dell'identità nazio-nale (italiana). Una particolare attenzione, quindi, viene dedicata al ruolo degli storici italiani nel dibattitopubblico e allepossibilità di rinnovare l'agenda della ricerca scien-tifica intorno ai temi eproblemi del cosiddetto "confine orientale". Parole chiave: "confine orientale", foibe, esodo, memoria, giorno del ricordo ČE ME SPOMIN (NE) VARA ... ITALIJA IN NJENA "VZHODNA MEJA": RAZMIŠLJANJA O ZGODOVINI IN NJENI JAVNI RABI IZVLEČEK Namen prispevka je kritično razpravljati o nekaterih zapletenih in težko rešljivih vprašanjih, ki so v Italiji vezali - in v mnogih pogledih še vedno vežejo - zgodovino s spominom na tragične dogodke na severnem Jadranu v 20. stoletju. Vprašanje spomina je analizirano z dveh vidikov: družbenega - skozi izkušnje ezulskih skupnosti v povojnem obdobju - in na drugi strani institucionalnega - z vidika vpliva zakona o Dnevu spomina na oblikovanje (italijanske) nacionalne identitete. Posebna pozornost je posvečena vlogi italijanskih zgodovinarjev v javni razpravi in možnostim, da bi na dnevni red spet uvrstili znanstvene raziskave v zvezi s temami in problematiko tako imenovane "vzhodne meje". Ključne besede: "vzhodna meja", fojbe, eksodus, spomin, dan spomina 475 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 A distanza di un decennio dal varo ufficiale del Giorno del Ricordo, deliberato dal Parlamento italiano nel febbraio 2004, è il tempo di un primo, pur approssimativo bilancio1. Grazie all'ampio dispiegamento dei mass media, l'opinione pubblica italiana ha potuto familiarizzare con la cosiddetta questione del confine orientale, percepita perlopiù attra-verso due vicende simbolicamente più pregnanti: le "foibe" e l'"esodo". Naturalmente, la ricezione del problema, basata su una mobilitazione altamente emotiva, alimentata dall'i-dentificazione degli italiani come "vittime" della Seconda guerra mondiale, non è priva di elementi problematici2. Nonostante la carica politica polemica che animó i primi passi del Giorno del Ricordo si sia andata stemperando, il contributo degli storici non sembra peró ne abbia beneficiato. Mi concentreró in particolare sui rapporti tra memoria e storia in relazione alle vicende che colpirono e segnarono l'area dell'Alto Adriatico nel corso della Seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra. Da un lato, terró presente la necessità di distinguere tra storia e memoria e di indagarne le reciproche relazioni e interazioni3. Dall'altro, utilizzeró il termine memoria in una duplice accezione: la prima costituisce l'insieme dei ricordi personali che definisce (su scala collettiva) la memoria sociale delle diverse co-munità di esuli presenti sul territorio italiano; la seconda - che sta in rapporti complicati e non sempre diretti con la prima - consiste in una costruzione pubblica, determinata da una volontà e da una finalità (più o meno esplicite) di carattere politico. In quest'ultimo senso si tratterà di verificare come da un lato la memoria pubblica negli ultimi 10 anni abbia influenzato o contribuito a determinare l'agenda della ricerca storica, e dall'altro abbia contribuito a ridefinire la memoria collettiva della comunità degli esuli istriani in Italia. La legge n.92 - con cui fu approvato in Italia il Giorno del ricordo "al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale" - da un lato ha offerto il pieno riconosci-mento istituzionale ad una pagina dolorosa della storia d'Italia e alle sue vittime, dall'altro - privilegiando proprio il punto di vista delle vittime - ha prodotto effetti distorcenti sulla più profonda comprensione e interpretazione storica di quegli eventi che non trova-rono posto nelle ricostruzioni ufficiali della Seconda guerra mondiale4. In questo modo, di quella vicenda si è appropriata la recente memoria pubblica, assumendola come uno dei 1 Il saggio si propone di analizzare criticamente la storiografia italiana e il dibattito pubblico relativo ad alcuni aspetti delle vicende dell'Alto Adriatico in una cornice esclusivamente italiana. Non sono oggetto di analisi né la storiografia slovena e croata, né il dibattito pubblico in questi due paesi. 2 In questo quadro, ad esempio, la fiction televisiva "Il cuore nel pozzo" (andata in onda in occasione del Giorno del ricordo nel 2005), insieme alla pièce teatrale "Magazzino 18" di Simone Cristicchi (che riempie i teatri lungo tutta la penisola dal 2013 ad oggi) - al netto di qualsiasi giudizio di merito, storico o estetico - ha saputo compendiare una sensibilità collettiva dall'alto contenuto emotivo. Su questo aspetto vedi "Il perturbante nella storia. Le foibe. Uno studio di psicopatologia della ricezione storica" (Accati-Cogoy, 2010). E'indicativo ai fini della mia analisi anche il fatto che questo libro non abbia avuto la dovuta attenzione e diffusione in Italia e, anzi, sia stato pressoché ignorato, come spiegano le stesse curatrici nell'articolo "La rinuncia al discorso critico. Sull'uso della storia" (http://storiamestre.it/2014/02/discorsocriticousodellastoria/). 3 (Traverso, 2006; Id., 2012) 4 Legge 30 marzo 2004, n. 92, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 16 aprile 2004. 476 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 fondamenti del processo di costruzione (o meglio, ricostruzione) dell'identità nazionale, basata sulla "pacificazione" della contrapposizione fascismo/antifascismo, che ha a lungo diviso la memoria pubblica italiana. In un certo senso, esito naturale di questo doppio effetto della legge è stata la recente proposta legislativa che tende ad assimilare in una comune condanna tutti i negazionismi, includendo anche il fenomeno definito come "foibe"5. Questa proposta corona quel processo che Guido Franzinetti ha chiamato "olocaustizzazione delle foibe", iniziato alla fine degli anni Novanta (Franzinetti, 2009). L'insieme di questi interventi parlamentari e le intenzioni politiche che li animano (si siano o meno tradotti in legge dello Stato) espongono la ricerca storica a rischi di limitazioni gravi e creano un contesto intimidatorio di interferenze indebite da parte del legislatore sulla libera ricerca scientifica. La legge del 2004 è stata la conclusione di un percorso che si è avviato all'inizio degli anni Novanta, con la crisi del sistema politico e del suo fondamento di legittimità nell'an-tifascismo e nella Resistenza. Essa è inoltre in sintonia con un clima politico europeo teso - dagli anni '80, e soprattutto dopo le svolte del 1989-'91 - a rielaborare i paradigmi delle memorie pubbliche scaturite dalla Seconda guerra mondiale (Focardi, 2013, Judt, 2000). Queste nuove memorie erano finalizzate soprattutto a recuperare la prospettiva delle vittime e su questa a fondare rinnovate identità nazionali. Naturalmente su scala globale il modello di questo tipo di memoria è costruito intorno all'Olocausto (Judt, 2007). Tutta-via, soprattutto nei paesi che vengono dall'esperienza del regime comunista (entro l'or-bita sovietica, ma non solo) esso si è frammentato e rispecchiato nelle singole memorie nazionali. In questo quadro europeo la memoria pubblica italiana assume forme e finalità specifiche che si plasmano sull'eredità dei conflitti nell'area dell'Alto Adriatico e che si concentrano sulla sequenza foibe-esodo. Infatti, da un lato essa ha adottato la prospettiva delle vittime tratta dalla memoria della Shoah, dall'altro ha spostato il fuoco dal fascismo al comunismo (in questo caso, quello jugoslavo). Questa vicenda ha concentrato su di sé un alto valore simbolico, nonostante sia soltanto una delle tante, e per certi versi più ter-ribili esperienze che hanno sconvolto l'Italia e l'Europa nella Seconda guerra mondiale. Attraverso questa operazione che cancella le responsabilità storiche dell'Italia rispetto allo scoppio del conflitto e alle sue radici più profonde, è finita per prevalere dagli anni Novanta una rappresentazione che assimila l'Italia ai paesi vittima di quello stesso con-flitto. Il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo fanno dell'Italia un oggetto più che un soggetto storico, il cui ruolo centrale nella Seconda guerra mondiale viene ridotto fin quasi a scomparire. Entrambe le commemorazioni ufficiali si fondano sulla disattenzione verso le responsabilità italiane, se non sulla loro negazione, ossia sulla colpevolizzazione degli altri e sull'auto-assoluzione di sé6. Come era prevedibile, l'unica proposta avanzata 5 La questione legata al reato di negazionismo risale al disegno di legge n.1694, presentato in Parlamento il 5.7.2007, riproposto nuovamente nel 2013. E' interessante al riguardo la risposta di alcuni noti storici italiani: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_pro-cedura_commissione/files/000/001/129/RACCOLTA_MEMORIE.pdf 6 (Rumiz, Il Piccolo, 10.02.2009: Foibe e Risiera, la strana "simmetria") 477 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 da alcuni parlamentari (Comunisti italiani) di istituire anche una giornata di memoria per tutte le vittime del fascismo, non ha avuto alcun seguito7. Tornando al Giorno del ricordo, possiamo dire che, se una presa di coscienza del paese su questi eventi drammatici era certamente auspicabile, ció è avvenuto in larga parte senza alcuna riflessione critica. Non a caso la rappresentazione di questi eventi è caratterizzata dalla ricorrenza più o meno esplicita di alcuni stereotipi. Il primo riguarda il silenzio, l'oblio e la rimozione che avrebbero segnato i rapporti della società italiana con queste vicende; il secondo riprende in parte la vulgata neofascista che fin dall'immediato dopoguerra aveva stigmatizzato le foibe come mero frutto della volontà espansionistica e dell'odio antiitaliano dei comunisti jugoslavi, senza alcuna contestualizzazione storica; il terzo riguarda l'unicità di questi eventi, foibe ed esodo, sia sul piano più generale europeo, che su quello nazionale italiano. Le vicende di lungo periodo dell'esodo sono finite nel doppio cono d'ombra di due diverse correnti storiche. Da un lato, gli studiosi hanno privilegiato gli aspetti traumatici e cruenti del processo di spostamento della popolazione dalmata e istriana, in sintonia con un recente orizzonte storiografico che si è interessato soprattutto al problema della violenza e delle sue eredità. Dall'altro, la storiografia esistente sui diversi flussi migratori all'interno della penisola italiana non ha preso in considerazione questo caso, considerato tuttora a sé stante. Invece, la vicenda dell'immigrazione della popolazione istriana nelle altre zone del territorio italiano ha certamente contribuito, tra i tardi anni Quaranta e la fine degli anni Cinquanta - in parte in concomitanza con altri fondamentali spostamenti da Sud a Nord e da Est a Ovest - ad alterare il quadro sociale e demografico nazionale. Tuttavia, benché sia stata raccolta molta documentazione (soprattutto a livello locale), di essa manca ancora un complessivo inquadramento critico. Recentemente sono stati pro-dotti lavori sulle esperienze di permanenza e integrazione di alcune di queste comunità nel tessuto locale e nazionale, ma un lavoro di più ampia contestualizzazione nel fenomeno migratorio complessivo è ancora assente (Gallo, 2012). Inoltre, le pubblicazioni che riguardano le esperienze delle singole comunità, spesso mettono in luce - una luce per-lopiù depurata dagli elementi più problematici - solo alcuni aspetti di esperienze invece ambivalenti e contraddittorie (Miletto, 2005, 45). L'idea che gli eventi del "confine orientale" siano stati avvolti da silenzio, oblio e ri-mozione è vera solo nella misura in cui ci si concentri esclusivamente sulla memoria pub-blica, senza prendere invece in considerazione la memoria sociale degli esuli presenti sul territorio italiano. Si puó dire che il ricordo delle vicende dell'esodo e le ferite che portava con sé abbiano costituito una memoria sociale che prendeva le mosse dalle comunità de-gli esuli, ma che si propagava agli ambienti circostanti dei luoghi che li avevano ospitati. Questo è particolarmente vero per il caso rivelatore delle cosiddette regioni rosse, come l'Emilia Romagna. Qui infatti l'arrivo degli esuli istriani, non di rado percepiti e descritti 7 Si tratta della proposta di legge n. 1982, per l'"Istituzione della Giornata della memoria delle vittime del fascismo", presentata il 24.11.2006. Analoga fine ebbe la proposta di legge n.1845 del 23.10.2006 per l'"Istituzione del giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l'occupazione coloniale italiana". 478 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 come "fascisti in fuga dal paradiso socialista", ha costituito un vero e proprio trauma sociale che non si è rimarginato per lungo tempo nell'assenza pressoché completa di un riconoscimento pubblico della loro esperienza passata e della loro condizione presente8. Per altro verso, dal punto di vista di coloro che fuggivano dal comunismo jugoslavo, particolarmente destabilizzante fu l'impatto con una società locale dominata dal PCI: "Il trauma più grande al nostro arrivo fu quello di vedere le stelle rosse più grandi qui che in Istria"9. L'ostilità e l'isolamento della comunità proveniente dai territori ceduti alla Jugoslavia furono dettati da più elementi: intanto la volontà di tenerli separati dal resto della popolazione nelle strutture fuori città e nel caso specifico di Carpi nell'ex campo di concentramento di Fossoli (diventato per l'occasione Villaggio San Marco). Questa condizione poteva essere "giustificata" nell'immediato dopoguerra dalla difficile situazione economica in cui si trovava l'Italia, ma non spiega la lunga durata della loro permanenza all'interno del campo: fu aperto nel 1954 e chiuso 16 anni dopo, nel 1970. Se da un lato questa concentrazione di famiglie giuliane in un solo luogo ha certamente costituito un forte elemento di sostegno morale e di coesione sociale tra gli stessi profughi, dall'altro - spostando il discorso verso l'esterno - ha rappresentato un vero e proprio limite per l'integrazione con il territorio, soprattutto per i giovani. In un certo senso, l'idea di tenerli segregati è confermata dalla presenza nel campo di tutte le attività che fossero in grado di far vivere questo microcosmo come una realtà a sé stante, autosufficiente, separata sia da Fossoli che da Carpi. C'erano infatti un asilo nido e una scuola elementare (le stesse maestre erano profughe), un ambulatorio medico, la chiesa, vari negozi alimentari, il barbiere, la merceria, il bar, l'edicola, una piccola impresa famigliare che offriva il lavoro agli stessi esuli del campo (Molinari, 2006; Orlic, 2007). Questa "ghettizzazione", da un lato cercata dagli stessi esuli, i quali diffidavano dal "mondo esterno" che li etichettava come fascisti, e dall'altro dalle stesse autorità locali, le quali speravano di tenere l'intera vicenda sotto controllo ed evitare eventuali scontri sociali, è rimasta impressa nella memoria e trasmessa nel tessuto sociale. Alcuni episodi di aperta intolleranza non fanno parte soltanto della memoria di chi li ha subiti, ma anche di chi in quegli anni vedeva negli istriani il "diverso"10. Come ricorda un'esule di Pirano: "Quando andavo al mercato le signore mi dicevano sempre 'noi qua siamo tutti rossi' e mi facevano capire che sapevano che noi non lo eravamo"11. Sono stati proprio i giuliani i primi ad essere accusati di portare via il lavoro alla popolazione locale (prima ancora delle grandi migrazioni dal sud Italia) e con diversi pre- 8 "Anche qui era una zona rossa, siamo venuti in un posto dove erano piu comunisti che di la, noi eravamo le pecore nere che venivano via dal paradiso, e non eravamo visti mica tanto bene, pesce in faccia li, pesce in faccia qua, un pochino di pesce in faccia dappertutto." (B.M., esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Carpi, 23 marzo 2005). 9 Questa citazione e tratta da un'intervista a A.M.S., esule di Pola, Modena, 17 giugno 2005. Questa come le interviste che citeró di seguito sono state condotte tra il 2003 e il 2006, durante la mia ricerca di dottorato "L'esodo degli italiani dall'Istria e l'insediamento dei profughi nella provincia di Modena. Storia e memoria (1945-1954)", discussa all'Universita di Modena e Reggio Emilia. 10 "A Carpi siamo stati trattati come delle bestie rare, la c'era un partito contro." (G.C., esule di Pirano, intervista dell'autrice, Modena, 16 giugno 2005) 11 Ibidem 479 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 testi, perlopiù di carattere ideologico, emarginati anche nei luoghi di lavoro. Una per tutte era l'accusa di non partecipare agli scioperi, che all'avversione politica sommava l'odio sociale: non erano dunque percepiti soltanto come "fascisti", ma anche come "crumiri": "Noi venivamo a portare via il lavoro, erano tempi duri, qui la vita era molto difficile. I datori di lavoro davano la precedenza a noi perché dicevano questi qui non ci fanno sciopero, non sono comunisti."12. Per chi si recasse ugualmente al lavoro nei gironi di sciopero era riservato l'isolamento totale, anche al di fuori del luogo lavorativo. Capitava cosí che in osteria tutti i presenti uscissero fuori quando vedevano entrare qualcuno della comunità degli istriani13. L'isolamento e la "ghettizzazione" si sono protratti nel tempo, non soltanto durante la loro permanenza nei campi, ma anche una volta usciti da essi. Infatti, in molti casi gli alloggi a loro destinati erano comunque abitati esclusivamente dagli esuli, replicando in un certo senso il modello dei campi profughi allestiti nell'immediato dopoguerra nelle periferie delle città14. La presenza di queste comunità nel territorio italiano e il confronto (spesso ostile) con la popolazione locale costituiscono materia di riflessione per una ricostruzione più seria e arti-colata dei rapporti tra la memoria pubblica e quella sociale nel dopoguerra. Innanzitutto, ri-dimensiona quelle tesi che hanno iscritto la vicenda postbellica degli esuli sotto il segno della rimozione, del silenzio e dell'oblio. Se osservato dal basso verso l'alto, il reinsediamento delle comunità istriane e l'insieme delle questioni che sollevava in termini di assistenza sociale, provvedimenti legislativi e amministrativi, dibattito politico locale e nazionale tende ad attenuare l'immagine di una società italiana ignara del destino degli esuli. Per altro verso, l'indifferenza, quando non l'aperta ostilità con cui erano stati accolti, aveva spinto gli stessi esuli a nutrire diffidenza nei confronti dello Stato italiano, che per di più non li aveva mai risarciti per i danni subiti. Il risentimento era tanto più acuto in quelle regioni domínate dal PCI in tutti i livelli di amministrazione locale che non li avevano saputi o voluti capire e tutelare. Questo atteggiamento rispecchiava un più generale risentimento di avversione da parte di larghe fasce della popolazione locale che vedevano in loro un nemico politico e sociale15. Paradossalmente, se si accantona per un istante la chiave di lettura nazionale non si puó non osservare che - seppur in contesti politico-istituzionali profondamente diversi -l'ambiente sociale in cui si ritrovó la popolazione giuliana in certe zone dell'Italia non era 12 (B.M., esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Carpi, 23 marzo 2005) 13 "A Carpí siamo stati accettati brutalmente, avevamo due della polizia che dormivano dentro al campo, perché venivano tutte le notti a farci un dispetto, portavano via il materiale. Durante una processione nel mese di maggio, eravamo 22 uomini e tornavamo a piedi dalla chiesa di Fossoli, siamo entrati in una osteria, ma quando siamo entrati dentro noi, le 20 persone che erano dentro sono uscite fuori. Un altro episodio è quando il fornaio di Fossoli assunse uno dei nostri, per due giorni nessuno è andato a comprare il pane e l'ha dovuto licenziare." (P.C., esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Modena, 30 marzo 2005) 14 Sul violento e persistente impatto della guerra nella regione, sulle dinamiche di breve e lungo termine della memoria degli esuli e sulla complessa elaborazione delle narrazioni dell'esperienza di confine si veda in particolare il libro di Pamela Ballinger "The History in Exile. Memory and identity at the borders of the Balkans" (2003). 15 "Al lavoro mi chiamavano suor Maria, perché non bestemmiavo mai e sapevano che andavo sempre in chiesa" (P.C., esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Modena, 30 marzo 2005) 480 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 dissimile dall'esperienza che aveva conosciuto nei primi anni del dopoguerra in Istria; cioè l'esperienza del potere popolare jugoslavo. A differenza di quanto sostengono alcuni studiosi, l'integrazione nella società delle città d'arrivo per la maggior parte degli esuli è stato un processo tormentato e complicato e, in alcuni casi, non si è ancora concluso del tutto16. Dalle interviste che ho condotto in Emilia mentre era in corso l'istituzione del Giorno del ricordo emerge chiaramente il risentimento nei confronti delle autorità politiche italiane e, solo in subordine, quello nei confronti di quelle jugoslave. Tutti gli intervistati sottolineavano la loro "scelta" (e tutti l'hanno definita tale) di abbandonare la Jugoslavia in nome dell'italianità, che nella loro ottica si è poi rivelata "tradita" dalle dolorose esperienze di inserimento sul territorio italiano17. Tuttavia, dopo che si era dispiegato l'impatto pubblico del Giorno del ricordo e del suo effetto in termini di amplificazione mass mediatica della questione, queste stesse memorie locali e sociali (particolarmente traumatiche nelle regioni "rosse") si sono via via conformate e amalgamate al modello unico e stereotipato di memoria pubblica nazionale. Nel momento in cui lo Stato offriva una forma di compensazione psicologica e ideologica attraverso il riconoscimento della loro vicenda nella storia nazionale, di fatto cancellava il periodo di disconoscimento politico e di difficoltà materiali che aveva caratterizzato il lungo dopoguerra degli esuli18. Il cerchio si chiude con l'analogia tra l'Olocausto e l'esperienza degli esuli, sempre più presente nei media in occasione delle commemorazioni: "Siamo un po' come ex deportati liberati dai lager, la tragedia del nostro popolo fa pensare al genocidio degli ebrei, anche noi siamo vittime di odio razziale"19. 16 Sul risentimento degli esuli e sull'ostilità della popolazione italiana nei loro confronti vedi le opere di Gloria Nemec (Nemec, 1998) e di Pamela Ballinger (Ballinger, 2003). 17 "Io non ho preso tanto bene l'istituzione della giornata del ricordo, perché sono stati zitti tutti dal primo all'ultimo per quarant'anni, mentre adesso dicono tutti è vero, è vero. La giornata del ricordo va bene, ma non dopo quarant'anni. Mi sento più riconosciuto, ma cambia poco, perché per quarant'anni abbiamo dovuto mandare giù, non è quello che risolleva le cose." (P.C., esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Modena 30 marzo 2005). "Quello che ci fa rabbia adesso è che parlano tanto di razzismo, ma noi non abbiamo avuto tutta questa accoglienza, perché erano tanto razzisti con noi che eravamo italiani?" (G.C., esule di Pirano, intervista dell'autrice, Modena 16 giugno 2005) "Ho piacere che ora se ne parli, anche se era una cosa che andava affrontata prima, quello che a me dà un po' fastidio nella giornata del ricordo è che si tenti di ricordare solo le foibe e non gli esuli, la sensazione è che si dia troppo peso, non perché non sia un fatto grave, ma se ci si focalizza sulle foibe non si analizza il problema di tantissime persone che sono venute via e che sono sparse in tutto il mondo, li un po'si sottovaluta, alla fine sembra quasi che si cerchi il motivo del contrasto tra destra e sinistra in cui ci si accusa reciprocamente di mancanze" (L.C. esule di Isola d'Istria, intervista dell'autrice, Modena, 20 maggio 2005) 18 Intervistando in diversi momenti la stessa comunità esule nel modenese e carpigiano - nel periodo delle mie ricerche del dottorato tra il 2003 e il 2006 - ho potuto osservare il cambiamento di alcune loro posizioni o, come ho spiegato sopra, l'insistenza su alcuni elementi che nella stereotipizzazione della memoria, avve-nuta a distanza di un paio d'anni dalla prima celebrazione del Giorno del ricordo, sono stati volutamente omessi. Si tratta perlopiù di temi che ho citato nelle note precedenti e che riguardano una posizione critica nei confronti degli italiani e dell'Italia. Successivamente l'accento è stato spostato quasi esclusivamente sulle colpe degli "slavi" e sulle foibe, entrambi elementi emersi saltuariamente nelle interviste condotte della fase precedente (2004-2005). 19 (Il Resto del Carlino Modena, 9.2.2007, VI). E' interessare notare che le parole sono state pronunciate dalla stessa persona che ho intervistato nel corso delle mie ricerche. Tuttavia, all'epoca l'intervistata non aveva 481 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 Come abbiamo visto, i cortocircuiti della memoria hanno agito sia dall'alto che dal basso creando i presupposti per un nuovo consenso nazionale introno ai temi dell'esodo e delle foibe. Rispetto a questa tendenza non sembrano essersi distanziati a sufficienza molti di coloro che per professione si occupano dello studio del passato. In quale modo dunque possono gli storici sottrarsi ad una ipoteca troppo condizionante della memoria pubblica? In quali direzioni procedere per elaborare nuove domande, ripensare l'agenda della ricerca, definire nuove prospettive analitiche e interpretative? Suggerisco, tra le tante possibili, di seguire due strade, opposte, ma complementari: la prima è quella di ricollocare questi temi in una cornice più ampia e transnazionale, la seconda è quella di integrare l'esperienza di quest'area nell'ambito della storia nazionale italiana. Il primo tipo di approccio, per quanto sia stato elaborato di recente, ha trovato le prime, interessanti applicazioni. Il confronto è stato avanzato soprattutto sul terreno dello studio degli spostamenti di popolazione che caratterizzarono i traumatici esiti politico-militari e riassetti istituzionali della Seconda guerra mondiale (Crainz, 2005; Crainz et al., 2008; Ferrara-Pianciola, 2012; Wôrsdôrfer, 2009). Ovviamente, resta lo spazio per passi ulteriori: in questo senso, la contestualizzazione delle vicende del "confine orientale" con altre esperienze dell'Europa centro-orientale nel 1945-46 non si è infatti tradotta in una nuova interpretazione di quelle stesse vicende. D'altro canto, il secondo tipo di approccio, quello nazionale, per quanto ben più tradizionale del primo, è stato utilizzato solo in parte. Paradossalmente, infatti, se la chiave di lettura delle vicende del "confine orientale", e le fonti ad essa sottese, sono state orientate sopratutto in senso nazionale italiano20, è mancata una riflessione sul rapporto di queste vicende con la più complessiva esperienza del Novecento italiano. Colpisce particolarmente, ad esempio, che nella ricostruzione dei tumultuosi e sanguinosi eventi che hanno caratterizzato l'e-pilogo della guerra civile italiana, nel 1945 e oltre, le vicende istriane e triestine siano sempre state separate rispetto alle altre accadute nel resto d'Italia. Emblematica in que-sto senso è la completa assenza del tema nel libro ormai classico di Claudio Pavone, Una guerra civile, che ha segnato una svolta nell'interpretazione della Resistenza italiana e che ha aperto la stagione di studi sulle violenze del periodo 1943-1945 (Pavone, 1991). Ovviamente, l'opera di Pavone, uscita nel 1991, era frutto di ricerche condotte in una fase in cui le vicende istriane e triestine erano considerate ai margini dell'agenda storiografica. A ben vedere, peró, lo storico di estrazione azionista offriva una strumen-tazione interpretativa e concettuale utile per inquadrare non solo le vicende italiane, ma, più in generale, uno spettro ampio di esperienze europee che si erano svolte intorno alla metà degli anni Quaranta. La sua chiave di lettura, fondata sulle tre prospettive della guerra di liberazione nazionale, della guerra civile e della guerra di classe, trova un'applicazione interessante per comprendere i conflitti in territori multinazionali come mai sostenuto queste tesi. Più in generale, sulle identificazioni tra l'esodo giuliano-dalmata e l'Olocausto vedi Ballinger, 2003. 20 Sulla prospettiva nazionale (italiana) e sull'uso strumentale della storia del confine rimando ai contributi di Marta Verginella. Si veda in particolare "Tra storia e memoria. Le foibe nella pratica di negoziazione del confine tra l'Itala e la Slovenia" (Accati-Cagoy, 2010). 482 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 quelli del "confine orientale", o più in generale dell'Europa centro-orientale e balcanica (Mazower, 2000, 8-9). Importanti studi successivi, derivati dall'agenda di problemi aperta da Pavone, hanno affrontato i nodi cruciali e tuttora controversi dell'uscita dell'Italia dalla guerra e dello strascico sanguinoso di rappresaglie e vendette che l'ha accompagnata tra il 1945 e il 1946. Ciononostante, chi ha studiato questi fenomeni nel nord Italia ha adottato approcci selettivi, immaginando che l'area dell'Alto Adriatico, coinvolgendo comunità nazionali diverse e giocandosi intorno alla definizione dei confini tra stato italiano e quello jugoslavo, fosse un caso a sé stante rispetto alle rese dei conti tra fascisti e partigiani che si erano consumate ad esempio in Emilia e in Piemonte negli stessi mesi (Crainz, 2007; Dondi, 2004). Tuttavia, solo un approccio comparativo, fondato sulla categoria della guerra civile come contesto comune all'insieme di fenomeni di cui stiamo parlando, puó consentire di coglierne le specifiche differenze. Non si tratta semplicemente di ampliare il bilancio quantitativo delle vittime o di stabilire un macabro primato rispetto alle diverse zone in questione. Piuttosto, si tratta di estendere il quadro analitico e interpretativo di riferimen-to in cui collocare ciascuno di questi fenomeni, con tutte le loro specificità. Di conseguen-za occorrerebbe superare la rappresentazione - peraltro coerente con quella fascista - di uno scontro di civiltà tra italiani e slavi che avrebbe deciso le sorti del confine e approdare ad una visione complessiva della guerra civile che coinvolse queste come altre zone d'I-talia, nel contesto della guerra europea e mondiale. Posta all'interno di questa più ampia scala di ricostruzione storica, emerge tutta la specificità di quest'area in cui gli attori della guerra civile tendevano a rappresentarsi e a rappresentare il nemico soprattutto attraverso categorie nazionali (anche quando alla base c'erano soprattutto questioni sociali e quelle politico-ideologiche). All'origine dei processi che hanno portato ad una drastica riduzione delle comunità italiane in Istria e in Dalmazia non si puó non riconoscere l'eredità del Secondo conflitto mondiale. Giustamente, questa vicenda è stata dunque narrata e interpretata come una storia di violenza. Infatti fu anche una storia di violenza (Judt, 2012). Tuttavia, per sot-trarsi a visioni della storia del Novecento esclusivamente filtrate attraverso il problema della violenza, e per introdurre il problema dell'esodo nella più lunga storia del Novecen-to italiano, si dovrebbe forse ricollegare alla storiografia sui fenomeni migratori interni che hanno caratterizzato la società italiana tra anni '50 e '70. Per un caso singolare ma rivelatore, la storiografia che si è occupata di questi temi - anche in tempi recenti - ha fino ad ora escluso dai propri interessi l'analisi del caso istriano (Gallo, 2012). La dimensione locale, quella nazionale e quella europea offrono tre scale di osserva-zione di alcuni dei nodi più intricati e complessi nella storia del XX secolo. Indagarne le connessioni e le contraddizioni costituisce una possibile via per valorizzare le potenzialità conoscitive dell'esperienza dell'Alto Adriatico al di fuori degli stereotipi finora proposti. Per dirla con Eric Hobsbawm, lo storico non scrive per una nazione, una classe, un genere o una minoranza, ma scrive per tutti (Hobsbawm, 1997, 227). 483 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ... ITALY AND ITS EASTERN BORDER: CONSIDERATIONS ON HISTORY AND ON ITS PUBLIC USE Mila ORLIC University of Rijeka, Faculty of Art Sveucilisna avenija 4, 51100 Rijeka, Croatia e-mail: orlicmila@gmail.com SUMMARY A distanza di un decennio dal varo ufficiale del Giorno del Ricordo, deliberato dal Parlamento italiano nel febbraio 2004, il saggio si propone di fare un bilancio critico sulla storiografia e sull'uso pubblico della storia in Italia rispetto alle vicende legate al co-siddetto confine orientale. Grazie ad un ampio dispiegamento dei mass media, l'opinione pubblica italiana ha potuto familiarizzare con questi temi, percepiti perlopiù attraverso due vicende simbolicamentepiùpregnanti: le "foibe" e l'"esodo". Tuttavia, la ricezione del problema, basata su una mobilitazione altamente emotiva, alimentata dall'identi-ficazione degli italiani come "vittime" della Seconda guerra mondiale, non è priva di elementi problematici. Infatti, la legge con cui fu approvato il "Giorno del ricordo" da un lato ha offerto il pieno riconoscimento istituzionale ad una pagina dolorosa della storia d'Italia e alle sue vittime, dall'altro - privilegiando proprio il punto di vista delle vittime - ha prodotto effetti distorcenti sulla più profonda comprensione e interpretazione storica di quegli eventi. In questo modo, di quella vicenda si è appropriata la recente memoria pubblica, assumendola come uno dei fondamenti del processo di ricostruzione dell'identità nazionale, basata sulla "pacificazione" della contrapposizione fascismo/ antifascismo, che ha a lungo diviso la memoria pubblica italiana. Il saggio indaga le interazioni tra storia e memoria riguardanti le vicende dell'Alto Adriatico e i loro effetti su una produzione storiografica fin troppo condizionata dalla memoria pubblica. In par-ticolare si discute la difficoltà della storiografia italiana ad includere la questione delle "foibe" in un quadro comparativo più ampio della guerra civile che coinvolse il nord Italia. La questione della memoria viene invece analizzata all'interno di una doppia pro-spettiva: istituzionale - attraverso l'impatto della legge per il "Giorno del ricordo" sulla costruzione dell 'identità nazionale (italiana); e sociale - attraverso le esperienze delle comunità degli esuli nel dopoguerra. Il "case study" degli esuli istriani insediati nella provincia di Modena, presentato all'interno del saggio, offre un'interessante spuntoper un'analisi critica tanto del processo della costruzione della memoria pubblica nazionale rispetto a queste vicende, quanto della ridefinizione della stessa memoria collettiva degli esuli presenti in Italia. Key words: Italian Eastern border, Foibe, Forced displacement, Memory, Remembrance Day 484 ACTA HISTRIAE • 23 • 2015 • 3 Mila ORLIC: SE LA MEMORIA (NON) MI INGANNA ..., 475-486 BIBLIOGRAFIA: Accati, L., Cogoy, R. (eds.) (2010): Il perturbante nella storia. Le foibe. Uno studio di psicopatologia della ricezione storica. Verona, QuiEdit. Ballinger, P. (2003): The History in Exile. Memory and identity at the borders of the Balkans. Princeton, Princeton University Press. Banti, M. (2011): Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo. Roma-Bari, Laterza. Crainz, G. (2005): Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa. Roma, Donzelli. Crainz, G. (2007): L'ombra della guerra. Il 1945, l'Italia. Roma, Donzelli. Crainz, G. et al. (2008): Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d'Europa. Roma, Donzelli. Ferrara, A., Pianciola, N. (2012): L' età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa 1853-1953. Bologna, Il Mulino. 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